5_3b.pdf

in
Bazzini L. (ed.), Matematica e scuola: Facciamo il punto,
Milano: Franco Angeli, 40-53.
La matematica come disciplina teorica: 1
referenti concreti ed esperimenti mentali
Maria G. Bartolini Bussi
Dipartimento di Matematica
Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria
Università di Modena e Reggio Emilia
[email protected]
In ricordo di Sergio Neri
Introduzione
In questa presentazione mi propongo di discutere alcuni risultati di studi
condotti in Italia negli ultimi anni e riguardanti l’approccio alla conoscenza teorica.
Gli studi sono condotti all’interno di un progetto che coinvolge quattro gruppi
diversi, costituiti da docenti e ricercatori universitari e da insegnanti – ricercatori. I
gruppi sono diretti da F. Arzarello (Torino), M. Bartolini Bussi (Modena – Reggio
Emilia), P. Boero (Genova) e M. A. Mariotti (Pisa).
L’insieme di questi studi si basa sull’intreccio strettissimo di diversi tipi
d’analisi, mirate alla progettazione dei percorsi didattici e alla modellizzazione dei
processi (individuali e collettivi) osservati:
• l’analisi storico epistemologica dei modi in cui si articola il ragionamento
matematico (con una speciale attenzione alle situazioni di dimostrazione);
1
Questo lavoro è stato presentato in diverse occasioni: a Montreal (Canada), in
occasione del 24th Annual Meeting del CMESG (Canadian Mathematics Education
Study Group); a Bologna in occasione dell’incontro L’insegnamento Scientifico –
Matematico nella Scuola dell’obbligo: alcune problematiche. Esso si basa su un
esperimento didattico condotto da Mara Boni in quinta elementare, con
competenza e sensibilità. Hanno contribuito all’analisi gli altri insegnanti –
ricercatori del gruppo. Un ringraziamento particolare va a Franca Ferri e Rossella
Garuti.
•
l’analisi didattica dei processi d’interazione messi in moto e sviluppati
nella classe all’interno di opportuni esperimenti didattici;
• l’analisi cognitiva dei processi individuali che sottendono la produzione
dei ragionamenti e degli argomenti all’interno delle dimostrazioni.
Mentre il primo tipo di analisi può essere considerato eredità della tradizione
italiana di studi sui fondamenti della matematica e sulle implicazioni didattiche, gli
altri due sono piuttosto collegati allo sviluppo della letteratura internazionale del
settore.
Per tenere sotto controllo la complessità del sistema, sono stati messi a punto,
dai diversi gruppi di ricerca, alcuni costrutti teorici, attraverso studi esplorativi
condotti negli anni ’80. I primi costrutti teorici riguardavano l’ambiente per
l’attività degli studenti (si veda la nozione di campo di esperienza2) e l’interazione
sociale (si veda la nozione di discussione matematica3).
Gli esperimenti coordinati tra i diversi gruppi sono stati poi finalizzati alla
costruzione di ambienti adatti perché la maggior parte degli studenti (dalla scuola
elementare all’università) fossero in grado di sviluppare un atteggiamento teorico e
di produrre dimostrazioni. In generale, gli esperimenti avevano ed hanno alcune
caratteristiche comuni, dalla fase di progettazione alla fase di realizzazione nella
classe.
• La selezione, sulla base di un’analisi storico – epistemologica, di campi di
esperienza ricchi di referenti concreti e semanticamente pregnanti (ad
esempio, il disegno in prospettiva con l’uso di strumenti; le ombre del sole;
le costruzioni in Cabri; gli ingranaggi; i sistemi articolati ed altri strumenti
da disegno);
• la pianificazione, all’interno dei singoli campi di esperienza, di compiti che
chiedono agli studenti di farsi carico dell’intero processo di produzione
delle congetture, di costruzione delle dimostrazioni e di generazione della
sistemazione teorica necessaria;
• il ricorso ad una varietà di organizzazioni di classe: dal problem solving
individuale, a coppie o di piccolo gruppo alla discussione collettiva
orchestrata dall’insegnante, senza escludere anche i momenti della lezione
tradizionale;
• l’introduzione esplicita nella classe di fonti primarie (prese dalla storia
della matematica), in ogni grado scolastico, fino dalla scuola elementare.
