Casino di Fallistro - La storia Il Casino di Fallistro risale almeno all’inizio del XVII secolo, poiché alcuni atti notarili di compravendita ne testimoniano l’esistenza già nel 1631 e nel 1632. Quando i Mollo l’acquistarono insieme a “continenze di terre aratorie, con pantana, erba da taglio, difesa” da Don Giulio de Rogata di Trenta, possedevano altre terre, a Fallistro come in tutto il circondario, che vengono menzionate nei suddetti atti come terre confinanti1. Nel 1721 la terra di Fallistro, proprietà Mollo, era di 350 tonnellate, coltivata con erba di taglio, grano germano e per tanta parte coperta di boschi. Mollo acquistò insieme ad altri noti proprietari della Sila (Campagna, Lupinacci, Baracco), alcune delle terre che Domenico Barbaja, un costruttore milanese, rivendette dopo averle avute, quale pagamento per aver ricostruito una parte del teatro San Carlo di Napoli distrutto da un incendio. Nel 1800 il Casino, insieme alla filanda, era circondato da altri caseggiati: due chiese, una serrà d’acqua, un mulino, un altro fabbricato di tre stanze con bassi e soffitte chiamato cunette. Il fabbricato della filanda non sappiamo quando sia stato edificato o a quale uso fosse destinato precedentemente al 1800, ma certamente esso diventò filatoio di seta nella prima metà del secolo. Del mulino è conservata un’enorme macina di granito nel casino. Almeno una delle chiese esisteva già nel 1752 quando Pietro Mollo in una rivela2 pone tra le spese il suo impegno a far dir messa nella chiesa di Fallistro. Questa rivela risulta di un certo interesse anche perché include tra i componenti della famiglia il personale di servizio, tra cui un servitore di livrea, un armigero, una nutrice, una serva, un mulattiere, un garzone, un volante. Quest’ultimo servitore crediamo fosse un addetto alla carrozza, che ne anticipava l’arrivo. A Fallistro vi era dunque un complesso di costruzioni che garantivano la presenza dei proprietari, anche se non continua, di personale e maestranze che assicuravano il funzionamento di un’azienda latifondistica efficiente e diversificata. D’inverno nella difesa si presume che non rimanesse nessuno; allora le finestre del casino e delle altre case pertinenti venivano murate come raccomandava un’ordinanza del capo della polizia, il sovrintendente della Calabria Citeriore del 1845, per evitare che si ricoverassero i briganti3. Il Casino è una massiccia costruzione adagiata in mezzo ad un terreno ondulato da lievi pendii, appena discosto dalla strada che da Croce di Magara conduce tra i poderi sorti in seguito alla riforma agraria, proprio al limitare della straordinaria foresta dei Giganti della Sila. Allora, così come recita una perizia del 18914, si trovava al centro della difesa di Fallistro, esposta a mezzogiorno, fatta di boschi, terreni irrigui e seminatori ed era attraversata da alcune strade, la via nuova e la via vecchia, “la via Maestra che corre(va) verso li Casali”5. 1 Piccolo Trenta vendeva a Giovanni Pietro Mollo di Pedace Serra, per 100 ducati, un comprensorio di terre aratorie colte ed incolte con pantana casa e difesa, che si trovano della Sila di Cosenza e Casali in località Fallistro. Un altro atto notarile del 1632 asserisce che Mollo acquistò da Giovanni Battista Spina, che l’aveva a suo tempo acquistata sempre da Don Giulio de Rogata, una continenza di terre con “case di fabbrica”, che fanno pensare a più di una costruzione, per il diritto dello iure congruo. Lo iure congruo è un privilegio che consiste nella preferenza data, a parità di condizioni, nella vendita di un immobile, a chi possiede la proprietà confinante (Grande Dizionario della Lingua Italiana- Utet, 1971); una sorta di diritto di prelazione. Il Casino di Fallistro, comunque, sia che fosse compreso nel primo o nel secondo apprezzamento di cui si tratta, nel 1600 esisteva già. 2 Archivio di Stato Napoli. 