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L’UOMO CHE ‘SCOPERCHIÒ’ LE BRIGATE ROSSE
Dedicato all’Avv. Antonio De Vita
Era Settembre 1954: iniziavo il mio Quarto Ginnasio ed in classe molte facce erano
cambiate. Alcuni ragazzi avevano scelto una scuola diversa, altri, piú poveri, avevano smesso
per andare a lavorare: tra loro il mio amico Patriarca che a 13 anni doveva fare il fabbro ferraio.
Notai subito la “faccia nuova” di una ragazza molto carina e spiritosa, di nome Floriana, ma
presto feci amicizia con un ragazzo di nome Antonio, che aveva una spiccata personalità.
Formai un trio con Antonio e Carlo, che era con me già da due anni. Ci separammo solo
quando dopo il Secondo Liceo Antonio cambiò scuola e fece il servizio militare fra i
Bersaglieri. Poi si iscrisse a Giurispenza, mentre Carlo ed io prendemmo Lettere. Nell’epoca
universitaria i nostri rapporti ripresero con frequenti incontri: cene in luoghi noti a Roma come
il Casale e il Casalone, nonché “La Vigna del Cardinale”, e poi Antonio ed io passavamo
lunghe notti a discutere in macchina fino all’alba o a frequentare la mia amica Carla anche dopo
che ella si sposò.
Ma soprattutto Antonio e Carlo fecero grandi cose negli ultimi mesi di vita di mia madre:
Carlo le suonava la chitarra ed Antonio il pianoforte, andando persino a comprare le medicine
per lei. E intanto ci eravamo laureati.
Io studiai in Olanda e poi vinsi un concorso a Bologna, diventando docente di Nederlandese; Carlo era ormai un grande chitarrista classico oltre ad insegnare a S. Cecilia. Però le
cose piú importanti furono fatte da Antonio, che come penalista fece assolvere Pietrino
Vanacore dall’accusa dell’omicidio di Via Poma e convinse il Pubblico Ministero che
l’attentato di Fiumicino, addebitato ad Abu Nidal (“Il padre della lotta”), era stato effetttuato da
un’organizzazione e non da un singolo individuo.
Ma il suo capolavoro, per il quale è stato definito “un Eroe dimenticato dallo Stato”, è
l’aver “scoperchiato” le Brigate Rosse. Era un giovane avvocato ancora non molto famoso
quando i Procuratori Sica e Priore gli affidarono il “pesante” incarico di Difensore d’Ufficio del
Brigatista Patrizio Peci. In realtà Antonio lo convinse a pentirsi e Peci confessò i primi dettagli
sull’organizzazione terroristica.
Chi informò le Brigate Rosse che l’Avvocato De Vita aveva fatto confessare l’importante
Brigatista? Ovvio che la notizia partí dalla Procura: d’altronde sono anni che ci chiediamo che
differenza c’è tra i Procuratori della Repubblica ed i delinquenti professionisti.
Fatto sta che il 19 Giugno 1981 i Brigatisti decisero di uccidere l’Avvocato. Ne avevano
studiato le mosse e conoscevano la sua puntualità. Sei Brigatisti giunsero a Viale Mazzini e,
mentre tre aspettavano in auto, gli altri tre scesero dalla loro vettura ed entrarono nel portone.
Natalia Ligas ed un “compagno” salirono al primo piano e si affacciarono dalla finestra del
ballatoio attendendo l’arrivo di De Vita. Il terzo si nascose nel cono d’ombra dell’atrio con la
mitraglietta in mano.
Appena i due videro l’Avvocato presero l’ascensore e scesero per costringerlo a fermarsi,
ma sbagliarono lievemente i tempi e la Ligas uscí prima del previsto. Antonio, educato da una
balia spagnola, fece un inchino vedendo la donna, e ciò lo salvò, perché il terzo Brigatista aprí il
fuoco con qualche millesimo di ritardo e colpí la Ligas, ferendo solo di striscio l’Avvocato: il
quale si gettò a terra, estrasse la pistola e scaricò 16 colpi fracassando l’ascensore. Sentendo
spari e frastuono i tre brigatisti “esterni” partirono a tutto gas convinti della riuscita, ma furono
tanto precipitosi da sbattere contro un’auto della polizia e vennero arrestati.
La Ligas ferita e gli altri due scapparono con la seconda vettura: la donna fu portata a
Lagonegro e curata dal senatore socialista Domenico Pittella, colluso con le BR. L’uomo della
mitraglietta fu in seguito arrestato e poi ucciso in carcere per il colpo fallito. D’altronde anche il
fratello di Peci fu “giustiziato” per vendetta.
Nei giorni successivi le BR lasciarono di fronte a “Il Messaggero” volantini in cui
dichiaravano che avrebbero ucciso l’Avvocato. E mentre De Vita veniva interrogato da Sica,
accompagnato da una scorta di ragazzotti, che bloccavano il traffico con i mitra e facevano
capire anche agli sciocchi che scortavano un personaggio importante, Carlo ed io, unici
autorizzati a frequentare Antonio, decidemmo il da farsi. Presi in mano la faccenda e decisi di
organizzarla: Antonio, che mi aveva sempre fatto da “padre” nonostante i soli due mesi di
differenza, accettò l’inusitato ruolo di “figlio”.
Avevo già un solido rapporto con il Sud-Africa, dove i giornali italiani arrivavano con
notevole ritardo, e feci rilasciare immediatamente un visto d’ingresso. Cooptammo il Capo della
Polizia-Interforze di Fiumicino, che vagamente rassomigliava ad Antonio, e per sembrare simile
De Vita si tagliò la barba. Deciso il giorno della partenza chiesi al mio amico Glenn Babb
(successivamente Ambasciatore del Sud-Africa in Italia) di tenere nascosto Antonio. Quindi
informammo il pilota delle Linee Aeree Sudafricane dell’identità del passeggero, che facemmo
imbarcare come “Franco Messina”, un regolare visitatore del sub-continente da sette anni, in
modo che le BR non lo avrebbero rintracciato qualora avessero controllatio i voli internazionali.
Dopo di che Carlo ed io facemmo venire in macchina con noi il Capo “Interforze” come se
fosse De Vita, e andammo a Fiumicino attirando l’attenzione, mentre Antonio qualche tempo
dopo si mosse da solo e ci raggiunse all’aeroporto. Lo facemmo salire a bordo DOPO tutti gli
altri passeggeri ed egli consegnò la pistola alla polizia di frontiera. Furono 16 ore di volo,
passando per Lisbona e sull’Atlantico, e quindi atterrò a Johannesburg, dove lo attendeva
Glenn.
Aggiunsi una “ciliegina sulla torta” e feci un comunicato-stampa che spedii a ANSA, AGI e
ADN-KRONOS:: affermavo che l’Avv. Antonio De Vita, ferito dalle Brigate Rosse, si era
recato in Svezia per farsi curare. Ci credereste? TUTTI i quotidiani italiani uscirono con serivizi
di un paio di colonne in cui fornivano i nomi della clinica e del chirurgo svedese!
Solo il Giornale d’Italia pubblicò poche righe vergate da me, e il Direttore mi rimproverò
per non essere stato all’altezza degli altri quotidiani! Accettai il rimprovero, ma non aggiunsi
nulla.
Il 18 Maggio 2014 “L’Uomo che ’scoperchiò’ le Brigate Rosse”, il mio amico Avvocato
Antonio De Vita “Eroe dimenticato dallo Stato”, è stato ucciso a 73 anni da un altro terrorista:
la Leucemia. Caro Antonio, un uomo che non dimenticherò mai.
F M Messina
Roma, 25 Maggio 2014