La partecipazione degli insegnanti è stata determinante in ogni fase della
ricerca (pianificazione, realizzazione, raccolta dei dati ed analisi). La loro
2
Campo di esperienza: «Sistema di tre componenti evolutive (il contesto
esterno, il contesto interno dello studente e il contesto interno dell’insegnante)
riferito ad un settore della cultura umana riconosciuto e considerato unitario ed
omogeneo dall’insegnante e dagli studenti (Boero e al., 1995)».
3
Discussione matematica: «Polifonia di voci articolate su un oggetto
matematico, che è uno dei motivi dell’attività di insegnamento – apprendimento
(Bartolini Bussi, 1996)».
sensibilità e la loro competenza si sono mostrate essenziali, non solo nell’attenta
gestione dell’attività di classe ma anche nella messa a punto degli strumenti
analitici e dell’intero quadro teorico: in altre parole, essi sono divenuti autentici
insegnanti – ricercatori. Infine, nel prendere parte alla pianificazione degli
esperimenti, gli insegnanti sono stati forzati ad approfondire diverse questioni
legate alla dimensione teorica della matematica e alla sua relazione con la realtà
dell’esperienza. In questo modo, la dimensione teorica della matematica è entrata
nella vita intellettuale degli insegnanti, una condizione essenziale, dal momento
che ci si aspettava che questi insegnanti fossero in grado di farla entrare nella vita
intellettuale dei loro studenti.
I prodotti degli esperimenti sono stati stupefacenti. Per citare solo un caso, la
quasi totalità degli studenti di classi dalla quinta elementare alla terza media sono
riusciti a produrre congetture e a costruire dimostrazioni sulla modellizzazione
degli ingranaggi (Bartolini Bussi e al., 1999). Se questi studi fossero rientrati nel
paradigma della ricerca – azione, il processo avrebbe potuto fermarsi con la
produzione degli esperimenti e la documentazione dei fatti osservati, costituenti
esempi paradigmatici di come l’insegnamento della matematica può essere
migliorato. Ma una finalità aggiuntiva (non marginale) di quella che si chiama
ricerca per l’innovazione in matematica (Arzarello e Bartolini Bussi, 1998)
riguarda lo studio delle condizioni per la realizzazione degli esperimenti e l’analisi
dei fattori che ne determinano l’efficacia. In altre parole, il successo (o
eventualmente l’insuccesso) deve essere trattato e studiato come un fenomeno
didattico.
Questa finalità ha creato il bisogno di inserire in modo esplicito gli studi già
realizzati in un quadro, che potesse interpretarli in modo unitario e suggerire temi
di ricerca o problemi particolari. Così il quadro è stato arricchito da due costrutti
teorici aggiuntivi, elaborati sulla base di analisi storico - epistemologiche,
cognitive e didattiche: la nozione di teorema matematico4 e quella di unità
cognitiva5.
4
Teorema matematico: «Sistema di tre elementi: un enunciato (cioè una
congettura prodotta per mezzo di esperimenti e/o argomentazioni), una
dimostrazione (cioè quel particolare tipo di discorso accettato dalla comunità
matematica) e una teoria di riferimento (comprendente gli assiomi e le regole di
deduzione)». Questa concezione pone l’accento sull’importanza che gli studenti
siano messi di fronte a questa complessità piuttosto che alla sola ripetizione
meccanica di dimostrazione già fatte da altri (Mariotti e al., 1997).
5
Unità cognitiva: la continuità tra il processo di produzione di una congettura e
di costruzione di una dimostrazione. «Durante la produzione della congettura, il
soggetto giunge a formulare un enunciato attraverso un intenso processo
argomentativo, intrecciato in modo funzionale con la giustificazione della
plausibilità delle sue scelte. Nel corso del successivo processo di dimostrazione, lo
studente ricostruisce questo processo in modo coerente, organizzando alcuni degli
argomenti prodotti in precedenza in una catena logica (Garuti e al., 1996)». L’unità
In questa presentazione illustrerò la transizione dal compasso “empirico” al
compasso “teorico”, in quinta elementare. L’esempio riguarda studenti giovani:
siamo infatti convinti che un avvio precoce al pensiero teorico in Matematica è non
solo possibile, ma anche utile e necessario. Tuttavia il tema trattato sfiora problemi
che sono ben al di là della fascia d’età considerata. Vedremo, ad esempio, che le
diverse concezioni di cerchio che sono messe in relazione nel corso
dell’esperimento, sono cruciali anche per allievi più grandi. L’osservatore attento
può infatti cogliere spie di una mancata armonizzazione delle diverse concezioni di
cerchio anche nelle prestazioni di studenti esperti, molto più maturi e messi in
ambienti tecnologicamente avanzati.