3 Si veda tra le immagini la fotocopia di tale ordinanza. Aveva dodici stanze con altrettanti bassi e soffitte. I locali del piano terra, seppure ampi e con alte volte, vengono chiamati bassi perché non erano evidentemente ben fatti tanto da essere considerati stanze. I pavimenti, per esempio, erano in calce battuto, mentre quelli delle stanze erano in mattoni. Il Casino e tutta la difesa era un bene maggiorascale6 che Pietro Mollo assegnò al nipote Reverendo Francesco Saverio Mollo nel 17217. L’origine della famiglia è molto antica. Risale al 1278, quando Ugone Molli, cavaliere proveniente dalla città di Siena al seguito di Carlo D’Angiò, arrivò in Calabria. Successivamente, alcuni membri della famiglia Mollo si stabilirono a Rossano, a Montalto, a Serrapedace. I Molli8 di Montalto ottennero molti privilegi9; nel XVI secolo avevano il Feudo e la Baronia di Pietrapaola10. Pamphilo Mollo era uditore generale del re e da lui discesero illlustri giureconsulti, come testimonia uno scritto che padre Francesco Mollo.un frate minorita di Montalto Uffugo, stampò a Napoli nel 1615. I primi Mollo ad essere aggregati al Sedile di Cosenza furono Angelo e i suoi figli , Celso e Geronimo, nel 1575. Questo ramo si estinse sul finire del XVII secolo con Francesco Antonio, Barone di Acquaformosa. Nel 1795 i fratelli Saverio e Raffaele Mollo di Serrapedace, dimostrando l’appartenenza alla stessa famiglia, ottennero la reintrega al Sedile11. Della famiglia Mollo di Pedace Serra, l’albero geneaologico che abbiamo consultato12 risale al 1565, ad uno dei Giovanni Stefano, ed include numerosi nobili patrizi della provincia di Cosenza. 4 Nel 1891, il 15 Novembre, il perito Francesco Scola di Cosenza fa un inventario delle proprietà della Sila di Mollo per dividerle tra 4 eredi. È un interessante documento che si preoccupa di classificare e valutare non solo la terra e le fabbriche in generale, ma perfino le travi, le porte, i pavimenti. (Archivio Mollo). 5 È una delle indicazioni quasi chiare dei confini delle proprietà Mollo che, come la maggior parte delle terre della Sila, venivano racchiusi da limiti molto approssimati e che nel tempo potevano essere spostati, alterati facilmente. 6 Alcuni atti dell’Archivio Mollo, uno redatto il 2 giugno del 1721 dal notaio Terracina, un altro del 7 giugno dello stesso anno del notaio Cava, descrivono molto bene le attività della difesa di Fallistro in quegli anni. Il secondo di questi atti è una dichiarazione che Don Stefano Mollo fu tenuto a fare al Presidente della Regia Camera, D. Giuseppe Mercader, che venne in Sila per una transazione. In questo stesso documento viene attestato che Fallistro era un bene maggiorascale e perciò trasmesso ai primogeniti dei Mollo. 7 Nei numerosi atti consultati, da quelli di acquisto alle rivele, si parla di emancipazione. Nei tempi di cui parliamo, rigidamente patriarcali, nessuno dei figli poteva acquistare, vendere, decidere alcunché, se non si era affrancato della patria potestà, che poteva durare anche tutta la vita. Era necessario un atto pubblico redatto da un notaio ed il consenso del padre, affinché si realizzasse l’emancipazione. 8 Negli atti consultati, nei documenti storici, nelle pergamene, i personaggi della famiglia vengono indicati a seconda del sesso e del numero come Mollo, Molli, Molla, Molle, declinando alla maniera latina il cognome, secondo l’uso di quei tempi. 9 Archivio Geneale di Simancas, in Spagna. 10 Archivio di Stato di Palermo, Commenda della Maggione, Processo Gerosolimitano di Sigismondo Pilo. 11 Archivio di Stato di Cosenza, notaio Trocini. 