Ilgusto èpassione!

Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino¶27 ottobre 2014¶N. 44
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Società e Territorio
Padre Mihai e gli ortodossi del Ticino
Incontri Le Chiese cristiano-ortodosse hanno origini nei Balcani, in Medio Oriente e in Africa;
7200 fedeli delle varie etnie compongono la comunità della Svizzera italiana
Sara Rossi
Sorride sempre, perché ha ricevuto in
dono una vita che è fatta per sorridere,
dice, nonostante tutti i dolori. Spalanca le braccia all’altro, perché crede che
il rispetto sia aperto a tutte le religioni
e soprattutto a tutti gli esseri umani.
Celebra matrimoni misti, perché si domanda: «Chi sono io per non benedire
l’amore?». È Padre Mihai Mesesan, il
parroco della Comunità Ortodossa
della Svizzera Italiana, nata a Lugano il 21 maggio 1995. Eccetto il primo
anno, Padre Mihai è quindi il parroco
degli ortodossi ticinesi da sempre. Serbi, romeni, greci, russi, ucraini, eritrei:
le Chiese ortodosse sono numerose e
generalmente le comunità della diaspora fanno capo ciascuna alla propria
Chiesa madre, ossia a una delle Chiese
autocefale e autonome che formano il
mondo ortodosso, strutturato secondo
un sistema conciliare in base al quale la
collegialità ha un’importanza incondizionata. Per vari anni, in Ticino, sono
state unite dal loro parroco. Oggi invece
quella serba, quella greca e quella russa
hanno ognuna un prete proprio e i russi ortodossi addirittura hanno il loro
tempio sacro a Melide dove celebrare la
Messa.
Padre Mihai invece la domenica
compie il rito nella chiesa della Madonnetta a Lugano-Molino Nuovo. Mentre
il Bollettino Parrocchiale della Comunità ortodossa è redatto in quattro lingue, italiano, serbo, greco e romeno, Padre Mihai celebra la messa in italiano.
«È la lingua italiana che unisce la nostra
variegata comunità, lingua atipica per
la religione ortodossa», dice. Le risposte del coro, previste nel rito bizantino,
avvengono invece in slavo antico, in rumeno e in greco. Essere lontani da casa
e vivere in un paese straniero, in cui si
pratica una diversa religione, secondo
Padre Mihai è una grande occasione di
incontro e di ricchezza; è un modo di
testimoniare la stessa fede di tutti i cristiani, di realizzare quell’unità che voleva Gesù Cristo e di arricchire se stessi
e il posto in cui si abita. Padre Mihai, si
sarà già capito, è molto attivo nel movimento ecumenico sia in Ticino che in
Italia.
«Nella Svizzera italiana vivono
circa 7200 ortodossi (secondo un censimento di 15 anni fa)», spiega il sacerdote, «e provengono da varie etnie e
culture dell’Europa orientale e balcanica. Alcuni sono arrivati come rifugiati
politici durante il regime comunista e, i
più numerosi, in seguito ai conflitti balcanici degli anni Novanta, nella ricerca
di sicurezza e per rifarsi una vita. Molti
di loro sono arrivati con le ferite subite
durante i regimi comunisti atei». Poter
ritrovare la propria fede e la libertà di
professarla è allo stesso tempo un modo
per mantenere le proprie radici, per trasmetterle meglio ai propri figli e anche
per integrarsi. Sradicarsi e annullare la
propria identità non sarebbero infatti
i giusti passi verso l’integrazione, ma
piuttosto verso un’assimilazione fasulla
e un annullamento delle diverse culture
che il mondo ha prodotto.
Padre Mihai ha un ruolo che va oltre quello di sacerdote, pastore di anime; tramite la religione si occupa del
contatto con la terra d’origine di ognuno dei migranti che si rivolgono a lui e
non fa differenza tra bisogni spirituali
e bisogni materiali: che sia a domicilio,
in ospedale o in carcere, Padre Mihai
offre aiuto per le pratiche burocratiche,
la ricerca di lavoro, la corrispondenza e
l’orientamento in questo Paese ancora
poco familiare per chi è appena arrivato. Egli è qui insieme a sua moglie da
ormai 20 anni, giunto con una borsa di
studio per conseguire un dottorato alla
Facoltà di Teologia di Lugano e conosce
molto bene il territorio.
A casa sua c’è uno studio pieno di
libri e una parete intera coperta di icone.
Padre Mihai si illumina quando parla
delle icone. «Esistono fin dai primi secoli», racconta. «Cioè da ben prima che
ci fosse lo scisma tra Chiesa d’Oriente e
Chiesa d’Occidente. La prima icona l’ha
dipinta San Luca Apostolo e raffigura
la madre di Dio. I dipinti sono simboli
dell’incarnazione di Cristo, che è Dio
nel momento in cui abbiamo potuto
vederlo e toccarlo. Così l’icona è importante per noi per avvicinarci a Dio e a chi
è rappresentato; ci aiuta a pregare e infine è un oggetto d’arte di enorme valore. Solo un uomo di fede può dipingere
un’icona e non è usanza apporvi la propria firma: l’artista presta la sua mano
per compiere un sacro disegno, non è il
suo nome che ha importanza». La tecnica delle icone è altrettanto affascinante
quanto il suo valore religioso: si usano
Padre Mihai Mesesan. (Stefano Spinelli)
tavole di legno stagionato levigate per
accogliere la doratura e la pittura con
tempera ottenuta mischiando i pigmenti colorati al tuorlo d’uovo, al fine di rendere i colori resistenti nei secoli. Ogni
anno la Comunità Ortodossa organizza
una o due mostre di icone e anche una
bellissima festa internazionale, a cui
partecipano pure centinaia di ticinesi,
con concerti lirici e folkloristici.
Padre Mihai si rallegra della presenza sempre più numerosa da parte
dei giovani che partecipano alle attività della sua parrocchia: oltre alla festa
e alla mostra di icone, ci sono pellegrinaggi, incontri ecumenici, spettacoli
teatrali, e altre manifestazioni artistiche e culturali. Sua speranza e priorità
della sua Chiesa, ci riferisce, «è avere il
diritto di organizzare l’istruzione religiosa nelle scuole, dove noi, come religione ortodossa, non abbiamo ancora
accesso. È il desiderio di molti genitori
e dei giovani stessi».
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