LaValCicheronellastoriadellagenteLigure Prefazione In questa breve storia della Val Cichero vorrei ricordare gli avvenimenti, quasi sempre tristi, che vi sono succeduti durante i secoli, e i mali e le vicende che questa laboriosa gente ha dovuto sopportare con tutti i paesi vicini. Ma credo che un periodo dei più tremendi, sia infierito su questa gente nel secondo conflitto mondiale, che questa valle ha dovuto pagare con morti, incendi e crimini di ogni genere. Dalla morte del giusto Abele, ucciso per invidia ed egoismo dal fratello scellerato Caino, il genere umano si è diviso a seguire la giustizia e la generosità per i buoni, e la perfidia e l’assassinio per i malvagi. Perciò se da questa afflizione, ogni parte della terra non ne è immune, non c’è da stupirsi se anche nei nostri paesi ne dobbiamo sopportare le conseguenze. Poter trascorrere tutta la vita nel buon senso della giustizia e non recar danno al nostro prossimo è sicuramente una grazia Divina e un gran bene per tutti. Mi vanto di essere nato in questa valle perché la gente, in grande maggioranza, è ed è sempre stata molto coscienziosa e compassionevole, ed ha sempre contribuito in ogni opera di bene comune e individuale. Nel tempo della Resistenza contro l’invasore nazifascista: 8 settembre 1943 – 25 aprile 1945, si è sempre collaborato in tutti i modi possibili con i partigiani e soccorso tutti. Perciò per rappresaglia abbiamo avuto la maggior parte delle case e delle baracche incendiate e distrutte dai feroci criminali nazifascisti. Ci hanno amareggiati e delusi frasi odiose e offensive, inventate da irresponsabili idioti, che certamente tutto il paese non merita, e si detestano orgogliosamente. Allo stesso modo ne hanno inventate per altri paesi, che per educazione e rispetto non si devono nominare e tanto meno scrivere. E grazie a Dio, con la subdola società consumistica con cui dobbiamo convivere, possiamo sinceramente affermare che in questa valle non si è ancora sentito parlare che ci sia ancora un tossicomane. I signori che scrivono inventando o rinvangando parole oltraggiose, dovrebbero provare un poco a fare la vita di noi agricoltori di questi paesi, che vendono i loro prodotti sempre sotto costo, e comprano tutto con l’aumento per l’inflazione, così si potrebbe conoscere la loro migliore magnanimità. Procedendo a questo modo con ingiustizie insopportabili e palesi, si cammina a una corruzione peggiore di quella che portò alla distruzione l’impero Romano. Vorrei fare cosa gradita rievocando avvenimenti cronistici di questa valle, accomunati a i paesi vicini. In ogni tempo si constata che il male, al contrario del bene, è immorale e produce sempre abissi di sofferenze, disastri e ignominiose ingiustizie, con complicazione delle vicende umane. La disonestà, l’egoismo e la prepotenza, in tutti i tempi prevalgono, ma poi sono sempre severamente castigati. Perciò le amorevoli azioni, il reciproco aiuto e la sincerità rendono grandi soddisfazioni e tranquillità, in opposto alla corruzione che provoca odio, dolore e morte. Se riflettiamo al versetto della Sacra Bibbia: “Se il Signore non edifica la casa, inutilmente si lavora a costruirla”. Per il nostro giusto benessere, avendo la grazia di avere conosciuto Gesù, non dobbiamo mai allontanarci dai Suoi insegnamenti. In conclusione, il degrado morale è origine di tutti i mali e priva la protezione della Divina Provvidenza. Descrizione e cenni storici Al centro, circa, del retroterra del Golfo del Tigullio, racchiusa intorno dai monti a forma di anfiteatro romano, si trova la Val Cichero, composta dai paesi di Cichero, Celesia e Baranzino. Il monte Ramaceto, a Nord, raggiunge l’altezza di m. 1345, Mignano a Ovest e i monti Cucco e Rotondo a Est. In località Fondeghetto, alle falde del Ramaceto, nasce una sorgente che dà inizio al torrente Cicana, che per tradizione sembra dia il nome al paese di Cichero. Il torrente Cicana, più o meno, scorre al centro della valle, e con tutti gli affluenti che raccoglie si congiunge col torrente Sturla a Costa del Canale, a Carasco si uniscono al Lavagna della Fontanabuona che col torrente della Val Graveglia raccolgono tutte le acque del bacino imbrifero Chiavarese, formando il fiume Entella, che sbocca nel mare tra Chiavari e Lavagna. La maggior parte della val Cichero appartiene al comune di San Colombano Certenoli; vi sono molti boschi, in maggioranza castagneti, e pratie terreni bene coltivati. Cichero appartiene alla storia dei Liguri, popolo antichissimo, forse il più antico d’Italia. Gli storici dicono che i Liguri provengono dall’Asia, e precisamente dal Caucaso, essendo di quelle zone le loro origini. Costeggiando il mare Mediterraneo, lungo il nord Africa e oltrepassato lo stretto di Gibilterra hanno popolato la costa e anche parte del retroterra della Spagna e della