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Cooperativa
Migros Ticino
G.A.A.
6592
S. Antonino
Settimanale
di informazione e cultura
Anno LXXVII
3 febbraio 2014
Azione 06
pping 1-47 / 58-63
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M
gine 4
alle pa
Società e Territorio
Aumentano in Ticino i casi di
indebitamento eccessivo e
fallimento personale. Ora si
pensa alla prevenzione
Ambiente e Benessere
«Donna & Cuore – quello che le donne
dovrebbero sapere sulle malattie
cardiovascolari» è il tema della conferenza
organizzata da Forum Elle per il 6 febbraio.
Ce ne anticipa il contenuto la dottoressa
Julija Klimusina
Politica e Economia
La Tunisia approva la nuova
Costituzione, raro esempio di
democrazia mediorientale
Cultura e Spettacoli
Un’immersione negli abissi
dell’animo umano: la scrittura
di William S. Burroughs
pagina 9
pagina 23
pagina 33
pagina 3
pagine 26-27
Matteo Bellinelli
Mongolia, terra di conquista
di Matteo Bellinelli
Se ricchezza non fa rima con democrazia
di Peter Schiesser
Venticinque anni fa, quando l’impero sovietico si sbriciolò decretando il fallimento dell’ideologia comunista, si fece largo una certezza: il
libero mercato avrebbe conquistato il mondo e la crescente ricchezza
avrebbe convertito alla democrazia anche i nemici ideologici di ieri,
Russia e Cina, oltre che portare pace e benessere nel Terzo mondo.
Oggi dobbiamo riconoscere che questa certezza era un’ingenua utopia. Russia, Cina, ma anche India, Brasile e tanti altri Paesi emergenti
sono oggi delle potenze economiche, ma nessuno di questi è diventato più democratico di quanto lo era prima. Soprattutto, non esiste un
controllo democratico sulle ricchezze di quei Paesi: ovunque – e in
maniera più marcata laddove c’è un’eredità comunista – sono sorte
oligarchie con stretti rapporti con il potere che si sono arricchite spudoratamente e continuano a farlo, ampliando il divario fra chi ha potere e ricchezza e la gran parte della popolazione. Le ricerche condotte dal Consorzio internazionale di investigazione giornalistica (ICIJ),
che raggruppa 160 giornalisti e collabora con un gran numero di testate prestigiose, sulla base di 2,5 milioni di documenti trafugati nel
2012 da due società specializzate in attività finanziarie off-shore, ci
mostrano che cosa sta succedendo in Cina.
Mesi di lavoro sui 22mila cinesi che hanno portato capitali all’estero ha permesso di dare una dimensione e tanti nomi al sistema
politico-affaristico che regge le sorti del capitalismo di Stato cinese.
In sostanza, per chiunque voglia fare affari in Cina è vitale creare uno
stretto legame con i famigliari dei politici più potenti. Li chiamano i
«principi rossi» e rappresentano la chiave di volta per affari colossali.
«Le Monde» ha portato nelle ultime settimane un mare di esempi,
quello più clamoroso riguarda due figli di Wen Jiabao, primo ministro dal 2003 al 2013, e il Credit Suisse. Dopo averli aiutati a creare
delle società off-shore nelle Isole vergini britanniche e poi rafforzato
sempre più i legami con loro, nel 2005 il Credit Suisse è diventata la
prima banca occidentale ad entrare nel mercato cinese della gestione
patrimoniale – secondo «Le Monde» proprio grazie a questa vicinanza con il potere –, e oggi gestisce 24 miliardi di euro. Ma come banca
si può guadagnare molto anche con le privatizzazioni: JP Morgan
(oggi sotto inchiesta in America per sospetta corruzione) ha pagato
fra il 2006 e il 2008 su un conto offshore quasi 2 milioni di dollari alla
figlia di Wen Jiabao e si è poi aggiudicato il mandato di privatizzare le
ferrovie cinesi, per una commissione di 100 milioni di dollari.