2. Dal compasso “empirico” al compasso “teorico” in quinta
elementare.
2.1. I protocolli
E’ dato il seguente problema, riprodotto su un foglio A4.
Il problema
Disegna un cerchio di raggio 4 cm tangente ai cerchi dati. Spiega in modo
chiaro il metodo usato in modo che possa essere utilizzato da altri. Spiega bene
perché il metodo che hai utilizzato funziona.
N. B. nell’originale, i cerchi disegnati hanno raggi di 3 cm e 2 cm e la distanza
dei loro centri è di 7 cm.
cognitiva si evidenzia nella stretta corrispondenza tra la natura e gli oggetti
dell’attività mentale coinvolti nei due processi. Questo costrutto teorico è stato la
base di sviluppi successivi in direzioni diverse: come strumento potente per la
pianificazione di attività alla portata degli studenti (Bartolini Bussi e al., 1999);
come indicatore della difficoltà, per comprendere alcune ragioni di successo o
fallimento (Bartolini Bussi e Mariotti, 1999); come chiave per comprendere la
natura profonda di alcuni compiti di dimostrazione, in relazione alla maggiore o
minore immediatezza della soluzione (Mariotti e al., 2000).
Tutti gli allievi della classe producono una soluzione per tentativi, spostando il
centro del compasso, aperto di 4 cm, fino a disegnare un cerchio che appare
tangente ai due cerchi dati. Alcuni di loro trovano due soluzioni per il centro,
simmetriche rispetto alla retta dei centri. L’insegnante (Mara Boni) raccoglie tutte
le soluzioni individuali, le analizza e, una settimana dopo, dà ad ogni allievo la
copia della soluzione prodotta da una bambina (Veronica).
La soluzione di Veronica
1) La prima cosa che ho fatto è stata quella di trovare il centro della ruota C ;
sono andata un po' per tentativi perché subito ho trovato quale sarebbe stata la
distanza tra la ruota b e C. Poi ho trovato quella fra A e C e ho dato la giusta
"inclinazione" ai due segmenti, affinché il raggio di C misurasse 4 cm in tutti i
casi. Infine ho tracciato il cerchio.
2) Sono sicura che il mio metodo funziona perché rispetta le tre teorie che
abbiamo trovato :
i) i punti di tangenza H e G sono allineati con ST e TR ;
ii) i segmenti ST e TR passano per i punti di tangenza H e G ;
iii) i segmenti ST e TR equivalgono alla somma dei raggi SG e GS, TH e HR ;
iv) le ruote ABC ingranano.
Non ho cercato di fare un altro tentativo con lo spazio bianco in alto perché ho
pensato che se una simmetria trapassasse i centri S e R sarebbe la stessa cosa del
metodo che ho fatto prima.
Poi l’insegnante avvia una discussione.
La discussione di classe
Tutti gli allievi hanno ricevuto un foglio con la fotocopia del protocollo di
Veronica.
Individualmente, tutti gli allievi leggono la soluzione di Veronica (10 minuti)
Andrea, Vincenzo e Jessica dichiarano di non aver capito.
INSEGNANTE: Io vorrei che chi ha capito facesse delle domande a Veronica
per vedere se ha proprio capito bene oppure per chiarire qualche piccolo dubbio.
ELISA: Io non sono sicura di aver capito bene il pezzetto che dice: 'sono
andata un po' per tentativi perché subito ho trovato quale sarebbe stata la distanza
tra la ruota B e C'.
VERONICA: Ho detto che sono andata per tentativi per trovare il centro
perché non è detto che i segmenti [ST e RT] fossero perpendicolari tra di loro, e
avresti già avuto la soluzione, dovevi dare la giusta inclinazione.
