Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLV n. 74 (46.912) Città del Vaticano mercoledì 1 aprile 2015 . Alla terza conferenza mondiale dei donatori le agenzie dell’Onu denunciano la mancanza di fondi Raid sulla capitale yemenita Aiuti insufficienti alla popolazione siriana San’a epicentro delle violenze KUWAIT CITY, 31. La terza conferenza dei Paesi donatori per la Siria, che si apre oggi in Kuwait presieduta dal segretario generale dell’O nu, Ban Ki-moon, e dall’emiro kuwaitiano, Sabah Al Ahmad Al Sabah, punta a raccogliere fondi per almeno 8,4 miliardi di dollari, necessari solo per quest’anno a contenere le conseguenze della catastrofe umanitaria che dilania il Paese entrato nel quinto anno di guerra civile. Alla conferenza partecipano i rappresentanti di una settantina di Paesi, per lo più occidentali e del Golfo persico, e una quarantina di organizzazioni non governative. L’appuntamento ha un rilievo mondiale assoluto. Quella in Siria è la maggiore crisi dalla fine della seconda guerra mondiale e non si intravedono ancora soluzioni diplomatiche o negoziali. Secondo i dati dell’Onu, oltre dodici milioni di persone, più della metà della popolazione siriana, sono profughi, otto milioni sfollati all’interno del territorio e circa quattro rifugiati nei Paesi vicini. I morti in questi quattro anni di guerra civile sono stati 220.000, i feriti e i mutilati un numero incalcolabile. Quasi dieci milioni di persone non hanno cibo sufficiente; oltre undici milioni non dispongono di acqua potabile e strutture sanitarie; solo il 40 per cento degli ospedali sono rimasti ancora in piedi; due milioni e mezzo di bambini non frequentano più la scuola. Di «vergogna, ira profonda e frustrazione» per il fallimento della comunità internazionale nel trovare una soluzione a questa catastrofe ha parlato oggi Ban Ki-moon, aprendo la conferenza in Kuwait. Il segreta- In Giordania e in Iraq Il cardinale Filoni tra i rifugiati «Ho ammirato e sono rimasto edificato dalla generosità di tanti»: in partenza per Baghdad dopo aver visitato due parrocchie ad Amman, il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, ha riportato una vera e propria lezione di umanità e di fede, in luoghi dove l’uomo e i suoi diritti vengono calpestati in modo sistematica. Dopo la visita dello scorso agosto, il prefetto di Propaganda Fide è tornato in Iraq per portare la benedizione e l’aiuto concreto di Papa Francesco alle famiglie cristiane e agli altri gruppi che, a causa delle violenze degli jihadi- sti, sono stati costretti a lasciare le loro case. Prima tappa del suo viaggio, la capitale giordana, dove le due parrocchie visitate accolgono rifugiati iracheni, indipendentemente dalle religioni professate: al momento una ventina di famiglie. «È bello — dice — vedere che riescono a ritrovare una loro dignità e amicizia». Nella parrocchia di Maria Madre della Chiesa funzionano anche una scuola pomeridiana per i figli dei rifugiati (trecento bambini), un corso di inglese e un centro di ritrovo per gli adulti. Il cardinale è ora a Baghdad dove ha già fatto visita a un campo di rifugiati. Nonostante le trattative tra le varie fazioni mediate dall’inviato delle Nazioni Unite y(7HA3J1*QSSKKM( +\!z!&!"!#! Intensi combattimenti in Libia TRIPOLI, 31. Almeno 14 miliziani leali al Governo di Tobruk, internazionalmente riconosciuto, sono morti ieri nel corso di violenti combattimenti a Bengasi. Lo si apprende da una fonte della sicurezza locale. Tre di loro sono morti nel quartiere di Abu Hadima, uno nel quartiere di Suq Al Hut, dieci nel quartiere Buatni. La città è al centro di intensi scontri armati tra le forze del generale Khalifa Haftar e gli islamisti di Ansar Al Sharia. E proseguono intanto le operazioni militari dell’esercito libico nell’ovest del Paese nonostante il negoziato in corso. L’agenzia Lana riferisce che aerei da guerra delle truppe di Haftar hanno compiuto raid sulle montagne dell’ovest, a 80 chilometri da Tripoli, senza causare vittime. Media libici riferiscono di due feriti in un altro raid compiuto a Zuwara, città sul mare a sessanta chilometri dal confine con la Tunisia già colpita più volte negli ultimi tre mesi. In attesa che riprenda il dialogo mediato in Marocco dall’inviato dell’Onu, Bernardino León, continuano dunque gli scontri tra le varie fazioni armate. Tuttavia «i combattimenti non fermeranno questo dialogo», ha assicurato ieri León. Dal canto suo, il premier libico riconosciuto dalla comunità internazionale, Abdullah Al Thani, ha annunciato che il Governo di Tobruk chiederà alla Lega araba raid aerei sulla Libia simili a quelli che la coalizione a guida saudita sta compiendo in Yemen. L’annuncio è sta- to fatto a una televisione di Riad ma per ora appare agli analisti solo un tentativo di rilancio in quella sorta di partita a scacchi che si sta giocando nel negoziato in Marocco per riunificare il Paese segnato dalla contrapposizione tra gli Esecutivi (e soprattutto i potentissimi Parlamenti) di Tripoli e di Tobruk. «La Libia domanderà alla Lega araba un intervento in Libia per il ritorno della legittimità», ha annunciato il premier ad Al Arabiya domandandosi perché «sia impossibile sostenere la legittimità nello Yemen e non fare lo stesso in Libia». Già a metà febbraio, con il traino emotivo dei raid aerei egiziani sulla città di Derna, Al Thani aveva chiesto «azioni militari» avvertendo che la minaccia fondamentalista «si sposterà nei Paesi europei». Un analogo appello era venuto anche dal presidente egiziano, Abdel Fattah Al Sissi ma c’era stato l’invito da parte della comunità internazionale a dare una chance al dialogo impostato dall’Onu. La richiesta egiziana si è poi ridotta a quella di togliere l’embargo alle forniture di armi alla Libia. Truppe guidate dal generale Haftar a nord di Tripoli (Ansa) rio generale dell’Onu ha anche sottolineato la necessità di portare davanti alla giustizia i responsabili del bagno di sangue e dei crimini commessi contro il popolo siriano. Sulla necessità di intervenire in soccorso della sventurata popolazione siriana si susseguono le dichiarazioni. Il pericolo, però, è che ancora una volta, a queste non facciano seguito comportamenti concreti conseguenti. Nelle due precedenti conferenze, tenute sempre in Kuwait, erano stati presi impegni per donare rispettivamente 1,5 e 2,4 miliardi di dollari. Ma le Nazioni Unite hanno lamentato che gli impegni presi in quelle occasioni non sono stati rispettati. Questa prospettiva sembra incombere ancora di più ora che la situazione è drammaticamente peggiorata, come ha denunciato Valérie Amos, responsabile dell’Ocha, l’ufficio dell’Onu per il coordinamento degli interventi umanitari, sottolineando il continuo aumento delle violenze, che vedono vittime in particolare i bambini. Molte agenzie dell’Onu hanno annunciato di essere rimaste senza fondi e di essere costrette a ridurre o interrompere le proprie attività. Il Programma alimentare mondiale ha bisogno di circa trenta milioni di dollari a settimana per sfamare sei milioni di persone dentro e fuori la Siria. All’Organizzazione mondiale della sanità serve oltre un miliardo di dollari per medicine e servizi sanitari. L’Unicef, l’agenzia dell’O nu per l’infanzia, ha bisogno di 903 milioni di dollari nel 2015 per far fronte all’emergenza di otto milioni e mezzo di bambini. Anche la Fao, l’organizzazione dell’Onu per l’alimentazione e l’agricoltura, ha avvertito alla vigilia della conferenza che servono 121 milioni di dollari per l’assistenza alimentare ai cittadini in Siria e ai rifugiati siriani nei Paesi vicini, in particolare Giordania, Libano, Iraq e e Turchia. Nella generale crisi siriana si segnalano in particolare le conseguenze sulle minoranze etniche e religiose, acuite negli ultimi mesi dall’irruzione nel conflitto del cosiddetto Stato islamico (Is) e delle sue violenze. Nel presentare ieri i temi della conferenza, il ministro kuwaitiano dell’Informazione, Salman al Sabah, ha sottolineato che una soluzione politica in grado di risolvere la grave crisi umanitaria in Siria costituirebbe il primo passo per arginare nel mondo la minaccia dell’Is. «C’è in atto uno sforzo internazionale contro l’Is del quale ci aspettiamo il successo. Ma la minaccia non si combatte solo militarmente, e uno dei punti principali è quello di trovare una soluzione in Siria», ha detto. Negoziati sul nucleare iraniano Verso l’intesa LOSANNA, 31. Il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov, ha annunciato che tornerà in giornata a Losanna per la conclusione dei negoziati sul programma nucleare iraniano. «Le possibilità di giungere a un’intesa sono elevate», ha detto il capo della diplomazia del Cremlino. A poche ore della scadenza, prevista proprio per oggi, sono infatti riprese le trattative per giungere a un accordo tra il gruppo cinque più uno e Teheran. Prima della riunione con il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, c’è stata una consultazione tra i ministri degli Esteri di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Cina e Germania. Ieri sera il segretario di Stato americano, John Kerry, ha parlato di «un piccolo spiraglio di luce» ma anche di «punti complicati» da risolvere. Bombe della coalizione colpiscono San’a (Epa) SAN’A, 31. Ancora violenza nello Yemen. Nelle ultime ore la capitale ha subito i raid aerei più intensi dall’inizio dell’operazione «Tempesta risolutiva» lanciata dalla coalizione guidata dall’Arabia Saudita per colpire i ribelli huthi. Colonne di fumo si levano da San’a mentre i testimoni parlano di violentissime esplosioni sentite per tutta la notte. L’obiettivo della coalizione che comprende una decina di Paesi arabi e alla quale, nelle ultime ore, hanno dato il loro appoggio diversi Paesi africani — Mauritania, Senegal, Guinea e Sudan — mira a distruggere le infrastrutture militari degli huthi e dei loro alleati, le milizie dell’ex presidente yemenita, Ali Abdullah Saleh, che minacciavano di prendere il controllo dello Yemen. Oltre a San’a, gli aerei hanno colpito depositi di armi e munizioni dei ribelli huthi a Dhamar (centro), a Hodeida (ovest) e a Taiz e Aden (sud). Nel corso di un raid nel nordovest del Paese sarebbe stato colpito anche il campo profughi di Al Mazrak, nella provincia di Hajja con un bilancio di almeno quaranta morti e duecento feriti. Vi erano molti combattenti huthi tra le vittime. Il portavoce della coalizione, il generale saudita Ahmed Al Asiri, ha affermato che «non c’è conferma che si trattasse di un campo profughi». Al Asiri ha anche accusato gli huthi di piazzare i propri lanciarazzi e i pezzi di artiglieria tra la popolazione civile per farsene scudo. Inoltre, per la prima volta nel conflitto sono intervenute direttamente navi da guerra della coalizione con un bombardamento di un’unità degli huthi mentre cercavano di avvicinarsi ad Aden. Quattro navi inviate dall’Egitto a sostegno della missione nello Yemen si sarebbero posizionate nel golfo di Aden dopo aver attraversato lo stretto di Bab El Mendab. L’Arabia Saudita si è detta disposta a organizzare colloqui tra le forze politiche yemenite per «assicurare la sicurezza e la stabilità del Paese». Tali colloqui dovranno però avvenire «sotto l’ombrello del Consiglio di cooperazione del Golfo persico e nel quadro degli sforzi per stabilizzare le istituzioni legittime», si legge in un comunicato. Esiste, inoltre, una condizione per l’avvio dei negoziati, ovvero la consegna di «tutte le armi alle autorità statali». Solidarność e i regimi totalitari La Stalingrado del comunismo TOMÁŠ HALÍK A PAGINA 4 NOSTRE INFORMAZIONI Il Santo Padre ha nominato Prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Giuseppe Versaldi, finora Presidente della Prefettura degli Affari Economici della Santa Sede. Il Santo Padre ha nominato Membro dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica l’Eminentissimo Signor Cardinale Rainer Maria Woelki, Arcivescovo di Köln (Repubblica Federale di Germania). Provviste di Chiese Il Santo Padre ha nominato Vescovo dell’Eparchia di Piana degli Albanesi di Sicilia il Reverendo Giorgio Demetrio Gallaro, del clero dell’Eparchia di Newton dei Greco-Melkiti (Stati Uniti d’America). Il Santo Padre ha nominato Vescovo della Diocesi di Kalemie-Kirungu (Repubblica De- mocratica del Congo) il Reverendo Padre Christophe Amade, M. Afr., Superiore Provinciale dei Padri Bianchi per l’Africa Centrale. Nomina di Vescovi Ausiliari Il Santo Padre ha nominato due Ausiliari per l’Arcidiocesi di Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo): il Reverendo Padre Donatien Bafuidinsoni, S.I., Vicario Giudiziale della medesima Arcidiocesi, e il Reverendo Monsignore JeanPierre Kwambamba Masi, del clero di Kenge, officiale della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Al Reverendo Bafuidinsoni è stata assegnata la Sede titolare vescovile di Gemelle di Bizacena e al Reverendo Kwambamba Masi è stata assegnata la Sede titolare vescovile di Naratcata. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 mercoledì 1 aprile 2015 Ribelli filorussi nei dintorni della città di Donetsk (Ansa) Non si sbloccano i negoziati sul debito Sulla Grecia si tratta a oltranza durante una conferenza stampa. E per questo non è ancora previsto un incontro a livello europeo. «Dipende anche dal fatto che al momento non abbiamo ancora alcuna proposta greca» ha aggiunto Jaeger, precisando: «La palla ora è nella metà campo ellenica». Un messaggio molto simile è giunto ieri anche dal cancelliere tedesco, Angela Merkel. «Stiamo lavorando perché la Grecia possa restare nell’Euro» ha detto Merkel da Helsinki, dove si è recata in visita ufficiale. Merkel ha insistito sulla necessità delle riforme che il Governo ellenico si è impegnato ad adottare e ha sottolineato che il punto è «se Atene vuole e può corrispondere alle aspettative che tutti abbiamo: ci possono essere variazioni quanto al tipo di misure per le quali opta un Governo, ma alla fine il quadro generale deve concordare». Sulla difficoltà dei negoziati in corso è intervenuto ieri anche il commissario Ue agli Affari economici e finanziari, Pierre Moscovici. Per cercare di raggiungere un’intesa entro le scadenze «tutti stanno lavorando giorno e notte, anche il sabato e la domenica» ha detto Moscovici durante un intervento al Parlamento Ue. «E tutti sanno che il tempo è limitato» ha aggiunto, riferendosi ai protagonisti dei negoziati avviati venerdì scorso, ovvero, oltre al Governo greco e le istituzioni europee (Ue, Bce), anche il Fondo monetario internazionale. Le riforme su cui prosegue il lavoro — ha detto Moscovici — devono essere «coerenti con la volontà degli elettori greci, ma devono anche garantire che gli impegni presi dalla Grecia con i suoi interlocutori siano completamente rispettati». BRUXELLES, 31. «Stiamo cercando un compromesso onesto con i nostri creditori, ma non un accordo incondizionato». Queste le parole pronunciate ieri dal premier greco, Alexis Tsipras, nel corso di un intervento al Parlamento di Atene. La ristrutturazione del debito greco — ha spiegato Tsipras — è necessaria affinché Atene possa rimborsarlo. Ma il tempo stringe: la liquidità della Grecia è agli sgoccioli e, senza aiuti da Bruxelles, Atene potrebbe non essere in grado di onorare gli impegni di rimborso. Il Governo tedesco ha fatto sapere ieri di non aver ancora ricevuto la lista di riforme da parte dell’Esecutivo di Tsipras, condizione necessaria per ricevere gli aiuti. Il portavoce del Ministero delle Finanze, Martin Jaeger, ha detto che Berlino non ha ricevuto alcun documento I punti centrali della bozza Atene e la lista della discordia ATENE, 31. La Grecia punta a raggiungere per quest’anno un incremento netto delle entrate di 3,7 miliardi di euro: questo il primo obiettivo fissato dal Governo Tsipras nella tanto attesa lista delle riforme da presentare ai partner europei, considerata una condizione imprescindibile per l’esborso degli aiuti. È quanto emerge da una bozza che ha iniziato a circolare tra i negoziatori: in tutto quindici pagine che elencano proposte di riforma più dettagliate nel tentativo di sbloccare i prestiti di emergenza da parte di Ue e Fondo monetario internazionale. Il primo punto della bozza riguarda il giro di vite su trasferimenti di capitali: Atene conta di rastrellare tra i 725 e gli 875 miliardi di euro attraverso «il rafforzamento delle attività di indagine su una lista di trasferimenti bancari e soggetti offshore». Il secondo aspetto è invece la lotta al contrab- bando di petrolio, tabacco e alcol. L’azione di contrasto frutterà — secondo la bozza di lista — tra 250 e 400 milioni di euro. Un altro tema chiave del documento riguarda la lotta all’evasione dell’Iva, che dovrebbe portare nelle casse dello Stato 350-420 milioni di euro. Sulle privatizzazioni, il piano di Tsipras dovrebbe generare quest’anno 1,5 miliardi, una cifra inferiore rispetto ai 2,2 miliardi indicati nel prospetto di bilancio 2015 del precedente Governo. Sono previsti infine una tassa sul lusso, una tassa sulle lotterie e un accorpamento istituti previdenziali da cui sono attesi dieci milioni di euro di risparmi. A ciò si aggiunge un rafforzamento del meccanismo del controllo per prevenire l’evasione fiscale. La lotta al lavoro nero porterà entrate per 150 milioni. In programma anche la reintroduzione della tredicesima mensilità per le pensioni più basse. L’invito del cancelliere tedesco all’Europa Uniti per la pace in Ucraina KIEV, 31. L’Unione europea agisca in maniera unita nell’ambito della crisi ucraina: questo l’appello lanciato ieri dal cancelliere tedesco, Angela Merkel, nel corso di una visita ufficiale a Helsinki, dove ha incontrato il premier finlandese, Alexander Stubb. Il cancelliere ha invitato tutti gli Stati Ue a consultarsi tra loro e a non agire da soli. «Il nostro desiderio è collaborare con la Russia, ma sulla base di determinati principi», ha ribadito Angela Merkel, riferendosi alla firma degli Accordi di Helsinki nel 1975, base per la fondazione della Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce). Allora gli Stati partecipanti, tra cui l’ex Unione sovietica, si impegnarono a rispettare l’inviolabilità delle frontiere, a non interferire negli affari interni di altri Paesi e a rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali. «Non vogliamo scontri militari», ha ricordato il cancelliere, spiegando che proprio per questo sono state imposte le sanzioni economiche contro Mosca. Se l’Europa agisce insie- me, ha aggiunto, avranno effetto in Russia. Da parte sua, Stubb ha sottolineato che l’Unione europea vuole collaborare con la Russia. Il premier finlandese si è anche mostrato fiducioso che si troverà una soluzione al conflitto, anche se questo richiederà pazienza e perseveranza. Intanto, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, durante un’audizione all’Europarlamento, ha detto che quello che sta facendo la Russia, attraverso la sua politica aggressiva e di «intimidazioni» nei Al via la campagna elettorale per le legislative del 7 maggio in Gran Bretagna Dopo le amministrative Lo spettro dell’Hang Parliament Parigi verso il rimpasto di Governo LONDRA, 31. La visita di ieri del premier, David Cameron, alla regina Elisabetta II per lo scioglimento del Parlamento ha segnato il via ufficiale alla campagna elettorale in vista delle elezioni politiche del 7 maggio, considerata dagli analisti come il voto più imprevedibile della recente storia britannica. Tanti i temi sul tavolo del confronto: salute, welfare, immigrazione e Unione europea. Si punta soprattutto a evitare un Hang Parliament, letteralmente un “Parlamento appeso”, ovvero senza una maggioranza certa e autonoma. Al momento — dicono gli analisti — nessuno è in grado di prevedere chi vincerà. I sondaggi sono ancora troppo altalenanti per dare un’idea chiara sull’esito del voto per il rinnovo del Parlamento. Dopo che due giorni fa il quotidiano «The Sunday Times» ha dato per la prima volta il laburisti in testa di quattro punti, ieri il tabloid «Daily Mail» ha conferito ai conservatori un vantaggio del tre per cento. I due principali partiti (i conservatori e i laburisti) sono alla ricerca di consensi sufficienti a formare ciascuno un Governo con una maggioranza autonoma, senza coalizioni né appoggi esterni. Da ieri, il Governo Cameron resta in carica per lo svolgimento degli affari correnti, mentre il Parlamento ha già chiuso i battenti. La prima seduta della nuova legislatura è già convocata per il prossimo 18 maggio; per il 27 è previsto nell’Aula dei Comuni il discorso della Corona. Parlando per l’ultima volta al Paese davanti Downing Street, il primo ministro Cameron ha rivendicato di avere messo la Gran Bretagna «sulla strada giusta, quella della ripresa economica», e ha chiesto agli eletto- In Italia battuta d’arresto nella ripresa dell’occupazione ROMA, 31. Battuta d'arresto nella ripresa del mercato del lavoro italiano. I dati diffusi oggi dall’Istat parlano chiaro: a febbraio scorso si è registrato un calo del numero di occupati rispetto al mese precedente. Il tasso di disoccupazione è risalito di 0,1 punti percentuali su gennaio e di 0,2 punti sul febbraio 2014, raggiungendo il 12,7 per cento. Nel dettaglio, ci sono 23.000 persone in più, rispetto al mese precedente, che cercano lavoro senza trovarlo, ben 67.000 rispetto ai dodici mesi precedenti (più 2,1 per cento). Si interrompe quindi il calo registrato a dicembre e gennaio. «Dopo la crescita del mese di dicembre e la sostanziale stabilità di gennaio, a febbraio 2015 gli occupati sono diminuiti dello 0,2 per cento. Il tasso di occupazione, pari al 55,7 per cento, è calato nell’ultimo mese di 0,1 punti percentuali» si legge nel documento dell’Istat. Cresce anche il tasso di disoccupazione giovanile, che è salito a febbraio di 1,3 punti percentuali su mese e di 0,1 punti su anno, per un totale del 42,6. Se si guarda al totale della popolazione giovane (tra i 15 e i 24 anni), si scopre che quasi 11 ragazzi su 100 pur cercando lavoro non lo trovano. Violenti scontri nel Myanmar Tutta la regione himalayana colpita da piogge torrenziali NEW DELHI, 31. Almeno diciotto persone sono morte per le alluvioni che hanno colpito la regione himalayana del Kashmir, nel nord dell’India. Come riferiscono i media locali, sei cadaveri sono stati trovati stamane sotto una frana che ha travolto un villaggio del distretto di Budgam, il più colpito dal maltempo. Si temono che possano esserci altre persone intrappolate nel fango e nei detriti che hanno sommerso decine di abitazioni. Dichiarato lo stato di emergenza in tutta la zona. GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Servizio vaticano: [email protected] Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va PARIGI, 31. Due giorni dopo la sconfitta della sinistra alle amministrative, il primo ministro francese, Manuel Valls, ammette che c’è la possibilità di un rimpasto di Governo. «Ognuno — ha detto in un intervento televisivo — ha la sua parte di responsabilità, e debbo per forza assumermi la mia, anche se mi sono impegnato a fondo in questa campagna». Si tratta di «una responsabilità collettiva: la sinistra era talmente divisa al primo turno che non poteva lanciare una forte dinamica al secondo. Sono convinto che se fossimo stati uniti fin dal primo turno, avremmo potuto vincere più dipartimenti». Valls ha quindi escluso le dimissioni: «Non è quello che si aspettano e che mi chiedono i francesi. Mi chiedono di restare al mio posto. Non aggiungeremo crisi alla crisi. Fin quando avrò la fiducia del presidente, fin quando avrò l’impressione che il legame con i francesi è in piedi, andrò avanti». Il primo ministro ha lasciato intendere la possibilità di un futuro accordo di Governo tra socialisti e verdi. «All’Assemblea nazionale abbiamo una maggioranza. È importante che la sinistra si unisca, la divisione porta alla sconfitta. Io voglio unire» ha detto. ri di scegliere «fra l’andare avanti», offerto dai conservatori, o il «caos economico» dei laburisti, che il cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, ha apertamente accusato di «volere solo nuove tasse». La risposta del Labour di Ed Miliband non si è fatta attendere: «Vogliamo un cambio di passo, e vogliamo costruirlo tutti insieme». Morti e dispersi per le alluvioni nel Kashmir L’OSSERVATORE ROMANO confronti dei Paesi dell’Europa dell’est che si avvicinano all’Ue (Ucraina, Moldova e Georgia) punta a «ripristinare le sfere di influenza» e questo «è inaccettabile». Ecco perché, ha sottolineato, «valuteremo la sua futura richiesta di adesione come quella di qualunque Paese: è diritto di ogni Nazione chiederlo». Stoltenberg ha però anche rassicurato che «non c’è nessuna minaccia imminente per nessuno degli alleati», e ha sottolineato che «per la prima volta nella sua storia, la Nato «deve affrontare nello stesso tempo i due compiti» che finora avevano caratterizzato le due diverse fasi storiche della sua azione. «Dal 1948 fino alla caduta del Muro di Berlino e alla fine della Guerra fredda — ha ricordato Stoltenberg — l’Alleanza atlantica ha rappresentato un fattore deterrente senza che ci fosse bisogno di sparare un solo colpo. Dal 1989 si è riorientata sulla gestione di quelle crisi che rischiavano di rappresentare una minaccia per i Paesi europei della Nato e sugli alleati nordamericani: per questo sono state condotte operazioni nei Balcani, in Afghanistan, di contrasto della pirateria nel Corno d’Africa e in Libia». Ora — ha proseguito Stoltenberg — «la sfida è continuare a gestire le crisi ma nello stesso tempo pensare alla difesa collettiva in Europa». Intanto, continuano senza sosta le operazioni di sgombero di migliaia di persone gestite da squadre della Forza nazionale di risposta dei disastri, inviate da New Delhi. Nella zona non piove più da alcune ore, ma il livello del fiume Jhelum ha superato i limiti di guardia e in alcune zone potrebbe straripare. Il nuovo disastro, dopo le alluvioni dello scorso settembre che hanno causato 250 morti, ha sollevato le proteste dell’opposizione, che stamane ha bloccato i lavori dell’Assemblea parlamentare locale di Srinagar. Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale NAYPYIDAW, 31. Pesanti combattimenti tra l’esercito governativo e le milizie del gruppo etnico dell’Arakan sono stati segnalati ieri nello Stato del Myanmar del Rakhine, vicino al confine con il Bangladesh. Lo hanno confermato fonti governative e dei media locali, precisando che un soldato è morto. I combattenti dell’Arakan sono accusati di essersi alleati con altri gruppi etnici armati che stanno combattendo sul fronte cinese, a Kokang. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 L’attacco nell’Arakan è avvenuto poche ore prima della ripresa del settimo incontro per le trattative sul cessate il fuoco tra i negoziatori del Governo e i rappresentanti dei gruppi armati del Paese asiatico. L’incontro è in programma nella ex capitale, Yangon, dopo una settimana di pausa. Molti, ancora, i punti di contrasto tra le parti. Durante i colloqui, combattimenti tra gruppi ribelli armati e forze governative sono scoppiati anche in altre zone: nello Stato del Kachin e a Ta’ang, nell’area di Palaung. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Banca Carige Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 1 aprile 2015 pagina 3 Sostenitore del partito di opposizione All Progressive Congress (Afp) Veicolo della Croce rossa attaccato nel nord del Mali BAMAKO, 31. Un veicolo della Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr) che portava medicine nel nord del Mali è stato attaccato ieri da uomini armati non identificati che hanno ucciso il conducente del mezzo e ferito un’altra persona. Nel darne notizia, il Cicr specifica che l’attacco è stato sferrato nei pressi di Gao. A tre anni dall’intervento armato francese, dal successivo dispiegamento dei caschi blu e dalla dichiarata fine della transizione con l’elezione nell’estate del 2013 di Ibrahim Boubacar Keïta alla presidenza della Repubblica, il nord del Mali resta nella morsa delle violenze, mentre sul piano politico non si arriva ancora all’accordo tra le forze tuareg e arabe e le nuove autorità della capitale Bamako. Anche qui, intanto, è in atto un riposizionamento delle forze politiche. Una decina di partiti hanno dato vita a una nuova coalizione, che si definisce Centro e che ha scelto di non sostenere né Keïta né l’opposizione guidata dal presidente del Parlamento, Soumaïla Cissé. Il nuovo raggruppamento vede tra i propri dirigenti più attivi Bamba Kiabou, presidente della Convenzione di riflessione e azione per il Mali, e la leader ecologista Diallo Fadimata Touré, e dichiara di volere essere «un’altra voce» rispetto ai due schieramenti principali. Pur criticando le politiche governative, che Touré ha definito «balbettanti», la nuova formazione sostiene il recente accordo di Algeri, sottoscritto dall’Esecutivo con alcune forze del nord del Mali, ma respinto dalle principali organizzazioni tuareg e arabe. Secondo Bamba Kiabou, in particolare, il documento «prende in considerazione le richieste di tutti». Preoccupazione dell’Onu per le tensioni in Burundi Lo sfidante Buhari in vantaggio sul presidente uscente Jonathan ma resta possibile il ballottaggio Fiato sospeso in Nigeria ABUJA, 31. La Nigeria lacerata dalle violenze attende i risultati delle elezioni presidenziali e parlamentari tenutesi sabato e protrattesi in molti casi anche nella giornata di domenica. I primi dati diffusi ieri dalla commissione elettorale, dopo lo spoglio delle schede in circa la metà dei 37 Stati della Federazione, davano oltre due milioni di voti di vantaggio nella corsa alla presidenza all’ex generale Muhammadu Buhari, a suo tempo a capo della giunta militare dittatoriale caduta nel 1999 e oggi candidato dalla coalizione di opposizione All Progressive Congress (Apc). Ulteriori notizie fornite dall’agenzia di stampa britannica Reuters, quando mancherebbero dal conteggio solo tre Stati, attribuiscono a Buhari tre milioni di voti in più di quelli conseguiti dal presidente uscente Goodluck Jonathan, ricandidato dal People’s Democratic Party (Pdp), a sua volta a rischio di perdere la maggioranza in Parlamento. La commissione elettorale aveva annunciato dati certi entro la mattinata di oggi, ma nel momento in cui andiamo in stampa si ignora ancora l’esito dello scrutinio. L’incertezza non è in termi- ni di voti assoluti — mancano quelli di Stati molto popolosi e tradizionalmente roccaforti di Jonathan e del Pdp, come il Rivers e il Lagos, ma il successo di Buhari e dell’Apc sembra ormai certo — ma è conseguenza delle regole elettorali. Per essere eletti alla presidenza al primo turno, infatti, serve non solo la maggioranza assoluta dei voti espressi, ma anche almeno il 25 per cento dei consensi in due terzi degli Stati della Federazione. In assenza di questa condizione, Buhari e Jonathan si sfideranno nel ballottaggio previsto per sabato 4 aprile. Mentre si moltiplicano gli appelli interni e internazionali ad accettare il risultato elettorale, qualunque esso sia, la situazione resta estremamente tesa. Gli osservatori internazionali e lo stesso segretario generale dell’Onu, Ban Kimoon, hanno parlato di un voto sostanzialmente regolare e pacifico, ma nel Rivers e nel Lagos, dove le autorità hanno imposto il coprifuoco, l’Apc denuncia brogli massicci a favore di Jonathan e del Pdp. In ogni caso, in diverse località ci sono stati episodi cruenti. Secondo organizzazioni nigeriane per la tutela dei diritti umani, tra sabato e domenica sono state uccise almeno cinquanta persone negli Stati di Lagos, Osun, Rivers, Akwa Ibom, Borno, Bauchi, Edo, Gombe e Yobe. A insanguinare la vigilia elettorale erano stati invece attacchi contro le popolazioni civili sferrati dai miliziani di Boko Haram che avevano ucciso una quarantina di persone, trenta delle quali trucidate in modo particolarmente feroce nel villaggio di Barutai, nel Borno, lo Stato nordorientale dove il gruppo jihadista ha le sue principali basi. Ancora oggi, inoltre, è stata segnalata un’incursione di Boko Haram oltre la frontiera con il Niger, respinta dalle forze locali e da quelle del contingente del Ciad, il maggiore di quelli della forza africana inviata contro il gruppo jihadista e alla quale forniscono truppe anche Benin, Camerun e appunto Niger. Secondo fonti ciadiane citate dall’Agenzia France Presse, gli assalitori hanno avuto forti perdite e hanno abbandonato armi e veicoli prima di ritirarsi oltre frontiera, verso la località nigeriana di Bosso. La France Presse parla anche di vittime civili. Nell’area di Bosso sono in atto anche operazioni dell’esercito nigeriano NEW YORK, 31. Il presidente del Burundi, Pierre Nkurunziza, dovrebbe «considerare con attenzione le conseguenze per il Paese delle sue decisioni alla vigilia delle elezioni presidenziali» del prossimo 26 giugno. Lo ha detto il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, in una telefonata allo stesso Nkurunziza della quale ha dato notizia ieri il suo ufficio. Dopo i responsabili della comunità ecclesiale, di organizzazioni della società civile e persino di alcuni esponenti del partito governativo — oltre ad alcuni soggetti internazionali — è dunque l’O nu stessa a contestare l’intenzione di Nkurunziza di candidarsi a un terzo mandato, in contrasto con l’interpretazione più diffusa sia della Costituzione sia degli accordi di pace di Arusha che nel 2000 misero fine alla guerra civile. Nella telefonata, Ban Ki-moon ha ricordato appunto «le molte voci che nella comunità internazionale e nella società civile hanno chiesto una rigida aderenza alla lettera e allo spirito degli accordi di Arusha». Ha inoltre chiesto a Nkurunziza di far sì che i servizi di sicurezza «restino imparziali nel caso di manifestazioni pubbliche», auspicando che le decisioni del presidente «mantengano il Burundi sulla strada della pace e della stabilità». Già nelle scorse settimane Ban Ki-moon era intervenuto su vicende politiche burundesi, chiedendo un’inchiesta approfondita e imparziale sull’aggressione a mano armata della moglie dell’oppositore ed ex capo guerrigliero Agathon Rwasa. Dopo la strage al museo del Bardo L’impatto della violenza sull’economia latinoamericana Jihadisti maghrebini minacciano nuovi attentati in Tunisia Quanto costa la criminalità TUNISI, 31. L’ombra del terrore non si allontana dalla Tunisia: un gruppo jihadista maghrebino che di recente si è allineato al cosiddetto Stato islamico (Is) ha minacciato nuove «operazioni dolorose» dopo l’attentato del 18 marzo al museo del Bardo di Tunisi, che ha fatto 22 vittime. «L’operazione al museo del Bardo — si legge in un comunicato del gruppo, chiamato Brigata Uqba ibn Nafi — è stata solo un test, che ha mostrato come sia facile penetrare il vostro sistema di sicurezza. Molte operazioni dolorose seguiranno, giorno dopo giorno». Non è ancora stato possibile verificare l’autenticità del comunicato, che tuttavia è apparso su siti usati in genere dal gruppo jihadista per i suoi annunci. Ieri, le autorità tunisine hanno annunciato l’uccisione del leader del gruppo terroristico, Khaled Chalib conosciuto come Lokman Abu Sakhr, e di otto suoi uomini in un’operazione nella provincia meridionale di Gafsa. Il leader terrorista era considerato la mente dell’attacco al museo del Bardo. La Brigata Uqba ibn Nafi è nata da Al Qaeda nel Maghreb islamico, ma ne sarebbe uscita di recente per entrare a far parte dell’Is. Tuttavia non c’è stato finora un vero e proprio “giuramento di fedeltà” al sedicente califfo dell’Is, Abu Bakr Al Baghdadi. Nella Brigata si sarebbero formate fazioni opposte in merito alla questione. La roccaforte di questo gruppo terroristico tunisino è sulle montagne Chaambi al confine con l’Algeria. Nel frattempo, ieri il museo del Bardo di Tunisi ha riaperto le porte al pubblico dopo la strage del 18 marzo. La struttura è stata aperta eccezionalmente fino alle 16, nonostante il vecchio orario prevedesse il lunedì come giorno di chiusura. Per PANAMÁ, 31. L’impatto della violenza prodotta dalla criminalità in America latina è in crescita e, a oggi, divora il sei per cento del prodotto interno lordo (pil) regionale. L’allarme arriva dal direttore di analisi economiche della Banca di sviluppo regionale (Caf), Pablo Sanguinetti, che nei giorni scorsi ha presentato un rapporto dal titolo «Verso una America latina più sicura» presentata a Panamá. Secondo lo studio, la criminalità è la principale preoccupazione del 24 per cento della popolazione latinoamericana. «Esistono costi a carico dei Governi impegnati nel repri- Abusi nelle carceri femminili messicane Forze antiterrorismo dispiegate a Tunisi (Ansa) il Ministero della Cultura tunisino la decisione è stata dettata dalla necessità di far fronte alle continue richieste di visite da parte della popolazione tunisina, di organizzazioni internazionali e regionali. La riapertura del Bardo — il museo, inaugurato nel 1888, custodisce la più ricca collezione di mosaici romani del mondo — giunge all’indomani della marcia contro il terrorismo nella capitale tunisina a cui hanno partecipato decine di leader stranieri. A margine della marcia internazionale contro il terrorismo, il presidente tunisino, Beji Caïd Essebsi, che aveva esortato i suoi com- patrioti a partecipare in massa alla marcia, ha inaugurato una stele al museo del Bardo in memoria delle vittime dell’attentato. E un messaggio di solidarietà al Bardo è giunto anche da Parigi. «Era necessario partecipare a questa marcia, i tunisini auspicavano la presenza della Francia e la Francia voleva essere al fianco dei tunisini che sono stati all’origine delle primavere arabe e sono stati vittime di un atto terroristico odioso» ha detto ieri il presidente francese, François Hollande, sottolineando l’importanza di unire le forze nella lotta contro il terrorismo. CITTÀ DEL MESSICO, 31. La discriminazione contro le donne in Messico si riflette anche nelle prigioni. In un rapporto la Commissione nazionale dei diritti umani ha evidenziato le difficili condizioni di vita all’interno delle carceri femminili, dove sono presenti “regni” governati da criminali che abusano, praticano estorsioni, obbligano a prostituirsi donne già costrette a vivere in condizioni degradanti, ammassate in piccoli spazi, carenti di tutto, dai servizi igienici al cibo. La Commissione, che ha esaminato 77 istituti, capaci di contenere fino a 13.000 donne, ha denunciato carenze e problemi che non si riscontrano fra i detenuti maschi. Piaghe già segnalate in un rapporto del 2013, rimaste, però senza risposta. mere e risarcire le vittime della criminalità, ma ci sono anche costi più indiretti, come accade ad esempio in alcune località del Messico dove la criminalità fa sì che la gente non possa andare al lavoro o a scuola. E questo è più difficile da misurare» ha spiegato l’esperto. La ricerca mostra che negli ultimi quindici anni il tasso di omicidi in America latina è aumentato rispetto ad altre regioni del mondo. Lo studio, in 260 pagine, cerca soprattutto di individuare i diversi fattori che stanno alla base del fenomeno. «In media il tasso di omicidi è fra i 2527 ogni 100.000 abitanti, un tasso molto elevato» ha rilevato Sanguinetti, facendo notare che in Messico nel 2006 la media era di dodici omicidi per 100.000 abitanti, mentre oggi è salito a 26. Ma la cosa ancor peggiore è che la criminalità agisce spesso in contesti già fortemente piegati dalla povertà e dalla miseria. Nella regione latinoamericana ci sono ancora — dicono le statistiche della Banca mondiale — 130 milioni di persone che vivono con meno di quattro dollari al giorno, nonostante la crescita economica negli ultimi dieci anni e gli sforzi per incoraggiare l’accesso al mercato del lavoro. Perde consensi il partito boliviano al Governo LA PAZ, 31. Nelle elezioni regionali e comunali di domenica, il Movimento verso il socialismo (Mas), del presidente boliviano, Evo Morales, è riuscito a mantenere il suo rango di prima forza politica del Paese, ma ha perso vari dei suoi bastioni tradizionali. Lo sconfitta più cocente è stata registrata a El Alto (la città nei dintorni di La Paz dalla quale partì nel 2003 la cosiddetta "guerra del gas"), dove ha vinto Soledad Chapeton, leader dell’opposizione di origine indigena. A livello nazionale, il Mas continua, comunque, a controllare il maggior numero di comuni del Paese e quattro dei nove dipartimento in cui è diviso il territorio nazionale, anche se l’impatto politico dei risultati a El Alto (e nella regione di Santa Cruz), ora in mano all’opposizione, è innegabile. A El Alto, la città sudamericana con il più alto tasso di popolazione indigena, Chapeton (55 per cento dei voti) ha nettamente battuto il candidato governativo alla rielezione, Édgar Patana (28 per cento), trasformandosi nella nuova speranza elettorale per Samuel Doria Medina, l’ex imprenditore leader dell’Unità nazionale (di centrodestra). Il vicepresidente, Álvaro García Linares, ha riconosciuto le diverse sconfitte locali del Mas, interpretandole, però, come un segno che «il popolo accompagna ancora il nostro progetto». In una nota, García Linares ha comunque tenuto a precisare che anche nelle elezioni locali del 2010 il partito di Governo perse circa un milione e mezzo di voti, ma quattro anni dopo Morales fu rieletto con ampia maggioranza. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 Il marxismo fu una sorta di eresia cristiana In molti Paesi dopo il 1968 l’ideologia si trasformò in una singolare religione di Stato di TOMÁŠ HALÍK no spettro si aggira per l’Europa – spettro del comunismo», scrivevano Marx ed Engels nel rivoluzionario anno 1848. Fortunatamente, lo spettro del comunismo smise di aggirarsi su e giù per l’Europa nell’Annus mirabilis 1989. Il mezzo secolo della dominazione comunista nell’Europa centroorientale può essere suddiviso in diverse fasi. La prima consisteva in una sovietizzazione forzata di quei Paesi nell’immediato dopoguerra. La seconda cominciò dopo le proteste popolari contro i regimi stalinisti: la rivolta del 1953 nella Ddr, la rivoluzione ungherese e la vittoria del “comunismo nazionale” di Gomułka in Polonia nel 1956, che implicò l’affermazione della burocrazia statalista nei regimi socialisti, e finì con la soppressione della Primavera di Praga nel 1968, quando gli eserciti dei cinque Paesi del Patto di Varsavia invasero la Cecoslovacchia. La terza fase fu contrassegnata da una generale stagnazione in tutto il blocco sovietico sotto il regime di Breznev, e si finì nel 1980 con la fondazione del sindacato Solidarność in Polonia. La quarta vide il tentativo di Gorbachev di liberalizzare il regime sovietico introducendo la perestrojka nella seconda metà degli anni Ottanta, e si concluse alla fine del 1989, con gli sconvolgimenti politici nell’Europa centro-orientale e il collasso dell’Unione Sovietica. La campagna più violenta contro le Chiese ebbe luogo fino all’anno 1956 quando il terrore rivoluzionario degli anni Cinquanta si esaurì e il comunismo, invecchiando, mise su un po’ di pancia, l’euforia di una parte della società e la paura e la rabbia dell’altra furono sostituite da un diffuso senso di noia. Dopo il 1968, nella «U La svolta degli anni Ottanta Pubblichiamo la parte iniziale di un intervento sulla Chiesa di fronte alle sfide degli anni Ottanta nell’Europa centrale e orientale edito insieme ad altri contributi pronunciati in occasione del convegno «La Chiesa e la svolta degli anni Ottanta e Novanta in Europa centroorientale», che si è svolto in Vaticano il 6 giugno 2014, organizzato dall’ambasciata della Repubblica di Polonia presso la Santa Sede in collaborazione con la Pontificia Accademia delle Scienze nell’anno della canonizzazione di Giovanni Paolo II. L’autore è un filosofo, psicologo e sociologo ceco, ordinato sacerdote clandestinamente nel 1978, Premio Templeton 2014, amico di Václav Havel e stretto collaboratore del cardinale František Tomášek. maggior parte dei Paesi comunisti l’ideologia comunista si trasformò in una singolare religione di Stato: curiosamente, nessuno vi credeva, nemmeno i suoi sommi sacerdoti. Nemmeno la stragrande maggioranza dei funzionari comunisti credeva più nel marxismo, diventando semplicemente, il più delle volte, dei cinici apparatčiki. Nell’est vi furono molti meno marxisti convinti che nell’ovest; nei Paesi comunisti il marxismo era morto molto prima della caduta del comunismo. Il marxismo fu una sorta di eresia cristiana. Chesterton definì l’eresia “la verità impazzita”, una particella della verità che si è strappata a forza dal proprio contesto espandendosi e raggiungendo dimensioni terribili. Il marxismo costituiva un’inversione di sorta dell’escatologia cristiana nello spazio-tempo di un futuro storico che poteva essere pianificato e realizzato mediante gli interventi rivoluzionari nella storia. I comunisti si aspettavano che i cambiamenti della struttura di base dell’economia, come l’eliminazione della proprietà privata dei mezzi di produzione a favore di quella sociale, avrebbero automaticamente portato a dei cambiamenti nella “sovrastruttura” culturale e spirituale, generando un “nuovo uomo socialista”. L’ideologia marxista dava per scontato che la religione si sarebbe automaticamente estinta nel momento stesso in cui fossero cambiate le relazioni sociali. Ma quando venne messo in atto l’esperimento della socializzazione dei processi produttivi, la rivoluzione nella sovrastruttura non si verificò. Il cristianesimo nella Russia sovietica e, più tardi, nei suoi Stati satelliti, rifiutò di morire. La violenza che i comunisti cominciarono ad adottare contro le chiese e contro i credenti fu, in effetti, la dimostrazione pratica del fallimento della loro teoria. Neanche la violenza fu loro di aiuto. Dopo la caduta del comunismo, alcuni rappresentanti del liberalismo economico — molti di loro ex-comunisti — ereditarono dal marxismo un determinismo economico primitivo e considerarono il liberalismo mercoledì 1 aprile 2015 Solidarność e i regimi totalitari La Stalingrado del comunismo come “marxismo al contrario”. Si aspettavano, infatti, che dei cambiamenti in direzione opposta nel campo economico, e, in particolare, la privatizzazione delle aziende industriali, avrebbero automaticamente cambiato gli atteggiamenti della gente e la mentalità della società, e che gli “uomini sovietici” si sarebbero trasformati in persone con tutte le “virtù protestanti” che, secondo Max Weber, stavano alla radice del capitalismo. Però è molto più facile fare di un acquario una zuppa di pesce che far tornare zuppa un acquario pieno di pesci: la creazione di una biosfera morale per la cultura della democrazia nell’economia e nella politica dei Paesi postcomunisti sembra richiedere dei cambiamenti assai più profondi e cure più complesse di un mero cambiamento della proprietà o delle relazioni economiche. Alcune giovani democrazie dei Paesi post-comunisti affrontano ancora il doloroso attraversamento del deserto. Ricordo una storia che mi è stata raccontata sugli indiani che venivano spostati dai colonialisti dai loro insediamenti di origine a nuovi territori. Prima della fine del viaggio gli indiani chiesero di fare una sosta, spiegando: «Forse i nostri corpi sono arrivati quasi alla fine del viaggio, ma le nostre anime si trovano ancora nelle nostre vecchie case. Dobbiamo aspettare le nostre anime». Tutte le volte che ho a che fare con delle imperfezioni delle democrazie rinate nell’Europa centro-orientale, mi vengono in mente queste parole. Dobbiamo aspettare le nostre anime. Alla domanda su cosa sarebbe venuto dopo il comunismo, Alexandr Solženicyn una volta rispose: «Un lungo, lunghissimo periodo di convalescenza». Nell’Europa orientale si parla molto della necessità di “venire a patti con il passato comunista” — e, chiaramente, tale importante compito deve essere ancora realizzato. La condanna del comunismo non è, semplicemente, la questione di portare in giudizio qualche criminale comunista o prendere le distanze a parole dal passato regime e dalla sua ideologia. Significa, invece, rendere evidenti le “radici antropologiche del totalitarismo”, e quelle L’intervento di Pio XII forme di comportamento e quei tratti di carattere degli uomini che permisero al regime totalitario di sopravvivere così a lungo. Sono convinto che ciò che tenne il comunismo al potere non fu la fede nell’ideologia, e tanto meno l’esercito e la polizia, ma un patto non scritto tra i governanti e i governati: se i governati si dimostreranno indifferenti alla vita pubblica, se si atterranno alle regole del gioco, allora il regime non interferirà mai troppo nelle loro vite private. E allora, lo Stato assicurerà ai cittadini obbedienti un certo grado di sicurezza sociale e tollererà ogni genere di cose: la scarsa moralità nel lavoro, le piccole trasgressioni quotidiane contro la “proprietà del popolo”, e così via. Tale “contratto sociale” segreto formava uno strano tipo di essere umano, che lo scrittore russo Alexandr Zi- noviev e il filosofo polacco padre Tischner definivano homo sovieticus: gente priva di iniziativa, creatività e senso di responsabilità. Nel suo celebre saggio Il potere dei senza potere, scritto nel periodo comunista, Václav Havel parlò di un fruttivendolo che in concomitanza con ogni anniversario della rivoluzione d’ottobre esponeva nella sua vetrina — come era la consuetudine all’epoca — un manifesto con lo slogan di Marx ed Engels: «Proletari di tutto il mondo, unitevi!». Cosa intendeva il fruttivendolo con quel suo gesto? Il fruttivendolo non intendeva proclamare nulla sui lavoratori e sulla loro unità. Ciò che il fruttivendolo stava dicendo ai suoi superiori, piazzando lo slogan tra cipolle e carote, era: “io sono un cittadino leale e non un agitatore. Lasciatemi in pace! Sono uno di quelli che partecipano regolarmen- Una pubblicazione per il venticinquesimo anniversario della fondazione del sindacato te alle elezioni in cui il Partito Comunista riceve regolarmente il suo 99,9 per cento dei voti. Il regime può contare su di me quando ha bisogno di mostrare l’immagine delle masse unanimi e contente”. In realtà fu questo il segreto della stabilità dei regimi comunisti. In quel clima di costante mutuo inganno e paura, l’unica persona davvero pericolosa era chi, come il bambino della favola sulle nuove vesti dell’imperatore, inaspettatamente affermasse la verità: che l’imperatore era nudo. Ricordo il potere liberatorio dei testi di Havel: c’erano le parole che svelavano la vera natura della nostra realtà quotidiana, nascosta dietro la neolingua della propaganda. Il gioco del sotterfugio venne scompigliato dal fatto che le sue regole non scritte furono scoperte e rivelate. Le parole acquisirono il potere della luce e diventarono l’arma della luce, il potere di chi non ha potere. Il coraggio di affermare la verità, di chiamare le cose con il loro nome “dicendo pane al pane” fu anche l’arma più potente della Chiesa nella sua lotta contro i regimi totalitari comunisti. La Chiesa cattolica dell’intero blocco sovietico ricevette un fortissimo incoraggiamento quando l’arcivescovo di Cracovia, cardinale Karol Wojtyła, fu eletto Papa nell’ottobre del 1978. La prima visita del Papa polacco nella sua patria, nel giugno del 1979, mostrò a tutto il mondo la vitalità della Chiesa polacca e il totale fallimento dell’ideologia comunista. Il clima psicologico di quella visita diede un forte stimolo al movimento di Solidarność. Durante il periodo comunista la Polonia aveva conosciuto diverse proteste di intellettuali e studenti, e vari moti dei lavoratori. Il regime era sempre riuscito a far prontamente fronte a entrambi i tipi di protesta: gli intellettuali e gli studenti non rappresentavano le masse e quindi, politicamente, non costituivano nessuna forza reale. Quanto ai capi dei lavoratori, in generale non riuscivano mai a formulare le loro rivendicazioni politiche con sufficiente chiarezza, né negoziare con i funzionari del regime; spesso si accontentavano di parziali promesse sociali o misure a breve termine. Gli intellettuali dell’opposizione e i lavoratori scontenti avevano bisogno di incontrarsi e unire le forze, e ora la necessaria piattaforma veniva offerta dalla Chiesa. Con il supporto morale e logistico della Chiesa nacque un movimento di massa, con i leader dei lavoratori chiaramente identificabili e i loro consiglieri politici provenienti dai ranghi degli intellettuali dell’opposizione. Uno degli intellettuali padri di Solidarność era un prete e filosofo, padre Tischner, amico intimo del Papa. Per la storia del comunismo, la nascita di Solidarność significa ciò che la battaglia di Stalingrado aveva significato per il nazismo. in favore degli ebrei perseguitati nei diari di quattro monasteri femminili romani Lo vuole il Papa È Pio XII a chiedere di nascondere gli ebrei tra l’ottobre del 1943 e il giugno del 1944, durante i terribili mesi dell’occupazione nazista di Roma. Lo testimoniano le cronache di quattro monasteri femminili romani e lo racconta il docu-film Lo vuole il Papa di Antonello Carvigiani (regia di Andrea Tramontano, postproduzione di Giuseppe Pasqual) in onda su Tv2000 mercoledì 1 aprile. «In tale frangente ebrei – fascisti – soldati – carabinieri e borghesi, cercano rifugio negli istituti religiosi; che con grave pericolo, aprono le porte per Una pagina della cronaca del monastero dei Santi Quattro Coronati salvare vite umane. È questo il desiderio espresso, ma senza obbligo dal Santo Padre Pio XII». Nel registro della cronaca del Monastero di Santa Maria dei sette dolori — a Trastevere — l’indicazione è riportata in modo esplicito. Lo scrivono, nel 1944, le religiose. Per la prima volta questa cronaca viene raccontata. Così come per la prima volta vengono mostrate a una telecamera le note storiche del Monastero di Santa Susanna e dell’Istituto di Maria Bambina. A questi tre documenti si aggiunge, poi, la cronaca, più conosciuta, del Monastero dei Santi Quattro Coronati. Le memorie conservate nelle quattro case religiose romane vengono racchiuse in un unico percorso storico e narrativo. Dalla loro lettura si ricompone un quadro delle vicende che appare chiaro. Chi vuole l’aper- tura delle case religiose, anche delle clausure, è Pio XII. Nel docu-film sono contenute anche le testimonianze di alcune religiose che hanno raccolto le memorie orali delle loro consorelle che vissero quei terribili avvenimenti. Particolarmente significative le parole di suor Roberta Cappiotti, priora del monastero cistercense di Santa Susanna. Originaria di Verona, si trova nel monastero romano dal 7 dicembre del 1950. Suor Roberta nel docufilm racconta: «Quando sono entrata qui nel monastero di Santa Susanna le madri di allora, madre Aleyde De Conti, abbadessa, madre Beatrice Paoletti, priora, madre Zarus Elisabetta, maestra delle novizie, ci raccontavano — e ho sentito io con le mie orecchie — che durante la guerra Pio XII aveva