REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano LA CORTE

14950/14
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da
Alfredo Teresi
- Presidente -
Sent. n.
li 3
sez.
Mariapia Gaetana Savino
UP - 29/01/2014
Lorenzo Orilia
R.G.N. 39847/2013
Vito Di Nicola
- Relatore -
Chiara Graziosi
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
Quattrocchi Stefano, nato ad Acireale il 10/03/1966
Marano Leonardo, nato a Catania il 31/07/1943
avverso la sentenza del 11/06/2013 della Corte di appello di Caltanissetta
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Gioacchino Izzo, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso;
udito per l'imputato
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Caltanissetta confermava la decisione resa dal
Tribunale di Gela, in composizione monocratica con la quale Stefano Quattrocchi
e Leonardo Marano erano stati condannati alla pena di mesi tre di arresto ed €
600,00 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali, per il reato di
cui agli artt. 18, commi 1 e 2, e art.30, comma 1, lett. a), Legge 157/1992 (in
relazione al calendario venatorio - D.A. 634 del 15.04.2009 - all. "A", art. 3),
art.21, comma 1, lett. b), artt. 2 e 3 L. 394/1991 e art. 30, comma 1, lett. d) L.
157/1992, per avere posto in essere l'esercizio della caccia in contrada Camera
agro di Gela durante il periodo di divieto generale ed in area protetta (capo a) ed
il fatto commettendo in Gela il 27 settembre 2009 nonché per il reato (capo b) di
cui agli artt. 11, comma 3, lett. f), 30, comma 1, Legge 394/1991 e 61 n. 2 cod.
pen. per avere, in assenza di autorizzazione, introdotto armi in contrada Camera
agro di Gela, zona sottoposta a Protezione Speciale, con l'aggravante di aver
commesso il reato al fine di commettere i reati di cui al capo a).
Nel rigettare i motivi di appello, la Corte territoriale riteneva equiparabile le
aree protette ai parchi naturali, stimando perciò ininfluente che il fatto fosse
stato commesso fuori dal perimetro del parco ma all'interno di aree protette;
riteneva come fosse risultato dall'esito dell'istruttoria la segnalazione dei divieti
in loco con plurimi cartelli, pervenendo alla conclusione che detti divieti fossero
per gli imputati conoscibili; rilevava come fosse ininfluente, ai fini
dell'applicazione dell'art. 2 cod. pen., il fatto che la zona fosse stata
riperimetrata con la conseguenza che il luogo di commissione del fatto era stato
successivamente sottratto ai divieti nei quali erano incorsi gli imputati.
2. Per l'annullamento della sentenza impugnata ricorrono per cassazione, a
mezzo del proprio difensore, Stefano Quattrocchi e Leonardo Marano, affidando il
gravame ai quattro seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo, denunciano la violazione dell'art. 606, comma 1,
lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 11, comma 3, lett. f) e 30,
comma 1, legge 6 dicembre 1991, n. 394, per inosservanza ed erronea
applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche, di cui si deve tener
conto nell'applicazione della legge penale nonché per mancanza,
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, risultando il vizio dal
testo del provvedimento impugnato.
Si assume che la legge n. 394 del 1991, ha specificamente dettato (art. 2)
la definizione di aree protette, come luoghi fisici e specifici distinti in parchi e
riserve naturali e in aree protette marine, con la conseguenza che deve ritenersi
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errata l'equiparazione cui è giunta la Corte di merito per rigettare il motivo del
ricorso.
2.2. Con il secondo motivo di gravame denunciano la violazione dell'art.
606, comma 1, lett. h) cod. proc. pen., in relazione all'art. 30, comma 1, lett.
a), legge 11 febbraio 1992 n. 157 per inosservanza o erronea applicazione della
legge penale o di altre norme giuridiche di cui si debba tener conto
nell'applicazione della legge penale.
