PROCURA REGIONALE PRESSO LA SEZIONE GIURISDIZIONALE PER IL VENETO INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO RELAZIONE DEL PROCURATORE REGIONALE Carmine Scarano VENEZIA, 4 MARZO 2015 PROCURA REGIONALE PRESSO LA SEZIONE GIURISDIZIONALE PER IL VENETO INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO 2015 RELAZIONE DEL PROCURATORE REGIONALE Carmine Scarano VENEZIA, 4 MARZO 2015 INDICE Pag. 1. Introduzione 1.1 Guardia di finanza 1.2 N.A.S. 2 2 2. Attività della Procura Regionale per il Veneto – Anno 2014 3 3. Casi rilevanti 4 3.1 3.2 3.3 3.4 3.5 3.6 3.7 3.8 Giudizio avente ad oggetto la indebita sottrazione di risorse pubbliche ed il danno da disservizio arrecato alla Azienda ULSS n. 9 di Treviso Giudizio relativo ad un danno patrimoniale diretto da mala gestio arrecato al Ministero della difesa Comando Brigata Alpina Julia – 7° Reggimento alpini di Belluno Giudizio riassunto avente ad oggetto l’irregolare gestione del contenzioso presso la Capitaneria di Porto di Venezia Giudizio relativo ad alcuni illeciti a danno del Comune di Treviso Giudizio relativo ad un incarico affidato dalla Provincia di Venezia in assenza dei requisiti di legge Giudizi relativi alla violazione delle disposizioni regolanti il rapporto fra medico di medicina generale e Servizio Sanitario Nazionale Giudizio conseguente ad una condanna inflitta dal giudice del lavoro al Comune di San Donà di Piave Giudizio riguardante lo svolgimento di incarichi privi di autorizzazione da parte di un dirigente regionale 4 4 5 5 6 7 7 8 3.9 3.10 3.11 3.12 3.13 3.14 3.15 3.16 3.17 3.18 3.19 Giudizio avente ad oggetto l’irregolare prescrizione di farmaci a carico del SSN da parte di un medico convenzionato di medicina generale presso l’Azienda ULSS 20 di Verona Giudizio in materia di danno da disservizio derivante dalla condotta di un’assistente domiciliare presso invalidi dell’Azienda ULSS 15 Alta Padovana Giudizio avente ad oggetto il mancato rinnovo dei contratti relativi ad unità immobiliari dell’A.T.E.R. di Venezia Giudizio concernente l’esercizio abusivo della professione da parte di un medico dell’Azienda ULSS n. 5 Ovest Vicentino Giudizio relativo all’omessa o tardiva registrazione di contratti di locazione da parte di un Funzionario dell’A.T.E.R. di Venezia Giudizio avente ad oggetto il danno indiretto derivante al Comune di Oderzo (TV) da una condanna per mobbing Giudizio avente ad oggetto una transazione a seguito di azione risarcitoria intentata da un dirigente dell’Azienda ULSS n. 17 di Este Giudizio in materia di conferimento di incarichi da parte dell’Azienda ULSS n. 12 Veneziana in assenza dei requisiti Giudizio in materia di indebita corresponsione di aumenti ad alcuni dirigenti del Comune di Cittadella Giudizio avente ad oggetto il risarcimento ottenuto da privati nei confronti del Comune di Albignasego (PD) in materia di accessione invertita Giudizio relativo alla mancata percezione di canoni concessori per occupazione del demanio marittimo 8 9 9 10 11 11 12 12 13 13 14 4. Il patrimonio immobiliare pubblico 16 5. Separazione tra indirizzo politico e amministrativo e abolizione dei segretari comunali 23 6. La P.A. ed i problemi irrisolti 30 7. Il tema della corruzione 35 8. Conclusioni 38 9. Statistiche 41 Sig. Presidente, Autorità, Signore e Signori. Rivolgo un caloroso saluto al sig. Procuratore Generale, ai componenti del Consiglio di Presidenza e al rappresentante dell’Associazione Nazionale Magistrati della Corte dei conti. INTRODUZIONE Il 25 settembre 2014 si è tenuto il secondo giudizio di parifica del rendiconto della Regione Veneto, in attuazione della legge n. 213 del 7 dicembre 2012.1 Sono state confermate le criticità già emerse l’anno precedente in ordine all’intervento del Procuratore regionale, quale garante della legalità, all’udienza della Sezione di controllo È stato già detto, ma è opportuno ripeterlo, che le difficoltà sono state molte per i tempi ristrettissimi nei quali si è dovuto lavorare e, soprattutto, per la carenza di personale amministrativo, che è stato distolto dall’abituale impegno legato all’attività istruttoria della Procura. Le difficoltà sono state superate grazie alla stretta collaborazione con i magistrati ed il personale amministrativo della Sezione del controllo ai quali va il mio ringraziamento. 1 Il Giudizio di parificazione sul rendiconto generale della Regione presenta alcuni caratteri peculiari rispetto all'omologo svolto sul bilancio statale. Pur non mancando le potenzialità di utilizzo di questo istituto, soprattutto nell'attuale articolato sistema dei controlli sulle autonomie, elementi sia strutturali sia contingenti non ne fanno ora uno strumento realmente efficace. In carenza di un regolare e completo flusso di dati dalla Regione alla Corte dei conti e in assenza delle necessarie misure organizzative e di rafforzamento dell'organico della magistratura contabile, il rischio è di giungere ad una pronuncia parziale sul rendiconto generale della Regione, che finisce per dare un esito sulla gestione non corrispondente ad un completo controllo. (NOTE A MARGINE DEL GIUDIZIO DI PARIFICAZIONE SUL RENDICONTO GENERALE DELLA REGIONE) Prof. Carola PAGLIARIN 2 In tale frangente va detto che se da un lato è nato un positivo punto di contatto tra le funzioni di controllo e quelle giurisdizionali della Corte dei conti, nell’ottica della Procura regionale l’esito del giudizio di parifica del rendiconto della gestione della Regione, risulta insoddisfacente per i limiti strutturali imposti dalle limitate risorse. Guardia di Finanza Devo ancora una volta esprimere l’apprezzamento mio personale e dei magistrati dell’Ufficio per la collaborazione fornita dalla Guardia di Finanza con il Nucleo PT di Venezia e con i Nuclei PT provinciali. L’apporto di competenza e di impegno professionale del Corpo costituisce un pilastro fondamentale dell’attività requirente contabile, che richiede indagini complesse e di rilevante impegno tecnico giuridico. La Guardia di Finanza è altresì prezioso elemento di raccordo per il coordinamento con l’attività requirente delle Procure della Repubblica operanti in Veneto. NAS Come preannunciato l’anno scorso, nell’ottica di implementare le attività di indagine della Procura, è stato firmato un protocollo d’intesa con il Comando Carabinieri per la tutela della salute al fine di rafforzare la lotta agli sprechi ed ai comportamenti illeciti nel settore sanitario. Il protocollo conferma la collaborazione già in atto con i NAS di Padova e Treviso, in seguito alla quale la ULSS di Rovigo sta recuperando da una clinica convenzionata – in parte attraverso compensazioni – la somma di € 2.300.000,00 oltre ad accessori. Nell’ambito di un’altra indagine, oggetto anch’essa di delega ai NAS di Padova, l’ULSS n. 6 di Vicenza ha informato questa Procura di 3 avere recuperato da una clinica convenzionata in più riprese la somma di € 2.038.383,96 oltre interessi per rimborsi ottenuti (totale € 4.338.383,96). Attività della Procura Regionale per il Veneto – Anno 2014 Per quanto concerne le statistiche: - le vertenze pendenti per i casi di illecito segnalati alla data del 1 gennaio 2014 ammontavano a 7.754, alle quali se ne sono aggiunte 1.142 sulla base delle denunce pervenute nel corso dell’anno; - i fascicoli istruttori conclusi con archiviazione sono stati n.1.252 (1.948 nel 2013); - nell’anno 2014 sono stati citati in giudizio per danno erariale a vario titolo n. 122 soggetti (n. 115 nel 2013) per un ammontare complessivo di € 12.141.609,57 (€ 14.090.641,91 nel 2013) richiesto a titolo di risarcimento per danno erariale; Sotto il profilo dell’attività istruttoria sono state emesse n. 2.642 richieste istruttorie (n. 2507 nel 2013) e notificati inviti a dedurre a n. 201 destinatari (n. 104 nel 2013). Somme derivanti da riparazioni spontanee e Procedimenti monitori € 244.308,47. Esecuzione sentenze condanna di I e II grado recuperati € 3.037.941,18. 4 Casi rilevanti 1) Giudizio avente ad oggetto la indebita sottrazione di risorse pubbliche ed il danno da disservizio arrecato alla Azienda ULSS n. 9 di Treviso (Danno € 4.511.455,61 – 5 convenuti in giudizio). Il danno è stato causato da una dipendente della Azienda ULSS n. 9 di Treviso che ha sottratto indebitamente, per circa dieci anni, ingenti somme di denaro (€ 4.069.141,85), falsificando gli stipendi di una particolare categoria di medici della Azienda. La Procura contabile ha chiesto il risarcimento del danno alla citata dipendente per dolo, nonché ai dirigenti e funzionari, in via sussidiaria per colpa grave, posto che gli stessi avevano obblighi di verifica e controllo dell’attività lavorativa svolta dalla dipendente di cui trattasi. 