La questione del Gesù storico sette Gesù e gli albori del cristianesimo Ci siamo resi conto, nel nostro percorso di ricerca fino ad oggi, che il grande problema riguardo alla figura storica di Gesù viene dall’interpretazione delle fonti storiche e soprattutto dei Vangeli. In questo contesto ci sono alcune opere recenti che costringono a voltare pagina nelle ricerche su Gesù. I l grande problema riguardo alla figura storica di Gesù viene dall’interpretazione delle fonti storiche e soprattutto dei Vangeli. In questo contesto ci sono alcune opere recenti che costringono a voltare pagina nelle ricerche su Gesù. La prima è un’opera monumentale di James Dunn, professore emerito dell’università di Durham in Inghilterra, autore in passato di studi sul Nuovo Testamento che hanno fatto epoca. L’opera in tre volumi è intitolata «Christianity in the Making». In essa, dopo una serrata analisi dei risultati degli ultimi tre secoli di ricerche, lo studioso giunge alla conclusione che non c’è stata nessuna cesura, separazione, tra il Gesú della storia e quello della fede. La fede non sarebbe nata dopo la Pasqua ma con i primi incontri dei discepoli, i quali sono divenuti discepoli proprio perché hanno creduto nel rabbi di Nazareth. non si è tenuto conto delle leggi che regolano la trasmissione delle tradizioni orali. Per questa via si può conoscere direttamente non ciò che Cristo pensava di se stesso, ma come«Gesú come era ricordato»; “ricordato” però – e qui sta la differenza – non a distanza di tempo, dopo la Pasqua, da discepoli e comunità che reinterpretavano i fatti e gli insegnamenti mossi da interessi estranei, ma da coloro che per primi avevano visto e udito e avevano cominciato da subito a dare forma ai racconti. Letti in questo modo, dice Dunn, «i vangeli sinottici attestano un modello e una tecnica di trasmissione orale che hanno garantito una stabilità e una continuità nella tradizione di Gesú maggiori di quelle che si sono sin qui generalmente immaginate». All’analisi di Dunn, anche l’immagine di un Gesú che sovverte i legami familiari e conduce con i suoi discepoli una vita da «carismatico itinerante» o di «vagabondo cinico» appare il frutto di una lettura parziale e forzata dei testi; non tiene conto della differenza tra ciò che Gesú chiedeva a tutti e ciò che chiedeva a quelli che chiamava a condividere la sua vita interamente dedicata al regno, come avviene anche oggi nella Chiesa. I. IL PASSAGGIO DAL gesù storico AI VANGELI La difficoltà di risalire dai Vangeli al Gesú reale è nata in buona parte dal fatto che 37 II. nuovi documenti Accanto all’opera di Dunn mettiamo il volume di J. Ratzinger «Gesù di Nazareth» nel quale il teologo papa presenta in positivo la figura e l’insegnamento di Gesú come inteso dalla Chiesa, partendo dalla convinzione che il Cristo della fede è anche rigorosamente il Gesú della storia. Il papa emerito – che in questo caso ha lasciato a tutti la libertà di criticarlo liberamente - si richiama esplicitamente all’esegesi canonica, cioè a quel tipo di esegesi credente che parte dalla convinzione di fede che Dio non ha un solo modo di rivelarsi al mondo, quello della storia; ne ha molti altri tra cui il più importante è l’ispirazione biblica. Su questa convinzione, si basa tutta la lettura spirituale della Bibbia fatta dalla Chiesa lungo i secoli, esercizio questo di grande coerenza e fecondità. «Il metodo storico-critico –scrive il papa – resta indispensabile a partire dalla struttura della fede cristiana. Dobbiamo tuttavia aggiungere due considerazioni: il metodo storico-critico è una delle dimensioni fondamentali dell’esegesi, ma non esaurisce il compito dell’interpretazione per chi nei testi biblici vede l’unica Sacra Scrittura e la crede ispirata da Dio» (p. 12). Ma lo scopo di tutto il libro è mostrare che la figura di Gesú che si raggiunge per tale via «è molto più logica e dal punto di vista storico anche più comprensibile delle ricostruzioni con le quali ci siamo dovuti confrontare negli ultimi decenni. Io ritengo – aggiunge il papa – che proprio questo Gesú – quello dei Vangeli – sia una figura storicamente sensata e convincente» (p. 18). A lettura ultimata credo sia difficile non convenire con il papa su questo punto. Naturalmente né Dunn né Ratzinger hanno posto la parola “fine” alla ricerca storica su Gesú, ma sui loro risultati, unitamente a quelli, spesso convergenti, del cattolico John P. Meier che ha scritto «Un ebreo marginale», dovranno presumibilmente misurarsi per decenni tutti gli studiosi delle origini del cristianesimo. Prendiamo lo spunto da questi lavori citati per valutare la cosiddetta “nuova ricerca storica” su Gesú soprattutto mediata, in Italia e nel mondo, da ricerche, romanzi, articoli, documentari, trasmissioni televisive non sempre così equilibrate e rispettose dei dati storici come si vorrebbe. Spesso questa ricerca storica su Gesú fonda la sua “novità” sul ritrovamento di nuovi testi e sui risultati di recenti scoperte archeologiche. Cerchiamo di darne un’informazione necessariamente sommaria. Di veramente nuovo c’è stata, nell’ultimo mezzo secolo, la scoperta e la successiva laboriosa decifrazione dei manoscritti di Qumran, risalenti all’epoca del Nuovo Testamento e appartenuti (sembra) alla setta giudaica degli Esseni. Altra scoperta clamorosa è stata quella della biblioteca gnostica di Nag Hammadi in Egitto verso la metà del secolo scorso (precisamente nel dicembre del 1945). A questi documenti scritti vanno aggiunti, dicevo, i risultati di scavi archeologici che hanno stimolato l’indagine sociologica sulle condizioni di vita in Galilea al tempo di Gesú. Quale importanza hanno queste scoperte per la conoscenza del Gesú storico? Una grandissima importanza hanno i manoscritti di Qumran. Essi però, lungi dall’indebolire la testimonianza dei vangeli, su innumerevoli punti ne hanno costituito una sorprendente conferma, mostrando la corrispondenza di linguaggio e di idee con le correnti del giudaismo del tempo. Qumram Il sito di Qumram si trova poco a nord del Mar Morto, dove l’altipiano del deserto di Giuda precipita a strapiombo per circa 350 metri sotto il livello del Mediterraneo. In questo luogo deserto, nel 1947 un giovane pastore gettò per caso un sasso nell’apertura di una roccia, e ne udì risuonare il rumore di cocci infranti; ritornato sul posto il giorno dopo, spinto dalla curiosità, si introdusse assieme ad un cugino nell’an38 tora si trovano. In seguito ad ulteriori scavi che durarono fino al 1955, nel sito di Qumram vennero alla luce altri rotoli e papiri in gran parte testi biblici e apocrifi dell’AT. Complessivamente si può dire che a Qumram erano stati nascosti, in giare di terracotta, testi biblici e religiosi che appartenevano forse alla comunità degli esseni o, forse, erano stati trasportati lì da Gerusalemme per essere salvati dalle razzie conseguenti la guerra romano-giudaica che condurrà alla distruzione del tempio di Gerusalemme nell’anno 70 per mano di Tito. Negli anni Novanta, basandosi sui numerosi «pasticci» combinati dalle équipes di studiosi che da un quarantennio avevano il monopolio sui rotoli di Qumran, si diffusero vari bestseller d’impostazione «complottista» a sfondo anti-cattolico. La tesi fondamentale era: i manoscritti del Mar Morto non vengono pubblicati perché rivelano una verità «alternativa» su Cristo e dunque il Vaticano li sta boicottando. Ma il Vaticano non ebbe mai in nessun momento a che vedere con l’opera di pubblicazione dei manoscritti, che dal 1967 dipende dal governo israeliano. Eppure l’ipotesi «alla Dan Brown» resiste nella pubblicistica. Ma la storia dei ritrovamenti di Qumran è costellata da numerosi altri imprevisti incredibili, marchiani errori umani, ritardi ingiustificabili, esose contrattazioni economiche (di numerosi frammenti non si conosce nemmeno l’esistenza perché sono finiti illegalmente in mani private), conflitti personali e guerre vere e proprie tra nazioni… Molti misteri sui rotoli sono dunque destinati a rimanere tali, in quanto i dati che avrebbero potuto