Si sostiene, più precisamente, l'illogicità della motivazione in quanto affetta
da una palese violazione di legge laddove è stato ritenuta la penale
responsabilità dei ricorrenti con riferimento al reato di cui al capo A) della
rubrica, limitatamente all'esercizio della caccia "durante il periodo di divieto
generale", ex art.30, comma 1, lett. a), legge n.157 del 1992 nonostante fosse
stato documentalmente comprovato che il giorno 27 settembre 2009 l'esercizio
dell'attività venatoria in Sicilia era regolarmente consentito, atteso che l'apertura
della stagione venatoria era avvenuta in data 3 settembre 2009, così come
previsto nel calendario venatorio 2009-2010 approvato con Decreto dei 15 aprile
2009, allegato anche al ricorso.
2.3. Con il terzo motivo di gravame, lamentano la violazione dell'art. 606,
comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt.21, comma 1, lett.
b), e 30, comma 1, lett. d), della L.157/1992 nonché dell'art. 10 L. 157/1992 in
relazione agli artt.22 e ss. legge 6 dicembre 1991 n.394 e artt. 21, comma 3, e
45 L.R. 1 settembre 1997 n.33.
Si sostiene che i giudici di merito siano incorsi in una palese violazione ed
erronea applicazione della legislazione nazionale e regionale in materia di
esercizio venatorio, circostanza che rende assolutamente viziata la motivazione
della sentenza impugnata nella parte in cui ritiene provata la responsabilità degli
imputati in ordine all'esercizio della caccia all'interno dell'area protetta e del
conseguente onere di conoscibilità del divieto, essendo risultato dalla deposizione
testimoniale del maresciallo Di Leonardo che nel punto cui si trovavano i
ricorrenti l'area non era perimetrata da idonea tabellazione che rendesse
chiaramente visibili i confini.
2.4. Con il quarto ed ultimo motivo di gravame, denunciano la violazione
dell'art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen. per inosservanza o erronea
applicazione del Decreto Assessoriale 11 novembre 2009 e mancata applicazione
dell'art. 2 cod. pen. in relazione all'art. 30 Legge n.157 del 1992.
Si rileva come sia pacifico che con decreto dell'assessore regionale dell'Il
novembre 2009 intervenne una riperimetrazione della zona interdetta
all'esercizio venatorio, a seguito della quale la località "CAMERA", facente parte
della ZPS Torre Manfria, Biviere , piana di Gela, in cui il giorno 27 settembre
2009 i ricorrenti vennero contravvenzionati, venne esclusa dal divieto
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dell'esercizio della caccia, con la conseguenza che deve ritenersi erronea la
soluzione cui è giunta dalla Corte di merito laddove ha escluso, a seguito della
riperimetrazione, la sopravvenuta irrilevanza penale della condotta.
Ed infatti, siccome per norma incriminatrice, che definisce il precetto
penale, deve intendersi qualsiasi norma, anche extrapenale, che interferisce sulla
struttura essenziale e circostanziale del reato, il richiamato decreto assessoriale
doveva ritenersi, secondo i ricorrenti, fonte integratrice della fattispecie penale,
al pari delle precedenti che il divieto sancivano in relazione alla zona di
esecuzione della condotta, con la conseguenza che qualsiasi modifica delle fonti
integratrici, comportando un mutamento dell'ambito di operatività della norma
penale incriminatrice, deve ritenersi governata dai principi stabiliti dall'art. 2 del
codice penale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato sulla base delle considerazioni che seguono.
2. Con il primo motivo di gravame, si sostiene che i Giudici del merito siano
incorsi nella violazione di legge sul presupposto di aver esteso la tutela penale,
predisposta esclusivamente con riferimento ai parchi, alle aree cosiddette
protette, che di per sé non rientrerebbero nel raggio dell'incriminazione.
Ed infatti l'art. 30 della legge n. 394 del 1991, avuto riguardo alle previsioni
di cui all'art. 11, comma 3, stessa legge, sanziona l'introduzione delle armi e di
altri oggetti esclusivamente al'interno dei parchi, mentre per tutte le altre
violazioni delle disposizioni emanate dagli organismi di gestione delle aree
protette e dunque con esclusione dell'ente parco) l'art. 30, comma,2, prevede
l'applicazione di una sanzione amministrativa.