12 Scorrendo nell’albero genealogico di Mollo, intorno al ‘600 si incontrano personaggi notissimi di Cosenza e della Presila, che hanno segnato la storia dei casali e della Sila. Nella seconda metà del ‘700 Saverio Mollo sposa Maria Vittoria Brunetti, baronessa di Brunetto 13, che nel 1798 con atto notarile dona al figlio primogenito Vincenzo Maria il titolo e il feudo di Brunetto con tutte le sue prerogative14. Vincenzo Maria Mollo è stato sicuramente il personaggio della prima metà del 1800 più noto ed in vista di Cosenza, di cui fu più volte sindaco. Di lui parla Alexandre Dumas15, che fu suo ospite, e Michel Tenore, un botanico viaggiatore che nel 1826, a capo di una spedizione scientifica lo conobbe ed apprezzò16. Egli operò come sagace amministratore e presidente di molti enti, provvedendo alla costruzione di opere di pubblica utilità. Tra esse, testimonia anche Tenore, ci fu il Teatro Real Ferdinando, uno dei più bei teatri della provincia, alla cui costruzione contribuì Vincenzo Maria Mollo con le proprie finanze. Alcuni suoi interventi mirarono anche alla valorizzazione dell’altopiano Silano, che comprendeva numerose e floride masserie, tra le quali quella di Fallistro. Nella masseria di Fallistro si praticava l’avvicendamento delle terre sulle quali veniva coltivato il foraggio per gli animali da soma, che servivano al trasporto dello stesso, il quale ammontava nel 1721 a 120 some, del grano germano prodotto e di tutto ciò che occorreva ai coloni e ai foresi17. Altre terre erano adibite a pascolo per i buoi e per un gregge di ben 1200 pecore. La serra d’acqua utilizzava le acque del Neto, che dovevano essere più abbondanti di quanto lo siano attualmente, per produrre tavole. Non sempre però funzionava. Anzi, si precisa nei documenti già citati nelle note, che una parte delle terre di Fallistro in alcune annate non veniva affittata proprio perché serviva ai buoi della serra che, evidentemente, trasportavano i tronchi, le tavole ed erano utili anche ai comodi degli operai addetti alla serra stessa. Le tavole ricavate dalla serra, munita di regolare licenza, venivano imbarcate nella marina di Corigliano. A Fallistro l’acqua era abbondandissima per la presenza del fiume Neto, del fiume Garopato e di numerose sorgenti e fontane, quella Della Pietra, Delle 7 Acque, Della Tromba18. Si operò nel ‘600 e nel ‘700 il taglio di moltissimi alberi in tutta la Sila, soprattutto per ricavarne tavole e legna, per guadagnare terre da coltivare. 13 Quello di Brunetto era un feudo rustico, di cui ve ne era soltanto un altro in Calabria, quello di Ricciulli di Rogliano. Il Feudo di Brunetto si estendeva dalla zona di Dipignano e costituiva una parte delle vaste proprietà di Vincenzo Maria Mollo, che comprendevano Flaviano con uliveti e frutteti nella zona di Falconara e le terre delle Sila, i palazzi di Cosenza e proprietà viciniori, alcune delle quali acquisite dalla vendita dei beni ecclesiastici. Un libro di Pellicano Castagna (Le ultime intestazioni feudali in Italia, Editore Effemme, Chiaravalle Centrale, 1978) racconta proprio di questi fatti. 14 Atto per notaio T. M. Adami, 1798-14-12. Nell’atto di donazione Vittoria Brunetto stabilisce tra l’altro “… sopra li suddetti beni in perpetuo maiorascato primo geniale a favore di esso Don Vincenzo, ed il di lui figlio primogenito e cossì del primogenito di quello in perpetuum, ed infinitum sempre riserbata alli primogeniti pro tempore, o a chi ne farà la figura la proprietà, e l’amministrazione de beni accennati colli suddetti pesi a favore de secondogeniti …”. (Archivio Mollo) 15 Si tratta del grande scrittore Alexandre Dumas, che, viaggiatore del Gran Tour, venne nella nostra regione e scrisse il suo Viaggio in Calabria. In un altro suo libro Le capitaine Arena ne fa un brillante encomio. 