2) Giudizio relativo ad un danno patrimoniale diretto da mala gestio arrecato al Ministero della difesa - Comando Brigata Alpina Julia – 7° Reggimento alpini di Belluno (Danno € 249.688,06 – 3 convenuti in giudizio). La citazione attiene al danno patrimoniale diretto da mala gestio nell’ambito del servizio di vettovagliamento, arrecato presso il 7° Reggimento alpini di Belluno, nel periodo 1 settembre 2010 – 31 dicembre 2011. La Commissione di inchiesta amministrativa interna ha accertato irregolarità di notevole entità nella gestione del servizio di vettovagliamento, per un danno erariale pari ad € 249.688,06. E’ emerso che il danno erariale è derivato dalla mancata ed inadeguata applicazione delle disposizioni di cui alla Circolare ILE-NL-32100010-12-00B02 ed. 2003, recante “Norme per il servizio vettovagliamento del personale dell’esercito”, nella parte in cui 5 prevede che le spese sostenute per il vettovagliamento del personale devono essere contenute entro le quote previste dal controvalore della razione viveri, così come stabilito con Decreto del Ministero della Difesa del 28 maggio 2009. 3) Giudizio riassunto avente ad oggetto l’irregolare gestione del contenzioso presso la Capitaneria di Porto di Venezia (Danno € 17.719,79 – 2 convenuti in giudizio). La sentenza della 1^ Sez. d’Appello n. 291 depositata il 24/2/2014, in riforma della sentenza della Sezione giurisdizionale del Veneto n. 110/2011, ritenendo fondato il motivo principale d’appello di questa Procura regionale, respingeva l’eccezione di prescrizione, rinviando alla medesima Sezione giurisdizionale di primo grado per il giudizio di merito. La vicenda deriva dalla relazione di un ispettore dell’IGF che ha evidenziato il disordine nella gestione del contenzioso, protrattosi per diversi anni, da parte della Capitaneria di Porto di Venezia, accertando che in molti casi l’ufficio non aveva dato seguito ad un elevato numero di sanzioni amministrative. Il danno erariale, quantificato in € 17.719,79, scaturisce dalla mancata notifica dei verbali di sanzioni amministrative ai trasgressori che ha determinato la prescrizione degli illeciti e la perdita dell’introito delle sanzioni a favore dello Stato. 4) Giudizio relativo ad alcuni illeciti a danno del Comune di Treviso (Danno € 1.266.895, 23 – 11 convenuti in giudizio). I fatti oggetto del giudizio traggono origine dalla esecuzione di un appalto di edilizia residenziale pubblica in cui il Comune aveva proceduto alla consegna dell’opera quando ancora non erano eseguibili i lavori (erano presenti inquilini che dovevano essere 6 trasferiti altrove). Successivamente, avendo esaurito i fondi del quadro economico, il Comune ingenerava un ragionevole affidamento in capo alla ditta esecutrice di realizzare varianti o integrazioni dei lavori, senza dar seguito a quanto prospettato. Pertanto, la ditta sospendeva i lavori e, dopo vane trattative, ricorreva al lodo arbitrale, con condanna dell’Ente committente. Il lodo arbitrale veniva impugnato senza sostanziali motivazioni (lite temeraria) fino al grado di Cassazione, ricorrendo anche ad avvocati esterni, nonostante il Comune di Treviso avesse una propria Avvocatura civica. 5) Giudizio relativo ad un incarico affidato dalla Provincia di Venezia in assenza dei requisiti di legge (Danno € 223.323,20 6 convenuti in giudizio). Il giudizio ha per oggetto l’incarico di collaborazione coordinata e continuativa affidato dal Presidente della Provincia di Venezia al Segretario particolare dello stesso, ai sensi dell’art. 90 del T.U.E.L., in assenza dei requisiti di legge. Il collaboratore, infatti, pur avendo il diploma di scuola media inferiore, è stato inquadrato come CO.CO.CO. ed ha beneficiato di una retribuzione pari a quella di un incarico dirigenziale. Il danno stimato è risultato pari alla differenza tra la retribuzione che si doveva conferire al consulente in ragione del corretto inquadramento e la retribuzione dirigenziale in concreto percepita. 7 6) Giudizi relativi alla violazione delle disposizioni regolanti il rapporto fra medico di medicina generale e Servizio Sanitario Nazionale (Danno: 1° giudizio: € 114.758,00 – 1 convenuto; 2° € 296.203,35 – 1 convenuto; 3° € 581.889,48 – 1 convenuto in giudizio). Si tratta di tre giudizi aventi per oggetto fattispecie analoghe, consistenti nella violazione delle norme che regolano il rapporto fra i medici di medicina generale incaricati dell’assistenza primaria, a danno della Azienda ULSS n. 6 di Vicenza. Le disposizioni in questione, nel considerare lo svolgimento della libera professione dei medici convenzionati, dispongono che, laddove l’attività libera venga svolta in forma organizzata e continuativa con impegno orario superiore alle cinque ore settimanali, debba essere operata una corrispondente riduzione del numero degli assistiti e che non possa essere svolta attività di medicina in forma associata: limiti che comportano l’erogazione di minori corrispettivi. Nei tre casi all’esame, le indagini della Guardia di Finanza hanno portato ad accertare la sussistenza di un’attività autonoma in forma organizzata e continuativa per oltre cinque ore settimanali, non dichiarata all’USL. Da qui, le contestazioni della Procura per i maggiori importi percepiti, non essendo state operate le decurtazioni dei corrispettivi, a causa della mancata comunicazione dei reali termini di svolgimento della libera professione. 7) Giudizio conseguente ad una condanna inflitta dal giudice del lavoro al Comune di San Donà di Piave (Danno € 118.883,19 – 9 convenuti in giudizio). L’atto di citazione è relativo ad un’ipotesi di illecito collegata ad un episodio di demansionamento riconosciuto dal giudice del 8 lavoro con conseguente condanna al risarcimento dei danni e alle spese di giudizio. 8) Giudizio riguardante lo svolgimento di incarichi privi di autorizzazione da parte di un dirigente regionale (Danno € 602.938,42 – 1 convenuto in giudizio). L’illecito amministrativo-patrimoniale portato all’attenzione della Sezione è relativo ad una serie di incarichi svolti dal dipendente in assenza dell’autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza ed in conflitto di interessi con la stessa. Il dirigente ha agito in violazione dell’art. 53 del D.Lgs 30/3/2001 n. 165 e, in base alla medesima norma, è tenuto a versare i corrispettivi ricevuti all’Amministrazione di appartenenza. 9) Giudizio avente ad oggetto l’irregolare prescrizione di farmaci a carico del SSN da parte di un medico convenzionato di medicina generale presso l’Azienda ULSS 20 di Verona (Danno € 351.085,00 – 5 convenuti in giudizio) A seguito della verifica di sistematiche iperprescrizioni accertate per almeno 4 anni, con scostamenti, rispetto alla media del bacino di utenza considerato, superiori al 50% in capo ad un medico di medicina generale convenzionato con l’Azienda ULSS 20 di Verona, i vertici della medesima e i loro organi di staff non procedevano a chiedere al medico il rimborso delle somme eccedenti la spesa sanitaria media, come previsto dalla normativa ex art. 1, co. 4, L. 425/1996, né ad attivare alcuna forma di recupero per la perdita subita, neppure con atti cautelari di costituzione in mora, causando la prescrizione del diritto al risarcimento del danno subito. 9 10) Giudizio in materia di danno da disservizio derivante dalla condotta di un’assistente domiciliare presso invalidi dell’Azienda ULSS 15 Alta Padovana (Danno € 14.888,06 – 1 convenuto). La convenuta, assistente domiciliare presso invalidi della Azienda ULSS 15 Alta Padovana, ha sottratto ripetutamente e in modo sistematico, per oltre 2 anni e mezzo, danaro ad un anziano, invalido al 100%, solo al mondo, approfittando del rapporto fiduciario, venutosi a determinare a seguito dello svolgimento delle proprie funzioni. Le sentenze penali di condanna di primo e secondo grado, rese nei confronti della suddetta, ai sensi degli articoli 646 e 61 n. 11 c.p., stigmatizzavano anche l’effetto dannoso causato alla organizzazione ed allo svolgimento della attività della P.A. La Corte di Cassazione, poi, annullava in parte, per prescrizione, la sentenza impugnata e rinviava ad altra Sezione della Corte di Appello per la rideterminazione della pena per i residui reati. Questa Procura conveniva in giudizio la assistente domiciliare, la quale aveva posto in essere un servizio, non soltanto diverso, ma antitetico rispetto agli obblighi specifici di accudimento previsti dal proprio ruolo professionale e, anche, rispetto ai principi di solidarietà sociale ex artt. 3 e 32 Costituzione, nonchè, agli obblighi di servizio ex art. 54 Cost., sotto il profilo soggettivo, e ex art. 97 Cost., sotto il profilo oggettivo. 11) Giudizio avente ad oggetto il mancato rinnovo dei contratti relativi ad unità immobiliari dell’A.T.E.R. di Venezia (Danno € 348.615,38 – 4 convenuti in giudizio). Nell’ambito di una verifica tra gli alloggi dell’A.T.E.R. locati a prezzi concorrenziali - area non E.R.P. - è emerso che sussistevano 10 numerose posizioni con contratto scaduto da molti anni e non rinnovato, i cui inquilini hanno pagato, per un considerevole lasso temporale, esclusivamente l’indennità di occupazione, sub specie dell’ultimo canone di locazione corrisposto con il contratto scaduto. In alcune ipotesi, inoltre, è emerso che gli inquilini sono stati autorizzati alla permanenza all’interno dell’alloggio nonostante non avessero pagato i canoni di locazione o in carenza di un regolare contratto. Il danno è consistito nel mancato introito che l’Ente ha sofferto in ragione del protratto omesso rinnovo di numerosissime posizioni contrattuali. 