Francia e d’Italia, da Gibilterra al fiume Arno. Ristretti però sempre da altri popoli, i Liguri, al presente, sono ridotti nella sola regione Liguria che oggi è una delle più industriose d’Italia. Come la valli vicine, la val Cichero, prima dell’occupazione romana, era abitata da popoli suddivisi in tribù, il loro nome era Ercati e Cichero si chiamava Plecherium. Erano gente forte e coraggiosa, non temevano né la guerra né la morte; infatti anche il loro nome di Ercati significa “terribili in battaglia”. Le opere degli antenati di questa laboriosa valle si possono vedere ancora oggi nei massi di pietre pesantissime e scalpellati, adoperati nelle costruzioni di case e strade. I fatti storici che riportiamo sono presi da archivi e annali, attenendosi il più possibile alla verità. Poiché la storia è una scienza delle più intricate che si deve ancorare con la complessità e onestà della persona umana, perché ha un tremendo ostacolo: il tempo, che non si può verificare con i nostri occhi come la matematica, cioè due più due fanno quattro, oggi come ieri e come nel futuro; la storia invece no, perché un libro di storia riporta i fatti di secoli passati, irripetibili, e l’interpretazione dei fatti varia molto a seconda di chi li riporta e anche dall’onestà della persona. In questa valle a portare la civiltà cristiana e a insegnare a lavorare la terra, sono arrivati, nel primo tempo del Medio Evo, i monaci di San Benedetto da Norcia, che si erano stabiliti a Borzone, frazione del comune di Borzonasca. Questi religiosi hanno portato il cristianesimo in queste zone, ed hanno convertito la gente dal paganesimo e dall’idolatria. Da antica tradizione, la prima cappella per i riti religiosi è stata costruita in località Otturaie, frazione della parrocchia di Celesia. E, sempre per tradizione, la chiesa più antica è quella di Baranzuolo. I morti, in quel tempo, li fasciavano in un lenzuolo e li seppellivano nella chiesetta. In Villa Grande di Cichero avevano costruito una di queste chiesette, e una in località Pregi. In Villa Grande di Cichero, negli anni tra il 1880 e il 1890, è stata di nuovo costruita una chiesetta dedicata alla “Madonna del Divino Amore”, immagine portata da Roma dai nostri paesani che a Roma andavano a lavorare ed erano molto religiosi. Nella guerra 1940-1945, essendo incendiato il paese dai nazifascisti, è andata distrutta o dispersa. Ora la chiesetta è stata restaurata e dedicata anche ai soldati partigiani che sono morti nel secondo conflitto mondiale. La chiesa di San Bernardo è stata costruita nel Medio Evo ed ha cominciato a f------- di religione nell’anno 1387 a Celesia. La chiesa di Santo Stefano di Cichero è la più importante e imponente, essendo stata parrocchia di tutta la valle ed è situata circa al centro del paese. I lavori di costruzione sono iniziati nell’anno 1283. In quei tempi questa valle era amministrata dalla famiglia dei Conti Fieschi di San Salvatore di Lavagna, così la hanno dedicata, come la chiesa della parrocchia di Lavagna , al primo martire del cristianesimo: Santo Stefano. Anche i lavoratori edili erano di Lavagna. Il maestoso campanile, a sud-est della chiesa, è alto 47 metri ed è stato costruito con il contributo della popolazione nell’anno 1753. I giovani di quel tempo, per la costruzione del campanile, portavano in spalla il materiale da costruzione: se lo caricavano in spalla a Lavagna per arrivare a Cichero. Il viaggio più leggero fu di 72 chili. Nell’anno 1889 è stato intonacato all’esterno, ma nella rappresaglia dei nazifascisti del 17 luglio 1944 è stato incendiato con la canonica e parte della chiesa; per l’incendio i muri si sono deteriorati, non avendo più l’intonaco. A Costa del Canale, dove di uniscono i torrenti Sturla e Cicana e iniziano le due valli, su un poggio della collina sorge ancora imponente il castello di Vignolo, antica fortezza di un presidio romano. Distrutto e ricostruito diverse volte e munito di torre medievale. Un muro cinge la corona del poggio con fossato scavato nella roccia, ancora oggi evidente, ma in parte colmo di macerie. Entro il recinto delle mura, che ha un’area di circa 1500 metri quadrati, c’è una torre rettangolare per tra lati, il lato nord è fatto a forma di “V”. Sempre dentro il recinto delle mura del castello, dal lato del torrente Sturla, un caseggiato semicircolare, con la chiesa intitolata a San Siro, suo protettore. I conti Fieschi, famiglia nobile di Genova e Signori di San Salvatore di Lavagna, nell’anno 1000, con molte incursioni lungo i territori confluenti con l’Entella, tolsero ai monaci di San Colombano i feudi che essi avevano avuto dall’Imperatore di Germania, Ottone I°, che in quei tempi dominava anche in Italia. Nelle incursioni dei conti Fieschi, gli storici ricordano i “conti guerrieri” Thedisio, Ansaldo e Rubaldo che espugnarono