sindromi di ehlers-danlos percorso diagnostico

Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini
Centro di Riferimento Regionale per la Diagnosi
e Terapia della Sindrome di Ehlers-Danlos
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SINDROMI DI EHLERS-DANLOS
PERCORSO DIAGNOSTICO TERAPEUTICO ASSISTENZIALE
(elaborato nel mese di luglio 2013)
1. Inquadramento della malattia …………………………………………………………………….…………………
1.1 Introduzione…………………………………………………………………………………………….………………….
1.2 Classificazione…………………………………………………………………….……………………………………….
1.3 Epidemiologia………………………………………………………………………………………….…………………...
2. Diagnosi …………………………………………………………………………………………………………………….
2.1 Caratteristiche cliniche principali…………………………………………………………………….…………………...
2.2 Revisione della letteratura…………………………………………………………………………….………………….
2.3 Criteri diagnositici…………………………………………………………………………………….…………………….
2.4 Indagini di laboratorio ……………………………………………………………………………….……………………
2.5 Diagnosi differenziale ……………………………………………………………………………….……………………
2.6 Esami da eseguire per la diagnosi ed il follow-up ………………………………………………….…………………
3. Terapia ……………………………………………………………..………………………………………………………
3.1 Revisione della letteratura…………………………………………………………………………….…………………
3.2 Trattamento del dolore ……………………………………………………………………………….…………………
3.3 Trattamento della fatica e della disautonomia cardiovascolare ………………………………………………………
3.4 Trattamento della patologia vascolare …………………………………………………………………………………
4. Implementazione del PDTA ……………………………………………………………….…………………….………
4.1 Modalità di accesso …………………………………………………………………….…………………………………
4.2 Percorso ………………………………………………………………………………….………………………………
5. Aspetti socio-assistenziali ………………………………………………………………….…………………….……
6. Le Associazioni dei malati ………………………………………………………………….…………………….……
Bibliografia …………………………………………………………………………………………………………….…..…
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PDTA ____________________________________________ AO San Camillo-Forlanini, Policlinico “Umberto I” e OPBG
1. Inquadramento della malattia
1.1 Introduzione
Le sindromi di Ehlers-Danlos (SED; codice di esenzione: RN0330) comprendono un gruppo clinicamente e
geneticamente eterogeneo di patologie ereditarie del tessuto connettivo con estrinsecazione massima nei tessuti molli
ed, in particolare, cute, articolazioni e apparato cardiovascolare. Iperelasticità cutanea, ipermobilità articolare e fragilità
di vasi ed organi interni costituiscono la triade clinica più rappresentativa delle SED (Callewaert e coll., 2008). A fronte di
questa consolidata definizione, le SED presentano spesso un coinvolgimento sistemico ben più esteso che si associa a
gravi disabilità multiorgano e, in minor misura, ad aumento del rischio chirurgico e di morte cardiovascolare. Le limitate
conoscenze dei meccanismi fisiopatologici sottostanti le varie componenti fenotipiche rendono ragione delle difficoltà
nell’inquadramento e quindi nel trattamento incontrate dal personale sanitario nei confronti di questo gruppo di patologie
ereditarie. Il presente documento ha lo scopo di definire un protocollo diagnostico terapeutico (PDT) realmente
adattabile all’estrema variabilità clinica e pervasività di queste patologie e che sia aggiornato ed efficiente in termini di
accuratezza dell’accertamento diagnostico e della definizione di un efficace percorso integrato.
1.2 Classificazione
La classificazione delle SED attualmente vigente (classificazione di Villefranche) individua sei varianti maggiori ed un
gruppo meno definito di varianti minori (Beighton e coll., 1998). Dalla definizione delle sei varianti maggiori, il numero di
SED più rare e con basi biologiche distinte è andato progressivamente aumentando. Attualmente, possono essere
individuate oltre alle varianti maggiori, non meno di 11 sottotipi minori di SED (Tabella 1). La forma ipermobile di SED è
da molti operatori e ricercatori (Tinkle e coll., 2009) considerata fenotipicamente indistinguibile dalla sindrome da
ipermobilità articolare, definita secondo i criteri di Brighton (Grahame e coll., 2000). Dal momento che le basi genetiche
di entrambe queste condizioni restano ignote, solo la loro individuazione potrà chiarire questo dilemma nosologico
(Malfait e De Paepe, 2012). La possibilità di individuare nel ~5% dei pazienti con SED ipermobile mutazioni in
eterozigosi o in omozigosi del gene TNXB (Schalkwijk e coll., 2001; Zweers e coll., 2003) non ha trovato successive
conferme in letteratura. Attualmente, la SED da mutazioni in TNXB è considerata una variante distinta clinicamente e
geneticamente (Hendriks e coll., 2012). In termini pratici, gli autori del presente documento ritengono che sia più
appropriato considerare la SED ipermobile e la sindrome da ipermobilità articolare come il risultato di una variabilità
fenotipica all'interno della stessa entità patologica.
Tabella 1. Classificazione delle sindromi di Ehlers-Danlos.
Variante
Eredità
Maggiore
Classica
AD
Ipermobile/sindrome da ipermobilità articolare
AD ?
Vascolare
AD
Cifoscoliotica
AR
Artrocalasica
AD
Dermatosparassi
AR
Minore
Da deficit di tenascina X
AR, AD ?
Con deficit di 21α-idrossilasi (sindrome genomica)
AR
Classica con rotture arteriose
AD
Cardiaca-valvolare
AR
Sovrapposizione SED/OI
AD
Con eterotopia periventricolare
DLX
Muscolocontratturale
AR
Spondilocheirodisplastica
AR
Progeroide
AR
Cifoscoliotica con miopatia ed ipoacusia
AR
Con parodontite
AD
Sindrome della cornea fragile (brittle cornea syndrome) tipo 1
AR
Sindrome della cornea fragile (brittle cornea syndrome) tipo 2
AR
AD, autosomica dominante; AR, autosomica recessiva; DLX, dominante legata al cromosoma X;
Ehlers-Danlos/osteogenesi imperfetta.
1: sono state descritte singole famiglie con mutazioni in COL3A1 e TNXB.
2 Gene/i
COL5A1, COL5A2
Sconosciuto1
COL3A1
PLOD1
COL1A1, COL1A2
ADAMTS2
TNXB
TNXB/CYP21B
COL1A1
COL1A2
COL1A1, COL1A2
FMNA
CHST14
SLC39A13
B4GALT7
FKBP14
Sconosciuto
ZNF469
PRDM5
SED/OI, sindrome di
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L’esistenza della variante SED con deficit di fibronectina descritta in una unica famiglia negli anni ’80 è al momento
dubbia e, pertanto, a meno di conferme future, non può essere considerata in una classificazione consistente delle SED.
Esistono poi altre patologie ereditarie del tessuto connettivo che mostrano una significativa sovrapposizione con le varie
SED ma che attualmente non sono ancora state ufficialmente incluse in questa classificazione (Tabella 2). In virtù della
condivisione di gran parte delle problematiche assistenziali, l’attuale proposta di PDT può ritenersi valida anche per
queste patologie, in gran parte non incluse nel D.M. 271/2001 in materia di “malattie rare”.
Tabella 2. Patologie Ereditarie del Tessuto Connettivo “Affini”.
Condizione
Eredità
Gene/i
Sindrome di Loeys-Dietz tipo 1
AD
TGFRB1, TGFBR2
Sindrome di Loeys-Dietz tipo 2
AD
TGFRB1, TGFBR2
Sindrome di Loeys-Dietz tipo 3
AD
SMAD3
Sindrome di Loeys-Dietz tipo 4
AD
TGFB2
Sindrome di Shprintzen-Goldberg
AD
SKI
Sindrome del meningocele laterale
AD ?
Sconosciuto
Sindrome delle arterie tortuose
AR
SLC2A10
Cutis laxa autosomica dominante tipo 1 (ADCL tipo 1)
AD
FBLN4
Cutis laxa autosomica dominante tipo 2 (ADCL tipo 2)
AD
FBLN5
Occipital horn disease/sindrome di Menkes (o cutis laxa X-linked)
XL
ATP7A
Cutis laxa autosomica recessiva tipo 1 (ARCL tipo 1A)
AR
FBLN5
Wrinkly Skin Syndrome e ARCL tipo 2A/Dubré
AR
ATP6V0A2
Sindrome di De Barsy (ARCL tipo 3) e ARCL tipo 2B
AR
PYCR1, ALDH18A1
Geroderma Osteodysplasticum
AR
GORAB
AD, autosomica dominante; ADCL, autosomal dominant cutis laxa; AR, autosomica recessiva; ARCL, autosomal
recessive cutis laxa; XL, legata al cromosoma X.
Le condizioni elencate in Tabella 2 sono patologie nosologicamente distinte dalle SED ma che spesso possono
presentare una significativa sovrapposizione con una o più varianti SED. Meno sovrapponibili, ma sempre da
considerare nella diagnosi differenziale delle SED, sono la sindrome di Marfan (FBN1), la sindrome di Beals (FBN2),
l’osteogenesi imperfetta tipo 1 (COL1A1, COL1A2) e la sindrome di Stickler (vari geni).
1.3 Epidemiologia
Le SED sono patologie largamente sottodiagnosticate, soprattutto e paradossalmente per le loro varianti più comuni,
ovvero classica ed ipermobile. Per questa ragione non sono al momento disponibili stime epidemiologiche verosimili.