fornirci risposte sono irrimediabilmente perduti. Ci viene spontanea una domanda? Non ci sono testi del Nuovo Testamento? Vent’anni or sono il famoso papirologo J. O’Callaghan, sostenne di avere identificato in un frammento qumranico (il famoso 7Q5) un versetto del Vangelo di Marco. Fatto questo che sarebbe di importanza capitale per retrodatare la composizione fratto e trovò all’interno della caverna diverse giare, una delle quali conteneva dei rotoli di cuoio manoscritto. I rotoli, invece di essere consegnati alle autorità, vennero portati ad un antiquario di Betlemme, che ne vendette una parte al metropolita Athanasius Yeshua Samuel del monastero siro di S. Marco di Gerusalemme, e una parte al prof. Eleazar Sukenik dell’Università Ebraica di Gerusalemme. Quando quest’ultimo comprese quello che aveva di fronte, cercò di acquistare anche la parte in possesso del metropolita, che però si rifiutò di vendere i suoi manoscritti. Nel 1948 si parla del rinvenimento di un rotolo di Isaia (125-100 a.C.), di un Manuale di Disciplina di una comunità ignota, forse di Esseni (quello che oggi è chiamato Regola della Comunità), di un commento al profeta Abacuc (metà del I sec. a.C.), e di un codice non ancora identificato perché (identificato poi nell’Apocrifo della Genesi, inizio I sec. d.C.). Il rotolo di Isaia, lungo più di sette metri, è di oltre mille anni antecedente al manoscritto più antico fino ad allora conosciuto; il mondo era venuto così a conoscenza di quella che è stata definita come la «coperta archeologica del secolo». Si trattava di testi probabilmente nascosti nelle grotte della comunità degli Esseni prima dell’invasione romana del 70, poi mai più riportati alla luce. La pubblicazione dei tre codici leggibili di proprietà del metropolita avvenne tra il 1950 e il 1951. Nel 1954 uscì postuma la pubblicazione dei testi nelle mani del prof. Sukenik. Nel frattempo, a causa della difficile situazione palestinese (era stato appena proclamato lo Stato di Israele ed era terminato il protettorato britannico), il metropolita si era recato in America con i suoi manoscritti, cercando di rivenderli. Tramite alcuni mediatori furono acquistati dal neonato Stato di Israele, che era già entrato in possesso degli altri; essi così furono tutti depositati al museo di Gerusalemme, conosciuto come Museo Rockefeller, ove tut39 noscritti di Qumràn riguardano la giustificazione per fede, l’angeologia, la questione del “figlio dell’uomo”, l’indissolubilità del matrimonio, la figura di giovanni il Battista, la concezione del peccato, la lotta fra la luce e le tenebre, le otto beatitudini… Ci sono poi analogie nelle pratiche rituali e comunitarie: come il Pasto sacro, cioè un pasto rituale in cui il sacerdote benedice pane e vino; il Battesimo, abluzione, che presso gli esseni aveva carattere rituale. Poi la Comunione dei beni perché quanti entravano nella comunità degli esseni dovevano mettere i loro beni in fondo comune. Allo stesso modo, i primi cristiani mettevano i loro beni in comune (At 2,4-47; 4,32-37). La Carità: gli esseni predicavano la carità verso i loro fratelli, ma auguravano un odio eterno ai figli della perdizione. I cristiani, invece, predicavano la carità universale. Dunque analogie e limiti perché riti e pratiche descritti dai manoscritti di Qumran ricevono nel Nuovo Testamento una interpretazione del tutto diversa. Tutto ciò mostra che i Vangeli non sono lo specchio di problemi più tardivi, ma lo specchio di cose del tempo Gesù. dei Vangeli, avvicinandola quindi alla morte di Cristo. Ma la tesi sembra difficile da sostenere: sulle 20 lettere del frammento, solo 7 sono ricostruibili con sicurezza e sulle 1127 combinazioni possibili appena il 2% potrebbe avere relazione con Marco. Tuttavia i rotoli del Mar Morto, composti quasi tutti prima della nascita di Gesù, restano importantissimi per il cristianesimo in quanto consentono di ricostruire il clima culturale e religioso in cui visse il Nazareno. Infatti, come scrive J. Ratzinger nel suo volume Gesù di