il castello di Vignolo Lo storico Pansa dice che Rubaldo di Thedisio, chiamato il “Frisco”, nell’anno 1068, dopo aver preso il castello di Vignolo con il figlio Rubaldo, espugnò il castello di Mezzanego e lì vi morì. Detti conti Fieschi, avendo stabilito sede di amministrazione nel castello di Vignolo intorno all’anno 1100, ed esercitando il loro potere amministravano le valli di Cichero, di Sturla fino a Valle Tigre, al Vallone Luvega del monte di Carpenissone, e del Carnella e anche il castello di Levaggi. Poi, per convenzione con la Repubblica di Genova, nell’anno 1451, i conti Fieschi passarono la dominazione del castello di Vignolo e dei luoghi sopraddetti alla Repubblica genovese. I conti Fieschi che fecero tale convenzione con la Repubblica di Genova, si chiamavano: Ugo, Fulco, Vignardo e Robbandino di Vignolo. Nell’anno 1350 gran parte del castello era crollato, specie dal lato nord ed il torrione aveva riportato gravissimi danni. I conti di Vignolo lo ricostruirono e ripararono il torrione, ritornando cosìall’antica efficienza e importanza, essendo stato sempre nella storia, teatro di sanguinose battaglie. Nell’anno 176 avanti Cristo, i Liguri, non sopportando la dominazione dei Romani, stretto un patto di alleanza con Annibale, condottiero cartaginese, si ribellarono e dal passo del Bocco al castello di Vignolo, sul monte Zatta e specialmente sul monte Biscia, successero grandi fatti d’armi, con cruenti lotte e massacri, per liberarsi dal dominio Romano. Ancora durante la guerra di successione austriaca, negli anni 1740 – 1748, truppe austro-piemontesi invasero i territori della Repubblica di Genova e reparti di soldati austriaci, scesi dal ducato di Parma e Piacenza, si stabilirono nel castello di Vignolo e attaccarono i Genovesi al Bocco, sul monte Zatta, sul monte Biscia: successero gradi fatti d’armi, e al Passo di Centocroci gli austriaci furono ricacciati con gravi perdite. L’armistizio fu stabilito in un casolare di San Pietro Vara, e per questi eventi bellici rimasero famosi il passo del Bocco, i valichi di Mezzanego, del Biscia, dello Zatta, Reppia, Terrizzo, Né, Tolceto, Centocroci e il Castello di Vignolo che, assaltato da cinquecento giovani della Val Graveglia, gli austriaci, prima di ritirarsi, lo hanno distrutto con mine e incendio. L’attuale castello è stato nuovamente ricostruito sullo stesso luogo dell’antico maniero negli anni19091910-1911 dal conte di Vignolo, Attilio, deputato nella XXIV° legislatura. Per la sua posizione inaccessibile è sempre stato molto temuto e ammirato, che risorto sulle ceneri dell’antico, domina maestoso sulle valli dello Sturla e di Cichero. Il passo di Centocroci è importante perché domina il versante del Taro nel parmense e il versante del Vara in Liguria, perciò vi transitavano molti mercanti per lo scambio delle merci. Una leggenda racconta di un monastero al valico, dove dei buoni monaci, oltre che lavorare e pregare, davano da ristorarsi e da riposare ai mercanti e viandanti che attraversavano il passo. Una notte i banditi, che in quei tempi infestavano queste valli, circondato il monastero uccisero tutti i monaci e travestitisi con gli stessi indumenti dei monaci, con inganno fingevano di trattarli allo stesso modo, ma nella notte li uccidevano e spogliatili di tutto quello che avevano li gettavano in una profonda voragine. Però uno di questi viandanti, essendo rimasto tramortito e solo ferito, riavutosi nella notte riuscì a scappare dalla voragine, avvisare subito le autorità: così li catturarono e li giustiziarono impiccandoli tutti. Tolti poi i morti dalla voragine e inumati in un campo vicino, essendo cento il numero degli uccisi, a ricordo di quella desolante tragedia il paese fu chiamato Centocroci. Annotiamo calamità e avvenimenti storici, succeduti in questi paesi dal medioevo ai nostri giorni. Anno 1300 fortissima pestilenza venuta dall’Asia; i questo tempo è venuta gente dal cognome Casella che si è stabilita in Villa Grande di Cichero, che per causa della peste era fuggita dall’omonimo Castello Casella presso Genova, erano del partito ghibellino cioè dell’Imperatore. Anno 1340 fortissima scossa di terremoto. Anno 1348 grande pestilenza in tutta Italia. A Genova e in tutta la Liguria fu tanto tremenda che di mille persone se ne salvarono appena dieci. Gli storici narrano che non vi sia stato altro tempo così crudele. Le città spopolate, piene di morti e di moribondi e le campagne incolte e piene di cadaveri. I primi segni di questo male erano “pustole” che apparivano sul corpo, con gran febbre e in due giorni si moriva. Anno 1384 infierisce di nuovo la peste. Anno 1400 il flagello della peste colpisce ancora molta gente e crea molti disagi. Anno 1464 in Chiavari e paesi limitrofi, il 24 luglio, ricompare la peste e imperversa una influenza chiamata “epidemia”. Anno 1491 gli ulivi e tante piante da frutto sono molto danneggiate da un terribile gelo. Anni 1493÷1500 a Genova e in tutta la Liguria serpeggia una insopportabile pestilenza. Anni 1525÷1529 a Chiavari infierisce nuovamente la terribile peste. Gli abitanti cercavano rifugio nei paesi vicini ma erano ugualmente colpiti assieme alla gente dei paesi in cui si erano rifugiati. Anni 1535÷1543 in Borgonovo, ora comune di Mezzanego, un malfattore di nome Vincenzo Zenoglio, Vincenzo del Fossato per altri, con il soprannome comunemente chiamato “Crovo”, si fa capo di una feroce banda di briganti. I suoi principali collaboratori e luogotenenti nelle rapine, nei sequestri e nei delitti, si chiamavano: Barranasca, Serafino, Marcheize, Prete, Bianco, Massacanare, Calcagno, Belecca, Malatesta e un certo Agostino di Baranzuolo. La triste carriera di questo malvagio bandito cominciò nel 1535 e divenne famoso col nome di Crovo per i tanti delitti, sequestri e rapine effettuati in questi paesi, nei dintorni di Genova e nei territori di Parma. Sfruttando lotte intestine fra le nobili famiglie e facendo loro vergognosi e loschi servizi, veniva protetto con tutti gli uomini della sua banda, che erano oltre quaranta e infestavano queste valli. Le potenti famiglie dei Bacigalupo e dei Ravaschieri lo proteggevano perché le serviva in feroci vendette e disonorevoli e vergognose azioni. Ovunque. questa brutale banda, faceva rapine con sequestri di persone facoltose, le portavano a Borgonovo, in prigione, per ricevere il riscatto e ricevutolo qualcuno lo uccidevano ugualmente. A Carasco, due fratelli (Simonetti) per non aver pagato la taglia dei due muli carichi d’olio, li uccisero e si impadronirono dei muli e dell’olio. Nel 1540 , il Crovo con la sua banda di malviventi, compì, a favore delle famiglie Bacigalupo e Ravaschieri di Chiavari, criminose vendette. Compiute così delittuose imprese, i feroci banditi se ne ritornavano tranquilli a Borgonovo, dove se ne stavano al sicuro, perché la Repubblica di Genova oltre Carasco non riusciva a far prevalere la sua autorità. Pertanto in queste valli non vi furono borghi e paesi che la crudele banda del Crovo non avesse commesso ruberie e omicidi. In quegli anni così tristi i banditi, protetti dai confini vicini e da potenti famiglie, signoreggiavano le alture degli Appennini sicuri dell’immunità nei loro fortilizi, nelle gole dei monti, commettevano aggressioni specialmente sui proprietari più facoltosi, che non essendo aiutati dalla giustizia si difendevano come meglio potevano. Favoriti da questi eventi progredivano sempre più a depredare e a fare ogni possibile male. Aumentando la loro vile potenza, dilatavano a delinquere anche sul territorio di Parma, Piacenza, Modena e Toscana. I passi più pericolosi infestati dai banditi erano: il Bocco, il monte Zatta, la Forcella, Reppia, il monte Biscia, il monte Tolceto e Centocroci. Per chi viaggiava, per oltrepassare detti passi, era impossibile restare illesi da questi feroci predoni. Ma dopo tante criminose malvagità, anche per il Crovo e la sua criminosa banda, arriva il tempo della resa dei conti e dover pagare per i terribili delitti compiuti. 26 maggio 1543 il duca di Firenze recandosi a Genova a fare visita al Doge, ed entrata la carovana nella Giurisdizione della Repubblica genovese, il Crovo con i suoi numerosi banditi attaccò la retroguardia del Duca, svaligiandoli di tutti i bagagli. L’impressione fu enorme. Dopo questo grave fatto l’affare banditi procurò una protesta e un risentimento internazionale. Genova doveva rispondere del delitto e non potendo avere i banditi con la forza, per riparare al vergognoso crimine, ricorse all’inganno. Il Conte Gian Luigi Fieschi, signore di Santo Stefano d’Aveto, essendo un protettore del Crovo ed avendo anche lui molte malefatte da rendere conto alla Repubblica genovese, dietro amnistia per se e per i suoi uomini, si obbligò ad eliminare, in un agguato, il Crovo con la sua banda. La notte del 15-16 agosto del 1543, il Crovo, il Calcagno e molti uomini della deplorevole banda, erano radunati nel paese di Rezzoaglio per un convitto. All’improvviso furono attaccati e trucidati dagli uomini del Fieschi. Questa la meritevole fine del Crovo, Bozano, Calcagno, Massacano, Tonso di Brignora, Stanga, Fogliacci e molti altri. E così queste valli ebbero un po’ di respiro. Il Capitano e il Commissario di Chiavari richiesero i loro corpi per porli alla forca, beché morti, come si era già fatto per altri casi. I cittadini di Chiavari e la gente dei paesi vicini poterono finalmente vedere penzolare sulla forca i famosi e terribili banditi della Val Sturla. Ma in queste valli, anche con la soppressione della banda dei briganti del Crovo, i delitti non ebbero termine: solo in Borgonova, paese allora di 240 abitanti, dalla