12) Giudizio concernente l’esercizio abusivo della professione da parte di un medico dell’Azienda ULSS n. 5 Ovest Vicentino (Danno € 2.113.606,06 – 2 convenuti in giudizio). La citazione concerne il danno da svolgimento di attività medica in assenza del titolo di studio di laurea, posto che il convenuto ha svolto, presso l’Azienda sanitaria ULSS n. 5 Ovest Vicentino, dall’anno 1989 all’anno 2012, le mansioni di medico addetto al servizio di laboratorio a seguito di un pubblico concorso. Lo stesso convenuto ha falsificato, al momento del concorso, il diploma di laurea in medicina, il diploma di specializzazione ed il documento che attestava l’iscrizione al relativo albo e, nel corso degli anni, nessun controllo è stato posto in essere dai dirigenti incardinati nel servizio del personale della Azienda sanitaria. La Procura ha ottenuto il sequestro conservativo ante causam degli immobili di proprietà del convenuto, del T.F.S., delle somme depositate presso il conto corrente bancario e delle somme di cui disponeva la P.A. nei confronti dello stesso convenuto. 11 13) Giudizio relativo all’omessa o tardiva registrazione di contratti di locazione da parte di un Funzionario dell’A.T.E.R. di Venezia (Danno € 11.001,40 – 1 convenuto in giudizio). Il danno concerne la mancata e/o tardiva registrazione dei contratti di locazione stipulati dall’A.T.E.R. di Venezia. La Guardia di Finanza ha, infatti, estrapolato n. 549 avvisi di accertamento riguardanti l’assegnazione di alloggi nell’area non E.R.P. Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sono consistite nella ritardata e/o mancata registrazione dei contratti di locazione da parte del Responsabile del Servizio Attività Immobiliari dell’Azienda. 14) Giudizio avente ad oggetto il danno indiretto derivante al Comune di Oderzo (TV) da una condanna per mobbing (Danno € 51.150,02, 1 convenuto in giudizio). La fattispecie concerne il danno non patrimoniale, sub specie di danno indiretto arrecato al Comune di Oderzo, quale soggetto che ha dovuto sostenere le spese del risarcimento del danno ed altre spese connesse al mobbing che ha subito un dipendente dello stesso Comune. Il danno da mobbing è una fattispecie che risale alla responsabilità datoriale, di tipo contrattuale, prevista dall’art. 2087 del codice civile, che pone a carico del datore di lavoro l’onere di adottare, nell’esercizio di impresa, tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro. Avendo il Comune di Oderzo dovuto risarcire il danno da mobbing e sussistendo tutti gli altri elementi della responsabilità amministrativo-contabile, la Procura ha citato il soggetto che ha causato tale responsabilità indiretta. 12 15) Giudizio avente ad oggetto una transazione a seguito di azione risarcitoria intentata da un dirigente dell’Azienda ULSS n. 17 di Este (Danno € 25.000,00 – 1 convenuto in giudizio). Trattasi del danno patrimoniale e non patrimoniale, sub specie di danno indiretto, arrecato alla Azienda ULSS n. 17 di Este, quale soggetto che ha dovuto sostenere le spese derivanti dalla transazione a seguito di un’azione risarcitoria intentata da un dirigente, in relazione al demansionamento subìto. La transazione è derivata dalla richiesta del dirigente demansionato degli arretrati retributivi e del risarcimento dei danni per illegittima revoca ante tempus dell’incarico di responsabile del Dipartimento contratti, con il mancato conferimento di un incarico di valore equivalente. 16) Giudizio in materia di conferimento di incarichi da parte dell’Azienda ULSS n. 12 Veneziana in assenza dei requisiti (Danno € 23.731,20 – 4 convenuti in giudizio). Il danno deriva dall’illecito conferimento di un doppio incarico di consulenza di un ex Procuratore Generale della Repubblica di Venezia in ambito sanitario, in assenza dei requisiti previsti dalla specifica normativa, in quanto le attività che avrebbe dovuto espletare il consulente non sono state esplicitate in alcuna relazione o resoconto da parte dello stesso: inoltre, le medesime attività potevano essere svolte dal personale in servizio presso l’Azienda. 13 17) Giudizio in materia di indebita corresponsione di aumenti ad alcuni dirigenti del Comune di Cittadella (Danno € 492.184,52 – 10 convenuti in giudizio). La vicenda trae origine da una relazione dell’Ispettorato Generale della Ragioneria Generale dello Stato e riguarda l’indebita corresponsione, per alcuni anni, ai dirigenti ed al segretario comunale di Cittadella di aumenti delle indennità di posizione e di risultato. Tali aumenti sono stati giustificati da accordi decentrati che li ricollegavano, in un primo momento, alla classificazione quale “ente complesso” del Comune e, in una seconda fase, all’accrescimento ai dirigenti rimasti delle indennità di posizione e risultato già erogate a favore dei dirigenti cessati dal servizio. Nella fattispecie, dopo l’inizio dell’indagine della Procura regionale della Corte dei conti, il Comune risulta avere tempestivamente cessato l’erogazione delle indennità indebite ed attivato una procedura di recupero per le annualità più recenti. Risulta che un ex segretario abbia risarcito integralmente l’ente con la restituzione di quanto percepito indebitamente. Sono stati chiamati in giudizio i dirigenti interessati alle indennità, alcuni come beneficiari ed altri come responsabili dei pagamenti indebiti, nonché i revisori dell’ente ed un segretario comunale. 18) Giudizio avente ad oggetto il risarcimento ottenuto da privati nei confronti del Comune di Albignasego (PD) in materia di accessione invertita (Danno € 57.311,77 – 21 convenuti in giudizio). Il danno deriva dal risarcimento pagato dall’ente a soggetti privati coinvolti in un caso di accessione invertita (espropriazione acquisitiva) per un’opera pubblica del Comune di Albignasego (PD). 14 La vicenda, è stata determinata da illegittimità commesse nella procedura prevista dalla legge n.1/1978 per la variante al PRG, non sottoposta all’approvazione regionale, e per la procedura di esproprio. Il TAR Veneto ha accolto il ricorso dei privati espropriati e, successivamente, è seguita la controversia civile per il risarcimento del danno chiesto dagli stessi espropriati, le perizie tecniche e, infine il risarcimento del danno dovuto dal Comune dopo una transazione, cui si è sommato un ulteriore danno determinato dalla scelta di fare stipulare l’atto pubblico di transazione da un notaio anziché dal segretario comunale come prevede la legge Bassanini n. 127/1997. La vicenda, già oggetto di un primo giudizio non deciso nel merito, è stata riproposta in termini più precisi sul valore dell’indennità che l’ente avrebbe dovuto pagare se la procedura fosse stata eseguita correttamente. Sono stati chiamati in giudizio, i componenti del consiglio comunale che votarono a favore della delibera di approvazione della variante al PRG, il funzionario tecnico che diede il parere favorevole alla proposta ed il segretario comunale, nonché i membri della Giunta che procedettero in modo irregolare agli atti esecutivi. 19) Giudizio relativo alla mancata percezione di canoni concessori per occupazione del demanio marittimo (Danno € 536.727,88 – 7 convenuti in giudizio). La vicenda riguarda la mancata riscossione, per circa dieci anni, dei canoni concessori, a carico di consorzi di allevatori di vongole all’interno della Laguna veneziana. Le indagini hanno accertato una responsabilità per il mancato incameramento dei canoni previsti da ricondursi, in parte, ai dirigenti degli uffici finanziari e, in parte, ai responsabili del Magistrato alle Acque di Venezia. 15 L’ente pubblico concedente Magistrato alle Acque di Venezia aveva l’obbligo, oltreché di imporre una cauzione o polizza fideiussoria ai concessionari, anche di inviare le autorizzazioni provvisorie all’Amministrazione finanziaria cui competeva la determinazione e riscossione del canone dovuto. Dalla disamina degli atti, risulta un periodo tra aprile 2001 ed gennaio 2005 in cui il M.A.V. non ha inviato le autorizzazioni all’Amministrazione finanziaria, fino al 28.1.2005 in concomitanza con la prima attivazione della Guardia di Finanza rispetto alla vicenda in oggetto. La Procura pertanto, escludendo i periodi pregressi prescritti o compensati dall’escussione dell’unica polizza fideiussoria contratta, ha citato in giudizio, per il danno di € 46.514,64, un dirigente e un funzionario della Amministrazione finanziaria in relazione alla mancata stipula della polizza fideiussoria; mentre, per il maggiore danno di € 489.069,95 connesso alle autorizzazioni inviate tardivamente dal M.A.V., ha citato i dirigenti del Magistrato alle Acque di Venezia, sia per l’ingiustificato ritardo con cui dette autorizzazioni provvisorie furono trasmesse all’Agenzia del Demanio di Venezia, sia, anche in questo caso, per l’omessa verifica della stipula della polizza assicurativa da parte del concessionario. Oltre a tali partite di danno, è stata contestata ai dirigenti del Magistrato alle Acque un canone di € 1.143,29 per una pratica specifica. 