Classicamente, per le SED è stata proposta una prevalenza complessiva di circa 1/5.000 (Beighton e coll., 2012). In
considerazione dell’inaspettatamente alta frequenza dell’ipermobilità articolare generalizzata nella popolazione
caucasica (Klemp e coll, 2002) ed in quella adulta di interesse reumatologico (Bridges e coll., 1992), è stata proposta
una prevalenza di 0,75-2% per questa sola variante (Hakim e Sahota, 2006), che, quindi, è ragionevolmente la più
frequente. Non sono al momento disponibili studi basati sull’evidenza che confermino questa ultima stima, che richiede
pertanto una verifica tramite indagini epidemiologiche mirate.
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2. Diagnosi
2.1 Caratteristiche cliniche principali
Gli elementi clinici rilevabili all’esame obiettivo sono principalmente cutaneo-mucosi, articolari e neuromuscolari.
Il coinvolgimento mucocutaneo ha sicuramente rappresentato uno degli elementi principali che suscitarono i primi
interessi sulle SED. In queste condizioni, la cute è solitamente soffice, vellutata ed iperelastica. La combinazione di
queste tre caratteristiche è molto variabile e spesso “sfiora” la normalità. In alcune varianti, la cute è sottile piuttosto che
soffice, con reticolo venoso sottostante eccessivamente visibile, ma senza sclerosi. La cicatrizzazione deficitaria e la
fragilità dei piccoli vasi rendono ragione della presenza di ematomi, ecchimosi organizzate, cicatrici diastatase, atrofiche,
a “carta di sigaretta”, depresse e/o emosiderotiche. Pseudotumori molluscoidi e sferule solide sottocutanee sono
piuttosto specifici della variante classica. Altri elementi cutanei sono le strie atrofiche, le ernie addominali e postchirurgiche e le varicosità venose agli arti inferiori. Sul versante mucoso possono essere evidenziate sclere e/o gengive
blu, gengiviti croniche ed ipoplasia dei frenuli. La parodontopatia grave è da alcuni considerata indicativa di una variante
distinta. Sebbene in passato si sia tentato di trovare uno strumento semiquantitativo per misurare l’elasticità cutanea
(Grahame, 1970), la valutazione degli aspetti cutanei, inclusi quelli relativi alle sue proprietà fisiche, è ancora affidata
all’esperienza dell’operatore.
L’ipermobilità articolare è sicuramente la componente fenotipica più caratteristica, sebbene non specifica delle SED.
Investigare l’ipermobilità articolare consiste essenzialmente nel misurare l’escursione (o range of motion – ROM) delle
articolazioni di interesse. Nelle SED l’ipermobilità articolare è spesso congenita (e quindi non associata a traumi o
allenamento) e generalizzata, sebbene in alcune forme sia più (o esclusivamente) evidente alle estremità, come nella
forma vascolare. Per ciascuna articolazione esistono dei valori di riferimento di ROM per l’età adulta e la loro escursione
viene solitamente misurata con goniometri ortopedici e/o metri flessibili (Tabella 3).
Tabella 3. Riferimenti per valutare l’escursione articolare massima nel soggetto adulto
Movimento
Abduzione e flessione della spalla
Estensione del gomito
Pronosupinazione del gomito
Flessione del polso
Estensione del polso
Deviazione ulnare del polso
Deviazione radiale del polso
Estensione dell’articolazione metacarpofalangeale del 2° dito
Estensione delle articolazioni interfalangee prossimali e distali
Abduzione dell’anca a gamba estesa
Adduzione dell’anca a gamba estesa
Rotazione interna dell'anca
Rotazione esterna dell'anca
Estensione del ginocchio
Dorsiflessione della caviglia o flessione
Flessione plantare della caviglia o estensione
Estensione dell’articolazione metatarsofalangeale del 1° dito
Depressione della mandibola
Protrusione della mandibola
Deviazione laterale della mandibola
Rotazione del collo
Flessoestensione del rachide cervicale
Flessione laterale del collo
Flessione laterale della colonna toracolombare
Da Clarkson (2012).
1: 80-90° in supinazione e 85-90° in pronazione a partire dalla posizione intermedia.
Escursione massima
180°
10°
170°1
80-85°
70-85°
25-30°
15-20°
30-40°
0°
45°
30°
30°
60°
5-10°
20-30°
30-50°
70°
35-50 mm
3-7 mm
10-15 mm
80-90° per lato
100-110°
45°
35°
L’uso esclusivo di tali parametri non permette di distinguere la popolazione in modalità dicotomica tra soggetti
“ipermobili” e “non ipermobili”. A questo scopo esistono una serie di strumenti arbitrari, o indici (score), attraverso i quali
l’esaminato può essere classificato secondo tali categorie. Tra i vari indici disponibili, quello di Beighton (Beighton e coll.,
1973) è sicuramente il più noto e facile da utilizzare (Tabella 4).
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Tabella 4. Indice di Beighton per la valutazione dell’ipermobilità articolare generalizzata.
Manovra
Sì
No
Opposizione passiva e completa del pollice destro sul versante volare dell’avambraccio
1
0
Opposizione passiva e completa del pollice sinistro sul versante volare dell’avambraccio
1
0
Flessione dorsale passiva del V dito destro oltre i 90°
1
0
Flessione dorsale passiva del V dito sinistro oltre i 90°
1
0
Iperestensione del gomito destro oltre i 190°
1
0
Iperestensione del gomito sinistro oltre i 190°
1
0
Iperestensione del ginocchio destro oltre i 190°
1
0
Iperestensione del ginocchio sinistro oltre i 190°
1
0
Flessione anteriore della colonna a gambe estese con i palmi aderenti al pavimento
1
0
Nota: l’indice di Beighton varia da 0 a 9 punti. L’ipermobilità articolare generalizzata viene diagnosticata per un totale di 5
o più punti secondo Villefranche e 4 o più punti secondo Brighton. E’ tuttavia possibile applicare alcune modifiche non
standardizzate a questo computo, aumentando, ad esempio, di 1 punto questi limiti per la popolazione pediatrica, e
diminuendo di 1 punto per quella maschile. Per soggetti scarsamente collaboranti, è possibile utilizzare un punteggio
corretto che escluda l’ultima manovra, per un punteggio massimo di 8 punti.
Questo metodo, che attribuisce un valore di 0 o 1 per, rispettivamente, la assenza o presenza di una escursione
articolare superiore al ROM considerato “normale” per 9 articolazioni o gruppi di articolazioni. Un valore uguale o
superiore a 5 (5/9) è indicativo di ipermobilità articolare generalizzata. Tale limite è valido per la classificazione di
Villefranche (Beighton e coll., 1998), mentre i criteri di Brighton per la sindrome da ipermobilità articolare pongono come
limite inferiore 4 piuttosto che 5 ed inoltre considerano gli effetti dell’età sul ROM (Grahame e coll., 2000), fenomeno
osservabile anche nei soggetti considerati ipermobili (Castori e coll., 2011). L’applicazione dell’indice di Beighton ha limiti
che dovrebbero essere sempre considerati durante la sua applicazione. Tra questi comprendiamo: (i) la non inclusione
nel calcolo di molti gruppi articolari, (ii) l’assenza del “fattore” età, sesso ed origine etnica come correttore del punteggio
finale, (iii) l’assenza quasi completa di correlazione tra grado di ipermobilità articolare e disabilità correlata ai sintomi
associati. Nella Tabella 4 sono state comunque proposte alcune modifiche non ufficiali al computo dell’indice in base ad
alcune di queste variabili. Sublussazioni fisse e volontarie, potenzialmente coinvolgenti tutte le articolazioni del corpo,
sono l’espressione più estrema della lassità legamentosa associata alle SED. Inoltre, è stato recentemente elaborato un
rapido questionario per indagare la presenza di ipermobilità articolare anamnestica in soggetti sintomatici non più
ipermobili (Hakim e Grahame, 2003; Tabella 5).
Tabella 5. Rapido questionario anamnestico per valutare l’ipermobilità articolare generalizzata.
1. E’ in grado o era in grado in passato di toccare il pavimento con entrambi i palmi senza piegare le ginocchia?
2. E’ in grado o era in grado in passato di flettere passivamente il pollice a toccare con l’unghia l’avambraccio dello
stesso lato?
3. Da piccolo intratteneva amici e parenti con contorsionismi o posizioni strane del corpo? OPPURE, era in grado di
eseguire la spaccata senza riscaldamento?
4. Da ragazzo le è mai capitato che spalle o rotule si dislocassero in più di una occasione?
5. Si ritiene una persona “snodata”?
Gli aspetti neuromuscolari delle SED, attualmente considerati di rilievo nella pratica clinica, sono stati per decenni
trascurati dalla letteratura internazionale e, conseguentemente, dai libri di testo. Solo recentemente (Voermans e coll.,
2009), è stata posta la giusta enfasi ad essi. L’ipotonia muscolare, comunemente di lieve entità, è un elemento frequente
ed alla sua verosimile origine congenita (o prenatale) è possibile derivare, quantomeno in parte, alcune anomalie
ortopediche caratteristiche delle SED quali piede piatto flessibile, alluci, ginocchia e gomiti valghi, scoliosi di lieve entità,
palato ogivale e plagiocefalia posturale posteriore. In quadri clinici avanzati è possibile riscontrare un deficit di forza in
vari distretti muscolari e/o ipotrofia muscolare, quest’ultima di solito alle eminenze tenar ed ipotenar ed ai muscoli
interossei. Contratture articolari di origine miogena, come camptodattilia e piede torto, sono possibili, seppur rare, e
spesso preferenzialmente associate ad alcune varianti, come la forma vascolare. L’elemento neurologico più rilevante
all’esame obiettivo è il deficit propriocettivo, che si estrinseca con una positività del segno di Romberg ad occhi chiusi (in
contrasto con una grossolana negatività dello stesso ad occhi aperti) in assenza di altri segni di disfunzione vestibolare.