Peraltro, se anche si volessero equiparare ai parchi le riserve naturali e le
ai e protette marine, secondo la definizione di aree protette offerta dall'art. 2
della legge n. 394 del 1991, sarebbero tuttavia esclusi dal raggio
dell'incriminazione, secondo l'assunto dei ricorrenti, gli illeciti, previsti dalla legge
n. 394 del 1991, commessi all'interno di zone sottoposte a speciale
conservazione (ZSC) e di quelle a protezione speciale (ZPS) perché dette zone,
per essere equiparate, quanto alla tutela penale, ai parchi ed alle aree protette,
non è sufficiente che siano ricomprese nel decreto ministeriale, che ai sensi
dell'art. 4 legge n. 394 del 1991, può ampliare la tipologia delle aree da
proteggere, essendo invece necessario che il legislatore regionale recepisca, con
propria regolamentazione, il dettato normativo di cui alla legge quadro, con la
conseguenza che, in assenza di una espressa regolamentazione regionale in tal
senso, gli illeciti previsti della legge n. 394 del 1991 non possono configurarsi
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per le violazioni commesse, come nella specie, all'interno di una ZPS non
operando perciò la disciplina sanzionatoria ex art. 30 legge n. 394 del 1991.
2.1. L'assunto è infondato.
La Legge quadro per le aree protette (n. 394 del 1991) ha disciplinato per la
Jogga-
prima n maniera organica e unitaria, l'intera materia delle aree naturali protette
in applicazione degli articoli 9 (Tutela del paesaggio) e 32 (Tutela della salute)
della Costituzione, che rappresentano la sorgente costituzionale da cui la legge è
scaturita e, nel rispetto degli accordi internazionali, essa «detta principi
fondamentali per l'istituzione e la gestione delle aree naturali protette, al fine di
garantire e di promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la
valorizzazione del patrimonio naturale del paese>> (art. 1. Legge n. 394 del
1991).
Le aree protette rappresentano quindi lo strumento giuridico attraverso il
quale si realizza la gestione del "patrimonio naturale" del Paese.
La Legge quadro per le aree protette (art. 2) classifica dette aree in (a)
parchi nazionali; (b) parchi naturali regionali; (c) riserve naturali.
Non si tratta di un elenco fisso ed immutabile, quanto piuttosto di uno
strumento aggiornabile nel corso del tempo in relazione all'evoluzione del
Sistema Nazionale delle Aree Protette, che viene ufficializzato mediante
pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.
Ed infatti l'art. 3, comma 4, lett. a), della legge n. 394 del 1991 attribuiva
al Comitato per le aree naturali protette il compito, tra gli altri, di integrare la
classificazione delle aree protette.
Detto Comitato (del quale il d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281 ha disposto, ex
art. 7, comma 1, la soppressione attribuendo le relative funzioni alla Conferenza
Stato - regioni) ha, con l'art. 1 della deliberazione 2 dicembre 1996, decretato,
ai sensi dell'art. 3, comma 4, della legge 6 dicembre 1991, n. 394, e ad
integrazione della propria deliberazione del 21 dicembre 1993, la seguente
classificazione delle aree protette: a) parco nazionale; b) riserva naturale
statale; c) parco naturale interregionale; d) parco naturale regionale; e) riserva
naturale regionale; f) zona umida di importanza internazionale (ai sensi della
convenzione di Ramsar, di cui al decreto del presidente della Repubblica n. 448
del 13 marzo 1976); g) zona di protezione speciale (ZPS), (ai sensi della
direttiva 79/409/CEE concernente la conservazione degli uccelli selvatici); h)
zona speciale di conservazione (ZSC), (ai sensi della direttiva 92/43/CEE relativa
alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna
selvatiche); i) altre aree naturali protette.