16 Il patrimonio immobiliare pubblico Come evidenziato nelle citazioni sopra richiamate tra i casi rilevanti (n. 11 e n. 13), la gestione del patrimonio immobiliare pubblico compare sempre più spesso sulle cronache dei giornali in ragione delle inchieste penali e contabili che interessano tale settore. Il governo dei beni immobili di rilievo pubblicistico appare, invero, quale momento particolarmente critico e difficoltoso delle attività della Pubblica Amministrazione, probabilmente in ragione degli enormi interessi economici e sociali che si condensano in tale ambito.2 Negli anni Novanta, maturata ormai la consapevolezza dell’importanza anche per l’ente pubblico di dover operare con i criteri di economicità e di efficienza tipici dell’impresa privata, è venuta in rilievo la necessità di dotare gli enti preposti allo sviluppo delle politiche di edilizia residenziale pubblica (I.A.C.P.) delle risorse necessarie al raggiungimento degli obiettivi già perseguiti negli anni Settanta, ma mai conseguiti. 2 La Legge Luzzatti ha istituito, il 31 maggio 1903, con il R.D. n. 251, l’Istituto Case Popolari (I.C.P), al fine di ridurre la speculazione privata e di consentire alle fasce più deboli di poter beneficiare di una abitazione dignitosa a canoni calmierati. Giova, sul tema, ricordare che tale ente (I.C.P) non era costituito da un unico organismo, ma si componeva, in concreto, da più soggetti che si aggregavano a livello comunale o provinciale. Il R.D. n. 251 del 1903 si è inserito, infatti, in un quadro di una politica sociale che ha consentito l’intervento dello Stato a beneficio dei ceti meno abbienti, al fine di trasformare e migliorare le condizioni di vita di tali ceti, applicando nel rapporto sociale il principio della solidarietà, riconducibile a inequivocabili esigenze di giustizia distributiva.A seguire, in seno al settore immobiliare di interesse pubblico, è intervenuto, in data 30 novembre 1919, il Testo Unico sull’Edilizia Economica e Popolare e, successivamente, il T.U. 24 marzo 1938, n. 1165, recante, anch’esso, disposizioni sull’Edilizia Economica e Popolare. Il complesso normativo da ultimo citato ha definito un nuovo assetto, su base provinciale, degli Istituti Autonomi Case Popolari (I.A.C.P.). Il 22 ottobre 1971 è stata promulgata poi la Legge n. 865, la quale ha trasformato gli Istituti Case Popolari da Enti Pubblici Economici ad Enti Pubblici non Economici con prevalenza, pertanto, dell’attività pubblico-assistenziale ed è stato avviato il decentramento burocratico con trasferimento delle deleghe alle Regioni, mediante il D.P.R. n. 616 del 1977. In applicazione della Legge n. 865 del 1971 furono emanati i D.P.R. n. 1035 e n. 1036 del 1972, disciplinanti le assegnazioni e l’organizzazione degli Enti Pubblici operanti nel settore dell’edilizia residenziale pubblica. 17 Si è giunti, quindi, all’emanazione di leggi regionali, mediante le quali gli I.A.C.P. sono stati trasformati in Aziende Territoriali per l’Edilizia Residenziale (A.T.E.R.), enti costituiti al fine di soddisfare il bisogno primario della casa. La trasformazione da Istituto in Azienda è avvenuta nel momento in cui lo Stato, non potendo più garantire i finanziamenti derivanti dai piani pluriennali, ha delegato le funzioni alle Regioni, transitando conseguentemente, nel settore dell’intervento costruttivo pubblico, da un mercato monopolistico ad un mercato competitivo, perseguendo, quindi, un’idea di “flessibilità” anche nell’ambito di un ente pubblico.3 Giova, altresì, ricordare che le Aziende Territoriali non sono inserite nel conto economico consolidato della Pubblica Amministrazione, individuato ai sensi dell’art. 1, comma 3, della Legge 31 dicembre 2009, n. 196 e non beneficiano di contribuzioni, di natura periodica o continuativa. Le fonti di finanziamento delle A.T.E.R. derivano: dai rimborsi per spese tecniche e generali relativi ai programmi di edilizia residenziale pubblica, da una quota dei canoni di locazione degli 3 L’A.T.E.R. è un Ente Pubblico Economico, che è stato costituito mediante la Legge Regionale del Veneto n. 10 del 9 marzo 1995. L’Azienda in parola, dotata di personalità giuridica propria e di autonomia organizzativa, patrimoniale e contabile, è Ente economico, in quanto è volto ad operare sul libero mercato con criteri di economicità concorrenziale ed è anche Ente pubblico, poiché è istituzionalmente indirizzato sia ad assistere gli Enti pubblici nella realizzazione delle loro attività urbanistiche ed edilizie, sia ad agire con effetti perequativi sul mercato immobiliare, sia a facilitare l’accesso alla casa mediante le forme dell’edilizia residenziale sovvenzionata, agevolata o convenzionata. Sul punto, non va omesso, che - pur non applicandosi integralmente all’Ente le disposizioni di cui al D. Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 - posto che lo stesso è stato trasformato da I.A.C.P. in A.T.E.R., avente natura di Ente Pubblico Economico (Consiglio di Stato n. 641 del 2012), l’attività dello stesso Ente deve, tuttavia, essere improntata ai principi ispiratori dello stesso D. Lgs. n. 165 del 2001, con riferimento al raggiungimento dell’efficienza, efficacia ed economicità e buon andamento (gli I.A.C.P. erano, peraltro, compresi in origine nell’elencazione di cui all’art. 1, comma 2, del citato D. Lgs. 165 del 2001), anche in relazione all’art. 97 della Carta Costituzionale ed alla Legge 7 agosto 1990, n. 241. 18 alloggi E.R.P. e dagli ulteriori proventi di cui all’art. 5 della L.R. n. 10 del 1995. Le A.T.E.R., nondimeno, sono soggette alla vigilanza ed al controllo della Regione Veneto, in quanto enti strumentali della stessa Regione, ai sensi della Legge Regionale n. 53 del 1993, il cui presupposto si fonda sugli articoli 13 e 39 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. (vigilanza sul patrimonio non E.R.P., sugli atti di programmazione aziendale relativi al patrimonio e sulla congruità economica dei programmi di intervento di E.R.P.). Tali Enti compiono attività a sostegno della Regione, degli Enti Locali e dei privati, per la progettazione e l’attuazione di interventi di edilizia residenziale inseriti nei programmi di recupero o riqualificazione edilizia ed urbanistica, per la realizzazione di interventi di edilizia convenzionata agevolata, progettazione e realizzazione urbanistico – edilizia, manutentivo – gestionale e di assetto territoriale, svolgendo, altresì, ogni altra attività collegata a programmi di edilizia residenziale pubblica. Giova osservare che le A.T.E.R. esercita le attività previste dall’art. 5 della legge istitutiva, operando principalmente nell’ambito della creazione di condizioni più favorevoli per consentire una corretta soluzione al problema della casa ed in particolare per le categorie socialmente ed economicamente più disagiate; la locazione o vendita di unità immobiliari ad uso residenziale a prezzi concorrenziali secondo criteri di economicità tendenti al fine di esercitare un effetto calmieratore e perequativo sul mercato. Il patrimonio delle A.T.E.R. è, composto da: a) immobili costruiti con risorse proprie (area non di Edilizia Residenziale Pubblica – non E.R.P.); b) immobili costruiti o recuperati con contributi dello Stato, della Regione o dei Comuni (L.R. n. 10 del 19 1996 - area E.R.P.); c) immobili di proprietà dei Comuni affidati in gestione all’A.T.E.R. Gli immobili di area E.R.P. rappresentano lo strumento attraverso cui soddisfare le necessità abitative dei soggetti a basso reddito, mediante contratti di locazione a tempo indeterminato con applicazione di canoni determinati, ai sensi della L.R. n. 10 del 1996. Gli alloggi dell’area non E.R.P. (non realizzati con contributi statali, regionali, provinciali o comunali), al contrario, possono essere concessi in locazione ai sensi della Legge 9 dicembre 1998, n. 431, norma recante disciplina delle locazioni degli immobili adibiti ad uso abitativo. In specie, l’A.T.E.R. di Venezia4, con particolare riferimento all’area non E.R.P., negli ultimi anni, si è palesato quale ente gestito con modalità ben lontane dai fondamentali principi di efficienza, efficacia ed economicità. Occorre ricordare sul tema che i citati parametri si sono certamente consolidati nell’ordinamento vigente, poiché gli stessi sono stati previsti dalla citata Legge n. 241 del 1990. L’inosservanza delle norme che disciplinano la materia della corretta gestione dei beni immobili comporta, quindi, inevitabilmente la diretta lesione dell’articolo 97 della Costituzione (buon andamento, imparzialità e buona amministrazione), nonché dei principi di cui all’articolo 1, comma 1, della stessa Legge n. 241 del 1990. In virtù di tale specifica previsione, detti criteri hanno acquistato, di conseguenza, dignità normativa, assumendo rilevanza sul piano della legittimità dell’azione amministrativa (C.d.S. n. 847/02; n. 6684/02), con importanti ricadute in tema di illegittimità e 4 Lo Statuto dell’A.T.E.R. di Venezia è stato approvato con la deliberazione del C.d.A. n. 111 del 2004, modificato con deliberazione C.d.A. n. 154 del 2004. 