Il sensorio è solitamente integro, sebbene alcuni pazienti riferiscano aree di ipoestesia (non solo periferiche) o
significative ma aspecifiche differenze della percezione tattile tra i due emisomi. Talvolta, può essere opportuno eseguire
una elettromiografia ai quattro arti per una diagnosi differenziale oppure per sottoclassificare il fenotipo neuromuscolare.
La combinazione di ipotonia (lieve) congenita e deficit propriocettivo determinano spesso un modesto ritardo di
acquisizione delle tappe dello sviluppo psicomotorio con assenza di gattonamento, cammino sulle punte, primi passi da
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solo >14 mesi e goffaggine motoria. Comunque, salvo rarissime eccezioni (come la variante muscolocontratturale), le
SED non sono patologie che si associano ad un ritardo globale dello sviluppo e quindi a ritardo mentale.
L’anamnesi dei pazienti affetti da SED è spesso colma di sintomi spesso molto disabilitanti, tra i più comuni si
annoverano:
Apparato muscoloscheletrico: distorsioni e dislocazioni ricorrenti, lenta guarigione dei traumi articolari, tendiniti,
sinoviti e tenosinoviti ricorrenti, artralgie cronico-ricorrenti, mialgie cronico-ricorrenti anche di tipo crampiforme, rotture di
muscoli e tendini.
Sistema nervoso: dolore neuropatico, iperalgesia, allodinia, parestesie, disestesie, resistenza agli anestetici locali,
cefalea mista cronico-ricorrente, disfagia orofaringea, disfonia ricorrente, disturbi del tono dell’umore, d’ansia, di
personalità, depressione e deficit cognitivi selettivi.
Organi di senso: ipoacusia, vertigini, acufeni/tinnito, miopia, fragilità corneale e della sclera (rottura di cornea e di globo
oculare), ipo/iperosmia.
Cute e mucose: facile formazione di ecchimosi, fragilità cutanea e gengivale, rinorragie, cicatrizzazione lenta e
deficitaria, xeroftalmia, xerostomia, ipoidrosi/diaforesi, iperidrosi palmoplantare, secchezza vaginale.
Apparato cardiovascolare: intolleranza ortostatica, al freddo e/o ai bruschi cambiamenti di temperatura, tachicardie e
palpitazioni ricorrenti, fenomeno di Raynaud, acrocianosi, rotture di vasi, aneurismi e dissecazioni.
Apparato gastrointestinale: sintomi da reflusso gastro-esofageo, pirosi gastrica, gonfiore e/o pienezza addominale,
dolori addominali ricorrenti, alterazioni dell’alvo, rotture di colon e di milza.
Apparato genitourinario: sintomi da incontinenza urinaria da sforzo, sintomi da vescica neurologica, alterazioni del
ciclo mestruale, meno/metrorragie, dismenorrea, dispareunia, vulvodinia, prolassi pelvici.
2.2 Revisione della letteratura
Recentemente (Mayer e coll., 2012), è stata pubblicata una Gene Card specifica per le SED. Da questo impegno di
sintesi, è stato dato corpo a quanto era già noto dai pochi operatori che si occupano con regolarità di questo gruppo di
patologie. Ovvero, che il sospetto diagnostico di una qualunque SED è innanzi tutto clinico e che, in considerazione
dell’estrema variabilità genetica di queste patologie, deve essere quanto più accurato possibile. Considerando le sei
varianti maggiori, la forma ipermobile (o sindrome da ipermobilità articolare) può essere ad oggi accertata
esclusivamente in base ai criteri diagnostici clinici pubblicati (vedi “Criteri Diagnostici”). Non esistono, infatti, per essa
test ultrastrutturali/istologici/biochimici di conferma sufficientemente sensibili e specifici. Per le altre cinque varianti
maggiori l’esame ultrastrutturale della cute, l’elettroforesi dei collageni estratti da tessuto fresco (derma) o da cultura di
fibroblasti cutanei e il dosaggio delle piridinoline urinarie possono confermare la diagnosi. L’indagine molecolare resta
comunque il test di conferma più affidabile (e probabilmente più facile da reperire) per tutte le varianti SED ad eccezione
di quella ipermobile e con parodontopatia, in cui non è ancora noto il gene-malattia (Tabella 6). In conclusione, nella
pratica clinica, la diagnosi della maggior parte delle varianti SED è clinica. L'accertamento di laboratorio più utilizzato è
sicuramente quello molecolare. La sua applicabilità non dipende solo dalle conoscenze acquisite e dalla disponibilità di
laboratori di riferimento, ma anche e soprattutto dalla sua utilità in considerazione della necessità di accuratezza
diagnostica e per il counselling familiare.
Tabella 6. Definizione della diagnosi per sottotipo.
Metodo
SEDi
SEDc1
SEDv
SEDcs
Altre
varianti2
Criteri diagnostici clinici
+
+
+
+
+
+
Test biochimico3
+
+
+
+
+
Istologia/ultrastruttura4
-5
+
+
+
+
Analisi molecolare
+
+
+
+
+
+
+
Dosaggio urinario
+6
SEDa, sindrome di Ehlers-Danlos artrocalasica; SEDc, sindrome di Ehlers-Danlos classica; SED cs, sindrome di EhlersDanlos cifoscoliotica; SEDd, sindrome di Ehlers-Danlos dermatosparassi; SEDdt, sindrome di Ehlers-Danlos da deficit di
tenascina; SEDi, sindrome di Ehlers-Danlos ipermobile; SEDv, sindrome di Ehlers-Danlos vascolare.
1: incluse varianti classica con rotture arteriose, cardiaca-valvolare, sovrapposizione con l’osteogenesi imperfetta. 2:
escluse la variante con parodontopatia. 3: i test biochimici vengono eseguiti con elettroforesi dei collageni dermici estratti
direttamente su biopsia o su fibroblasti cutanei coltivati; l’attendibilità di tale accertamento è attualmente discutibile. 4: la
maggior parte delle varianti di sindrome di Ehlers-Danlos necessita di indagine ultrastrutturale (microscopio elettronico); la
variante da deficit della tenascina X può essere confermata con immunoistochimica/fluorescenza su biopsia muscolare
per l’espressione della tenascina X ed, eventualmente, delle subunità del collagene VI. 5: occasionalmente, pazienti con
la variante ipermobile mostrano lievi irregolarità delle fibre collagene all’ultrastruttura negli strati superficiali del derma. 6:
l’indagine prevede il dosaggio urinario delle lisil- ed idrossilisil-piridinoline.
6 SEDa
SEDd
SEDdt
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Nota: nelle varianti di sindrome di Ehlers-Danlos per cui sono disponibili criteri diagnostici clinici la diagnosi è inizialmente
posta in base alla presenza di un numero sufficiente di segni clinici. Nelle varianti in cui sono disponibili conferme di
laboratorio, la diagnosi viene confermata tramite almeno uno di questi accertamenti. Per la sindrome di Ehlers-Danlos da
deficit di tenascina e per tutte le altre varianti più rare non sono disponibili criteri diagnostici clinici, quindi la diagnosi può
essere stabilita solo tramite esami di laboratorio.
2.3 Criteri diagnostici
Le sei varianti maggiori di SED vengono sospettate clinicamente secondo la classificazione di Villefranche (Tabella 7)
(Beighton e coll., 1998).
Tabella 7. Criteri di Villefranche per le varianti maggiori di sindrome di Ehlers-Danlos.
Variante
Classica
Criteri maggiori
Cute iperelastica
Cicatrici “a carta di sigaretta”
Ipermobilità articolare (generalizzata)1
Ipermobile
Cute iperelastica e/o soffice e vellutata
Ipermobilità articolare generalizzata
Vascolare
Cute sottile e traslucida
Fragilità o rotture
arteriose/uterine/viscerali
Estrema facilità alla formazione di
ecchimosi
Caratteristiche facciali tipiche
Cifoscoliotica
Ipermobilità articolare generalizzata
Ipotonia congenita
Scoliosi congenita e progressiva
Fragilità sclerale, rottura del globo
oculare
Artrocalasica
Ipermobilità articolare generalizzata con
tendenza alle dislocazioni
Displasia congenita dell’anca bilaterale
Dermatosparassi
Fragilità cutanea marcata
Ridondanza cutanea
Criteri minori
Cute soffice e vellutata
Pseudotumori molluscoidi
Sferule sottocutanee
Complicanze dell’ipermobilità articolare
Ipotonia, ritardo motorio
Facile formazione di ecchimosi
Manifestazioni di iperelasticità e fragilità dei tessuti
molli
Complicanze chirurgiche
Storia familiare positiva
Dislocazioni articolari ricorrenti
Dolore cronico agli arti/articolazioni
Storia familiare positiva
Acrogeria
Ipermobilità delle piccole articolazioni
Rottura di tendini o muscoli
Piede torto equinovaro
Vene varicose ad esordio precoce
Fistole arterovenose
Pneumo-torace/ematotorace
Retrazioni gengivali
Storia familiare positiva, morte improvvisa in familiari
di I grado
Fragilità dei tessuti, incluse cicatrici atrofiche
Facile formazione di ecchimosi
Rotture arteriose
Habitus marfanoide
Microcornea
Osteopenia/porosi
Storia familiare positiva
Cute iperelastica
Fragilità tissutale, incluse cicatrici atrofiche
Facile formazione di ecchimosi
Ipotonia
Cifoscoliosi
Osteopenia/porosi
Consistenza soffice della cute
Facile formazione di ecchimosi
Rottura prematura della membrana amniotica
Ernie addominali di grandi dimensioni
1:
indice di Beighton ≥5/9.