Nazaret: «Sembra che il Battista ma forse anche Gesù e la sua famiglia fossero vicini a questa comunità. In ogni caso i manoscritti di Qumran presentano molteplici punti di contatto con l’annuncio cristiano». Se non danno quindi la possibilità di raggiungere il Gesù della storia, certamente ne illuminano il contesto. Ma chi erano gli esseni? Sono descritti nella Regola della Comunità, il testo trovato, nella sua forma più integra, nella prima delle undici grotte di Qumran. La regola riporta una serie di misure piuttosto rigide a cui si dovevano attenere i fedeli. Il quadro che emerge è quello di una comunità di tipo escatologico, che attende un evento futuro che ristabilisca un ordine voluto da Dio, ma anche una comunità che mantiene un forte legame con la tradizione della Torah, per esempio per le questioni relative a ciò che è puro o impuro descritte nel Levitico al capitolo 11. Nei manoscritti di Qumran troviamo pressoché tutto il pensiero giudaico precedente, fino alla prima metà del I secolo a.C. Sono presenti più o meno tutti i testi biblici, oltre ai cosiddetti testi apocrifi, come il libro di Tobia, o pseudoepigrafi, come il Libro dei Giubilei. Infine la letteratura che oggi viene chiamata enochica, a partire dal Libro dei Vigilanti. Siamo in presenza, insomma, di una sintesi delle diverse correnti del giudaismo al tempo di Gesù. Alcuni concordanze tra la predicazione di Gesù e la teologia che emerge dai ma- Nag-Hammadi Il ritrovamento dei testi di Nag Hammadi ha avuto anch’esso un’importanza enorme per la conoscenza dello gnosticismo cristiano e delle sue varie correnti. Assai minore è invece il loro apporto alla conoscenza del Nuovo Testamento, se si eccettua il Vangelo di Tommaso per le parti che si prestano a un confronto con i Sinottici e contribuiscono alla ricostruzione della fonte Q (la raccolta di detti di Gesú che conosciamo dall’utilizzo che ne hanno fatto Matteo e Luca). Vi ho già ricordato che questi vangeli apocrifi, compresi quelli di Tommaso e di Giuda, erano noti, nei loro passaggi e idee centrali, fin dai Padri della Chiesa che ne citano larghi brani, rivelando anche lo sfondo ideologico da cui provengono. Nuova, quindi, è l’attenzione che essi hanno richia40 III. Alcune conclusioni mato e l’utilizzo che se ne è fatto, più che le idee in essi contenute. A proposito della testimonianza degli apocrifi, essi sono usati spesso nella letteratura non specialistica come valide fonti alternative ai vangeli canonici anticipando la loro composizione. Ma qui si urta contro un muro non facilmente scavalcabile: nessun vangelo canonico (neppure quello di Giovanni secondo la critica moderna) si lascia datare dopo l’anno 100 d.C. mentre non è possibile datare alcun apocrifo prima di tale anno. Inoltre tutti gli apocrifi attingono o suppongono i vangeli canonici; nessun vangelo canonico attinge o suppone un vangelo apocrifo. Per fare l’esempio oggi più in voga, dei 114 detti di Cristo nel Vangelo copto di Tommaso, 79 hanno un parallelo nei Sinottici, 11 sono varianti delle parabole sinottiche. Ma il punto principale è quello dei contenuti dei vangeli apocrifi. Presentano Gesú che è Dio, ma non vero uomo, avendo rivestito solo l’apparenza di un corpo (docetismo). Gran parte dei Vangeli apocrifi, in particolare quelli di matrice gnostica, non sono stati scritti con l’intento di narrare fatti o detti storici su Gesú, ma per veicolare una certa visione di Dio, di se stessi e del mondo, di natura esoterica e gnostica. Per questo in passato, pur essendo quasi tutti già noti, almeno in ampi stralci, nessuno aveva mai pensato di potere usare i vangeli apocrifi come fonti di informazioni storiche su Gesú. Invece di basarsi tanto sugli apocrifi, sarebbe forse utile basarsi di più sulle fonti storiche su Gesú che esistono al di fuori dei vangeli canonici e che vengono spesso lasciate da parte. La principale è Paolo che scrive meno di trent’anni dopo la scomparsa di Cristo e dopo essere stato un suo fiero oppositore. In lui si trova già attestato