20 di illiceità dell’attività amministrativa, non potendo più prescindersi dalla valutazione del rapporto tra gli obiettivi conseguiti ed i costi sostenuti. Si ricorda, sul punto, la fondamentale sentenza della Suprema Corte di Cassazione resa a Sezioni Unite n. 14488 del 2003, la quale ha statuito che “la violazione dei criteri di economicità assume rilievo anche nel giudizio di responsabilità, dal momento che l'antigiuridicità dell'atto amministrativo costituisce un presupposto necessario della "colpevolezza" di chi lo abbia posto in essere” (Sez. Giur. Sicilia n. 1552/2013; SS. UU. n.10069/2011). Lo spostamento del baricentro del sistema organizzativo e gestionale dei pubblici poteri verso i modelli di tipo imprenditoriale (come gli Enti Pubblici Economici – A.T.E.R.) e verso i “risultati”l’obiettivo dell’economicità della gestione, l’attenzione all’ottimizzazione delle risorse disponibili, la valutazione dell’azione amministrativa in termini di costi-benefici - costituiscono non più mere affermazioni di principio, ma rappresentano contenuti immediati e concreti della responsabilità amministrativa. A questi principi corrispondono, difatti, numerosi e ben tipizzati obblighi di fare e di agire nell’interesse pubblico, che è anche, e soprattutto, interesse della collettività al raggiungimento dei risultati dell’efficacia e dell’economicità e del corretto impiego delle risorse disponibili. Risultati che si realizzano anche attraverso decisioni finalizzate alla efficiente gestione dei beni immobili di proprietà pubblica. Essendo ormai assunti tra i requisiti normativi che regolano l’attività amministrativa anche i criteri di “economicità” e di “efficacia”, deve ritenersi che rientri tra i poteri della Corte dei conti, nell’ambito del giudizio di responsabilità, anche quello di verificare la ragionevolezza dei mezzi impiegati in relazione agli obiettivi 21 perseguiti, atteso che anche tale verifica è fondata su valutazioni di legittimità e non di mera opportunità (SS. UU. n. 14488/2003). L’interesse pubblico che si palesa nell’ambito dell’area non E.R.P. dell’A.T.E.R. di Venezia è, pertanto, quello di locare beni immobili di proprietà dello stesso Ente, a prezzi perequati e calmierati, a soggetti aventi specifici requisiti reddituali. Al contrario, si deve sottolineare che, in seno ad una puntuale verifica tra gli alloggi locati della citata area, è emersa una gestione posta in essere in palese contrasto con i citati principi di efficienza, efficacia ed economicità. E’ stato acclarato, infatti, che sussistono numerosissime posizioni con contratto scaduto da molti anni e non rinnovato (200 immobili su 600 beni immobili di proprietà A.T.E.R. in area non E.R.P., quindi, almeno un terzo degli immobili complessivi), i cui inquilini hanno pagato, per lungo tempo, esclusivamente l’indennità di occupazione senza alcun adeguamento al canone maggiorato. E’ stata avviata, da parte dello stesso Ente, una verifica tra gli alloggi dell’A.T.E.R. locati a prezzi calmierati ed è emerso che sussistevano numerose posizioni con contratto scaduto da molti anni e non stipulato ex novo. Gli inquilini di tali immobili hanno pagato, per un notevole lasso di tempo, esclusivamente l’indennità di occupazione, ossia l’ultimo canone di locazione del contratto scaduto, non avendo, pertanto, potuto aggiornare il canone con gli incrementi previsti dalle disposizioni di settore. I danni erariali sono consistiti, quindi, da un lato, dalle somme di cui non ha potuto beneficiare l’ente in ragione del protratto omesso rinnovo di numerosissime posizioni contrattuali e, dall’altro, dalle sanzioni comminate dall’Agenzia delle Entrate all’Ente, in ragione della omessa registrazione dei contratti di locazione. 22 In buona sostanza, l’A.T.E.R., con riferimento alle locazioni degli immobili non E.R.P. con prezzi calmierati, è stata gestita, per diversi anni (almeno dall’anno 2008 in avanti), in palese violazione delle norme che dispongono l’obbligo di stipulare nuovi contratti alla scadenza dei precedenti e, quindi, con negligente incuria. Va evidenziato che l’attività di vigilanza della Regione Veneto non ha condotto a significativi mutamenti della gestione del patrimonio da parte dell’Azienda. Con deliberazione della Giunta Regionale n. 2029/DGR del 28 ottobre 2014, è stato avviato il procedimento di scioglimento del C.d.A. dell’A.T.E.R. di Venezia, per persistente inattività o inefficienza, tali da pregiudicare il normale funzionamento dell’Ente. In tale provvedimento si rileva che, con deliberazione n. 71 del 2013, il C.d.A. dell’ A.T.E.R. ha approvato il Conto consuntivo 2012, per il quale il Collegio dei Revisori dei Conti dell’Azienda ha evidenziato alcune criticità relative anche alla mancanza di liquidità del sistema finanziario, con riferimento al deterioramento del patrimonio ed alla necessità di mettere in atto nuove strategie relativamente alle unità immobiliari non E.R.P. La relazione del Collegio dei Revisori dei conti ha, quindi, concluso portando all’attenzione del C.d.A. la necessità di risolvere il problema della presenza in bilancio di “debiti per versamenti da utenti da allocare” per incassi derivanti da posizioni non regolarizzate (mancata definizione dei contratti di affitto, etc.), soprattutto, per unità immobiliari non E.R.P., che sono passati da quasi euro 170.000,00 nell’anno 2011, ad € 240.000,00 nell’anno 2012 e ad euro 304.000,00 nel 2013”. Quanto al conto consuntivo per l’anno 2013, il Collegio dei Revisori dei conti, nella relazione allegata al bilancio, ha 23 ulteriormente evidenziato rilevanti inefficienze organizzative e gestionali dell’Azienda. La questione della perdurante omessa stipula dei contratti è stata, pertanto, una delle motivazioni che ha indotto la Giunta Regionale ad iniziare il procedimento di scioglimento del C.d.A., in ragione della grave perdita economica subita dall’A.T.E.R. e del danno che si è andato consolidando nel corso del tempo, tuttavia non vi sono evidenze certe in ordine all’effettivo scioglimento del citato C.d.A.. In conclusione, va osservato che l’A.T.E.R. di Venezia, per quanto attiene in particolar modo all’area non E.R.P., si è significativamente discostata dall’interesse pubblico della efficiente, efficace ed economica gestione dei beni immobili, pertanto va fortemente stigmatizzata e censurata, posto che tale settore rappresenta un ambito estremamente delicato e permeabile ad interessi privati di varia natura. Separazione tra indirizzo politico e amministrativo e abolizione dei segretari comunali Un’occasione di riflessione viene dal testo dell’emendamento 13500 al disegno di legge delega di riforma della pubblica amministrazione (n. 1577) in esame al Parlamento, nel quale si ipotizza una possibile eliminazione della responsabilità per danno erariale per gli amministratori politici. L’emendamento in questione prevede: “g-quater: rafforzamento del principio di separazione tra indirizzo politico-amministrativo e gestione e del conseguente regime di responsabilità dei dirigenti, anche attraverso l'esclusiva imputabilità agli stessi della responsabilità amministrativo-contabile per l'attività gestionale”. 24 Pur con tutte le riserve legate alla circostanza che si tratta di una disposizione ancora in discussione e condizionata per la sua attuazione dai decreti delegati, essa preoccupa non poco per l’effetto che provocherebbe, ove recepita nel testo attuale, nel senso di un ingiustificato squilibrio del carico di responsabilità, che renderebbe sicuramente la norma lesiva del buon andamento ed imparzialità della P.A.. La separazione tra indirizzo politico-amministrativo e gestione non è un principio costituzionale, ma organizzativo, stabilito attraverso norme di legge introdotte già con la prima riforma organica della disciplina degli enti locali, ossia la L. 142 del 1990. La stessa legge introdusse l’obbligo di emanazione ed allegazione dei pareri dei funzionari responsabili del servizio, del responsabile del servizio economico finanziario e del segretario comunale sulle proposte di deliberazione. Indubbiamente, nel disegno del legislatore questo schema organizzativo e di controllo è stato visto come attuazione dell’art. 97 della Costituzione: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari”. Tali norme vennero accolte come definizione del riparto di competenze ed in particolare di una migliore definizione delle responsabilità dei dirigenti e funzionari, ai quali infatti è stata attribuita la formalizzazione del parere sulle proposte di delibera della Giunta e del Consiglio. Tale sistema si correlava con la riforma della P.A. attuata dalla legge 241/1990, che ha introdotto la figura del c.d. responsabile del 25 procedimento, l’obbligo di motivazione dell’atto e quello di comunicazione della conclusione dei procedimenti. Si è tentato di superare un modello di Amministrazione lontana dai cittadini, non dialogante e caratterizzata dalla segretezza, anziché dalla trasparenza, come si conviene in un sistema democratico. Dunque, la separazione tra indirizzo politico e amministrativo non nasceva certo per garantire aree di irresponsabilità o sfere protette dalla giurisdizione ma, al contrario, per rendere più visibili ai soggetti destinatari i responsabili degli atti dell’amministrazione. La specializzazione si è avuta anche sul piano degli atti amministrativi, passando da un sistema in cui i consigli comunali e provinciali decidevano pressochè su tutto (con una confusione di ruoli e compiti tra burocrazia e amministratori), ad un sistema in cui le delibere consiliari decidono solo su alcune materie, tassativamente stabilite dalla legge, mentre