Nota: attualmente non esiste una indicazione chiara sull’uso diagnostico di questi criteri. Generalmente, la presenza di
almeno un criterio maggiore ed uno minore è sufficiente per indicare accertamenti strumentali, se disponibili. La presenza
di almeno due criteri maggiori è fortemente indicativa per una diagnosi definitiva della variante.
Per quanto riguarda la variante ipermobile, essa può essere alternativamente diagnosticata tramite i criteri di Brighton
individuati per la sindrome da ipermobilità articolare (Tabella 8) (Grahame e coll., 2000).
7 PDTA ____________________________________________ AO San Camillo-Forlanini, Policlinico “Umberto I” e OPBG
Tabella 8. Criteri di Brighton per la sindrome da ipermobilità articolare.
Criteri maggiori
Indice di Beighton ≥4/9
Artralgie per >3 mesi in >4 articolazioni
Criteri minori
Indice di Beighton 1-3/9
Artralgie in 1-3 articolazioni
Storia di dislocazioni articolari
>3 lesioni dei tessuti molli
Habitus marfanoide
Smagliature spontanee, cute iperelastica, anomalie della cicatrizzazione
Anomalie oculari, blefaroptosi/calasia
Storia di vene varicose, prolassi pelvici e/o ernie addominali
Nota 1: il primo criterio maggiore ed il primo minore, così come il secondo maggiore ed il secondo minore sono
mutualmente esclusivi.
Nota 2: per la diagnosi è necessario rispettare entrambi i criteri maggiori, oppure uno maggiore ed almeno due minori,
oppure quattro minori, oppure due minori in presenza di uno o più familiari di I grado con diagnosi di sindrome da
ipermobilità articolare (o sindrome di Ehlers-Danlos ipermobile).
Nota 3: la diagnosi di sindrome da ipermobilità articolare prevede l’esclusione clinica/laboratoristica delle altre patologie
ereditarie del tessuto connettivo (tranne la sindrome di Ehlers-Danlos ipermobile).
Sebbene la SED ipermobile e la sindrome da ipermobilità articolare siano considerate fenotipicamente indistinguibili
(Tinkle e coll., 2009), non esiste al momento un consensus su come i due set di criteri diagnostici possano relazionarsi
tra loro. Per questa ragione appare urgente la necessità di elaborare un set aggiornato che includa le specifiche di
entrambi (Remvig e coll., 2011). Un metodo ragionevole è quello di preferire i criteri di Villefranche per i pazienti
pediatrici e quelli di Brighton per gli individui adulti.
2.4 Indagini di laboratorio
Una volta formulato il sospetto su base clinica (criteri diagnostici per le sei forme maggiori, verosimiglianza per
comparazione per le altre varianti più rare) può essere presa in considerazione una conferma di laboratorio. Tale
procedura non è disponibile per le varianti per le quali non è noto il gene-malattia e a cui non sono associate specifiche
anomalie istopatologiche, ultrastrutturali e/o biochimiche. Inoltre, essa può risultare non essenziale ai fini della
definizione diagnostica in pazienti con manifestazioni tipiche della variante classica, benché le basi cellulari e molecolari
di questa forma siano ormai ben caratterizzate. In tutti gli altri casi, una conferma strumentale è sempre auspicabile.
L’esame ultrastrutturale e l’elettroforesi dei collageni dermici prevedono una biopsia cutanea e possono risultare
tecnicamente poco accessibili. Il dosaggio delle piridinoline urinarie è un esame teoricamente agevole e rapido da
eseguire, ma è specifico per la sola forma cifoscoliotica. Tuttavia, al momento, esso è di difficile reperimento in territorio
italiano e spesso è necessario spedire campioni biologici all'estero. Pertanto, il metodo più facile e, spesso, sensibile da
utilizzare come conferma diagnostica è l’indagine molecolare. In circostanze specifiche, accertamenti di laboratorio su
biopsia cutanea possono essere considerati preliminari allo studio molecolare qualora esistano consistenti perplessità
cliniche nel selezionare il gene (o i geni) da analizzare. L’identificazione della mutazione causativa, a differenza delle
altre modalità di conferma di laboratorio, offre la possibilità della diagnosi prenatale e del test presintomatico in familiari a
rischio. Tuttavia, entrambe queste opportunità sono raramente utilizzate nelle famiglie con SED.
2.5 Diagnosi differenziale
Come riportato in precedenza, le SED hanno manifestazioni cliniche estremamente variabili e coinvolgenti molti organi e
strutture. Inoltre, il frequente riscontro di sintomatologia neurologica apparentemente inspiegata, dolore e fatica cronici
rendono ragione per una gamma eccezionalmente ampia di condizioni che entrano in diagnosi differenziale con le SED
(Tabella 9). Al contrario, la possibilità di trovarsi di fronte ad una SED dovrebbe essere considerata ogni qual volta non
venga confermata una qualunque delle condizioni incluse in Tabella 9.
8 PDTA ____________________________________________ AO San Camillo-Forlanini, Policlinico “Umberto I” e OPBG
Tabella 9. Diagnosi differenziale per le sindromi di Ehlers-Danlos.
Età pediatrica
Difetti ereditari ed acquisiti della coagulazione
Sindrome del bambino battuto
Disordine dello sviluppo della coordinazione
Deficit nutrizionali
Artrite reumatoide giovanile
Fibromialgia giovanile
Sindrome da fatica cronica giovanile
Atre patologie ereditarie del tessuto connettivo con ipermobilità articolare e/o interessamento vascolare
Miopatie e distrofie muscolari con ipermobilità articolare
Età adulta
Artrite reumatoide e altre connettivopatie autoimmuni
Artrosi precoce idiopatica
Fibromialgia
Sclerosi multipla
Sclerosi laterale amiotrofica
Neuropatie sensori-motorie ed autonomiche
Sindrome da fatica cronica
Atre patologie ereditarie del tessuto connettivo con ipermobilità articolare e/o interessamento vascolare
Miopatie con ipermobilità articolare
2.6 Esami da eseguire per la diagnosi e per il follow-up
In considerazione dell’assenza di linee-guida diagnostico-terapeutiche per le SED, questo documento rappresenta una
proposta basata sui dati presenti in letteratura e sull’esperienza dei partecipanti al progetto. L’estensione delle
manifestazioni cliniche delle SED impone un approccio multidisciplinare. La loro natura spesso congenita e progressiva
richiede attenzione durante tutto l’arco della vita con necessità molto diverse a seconda delle età. Infine, l’estrema
variabilità dei fattori che influiscono sulla funzionalità residua del singolo paziente (e che dipendono dal sottotipo di SED
di cui è affetto, dal background genetico e da fattori ambientali ancora di difficile identificazione) necessita di una
frammentazione dell’approccio terapeutico basato sulla definizione di una scala di priorità assistenziali e
sull’individuazione di micro-aree di trattamento dedicate ai principali determinanti della disabilità associata.
Secondo questo modello, il paziente viene originariamente sospettato come affetto da SED sul territorio (dove gli
operatori dovrebbero essere sensibilizzati all’esistenza di queste patologie, nel complesso tutt’altro che rare, ad opera
dei centri di riferimento regionale) o ad opera di altro specialista. A seguito della trasversalità delle manifestazioni
cliniche delle varie SED come complesso nosologico, la prima valutazione dovrebbe essere eseguita da un pediatra con
esperienza in ambito di patologie ereditarie (pazienti pediatrici) e/o da un genetista clinico (pazienti pediatrici e/o adulti).
La prima valutazione può avvenire in regime ambulatoriale e richiedere più incontri, in considerazione dell’eventualità di
ulteriori accertamenti strumentali e/o di laboratorio (incluso test genetico) al fine dell’accertamento diagnostico. In questa
sede, il paziente viene altresì sottoposto agli accertamenti considerati di “routine” in base al sottotipo. Tali indagini, la cui
reale opportunità per ciascun sottotipo maggiore è basata sui criteri diagnostici pubblicati (Beighton e coll., 1998) e
sull’evidenza (Gulbahar e coll., 2006; McDonnell e coll., 2006; Malfait e De Paepe, 2009; Danese e coll., 2011; Gharbyia
e coll., 2012; Jackson e coll., 2012), possono essere eseguite anche in day-hospital specialistico (ad es., pediatria o
genetica clinica) (Tabella 10).
Tabella 10. Accertamenti di base successivi alla diagnosi.
Indagine
SEDi
SEDc1 SEDv2 SEDcs3 SEDa SEDd
MOC (DXA) colonna e femore
+
+
+
Screening celiachia
+
Ecocardiocolordoppler
+
+
+
+
+
+
Ecodoppler vasi epiaortici, aorta addominale, arterioso e +
+
venoso dei quattro arti
Visita oculistica completa
+
+
Screening coagulativo di base4
+
+
+
+
+
+
MOC, mineralometria ossea computerizzata; SEDa, sindrome di Ehlers-Danlos artrocalasica; SEDc, sindrome di Ehlers-Danlos
classica; SED cs, sindrome di Ehlers-Danlos cifoscoliotica; SEDd, sindrome di Ehlers-Danlos dermatosparassi; SEDi, sindrome di
Ehlers-Danlos ipermobile; SEDv, sindrome di Ehlers-Danlos vascolare.