l’essenziale della fede e dei “dogmi” del cristianesimo (almeno nella sostanza se non nella forma). Insomma, tutte le cose che siamo venuti dicendo ci aiutano a tirare alcune conseguenze per la nostra riflessione sul Gesù storico. Gesú è un ebreo del suo tempo Che Gesù sia un ebreo è verissimo. Egli è erede della religione monoteistica dell’Antico Testamento, adoratore dello stesso Dio “di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”. Ma ciò che egli predica è il “compimento” (categoria fondamentale) dell’Antico Testamento. Gesú, nel Vangelo, è consapevole di essere portatore di un messaggio nuovo. Ricordate le sue antitesi: «Avete inteso che fu detto…, ma io vi dico» con le quali reinterpreta perfino i dieci comandamenti e si pone sullo stesso piano di Mosè! Esse riempiono tutta una sezione del vangelo di Matteo (5, 21-48), cioè dell’evangelista che sottolinea l’ebraicità di Cristo! Il cristianesimo non è nato dunque nella seconda metà del secondo secolo, come alcuni sostengono, ma dalle parole, dalle opere, dalla vita, morte e risurrezione di Gesù. Ricorderete, infatti che secondo la notizia di Atti (11,26), non più di sette anni dopo la morte di Cristo, circa l’anno 37, «ad Antiochia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani». Plinio il Giovane (una fonte non sospetta!), tra il 111 e il 113 parla ripetutamente dei “cristiani”, di cui descrive la vita, il culto e la fede in Cristo «come in un Dio». Intorno agli stessi anni, Ignazio d’Antiochia parla per ben cinque volte di cristianesimo come distinto dal giudaismo, scrivendo: «Non è il cristianesimo che ha creduto nel giudaismo, ma il giudaismo che ha creduto nel cristianesimo» (Lettera ai Magnesi 10, 3). Ma anche prima che entrasse nell’uso comune il nome di cristiani, i discepoli erano coscienti della identità propria e la esprimevano con termini come “i credenti in Cristo”, “quelli della via”, o “quelli che invocano il nome del Signore Gesù”. 41 Gesù e la Chiesa Gesú aveva l’intenzione di dare vita a una sua comunità e prevedeva che la sua vita e il suo insegnamento avrebbero avuto un seguito? Il fatto indiscutibile dell’elezione dei dodici apostoli sembra proprio indicare di sì. Si spiegano così anche tutte quelle parabole, il cui nucleo originario contiene proprio la prospettiva di un allargamento alle genti. Si pensi alla parabola dei vignaioli omicidi, degli operai nella vigna, al detto sugli ultimi che saranno i primi, sui molti che «verranno dall’oriente e dall’occidente per sedersi a mensa con Abramo», mentre altri ne saranno esclusi e innumerevoli altri detti… Questo sottolinea anche che la ricerca del Gesú della storia è, in fondo, la ricerca della storia a cui Gesú ha dato luogo, a quella storia che inizia agli albori del cristianesimo e che diventerà storia della Chiesa. È, infatti, attraverso la Chiesa e per la Chiesa che Gesú ha cambiato il mondo. Senza “quello sbaglio chiamato cristianesimo”, come lo definì una volta qualcuno, non saremmo qui a parlare di Gesù. Egli sarebbe oggi un oscuro rabbi della Galilea, il cui nome a malapena si leggerebbe in una nota a Tacito o a Giuseppe Flavio. Non ci sarebbero stati un Agostino, un Francesco d’Assisi, un Tommaso d’Aquino, Lutero, Pascal; non ci sarebbero state le cattedrali gotiche e le chiese romaniche, Dante, la pittura rinascimentale, Michelangelo e la Cappella Sistina, Bach e le sue Passioni, Mozart e le sue Messe. Non ci sarebbero stati, soprattutto, le innumerevoli schiere di uomini e donne che, in nome del Cristo conosciuto nella Chiesa, si sono chinati su tutte le sofferenze e le solitudini umane. Certo, ci sono state crociate, inquisizione o guerre di religione, ma il cristianesimo storico non è stato solo questo. Siamo sicuri che il nostro mondo sarebbe migliore senza il messaggio e l’opera di Gesù? il pensiero di Madre Paolina «Prendimi nella tua scuola, mio amatissimo maestro, perché voglio imparare tutto da te: dona grazia e forza a tal fine». 42
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