16 Michele Tenore, un botanico che ideò e promosse la realizzazione dell’orto Botanico di Napoli, compì un viaggio nella Calabria per arricchire l’erbario Napoletano e scrisse un diario di quel viaggio. A Cosenza conobbe Vincenzo Maria Mollo e ne fu ospite. Si veda diffusamente Vittorio Cappelli, 1998, Sguardi, Edizioni Rubbettino. 17 Lavoratori forestieri. 18 Archivio Mollo, Pianta topografica delle difese denominate A. Neto, B. Fallistre. Numerosi provvedimenti vennero emessi dal governo di Napoli per limitare tale distruzione , certo non per spirito eco-naturalistico, ma per avere a disposizione il legname necessario per la costruzione di vascelli per la marina. Nell’Archivio di Mollo esiste un banno del Preside Vincenzo Dentice del 1789, che da Cosenza ordinava di “non ardire di tagliare nessun albero della Sila Regia e Badia di San Giovanni in Fiore”. Gli stessi alberi di boschi fittissimi a Fallistro venivano utilizzati per l’estrazione della pece, bianca o nigra e per le nevi. La foresta vicino al Casino, però, venne mantenuta intatta per secoli, protetta fino agli anni più recenti dai Mollo, i quali promossero perfino le ultime decisioni che portarono all’istituzione della riserva naturale biogenetica I Giganti della Sila. Un interessante articolo di un fuzionario forestale testimonia l’impegno della famiglia Mollo per il destino di quest’ultima barriera del bosco contro le ingiurie del tempo e dell’uomo. E così la foresta con i suoi pini, colonnato di un antico tempio, si erge ancora19! Le terre di Fallistro servivano anche alla transumanza delle mandrie di pecore possedute dai Mollo. Durante la stagione estiva esse stazionavano nelle terre della Sila e poi si spostavano verso la marina ionica su terre di Cropalati, Cariati, Calopezzati20, dove veniva anche venduta una parte del bestiame È interessante osservare come la transumanza avvenisse tra la Sila e la marina ionica, probabilmente su terre in affitto, e non verso le terre del versante tirrenico, in prossimità di Falconara, su cui i Mollo avevano il possedimento di Flaviano, perché le mandrie per spostarsi dalla Sila al Tirreno avrebbero dovuto attraversare due montagne con notevoli disagi e diverse perdite che, probabilmente, compensavano la spesa d’affitto dei pascoli… Un’attività importante del latifondo Mollo e di Fallistro in particolare, è stata quella della Filanda della seta, che funzionò a pieno ritmo fino all’Unità d’Italia. La materia prima giungeva a Fallistro dai gelsi e dalle digatterie di Dipignano. Poi la seta, confezionata in balle di fieno grezzo, veniva inviata a Napoli, e da lì smistata nei mercati esteri più vantaggiosi, Marsiglia, Londra, Lione. Un carteggio costituito da una fitta corrispondenza tra i baroni Mollo, Vincenzo Maria fino al 1849 e a suo figlio Stefano dal 1850 in poi, e i signori D. Carlo Forquet e L. Giusso di Napoli, documenta l’attività della filanda di seta con tutte le operazioni connesse alla sua spedizione e commercializzazione21. Si parla delle terre adibite alla coltivazione del gelso, del raccolto più o meno abbondante a seconda delle annate, degli ammodernamenti della fabbrica, della produzione di nuovi tipi di seta come l’organzina, la seta molle, il setone. In queste lettere si leggono espressioni di cortesiae formule commerciali oltre che conteggi e prezzi del prodotto-seta. Si legge ancora che “L’Italia Forestale e Montana”, marzo-aprile 1995- Anno L, n. I – L’articolo richiamato dice che nel 1987, con il dec. N° 426 del 21 luglio, venne istituita la riserva biogenetica “I Giganti di Fallistro” per mezzo dell’interessamento della baronessa Paola Mollo e dell’Amministratore delle Foreste Demaniali in Sila, Mario Ciolli. L’O.V.S. in seguito all’esproprio delle terre della Sila, concesse questo lembo di terra ad un coltivatore diretto e le piante rischiarono la rovina fino a che l’attenzione del C.N.R., dell’Università della Calabria, della Direzione generale delle Foreste Demaniali, i Ministeri preposti non si interessarono ai pini larici e aceri montani di Fallistro. Il prof. Orazio Ciancio ne fece uno studio approfondito, dal quale emerse che le 56 piante, di oltre 1000 metri cubi, avevano 5 secoli di età. 20 Archivio Mollo. 