- Ciò che rileva, per quanto qui interessa, è che nell'architettura della legge
quadro i parchi rappresentano una species del genus
"aree protette" con la
conseguenza che i principi portanti della legge n. 394 del 1991, tra i quali gli
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artt. 11 e 30, non si applicano esclusivamente ai parchi ma a tutte le aree
naturali protette.
Tra queste vanno ricomprese le zone a protezione speciale (d'ora in poi
ZPS).
Va, sul punto, ricordato che tale classificazione è avvenuta, con la
richiamata deliberazione del 2 dicembre 1996 (v. preambolo), sulla base della
direttiva 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, la
quale fa espressamente riferimento alla esigenza di tutela delle ZPS, che,
insieme alle Zone Speciali di Conservazione (ZSC), di cui alla direttiva
92/43/CEE, costituisce la rete ecologica europea Natura 2000.
L'Unione europea infatti mira a garantire la biodiversità mediante la
conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna
selvatiche sul territorio degli Stati membri.
A tale scopo è stata creata una rete ecologica di zone speciali protette,
denominata «Natura 2000» preceduta dalla direttiva 92/43/CEE del Consiglio del
21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali
e della flora e della fauna selvatiche, emessa a complemento della direttiva
79/409/CEE al fine di istituire un sistema generale di protezione di talune specie
di fauna e di flora, con la previsione di misure di gestione per talune specie,
qualora il loro stato di conservazione lo avesse giustificato, compreso il divieto di
taluni modi di cattura o di uccisione, pur contemplando la possibilità di deroghe,
subordinate a talune condizioni.
Ed è significativo osservare come la normativa nazionale del 1991 (legge n.
394) abbia significativamente anticipato l'emanazione della direttiva comunitaria
92/43/CEE.
Va chiarito come non rilevi la circostanza che il D.M. 25 marzo 2005
(emanato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e pubblicato
nella Gazz. Uff. 6 luglio 2005, n. 155) abbia annullato deliberazione 2 dicembre
1996 del Comitato per le aree naturali protette in quanto il T.A.R. Lazio, Sez. H
Bis, con ordinanza 24 novembre 2005, n. 6856, confermata dal Consiglio di
Stato, ha disposto la sospensione del suddetto decreto ministeriale che,
conseguentemente, non è produttivo di effetti giuridici sicché la deliberazione del
2 dicembre 1996 spiega tuttora la sua efficacia.
Infine, il decreto ministeriale 19 giugno 2009 (emanato dal Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio in G.U. n. 157 del 9 luglio 2009) elenca
le ZPS classificate ai sensi della direttiva 79/409/CEE e tra queste, per la regione
Sicilia al codice ITA050012, il sito Torre Manfria, Biviere e Piana di Gela.
Ciò posto, siccome l'art. 11, comma 3, lettera f), della legge 6 dicembre
1991, n. 394, vieta l'introduzione di armi all'interno dei parchi, ai quali devono
essere equiparate, in forza della deliberazione 2 dicembre 1996 del soppresso
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Comitato per le aree naturali protette, sia le ZPS (Zone di protezione speciale)
ai sensi della direttiva 79/409/CEE e sia le ZSC (Zone speciali di conservazione)
ai sensi della direttiva 93/43/CEE, ne consegue come la caccia all'interno delle
ZPS sia una condotta penalmente sanzionata ai sensi dell'art. 30 della legge 394
del 1991, essendo le ZPS, in forza dell'assimilazione ai parchi, sottoposte alla
disciplina generale sulle aree protette.
Deve pertanto essere ribadito il principio di diritto già enunciato da questa
Sezione secondo il quale il concetto di "aree naturali protette" è più ampio di
quello comprendente le categorie dei parchi nazionali, riserve naturali statali,
parchi naturali interregionali, parchi naturali regionali e riserve naturali regionali,
in quanto ricomprende anche le zone umide, le zone di protezione speciale, le
zone speciali di conservazione ed altre aree naturali protette (Sez. 3,
07/10/2003, n. 44409, Natale, Rv. 226400).