9 PDTA ____________________________________________ AO San Camillo-Forlanini, Policlinico “Umberto I” e OPBG
1:
gli stessi accertamenti possono essere validi per la sindrome di Ehlers-Danlos da deficit della tenascina. 2: gli stessi
accertamenti possono essere validi per le sindromi di Loeys-Dietz. 3: gli stessi accertamenti possono essere validi per le brittle
cornea syndromes. 4: emocromo completo, VWF:Ag, VWF: RCo, FVIII:C, studio dell’aggregazione piastrinica, tempo di
emorragia.
Nota: per tutte le altre forme di sindrome di Ehlers-Danlos e per le altre patologie “affini” non sono disponibili dati sufficienti per
definire un pannello di accertamenti di base standardizzato.
Una volta confermata clinicamente e/o sulla base di una indagine diagnostica specifica la diagnosi di sottotipo SED o
patologia affine, il paziente viene inviato ad una valutazione collegiale da parte di un primo team multispecialistico,
differenziato in pediatrico o dell’adulto (Tabella 11).
Tabella 11. Team valutativi e di follow-up.
Area pediatrica
Area adulta
Pediatra genetista/genetista clinico
Genetista clinico
Neuropsichiatra infantile/neurologo pediatra
Fisiatra/neuroriabilitatore
Ortopedico/reumatologo pediatra
Reumatologo
Cardiologo pediatra
Cardiologo/internista
Dermatologo pediatra
Dermatologo
Psicologo dell'età evolutiva
Neuropsicologo
In corsivo è indicato il possibile case manager. L'attribuzione di case manager in questo modello è preferenziale ma non
obbligatorio. In altre parole, questo ruolo dovrebbe essere assunto dall'operatore che ha maggior esperienza sulla gestione non
specialistica di questo gruppo di patologie. Pertanto, sono altrettanto validi scenari in cui il ruolo di case manager venga assunto
da uno qualunque degli altri specialisti qualora tale riattribuzione delle funzioni sia necessaria o auspicabile.
Questo team valutativo - che dovrebbe agire in una singola seduta con valutazioni differite, coagulate a fine sessione dal
case manager - ha la funzione di valutare globalmente il paziente (i) individuando la necessità di ulteriori indagini mirate
a quantificare meglio il grado di compromissione generale dello stato di salute e della funzionalità residua e (ii)
tracciando una scala personalizzata di priorità assistenziali. Una volta effettuato questo ed individuata la reale necessità
di intervento terapeutico/preventivo, il paziente viene inviato, previa programmazione in caso di necessità multiple, ad
uno o più team terapeutici, distinti in pediatrici (Tabella 12) e dell’adulto (Tabella 13). Oltre alle figure incluse nelle tabelle
11-13 è necessario considerare anche un adeguato supporto infermieristico ed amministrativo.
Tabella 12. Team terapeutici per micro-aree assistenziali (area pediatrica).
Disturbo dello sviluppo
della coordinazione1
Neuropsichiatra infantile
Fisiatra pediatra
Psicologo dell’età evolutiva
Tecnico della psicomotricità
Fisioterapista
Logopedista
Dolore cronico-ricorrente
Ectasia dell’aorta2
Scarso accrescimento
e/o fatica
Fisiatra pediatra
Cardiologo pediatra
Gastroenterologo pediatra
Neurologo pediatra
Cardiochirurgo pediatra
Nutrizionista pediatra
Terapista del dolore
Endocrinologo pediatra
Medico dello sport
Nefrologo pediatra
Psicologo dell’età evolutiva
Dietista
Fisioterapista
Terapista occupazionale
In corsivo è indicato il case manager.
1: o, più raramente, ritardo globale dello sviluppo. 2: o altra anomalia ecocardiografica clinicamente rilevante.
Tabella 13. Team terapeutici per micro-aree assistenziali (area adulti).
Dolore cronico-ricorrente
Rischio cardiovascolare
Cefalea
Patologia funzionale viscerale
e/o fatica
aumentato
Fisiatra
Neurologo
Cardiologo
Gastroenterologo
Neurologo
Gnatologo
Cardiochirurgo1
Medico nutrizionista
Terapista del dolore
Otorinolaringoiatra
Chirurgo vascolare1
Pneumologo
Medico dello sport
Oculista
Radiologo interventista1
Urologo
Psicologo clinico
Fisioterapista
Neurochirurgo1
Ginecologo
Fisioterapista
Fisioterapista
Terapista occupazionale
Dietista
In corsivo è indicato il case manager.
1: specialisti necessari solo in forme con fragilità dei grossi e medi vasi, principalmente SED vascolare e cifoscoliotica e sindromi
di Loeys-Dietz.
10 PDTA ____________________________________________ AO San Camillo-Forlanini, Policlinico “Umberto I” e OPBG
A causa dell’assenza di presidi terapeutici di efficacia comprovata per i vari aspetti clinico-assistenziali delle SED,
l’efficacia del trattamento somministrato o dell’intervento di prevenzione primaria e/o secondaria delle complicanze
dovrebbe essere valutata tramite strumenti alternativi, mutuati da quelli validati in altre patologie croniche affini e/o
elaborati autonomamente. L’intervallo valutativo dell’intervento terapeutico viene stabilito dal team e può avvenire sia in
ambiente multispecialistico (Tabelle 12 e 13), che da parte del singolo operatore in caso di monoterapia. Il follow-up
generale ad opera del team valutativo iniziale (Tabella 11) viene eseguito ogni 6 mesi per il paziente pediatrico e ogni
anno per quello adulto (Figura 1).
A causa del gran numero di specialisti necessari per poter offrire una gamma assistenziale completa a questi pazienti, è
probabile che alcuni professionisti svolgano più ruoli all’interno dei vari pannelli, qualora sufficientemente addestrati (ad
esempio, un dermatologo con training in dermatologia pediatrica, può svolgere il suo ruolo sia nel team valutativo
pediatrico che in quello dell’adulto).
Per quanto riguarda la tempistica da seguire per pianificare i controlli strumentali illustrati in Tabella 10, non esistono al
momento raccomandazioni condivise.
La mineralometria ossea computerizzata è utile nel monitoraggio del rischio di osteopenia/osteoporosi nelle varianti SED
che presentano questa caratteristica. In queste forme è raccomandata una sua ripetizione annuale per entrambi i sessi
ed in qualunque fascia di età.
Lo stesso approccio può essere applicato alla
visita oculistica.
Lo screening anticorpale per morbo celiaco è al
momento indicato esclusivamente nella SED
ipermobile. In questi pazienti esso può essere
ripetuto dopo un primo esito negativo in caso di
comparsa di fatica cronica o, più generalmente, di
altri sintomi compatibili con celiachia.
L’esecuzione di un ecocardiocolordoppler è
empiricamente indicato in tutte le varianti di SED.
La sua ripetizione periodica in caso di iniziale esito
negativo o di riscontro di anomalie triviali (ad es.
lieve prolasso monovalvolare in assenza di
rigurgito) è una raccomandazione controversa.
Recenti evidenze suggeriscono che, quantomeno
per le varianti classica ed ipermobile, una
ecografia cardiaca completamente negativa in età
adulta dovrebbe indurre a non ripeterla (a meno di
comparsa di sintomi cardiaci imprevisti), mentre è
indicata ogni 2-3 anni in soggetti in età pediatrica.
In caso di dilatazione dell’aorta ascendente, in
queste varianti SED, è stata dimostrata una
progressività solo se la diagnosi avviene in epoca
pediatrica. In questo caso, il monitoraggio
dovrebbe essere semestrale/annuale. In tutte le
altre circostanze, non esistono al momento dati
circa l’utilità del monitoraggio periodico che
dipende esclusivamente dalla valutazione
specialistica iniziale. Nelle sindromi di Loeys-Dietz, a causa del rischio estremamente alto di aneurisma aortico a
qualunque età, il monitoraggio ecocardiografico deve essere sempre intensivo.
Il razionale dello screening ecocolordoppler dei grandi e medi vasi arteriosi per le SED vascolare e cifoscoliotica (ma
anche classica con fragilità vascolare e sindromi di Loeys-Dietz) è quello di individuare anomalie strutturali (quali kinking,
coiling ed aneurismi) che rappresenterebbero le sedi di più probabile sfiancamento della parete vascolare e che, se
presenti, necessiterebbero di controlli periodici anche in soggetti asintomatici. L’utilità di uno screening arterioso
ecocolordoppler periodico in assenza di tali anomalie è discutibile. Nelle sindromi da fragilità vascolare l’uso alternativo
di arteriografia tradizionale e angio-TC è proibitivo in considerazione del rischio di rottura iatrogena di vasi a seguito
dell’iniezione del mezzo di contrasto (Cikrit e coll., 1987). Una possibile alternativa al controllo ecocolordoppler, che
comunque presenta limiti maggiori, è l’esecuzione di una angio-RMN total-body senza gadolinio. A causa degli attuali
costi di tale accertamento e dell’essenza di dati evidence-based che dimostrino una sua effettiva utilità in questi sottotipi
di SED, l’applicazione dell’angio-RMN come accertamento di I livello è dibattuta.