È noto: la corruzione è endemica in Cina, ma oggi ha raggiunto livelli stratosferici. Per lavare il denaro che ne deriva bisogna dapprima
trasferirlo all’estero. Siccome i cinesi non possono esportare più di
50mila dollari, cadono a fagiolo le costruzioni finanziarie off-shore. La
Ong Global financial integrity stima in 3700 miliardi di dollari i capitali cinesi (certo non solo derivanti da corruzione) portati illegalmente
all’estero fra il 2000 e il 2011. Il nuovo presidente, Xi Jinping, ha dichiarato guerra alla corruzione, poiché si è reso conto che può provocare rivolte popolari, ma finora agisce in modo selettivo: se ne sta servendo per eliminare gli avversari interni e nel contempo fa condannare Xu Zhiyong e altri attivisti del Nuovo movimento dei cittadini che
chiedono misure contro la corruzione. Ma questo non è solo un problema della Cina, o della Russia, o di altri Paesi emergenti, poiché i
proventi della corruzione e di affari sporchi servono poi per acquistare
aziende e proprietà nel resto del mondo. Inquinano perciò l’economia
mondiale, che sempre più viene condizionata da persone senza scrupoli e da chi si mette al loro servizio. E senza etica, niente democrazia.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
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Per proteggere le api
Promessa
mantenuta!
Migros toglie dall’assortimento entro la fine del 2014 prodotti fitosanitari
che possono essere nocivi a questi utili insetti
Riciclaggio Ritiro
di bottiglie in plastica
in tutte le filiali Migros
Nel 2012 si calcola che siano morte la
metà di tutte le api presenti in Svizzera.
Lo stesso drastico calo si è verificato a livello mondiale. Già da almeno un decennio apicoltori e scienziati stanno
studiando la moria di api. La loro scomparsa non provoca soltanto una diminuzione della quantità di miele sul mercato, ma coinvolge tutta l’agricoltura.
Circa un terzo dei prodotti alimentari
coltivati dipende infatti dall’impollinazione delle api. Tra le cause di questo fenomeno vanno annoverati gli effetti di
parassiti come l’acaro Varroa destructor, agenti patogeni come batteri o funghi e l’uso di pesticidi. Dal 1. dicembre
2013 nell’Unione europea e in Svizzera
sono vietati tre tipi di antiparassitari,
che potrebbero essere collegati con la
moria delle api.
Si tratta dei cosiddetti neonicotinoidi, che vengono utilizzati dagli agricoltori ma anche da molti appassionati di
giardinaggio per difendere le loro piante
dai parassiti. Per precauzione Migros già
dal marzo 2013 ha rinunciato a mettere
in vendita prodotti per il giardinaggio
che contengano questi principi attivi.
Ora l’azienda compie un ulteriore passo
avanti: uno studio dell’organizzazione
mondiale Greenpeace ha identificato altre quattro sostanze che sono definite
come critiche. «Prendiamo molto sul serio questi risultati e abbiamo compiuto
una verifica per vedere se quei principi
attivi sono presenti nei nostri pesticidi e
antiparassitari» spiega Sandro Glanzmann, esperto ambientale della Federazione delle cooperative Migros.
Le analisi hanno dimostrato che in
alcuni prodotti sono effettivamente
presenti, in particolare in quelli contro
le formiche e gli afidi. In essi le sostanze
Promettiamo che dalla fine del 2014
offriremo solamente prodotti
fitosanitari e insetticidi che non
mettono in pericolo le api.
Daniele Besomi
Christoph Petermann *
che potrebbero essere nocive per le api
sono contenute in quantità estremamente limitate. Migros ha deciso di toglierli completamente dall’assortimento oppure di modificarne la composizione, utilizzando al loro posto dei
componenti ecologici.