per gli altri atti provvedono la Giunta o i dirigenti con le proprie determine. Di fronte alla generalità della competenza amministrativa e dirigenziale e dunque dell’area della gestione, il legislatore ha lasciato agli amministratori politici il c.d. indirizzo politico amministrativo che dovrebbe ricomprendere la programmazione, le scelte strategiche dell’ente ed il controllo della gestione amministrativa. Nel concreto, tuttavia, sono emerse delle situazioni assai più complesse rispetto a quanto previsto dalla norma. Pertanto, negli oltre 8.000 Comuni e nelle oltre 100 Province, gli amministratori eletti con suffragio diretto, nominano i dirigenti responsabili fiduciariamente e tendono, quindi, a condizionare anche la gestione amministrativa e, in qualche caso, i funzionari e gli stessi dirigenti (spesso provenienti dalla politica più che da reali selezioni). In un ambito così particolare si è posto il problema della responsabilità amministrativa di fronte alla Corte dei conti estesa 26 agli Enti locali e alle Regioni a seguito delle leggi n. 142/1990 e n. 20/1994. Il legislatore, riformando solo due anni dopo la legge n.20/1994, con la legge 639/1996 ha introdotto la c.d. “esimente politica”. L'art. 1, co. 1-ter della citata Legge n. 20/94, per come novellata dalla l. 639/1996, stabilisce infatti che "nel caso di atti che rientrano nella competenza propria degli uffici tecnici e/o amministrativi la responsabilità non si estende ai titolari degli organi politici che in buona fede li abbiano approvati ovvero ne abbiano autorizzato o consentito l'esecuzione". Questa, secondo la costante giurisprudenza della Corte dei conti, non rappresenta una clausola di salvaguardia tesa a rendere totalmente irresponsabili i titolari degli organi politici in ragione del fatto che tutti gli atti amministrativi sono istruiti dall'apparato burocratico. Deve infatti essere sempre valutato in che misura i vari momenti della sequenza procedimentale concorrono all’adozione di un provvedimento finale che in seguito ha cagionato danno erariale. La c.d. scriminante politica, ove accertata, solleva da responsabilità l'organo politico soltanto nel caso di approvazione di atti causativi di danno nella competenza degli uffici tecnici od amministrativi dell'ente. Essa non può essere genericamente e semplicisticamente applicata a tutte le scelte operate dall'organo di governo, essendo necessario valutare la specifica condotta del soggetto da cui è derivato il concreto verificarsi del danno per l’Amministrazione. Del resto la norma stessa parla di organi politici che in buona fede abbiano approvato gli atti ovvero ne abbiano autorizzato o consentito l'esecuzione. 27 Peraltro può essere provato che uno o più amministratori abbiano avuto un ruolo decisivo nel determinare l’adozione di un atto illecito, anche inducendo il funzionario ad emettere un parere favorevole contra legem. In tali casi è evidente che anche gli amministratori debbano essere chiamati a rispondere del danno. Come si è accennato in precedenza, bisogna tenere conto che la P.A., proprio a partire dalle stesse riforme degli anni ’90, ha recepito in qualche misura il principio del c.d. spoil system, ossia della nomina dei dirigenti da parte dei nuovi amministratori, secondo un criterio strettamente fiduciario. Anche le nomine dei dirigenti e del Segretario comunale, dopo la riforma attuata con la legge 127/1997, oltre a quelle dei direttori generali, hanno ampliato significativamente l’ambito fiduciario nella scelta del corpo burocratico, che dovrebbe invece riferirsi ad un criterio oggettivo. Non bisogna dimenticare che gli amministratori, sia pure con il temperamento dell’intervento dei nuclei di valutazione, restano arbitri della corresponsione della parte variabile della retribuzione dei dirigenti e dipendenti, ossia delle indennità di posizione e di risultato. In un tale contesto la tutela dell’imparzialità del dirigente o del funzionario pubblico e la effettività del principio di separazione, non appaiono sufficientemente garantite. Una disposizione come quella proposta nell’emendamento in discussione non rafforzerebbe, quindi, il principio di separazione tra politica e gestione, ma andrebbe in una direzione decisamente contraria. Una norma siffatta, sarebbe da ritenere del tutto contraria allo spirito dell’art. 97 della Costituzione, prevedendo una responsabilità esclusiva dei funzionari e dirigenti che sarebbero sempre più indotti 28 ad un comportamento non indipendente nei confronti di chi li ha nominati. Anche le disposizioni del DDL 1577 (emendamenti vari all’art. 10) che riguardano l’abolizione della figura del segretario comunale e provinciale, da un lato, e la nomina o il mantenimento dei direttori generali, dall’altro, appaiono contrastare con quei principi di imparzialità e buona amministrazione che prevede l’art. 97 della Costituzione. Infatti la figura del segretario sia pure incisa negativamente dalla legge Bassanini n. 127/1997 (poi trasfusa nel Testo Unico degli Enti Locali) aveva una funzione di garanzia, di imparzialità e garantiva una adeguata preparazione giuridica. Il Segretario comunale è una figura che ai sensi dell’art. 97 del T.U.E.L. “svolge compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti”. All’indomani dell’abolizione dei controlli di legittimità sugli atti dei CORECO, la figura del segretario, nonostante la riforma predetta fortemente peggiorativa, è rimasta l’unica figura di riferimento per garantire un minimo di controllo sul piano della legalità ed una figura unificante per il mondo eterogeneo degli enti locali. E’ significativo che anche per l’incarico di responsabile anticorruzione, previsto dalla legge n. 190/2012 e norme attuative, è stato individuato il Segretario comunale, che costituisce dunque l’interlocutore naturale dell’Autorità anticorruzione. Soprattutto per quanto concerne i numerosi comuni medio piccoli, il segretario rappresenta spesso l’unico interlocutore professionale. 29 Se è vero che gli emendamenti del DDL prevedono la sua sostituzione con una nuova figura di direttore generale, questo rappresenta un ulteriore grave rischio, sia sul piano della professionalità, sia su quello della spesa. E’ evidente che la scelta del direttore generale si baserà esclusivamente sull’intuitu personae e non sarà frutto di un concorso pubblico cui possono accedere soggetti in possesso di precisi titoli di studio, come accade per i Segretari comunali. Inoltre, in un contesto di risorse assai limitate per gli enti locali, in previsione di una maggior spesa per i direttori generali non ancorati a contratti collettivi nazionali, è intervenuta la legge 23 dicembre 2009, n. 191 che ha elevato da 15.000 a 100.000 abitanti il limite di popolazione dei Comuni che possono nominare i direttori generali.5 In conclusione, andando oltre gli annunci che accompagnano alcune riforme della P.A., l’avvicendamento dei Segretari comunali con i direttori generali, ove avvenisse in concreto, andrebbe in contrasto con il principio improntato alla trasparenza della divisione di competenze tra un corpo amministrativo professionale ed imparziale e l’area dell’indirizzo politico e controllo riservata agli amministratori. Una simile soluzione si potrebbe, dunque, rivelare potenzialmente lesiva dell’interesse della collettività ad avere un’amministrazione imparziale, efficiente e rispettosa della legalità. 5 (art. 2, comma 176, lettera d), successivamente modificata dal D.L. 25 gennaio 2010, n. 2, convertito con modificazioni nella legge 26 marzo 2010, n. 42. 30 La P.A. ed i problemi irrisolti Un’amministrazione pubblica che non funziona fa sì che non funzioni tutto il Paese. I mass-media danno quotidianamente conto delle forme più svariate in cui si manifestano i sintomi di malfunzionamento del settore pubblico. Fenomeni che, per qualità e dimensione, trascendono i confini dell’apparato che ne è investito e finiscono per incidere su altri ambiti e per rappresentare un connotato negativo dell’intera società. E’ innegabile che un condizionamento generale lo esercitino: l’abuso nell’utilizzo delle pubbliche risorse da parte della classe politica, l’oppressione infinita di una burocrazia che appare sempre più autoreferenziale, l’incapacità di una vera lotta all’evasione fiscale, il continuo emergere di reati contro (e nella) pubblica amministrazione su tutto il territorio. Un elenco lungo di situazioni negative che danneggiano il senso morale della società ed i rapporti tra cittadini ed istituzioni, sono di certo un fattore negativo destinato ad aggravare la crisi economica del Paese. A fronte di tanto, vi è, ineludibile, la domanda, più immediata, e di difficile risposta: quali le cause di una simile situazione? Di certo non vi è una sola motivazione, ma alcuni dei nodi irrisolti della questione possono forse essere sicuramente individuati. Una delle ragioni è rappresentata dalla dismisura quantitativa e qualitativa delle leggi. Un censimento sicuro del numero delle leggi in Italia non esiste. Si va da statistiche che le indicano in decine di migliaia ad altre che le computano in oltre 150.000. 