3. Il secondo motivo di gravame è parimenti infondato.
Con esso i ricorrenti si dolgono che, alla data del fatto contestato ossia al 27
settembre 2009, la stagione venatoria fosse aperta come stabilito dal decreto del
15 aprile 2009 con il quale l'assessorato dell'agricoltura e delle foreste della
regione Sicilia aveva disposto l'apertura della caccia a partire dal 3 settembre
2009.
Il rilievo è infondato, non essendosi tenuto conto di quanto ha
condivisibilmente affermato il Tribunale (e peraltro risultante anche a pag. 14 e
23 del calendario venatorio allegato al ricorso) ossia che tra le zone sottoposte a
protezione dove era stato precluso l'esercizio venatorio vi era l'area "Bievere di
Gela" (pag. 20 del calendario), rientrante nel comune di Gela, all'interno della
quale si trova la contrada Camera e tutta l'area includente la ZPS dove, ad
eccezione della caccia degli ungolati, era stabilito il divieto di esercizio
dell'attività venatoria in data antecedente l'1 ottobre 2009 (pag. 14 del
calendario).
Il TAR (ordinanze 730, 731 e 732 del 2009) aveva tuttavia sospeso
l'efficacia del decreto assessoriale del 15 aprile 2009 ed il calendario venatorio
fu modificato con successivo decreto n. 1719 del 31 agosto 2009 ribadendosi che
nella ZPS ricadenti lungo le rotte di migrazione il prelievo venatorio, nelle more
di adozione dei piani di gestione, era consentito solo a partire dall'i ottobre
2009, con la conseguenza che alla data di accertamento del fatto (29 settembre
2009) la condotta contestata era vietata.
4. Anche il terzo motivo di gravame è infondato.
La Corte territoriale, con logica ed adeguata motivazione, pertanto
insindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto, sulla base della deposizione del
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teste Di Leonardo, ufficiale di polizia giudiziaria esaminato all'udienza del 12
aprile 2012, che nella zona ove furono rinvenuti i ricorrenti si trovavano
numerosi cartelli che la perimetravano, rendendo conoscibili di divieti, con la
conseguenza che non è fondato l'assunto difensivo secondo il quale doveva
ritenersi che i ricorrenti nutrissero il fondato convincimento di trovarsi, sulla base
della legislazione regionale, in una zona nella quale non fosse preclusa l'attività
venatoria, tanto in mancanza di apposita tabellazione, come prescritta dalla
legge regionale n. 33 del 1997, <<sul punto>> ove erano stati trovati gli
imputati stessi, allorquando furono fermati dai verbalizzanti.
La Corte di merito ha invero fondato il proprio convincimento sulla decisiva
circostanza che i cartelli si trovavano a 30, 40 e 50 metri dal luogo in cui furono
intercettati i ricorrenti, da ciò desumendo l'esistenza di idonea tabellazione, non
rilevando il fatto che nel luogo preciso del loro rinvenimento non vi fossero, per
avventura, cartelli esplicitanti il divieto stesso perché ciò che rileva è la idonea
perimetrazione del luogo ove vige il divieto, sicché con la tabellazione il divieto
stesso si presume noto e l'accusa non deve dimostrare la conoscenza da parte
del trasgressore. Senza la tabellazione il divieto si presume ignoto e deve essere
l'accusa a dimostrare che, nonostante la mancanza di tabellazione, il
trasgressore fosse a conoscenza del divieto (Sez. 3, 25/01/2012, n. 9576, Falco
ed altro, Rv. 252249).
5. Anche il quarto motivo di gravame è infondato.
Effettivamente non ha trovato soluzioni uniformi nella giurisprudenza di
questa Sezione la questione circa la rilevanza penale dell' esercizio di attività
venatoria in zone protette a seguito della riperimetrazione dell'area ad opera di
un provvedimento amministrativo che, ridefinendo i limiti di dette aree,
determini diversamente il luogo di svolgimento dell'attività venatoria.