«Vogliamo offrire in alternativa ai
nostri clienti prodotti che non danneggiano le api» dice Glanzmann. La conversione richiederà comunque un certo
tempo. «Gran parte degli articoli sarà
già conforme al nuovo standard entro
maggio 2014» dice l’esperto per l’ambiente della FCM. Ed entro la fine dell’anno lo sarà l’intero assortimento.
* Redattore di Migros Magazin
Quattro promesse per il futuro
Migros amplia il suo programma legato alla sostenibilità, Generazione M, con quattro
nuove promesse rivolte alle generazioni future
Circa due anni fa Migros ha ideato il
progetto Generazione M. In quell’ambito l’azienda ha concentrato i
suoi sforzi in rapporto ai temi della
salute, del consumo, dell’ambiente,
della società e della gestione dei propri collaboratori. Alle 54 promesse
originarie ne sono state aggiunte
quattro nuove.
Oltre a quella qui a lato, ecco le altre.
Promettiamo che:
■ dal 2017 offriremo corsi di fitness e
wellness nonché strutture per l’allenamento per 10 milioni di visitatori all’anno;
■ che entro la fine del 2015 creeremo
almeno 2,5 milioni di metri quadrati
di spazio vitale in sintonia con la natura per piante e animali;
■ che, in qualità di sponsor principale
di «slowUp», entro il 2017 renderemo
possibili oltre 40 milioni di chilometri
di strade prive di auto.
Nel quadro dell’azione Generazione
M, Migros si era posta un obiettivo
ambizioso: «Promettiamo di raccogliere e riciclare entro la fine del 2013
tutte le bottiglie di plastica». La promessa è stata mantenuta e dallo scorso
anno Migros, quale primo dettagliante
in Svizzera, dà la possibilità di riportare in tutte le sue filiali bottiglie e flaconi
in plastica usati nelle economie domestiche. In questo modo la preziosa materia prima delle confezioni di prodotti
per la cura del corpo e per la pulizia, di
detersivi, bottiglie per latticini, aceto,
olio e salse, può essere nuovamente
utilizzata, per esempio per la produzione di materiale edile.
Nelle filiali è stata installata una
«parete del riciclaggio» dove, in aggiunta ai materiali già precedentemente raccolti – tra i quali PET,CD e DVD,
batterie, lampadine LED e lampadine a
risparmio energetico – è dallo scorso
anno possibile depositare anche queste
confezioni in plastica. Laddove non è
stato possibile installare questa parete
ecologica, sono disponibili altri tipi di
contenitori per la loro raccolta o, in alternativa, possono essere consegnati al
Servizio clienti.
E affinché la raccolta e la consegna
sia ancora più semplice, Migros vende
ora un apposito sistema di riciclaggio
che consiste in tre sacchi, ideali per riporvi gli oggetti da recuperare e da
consegnare ai punti di raccolta nelle filiali. Nella fase di lancio e fino al 10 febbraio i sacchi sono proposti a metà
prezzo, ovvero a franchi 4,90.
M Migros Ticino
si dà al fitness
Migros Ticino amplia i suoi settori di attività e a commercio, ristorazione, editoria (Azione), formazione degli adulti
(Scuola Club Migros Ticino) e promozione culturale (Percento culturale Migros Ticino) aggiunge il fitness: nei prossimi anni aprirà infatti 5 centri fitness, i
primi due dei quali verranno inaugurati
a Losone e a Lugano quest’autunno, rispettivamente l’anno prossimo.
La nuova attività verrà svolta in
franchising sotto l’insegna ACTIV
FITNESS ed è frutto di un accordo tra
Migros Ticino e la ACTIV FITNESS
SA, una società della Cooperativa Migros Zurigo che, con 26 centri fitness e
50’0000 membri in Svizzera tedesca e
in Romandia, è il leader del settore nel
nostro paese.