INSEGNANTE: Veronica ha cercato di dare la giusta inclinazione ai segmenti.
Di quali segmenti parla? Molti di voi aprono il compasso di 4 cm. Veronica ha
usato, qui, il segmento dato dal raggio di 4 cm? Cosa dichiara di usare?
[Si rilegge il testo di Veronica]
JESSICA: Usa i due segmenti …
MADDALENA : Ha usato i segmenti formati dalla somma dei raggi.
INSEGNANTE : Come ha fatto ?
[qualcuno segna un segmento col dito e prova a 'muovere']
GIUSEPPE : Ha girato un segmento.
VERONICA : Se avessi usato un solo segmento, tanto valeva usare il
compasso.
FRANCESCA B. : Dalla ruota B hai pensato o tracciato la somma ?
VERONICA : L'ho disegnata.
GIUSEPPE : Dove ?
VERONICA : Ho pensato di fare RT perpendicolare [e segna la base del foglio]
e poi ho mosso ST e anche un po' RT finché non si toccavano e il raggio C
risultava di 4 cm.
ALESSIO : Io avevo pensato di prendere due compassi, poi di aprirli di 7 e di 6
e poi di vedere se trovavano il punto del centro. Ma non potevo usare due
compassi.
STEFANIA P. : Come immaginavo anch'io ; anch'io nella mente avevo due
compassi.
VERONICA : Adesso mi viene in mente : ho lavorato contemporaneamente
anch'io con i due segmenti in questo modo, ma sul foglio non potevo.
[tutti segnano e 'prendono' con le mani i segmenti sul disegno di Veronica]
ELISABETTA [eccitata]: Allora, ha preso i due segmenti di 6 e di 7, ha tenuto
fermo il centro e ha girato ... ah ho capito !
STEFANIA.P.: Per trovare il centro della ruota …
ELISABETTA: … dopo aver trovato i due segmenti …
STEFANIA P.: … ha spostato i due segmenti …
INSEGNANTE: Spostati? E' esatto questo termine?
CORO : Ruotati! come se avesse il compasso !
ALESSIO: Se traslava spostava il centro.
ANDREA [eccitato]: Ho capito, maestra, ho capito davvero guarda.
[Gli allievi continuano a 'ruotare' i segmenti presi con le mani]
VOCI: Sì, sì, va proprio a finire là, è vero.
ALESSIO : Va bene, ma non si possono usare due compassi.
VERONICA : Lo usi prima da una parte e poi dall'altra !
VOCI: Giusto! Proviamo!
INSEGNANTE: Bravi, provate e tracciate i due cerchi! Per oggi ci fermiamo
qui.
[Tutti gli allievi tracciano i due cerchi sul foglio contenente la soluzione di
Veronica]
Qualche giorno dopo anche la trascrizione di questa discussione è fotocopiata
per tutti e incollata al quaderno.
2. 2. Discussione dei protocolli
Il lettore sarà sorpreso sapendo che questo problema è dato in una quinta
elementare; sarà ancora più sorpreso, sapendo che questa scuola è in un quartiere
con un livello socio-culturale assai basso. La breve discussione che segue darà
alcuni elementi per comprendere come questo sia potuto avvenire.
In primo luogo, la classe sta partecipando ad un esperimento, fino dalla prima
elementare. L’esperimento, condotto dalla stessa insegnante, riguarda la
modellazione degli ingranaggi. La costruzione di un modello matematico tiene
conto di due aspetti: quello algebrico, relativo al funzionamento (Bartolini Bussi et
al., 1999), e quello geometrico, relativo alla costruzione (Bartolini Bussi et al., in
corso di pubblicazione). Per gli allievi, le ruote dentate sono state modellizzate in
modo naturale per mezzo di cerchi; ruote ingranate sono divenute cerchi tangenti
(osserviamo che il richiamo alle ruote c’è anche nel protocollo di Veronica). Gli
allievi hanno scoperto attraverso esperimenti alcune proprietà elementari dei cerchi
tangenti, come l’allineamento dei centri con il punto di tangenza e la conseguente
uguaglianza tra la distanza dei centri e la somma dei raggi (per i cerchi tangenti
esternamente). Sotto la guida dell’insegnante hanno trasformato queste proprietà in
enunciati e li hanno messi alla base di una teoria (almeno embrionale).