Un primo orientamento ha ritenuto che, in una vicenda relativa al reato di
esercizio di attività venatoria nei parchi, la riperimetrazione della riserva naturale
ad opera di un provvedimento amministrativo della Regione Sicilia avesse
eliminato il disvalore penale del fatto commesso, in quanto era venuta
successivamente a mancare la qualifica di parco dell'area di svolgimento
dell'attività venatoria e tanto sul rilievo che l'istituto della successione delle
leggi penali nel tempo riguarda le norme che definiscono la struttura essenziale e
circostanziata del reato; pertanto, ai fini dell'applicabilità dell'art. 2 cod. pen., si
deve tenere conto anche di quelle fonti normative subprimarie che, pur non
ricomprese nel precetto penale, ne integrano tuttavia il contenuto (Sez. 3,
01/02/2005, n. 9482, Pitrella, Rv. 231228).
Sulla stessa linea si era immediatamente collocato l'indirizzo secondo il
quale, in materia di caccia, la facoltà delle Regioni di provvedere all'eventuale
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riperimetrazione dei parchi naturali regionali, ove restringere il divieto sancito
dalla legge statale, ex art. 21, legge 11 febbraio 1992 n. 157, anche se
esercitata con decreto dell'assessore regionale, determina la abolizione della
fonte subprimaria integrativa della fattispecie ed il conseguente disvalore penale
dell'attività di caccia, in quanto viene a mancare uno degli elementi costitutivi
della condotta punibile ( Sez. 3, del 01/03/2005, n. 11143, Cannilla ed altri, Rv.
230986).
In precedenza altro orientamento - in una fattispecie relativa ad esercizio di
attività venatoria vietata da una legge regionale al momento della commissione
del fatto, e successivamente consentita in virtù di abrogazione della medesima
legge - si era espresso nel senso che l'istituto della successione delle leggi penali
(art.2 cod. pen.) riguarda la successione nel tempo delle norme incriminatrici,
ovvero di quelle norme che definiscono la struttura essenziale e circostanziata
del reato. Nell'ambito di operatività dell'istituto in esame non rientrano, invece,
le vicende successorie di norme extra-penali che non integrano la fattispecie
incriminatrice né quelle di atti o fatti amministrativi che, pur influendo sulla
punibilità o meno di determinate condotte, non implicano una modifica della
disposizione sanzionatoria penale, che resta, pertanto, immutata e quindi in
vigore. Ne consegue che la successione di norme extra-penali determina
esclusivamente una variazione del contenuto del precetto con decorrenza dalla
emanazione del successivo provvedimento e che, in tale ipotesi, non viene meno
il disvalore penale del fatto anteriormente commesso. (Sez. 3, del 19/03/1999,
n. 5457, P.M.in proc. Arlati ed altri, Rv. 213465).
Recentemente sulla stessa scia si è posto l'indirizzo secondo il quale la
modifica di un elemento normativo di natura extrapenale assume effetto
retroattivo solo se il medesimo integri la fattispecie penale in tal modo venendo
a partecipare della natura di questa e, in applicazione di tale principio, in una
fattispecie di introduzione di armi in area protetta, è stato escluso l'effetto
retroattivo scriminante alla riperimetrazione del parco dell'Aspromonte di cui al
d.P.R. 10 luglio 2008, non avendo le disposizioni ivi contenute natura integratrice
del precetto (Sez. 3, 11/01/2011, n. 15481, Guttà ed altro, Rv. 250119).
Quest'ultimo filone, che si colloca in continuità con l'indirizzo espresso dalla
Sezioni Unite Magera, appare al Collegio maggiormente condivisibile.
Le Sezioni Unite penali hanno infatti espresso il principio secondo il quale in
tema di successione di leggi penali, la modificazione della norma extrapenale
richiamata dalla disposizione incriminatrice esclude la punibilità del fatto
precedentemente commesso se tale norma è integratrice di quella penale oppure
ha essa stessa efficacia retroattiva (Sez. U, 27/09/2007, n. 2451(dep.
16/01/2008), P.G. In proc. Magera Rv. 238197).