I centri ACTIV FITNESS, su una
superficie di ca. 1200 mq, proporranno
un’offerta completa che comprende
l’utilizzo di apparecchi di ultima generazione per la muscolazione, la resistenza,
la coordinazione e la mobilità, una vasta
scelta di corsi collettivi, la sauna, uno
spazio sorvegliato per bambini, oltre che
l’assistenza professionale di collaboratori altamente qualificati in grado di assicurare una consulenza personalizzata.
Il prezzo dell’abbonamento completo è assolutamente competitivo: 740
franchi all’anno (con sconti per studenti
e pensionati), tutto compreso, incluso
l’accesso a tutti i centri ACTIV FITNESS
presenti sul territorio nazionale.
Informazioni
www.activfitnessticino.ch
Settimanale edito dalla Cooperativa
Migros Ticino, fondato nel 1938
Sede
Via Pretorio 11
CH-6900 Lugano (TI)
Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89
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Editore e amministrazione
Cooperativa
Migros Ticino
CP, 6592 S. Antonino
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Redazione
Peter Schiesser (redattore responsabile)
Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica
Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli,
Ivan Leoni
La corrispondenza va indirizzata
impersonalmente a «Azione»
CP 6315, CH-6901 Lugano
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Estero a partire da Fr. 70.–
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
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Società eTerritorio
Le Scuole medie di Lugano
Il trasferimento degli allievi nei
container per un periodo di sette
anni ha sollevato molte
polemiche
Se il successo arriva inaspettato
Videogiochi: analisti e critici sono stati colti
di sorpresa dal successo delle nuove console
di Microsoft e Sony
pagina 5
La memoria da coltivare
La paura di perdere la memoria è un
sentimento comune soprattutto dopo una
certa età. Tom Smith, medico inglese famoso
per la sua rubrica Doctor Doctor, affronta il
tema nel suo ultimo libro
pagina 6
pagina 4
In Ticino si stima
che ci siano
24mila persone
che vivono in
un’economia
domestica che
non ce la fa a
pagare le
bollette.
(Ti-Press)
Prendi oggi, non paghi domani
Indebitamento Aumentano in Ticino i casi di fallimento personale. L’associazione Dialogare-Incontri
propone un corso per migliorare la gestione del budget personale e familiare
Sara Rossi
Scriviamo oggi di un problema che in
Ticino sta diventando importante e di
due tra gli espedienti per combatterlo.
Il problema è l’indebitamento eccessivo, i possibili antidoti sono un corso
sulla gestione del budget familiare e la
creazione a livello cantonale di un «Piano di lotta».
Anche se mancano dati ufficiali, si
parla di 24mila persone che vivono in
un’economia domestica che non ce la fa
più a pagare le bollette. «E per una volta», sottolinea Roberto Sandrinelli, capo
staff della Divisione dell’azione sociale e
delle famiglie del Canton Ticino, «si
tratta di un problema sociale trasversale
in cui i giovani non sono quelli maggiormente toccati; con loro è molto importante la prevenzione». Si tratta di un
fenomeno che riguarda in prevalenza
adulti e anziani e che spesso insorge dopo un brusco cambiamento: perdita di
lavoro, divorzio, raggiungimento dell’età della pensione, malattia. Nella
maggior parte dei casi non si tratta di
«poveri», ma di persone con redditi a
volte anche importanti che non sono in
grado di gestire il loro budget o che non
adeguano lo stile di vita alle loro entrate.
«È l’eccesso di debiti, non il debito
in sé, che diventa un problema», spiega
Sandrinelli. «Viviamo in una società
fondata sull’indebitamento: la casa, la
macchina, il computer, moltissime cose
si possono pagare con un mutuo, a rate
o in leasing. Se prendo un cellulare nuovo, lo pago magari un franco solo, ma
devo già sottoscrivere l’abbonamento
per due anni. In fondo, se ognuno di noi
ci pensa bene, abbiamo già “impegnato”
il nostro stipendio del mese prossimo,
di quello successivo e forse anche più in
là. Questo significa che se le nostre entrate o uscite dovessero alterarsi in modo repentino, potremmo ritrovarci in
difficoltà. Può succedere a chiunque, di
qualsiasi età o classe sociale; la differenza è che se guadagni poco, basta poco
per doverti adattare, anche solo il dover
cambiare l’auto».