morte del Crovo al 1690 avvennero ancora 20 omicidi. Anno 1547 a Genova muore, annegato nelle acque del porto, il Conte Gian Luigi Fieschi, famoso anche per la congiura contro l’Ammiraglio Andrea Doria, e causati da spirito di parte faziosa succedono tanti fatti di sangue. Anni 1556-1557 infierisce la peste bubbonica, detta peste nera, uno dei più tremendi flagelli che si conosca nella storia delle nostre belle contrade. Per la sua intensità nell’espandersi, la gente fuggiva ai monti ma era ugualmente colpita dalla micidiale epidemia e moriva miseramente. Ne sono testimonianza le tombe trovate in seguito nei boschi, in cui i superstiti deponevano i cadaveri dei morti appestati. Anni 1576-1577 un’altra invasione pestilenziale procura di nuovo disagi e morti. Anno 1622 grave influenza epidemica a Chiavari e paesi limitrofi. Anno 1626 le acque dei torrenti, ingrossate dalle intense piogge, straripano e asportano le passerelle. Anno 1637 una forte scossa di terremoto causa panico nella gente e danneggia molte case. Anno 1641 il giorno 10 luglio cade un turbinio di grandine che uccide molto bestiame e rovina la campagna, originando una forte carestia. Anni 1646-1647 una terribile pestilenza desola tutta l’Italia, imperversando nelle valli tributarie dell’Entella, causando male e miseria. Anno 1662 un’epidemia influenzale turba Chiavari e dintorni. Anni 1684÷1697 in questi anni la gente ebbe a soffrire una forte carestia: il pane era venduto a 30 soldi la libbra. Anno 1768 il Governo della Repubblica di Genova cede al Re di Francia, Luigi XV, l’isola di Corsica. Anno 1769 il gelo danneggia le piante da frutto e ritorna la carestia. Anno 1770 intense piogge arrecano gravi danni. Anno 1782 un gravissimo gelo rovina gli ulivi e molte piante da frutto, causando nuova carestia. Anno 1789 in Francia dilaga una grande rivoluzione che cambierà, per la sua efferatezza e atrocità, il volto del genere umano. Vengono decapitati anche il Re Luigi XVI e la Regina Antonietta. Anni 1797-1798 il generale Napoleone Bonaparte, con un esercito, dalla Francia attraversa le Alpi e occupa lo Stato piemontese con Genova e i territori della Repubblica. In nome della libertà istituisce nuove leggi e nuovi ordinamenti, stabilisce un’amministrazione in ogni Parrocchia. In Genova l’ordine democratico del Podestà e del Capitano durò fino alla fine del 1797. Il 14 giugno 1798, al rombo di cannoni, venne inaugurato il Governo Democratico Provvisorio. Si ebbe la gioia di credere nella libertà inneggiata dalla Francia e in Genova, in piazza Acquaverde, fu innalzato l’ALBERO DELLA LIBERTÀ, per eccitare l’entusiasmo del popolo; ma non era che un’amara delusione: di fatto si era passati sotto il dominio della Francia. Il Governo Provvisorio, stabilito a Genova con uomini faziosi e venduti, in nome della libertà non lasciò d’imperversare in tutta la Liguria, con tasse, angherie e violenta prepotenza. Le popolazioni, mal soffrendo le vergognose amministrazioni di persone egoiste e irresponsabili, da ogni parte insorsero per liberarsi di comandi tanto detestabili e, in tutto il territoro della Repubblica, abbatterono l’albero della libertà, come per liberarsi dal giogo. Ma il Governo Rivoluzionario, con l’appoggio della Francia, contrattaccò subito e vinse. Imbaldanzito della vittoria emanò terribili decreti di morte, e obbligo di consegnare i beni. Cercò di spogliare le chiese e le Opere Pie, degli ori e degli argenti. A ricordo di quei riprovevoli tempi, qui a Cichero, nella chiesa, abbiamo ancora una lampada d’argento che, con altri preziosi della chiesa, i nostri progenitori, per non lasciarli depredare, avevano portato a nascondere in un grosso albero di castagno, in un terreno detto Sottolomaro. Il governo di programma, in nome di libertà, uguaglianza e fraternità, innalzava nuovamente l’albero della libertà, ma in ogni amministrazione dava luogo a risse e diverbi. Il governo democratico ombra, diretto dalla Francia, non finiva di fare leggi e di aggravare di tasse la popolazione. Il consiglio dei sessanta, divise la repubblica in distretti e Chiavari con 4777 abitanti fu fatta capoluogo di cantone. Bacezza 567 – S.Andrea di Rovereto 402 – Maxena 567 – S.Rufino di Leivi 604 – Ri 610 - Caperana 282 – Rivarola 690 – Lavagna 3318 – Cavi 698 – Barassi 225 – Centaura 940 – Cogorno 1432 – S.Salvatore 475 – Chiappa 475 – Orero 940 – Cichero 570 – Romaggi 203 – Soglio 890 – Certenoli 624 – Camposaso 620 – S.Colombano 233 – Carasco 277 – Celesia 257 – Vignolo 547 – Mezzanego 187 – Borgonovo 540 – Forca 189 – Montemaggio 137 Borzonasca 940 – Levaggi 400 – Borzone 259 – Porcile 140 – Caregli 468 – Acero 196 – Sopra la Croce 1027 – Temossi 352 – Graveglia 205 – Paggi 251 – Né 632 – Caminata 33 – Garibaldo 544 – Costa di Zerli 259 – Pontori 159 – Reppia 409 – Totale abitanti 