In secondo luogo, questi allievi sono in grado di discutere in modo produttivo
tra loro sotto la guida dell’insegnante o, come in questo caso, anche quasi da soli,
avendo interiorizzato molte regole per il buon funzionamento di una discussione.
La loro insegnante è un insegnante – ricercatore, che fa parte del progetto sulla
Discussione Matematica (Bartolini Bussi 1996, 1998), nel quale si analizzano
limiti e potenzialità della discussione orchestrata dall’insegnante e si studiano
diversi modelli di interazioni efficaci. Gli allievi sono anche abituati a produrre per
iscritto protocolli individuali molto dettagliati, con una chiara esposizione dei
processi nel corso della soluzione del problema: questa abitudine è il frutto di una
speciale cultura di classe, nella quale i compiti individuali e le discussioni
collettive sulle strategie individuali sono sistematicamente intrecciati.
In terzo luogo, agli allievi è familiare l’uso del compasso nel disegno dei
cerchi. In seconda e terza elementare, hanno lavorato per alcune settimane sul
compasso, prima inventando degli strumenti originali per il disegno dei cerchi e
poi imparando l’uso del compasso e la procedura manuale per utilizzarlo
correttamente (procedura non semplice per allievi così giovani). Si sono poi
impratichiti nell’uso del compasso anche nelle lezioni di disegno, ad esempio
copiando alcuni disegni di Kandinsky.
Detto questo, possiamo ora discutere i protocolli. In questa discussione in
quinta elementare abbiamo la fortuna di osservare in tempo reale l’emergenza di un
uso ‘arricchito’ del compasso, che sta facendo la sua entrata nella cultura della
classe. Il compasso, da strumento per disegnare forme circolari, sta diventando uno
strumento per trovare un punto (o meglio due punt) a distanze date da due punti
dati. Il modo di usare il compasso, cioè il modo di impugnarlo e di fare tracciare il
segno, può apparire, all’esterno, lo stesso, ma il senso dato a tale gesto e al
prodotto di tale gesto è profondamente diverso nei due casi. Quando il compasso è
usato per tracciare forme circolari, il suo scopo principale è la comunicazione;
quando è usato per trovare punti che soddisfano una certa relazione geometrica, il
compasso diviene uno strumento di mediazione semiotica6 (Vygotskij, 1974,
6
Vale la pena di riportare una citazione estesa da Vygotskij:
1992), che controlla, dall’esterno, il processo di soluzione di un problema, con la
produzione di una strategia che:
• può essere usata in ogni situazione (generalità);
• può dare e giustificare le condizioni sotto cui il problema è risolubile
(possibilità);
• può essere sostenuta e argomentata con il riferimento alla teoria (validità).
Il compasso geometrico, incarnato dal piccolo strumento di metallo contenuto
nell’astuccio degli allievi, non è più solo un oggetto materiale: diviene un oggetto
mentale, il cui uso può essere sostituito o evocato da un gesto compiuto con una
parte del corpo (la rotazione delle dita o delle braccia) o anche dal prodotto di tale
gesto, un cerchio tracciato nell’aria o sul foglio. Anche se il legame con
l’esperienza del corpo non è tagliato (è piuttosto sottolineato), la perdita di
materialità consente di prendere le distanze dall’esperienza, trasformando
l’evidenza empirica data dal disegno (qualunque sia il modo di produrlo) nella
rappresentazione esterna di un processo mentale. Così la mancanza di un compasso
«Ogni forma forma elementare di comportamento presuppone una reazione diretta
al compito posto al soggetto (che può essere espresso con la semplice formula S –
R, stimolo – risposta). Ma la struttura delle operazioni con i segni richiede un
legame intermedio tra lo stimolo e la risposta. Questo legame intermedio è uno
stimolo del secondo ordine (un segno) che è trascinato nell’operazione dove
assume una funzione speciale: crea una nuova relazione tra S e R. Il termine
‘trascinato’ indica che un individuo deve essere impegnato attivamente nello
stabilire un tale legame. Il segno inoltre possiede la caratteristica importante
dell’azione inversa (cioè, esso opera sull’individuo, non sull’ambiente). Di
conseguenza, il processo semplice di stimolo – risposta è sostituito da un atto
complesso, mediato, che rappresentiamo nel modo seguente:
S ---------------- R
\
⁄
X
In questo nuovo processo l’impulso diretto a reagire è inibito, ed è incorporato uno
stimolo ausiliario che facilita il compimento dell’operazione con mezzi indiretti.