11 PDTA ____________________________________________ AO San Camillo-Forlanini, Policlinico “Umberto I” e OPBG
Gestione della Multidisciplinarietà
La gestione della multidisciplinarietà è un problema di primo piano nel trattamento di alcune problematiche connesse
alle SED, in particolare, dolore muscoloscheletrico diffuso, fatica cronica e cefalea. Questo deriva essenzialmente
dall’assenza di adeguati strumenti interpretativi e dalla mancata comprensione delle loro basi fisiopatologiche. Dal
momento che non sono ad oggi disponibili dati basati sull’evidenza per trattamenti specifici, la gestione di tali sintomi
segue solitamente il protocollo standard. In specifiche condizioni, l’approccio specialistico ma non orientato per patologia
(SED) può non mostrare gli effetti attesi o, persino, peggiorare la sintomatologia. Per questa ragione, in presenza di uno
o più di questi sintomi in forma particolarmente manifesta (e disabilitante), prima di qualunque scelta terapeutica è bene
eseguire una valutazione globale in ambito multispecialistico. In considerazione dell’elevato numero di specialisti
coinvolti nel trattamento dei vari aspetti delle SED, la valutazione globale (Tabella 11) ed il trattamento dei singoli aspetti
(Tabelle 12 e 13) vengono svolti in momenti diversi, da personale con mansioni distinte. E’ sempre bene, quindi, che i
case manager dei due team valutativi (pediatrico e dell’adulto) e quelli degli otto team terapeutici si confrontino
periodicamente discutendo, all’occorrenza, dei casi specifici.
Punto nodale nel coordinamento dei vari team valutativi e terapeutici e degli operatori del territorio (pediatri di libera
scelta, medici di base, personale di pronto e primo soccorso, ecc) è la comunicazione. Per questa ragione è fortemente
raccomandato che ciascun passaggio fondamentale (in particolare, al termine della prima valutazione ambulatoriale,
dell’incontro iniziale con il team valutativo, alla fine di ogni ciclo terapeutico e di ciascun follow-up) venga sancito dalla
stesura di una breve relazione che riassuma quanto eseguito, si esprima in termini di conclusioni (diagnostiche e/o
terapeutiche) e, quando necessario, ribadisca l’intervallo di tempo per una successiva rivalutazione. Di estrema utilità è
altresì fornire ai pazienti, oltre a copia delle relazioni, anche informative redatte ad hoc per specifiche problematiche di
vita quotidiana quali, ad es. alimentazione, attività sportiva, vita scolastica ed interventi chirurgici.
Transizione Pediatrico-Adulto
Per patologie cronico-degenerative ad insorgenza (solitamente) precoce come le SED, un punto nodale è sicuramente il
passaggio di consegne al superamento della fascia di età di interesse pediatrico (14-16 anni). In accordo con il modello
proposto, il passaggio può avvenire senza il diretto coinvolgimento dei pazienti attraverso incontri periodici tra case
manager e/o team valutativi e terapeutici coinvolti nella rete. In considerazione dell’omogeneità di approccio e di
conoscenze, la transizione acquisisce i connotati di un passaggio obbligato ma naturale nel percorso assistenziale che
accompagna il paziente per tutta la vita.
Gestione delle Urgenze
Tranne rare eccezioni (ad es. la SED vascolare), le SED non rappresentano patologie genetiche che espongono gli
affetti ad aumentato rischio di morte. Pur tuttavia, alcune circostanze possono richiedere l’intervento di specialisti
dell’urgenza, anche solo per consulenza. Gli scenari principali comprendono:
 Riacutizzazione non tollerabile del dolore muscoloscheletrico e/o della cefalea, anche dopo somministrazione di
farmaci antidolorifici, per tutte le varianti di SED.
 Dolori improvvisi ed acuti in qualunque regione anatomica (soprattutto se in sede toracica ed addominale) e/o
perdita di coscienza in pazienti affetti da SED vascolare, classica (variante con rotture vascolari) e cifoscoliotica,
nonché sindromi di Loeys-Dietz, sindrome delle arterie tortuose e cutis laxae ereditarie.
 Dolore acuto oculare con o senza perdita del visus nei pazienti con SED cifoscoliotica e brittle cornea syndrome.
 Necessità di intervento chirurgico non differibile per qualunque ragione anche non correlata alla patologia di base
per, potenzialmente, tutte le varianti di SED.
 Parto per tutte le varianti di SED.
In tutte queste circostanze è bene che il paziente ritenuto ad elevato rischio abbia a disposizione dei recapiti telefonici
per contattare la struttura di riferimento, reperibile h24, al fine di fornire le adeguate informazioni ed indicazioni al
personale sanitario in azione. Qualora le circostanze dell’evento lo permettano, è auspicabile che la struttura
ospedaliera di riferimento sia in grado di accogliere prontamente il paziente. Gli specialisti dell’urgenza da includere nel
pannello delle reperibilità sono: Cardiochirurgo/chirurgo vascolare, Neurochirurgo, Ortopedico, Chirurgo addominale,
Oculista, Terapista del dolore, Ginecologo-ostetrico. Le competenze richieste in area pediatrica ed adulta sono diverse.
I recapiti dei centri di riferimento attivi nella regione Lazio sono riportati in dettaglio nella sezione “Implementazione del
PDTA”.
12 PDTA ____________________________________________ AO San Camillo-Forlanini, Policlinico “Umberto I” e OPBG
3. Terapia
3.1 Revisione della letteratura
Al momento, non sono disponibili linee-guida terapeutiche, nazionali e/o internazionali, per alcuna variante di SED. Gran
parte delle informazioni disponibili sul trattamento di questi pazienti è raccolto in monografie dedicate (Keer e Grahame,
2003; Hakim e coll., 2010; Tinkle, 2010; Beighton e coll., 2012) e capitoli di libri (Steinmann e coll., 2002; Tinkle e
Atzinger, 2010). Nella sezione GeneReviews del sito GeneTests (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/sites/GeneTests/) sono
attualmente consultabili specifiche pagine dedicate alle SED classica (Malfait e coll., 2011), ipermobile (Levy, 2012),
vascolare (Pepin e Byers, 2011) e cifoscoliotica (Yeowell e Steinmann, 2008). Questi documenti, focalizzati sulla fase
diagnostica e di accertamento molecolare, comprendono anche una piccola sezione sulle possibilità di trattamento e di
prevenzione primaria e secondaria delle eventuali complicanze. Recentemente, sono stati pubblicati alcuni articoli di
revisione che includono anche aspetti preventivi e terapeutici per la SED classica (Malfait e coll., 2010), ipermobile
(Castori, 2012; Castori e coll., 2012; Castori, 2013) e vascolare (Lum e coll., 2011; Beridze e Frishman, 2012).
3.2 Trattamento del dolore
Il dolore cronico (spesso di origine muscoloscheletrica) è uno dei maggiori determinanti per il deterioramento della
qualità di vita nella SED. Tale evidenza è al momento confermata per le varianti più comuni (classica, ipermobile e
vascolare), ma si può presumere valida anche per le forme più rare. Sebbene il dolore spesso inizi in sede articolare in
modo occasionale/ricorrente - facilitato/causato da instabilità articolare (dislocazioni, distorsioni, ecc), successivamente
assume connotati eziopatogenetici più eterogenei, manifestandosi in forma di mialgie ed artralgie diffuse combinate a
caratteristiche neuropatiche. La cronicizzazione del dolore e la resistenza al trattamento sono le componenti più rilevanti
che influenzano la prognosi. Un programma di trattamento adeguato dovrebbe includere farmaci, terapia fisica
(Simmonds e Keer, 2007, 2008; Keer e Simmonds, 2011), terapia occupazionale e terapia cognitivo-comportamentale
(Grahame, 2009). Accanto a pratiche puramente terapeutiche, la prevenzione sta emergendo come uno strumento
estremamente valido con ottimo rapporto costo/beneficio e dovrebbe includere quantomeno l’aderenza ad una serie di
raccomandazioni sullo stile di vita (Castori e coll., 2012) ed esercizio fisico adattato. Per questa ragione, mentre il dolore
occasionale di intensità bassa/moderata può essere trattato ambulatorialmente dal singolo specialista (fisiatra, pediatra
specialista, reumatologo, neurologo, genetista clinico, ecc), dal pediatra di libera scelta o dal medico di base, la gestione
del dolore cronicizzato e quindi ad alto potenziale disabilitante necessita inevitabilmente un approccio multidisciplinare.
L’uso sistemico dei farmaci
Nell’esperienza comune, la monoterapia ha successo solo nel trattamento del dolore occasionale/ricorrente di bassamoderata intensità. Le alternative seguenti sono potenzialmente efficaci nel soggetto adulto in assenza di co-morbilità
(aggiustamenti sono necessari per i bambini ed i soggetti con altre patologie croniche) ed il loro uso può essere
adeguatamente gestito anche da personale non specificamente preparato:
 Ibuprofene 200-1.800 mg/die (media: 1.200 mg/die) in una o più dosi con una singola dose massima di 600 mg;
 Naprossene 1.000 mg/die in due dosi giornaliere;
 Paracetamolo 1.000-3.000 mg/die in una o tre dosi divise da 500-1.000 mg ciascuna; il paracetamolo può essere
somministrato in associazione con codeina fosfato (con un rapporto di 30 mg di codeina fosfato per ogni 500 mg di
paracetamolo), per una dose massima giornaliera di 3.000 mg per il primo e 180 mg per il secondo.