32561. Questo censimento fu eseguito per ordine di Napoleone Bonaparte, nell’anno 1803, unificando la popolazione sotto la giurisdizione dell’Entella. Nell’anno 1805 Napoleone annesse all’impero francese il Piemonte con i territori di Nizza e della Savoia, la Liguria e la Toscana. Chiavari fu dichiarata capoluogo del dipartimento degli Appennini e il governo francese prendeva possesso, il 23 dicembre 1805, della nuova prefettura di Chiavari insediandosi nel palazzo Pallavicini di fronte alla chiesa di S. Francesco. Nell’anno 1806 Napoleone divise il territorio ligure in quartieri d’iscrizione marittima, ed ogni quartiere in stazioni e sindacati. Il quartiere di Chiavari comprendeva anche le stazioni di Rapallo, Sestri Levante e Levanto: Fu istituito allora il Mayre (sindaco) cui il suo titolare fu nominato Mayre con abito Bleu, gallonato d’argento con tre ordini, cioè al colletto, al paramani e alle tasche. Insuperbito da così strepitose vittorie, con un esercito di circa ottocentomila soldati, immenso in quei tempi, parte contro la Russia che non voleva sottostare ai suoi ordini. Nel mese di giugno Napoleone, si era nell’anno 1812, inizia la lunga marcia per raggiungere Mosca, logorando la grande armata in furiosi combattimenti e, raggiunta Mosca in pieno inverno, la trova incendiata e abbandonata dai russi. Per il grande freddo e mancanza di rifornimenti, Napoleone deve iniziare il ritorno con grandi perdite dovute al freddo, agli scarsi rifornimenti, ad attacchi improvvisi e sanguinosi agguati dei russi, concludendo la campagna con un irrimediabile disastro, cioè con la quasi distruzione dell’armata. Molti italiani dovettero partecipare a quella spedizione, e anche allora in quelle fredde desolate steppe di italiani ne morirono 28.000. Anche due fratelli di Villa Grande di Cichero da quella campagna non ritornarono più; erano della famiglia Tilli, e c’è ancora la casa dove erano nati. Attaccato nuovamente dagli alleati, Napoleone rimane sconfitto a Lipsia in Germania e dopo con la sconfitta determinante a Waterloo in Belgio, scomparve la folle potenza napoleonica. Morì prigioniero degli inglesi nell’anno 1821 che lo avevano deportato a Sant’Elena, isola del sud-atlantico: era nato ad Ajaccio in Corsica nell’anno 1769. Le guerre napoleoniche a Genova e in Liguria furono causa di carestia e pestilenza e una immensa moltitudine di bruchi, nella primavera dell’anno 1808, ricopre gli alberi di castagno divorandone le foglie e i virgulti, impedendone la fruttificazione. Questa epoca fu detta “tempo del bruco”. Anno 1815 Gli alleati che hanno sconfitto Napoleone, nel trattato di Vienna, la repubblica di Genova , con il suo territorio, viene unita al regno Sardo e, con regio decreto del 1817 fu stabilito che il rappresentante del municipio e capo dell’amministrazione comunale fosse di nomina regia. Anni 1815 – 1817 Causa lo scarso raccolto e la grande carestia, il popolo si ciba di fave e di lenticchie, anch’esse arrivate a prezzi altissimi. La scarsa e cattiva nutrizione causa malattie epidemiche, favorite anche dalla siccità e dal grande caldo estivo. Questo periodo fu detto “delle lenticchie e del petecchiale”. Sempre in quest’ epoca gli uomini dai 18 ai 50 anni dovevano far parte della guardia nazionale e le assemblee o congreghe dovevano essere fate al suono del corno marino. Anno 1833 L’Arciprete di Chiavari, Antonio M. Gianelli – ora Santo – manda a Cichero il canonico Borzone con missionari predicatori che vi portano il quadro ed il culto della Madonna dell’Orto. Anni 1835 -1836 Il colera imperversa nella Liguria orientale, invitati a votarsi al S.S. Crocifisso, dal Santo arciprete di Chiavari, Antonio Maria Gianelli, le popolazioni di Chiavari e del circondario scamparono dal terribile flagello. Anno 1840 Interminabili piogge gonfiano i torrenti che straripando arrecano tanti danni. Anno 1848 Essendo lo stato del Piemonte in guerra con l’Austria, uomini di queste valli, loro malgrado vengono arruolati Anno 1850 I nostri vigneti colpiti dal chittogrammo vengono per la prima volta curati con zolfo polverizzato. Anno 1855 Lo stato piemontese partecipa alla guerra e anche i nostri giovani sono dovuti partire Anno 1860 Alla spedizione dei Mille in Sicilia partecipano anche persone di questa valle. Anno 1865 Viene costruita e portata nella chiesa di Cichero la statua meravigliosa della Madonna dell’Orto Anno 1879 A Costa del Canale si comincia a costruire la strada rotabile che in circa 100 anni porterà i paesi di Cichero, Celesia e Baranzuolo a mettersi in comunicazione con i centri del Tigullio. Anno 1889 Si ristora e s’intonaca all’esterno il campanile della chiesa di Cichero. Anni 1894 – 1895 Anche nella guerra d’Africa contro l’Etiopia vi devono andare dei nostri uomini. Anni 1911 – 1912 La guerra per la conquista della Libia e