dato ordine a tutti i superiori di aprire le porte della sacra Registro del monastero di Santa Maria dei Sette dolori clausura per salvare, far entrare più persone possibili, tra le quali, soprattutto, gli ebrei». Importanti anche le testimonianze di due persone — all’epoca ragazzi — salvate in questi monasteri, che raccontano cosa hanno sentito e che idea si sono fatta sulla decisione di accoglierli. L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 1 aprile 2015 pagina 5 Marc Chagall, «I figli d’Israele mangiano l’agnello della Pasqua» (1931) La cena pasquale di Marc Chagall Settimana santa in Sicilia Cronache di anime azzurre di LAURETTA COLONNELLI arc Chagall. Il pittore degli innamorati che volano allacciati nel cielo. Che rovesciò i colori fino a farli sembrare «vino che zampilla dalle mie tele». Che di notte sognava creature alate scendere attraverso il soffitto nella sua stanzetta tra bagliori e tuoni in un turbine di nuvole. Che realizzò anche: diciassette quadri a olio dedicati a episodi della Bibbia da lui ritenuti essenziali; novantanove pastelli con i bozzetti per questi quadri; centocinque incisioni; alcune crocifissioni in cui Cristo ha i fianchi cinti dal talled, lo scialle ebraico per la preghiera. In tutto, quattrocentocinquanta opere ispirate alle Sacre Scritture. L’artista ebreo, nato nel povero villaggio di Vitebsk in Bielorussia, volle riunire nell’arte la tradizione ebraica e quella cristiana, il Nuovo e il Vecchio Testamento. Dipinse Cristo sulla croce con le sem- M Lo sconcerto non è provocato dall’annuncio del tradimento ma da quanto succede all’esterno del piccolo cenacolo bianze di un rabbino, come aveva già fatto Rembrandt tre secoli prima. Nella Crocifissione bianca, dipinta nel 1938, Cristo è il figlio di Jahvè che incarna la sofferenza del popolo di Dio, quasi una premonizione delle atrocità che sarebbero state commesse nei mesi e negli anni successivi. Intorno alla croce ruotano il villaggio ebraico distrutto dai pogrom, la sinagoga incendiata, l’Ebreo errante che fugge nella notte con il sacco sulle spalle, il fuoco bianco che divora i rotoli della Legge, le case rovesciate a indicare il capovolgimento del mondo, un’orda di guerrieri Festa della malinconia che avanza, uomini che fuggono in barca per sottrarsi all’orrore, un poveruomo che porta al collo un cartello con su scritto Ich bin Jude. Nel cielo sopra la croce, gemono gli antichi profeti e con le mani si coprono gli occhi, per non vedere quel caos doloroso. Diceva Chagall: «Se gli uomini volessero leggere con più attenzione la parola dei profeti, vi troverebbero le chiavi per la vita». Come intitolò Chagall la sua cena pasquale? La intitolò I figli d’Israele mangiano l’agnello della Pasqua. Nel quadro, oggi al Museo di Nizza, sette commensali vestiti di nero sono riuniti dentro una stanza che affonda nell’oscurità, rischiarata solo dal bianco abbagliante della tovaglia. Al centro, il vassoio con l’agnello intero, la cui carne non sembra arrostita, ma appena scuoiata, ancora sanguinolenta. Due piatti con gli azzimi. Due calici di vino rosso. Un gran movimento di mani che ricordano la gestualità drammatica delle mani degli apostoli dipinte cinque secoli prima da Leonardo. Qui lo sconcerto non è provocato dall’annuncio del tradimento, ma da quanto succede all’esterno del piccolo cenacolo. Un angelo bianco con la spada sguainata passa volando a gran velocità nel cielo notturno sopra il tetto. In lontananza, i corpicini nudi e imbrattati di sangue dei primogeniti egiziani precipitano giù dalle mura di una città. I commensali sembrano consapevoli di quanto sta accadendo. L’ultimo a destra, con un’espressione di angoscia, si è alzato per scrutare dalla piccola finestra nel buio cupo della notte. Lo spazio architettonico della stanza ricorda quello dei cenacoli di Giotto e di Lorenzetti, ma senza raffinatezze architettoniche trecentesche. Chagall è tornato alle origini: una stanza con le pareti di legno e il tetto di paglia, aperta sul davanti, come il capanno che nel me- di MELO FRENI C dioevo accoglieva gli attori delle sacre rappresentazioni. Chagall conosceva Giotto? Nel libro La mia vita, scritto tra il 1921 e il 1922, aveva raccontato: «Avete mai visto, nei quadri dei maestri fiorentini, uno di quei personaggi con la barba mai cimata, dagli occhi bruni e a un tempo cinerini, dal colorito d’ocra cotta e coperto di pieghe e di rughe? È mio padre». Che cosa rispondeva Chagall a chi gli chiedeva se la fede religiosa fosse necessaria per l’artista? «L’arte, in generale, è un atto religioso. Ma sacra è l’arte creata al di sopra degli interessi: gloria o altro bene materiale. L’arte mi sembra essere soprattutto uno stato d’animo. Forse la mia arte è un’arte insensata, un mercurio cangiante, un’anima azzurra che precipita sopra i miei quadri». Anticipazione Anticipiamo uno stralcio dal volume La tavola di Dio. L’Ultima cena. Cosa mangiarono Gesù e gli apostoli e che cosa gli hanno fatto mangiare i pittori di tutti i tempi. Quadri, ricette, Inferno, Paradiso, nelle librerie dal 2 aprile (Firenze, Edizioni Clichy, 2015, pagine 250, euro 15). L’autrice, giornalista all’«Europeo» e dal 1996 alla sezione culturale del «Corriere della Sera», avvia un percorso tra arte, cibo, storia e fede procedendo per domande e risposte tra le numerose rappresentazioni dell’ultima cena, dai cenacoli fiorentini a Leonardo, da Giotto a Veronese, da Marc Chagall a Andy Warhol. In quale salsa Gesù intinse il boccone che offrì a Giuda? A che ora ebbe inizio l’ultima cena? Chi la cucinò? Pesce, agnello o maiale? Arrosto o bollito? Vino bianco o vino rosso? Quesiti affrontati assieme ad approfondite analisi delle opere. Memoria degli eventi Orologio della passione di MAURO PAPALINI Nei secoli, la passione di Gesù è stata al centro della vita spirituale dei fedeli; questo ha dato luogo a una grande quantità di pratiche devozionali che avevano come oggetto la meditazione sui singoli avvenimenti. Quella oggi più nota è la Via crucis. Ma una pratica di cui ormai si sono perse le tracce era il cosiddetto “O rologio della passione”: la memoria degli eventi veniva distribuita nelle ventiquattro ore. Per ricostruirla occorre tener conto che, all’epoca, si credeva che Gesù Cristo fosse morto venerdì 25 marzo, in pieno periodo equinoziale — quando giorno e notte hanno la stessa durata — e che nell’orario cosiddetto italiano, in uso fino alla metà del XIX secolo, il conteggio delle ore iniziava dal tramonto: ovvero, in quei giorni, alle sei pomeridiane. Salvador Dalì, «La persistenza della ragione» (1931) omincia tutto il Giovedì santo. Le chiese sono aperte e dentro le chiese i sepolcri sono nuvole di veli e di organze trapunti di fiori come stelle, per una scenografia che difficilmente farebbe pensare a un preludio di morte. C’è tutto, infatti, per la rappresentazione di un trionfo come soltanto la morte di Cristo può ispirare. Quello della Passione in Sicilia non ha nulla di altri trionfi immortalati, ad esempio, da grandi pittori, come Bruegel o Dürer. Il suo trionfo in Sicilia porta il nome di Antonello da Messina, i cui Calvari hanno l’impronta della sua nativa mediterraneità, apertamente dichiarata con lo sfondo del mare nella raffigurazione di un paesaggio rasserenante, che assorbe il pathos di un sentimento che parte da lontano. I greci si erano fatti portatori di un’inquietante consapevolezza della morte, gli arabi, poi, vi Sant’Alfonso Maria de’ Liguori ne dà una versione in una tavola posta all’inizio della sua opera L’amore delle anime (1751). Il soggetto, naturalmente, è Gesù. «Ora 1: Licenziatosi da Maria, fa la cena. Ore 2: Lava i piedi agli apostoli, ed istituisce il Santissimo Sacramento. Ore 3: Fa il sermone, e va all’orto. Ore 4: Fa orazione nell’orto. Ore 5: Si mette in agonia. Ore 6: Suda sangue. Ore 7: È tradito da Giuda, ed è legato. Ore 8: È condotto ad Anna. Ore 9: È menato a Caifas, e riceve lo schiaffo. Ore 10: È bendato, percosso, e schernito. Ore 11: È condotto al concilio, e chiamato reo di morte. Ore 12: È portato a Pilato, e accusato. Ore 13: È schernito da Erode. Ore 14: È ricondotto a Pilato, e posposto a Barabba. Ore 15: È flagellato alla colonna. Ore 16: È coronato di spine, e mostrato al popolo. Ore 17: È condannato a morte, e va al Calvario. Ore 18: È spogliato e crocifisso. Ore 19: Prega per li crocifissori. Ore 20: Raccomanda lo spirito al Padre. Ore 21: Muore. Ore 22: È ferito colla lancia. Ore 23: È schiodato, e consegnato alla Madre. Ore 24: È seppellito e lasciato nel sepolcro». L’ora 1 corrisponde alle attuali 7 di sera, le ore 2 alle 8 e così via, mentre le ore 24 corrispondono alle sei pomeridiane del Venerdì santo. Come si può notare, sant’Alfonso, salvo il congedo da Maria, rispetta i testi evangelici anche nella compatibilità degli orari: dall’ultima cena dopo il tramonto, alla crocifissione alle ore 18 italiane, cioè a mezzogiorno, fino alla morte in croce alle 21, cioè alle tre pomeridiane. A proposito di ciò il frate minore francescano Cherubino da Roma, a metà del XVIII secolo, così argomentava: «Da qui è che nostro Signore Gesù Cristo spirò in croce per nostro amore circa le ore 21; essendo avvenuta la sua morte ai 25 di marzo, quando sona il mezzo dì alle ore 17 e mezza; e la metà del tempo tra mezzo giorno e tramontare del Sole cade sulle 21, che appunto era l’ora di Nona, in cui abbiamo dal Vangelo ch’egli spirò». Per fra’ Cherubino il mezzogiorno suonava alle 17.30 perché usa l’orario italiano Ab Avemaria, mezz’ora indietro rispetto a quello A solis occasu cui fa riferimento sant’Alfonso. A questo schema venivano aggiunte per ogni ora preghiere, affetti — brevi preghiere in cui si esprimevano sentimenti di affetto e di amore a Gesù — riflessioni e discorsi, formando così interi libri; un esempio significativo è nel 1718 l’opera in due volumi del cappuccino Simone da Napoli Horologio della Passione di Gesù Cristo secondo le 24 hore, nelle quali la patì, per eccitare ne’ cuori de’ fedeli gratitudine, amore, ed imitazione; distinto in discorsi istorici, discorsi riflessivi, ed affetti meditati- Si credeva che Gesù fosse morto venerdì 25 marzo in pieno periodo equinoziale Quando giorno e notte hanno la stessa durata vi. La devozione all’orologio della passione continuò anche quando l’orario italiano cadde in disuso. Ne abbiamo un esempio in un’opera scritta dalla mistica serva di Dio Luisa Piccarreta (18651947), discepola e penitente di sant’Annibale Maria Di Francia: Le ore della passione di Nostro Signore Gesù Cristo (1921). Si tratta di un’opera di taglio mistico e non devozionale come quella di sant’Alfonso; qui la scansione delle ore è quella attuale. Nella pia donna pugliese oltre all’accento posto sulla durata delle singole ore è interessante la disposizione e la concatenazione degli eventi, leggermente diversa da quella di sant’Alfonso. L’Orologio della passione non era tra le pratiche più diffuse, ma certamente oggi sembra la più originale. Antonello da Messina, «Crocifissione» (1475, particolare) lasciarono l’impronta della loro malinconia: la malinconia e la morte, o meglio la malinconia della morte, che nella sua tragicità emerge il Venerdì santo, giorno che pur nella mestizia diventa il cardine della ricorrenza pasquale, da quando gli anni pomposi della Spagna lo rimossero dagli oscuri cordogli medievali per consegnarlo alla sua solennità. Monaci e frati salgono ancora i pulpiti con la foga ammonitrice dei loro sermoni, ma al termine delle omelie, di lì a poco, per le strade, le folle rinnovano la festa di una composta malinconia che è connaturata al proprio sentimento, quello di un popolo storicamente senza pasque e senza resurrezioni. Tutto si ferma lì, al Venerdì santo. Ecco le frotte dei diavoli vestiti di rosso che rotolano per falde e dirupi, le processioni, anche notturne, delle vare con la rappresentazione dei misteri che resistono allo sfarzo delle luci e dei fiori, dei frutti più saporiti della terra che copiosamente le arricchiscono; ecco le schiere dei giudei che battono le lance a guardia del sepolcro e la mestizia delle musiche e dei cori per il copione più suggestivo e spontaneo di un teatro che attinge pure al repertorio classico della Passione, per cui il Vexilla Regis prodeunt di Venanzio Fortunato (VI secolo) diventa “'a Visilla” lancinante dei “cantàri”; e quella Virgo dolorosa sul cui passo si snodano le lamentazioni delle madri ammantellate, prefiche spontanee che continuano a piangere sul destino dei propri figli sventurati. La morte e le morti. Ma soltanto quella di Cristo ha un valore paradigmatico e non a caso per il sindacalista ucciso il poeta cantava: «Era l’amuri lu sò capitali / e ‘sta ricchizza a tutti la spartiva / Turiddu Carnevali numinatu / e comu a Cristu murìu ammazzatu». Sono tanti i drammi che si fondono, è il sentimento più antico della morte. È il dramma anche teatrale della Grecia che ritorna per una platea di strade e di balconi, di folle mute, assiepate lungo i marciapiedi. Ecco perché mentre dovunque il mondo cristiano celebra la Passione in funzione della Pasqua che sopravviene, nei cuori dell’isola la festa si ferma all’alba di Parasceve, al Venerdì santo, che fissa nella commossa fantasia l’immortalità della morte; e ne scansa l’oblio a confronto dell’ignominia di altre morti che ricorrono, atroci, a oltraggiare il senso sacro e redentivo della fine. «Ad un passo dalla gioia»: intanto che ai piedi delle Crocefissioni di Antonello, la figurazione di teschi e di civette, di vermi e di serpenti, ristabilisce il senso del destino, ineluttabile oltre la serenità dei paesaggi: è il trionfo della malinconia mentre scorrono le processioni dei misteri. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 mercoledì 1 aprile 2015 Di fronte alla sciagura della Germanwings In silenzio con la luce della fede Chiesta l’istituzione di una commissione per fare luce sulla strage di Youhanabad Verità sulle violenze in Pakistan LAHORE, 31. Mentre è salito a venti il numero delle vittime della strage di Youhanabad, leader politici e religiosi chiedono al Governo pakistano del Punjab di istituire al più presto un’apposita commissione d’inchiesta sulla strage, che si occupi sia dell’attentato terroristico del 15 marzo scorso alle due chiese cristiane, sia di individuare i responsabili del linciaggio seguito al massacro, quando la folla ha ucciso due sospetti terroristi. Alcuni leader cristiani — riferisce Fides — hanno rimarcato presso le autorità la negligenza nel prevenire la violenza terrorista e i tumulti seguiti. Rabbia e frustrazione sono cresciute a causa dell’impunità che si registra in numerosi casi di violenze. «Il governo deve occuparsi di più dei cristiani e delle minoranze religiose», soprattutto ora che la gente sta gradualmente tornando a Youhanabad, ha spiegato Joseph Nadeem, responsabile della “Renaissance Education Foundation”, che si occupa dell’istruzione di famiglie povere. «La polizia sta rilasciando molti arrestati e la situazione ora è tranquilla» ha proseguito. «Speriamo di vivere una Pasqua serena e pacifica». Secondo Ataurehman Saman, membro della commissione giustizia e pace «la nazione ha pagato un tributo di sessantamila vite per il terrorismo e l’estremismo religioso. Nel mondo considerano il Pakistan un covo di terroristi. La sola via di salvezza è garantire sicurezza alla gente innocente e porre fine a una politica di diniego o di copertura dei mali del Paese». Anche l’arcivescovo di Lahore, monsignor Sebastian Francis Shaw, nei giorni scorsi aveva affermato che è una sfida per tutti i pakistani far sentire la propria voce contro gli attacchi che minano la possibilità di vivere in pace». BERLINO, 31. Dio si nasconde anche nel silenzio e nell’inspiegabilità di una sciagura aerea. Nell’orizzonte della fede cristiana, la mano di Dio si può scorgere anche dietro l’apparente ineluttabilità della morte legata a una tragedia segnata dalla debolezza umana e dalla fragilità di un’organizzazione che si riteneva perfetta. Questi i sentimenti con cui le comunità cristiane tedesche in questi giorni sono tornate a interrogarsi sul dramma dell’aereo della Germanwings, precipitato la scorsa settimana sulle Alpi francesi. La Germania ricorderà le vittime del volo con una cerimonia funebre nel duomo di Colonia, il prossimo 17 aprile. Tuttavia, in molte diocesi del Paese i presuli hanno colto l’occasione delle celebrazioni d’inizio della settimana santa per approfondire la riflessione e dare conforto ai fedeli. «Le immagini orribili di questo incidente aereo, le ipotesi sconvolgenti e i pensieri riguardo a ciò che le azioni di un uomo hanno causato, con la morte di 150 persone, ci accompagnano», ha detto il cardinale arcivescovo di München und Freising, Reinhard Marx, pensando soprattutto al dolore dei parenti delle vittime. In questi casi molti si domandano come ci possa essere consolazione, e nell’omelia pronunciata domenica scorsa presso la Frauenkirche di Monaco, il cardinale ha sottolineato come proprio «Gesù stesso è il sollievo, l’espiazione, la riconciliazione e la guarigione, Dio che si mette lui stesso in gioco». Alla sciagura aerea e alle sue particolarissime circostanze ha fatto cenno anche il cardinale arcivescovo di Colonia, Rainer Maria Woelki: «C’è spazio per l’indignazione e il reclamo verso Dio se un uomo ha inflitto questo dolore infinito a così tante persone». Analoghe le riflessioni espresse dal vescovo di Münster, monsignor Felix Genn, il quale ha ammesso di non poter rispondere «alla domanda del perché, anche se alcuni si aspettano delle parole da me come vescovo». Tuttavia, il presule ha sottolineato come la fede in Dio sia di aiuto proprio laddove l’uomo con le sue forze non trova più risposte: «Si ama Dio e si può anche urlare il dolore». Parole, sentimenti, interrogativi risuonati anche nel pomeriggio di ieri, lunedì, a Santa Maria dell’Anima, la chiesa della comunità tedesca a Roma, dove una celebrazione ecumenica è stata promossa su iniziativa delle ambasciate di Germania, Francia e Spagna presso la Santa Sede. Delle storie di generosità e di profonda dignità delle famiglie delle vittime del disastro parla, in un colloquio con l’agenzia Sir, il vescovo della diocesi francesce di Digne, Jean-Philippe Nault. «In questi momenti non è tanto importante dire qualcosa ma esserci. Essere presenti, nel silenzio. Essere una presenza di amicizia, di preghiera, di Chiesa. E se qualcuno non aveva la forza di pregare, noi lo abbiamo fatto al loro posto», ha detto. Iniziativa dei leader cristiani e islamici Conferenza interreligiosa permanente per il Libano BEIRUT, 31. I leader religiosi musulmani e cristiani del Libano hanno deciso di dare vita a una conferenza permanente con riunioni trimestrali nella quale verranno affrontate le principali questioni che riguardano la vita del Paese. La decisione è stata presa nel corso del summit interreligioso che si è tenuto presso la sede patriarcale maronita di Bkerké. Ragione dell’incontro era l’analisi della situazione di stallo politico venutasi a creare da tempo in Libano, per la quale i leader religiosi stanno cercando nuove stra- tegie di uscita. I partecipanti al summit si sono trovati d’accordo nell’assicurare il sostegno incondizionato e totale alle forze armate nell’affrontare infiltrazioni e minacce terroristiche e appunto nel rendere permanente questo organo di consultazione. Hanno poi ribadito la loro preoccupazione per la mancata elezione di un presidente della Repubblica, essendo convinti che lo stallo continui a rappresentare una minaccia per tutto il Paese. La carica presidenziale è vacante dal maggio 2014. L’ex ministro pakistano per le minoranze Paul Bhatti Nella lotta all’analfabetismo Allo studio del Wcc A Port-au-Prince Serve parlare al cuore dei giovani musulmani I copti con il Governo egiziano Manuale per il dialogo ecumenico Comunità religiose ad Haiti nel mirino della criminalità IL CAIRO, 31. Il dipartimento dei servizi e delle attività sociali della Chiesa copta ortodossa ha sottoscritto nei giorni scorsi al Cairo il protocollo di collaborazione al progetto nazionale di lotta all’analfabetismo predisposto dal Governo egiziano. Il protocollo — riferisce l’agenzia Fides — è stato firmato presso la residenza patriarcale, alla presenza del patriarca Tawadros II e del vescovo Yoannis, responsabile delle iniziative sociali ed assistenziali della Chiesa copta ortodossa. All’atto della firma hanno presenziato anche rappresentanti politici e accademici particolarmente coinvolti nei programmi di istruzione a vantaggio della popolazione adulta analfabeta. Stando ad alcuni dati, il Paese arabo con il più alto numero di analfabeti è proprio l’Egitto, dove la percentuale di chi non sa né leggere né scrivere varia, secondo stime approssimative, dal settanta per cento al cinquanta per cento per le donne e dal quaranta per cento al venticinque per cento per gli uomini. Secondo l’Organizzazione per l’Educazione, la Cultura e le Scienze della Lega Araba (Alecso), ci vorranno tra i venti e i venticinque anni per debellare il fenomeno dell’analfabetismo nel mondo arabo, e in particolare in Egitto, considerando il ritmo di progresso fino a ora registrato, che è pari al solo uno per cento annuo. GINEVRA, 31. Si sa che le parole sono importanti. Per affrontare e soprattutto superare al meglio le incomprensioni che molto spesso si generano anche nello svolgersi del dialogo ecumenico e interreligioso, un gruppo di studiosi e di teologi sta mettendo a punto una miniguida. L’iniziativa è del World Council of Churches (Wcc) che vuole in questo modo aiutare i leader e i membri delle varie comunità religiose a utilizzare la giusta terminologia e le corrette definizioni nel corso dei loro colloqui. La guida naturalmente dovrebbe offrire anche numerosi suggerimenti ed esempi sulle metodologie da applicare e le problematiche attuali riguardanti il dialogo ecumenico e anche quello interreligioso. Il gruppo di lavoro incaricato dal World Council of Churches è composto da persone che operano a stretto contatto con la commissione Fede e costituzione e con il Programma per il dialogo interreligioso e la cooperazione della stessa organizzazione ecumenica. La decisione di realizzare la guida è stata presa durante un incontro che si è svolto nei giorni scorsi presso il Centro ecumenico di Bossey, in Svizzera. Il vademecum dovrebbe essere completato e reso disponibile entro il prossimo mese di settembre. LISBONA, 31. «L’eliminazione della violenza contro i cristiani dipende dalla capacità di arrivare al cuore della comunità musulmana, in particolare dei giovani». È quanto ha affermato nel corso di un’intervista all’agenzia portoghese Ecclesia, Paul Bhatti, ex ministro pakistano per le minoranze e fratello di Shahbaz, ucciso durante un attentato nel 2011. Bhatti ha preso parte a un convegno organizzato a Lisbona. «Più che combattere la legge sulla blasfemia — ha sottolineato Bhatti — il Pakistan ha privato innumerevoli cristiani della loro libertà. Dobbiamo lottare contro un’ideologia che sfrutta e distorce la legge islamica per trarre il proprio beneficio». Secondo Bhatti, le impostazioni radicali dell’islam spesso vengono inculcate già in età infantile. «Poi — ha spiegato — questi bambini crescono con l’odio e sono anche pronti a uccidere o a morire in nome della religione. Questo è il grande problema. Per ovviare a questa situazione — ha concluso — occorre sensibilizzare le comunità locali e mobilitare i musulmani moderati». PORT-AU-PRINCE, 31. Una sorprendente ondata di attacchi contro le comunità religiose si registra, a partire dal mese di novembre scorso, ad Haiti. È quanto segnala Luis Badilla su ilsismografo.blogspot.it in un articolo nel quale si spiega che in totale sino ad oggi le comunità religiose attaccate (conventi, case religiose, centri pastorali...), maschili e femminili, sono ventisette e il numero di azioni violente ormai sono almeno trentanove. Nella totalità degli attacchi i malviventi hanno chiesto sempre dei soldi, portando via anche qualsiasi cosa abbia un valore nel mercato delle ricettazioni. In moltissimi casi questi furti con scasso sono stati violenti, con uso d’arma da fuoco, con pestaggi e altre azioni intimidatorie. Una religiosa è morta in sala operatoria mentre veniva operata in seguito a un trauma subìto nel corso di un assalto al convento e un’altra è in coma da alcune settimane a seguito delle percosse. Buona parte delle violenze si sono registrate nella capitale, Port-au-Prince, e nei dintorni, ma anche in altre città del Paese si verificano episodi simili. Membri del clero hanno denunciato a più riprese quest’ondata criminale dalle frequenze di radio emittenti cattoliche e in diverse occasioni numerosi fedeli hanno protestato in piazza, ma per ora nulla sembra essere stato chiarito da parte delle autorità che non sono in grado di fornire informazioni. Fra le notizie che circolano, ma che sono ancora da verificare, anche diversi casi di stupri effettuati su religiose da parte dei malviventi. Come evidenziato nei giorni scorsi anche dall’«Osservatore Romano», il Paese, ancora segnato dalla distruzione causata dall’ultimo terremoto, è alle prese con un’escalation generalizzata della criminalità. Le statistiche evidenziano, fra l’altro, una crescita costante degli omicidi. L’OSSERVATORE ROMANO mercoledì 1 aprile 2015 pagina 7 Nel tempo pasquale una pedagogia di maturazione cristiana Guardando all’albero della vita di ANGELO AMATO È appropriata e teologicamente opportuna l’immagine di copertina di questo bel volume del cardinale Müller intitolato La Croce è Vita. Si tratta, infatti, del mosaico absidale risalente al secolo XII presente nella basilica di San Clemente a Roma. Riproduce la Croce come albero della vita. È il trionfo della Croce, mistero centrale della fede cristiana. La croce fiorisce su un verde e lussureggiante cespo di acanto, dal quale si dipartono numerosissimi girari che si estendono in tutte le direzioni, con i loro fiori e i loro frutti. Spiega a tale proposito il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, che pone questa immagine come commento ideale al Credo: «La vitalità di questa pianta è data dalla croce di Gesù, il cui sacrificio costituisce la ricreazione dell’umanità e del cosmo. Gesù è il nuovo Adamo che, con il mistero della sua passione e morte, fa rifiorire l’umanità, riconciliandola col Padre». Sui bracci della croce sono disposte dodici bianche colombe, che rappresentano i dodici apostoli, anch’essi partecipi della croce, anch’essi martiri come Gesù, anch’essi testimoni del Vangelo fino al dono supremo della vita. Ai piedi della croce, in atteggiamento raccolto di preghiera, c’è Maria, la madre, l’Addolorata: Stabat Mater dolorosa iuxta crucem lacrimosa. Nel prefazio della messa della Presentazione del Signore viene ben chiarita la presenza e l’associazione di Maria alla croce di Gesù con queste parole: «Un solo amore associa il Figlio alla Madre, un solo dolore li congiunge, una sola volontà li sospinge: piacere a te Padre, unico e sommo bene». Il mosaico di San Clemente menziona anche il Padre. Infatti in alto, Il trionfo della Croce Pubblichiamo, quasi integralmente, l’intervento che il cardinale prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi ha tenuto ieri, lunedì 30, a Roma, in occasione della presentazione del libro La Croce è Vita. Meditazioni sulla Passione e sulla Pasqua di Gesù (Milano, Edizioni Ares, 2015, pagine 143, euro 14), scritto dal cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Gerhard Ludwig Müller. sulla croce, si vede la mano del Padre, che offre una corona di gloria al Figlio obbediente, vittorioso sulla morte con il suo mistero pasquale. La nascita di Gesù, il suo apostolato terreno e la sua morte in croce fanno parte del disegno redentivo del Padre, condiviso pienamente dal Figlio nella carità dello Spirito Santo. Nel mosaico, oltre a Maria, ai piedi della croce, c’è anche Giovanni, il discepolo prediletto. La loro presenza è fondata sul quarto Vangelo, in cui si legge: «Gesù, vedendo la madre e lì accanto il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco il tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco la tua madre!”