21 Archivio Mollo. 19 si trasformerà il filato da quattro in cinque (fili), “con scrupolosità, cercando di incrementare il lavoro, stante i buoni prezzi di mercato, del doppio e forse del triplo… (apportando) espedienti opportuni all’oggetto, incoraggiati dalle notizie sui buoni prezzi di mercato per la vendita della seta all’estero”. Le navi, vapori che imbarcavano la seta corredata di regolare polizza di carico nella rada di Paola in genere il sedici di ogni mese, si chiamavano Maria Antonietta o Duca di Calabria. Una delle tante casse di seta imbarcate era composta di “mazzi 417, matasse 2502” e veniva classificata in organzina, seta, molle, setone. La filanda, testiomoniano alcune lettere, funzionava con “24 formelle avendola provveduta…di scelte maestre e di un buon direttore” ed ancora di portafili di cristallo, comprati a Napoli per tramite dei signori Forquet e Giusso ed avuti attraverso il barone Collice. Traspaiono da queste lettere l’orgoglio del barone di produrre in modo preciso la seta della più fine e bella qualità che qui si fabbricano, e la sua onestà, tanto da avvertire sulla quantità e sulle differenze di prodotto spedito. “Nel mezzo di essa cassa – si dice in una delle lettere ai signori di Napoli – troverete posta divisa dall’altra picciola quantità di seta di colore un poco più oscuro di quella, ma perfettamente simile nella filatura e tutt’altro…”. La filanda di Fallistro, tuttora un grosso fabbricato rettangolare, era una moderna fabbrica con un locomobile a vapore di marca francese22, che serviva a muovere i manganelli, una caldaia per riscaldare le bacinelle ed un camino che consentiva di riscaldare fino a 28-30 gradi, l’ambiente. Una vasca enorme alimentava all’esterno la filanda. Vi lavoravano maestre, sbattitrici, scarnatrici, discepole. Gli uomini erano pochissimi, il macchinista, il fuochista, il sorvegliante. La fabbrica funzionava anche di notte per 75 giorni di seguito, con turni di 12/16 ore. Le lavoranti erano tutte “di fuori” e guadagnavano pochissimo (Petrusewicz, 1990)23. Le simpatie borboniche dei Mollo non giovarono certo alle loro attività che, dopo il 1860, furono colpite da una grave crisi che investì soprattutto la filanda la quale fu anche al centro di alcune controversie che ne accelerarono la rovina. Ritroviamo la filanda trasformata in albergo nel 1913, quando i costruttori Emilio Vigna e Giovanni Parise vi ricavarono otto appartamenti, che vennero occupati nello stesso anno, sulla scia della valorizzazione della Sila luogo di Villeggiatura, iniziata proprio in quegli anni. L’attività della Pensione Fallistro, interrotta nel periodo della guerra, fu ripresa nel 1919. Negli anni ’50 la Riforma agraria determinò, come per gli altri grandi proprietari silani, la riduzione e l’esproprio di tante terre dei Mollo. La filanda negli anni intorno al 1960 fu concessa da Eduardo Mollo, nonno degli attuali proprietari, a suor Elena Aiello, la Monaca Santa nota e tanto benvoluta a Cosenza per la sua carità, che vi portò per molti anni le sue ragazze ad estivare. Il casino da allora viene usato saltuariamente dai Mollo che hanno in animo il suo restauro. I proprietari conservano le ruote della “locomobile”. La filanda fu al centro di una controversia con un altro proprietario della Sila. Nel 1879 ritornò nel possesso dei Mollo. 22 23
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