Allo sportello Donna, consultorio
di orientamento e reinserimento professionale dell’Associazione DialogareIncontri, si è notato un incremento degli utenti con disagi finanziari; per dare
loro supporto, è stata creata un’Antenna
sociale ed è stato sviluppato, in collaborazione con l’Associazione PerCorsoGenitori, un corso sulla gestione del
budget personale e familiare. Mila Ranzanici, assistente sociale, elenca i contesti in cui si trovano le persone che lamentano questo problema: divorzio, disoccupazione, perdita del lavoro, assen-
za di una copertura assicurativa per perdita di guadagno in caso di malattia (soprattutto gli indipendenti), incapacità
di una gestione amministrativa-finanziaria (dovuta all’ignoranza della materia, sia perché la persona non è al corrente delle varie spese, sia perché manca
la capacità di gestire il proprio budget
entrate-uscite), acquisizione di debiti
dal marito o ex marito, instabilità lavorativa/economica della singola persona
o di entrambi i coniugi…
Gli scenari sono infiniti, ma si possono dividere in due categorie: chi ce la
fa e chi no. Chi riesce a modificare le
proprie abitudini, adattandosi alla nuova situazione e chi invece finisce per gettare la spugna, arrivando a non aprire
più le lettere di richiamo dei pagamenti
ed essere poi costretto a dichiarare il fallimento individuale. La terza via sarebbe quella di chiedere aiuto, ma non molti ne hanno la forza: spesso prevale la
vergogna, il senso di colpa, l’illusione
che si tratti di un momento passeggero,
che poi passerà e lascerà che tutto torni
come prima.
«Non è solo una questione tecnica», sottolineano le due formatrici del
corso sulla gestione del budget familiare, Monica Garbani e Sandra Killer. «Si
tratta anche di una certa visione dei valori. Prima ancora di fare ordine nella
burocrazia e di trovare il modo per tenere sotto controllo le proprie spese,
bisogna prendere coscienza dei propri
valori. Occorre riflettere sulle cose veramente utili per il proprio benessere
(che possono essere oggetti o sfizi molto futili per qualcun altro) e quelle a cui
invece si è in grado di rinunciare». Non
si può fare finta che non esista nessuna
pressione sociale: sappiamo o crediamo che gli altri si aspettano qualche cosa da noi; e siamo anche sommersi dalla
pubblicità, che ci confronta con immagini di perfezione (famiglia perfetta,
corpo perfetto, vacanze perfette, e via
dicendo). Chi ha visto l’ultimo film di
Woody Allen, Blue Jasmine, ha compiuto una discesa negli inferi delle debolezze umane, quelle di una donna
che ha perso tutto tranne l’orgoglio di
non volerlo dare a vedere.
«In generale chi non ha più i soldi
per pagare le fatture, comincia a non pagare le imposte e la cassa malati», illustra Roberto Sandrinelli. «Molti, piuttosto che rinunciare alle proprie apparenze, continuano ad abitare in appartamenti di lusso, a uscire a cena come prima, a pagare ai figli i loro gadget preferiti; piuttosto si indebitano e quando non
ce la fanno più cominciano a pesare sullo Stato. Fosse quindi anche solo per
una questione di risparmi, al settore
pubblico conviene fare prevenzione».
Infatti, constatato l’ampliarsi del problema del sovraindebitamento, il Governo ha deciso di creare un gruppo di
lavoro interdipartimentale incaricato di
preparare un progetto di piano cantonale. «Abbiamo pensato di chiamarlo
Piano cantonale di lotta all’indebitamento eccessivo», spiega Sandrinelli.