. E da questo momento il discepolo la prese nella sua casa» (Giovanni, 19, 2627). Notiamo ancora che alla base di questa rigogliosa pianta di acanto c’è un piccolo cervo, che combatte il serpente del male. Inoltre dalla pianta che sostiene la croce scaturisce una sorgente di acqua zampillante, che dà origine a quattro ruscelli, simbolo dei quattro vangeli, ai quali si dissetano i fedeli, come fanno i cervi alle sorgenti di acqua viva. In conclusione, nel mosaico clementino la Chiesa viene rappresentata come un giardino fiorito vivificato dalla croce di Gesù, vero albero della vita. Imitando il loro divino Maestro, tutti i santi hanno abbracciato con amore il legno della croce per attingervi forza e fedeltà nella sequela di Gesù. Alcuni, come san Francesco d’Assisi o san Pio da Pietrelcina, hanno addirittura vissuto sulla loro pelle la passione di Cristo, visibile concretamente nelle stimmate e, talvolta, anche nella transverberazione del cuore. La croce è la vera scuola di ogni santità. Non c’è pedagogia cristiana senza l’esperienza e la partecipazione al dolore, che fa parte dell’essere umano ferito dal peccato, che è la vera fonte della sofferenza e della morte. Commenta a ragione il cardinale Müller nella meditazione sul venerdì santo: «L’amore di Dio per l’uomo non prova disgusto per la sofferenza umana, fatta di sangue e lacrime, dolore e paure, di handicap e deturpazioni riversati su tante sue creature». Gesù, infatti, è l’uomo dei dolori che ben conosce il patire (cfr. Isaia, 53, 3). Per salvarci Egli si è caricato dei nostri peccati, sottomettendosi alla passione e perfino alla morte, egli che era la vita, anzi la fonte di ogni vita: «Nonostante egli sia, al contrario di noi, senza peccati personali e perfettamente santo, si è addossato le nostre colpe, come anche la conseguenza del peccato — la morte — che è espressione ed esito del peccato d’Adamo e dei nostri peccati personali, delle nostre malvagità». Guardando al Crocifisso i santi hanno abbracciato le sofferenze, i dolori, le umiliazioni, le persecuzioni. Lo hanno fatto con fede, con fortezza, confidando nella parola di Gesù che dice: «Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli» (Matteo, 5, 4. 1012). Si giunge alla gioia della Pasqua solo dopo il Calvario. La via crucis è il passaggio obbligato alla via lucis. In un suo discorso san Gregorio Nazianzeno così commenta: «Con le nostre sofferenze imitiamo le sofferenze, cioè la passione di Cristo. Con il nostro sangue onoriamo il sangue di Cristo. Saliamo anche noi di buon animo sulla sua croce. Dolci sono infatti i suoi chiodi, benché duri. Se sei Simone di Cirene prendi la croce e segui Cristo. Se sei il ladro e se sarai appeso alla croce, se cioè sarai punito, fai come il buon ladrone e riconosci onestamente Dio, che ti aspettava alla prova. Se sei Giuseppe d’Arimatèa, richiedi il corpo a colui che lo ha crocifisso, assumi cioè quel corpo e rendi tua propria, così, l’espiazione del mondo. Se sei Nicodemo, il notturno adoratore di Dio, seppellisci il suo corpo e ungilo con gli unguenti di rito, cioè circondalo del tuo culto e della tua adorazione. E se tu sei una delle Marie, spargi al mattino le tue lacrime. Fa’ di vedere per prima la pietra rovesciata, vai incontro agli angeli, anzi allo stesso Gesù. Ecco che cosa significa rendersi partecipi della Pasqua di Cristo». Ed eccoci al grande mistero della Pasqua. Dice il cardinal Müller: «Il messaggio della risurrezione di Gesù dai morti e della conseguente risurrezione di tutti gli uomini dalla morte, ha sempre riscontrato obiezioni da parte di filosofi idealisti e materialisti. Gli uni sostengono che, in verità, l’uomo sia soltanto spirito confinato in questo mondo materiale e l’anima dovrebbe quindi essere liberata dalla carne corruttibile, che suscita soltanto ribrezzo, quando si pensa a tutti gli uomini storpi o vecchi, così lontani dall’ideale della bellezza. Dall’altra parte, la voce oggi dominante dei materialisti sostiene che l’uomo sia soltanto un organismo complesso e la cosiddetta anima sia nient’altro che un processo che serve per guidare questo organismo. Perciò — così affermano — il senso della vita è il suo godimento fisico». In realtà nell’uomo c’è la dimensione materiale e quella spirituale. Se il corpo si corrompe alla morte, l’anima spirituale continua a vivere nell’eternità. Ma, fondandosi sulla risurrezione di Gesù, i cristiani credono nella risurrezione dei corpi. Sorella morte corporale, come la chiama san Francesco, non è l’ultima parola della nostra umanità, dal momento che anche il corpo anela alla vita eterna. Il Dio cristiano, infatti, «non è Dio dei morti, ma dei viventi» (Matteo, 22, 34). Anche nel tempo pasquale, che per i suoi cinquanta giorni è il tempo forte più ampio dei quaranta giorni della quaresima, la Chiesa ci offre una sua pedagogia di maturazione cristiana. Non solo in quaresima c’è l’invito alla conversione, ma anche nei cinquanta giorni di Pasqua. Nel tempo pasquale, infatti, le letture bibliche ci offrono preziose indicazioni di un itinerario di maturazione cristiana. A Pasqua, infatti, e solo a Pasqua, gli apostoli sperimentano la loro vera conversione, senza ripensamenti e dubbi, come accadeva prima di Pasqua. Il cardinale Nichols sul Modern Slavery Act Contro la schiavitù LONDRA, 31. Soddisfazione è stata espressa dalla Chiesa di Inghilterra e Galles per l’approvazione della legge che contrasta la tratta degli esseri umani e tutte le forme moderne di schiavitù. Il Modern Slavery Act 2015 migliora, in modo significativo, il sostegno e la protezione delle vittime della tratta, dà alle forze dell’ordine gli strumenti necessari per contrastare lo schiavismo moderno, garantisce la certezza di una pena severa per i colpevoli, prevedendo anche, nei casi più gravi, la confisca dei beni. In una nota, il cardinale Vincent Gerard Nichols, arcivescovo di Westminster e presidente della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, ha sottolineato che «sebbene nessuna legge possa tenere conto di tutta la grave attività criminale della tratta di esseri umani e della schiavitù moderna, aumentare il sostegno e la protezione delle vittime è particolarmente positivo. Assieme ad altri — ha spiegato il porporato — la Chiesa cattolica è impegnata a lavorare per l’eliminazione della schiavitù moderna. Come ha detto Papa Francesco, il reato della tratta è un crimine contro l’umanità, una ferita sul corpo di Cristo». Da qui, l’auspicio del cardinale Nichols affinché «la società venga liberata da questa piaga e si sostengano tutti coloro che cercano di combattere i trafficanti e vanno in soccorso delle vittime della tratta». La nuova legge, inoltre, ha il fine di incoraggiare le imprese ad agire in modo tale che le loro catene produttive siano esenti da forme di schiavitù. Viene, infine, istituito il primo commissario indipendente anti-schiavitù del Regno Unito, punto di riferimento della lotta alla tratta per garantire che i colpevoli vengano catturati e perseguiti secondo la legge e che le vittime vengano rapidamente identificate e aiutate. Il ministro dell’Interno britannico, Theresa May, ha espresso soddisfazione per il risultato ottenuto, definendo il Modern Slavery Act «una legge storica», in grado di combattere «la schiavitù moderna nella società di oggi, che rappresenta un affronto alla dignità e all’umanità di ognuno di noi». L’Irlanda e la memoria del conflitto Un lungo venerdì santo Nella pietà popolare Mater dolorosa «Venerare la Madre del Signore è solo un aspetto del culto cristiano, culto che è l’essenza del cristianesimo: la salvezza operata da Cristo». Infatti, non esiste «un culto liturgico verso la Vergine Madre staccato dal mistero di Cristo, o che non conduca a lui e a una trasformazione cristiana dell’esistenza». Ne consegue che «anche il culto alla Mater dolorosa fa parte dell’unico ciclo cristologico della liturgia, nel quale la Chiesa celebra il mistero della salvezza». È quanto, attingendo alle riflessioni post-conciliari, in particolare alla Marialis cultus di Paolo VI, sottolinea la teologa madre Maria Marcellina Pedico, membro del Consiglio direttivo della Pontificia Accademia Mariana Internazionale, nel volume Mater dolorosa. L’Addolorata nella pietà popolare (Città del Vaticano, Libreria editrice vaticana, 2015, pagine 381, euro 16). DUBLINO, 31. «Non è possibile trovare Dio tra coloro che distruggono gli altri», lo si trova invece «in coloro che subiscono l’invidia e il rancore». Lo affermano in un messaggio congiunto per la Pasqua, monsignor Eamon Martin, arcivescovo cattolico di Armagh, e Richard Clarke, arcivescovo di Armagh della Church of Ireland. Una dichiarazione comune realizzata anche per la memoria di quanti persero la vita nel sanguinoso conflitto tra gli anni Sessanta e Novanta. Molte furono anche le persone disperse, delle quali non si sono avute più notizie. A loro è dedicato invece il messaggio che lo stesso arcivescovo di Armagh e primate di tutta l’Irlanda, Eamon Martin, ha scritto in occasione della domenica delle Palme. «Alcune famiglie — scrive il presule — stanno vivendo un lungo venerdì santo ed è difficile per loro sperimentare la promessa pasquale della risurrezione». Per questo il presule ha fatto appello alla coscienza di chiunque sia in possesso di informazioni che possano aiutare a fare luce sulle tante persone che furono sequestrate, uccise e sepolte in luoghi che sono rimasti fino ad oggi sconosciuti. Nel messaggio congiunto dedicato a tutte le vittime del conflitto, i presuli cristiani affermano di vedere «ancora forti i segni dell’oscurità del venerdì santo in cui tutto sembrava perduto. Un’oscurità che si esprime negli orrori della disumanità crudele e nello svilimento giorno per giorno della dignità di chi non è in grado di difendersi; nella violenza fisica, negli omicidi, nelle guerre e persecuzioni. In altri termini nell’estremo egoismo di chi si è allontanato in modo catastrofico dal perdono». Tuttavia, i vescovi ricordano che «nel grido pietoso di abbandono alla croce, il venerdì santo ci ricorda che non è possibile trovare Dio tra coloro che distruggono gli altri». Di qui l’esortazione a sperare con san Paolo nella risurrezione di Cristo come «prova che ci sarà un raccolto di speranza, una vittoria finale dell’amore sull’odio, sull’ingiustizia e sulla futilità». Nei giorni scorsi anche l’“Irish Churches’ Peace Project”, al termine di un incontro tenutosi a Belfast, ha diffuso un comunicato nel quale si afferma che «come cristiani abbiamo una responsabilità particolare per essere agenti di riconciliazione nelle nostre comunità, diffondere messaggi di speranza e portare guarigione a coloro che soffrono». L’Irish Churches’ Peace Project è un organismo nato nel 2003 che riunisce le principali Chiese cristiane dell’Irlanda del Nord (cattolica, presbiteriana, Church of Ireland e metodista) con lo scopo di promuovere la riconciliazione delle diverse comunità. Sono passati diciassette anni dalla firma dell’Accordo del venerdì santo (Good Friday Agreement) che avviò il lungo e ancora non concluso processo di pacificazione. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 mercoledì 1 aprile 2015 Bambine in un campo profughi ad Arbil (fotografie di Segundo Tejado Muñoz) A colloquio con il sottosegretario di Cor unum Missione ad Arbil e Duhok di GIANLUCA BICCINI Risvegliare le coscienze della comunità internazionale sul dramma dei profughi iracheni e riaccendere i riflettori sulle difficili condizioni dei cristiani nella regione, portando loro la solidarietà di Papa Francesco: con questo duplice obiettivo una delegazione del Pontificio Consiglio Cor unum e della Congregazione per le Chiese orientali si è recata dal 26 al 29 marzo ad Arbil e a Duhok. Guidava il gruppo il sottosegretario del dicastero per la carità del Pontefice, monsignor Segundo Tejado Muñoz, che in questa intervista al nostro giornale parla della tre giorni in Iraq. Due tappe in tre giorni. Che impressioni avete tratto dalla visita? In effetti è stato un vero e proprio “tour de force”, ma è servito per conoscere da vicino la realtà delle persecuzioni subite dalle minoranze cristiana e yaizida in fuga dalle violenze delle milizie del cosiddetto Stato islamico (Is), che hanno conquistato ampie porzioni di territorio in Iraq e gnor Rabban A-Qs, vescovo di Amadiyah, con sede a Duhok, come dono per le rispettive comunità. Chi vi ha accompagnati? nella vicina Siria. Abbiamo visitato infatti soprattutto i profughi di Mossul e della Piana di Ninive, che in quest’area del Kurdistan autonomo iracheno sono riusciti a trovare accoglienza. Siete andati per portare loro la solidarietà del Papa. Cosa avete fatto in concreto? Lo abbiamo fatto attraverso un segno: due icone della Madonna che scioglie i nodi, da lui benedette all’udienza generale di mercoledì scorso, 25 marzo. Alla vigilia della partenza infatti io e monsignor Khaled Ayad Bishay, officiale della Congregazione per le Chiese orientali, siamo stati in piazza San Pietro per parlare al Pontefice del nostro viaggio e lui ha benedetto le immagini mariane che poi abbiamo recato ai due presuli delle diocesi caldee visitate: monsignor Bashar Mattie Warda, arcivescovo di Arbil, e monsi- La spiritualità del prete Pastore e non funzionario Il cardinale prefetto della Congregazione per il clero ha tenuto nei giorni scorsi a Firenze una conferenza sulla spiritualità presbiterale secondo Papa Francesco. Ne pubblichiamo alcuni stralci. Il porporato interverrà anche alla trasmissione su Giovanni Paolo I, che andrà in onda su Rai storia, martedì 7 aprile, alle ore 21.30, nella quale sottolineerà che Albino Luciani «aveva veramente l’idea che nel corpo della Chiesa sono i pastori e quindi i vescovi e i sacerdoti il nerbo, la spina dorsale». suoi figli. Non si tratta quindi di un “potere”, da esercitare con autorità, o anche con asprezza, ma della custodia amorevole di quel tesoro di Dio, che è ogni uomo. Il presbitero-pastore è capace di commuoversi, di partecipare interiormente della vita dei suoi fedeli, non limitandosi a porsi come “benefattore”, che realizza un’opera buona in maniera asettica, impersonale. Quando un sacerdote si immedesima con quel che il suo prossimo vive in quel momento, gli diventa possibile servirlo nella maniera più efficace, annunciandogli il volto di Cristo di cui ha più bisogno in una relazione veramente umana. La terza dimensione caratterizzante della spiritualità presbiterale secondo Papa Francesco, a mio modo di vedere, può essere considerata quella “profetica”. Ho cercato sin qui di sintetizzare la visione della spiritualità presbiterale secondo Papa Francesco, cogliendo alcuni dei numerosi spunti che egli continuamente propone, con la sua Daniel Bonnel, «Il buon pastore» (2003) predicazione, i suoi discorsi e, soprattutto, scepolo infatti non smetterà di con il suo esempio personale, che è prendersi cura del suo rapporto il principale “testo” da consultare personale con l’unico Maestro, non per chi vuole comprendere la sua si sentirà “arrivato”, con al massimo visione del ministero ordinato. Tale il compito di “mantenere” il livello spiritualità presbiterale è una proposta “in positivo”, costruttiva, che spirituale raggiunto. La spiritualità presbiterale com- mira a liberare i presbiteri dal riporta anche un tratto caratteristico, schio della corruzione e dell’imborassai presente nelle riflessioni e nel- ghesimento, perché il popolo di le esortazioni di Papa Francesco: Dio abbia sempre pastori secondo l’essere pastore, l’immagine che il cuore di Gesù. Il Santo Padre inmaggiormente caratterizza i presbi- fatti continua a mostrare come i sateri, anche nella comprensione della cerdoti siano un dono che Dio fa alla sua Chiesa e alla società in gente. Il presbitero-pastore è chiamato mezzo alla quale operano come pain primo luogo a essere guida per il stori. Da qui sorgono alcune esisuo popolo, a farsi carico della re- genze, necessarie per far sì che quesponsabilità di condurre al Signore sto dono non vada sprecato, ma, coloro che, attraverso la Chiesa, il curato con gioiosa perseveranza, Signore stesso gli ha affidato; egli possa portare appieno i suoi frutti. In sintesi allora, è necessario che si fa carico del cammino dei suoi fedeli, non con la fredda logica del ogni sacerdote continui a sentirsi “manager” che cura gli affari della discepolo in cammino per tutta la sua “azienda”, ma con la premura vita, a volte bisognoso di riscoprire del padre che riconduce a casa i e rafforzare il suo rapporto col Si- di BENIAMINO STELLA Alla domanda «chi è il presbitero?» Papa Francesco risponde innanzitutto dicendo che è e rimane sempre un discepolo del Signore. Si tratta di un’affermazione solo apparentemente semplice, che porta con sé conseguenze importanti per la vita dei presbiteri e per il loro ministero. Un presbitero che si sente di- gnore, e, anche, di lasciarsi “guarire”; non a caso Papa Francesco nel suo discorso alla plenaria della Congregazione per il clero (3 ottobre 2014), ha ricordato che nel cammino di discepoli «a volte procediamo spediti, altre volte il nostro passo è incerto, ci fermiamo e possiamo anche cadere, ma sempre restando in cammino». Nel rapporto con il Signore, il discepolo, chiamato a essere pastore e inviato a evangelizzare con spirito profetico, viene preservato dal diventare un “funzionario” del sacro, un “mestierante” della pastorale, magari preparato nella gestione di eventi e iniziative, ma spiritualmente impoverito, distante dalla gente e non più capace di contagiare con la gioia del Vangelo. Obbediente a Dio attraverso la Chiesa, esigente innanzitutto con sé stesso, per custodire la vocazione e il ministero, strumento della tenera vicinanza di Dio agli uomini, consapevole di essere sempre allo stesso tempo pastore e discepolo. Le nomine di oggi riguardano la Chiesa in Italia e nella Repubblica Democratica del Congo. Giorgio Demetrio Gallaro eparca di Piana degli Albanesi di Sicilia (Italia) Nato il 16 gennaio 1948 a Pozzallo, ha compiuto gli studi medi e secondari nel seminario di Noto. Trasferitosi nel 1968 negli Stati Uniti d’America, ha completato i corsi teologici al Saint John seminary di Los Angeles. Ordinato diacono nel 1971 e presbitero nel 1972, dopo aver lavorato per otto anni in due comunità parrocchiali dell’arcidiocesi californiana, ha completato a Roma la formazione al Pontificio istituto orientale e alla Pontificia università San Tommaso, conseguendo il dottorato in diritto canonico orientale e la licenza in teologia ecumenica. Rientrato negli Stati Uniti, ha svolto attività di parrocchia e insegnamento nell’eparchia Melkita di Newton in Massachussets, in quella ucraina di Stamford nel Connecticut e nell’arcieparchia rutena di Pittsburgh in Pennsylvania. Dal 2011 era vice presidente della Società di diritto orientale e dal 2013 consultore della Congregazione per le Chiese orientali. Al momento, sta svolgendo gli uffici di sincello per gli affari canonici e di vicario giudiziale nell’arcieparchia di Pittsburgh. Inoltre era C’erano il segretario generale di Caritas internationalis, Michel Roy, e il presidente di Caritas Medio oriente (Mona), Joseph Farah; il segretario generale della Focsiv, Attilio Ascani, e quello della fondazione Avsi, Giampaolo Silvestri, e Moira Monacelli di Cor unum. Con noi anche alcuni giornalisti italiani e di altre nazionalità proprio con l’obiettivo di mostrare al mondo, attraverso immagini e reportage, la realtà che abbiamo incontrato. Una missione che rientra nei compiti del vostro dicastero? Infatti un aspetto fondamentale della nostra attività è quello di recarci in luoghi colpiti da sciagure. Lo abbiamo fatto anche ad Haiti o in Siria, per citare le missioni più recenti. Ma qui c’era una sorta di allarme confermato anche dalle agenzie locali delle Nazioni Unite. Le quali ci hanno detto che alcuni progetti stanno chiudendo per mancanza di fondi. Ma soprattutto si è trattato di incoraggiare le agenzie cattoliche che da tempo lavorano lì, prima tra tutte la Caritas. Siamo andati per dire loro che non sono soli sul campo. La loro opera di accoglienza gravita attorno a tre priorità: alloggio, educazione e sanità. E noi non dimentichiamo i volontari e le agenzie, che sono le braccia della Chiesa, le mani di chi dà. Come si è svolta la visita? Abbiamo iniziato ad Arbil incontrando le due principali comunità cattoliche: quella caldea e quella sira. Poi abbiamo avuto un colloquio con Nabil Nissan di Caritas Iraq e con esponenti di altre realtà locali: tutti ci hanno illustrato difficoltà e attese. Poi ci siamo trasferiti al Nord, a Duhok, città vicina a Mos- sul. Abbiamo attraversato diversi check-point dei peshmerga curdi, i quali garantiscono la sicurezza del territorio. Il vescovo caldeo Al-Qas ci ha guidati in una sorta di pellegrinaggio tra gli sfollati che vivono in case affittate anche grazie ai contributi della Conferenza episcopale italiana. Siamo stati inoltre in un campo profughi gestito dal Governo turco e dalle Nazioni Unite. Si tratta di una tendopoli con annesso ospedale da campo, in cui abbiamo sentito storie toccanti. Io ho esperienze di sfollati a causa di disastri naturali, ma questa è gente che è stata cacciata dai propri vicini di casa o di negozio. Sono storie di dolore e di umiliazioni. Come quella di una donna rapita e riuscita a sfuggire ai suoi aguzzini. Com’è la vita all’interno dei campi? Pur non mancando acqua e cibo, si vive sempre in un clima di tensio- Christophe Amade, vescovo di Kalemie-Kirungi (Repubblica Democratica del Congo) Nato il 18 gennaio 1961 a Mune, ha fatto gli studi primari a Bidri e a Nyaguma (1967-1973) e quelli secondari nel seminario minore Giovanni XXIII a Vida, Mahagi-Nioka, e al collegio di Ovoa (1973-1979). Ha quindi insegnato all’Institut technique agricole di Laybo, Mahagi-Nioka dal 1979 al 1981 e ha studiato filosofia nel seminario maggiore Notre Dame de la Ruzizi di Bukavu tra 1981 e il 1984, prima di entrare nel noviziato dei padri bianchi a Friburgo. Dal 1985 al 1987 ha svolto tirocinio pastorale nella parrocchia ghanese di Funsi, in diocesi di Wa. Dal 1987 al 1990 ha completato la formazione teologica al London missionary institute, in Inghilterra. Ordinato sacerdote il 25 agosto 1990, è tornato, fino al 1993, nella parrocchia di Funsi. Poi, per cinque anni, ha stu- Sì, perché è anche la città che in qualche modo ne coordina l’assistenza. Abbiamo visitato altre realtà che accolgono profughi. Una è composta da edifici in costruzione i cui lavori si sono fermati a causa della guerra. Sono stati dati in uso alla Chiesa locale, che attraverso divisioni provvisorie realizzate con mattoncini le ha assegnate a 175 famiglie. Un’altra è un campo formato da edifici-container e animato da un prete espulso da Mossul. Quali aspetti positivi avete riscontrato? Oltre all’encomiabile attività formativa dei giovani, mi ha colpito la cura e la partecipazione alle liturgie, in particolare quelle di sabato sera, vigilia della domenica delle Palme. C’è poi una fervente evangelizzazione, perché — come mi ha confidato In una chiesa caldea a Duhok ne. I volontari devono fare quotidianamente i conti con l’esasperazione soprattutto degli uomini che si sentono inutili e frustrati perché essendo senza lavoro hanno ben poco da fare. Diverso è invece il discorso per i bambini, ai quali si cerca di assicurare educazione, formazione e animazione. Un programma molto bello per garantire tranquillità alle nuove generazioni. Arbil ospita ben dodicimila famiglie di sfollati. È una realtà nevralgica nel Nomine episcopali docente di diritto canonico e teologia ecumenica al seminario bizantino cattolico dei Santi Cirillo e Metodio di Pittsburgh e giudice d’appello per l’arcieparchia di Philadelphia degli ucraini. contesto dell’accoglienza assicurata dalla Chiesa? diato a Roma per la licenza in filosofia. Dal 1998 al 2004 è stato prima docente e poi rettore del Consortium di filosofia a Jinja, in Uganda; dal 2004 al 2009, è stato a Roma per conseguire, nel 2010, il dottorato in filosofia alla Pontificia università Gregoriana; dal 2009 al 2013 ha insegnato filosofia al consortium di Kumasi, Ghana, e poi, per un anno, all’università Sain Augustin di Kinshasa. Dal 2014 era provinciale dei padri bianchi per l’Africa centrale. Donatien Bafuidinsoni ausiliare di Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo) Nato l’11 dicembre 1962 a Mai Ndombe, Bandundu, è entrato nel noviziato della compagnia di Gesù a Cyangugu, in Rwanda, il 29 settembre 1981. Emessi i primi voti l’11 settembre 1983, ha studiato filosofia nella facoltà del San Pietro Canisius Kimwenza, a Kinshasa, tra il 1983 e il 1986, conseguendo la licenza all’università di Lubumbashi nel 1988. Quindi, fino al 1992, ha studiato teologia all’istituto dei gesuiti Hekima di Nairobi, in Kenya. Ordinato sacerdote il 18 luglio 1993, fino al 1999 ha completato la formazione con il dottorato in diritto canonico alla Pontificia università Gregoriana. monsignor Warda — il problema è anche il cibo, ma soprattutto la mancanza di speranza per gente che vede difficile poter tornare nelle proprie case. E il fatto che la nostra visita si sia svolta a ridosso della Settimana santa può essere letto come un messaggio di speranza nella risurrezione anche di queste persone. Ce lo auguriamo noi, così come se lo augura il Papa, che anche all’Angelus di domenica 29 ha di nuovo parlato della tragica situazione dei cristiani martiri di oggi. Dal 1999 al 2001 è stato delegato del provinciale per la formazione dei gesuiti in Africa; e dal 2001 al 2008 provinciale della compagnia di Gesù per l’Africa centrale. Dal 2009 vicario giudiziario dell’arcidiocesi di Kinshasa, risiedeva nella casa Saint Ignace, di cui era il superiore. Jean-Pierre Kwambamba Masi, ausiliare di Kinshasa (Repubblica Democratica del Congo) Nato il 19 agosto 1960 a Ngi, nella provincia di Bandundu, è entrato nel seminario minore Saint Charles Lwanga di Kalonda, dove nel 1979 ha portato a termine gli studi secondari. Quindi ha studiato filosofia nel seminario maggiore Saint Augustin di Kalonda tra il 1979 e il 1982 e teologia nel seminario maggiore Giovanni XXIII di Kinshasa dal 1990 al 1992. Ordinato sacerdote il 17 agosto 1986, dal 1987 al 1992 ha studiato per il dottorato in liturgia a Sant’Anselmo. Successivamente, per due anni, ha insegnato al seminario minore Saint Charles Lwanga di Kalonda. Dal 1994 al 1998 è stato vicario generale della diocesi di Kenge. E poi, fino al 2003, rettore e docente nel seminario maggiore teologico Saint Cyprien di Kikwit. Nel 2003 è divenuto officiale presso la Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti e dal 2009 è cerimoniere pontificio.
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