Studi attenti mostrano che questo tipo di organizzazione è fondamentale per tutti i
processi psichici superiori, anche se in forme più sofisticate di quelle mostrate qui.
[…] Poiché questo stimolo ausiliario possiede la funzione specifica dell’azione
inversa, esso trasferisce le operazioni psicologiche a forme superiori e
qualitativamente nuove e consente agli esseri umani di controllare il loro
comportamento dal di fuori, per mezzo di stimoli esterni. L’uso dei segni porta gli
esseri umani a una struttura specifica di comportamento che si stacca dallo
sviluppo biologico e crea forme nuove di proccessi psichici culturalmente fondati
(Vygotskij, 1974, 1992)».
(non potevo usare due compassi, dice Alessio) non è più un problema, perché nella
mente si può agire come se ci fossero due compassi, sostituendo ai compassi i loro
prodotti, tracciati in due tempi diversi.
Per questi allievi, il cerchio non è ottenuto, secondo la tradizione, per astrazione
dagli oggetti di forma circolare, ma è la ricostruzione, nella memoria, di una
varietà di atti di esperienza spaziale (una ‘biblioteca’ di traiettorie e di gesti,
Longo, 1997). Per questi allievi si realizza l’integrazione delle concezioni
meccanica / dinamica / procedurale di cerchio con quella geometrica / statica /
relazionale. La prima è, nella storia, rappresentata dalla voce di Erone:
Un cerchio è la figura descritta quando una linea retta, sempre rimanendo nello
stesso piano, gira intorno ad uno dei suoi estremi mantenuto fisso fino a ritornare nella
posizione iniziale.
La seconda è rappresentata dalla voce di Euclide:
Un cerchio è la figura piana racchiusa da una linea tale che tutti i segmenti che
sono tracciati ad essa da un punto interno alla figura sono uguali tra loro.
La prima concezione ci dà un modo per ottenere il cerchio; la seconda descrive
le proprietà dei suoi punti che sono usate nella soluzione dei problemi. E’
interessante osservare che l’esistenza di un metodo per tracciare, con moto
continuo, la curva garantiva l’esistenza di soluzioni nei problemi, prima che fosse
realizzata, nel XIX secolo, la fondazione teorica rigorosa della continuità. Questa
osservazione non riguarda solo la coppia compasso – cerchio, ma tutte le coppie
strumento tracciatore – curva tracciata, che si riferiscono a sistemi articolati o
biellismi utilizzati nella storia per produrre curve algebriche (Lebesgue, 1950).7
Dunque, esplorando le relazioni tra queste due concezioni di cerchio, gli allievi
affrontano in modo epistemologicamente corretto (e tuttavia adatto alla loro età) il
problema del ‘continuo’. Anche se l’andamento della discussione è naturale e
fluido, il processo non è per nulla spontaneo: è evidente la cura dell’insegnante
nella scelta di un protocollo ricco ed efficace, nell’incoraggiamento continuo
all’uso di gesti , nella valorizzazione di quegli interventi che consentono una più
efficace esplicitazione dei processi mentali.
2. 3. Una conferma: il caso di Giulia
Lo scorrere naturale della discussione appena analizzata non deve trarre in
inganno. La relazione tra le due concezioni di cerchio non è per nulla naturale,
7
Una ricca collezione di tali strumenti è stata realizzata presso il Laboratorio di
Matematica del Museo Universitario di Storia Naturale e della Strumentazione
Scientifica di Modena (vedi http://www.museo.unimo.it/theatrum/).
come mostra la seguente intervista clinica, condotta con una studentessa (Giulia) di
quarta liceo scientifico (Mariotti et al., 2000).
Giulia ha realizzato la costruzione in Cabri secondo le seguenti istruzioni:
• disegna due cerchi C1 (con centro H) e C2 (con centro K) che si intersecano
in A e B;
• prendi un punto C su C1;
• traccia le rette per C e A e per C e B;
• segna i punti E e F, ulteriori intersezioni delle rette CA e CB con C2;
• segna il punto medio M della corda EF.
