“Le geometrie della visione” Liceo Classico Varrone (Rieti) 2005-2006 LABORATORIO I Indice degli elementi del laboratorio - Presentazione del metodo assiomatico deduttivo, Lettura e discussione delle prime pagine degli Elementi di Euclide riguardanti postulati, definizioni, nozioni comuni - Presentazione dell’Ottica di Euclide - La cultura scientifica ellenistica, le teorie della visione dai presocratici a Tolomeo, - Lettura e discussione delle definizioni dell’Ottica di Euclide. - Il concetto di raggio visivo e di angolo visivo: la distinzione tra “essere grande” e “apparire grande”. - Costruzione condivisa di una definizione matematica con gli studenti. - Definizione di distanza come il minimo valore. - Esercizi di ricerca di punti di equidistanza da un oggetto dato _______________________________________________________________________________ Laura Catastini Obiettivi disciplinari e formativi della lezione - Ruolo della definizione in matematica. Le differenze tra le definizioni, le nozioni comuni e i postulati degli Elementi di Euclide. - Premesse iniziali dell’Ottica di Euclide. La matematizzazione della teoria emissionista della visione, il cono visivo. - Approccio mentale a due situazioni matematiche: “l’essere ” di un ente geometrico e il suo “apparire” in funzione di un punto di vista. - Costruzione condivisa della definizione di “Distanza di un punto da un segmento” per una piena presa di coscienza del fatto che “definire” è “scegliere”, della necessità del rigore nel linguaggio e del suo ruolo nella costruzione di un sistema logico deduttivo SVOLGIMENTO LABORATORIO ♦ Il metodo assiomatico-deduttivo Sono stati presentati in fotocopia agli studenti i postulati degli Elementi di Euclide, le nozioni comuni, le definizioni del I° libro. Dopo aver fatto notare il numero molto grande di definizioni rispetto a quello delle altre proposizioni iniziali, si è spiegata la differenza tra di loro, come le definizioni diano una descrizione non ambigua degli enti che faranno parte della trattazione del singolo libro, le nozioni comuni siano leggi trasversali a tutte le discipline scientifiche e i postulati siano proposizioni che stabiliscono relazioni tra gli enti definiti, senza dimostrarle. Ogni altra proposizione di questo tipo dovrà essere dimostrata a partire dai postulati iniziali o dalle proposizioni già dimostrate. In particolare si presentano e si discutono i 5 postulati degli Elementi. Dal CD “le geometrie della visione”vengono proiettate alcune diapositive delle “Sphaericorum” di Menelao che mostrano come nel trattato non sono presenti postulati ma solo definizioni iniziali di oggetti che appartengono alla sfera Questo perché la definizione della sfera e la sua geometria sono affrontati negli Elementi L’opera di Menelao si presenta come una trattazione di approfondimento di questo oggetto matematico e come tale sottintende tutte le proposizioni primitive degli Elementi. . Si evidenzia anche qualche differenza notevole tra gli oggetti della geometria sferica e gli analoghi nella geometria piana, mostrando come in un triangolo sferico la somma degli angoli interni non è pari a 180° come invece accade nei triangoli piani, come l’uso della parola triangolo sia fonte di equivoci se non viene accostata correttamente ad altri termini come “piano” o “sferico” e come l’indicare genericamente il numero dei lati di una figura non sia sufficiente per poterne fare uso in una trattazione scientifica. Questa presentazione vuol sottolineare l’importanza della definizione in matematica, che creando oggetti non ambigui e posti in chiara relazione qualitativa con gli altri oggetti matematici permette di applicare il metodo logico deduttivo nella dimostrazione di teoremi.. ♦ Le premesse dell’Ottica Si presentano le premesse dell’Ottica, sottolineando come anche in questo caso abbiamo un trattato che sottintende le proposizioni iniziali euclidee e che indaga con metodo geometrico le modificazioni delle grandezze “viste” rispetto alle grandezze reali. Per poter