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Nel pervenire a tale conclusione le Sezioni unite hanno ribadito i criteri già
affermati in tema di successione di leggi penali con la sentenza 26 marzo 2003,
n. 25887, Giordano, laddove le stesse Sezioni unite esclusero la possibilità di
accogliere la teoria della doppia punibilità in concreto ed affermarono il principio
che per individuare il campo di applicazione del secondo comma dell'art. 2 cod.
pen. non ci si può limitare a considerare se il fatto, punito in base alla legge
anteriore, sia punito, o meno, anche in base a quella posteriore, non potendosi
escluderei che un fatto, divenuto non punibile per la legge extrapenale
posteriore, rimanga punibile per la legge anteriore, vigente al momento della sua
commissione.
Logico corollario di tale affermazione è che "l'indagine sugli effetti penali
della successione di leggi extrapenali va condotta facendo riferimento alla
fattispecie astratta e non al fatto concreto: non basta riconoscere che oggi il
fatto commesso dall'imputato non costituirebbe più reato, ma occorre prendere
in esame la fattispecie e stabilire se la norma extrapenale modificata svolga in
collegamento con la disposizione incriminatrice un ruolo tale da far ritenere che,
pur essendo questa rimasta letteralmente immutata, la fattispecie risultante dal
collegamento tra la norma penale e quella extrapenale sia cambiata e in parte
non sia più prevista come reato. In questo caso ci si trova in presenza di
un'aboliti° criminis parziale, analoga a quella che si verifica quando è la stessa
disposizione penale ad essere modificata con l'esclusione di una porzione di
fattispecie che prima ne faceva parte (...) La successione avvenuta tra norme
extrapenali non incide invece sulla fattispecie astratta, ma comporta più
semplicemente un caso in cui in concreto il reato non è più configurabile, quando
rispetto alla norma incriminatrice la modificazione della norma extrapenale
comporta solo una nuova e diversa situazione di fatto".
Sulla base di tale indirizzo, occorre allora stabilire se, nel caso di specie, la
riperimetrazione di un'area protetta, attraverso la modificazione di una fonte
secondaria la quale abbia provveduto a rideterminare una parte del perimetro di
detta area, abbia inciso sulla fattispecie, assumendo il rango di disposizione
penale integratrice del precetto penale, oppure abbia solo dato luogo ad una
modificazione della situazione di fatto, che abbia reso lecita, esatte le altre
condizioni, l'esercizio dell'attività venatoria e l'introduzione di armi in una parte
del perimetro in precedenza colpito dal divieto, rimanendo il precetto, ora come
allora, tipizzato unicamente dalla norma penale impositiva del divieto stesso.
Posto che una vicenda successoria di questo tipo non sarebbe governabile
secondo i parametri di cui all'art. 2, comma 4, cod. pen., disposizione,
quest'ultima, che attiene alla modificazione delle incriminazioni, regolando cioè
l'ipotesi in cui, in seguito a una successione di leggi penali, il fatto continui a
costituire reato ma sia trattato in modo diverso, la tesi di un'aboliti° criminis
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parziale, predicabile solo al cospetto di fonti extrapenali integratici del precetto,
sconterebbe il fatto indiscutibile di avere l'incriminazione de qua conservato
intatti tutti i suoi elementi costitutivi, risultandone modificata una situazione (il
perimetro dell'area protetta al cui interno continua a vigere il divieto) estranea
rispetto all'economia precettiva o valutativa del reato, così come astrattamente
configurato dal legislatore nella fattispecie penale incriminatrice.
Restando immutata la disposizione sanzionatoria penale, la successione di
fonti normative o sub normative extrapenali determinano, nella specie,
esclusivamente una variazione del fatto e non della fattispecie, restando perciò le
vicende successorie indifferenti rispetto all'economia precettiva del reato,
cosicché non viene neppure meno il disvalore penale del fatto anteriormente
commesso.
Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 29/01/2014
Il Consigliere estensore
Vito Di Nicola
1,1'70 d.: lAr£41.42_
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