E’ stata poi invitata a produrre una congettura sul punto M al variare di C su C1
e a dimostrarla. Giulia ha ‘trascinato’ C e ha visto che il segmento KM mantiene
lunghezza costante. Lo ha anche dimostrato. Ecco un passaggio del seguito
dell’intervista, in cui Giulia esamina il luogo descritto da M.
GIULIA: L’ho dimostrato che quel segmento lì [KM] è sempre uguale...Non
l’ho dimostrato perché non ho dimostrato che questo [KM] ruota …o qualcosa del
genere … Ora però devo anche dire perché il luogo [di M] è una circonferenza?
Lo devo dimostrare?
INTERV.: Non l’hai già detto? Hai detto che quello [KM] rimane costante.
GIULIA: rimane costante ...
INTERV.: La circonferenza come la definisci?
GIULIA: La definisco come luogo .. Hai ragione .. Luogo dei punti
equidistanti dal centro. Mi era venuto in mente che dovessi anche dimostrare … no
.. Però forse è stupido, eh, che dovessi anche dimostrare che ruotavi intorno al
centro….
Giulia sente che la dimostrazione standard che ha prodotto non si fa carico delle
caratteristiche dinamiche della costruzione. Pensa di dover dimostrare anche la
rotazione della corda EF, come conseguenza della rotazione di C. Giulia non si
accontenta della sola percezione del movimento e vorrebbe trasformare tale
percezione in una congettura da dimostrare. C’è una rottura tra la definizione di
cerchio di Euclide che Giulia conosce e la rotazione del segmento KM. La
definizione di Euclide non si adatta a ciò che avviene sullo schermo: c’è,
nell’ambiente Cabri, un punto C che, con il suo movimento, pilota anche il
movimento di M. Da questo punto di vista, la situazione assomiglia a quella degli
strumenti per tracciare curve, nei quali c’è appunto un punto direttore che controlla
il moto del punto tracciatore.
Giulia, alla fine, si riprende, ma siamo certi che la difficoltà è stata davvero
superata? E’ più realistico affermare che anche l’ambiente Cabri dovrebbe essere
oggetto di un’analisi epistemologica attenta, in relazione alle costruzioni
elementari che sono consentite. I cerchi di Cabri, che cerchi sono?
L’analisi epistemologica condotta sulla transizione dal compasso ‘empirico’ al
compasso ‘teorico’ può essere, almeno in parte, trasposta a questo caso (vedi
Mariotti et al. 2000).
2. 4. Il compasso ‘teorico’ come strumento di mediazione
semiotica.
L’analisi che abbiamo compiuto ci porta ad affermare che il compasso, nella
classe quinta elementare che abbiamo considerato, è divenuto uno strumento di
mediazione semiotica in senso Vygotskiano.
Riepiloghiamo brevemente alcune caratteristiche dell’attività con il compasso
svolta nella quinta elementare citata:
• l’obiettivo dell’attività riguarda, per l’insegnante, un caso di processo
psichico superiore, cioè la consapevolezza della natura teorica delle azioni
compiute su un oggetto materiale;
• il compito cruciale scelto riguarda la ricerca di un metodo per disegnare un
cerchio tangente ad altri due dati: in esso, quindi, il compasso ‘empirico’
che disegna cerchi e il compasso ‘teorico’ che trova punti con proprietà
date sono presenti contemporaneamente;
• il tipo di compito e la gestione dell’attività collettiva porta alla
interiorizzazione dell’attività con il compasso materiale in modo che
questo divenga uno strumento mentale;
• la mediazione semiotica è avviata dall’insegnante nelle fasi collettive, con
un’enfasi particolare sull’imitazione dei gesti e delle parole.
3. Osservazioni conclusive.
Ho qui presentato un caso paradigmatico provocatorio sia per i ricercatori sia
per gli insegnanti. Il ‘buon’ successo dell’esperimento è documentato dalle
prestazioni molto alte raggiunte dagli allievi nei problemi dati successivamente e
nei risultati conseguiti nell’esame finale.
