Alleno le donne grazie a mia moglie Turno di riposo per Aldo Corno e il suo Fizzy Riva Muraltese dopo l’impresa di settimana scorsa contro l’Hélios Il coach romano si racconta: «Io, due americane alla Michael Jordan e quelle partite con Francesco De Gregori Sei Coppe dei campioni, dodici titoli italiani, tre esperienze alla guida della Nazionale azzurra. Aldo Corno, nel basket femminile, è un’istituzione. L’ultima impresa l’ha messa a segno settimana scorsa con le ragazze del Riva Muraltese: superare l’Hélios, imbattuto da tre anni. Questo weekend le momò riposano: ne abbiamo approfittato per chiacchierare con il coach. Le piace il termine «impresa» per definire la vittoria di sabato? «Sì. Un po’ di vittorie in giro per il mondo le ho ottenute e questa, con tutti i limiti del nostro campionato, è un’impresa. L’eventualità di sconfiggere le vallesane non era in preventivo. Però, dopo una decina di minuti, si è capito che qualcosa nel loro sistema perfetto si era inceppato. Questo ci ha dato l’idea che potevamo giocarcela: le ragazze ci hanno creduto ed è arrivato un successo fantastico. Una squadra di dilettanti, nel senso buono, che ne batte una di professioniste: è una bella storia. Le mie ragazze si allenano quando possono, dando il massimo, ma le vallesane pensano solo a giocare a basket. Sono stato professionista, so cosa significa». A livello personale, lei che ha già vinto tutto, cosa ha provato? «Alleno ancora per il piacere di farlo. Due anni fa ho lasciato il campionato francese, il più bello d’Europa, perché a 64 anni era diventato pesante. Ho assecondato la mia voglia di insegnare la pallacanestro e qui posso farlo. La gioia delle ragazze e dei dirigenti, persone che ci mettono l’anima, mi ha ripagato di tutto il lavoro. Non per presunzione, ma di soddisfazioni sportive ne ho avute a ben altri livelli. Stavolta la cosa più bella è stata vedere la felicità dipinta sui volti degli altri». La nuova straniera Kaili McLaren ha subito fatto bene. Ci parla del suo rapporto con le americane? «Ne ho allenate a tonnellate. All’epoca della grande Vicenza, negli anni ‘80, avevo le due migliori giocatrici al mondo di quel periodo, quando la WNBA non c’era. Una è Janice Lawrence, il miglior pivot del mercato USA, vincitrice di 4 titoli NCAA; l’altra è Teresa Edwards, che ha partecipato a 5 Olimpiadi vincendo 4 ori. Non erano straniere di prima fascia, ma di più: è come se Michael Jordan fosse venuto a giocare in Italia. Ora mi godo Davis e McLaren: in Svizzera, non si sono viste spesso giocatrici così. Jori detiene il record di assist per Indiana University, Kaili è stata il secondo pivot di Connecticut, college fortissimo con cui ha vinto due titoli. La cosa più difficile, per le americane, è realizzare che a Riva ci alleniamo solo tre volte a settimana. Ma ci siamo organizzati bene: io lavoro con loro per due o tre mattine e poi entrambe svolgono delle sedute in sala pesi. Continuano a fare la loro vita da professioniste e le svizzere cercano di andargli dietro». Perché Aldo Corno si è specializzato nel basket femminile? «In realtà vengo dal maschile. Nel mio piccolo ho fatto una bella carriera di giocatore nella Serie A italiana, poi, appena ho smesso, ho allenato la Lazio in B. In seguito, per motivi più sentimentali che tecnici, mi sono ritrovato a guidare le donne. Mia moglie - lo è ancora dopo quasi 50 anni insieme - era la capitana della Juventus Roma, una squadra importante della capitale. Il suo presidente mi ha convinto a lavorare con loro. Poco dopo, ho conquistato i titoli con Vicenza e a 34 anni mi hanno affidato la Nazionale. Tra un successo e l’altro, non sono più uscito dalla femminile. Mi ero talmente specializzato...». In cosa consiste questa specializzazione? «Bisognerebbe scrivere un libro, ma la cosa principale è l’aspettopsicologico. Il lavoro in palestra non è diverso, ma il problema è mettere insieme quindici donne. Dal punto di vista della comunicazione e dei problemi interpersonali le ragazze sono molto più toste di noi uomini. Avere una moglie giocatrice mi ha aiutato molto». Con le giovani ragazze del Riva si sente più coach o più formatore? «Mi hanno sempre chiamato professore, perché nasco insegnante di educazione fisica. Nel basket femminile bisogna affidarsi a un sistema misto, lavorando tanto sui fondamentali, come si fa nelle giovanili. Anche qui in Svizzera, io dedico il 50% del lavoro al miglioramento individuale e pochissimo tempo alla parte tattica. Imparare gli schemi non è la cosa più importante». In Svizzera abbiamo un campionato femminile con sole 5 squadre, ma in Italia le cose non vanno tanto meglio. Cosa ne pensa? «Il basket femminile nel mio Paese sta vivendo una crisi che sembra irreversibile. Spero di sbagliarmi. La mia ultima Coppa dei campioni è arrivata nel 1995 con la Comense ed è stata l’epilogo dell’Italia ai massimi livelli. Guarda caso, coinciso con l’argento agli Europei dellaNazionale guidata dal povero Riccardo Sales. La stessa Nazionale che avevo portato io a quella rassegna continentale, prima di lasciare la panchina. Poi è iniziato il declino. Con la crisi dell’economia italiana, gli sport deboli come il basket femminile stanno pagando pedaggio. Ho visto morire la mia vecchia Vicenza, ho visto morire la mia Comense, abbiamo visto sparire Taranto e quest’anno Priolo. Mi addolora, perché ho lavorato tanto per costruire quel movimento». Tra i suoi compagni di squadra, da ragazzo, c’era anche il cantautore Francesco De Gregori, vero? «Esatto. Dopo oltre 30 anni senza vederci, ci siamo riabbracciati l’anno scorso a Campione d’Italia, dopo il suo concerto. Giocammo insieme nell’età più bella, dai 14 ai 18 anni, con la maglia della Lazio. Ero spesso a casa sua, siamo stati veri amici, il basket era solo un divertimento. Quando ci siamo rivisti, mi ha detto, in romanesco: “Aldo, dobbiamo annà a fa’ du tiri”. E così ci siamo promessi di radunare la nostra vecchia squadra. Lui sul parquet non era un fenomeno: infatti gli ho detto che ha fatto benissimo a diventare un grande artista»
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