Nel caso la monoterapia fosse inefficace, altri farmaci possono essere usati alternativamente o in associazione con i
sovramenzionati:
a) Tramadolo, fino a 400 mg/die in una o due dosi giornaliere con dose singola massima di 200 mg; da evitare
l’associazione con codeina fosfato;
b) Celecoxib (COX-2 inibitore) 200-400 mg in una o due dosi giornaliere in presenza di artrosi;
c) Farmaci modulatori del dolore, tra cui antidepressivi triciclici ed inibitori di ricaptazione della serotonina, in presenza
di dolore neuropatico documentato o presunto; tra questi, l’amitriptilina è considerata al momento la scelta migliore
nella sindrome da ipermobilità articolare (Grahame, 2009), con una dose iniziale di 10 mg/die ed un incremento di 10
mg/settimana (max 100 mg/die; dose media raccomandata 30-50 mg/die); la duloxetina è un altro farmaco
promettente; i benefici di questi farmaci includono anche il trattamento di altri sintomi satellite, come la depressione, i
disturbi del sonno e la sindrome dell’intestino irritabile;
d) Gli oppiodi maggiori possono essere efficaci per il trattamento del dolore cronico muscoloscheletrico di moderata/alta
intensità; tuttavia, la loro somministrazione di solito ha successo a breve termine.
13 PDTA ____________________________________________ AO San Camillo-Forlanini, Policlinico “Umberto I” e OPBG
Trattamenti non farmacologici
Nell’episodio doloroso acuto di origine muscoloscheletrica, da dislocazione o sublussazione è corretto utilizzare
l’approccio terapeutico classico con elettroterapia antalgica, ghiaccio, contenzione e riposo a cui debbono
immediatamente seguire mobilizzazioni attive al fine di prevenire il decondizionamento motorio. Negli episodi ricorrenti o
nella serie di episodi dolorosi in differenti siti che caratterizzano una fase intermedia, le modalità terapeutiche da
adottare servono a determinare un recupero della funzione; in questa fase è utile un approccio riabilitativo finalizzato al
miglioramento del controllo motorio e dell’allineamento posturale. Nelle fasi croniche un dolore di elevata intensità e non
remittente associato ad un decondizionamento fisico, può richiedere una gestione multidisciplinare del dolore; i pazienti
che lamentano tale sintomatologia cronica hanno sintomi che durano da molto tempo e che si associano ad un grave
decondizionamento motorio con paura del movimento (cinesiofobia) e compromissione psicologica.
Il solo uso sistemico dei farmaci ha scarsa efficacia per il trattamento della sintomatologia cronica associata a disabilità.
In questi casi, è sempre essenziale valutare opzioni terapeutiche integrative non farmacologiche nell’ambito di un
approccio multidisciplinare. Tra questi vengono inclusi:
1. La stesura di un piano riabilitativo individuale da parte del medico fisiatra nell’ambito di un approccio
multidisciplinare della patologia che tenga conto dello specifico patologico ma che valuti globalmente le autonomie
e la funzione del paziente al fine di individuare un programma riabilitativo idoneo mirato soprattutto al recupero
delle autonomia e della funzione articolare (Hakim e coll., 2010);
2. Il supporto coadiuvante della terapia cognitivo-comportamentale è risultato efficace per molte della manifestazioni
dolorose osservate nelle SED, tra cui dolore muscoloscheletrico diffuso, sindrome dell’intestino irritabile e cefalea
cronico-ricorrente; per questo motivo, un intervento di questo tipo è irrinunciabile in caso di disabilità associata a
dolore.
3. L’applicazione di tutori può essere considerata per brevi periodi al fine di aumentare la stabilità articolare in caso di
distorsioni ricorrenti; il loro uso necessita sempre di consulto specialistico (fisiatra, ortopedico);
4. Collari morbidi, materassi ad acqua e ad aria, materassi e cuscini viscoelastici possono migliorare la qualità di vita,
soprattutto se influenzata da cefalea e disturbi del sonno;
5. Può essere indicato l’utilizzo di ausili nei casi di limitazione delle autonomie nella deambulazione; il loro utilizzo non
deve comunque limitare o abolire l’attività motoria che il paziente deve poter conservare al fine di evitare il
decondizionamento motorio;
6. E’ utile considerare una valutazione delle autonomie in ambiente domiciliare e lavorativo e l’utilizzo di supporti
specifici che caratterizzano la valutazione di terapia occupazionale, nell’ambito di un progetto riabilitativo;
7. Al momento, il dolore pelvico e quello funzionale gastrointestinale vengono trattati secondo indicazioni standard
(Camilleri e coll., 2006; Levy e coll.,2006; Nelson e coll., 2012);
8. La lidocaina ad uso topico in creme o impacchi, le iniezioni di anestetici locali e steroidi ed il blocco nervoso
mediante anestetici sono opzioni terapeutiche non o mini-invasive che possono ridurre o prevenire l’uso sistemico
di farmaci e, conseguentemente, il rischio di effetti avversi; non esistono al momento evidenze che dimostrino
l'efficacia di queste pratiche nelle SED;
9. Recentemente, la proloterapia con destrosio al 10% ha dimostrato buoni risultati nel ridurre il dolore indotto da
pressione all’articolazione temporomandibolare in soggetti ipermobili (Refai e coll., 2011); il suo uso potrebbe
essere considerato con estrema cautela anche per altre articolazioni;
10. La chiropratica con l’applicazione di manipolazione di intensità controllata può generare beneficio (Colloca e
Polkinghorn, 2003); tuttavia, il rischio di generare dislocazioni acute è una complicanza temibile, pertanto la sua
applicazione deve sempre essere valutata con molta cautela.
11. Terapia del calore, idroterapia, agopuntura e TENS sono alternative percorribili in apparente assenza di
significative controindicazioni; la loro efficacia rimane non testata.
Accortezze
Alcuni alternative terapeutiche possono associarsi ad un aumento di effetti avversi, o essere caratterizzati da presunta o
documentata inefficacia. Tra le pratiche da considerare con molta cautela vengono incluse:
1. La maggior parte degli interventi chirurgici ortopedici finalizzati alla stabilizzazione articolare, tra cui l’artroscopia, la
revisione dei tendini, la capsuloraffia, l’artroplastica e la riduzione dell’annulus di ernie discali (aumento del rischio
di ricorrenza dell’instabilità articolare, sanguinamento e aderenze eccessive ed amplificazione della sintomatologia
dolorosa); in generale, la chirurgia dovrebbe essere sempre postposta ad approcci più conservativi (Burcharth e
Rosenberg, 2012); in caso di intervento non differibile è necessario pianificare con accuratezza l’operazione
considerando la fragilità tissutale e comunicare al paziente i rischi connessi;
2. La prescrizione generosa di lunghi periodi di inattività ed astensione dalla regolare attività sportiva (aumento del
rischio di decondizionamento muscolare);
14 PDTA ____________________________________________ AO San Camillo-Forlanini, Policlinico “Umberto I” e OPBG
3. Uso di miorilassanti (amplificazione dell’instabilità articolare con dislocazioni multiple, a cui consegue
esacerbazione del dolore e della fatica);
4. Uso cronico locale e sistemico di steroidi (danno del tessuto connettivo indotto da steroidi);
5. Uso di farmaci antiaggreganti, come l’acido acetilsalicilico (aumento del rischio di ecchimosi superficiali ed
emorragie); anche gli anticoagulanti dovrebbero essere utilizzati con estrema accortezza;
6. Uso di farmaci antiepilettici (esacerbazione dei sintomi disautonomici).
3.3 Trattamento della fatica e della disautonomia cardiovascolare
Nelle SED, la fatica cronica ha una patogenesi multifattoriale. Sebbene possano esser identificate numerose concause,
tra cui debolezza muscolare, disautonomia cardiovascolare, disturbi del sonno, malassorbimento, disfunzione
respiratoria ed abuso di analgesici, il peso di ciascuna di esse non è stato ancora analizzato con sistematicità. In base al
grado di disabilità associato alla variante di SED ed alle peculiarità generali del paziente, è opportuno indagare la
presenza di una o più concause tramite valutazioni specialistiche (videat gastroenterologico, pneumologico, neurologico,
cardiologico) ed accertamenti specifici (Tabella 10, tilt-test e polisonnografia). E’ altresì essenziale escludere le comuni
co-morbilità associate a fatica cronica come indicato in Baker e coll. (2007).
Il management della fatica cronica e della disautonomia cardiovascolare è innanzitutto non farmacologico e le
raccomandazioni sullo stile di vita sono riassunte in Mathias e coll. (2011) e Castori e coll. (2012). Nei pazienti nei quali
queste procedure risultano inefficaci, può essere considerata la terapia farmacologica. Il fludrocortisone in dose
giornaliera di ≤300 μg è considerato la terapia di prima scelta. I vasocostrittori, in particolare la midodrina (alla dose
iniziale di 2,5 mg/die che può essere aumentata settimanalmente fino ad un massimo di 30 mg/die), sono le alternative
di seconda linea e potrebbero rappresentare una scelta preferenziale nella SED (ipermobile, cifoscoliotica, artrocalasi,
ecc) con aumentata incidenza di osteopenia/osteoporosi. Sia il fludrocortisone che i vasocostrittori sono controindicati
nei pazienti con ipertensione sistemica. In questo caso, betabloccanti e clonidina possono essere utilizzati per
aumentare la pressione sistemica e la frequenza cardiaca. I betabloccanti devono essere evitati nei pazienti con asma,
condizione di frequente riscontro nei pazienti con SED ipermobile (Soyucen e Esen, 2010). Nei soggetti con marcato
senso di sazietà post-prandiale, una opzione terapeutica è l’octreotide a basso dosaggio (25-50 μg in tre
somministrazioni giornalere prima dei pasti principali). Recentemente, Kanjwal e coll. (2011) hanno identificato nel
modalafil una risorsa terapeutica alterativa per la gestione della fatica cronica associata ad intolleranza ortostatica.