La costruzione di un atteggiamento teorico verso la matematica è un processo
molto lungo, che può durare anni. Nel nostro quadro di riferimento, tale processo è
sviluppato dagli allievi sotto la guida dell’insegnante (un adulto colto), che, da un
lato, seleziona accuratamente i problemi, dall’altro, orchestra l’interazione sociale
nella classe.
Per il ricercatore, questo studio (e gli altri che lo accompagnano) apre una serie
di questioni interessanti. Ad esempio, l’analisi dei diversi artefatti che si usano a
scuola (quelli tradizionali o quelli legati alle nuove tecnologie) come strumenti di
mediazione semiotica; lo studio dei modi efficaci per introdurre questi artefatti
nella classe; lo studio delle relazioni tra processi collettivi e processi individuali.
Per l’insegnante, esperimenti come questo forniscono esempi significativi di
come sia possibile introdurre innovazioni autentiche nella classe, arricchendo
attività di tipo relativamente tradizionale.
Per gli allievi, infine, queste attività mostrano che acquisire un atteggiamento
teorico non taglia per nulla i legami con l’esperienza concreta (e corporea), ma le
dà piuttosto un senso diverso (vedi l’analisi di Lakoff e Nunez, 2000).
4. Bibliografia
Arzarello F. & Bartolini Bussi M. G., (1998), Italian Trends in Research in
Mathematics Education: A National Case Study in the International Perspective, in
Kilpatrick J. & Sierpinska A. (eds.), «Mathematics Education as a Research
Domain : A Search for Identity», vol. 2, 243-262, Kluwer Academic Publishers.
Bartolini Bussi M. & Mariotti M. A. (1999), Semiotic mediation : from history
to mathematics classroom, «For the Learning of Mathematics», 19 (2), 27-35.
Bartolini Bussi M. (1996), Mathematical Discussion and Perspective Drawing
in Primary School, «Educational Studies in Mathematics», 31 (1-2), 11-41.
Bartolini Bussi M. (1998a), Verbal Interaction in Mathematics Classroom: a
Vygotskian Analysis, in Steinbring H., Bartolini Bussi M. & Sierpinska A. (eds),
Language and Communication in the Mathematics Classroom, 65-84 ,Reston VA:
NCTM.
Bartolini Bussi M., Boni M. & Ferri F. (in corso di pubblicazione),
Construction problems in primary school : a case from the geometry of circle, in P.
Boero (ed.), «Theorems in School : From history and epistemology to cognitive
and educational issues», Kluwer Academic Publishers.
Bartolini Bussi M., Boni, M., Ferri, F. & Garuti, R. (1999), Early Approach To
Theoretical Thinking: Gears in Primary School, «Educational Studies in
Mathematics», 39 (1-3), 67-87.
Boero P., Dapueto C., Ferrari P., Ferrero E., Garuti R., Lemut E., Parenti L.,
Scali E., (1995), Aspects of the Mathematics – Culture relationship in mathematics
teaching- learning in compulsory school, «Proc. PME XIX», vol. 1, 151-166,
Recife (Brazil).
Garuti R., Boero P., Lemut E. & Mariotti M. A. (1996), Challenging the
traditional school approach to heorems: a hypothesis about the cognitive unity of
theorems, «Proc. PME XX», vol. 2, 113-120, Valencia (Spain).
Lakoff G. & Nunez R. E. (2000), Where Mathematics Comes From: How the
Embodied Mind Brings Mathematics into Being, Basic Books.
Lebesgue H. (1950), Leçons sur les constructions géomètriques, Paris: Gauthier
– Villars.
Longo G. (1999) (http://www.dmi.ens.fr/users/longo/geocogni.html)
Mariotti M. A., Bartolini Bussi M., Boero P., Ferri F. & Garuti R. (1997),
Approaching Geometry Theorems in Contexts: From History and Epistemology to
Cognition, «Proc. XXI PME», vol. 1, 180-195, Lahti , Finland.
Mariotti M. A., Mogetta C. & Maracci S., (2000), Linking conjecture,
justification and analitical Proof in a dynamic Geometry environment, Chicago,
NCTM pre-session 2000.
Vygotskij L. S. (1974), Storia dello sviluppo delle funzioni psichiche superiori
e altri scritti, Giunti.
Vygotskij L. S. (1992), Pensiero e Linguaggio, Laterza Editore.