31 Chiunque, dal cittadino che ne ha occasione, all’addetto ai lavori, ha modo di toccare con mano quale sia il profluvio di norme con le quali ci si imbatte in ogni circostanza. Alle leggi statali e regionali, va aggiunta la miriade di disposizioni di rango inferiore derivate da altre fonti, quali regolamenti e circolari, che fanno ulteriormente accrescere la confusione. Inoltre, ci si imbatte di frequente in testi mal scritti, dal tenore poco chiaro, redatti con una tecnica (si fa per dire) di rimandi, aggiunte e correzioni criptiche di disposizioni precedenti, finanche di variazione di parole e punteggiature. E’ facile immaginare quali possano essere le conseguenze di una simile fenomenologia: difficoltà interpretative, incertezze operative, rallentamenti, contenziosi giudiziari abnormi. Ma, soprattutto, legiferare a oltranza favorisce la deresponsabilizzazione di coloro che sono chiamati ad applicare le norme. Più si aumentano regolamentazioni e procedimentalizzazioni, più ci si può nascondere dietro qualche non detto dalla norma, ritenendo che tutto essa avrebbe dovuto prevedere. Più si incrementano le disposizioni, maggiori saranno le giustificazioni fondate sulle difficoltà ricognitive ed interpretative. Più si dettano prescrizioni, più si tolgono spazi all’autonomia operativa, ingessando il sistema. Un caso emblematico è dato dal D.Lgs 12/4/2006, n. 163, cosiddetto Codice dei contratti pubblici, costituito da 257 articoli, cui sono da aggiungere i regolamenti attuativi, le disposizioni rimesse alla potestà normativa regionale e le svariate circolari esplicative. 32 Un testo più volte rivisto, del cui eccesso di normazione si è preso atto da più parti (in particolare l’Autorità anticorruzione), a seguito dei fatti che hanno riguardato i lavori dell’Expo di Milano. La sovrabbondanza di vincoli, da un lato non è servita ad impedire gli abusi, da un altro lato ha assicurato la formale regolarità degli atti, ma non ha aiutato assunzioni di responsabilità dirette per la mancanza di verifiche effettive e di risultati. Altra ragione del malessere amministrativo pubblico risiede nell’irrisolto nodo costituito dal rapporto fra classe politica e apparato dirigenziale, come sopra accennato. Un rapporto il cui punto di equilibrio è già, di per sé, difficile da trovare, ma che nella storia passata e recente del Paese manifesta gravi criticità, se non un vero e proprio sviamento dai termini di una corretta dialettica. I segni di un eccessivo condizionamento della dirigenza, da parte della classe politica, sono spesso ben visibili. Un’influenza esercitata sia in via diretta, negli enti politici (Regione, Comune), attraverso il canale istituzionale, sia indirettamente negli enti i cui vertici sono comunque, in qualche modo, di derivazione politica. Vi è ovviamente un modo di interagire fra politici e dirigenti, fisiologico, improntato a forme di sano e utile dialogo, ed un altro in cui una parte - nel caso specifico quella politica - trasmoda, e finisce per occupare indebitamente spazi gestionali e comprimere autonomie operative. Se molte cose non funzionano nei processi gestionali che riguardano il settore pubblico, ciò è dovuto anche, e particolarmente, a tale fenomeno. 33 Disporre di un apparato amministrativo che comunica, ma non asservito al potere politico, è fondamentale per la corretta ed efficiente gestione della cosa pubblica. Allo stesso modo fondamentale è che la scelta della dirigenza ricada su soggetti capaci e non in ragione di un qualche tipo di appartenenza o per garantirsi maggiore accondiscendenza. Purtroppo, eventi corruttivi che hanno interessato tutto il Paese, compreso il Veneto, dimostrano il prevalere dell’aspetto deteriore di un rapporto non inteso correttamente. L’esplodere di scandali quali gli appalti dell’Expo di Milano, la vicenda Mose e molte altre, con un’equa e diffusa distribuzione sul territorio nazionale, sono il segno evidente del mancato intervento dei responsabili amministrativi e tecnici sotto la cui vigilanza avrebbero dovuto essere concepite, affidate ed eseguite le opere. Non appare possibile che, inefficienze, rallentamenti, intrecci e operazioni malsane, si siano protratti per anni senza che da parte dei soggetti responsabili si sia verificato e indagato approfonditamente e fatto emergere le patologie inerenti tali gestioni. Un mancato intervento che non è spiegabile se non ipotizzando incapacità, appiattimento su altrui volontà o, peggio, corruzione. Altro fattore distorcente è dato dalla proliferazione delle gestioni pubbliche, per tali intendendo non solo gli enti pubblici in senso proprio, ma anche gli enti che svolgono le loro funzioni servendosi di pubbliche risorse. Tra di essi vanno pertanto annoverati gli enti strumentali, statali e regionali, agenzie costitute dagli enti locali, enti pubblici economici, società partecipate in house e non in house. Un fenomeno certamente favorito dalle spinte al decentramento territoriale e alla creazione di autonomie varie che 34 hanno dato luogo ad una specie di incontrollata partenogenesi amministrativa. L’istituzione di autonomie territoriali e amministrative rappresenta senz’altro una forma di governo auspicabile e opportuna. Ma ciò solo a certe condizioni. Vale a dire a condizione che essa si innesti su un tessuto sociale e politico sano e preparato e che da quest’ultimo prendano corpo serie e rigorose forme di controllo della legalità e della spesa pubblica. Quanto si è potuto registrare in questi anni sembra invece sia andato in direzione inversa. Il processo di creazione di enti con propria autonomia amministrativa si è accresciuto, culminando, da ultimo, nella costituzione di migliaia di società partecipate, non solo da parte di Regioni, Province e Comuni, ma anche da parte di altri enti quali ULSS e Camere di commercio. Questa dinamica negativa si è inserita in un contesto politicosociale e ordinamentale inadeguato e non è stato accompagnata da una parallela attivazione di rigorosi controlli amministrativi e finanziari. Ne sono seguite situazioni tutt’altro che migliorative del sistema. I sub enti in questione sono spesso sorti non per ragioni di razionalità economica e di efficacia amministrativa, ma per convenienze politiche. Se ne è fatto a volte un uso strumentale, come ad esempio per sfuggire ai vincoli della finanza pubblica o per collocazioni di personale ad elusione delle regole sulle assunzioni nel pubblico impiego. La spiccata autonomia concessa non è stata usata per favorire gestioni più snelle ed efficienti, ma per far lievitare le 35 posizioni economiche di amministratori e dipendenti, rispetto agli omologhi del settore pubblico tradizionale. Si è accresciuto il numero degli organismi che, grazie all’attribuzione di una differente soggettività giuridica (enti pubblici economici, società), non rientrano fra gli enti tenuti ad osservare regole limitative (ex D.Lgs 165/2001), quali quelle sulle consulenze e sugli incarichi dirigenziali. In diversi casi, chi doveva vigilare sugli andamenti amministrativi e finanziari (in particolare Regioni, Comuni), ha perso addirittura cognizione del numero e delle vere condizioni in cui versavano gli enti vigilati, trovandosi, all’improvviso, di fronte a situazioni di vero e proprio fallimento economico. Fenomeni, quelli ora richiamati, comportanti, come è facile immaginare, una indebita dilatazione della spesa pubblica. Il tema della corruzione In tale situazione ha trovato terreno fertile il fenomeno della corruzione, intesa come abuso nell’esercizio della funzione pubblica al fine di ottenere vantaggi privati. La disamina del fenomeno deve prendere l’avvio dalla nozione di trasparenza amministrativa, uno dei principali strumenti di prevenzione della corruzione. Prevalentemente l’accezione di corruzione ha una valenza penalistica, in una generale ottica che identifica la morale pubblica con il parametro dell’imputazione penale e carica la magistratura di aspettative irrealizzabili da parte della pubblica opinione. Così “..la magistratura è da tempo uscita dal terreno del controllo, che è quello ad essa congeniale, per addentrarsi in quello della 36 mediazione e della regolazione del conflitto sociale” (Presidente emerito Corte Costituzionale Gaetano Silvestri). Ad ogni modo, nel tempo, la nozione di corruzione è entrata nell’uso comune per esprimere una pervasiva violazione delle regole base di buona amministrazione e si è ampliata, nel senso di prevedere la prevenzione correlata a strumenti di diritto costituzionale e amministrativo. L’organizzazione a monte di strutture trasparenti e di procedure agili predefinite rappresenta, nell’ottica della normativa anticorruzione vigente (L. 190/2012 e successivi decreti attuativi), la vera strategia che può impedire un sistema illecito che possa annidarsi nelle pieghe di una amministrazione farraginosa, estremamente burocratizzata e caratterizzata da molteplici procedure talvolta inutili e sovrabbondanti. L’apprestamento di strumenti di verifica del potere pubblico da parte dei consociati può consentire di monitorare e controllare l’utilizzazione delle risorse, consentendo l’emersione di fenomeni di corruttela. L’accesso a documenti e informazioni e la pubblicità sono i due strumenti prevalenti per perseguire le finalità di