“Fundamentals”. Elements of Architecture

“Fundamentals”. Elements of Architecture
E’ il tema scelto da Rem Koolhaas per la 14a Mostra Internazionale di Architettura alla Biennale di
Venezia
Rem Koolhaas ha dichiarato che
“Fundamentals” sarà una Biennale sull'architettura,
non sugli architetti. Dopo diverse Biennali dedicate
alla celebrazione del
contemporaneo, Fundamentals si concentrerà sulla
storia - sugli inevitabili elementi di tutta l'architettura
utilizzati da ogni architetto, in ogni tempo e in ogni
luogo (la porta, il pavimento, il soffitto, etc.) e
sull'evoluzione delle architetture nazionali negli ultimi
100 anni che è Absorbing Modernity: 1914-2014 –
evoluzione che induce a mostrare come ogni diverso Paese - Germania, Cina, India - ciascuno a
modo proprio, abbia subito il processo di annullamento delle caratteristiche nazionali a favore
dell'adozione su scala quasi universale di un singolo linguaggio moderno, all'interno di un singolo
repertorio di tipologie. E infine Monditalia, alle Corderie, dove alcuni aspetti (musica, danza, teatro
e cinema) della realtà del paese Italia vengono raccolti e rappresentati con 41 ricerche ad hoc,
condotte sotto la guida di Rem Koolhaas, per ricordarci senza compiacimento, né pregiudizio, la
complessità di questa realtà, paradigmatica di quanto avviene in altre parti del mondo.
Agli ex lettori degli scritti marxisti (come me) viene in mente che la crisi economica è il motore di
tutte le crisi e dei loro cicli, pertanto è facile pronosticare che la scelta di Koolhaas è stata di certo
una scelta “obbligata”. La crisi economica ha messo in crisi la vera architettura, quella dei piani
bassi, non certo quella delle archistars che corrono sotto l’ombrellone capitalista dei dollari che si
trovano a Dubai, a Londra, a Hong Kong, a Shanghai, e via dicendo. E’ certo che l’architettura
contemporanea ha subìto lo spezzettamento capitalistico fra élite e popolo. Così come avvenuto
per l’economia industriale che produce strutture pesanti e per la finanza che produce reddito senza
strutture cui riferirsi, se non al valore della finanza stessa. Il quesito di questa Biennale di
Architettura sta tutto qui, nella frattura fra economia reale ed economia virtuale e finanziaria. Per
cui quella delle archistars non è vera architettura, semmai è scultura, belle arti, è cioè elemento
estetico che non incide nel profondo, semmai “sagoma” atteggiamenti di emulazione, ma non
identità cui riferirsi. Anzi, chi si è riferito ad essi, non avendo le qualità superiori, ha il più delle volte
rovinato pure l’architettura popolare; ché solo un’idea profonda e generatrice può oggi riscattare,
come nel medioevo, tutta una cultura di riferimento. La cultura del Medioevo era una cultura
cristiana. Ecco il perché dei FONDAMENTALI, cioè degli elementi strutturali che stanno alla base
primaria degli elementari costrutti architettonici. Tutto il resto è mostra, in quanto è impossibile
cogliere e ritornare di colpo alle origini della propria esperienza costruttiva nazionale, anche perché
i materiali non sono più gli stessi e così gli indicatori d’uso. Quel che voglio dire è che è avvenuta
una cesura internazionale che ha castigato il valore nazionale a favore di acquisizioni altre, le quali
hanno creato presupposti generali non più informati dalla cultura locale indigena, e quindi valori
che, applicati, diventavano cose diverse, estranee alla cultura architettonica fondamentale del
Paese. Noi siamo il Paese che più ha creduto alle idee socialiste del progetto comune, quale
laboratorio di esperienza sociale, e là dove non c’era lavoro siamo andati a crearlo, costruendo
una fabbrica, come a Taranto, di modo che la classe operaia potesse nascere e con il suo progetto
si potesse collegare al resto del mondo e costruire assieme una diversa civiltà del vivere e del
lavorare. Il fallimento di questa impostazione sta davanti ai nostri occhi, con il fallimento dell’Ilva.
Forse tutto questo doveva essere sotto controllo, cioè si dovevano trovare elementi statali non
invasivi di controllo dell’ambiente e del territorio, ma, come si sa, ogni cosa ha un suo tempo e non
eravamo forse pronti per una democrazia avanzata del territorio. La sezione Monditalia tenta a
suo modo di rispondere a questo quesito, proponendo un’attenzione maggiore al turismo. Non
credo stia tutta qui la soluzione, come non lo è per i fondamentali. Un esempio ci viene dal
Padiglione Venezia, che ospita una mostra di disegni di Daniel Libeskind, l’autore del museo
Ebraico di Berlino e della Freedom Tower di New York. Egli riprende quell’approccio iniziale con
l’idea che è la mano che disegna, che descrive il pensiero visivo, il quale nasce per primo nella
mente. Pratica che si è nel tempo dissociata e che oggi, con il computer e il 3D, abbiamo perso,
delegando la forma pensiero ad una macchina, che ovviamente non ha la stessa duttilità e varietà
interpretativa. Di fatto, da quando nel 1947 in Italia la facoltà di Architettura è stata separata come
studi dall’Accademia di Belle Arti, si è perso non solo il gusto, ma pure la possibilità di una
selezione autentica dei cervelli e delle vocazioni. Oggi uno qualsiasi può essere architetto.
Succede come nell’alpinismo con le guide: oggi gli Sherpa ti portano fino a sotto la Cima da
conquistare e con le bombole ed il resto si può arrivare sopra anche senza grandi allenamenti, ma
per puro turismo. Ecco qui, Daniel Libeskind ha messo in mostra una serie di disegni, fatti a mano
in precedenza con fondi di caffè al modo dell’acquarello e qui serigrafati e montati su pannelli che
creano una curvatura. Al di là dell’installazione magica del Padiglione Venezia, resta che i
Sonnets in Babylon sono uno degli ultimi tentativi di perseguire il progetto mentale attraverso il
pensiero. “ I disegni raffigurano uno spazio fermo nel tempo, una sorta di “favela della mente”, o
città metamorfica del futuro”. Un futuro, pure questo, già passato, in quanto appartenente agli anni
Settanta. Qui, a mio parere, sta uno dei fondamenti dell’architettura: l’appropriazione, grazie alla
mano, del progetto che si configura nella mente e prende forma umana, prima che tecnica e/o
virtuale. Nel deposito della sapienza della nostra anima sta il senso dell’abitare e vivere comune.
Boris Brollo