delle isole di Rodi porta anche nella nostra valle inutili sofferenze. Anno 1914 Per il delitto di Serajevo scoppia una terribile guerra, che poi diventa mondiale. Anno 1915 Malauguratamente l’Italia si allea, abbandonando la neutralità, con Francia e Inghilterra per combattere contro l’Austria e la Germania, dando luogo a indicibili sofferenze e, come aveva detto il Papa Benedetto XV, a grandi e inutili stragi. Anno 1919 Subito terminata la guerra, dilaga in Europa un’epidemia detta “Febbre spagnola” che procura moltissime vittime. Anno 1922 Prende forma il partito fascista che, con a capo Benito Mussolini, va violentemente con i manganelli e olio di ricino, al governo. Anni 1936 – 1936 Mussolini favorito dal governo da lui istituito, contro la misera gente etiopica fa una guerra disonesta. Anni 1936 – 1937 Nuovamente Mussolini si impegna nella guerra civile spagnola con disastrose perdite. Anno 1939 Il primo settembre, la Germania nazista, concluso un losco patto di aggressione con l’Unione Sovietica comunista, attacca proditoriamente la Polonia e scatena sinistramente la seconda guerra mondiale, la più micidiale di tutti i tempi che la storia ricordi. Anno 1940 Non ascoltando i consigli degli onesti e giudiziosi, anche del Pontefice Pio XII, vergognosamente il governo fascista dichiara la guerra alla Francia e all’Inghilterra. Si è dovuto sopportare una guerra impari per mezzi deficienti e armamenti inferiori alla potenza degli eserciti che si combatteva, subendo sempre cocenti sconfitte. Il 25 luglio 1943, nel gran consiglio dei ministra, il duce Mussolini viene dimissionato dal potere e arrestato, ma la guerra continua. Il nuovo governo con a capo Pietro Badoglio, che il re Vittorio Emanuele III aveva instaurato, non ha saputo o voluto provvedere nei giusti modi per mettere fine a una così sanguinosa tragedia che incautamente si era cominciata. Il giorno 8 settembre 1943, il bollettino di guerra del governo Badoglio, pubblica l’armistizio attirandoci l’ira e la vendetta di Hitler, il dittatore della Germania e la sfiducia degli alleati. La Germania immediatamente invia forti rinforzi in Italia, e approfittando del caos dei nostri comandi, occupa il territorio catturando moltissimi nostri soldati per servirsene nella tragica e insopportabile guerra. Coadiuvati da persone incoscienti, i nazifascisti commettono ogni sorta di delitti e rapine. Però il popolo italiano, in maggioranza pensa onestamente che la Germania avrebbe perduto la guerra che da quattro anni conduce con tanta violenza e crudeltà. Subito dopo l’armistizio, sorgono le formazioni partigiane per arginare le azioni e i delittuosi soprusi dei violenti nazifascisti che dominavano. Nella nostra valle fu istituita la Divisione Cichero, diretta da un giovane severo ma onesto di Genova – Aldo Gastaldi – con il nome di battaglia “Bisagno” che con i distaccamenti installati ai piedi del monte Ramaceto, cercavano di allentare le vili rappresaglie dei nazifascisti. Queste ignobili squadracce che facevano ogni crimine erano comandate dal dott. Angeli e da Spiotta, due torbidi individui. Il sabato 13 luglio 1944, travestiti da partigiani, sono scesi dal monte Ramaceto, però erano con una squadra di feroci nazifascisti partiti dalla Casa dello Studente di Genova per distruggere le formazioni partigiane stanziate a Cichero e incendiare il paese. Era la banda “Gigi”. La domenica 14 luglio 1944, tentano di ingannare la gente per scoprire i partigiani e prenderli a fucilate. Infatti alla sera essendo fuggito un partigiano di Borgonovo, Mario – nome di battaglia Beppe – cominciano una sparatoria e uccidono i partigiani giornalisti che avevano sequestrato in un casone sotto il monte Ramaceto. Altri partigiani feriscono componenti della banda Gigi e si portano via una ragazza – Signorina Rosa – che poi fucilano nei pressi di Rovegno. Il comandante della banda che chiamavano Pippo, dopo la fucilazione dei partigiani, ancora inferocito, specialmente per il rapimento della Sig.na Rosa, ha fatto incendiare in Villagrande quattro case, minacciando che avrebbe incendiato e distrutto tutto se non gli avessero reso la Sig.na Rosa, che però come si è detto venne fucilata pochi mesi dopo perché accusata di aver fatto torturare dei partigiani. Il mercoledì 17 luglio 1944 sono ritornati e hanno incendiato e distrutto, danneggiando il più possibile, tutto. Non hanno risparmiato nemmeno la chiesa, la canonica, la scuola e le strutture interne del campanile, ma il quadro della Madonna dell’Orto, che il Santo arciprete di Chiavari – Antonio Gianelli – con i missionari ci aveva mandato nel 1833 non era stato minimamente scalfito, segno che la Madonna sempre ci soccorre, ma si deve essere riconoscenti. Io ho passato questo amaro tempo. Il 9 settembre 1943 ero sfuggito alla cattura dei tedeschi, ma