procedere all’indagine dunque occorrono rigorosi punti di partenza. Premessa 1: Sia posto che i segmenti rettilinei a partire dall'occhio si portino a una distanza tra di loro di dimensioni sempre maggiori. La prima premessa riguarda la distribuzione nello spazio dei raggi visivi: si distribuiscono radialmente (e non per esempio, paralleli tra loro, a formare un cilindro visivo). La divergenza angolare dei raggi visivi è compatibile inoltre con il prolungamento all'infinito (nel senso usato negli Elementi) dei raggi medesimi. Si potrebbe pensare che si volesse postulare la possibilità del raggio visivo di arrivare fino a cose anche lontanissime, come gli astri. In Aristotele troviamo un accenno a questo problema, che era certo dibattuto ai tempi, in polemica con Empedocle e Platone: Del tutto assurdo è dire che la vista vede per qualche cosa ch'esce da lei e che il raggio visuale si stende fino agli astri o che, uscita dall'occhio, si congiunge a una certa distanza con la luce esterna, come pretendono alcuni. [Del senso e dei sensibili 438 a 26]. E ancora, sul versante questa volta dei raggi luminosi: Per ciò non ha detto giusto Empedocle, e chiunque altro come lui, che la luce si propaga e si distende in un dato momento tra la terra e la periferia dell'universo, senza che ce ne accorgiamo. [De anima 418 b 21] Ricordiamo che lo studio dell'ottica era in genere strettamente intrecciato all'epoca a questioni filosofiche e metafisiche. Sembra quindi molto plausibile che Euclide, pur impostando un lavoro squisitamente geometrico, abbia dovuto porre nelle premesse i principi fondamentali della teoria da lui scelta (quella emissionista) per quanto riguardava il fenomeno percettivo della visione, perché strettamente pertinente e condizionante il modello matematico che andava costruendo. Premessa 2: E che la figura formata dai raggi visuali sia un cono avente il vertice nell'occhio e la base sui contorni delle cose viste. Come immediata conseguenza della prima, definisce la figura che deriva dalla distribuzione radiale dei raggi visivi: il cono. Premessa 3: E che siano viste quelle cose sulle quali incidono i raggi visuali, mentre non siano viste quelle sulle quali i raggi visuali non incidono. Anche questa premessa acquista un senso storicamente appropriato se pensiamo che al tempo di Euclide non esisteva un'unica teoria della percezione visiva, ma si contrapponevano tra di loro varie ipotesi. Le più importanti erano quelle emissioniste (Empedocle e Platone) e quelle estromissive (Democrito e, con una sua impostazione personale, Aristotele). Euclide accoglie la teoria emissionista, secondo la quale raggi visivi di natura affine al fuoco escono dagli occhi e, attraverso il contatto con le cose, portano alla loro percezione visiva. Il significato della premessa 3 potrebbe allora essere individuato in una dichiarazione di scelta teorica da parte di Euclide, che quindi esclude che si possano vedere cose che il raggio visivo attivamente non colga. Alla teoria emissionista si opponeva la teoria che voleva che dagli oggetti si staccassero delle immagini, delle pellicole che direttamente o indirettamente imprimevano la forma che contenevano sull'occhio, in modo che la visione fosse passiva e non venisse affatto a dipendere dall'incidenza di raggi visivi sull'oggetto stesso. In questo senso quindi la premessa fissa uno dei punti principali della teoria. L'altro era stato affermato nella premessa 1, nella quale si postula l’esistenza del raggio visivo e la sua possibilità di arrivare a distanze grandi quanto si vuole, proprietà contestata, come abbiamo visto, da Aristotele e successivamente da Tolomeo. Premessa 4: E che le cose viste sotto angoli più grandi appaiono più grandi, quelle viste sotto angoli più piccoli più piccole, uguali quelle viste sotto angoli uguali. La premessa definisce la dimensione apparente degli oggetti come funzione dell'angolo visuale. Questo rafforza in qualche modo l'idea che la geometrizzazione dell'atto visivo porti a identificare il