3.4 Trattamento della patologia vascolare
Non esiste al momento un programma standardizzato di efficacia comprovata di prevenzione e trattamento del rischio
cardiovascolare nelle forme di SED con fragilità dei medi e grandi vasi. E’ stato ad oggi pubblicato un singolo studio su
25 pazienti adulti con SED vascolare (Ong e coll., 2010) che ha dimostrato che la somministrazione cronica di
betabloccanti (celiprololo) in dosaggi ad incremento progressivo semestrale di 100 mg/die (per un massimo di due
somministrazioni giornaliere da 400 mg) è in grado di ridurre di oltre il 50% il rischio di rottura vascolare a 5 anni.
Sebbene non esistano al momento studi della stessa tipologia, in soggetti asmatici il betabloccante potrebbe essere
sostituito da ACE-inibitori o calcio-antagonisti. L’approccio chirurgico in ambito cardiovascolare nelle forme di SED con
fragilità dei grandi e medi vasi è ricco di insidie e presenta un alto rischio operatorio. Un recente studio ha presentato
dati più ottimistici (Brooke e coll., 2010), che, se replicati, potrebbero aumentare l’uso di pratiche invasive anche a scopo
preventivo in presenza di aneurismi non dissecati e pseudoaneurismi. La terapia endovascolare rappresenta, in questo
senso, una valida alternativa alla chirurgia classica (Lum e coll., 2011).
15 PDTA ____________________________________________ AO San Camillo-Forlanini, Policlinico “Umberto I” e OPBG
4. Implementazione del PDTA
4.1 Modalità di accesso
Attualmente, il percorso diagnostico-terapeutico è dislocato in due strutture ospedaliere distinte: AO San CamilloForlanini ed AOU Policlinico Umberto I. Nella prima avviene l’accertamento diagnostico, in termini di diagnosi
differenziale e prelievo ematico per eventuale test genetico (che, generalmente, viene eseguito, tramite spedizione di
campione biologico, presso la Sezione di Biologia e Genetica, Dipartimento di Medicina Molecolare e Traslazionale
dell’Università degli Studi di Brescia, prof.ssa Marina Colombi - è in programma l’allestimento di prestazioni diagnostiche
analoghe o integrative nell’ambito della Regione Lazio), il follow-up generale e la valutazione neurologica e
neuropsicologica. Nella seconda si realizza la fase terapeutica che al momento vede coinvolte principalmente la fisiatria
e la cardiologia. Le modalità di accesso alle due strutture sono:
Ambulatorio di Genetica Medica, UOC Laboratorio di Genetica Medica, AO San Camillo-Forlanini (medico di riferimento:
dott. Marco Castori, per appuntamenti: 06-5870-4355/4622, dal lunedì al venerdì dalle 8.00 alle 10.30, email:
[email protected], [email protected]).
Ambulatorio di Medicina Fisica e Riabilitazione, Sportello Malattie Rare, Policlinico Umberto I (medici di riferimento: dott.
Filippo Camerota e dott.ssa Claudia Celletti, per appuntamenti: 06-4997-6914, email: [email protected];
[email protected]).
4.2 Percorso
Il paziente, dopo il primo sospetto formulato nel territorio o da altro specialista coinvolto o meno nella rete, viene
generalmente indirizzato in genetica medica per la definizione della diagnosi, per la richiesta degli accertamenti
necessari alla diagnosi differenziale e alla valutazione dello stato di salute generale (tabella 10), nonché per la stesura di
una relazione di prima visita. Nella relazione vengono riportati: (i) riassunto di anamnesi , esame obiettivo e risultato
degli accertamenti eseguiti per la definizione diagnostica, (ii) counselling genetico, (iii) indicazioni per ottenimento
dell’esenzione dalla spesa sanitaria secondo indicazioni regionali, (iv) descrizione dello stato di salute attuale e
prospettico ai fini previdenziali, (v) elenco degli accertamenti supplementari richiesti incluse valutazione specialistiche e,
se disponibili, indicazioni sulla modalità di accesso ad essi, (vi) indicazioni per la tempistica e la prenotazione del followup generale. Oltre a tale relazione, vengono rilasciate informative circa alcuni aspetti cruciali quali stili di vita, interventi
chirurgici e trattamento della disautonomia. Successivamente, il paziente viene indirizzato alle altre valutazioni collegiali
che, attualmente, sono principalmente rappresentate dal fisiatra, pediatra, neurologo e cardiologo e, se necessario, con
il coinvolgimento di altri specialisti (tabelle 11-13). Ciascuno professionista rilascia una relazione o un referto degli
interventi eseguiti. Da questo segue eventuale presa in carico presso la UOC Medicina Fisica e Riabilitazione della AOU
Policlinico Umberto I o nel territorio tramite prescrizione da parte del fisiatra.
E’ auspicato che nel prossimo futuro in Regione Lazio sarà possibile colmare la maggior parte dei passaggi presentati in
questo PDTA e considerati ottimali per la gestione delle SED. Tra i progetti da considerare nel prossimo futuro esiste
quello di integrare anche il terzo polo ospedaliero che ha partecipato alla stesura del presente documento, ovvero
l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Al momento i pazienti affetti da SED che desiderano rivolgersi a questa struttura
possono far riferimento a:
Struttura Semplice di Genetica Medica, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù (medici di riferimento: Dott.ssa Maria
Cristina Digilio, Dott.ssa Rossella Capolino, per contatti: 06-6859-2227, email: [email protected]).
Unità Operativa di Dermatologia, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù (medici di riferimento: Dott.ssa May Chebl El
Hachem, dott. Andrea Diociaiuti, per contatti: 06-6859-2020, email: [email protected]).
16 PDTA ____________________________________________ AO San Camillo-Forlanini, Policlinico “Umberto I” e OPBG
5. Aspetti socio-assistenziali
I pazienti in cui esiste un valido sospetto di SED o siano stati diagnosticati come affetti da SED, hanno diritto ad
eseguire qualunque prestazione sanitaria in regime di esenzione totale dal ticket sanitario. Tale esenzione avviene
tramite codice specifico che è R99 (senza necessità di esibire un tesserino di esenzione) durante tutta la fase di
accertamenti e RN0330, dopo la definizione diagnostica e rilascio di apposita scheda di malattia rara ad opera dei centri
e/o presidi autorizzati dalla Regione. La stessa esenzione può essere applicata al consumo di farmaci ed all’uso di ausili
tramite la compilazione di apposito piano terapeutico ad opera degli stessi centri e presidi. In relazione al grado di
funzionalità residua, un paziente affetto da SED può aver diritto ad invalidità civile o indennità integrativa (in epoca
pediatrica) ed alla possibilità di usufruire dei diritti correlati alla legge 104/1992.
6. Le Associazioni dei malati
Le associazioni attualmente attive in Italia per le SED sono:



AFaDOC - Associazione di Famiglie di soggetti con Deficit dell’Ormone della Crescita ed altre patologie (onlus).
Telefono: 0444-301570 - e-mail: [email protected] - sito web: www.afadoc.it
AISED - Associazione Italiana Sindrome di Ehlers-Danlos (onlus)
Telefono: 02-55032653 - e-mail: [email protected] - sito web: www.aised.it
Pazienti Italiani Ehlers-Danlos In-Formazione (onlus)
e-mail: [email protected], [email protected]
Orientarsi nella realtà associativa italiana è tutt’altro che facile.
Per questa ragione, da anni, è attiva la UNIAMO (Federazione Italiana Malattia Rare, www.uniamo.org) che incarna una
iniziativa permanente di censimento, coagulazione e coordinamento delle varie associazioni di pazienti italiani con
patologie rare.
Essa rappresenta un ulteriore punto di riferimento essenziale per ciascun operatore e paziente.
17 PDTA ____________________________________________ AO San Camillo-Forlanini, Policlinico “Umberto I” e OPBG
Hanno inoltre collaborato alla stesura del PDTA:
Dott. Andrea Bartuli
U.O.C. Malattie Rare, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Roma.
Dott. Carlo Blundo, Dott.ssa Michela Bruschini
U.O.S. Neurologia Cognitiva e Comportamentale, U.O.C. Neurologia e Neurofisiopatologia, A.O. San Camillo-Forlanini, Roma.
Dott. Filippo Camerota, Dott.ssa Claudia Celletti
U.O.C. Medicina Fisica e Riabilitazione, Clinica Ortopedica, Policlinico Umberto I, Roma.
Dott. Mauro Celli
U.O.C. Reparto Lattanti I, Clinica Pediatrica, Policlinico Umberto I, Roma.
Prof.ssa Paola Grammatico, Dott.ssa Silvia Morlino
U.O.C. Laboratorio di Genetica Medica, Dipartimento di Medicina Molecolare, Sapienza Università di Roma, A.O. San CamilloForlanini, Roma.
Dott. Giovanni Minisola, Dott.ssa Laura Pascoli
Ambulatorio per le Malattie Reumatologiche Rare, U.O.C. Reumatologia, A.O. San Camillo-Forlanini, Roma.
Prof.ssa Marina Colombi
Sezione di Biologia e Genetica, Dipartimento di Medicina Molecolare e Traslazionale, Università degli Studi di Brescia, Brescia.
18 PDTA ____________________________________________ AO San Camillo-Forlanini, Policlinico “Umberto I” e OPBG
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