quale ricompensa per aver sempre obbedito agli ordini superiori, ho avuto la casa incendiata e distrutto tutto quello che si aveva, anzi mi hanno anche sparato e ferito. Abbiamo collaborato sempre tutti con i partigiani e ci siamo aiutati sempre il più possibile aspettando ansiosamente la fine di così truce lotta fratricida. Impresso nella mente ci è rimasto il comandante della divisione partigiana Cichero – giovane di profonda educazione cattolica, dotato di spirito coraggioso e di grande generosità e giustizia. Combatteva per un mondo più buono e più giusto, ma volontariamente, non voleva far male a nessuno. Una sera, essendo il paese distrutto, mi disse che non avrebbe mai potuto dimenticare Cichero e avrebbe fatto tutto il possibile per ricostruirlo meglio di prima. Terminata la guerra, nel maggio 1945, siamo rimasti tanto addolorati e stupiti per la sua immatura e misteriosa fine, aveva 24 anni Bisagno, era nato a Genova nell’anno 1921. Un altro partigiano di Genova, forte e di vigoroso coraggio – Salita – anch’egli in un distaccamento a Cichero, una sera per una commissione molto importante, era in viaggio, e nei pressi di Baranzuolo inciampa in una pattuglia di nazifascisti che subito sparano. Nell’impari lotta gravemente colpito, cadde come morto e, volendo finirlo, un tedesco gli spara un colpo in bocca. Credendo che fosse finito i nazifascisti se ne sono andati. Con sforzo sovrumano, tutto dolorante, riesce ad alzarsi e a raggiungere i suoi compagni. Viene curato a Villagrande, ma per le continue rappresaglie viene trasferito in una casa solitaria con un compagno in località Ferreccio, ma scoperti da spie fasciste sono catturati e rinchiusi in prigione. I tedeschi per ognuno di loro che rimaneva ucciso, ne uccidevano 10, i primi che capitavano. A Cavi di Lavagna, avevano ucciso un tedesco e sul posto ne fucilarono 10 dei nostri prelevati dalle prigioni. Fra questi c’era anche Salita. Non rimase colpito, si buttò nella fossa con gli altri, ma riesce ancora a scappare e così abbiamo saputo della sua paurosa avventura. Si era quasi al termine dell’immane guerra e i partigiani per curarlo lo portarono a S. Stefano d’Aveto, ma l’emoraggia che gli procurava la grave ferita alla bocca non guarì e dopo qualche mese, con tanta sofferenza dovette morire. Da Ricordare un partigiano di Borgonovo, Beppe, che la domenica 14 luglio 1944 venne preso dalla banda Gigi, ma con uno stratagemma riuscì a sfuggire alla banda e alla sicura fucilazione. Però anche lui rimase ucciso in un’imboscata sui monti della Rondanaia. Con un mio amico siamo andati al passo del Dente, per portarlo, morto nella cassa, in una cappella del cimitero di Cichero. I suoi congiunti l’hanno poi trasferito nel loro camposanto di Borgonovo. La Val Cichero, nella disastrosa guerra, ha dovuto lasciare 18 morti. Il 28 aprile 1945, a Dongo vicino al confine svizzero, i partigiani hanno fucilato, con molti suoi collaboratori, il duce Benito Mussolini, il maggior responsabile dei disastri che avevamo passato per aver voluto partecipare a una guerra così criminosa. Poi, nei primi giorni di maggio, con la resa della Germania ebbe termine la lunga e feroce guerra. Questo è l’elenco delle perdite umane nella prima e nella seconda guerra mondiale. Vittime della guerra 1914 – 1918: GERMANIA 1.809.000 RUSSIA 1.700.000 FRANCIA 1.385.000 AUSTRIA/UNGHERIA 1.200.000 GRAN BRETAGNA 950.000 ITALIA 650.000 TOTALE ………………………………. 8.844.000 SERBIA TURCHIA ROMANIA U.S.A. BULGARIA 960.000 920.000 250.000 115.000 100.000 Vittime della guerra 1939 – 1945 STATI DELL’ASSE GERMANIA ITALIA AUSTRIA ROMANIA UNGHERIA FINLANDIA GIAPPONE BULGARIA MILITARI CIVILI 3.250.000 3.610.000 330.000 85.000 230.000 80.000 200.000 465.000 120.000 280.000 90.000 -1.700.000 360.000 1.000 7.500 TOTALE MILITARI DELL’ASSE 5.930.000 TOTALE CIVILI 4.887.500 TOTALE MILITARI E CIVILI DELL’ASSE 10.817.500 STATI ALLEATI MILITARI CIVILI UNIONE SOVIETICA GRAN BRETAGNA FRANCIA U.S.A. BELGIO NORVEGIA OLANDA POLONIA GRECIA JUGOSLAVIA CECOSLOVACCHIA CINA 13.600.000 7.700.000 452.000 60.000 250.000 360.000 295.000 --10.000 90.000 10.000 --10.000 190.000 120.000 5.300.000 10.000 80.000 300.000 1.300.000 20.000 330.000 3.500.000 10.000.000 TOTALE MILITARI ALLEATI 18.587.000 TOTALE CIVILI 25.997.000 TOTALE MILITARI E CIVILI ALLEATI 43.997.000 TOTALE MILITARI E CIVILI DELL’ASSE E ALLEATI 54.404.500 Questi sono i risultati che l’orgoglio e l’odio, con inconcepibili sofferenze e disastri economici, arrecano all’umanità. Da queste impressionanti lezioni, si dovrebbe progredire nell’onestà e nella giustizia, per una vita tranquilla, retta e generosa. REZZOAGLI DOMENICO – nato il 23 marzo 1913, a ricordo del caro paese di Cichero Cichero, il 23 maggio 1993 …. …. (firmato Rezzoagli Domenico)
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