trasparenza, prefigurando una P.A. che offra l’immagine di una casa di cristallo. La trasparenza non è soltanto partecipazione al procedimento, ma è misura, modalità della funzione amministrativa, non solo circoscritta ai titolari di interessi diretti, concreti e attuali. E’ strumento di controllo sociale generalizzato. Tuttavia, nonostante i complessi e raffinati strumenti apprestati, la corruzione resta endemica, caratterizzante il sistema senza soluzione di continuità. Il Presidente della Corte dei conti ed il Procuratore Generale hanno analizzato compiutamente, lo scorso 10 febbraio, nel corso della cerimonia d’inaugurazione dell’Anno Giudiziario, il fenomeno 37 della corruzione, evidenziando non soltanto il logorio che determina sull’etica del Paese, ma anche gli effetti distorsivi diretti sulla economia e sulla concorrenza. In ultimo, la vicenda Mose e le altre che ne sono seguite, hanno disvelato un territorio aggredito dal malaffare, attraverso un sistema corruttivo endemico, finalizzato ad influenzare, indistintamente ad ogni livello, i vertici e i responsabili delle procedure, per evitare intoppi, ritardi, ripensamenti, revisioni critiche, etc. Se, ad oltre vent’anni da Tangentopoli siamo ancora dinanzi a questo problema non soltanto irrisolto ma, se possibile, ulteriormente aggravato, vuol dire che la malattia non può essere del tutto debellata, ma soltanto curata con strumenti efficaci. Si impongono una semplificazione ed una coerenza normativa di lungo periodo, frutto di una presa di coscienza collettiva che annulli il distacco tra la politica e i cittadini, coinvolgendo la società in un movimento di riscatto generale che la proietti in un futuro virtuoso. In tale ottica vanno realmente potenziati il controllo e la giurisdizione della Corte dei conti perché, con il dichiarato obiettivo di riforme epocali, c’è chi invece ha spesso tentato di limitarne le funzioni. E in questo non si rende un buon servizio al Paese. Certamente alcuni aspetti della giurisdizione contabile andrebbero rivisti ed adeguati ai tempi, senza però stravolgere l’assetto attuale. Il regolamento di procedura, ad esempio, è del 1933 (R.D. 13 agosto 1933, n. 1038), anche se conserva tutt’oggi una sua validità. Vanno individuati criteri certi e definiti per l’esercizio del potere riduttivo da parte del giudice; il progressivo aumento delle riparazioni spontanee, per importi anche molto consistenti, negli ultimi anni dimostra che sarebbe opportuna l’introduzione di una forma di patteggiamento in primo grado. 38 Dovrebbe essere modificato il limite di € 5.000 previsto per il procedimento monitorio. Andrebbe infine rivista la normativa sull’esecuzione delle sentenze di condanna, introdotta con il D.P.R. n. 260/1998, che prevede il controllo da parte della Procura regionale sulle procedure, ma non un intervento dello stesso P.M. sulle rateizzazioni, spesso eccessivamente generose concesse dalle amministrazioni.6 Conclusioni Nel quadro delle iniziative formative nelle scuole promosso dalla Procura Generale e dall’Associazione magistrati della Corte dei conti, oggi sono presenti gli studenti del Liceo Stefanini di Mestre ed il Dirigente Scolastico della Scuola Elementare Tiziano Vecellio, tra le premiate nel concorso “L’Italia incompiuta” indetto dalla Procura Generale della Corte dei conti e dal MIUR. A questi ragazzi dobbiamo consegnare un messaggio di speranza, perché non è tanto nelle aule di giustizia, ma nelle aule di scuola che si possono realizzare le condizioni per migliorare la nostra società e liberarla dal giogo della corruzione. La freschezza della gioventù e la purezza degli ideali sono la linfa per cambiare e costruire un futuro degno di questo Paese. 6 In tal senso vi era stata una proposta di legge di iniziativa parlamentare presentata alla Camera dei Deputati nel 2009, avente ad oggetto: “Delega al Governo per l’emanazione di un codice di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti”, la quale prevedeva, all’art. 1, lettera p, una “disciplina della fase della esecuzione della sentenza soggetta alla vigilanza della procura regionale competente, al fine di garantire l’effettività del giudicato, con facoltà di promuovere, in caso di inerzia, avanti al giudice collegiale, idonei provvedimenti sostitutivi con previsione anche di confisca contabile in favore del soggetto danneggiato.” 39 La nostra generazione al potere deve continuare con l’impegno quotidiano nella lotta alla corruzione ed allo sperpero delle risorse della collettività. La magistratura contabile, nelle funzioni di giurisdizione e controllo, costituisce ancora un valido argine, nonostante una malcelata insofferenza di chi ben si rende conto del pericolo costituito da un giudice capace di controllare l’azione amministrativa e reprimerne efficacemente gli abusi. Così si ritiene preferibile inasprire le pene e usare l’accetta, piuttosto che andare alla radice del problema, potenziando le risorse della Corte dei conti, giudice naturale dei comportamenti di amministratori e funzionari. Quando si arriva all’intervento del giudice penale il danno è ormai divenuto irreversibile. Finora le manette non hanno scoraggiato i fenomeni di corruzione, ma hanno soltanto posto fine ad episodi singoli destinati a riprodursi in futuro. Un autorevole magistrato della Procura di Venezia in prima linea sulla lotta alla corruzione, ha affermato, in una recente intervista, che l’inasprimento delle pene non serve e che il punto nodale della questione risiede nella proliferazione normativa e la sua soluzione sta nel contrasto all’evasione fiscale che consente la costituzione di fondi neri da destinare ai corrotti. Diagnosi esatta che condividiamo pienamente. Non a caso lo scandalo MOSE ha preso avvio da verifiche fiscali della Guardia di Finanza che hanno portato alla luce false fatturazioni da parte di ditte consorziate. Il problema è anche culturale e di sistema. Per controllare il sistema P.A. e cercare di fare opera di prevenzione, per quanto possibile, una Corte dei conti ben altrimenti 40 attrezzata può costituire un valido argine al fenomeno corruttivo, prima che degeneri in comportamenti penalmente rilevanti. Il momento repressivo non risarcisce la perdita economica complessiva derivante dalla cattiva gestione delle risorse della collettività. I continui scandali ai quali l’opinione pubblica è ormai assuefatta ci dicono che il fenomeno non può essere risolto, almeno nell’immediato, ma va combattuto con costante attenzione nel tentativo di contrastarlo con ogni mezzo. Ciascuno deve fare la sua parte ad ogni livello della vita pubblica per dare una risposta concreta e credibile ai cittadini, migliorando l’esistente, sfrondando la selva legislativa, ma soprattutto fornendo un esempio di condotta morale che sia di stimolo al cambiamento e di riferimento per le giovani generazioni. “L’onestà è lodata da tutti, ma muore di freddo”7. Le numerosissime segnalazioni di danno erariale dimostrano che i cittadini veneti guardano con fiducia alla Corte dei conti, che agli occhi dell’opinione pubblica non è un vuoto simulacro, ma un’istituzione fortemente impegnata nella salvaguardia della legalità e nel controllo del buon andamento e dell'imparzialità della Pubblica Amministrazione. Sig. Presidente al termine di questo breve intervento, Le chiedo di dichiarare aperto l’Anno Giudiziario 2015 della Corte dei conti del Veneto. 7 GIOVENALE – Satire – “Probitas laudatur et alget” 41 Procura Regionale per il Veneto VENEZIA Attività 2014 Importo recuperato in esito a sentenze esecutive € 3.037.941,18 Vertenze pendenti al 1 gennaio 2014 7754 Denunce pervenute e aperte nell’anno 1142 Segnalazioni prearchiviate 99 Archiviazioni istruttorie 1252 Vertenze pendenti al 31 dicembre 2014 7508 Attività istruttorie e deleghe 2642 Consulenze e perizie 6 Inviti a dedurre 46 Audizioni personali 25 Citazioni 36 Pareri in materia di conti giudiziali 1512 Appelli 10 Sequestri conservativi chiesti 1 42 CORTE DEI CONTI Procura Regionale per il Veneto VENEZIA Somme derivanti da riparazioni spontanee a seguito apertura V (escussione polizze fidejussorie: tasse autom, ecc) Anno di riferimento a seguito di attività istruttoria a seguito di invito a dedurre in corso di giudizio 2010 96.054,08 2.176,91 8.359,33 2011 139.140,79 14.544,11 1.702,96 2012 72,309,22 20.000,00 5.454,21 221.194,90 2013 513.505,38 15.250,35 116.380,03 38.134,73 2014 128.071,44 6.544,39 40.789,41 64.728,23 Procedimenti monitori Anno di riferimento Importi 2010 6.765,00 2011 6.557,00 2012 8.753,00 2013 600,00 2014 4.175,00 Esecuzione sentenze condanna di I e II grado Anno 2014 n. sentenze di condanna di I grado n. sentenze condanna di I grado appellate Stato 10 1 E. Locali 4 2 Amm.ne danneggiata n. sentenze condanna di II grado Importo di condanna di I grado (Sentenze passate in giudicato)* Importo di condanna di II grado** Anno di riferimento 103.987,59 5 8.000,00 Importo recuperato nell'anno di riferimento in esito a sentenze esecutive di I e II grado anche pregresse 2.753.088,00 516.592,43 Regioni 237.954,06 2014 Altri enti 1 1 1 Totale 15 4 6 111.987,59 7.000,00 46.899,12 523.592,43 3.037.941,18 43
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