visibile con ciò che è contenuto in una coppia di raggi visivi che formano un angolo visuale Premesse 5- 6: E che le cose viste sotto raggi più alti appaiono più in alto, quelle viste sotto raggi più bassi più in basso, più a destra quelle viste con raggi più a destra ecc... La premessa definisce i criteri che regolano la percezione della posizione. Premessa 7: E che le cose viste sotto un maggior numero di angoli appaiono con miglior risoluzione La premessa stabilisce i criteri che regolano la risoluzione visiva: più raggi visivi colgono la grandezza più particolari della grandezza sono visibili Viene letto poi l’enunciato del teorema 5 come esempio di teorema dimostrabile con le premesse e con le proposizioni degli Elementi. Teorema 5 – Grandezze uguali poste a distanze diverse appaiono diverse e più grande sempre quella che sta vicino all’occhio C D A B O Si evidenzia nei teoremi dell’Ottica l’esistenza implicita di due “realtà” prese in esame nelle considerazioni geometriche, quella degli oggetti “come sono” e quella degli oggetti “come appaiono” da un determinato punto di vista e di come oggi questo approccio agli argomenti prenda il nome di “trasformazione”. ♦ Distanza di un punto da un segmento Si fa notare come negli Elementi e nelle definizioni dell’Ottica manchi la nozione di “distanza di un punto da un segmento” e come sia necessario una riflessione La distanza tra due punti è la lunghezza, rispetto a una fissata unità di misura, del segmento che li congiunge. Meno evidente è cosa debba intendersi per distanza di un punto da un segmento. Tolomeo (II sec. d.c.) propone di definire la distanza di un punto O da un segmento AB come la distanza di O dal punto medio M del segmento Questa definizione corrisponde bene all’immagine intuitiva che abbiamo quando il segmento è piccolo rispetto alla distanza del punto O. In questo caso infatti potremmo assimilarlo a un corpuscolo (il suo baricentro) come si fa in meccanica. Se invece la lunghezza di AB non fosse trascurabile e se il punto O fosse vicino ad un estremo del segmento, o addirittura sul segmento stesso, saremmo propensi a considerarlo molto vicino ad AB mentre la sua distanza dal baricentro M potrebbe essere anche molto grande. All’invito di costruire una definizione più aderente all’idea intuitiva di distanza segue una attività guidata dal docente di discussione e di proposte da parte degli studenti che arrivano a una definizione più complicata di quella di Tolomeo ma che tiene conto delle considerazioni precedenti e risulta più soddisfacente perché permette di affermare che un punto O ha distanza zero da AB se e solo se si trova sul segmento AB. Dato un segmento AB consideriamo la striscia di piano definita dalle rette ortogonali al segmento e passanti per i suoi estremi. Il punto O può trovarsi nel semipiano a sinistra o a destra della striscia o dentro la striscia stessa. Definizione di distanza di un punto da un segmento Se O è posto dentro la striscia di piano la sua distanza da AB è la misura del segmento di perpendicolare OH portata da O ad AB, altrimenti è la misura del segmento che unisce O all'estremo di AB a lui più vicino. ♦ Esercizi (esercizi 1,2,3 in Tavola I-1, esercizi 4,5 in Tavola I-2) Esercizio 1 Ordinare i punti (dal più vicino al più lontano) secondo la loro distanza dal segmento AB, aggiungendo i numeri d'ordine mancanti. Esercizio 2 Ordinare i segmenti (dal più vicino al più lontano) secondo la loro distanza dal punto O aggiungendo i numeri d'ordine mancanti. Esercizio 3 – Nei due casi seguenti disegnare sul foglio i punti che hanno la stessa distanza di O dal segmento AB. (soluzione Tavola I.-3) Caso 1 Caso 2 Esercizio 4 Descrivere a parole le figure proposte e nei due casi, disegnare il luogo dei punti equidistanti dai due segmenti dati: Caso 1 Caso 2 (soluzione Tavola I-3) Esercizio 5 (soluzione Tavola I-3) Cercare un buon numero di punti equidistanti dai due segmenti assegnati. ------------ § ------------
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