«Sotto questo cappello sarà più semplice
organizzare le varie risorse di cui il territorio dispone: autorità di protezione,
Associazione contro l’indebitamento
delle famiglie, Caritas, Pro Senectute, i
corsi per adulti di Dialogare-Incontri,
quelli per adolescenti di PerCorsoGenitori e molto altro». Il Piano Cantonale si
occuperà di prevenzione, di formazione
e di coordinare i vari interventi e sarà
presentato e avviato durante nel 2014.
Informazioni
Martedì 11, 18 e 25 febbraio (dalle 18.00
alle 20.30, a Massagno, in via Foletti 23),
l’associazione Dialogare-Incontri
propone tre incontri per imparare a
gestire e organizzare il budget familiare.
Iscrizione entro il 7 febbraio (scrivere a
[email protected] oppure
telefonare allo 091 967 61 51 dalle ore
9.00 alle 12.00), costo 10 franchi per
ogni incontro.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
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Società e Territorio
A lezione nei container
Lugano Durante la realizzazione della nuova sede per le Scuole medie di Lugano centro gli allievi saranno ospitati
in strutture provvisorie per un periodo di sette anni: una soluzione che ha scatenato malumori e proteste
Roberto Porta
Giocano spensierati i bambini del
«Lambertenghi», la scuola dell’infanzia
di Lugano centro. Ognuno con il proprio contrassegno: il fiore, la carrozzina,
la foglia. I più piccoli tra loro, quelli che
oggi hanno tre anni, non sanno ancora
che, se tutto andrà per il verso giusto, fra
sette o otto anni avranno un grande privilegio. Saranno, forse, i primi inquilini
della nuova scuola media di Lugano
centro. Gli altri bambini dell’asilo, quelli più grandi – e con loro gli allievi delle
elementari e dei primi anni delle medie
– dovranno invece accontentarsi di un
altro destino: trascorreranno gli anni
della scuola media in una struttura
provvisoria, le loro lezioni si terranno in
alcuni container, a quanto pare di lusso,
ma pur sempre container.
La petizione contraria
al progetto cantonale
lanciata dal Collegio
dei docenti
e dall’Assemblea
dei genitori ha raccolto
più di quattromila firme
Una soluzione provvisoria, per sette o
otto anni, nel frattempo si procederà
alla realizzazione di un nuovo edificio,
una nuova sede per le scuole medie di
Lugano centro. Tutto questo perché
l’attuale ubicazione dell’istituto, all’interno del Palazzo degli Studi di via Cattaneo, in coabitazione con il Liceo 1 di
Lugano, dovrà essere ristrutturata a
partire dal prossimo mese di settembre.
Una volta terminati i lavori, lo storico
edificio ospiterà unicamente gli studenti del liceo, che necessitano di maggiore spazio perché il loro numero è in
costante crescita, un incremento di oltre trecento unità nel corso degli ultimi
10 anni.
Realizzato nel 1904 dagli architetti
Guidini e Maraini, e testimonianza architettonica di valore, l’edificio necessita di importanti lavori di ristrutturazione interni, dopo quelli esterni realizzati
alcuni anni fa e costati oltre cinque milioni e mezzo di franchi. Il 26 gennaio
del 2010 il Gran Consiglio aveva dato il
proprio nullaosta ad un credito di progettazione di 980mila franchi per la seconda fase di questi interventi, dando
nel contempo il proprio consenso ad
un ulteriore credito di un milione e
670mila franchi per la posa dei prefabbricati e per la sistemazione di altri spazi scolastici destinati alle medie e al li-
Tra le proposte vi è anche quella di valutare la realizzazione del nuovo istituto scolastico nell’edificio dell’ex Macello. (CdT - Gonnella)
ceo durante i lavori di ristrutturazione.
Le lezioni nei container hanno quindi
ottenuto anche l’avvallo del Parlamento ticinese.
Nel corso della storia scolastica del
nostro cantone non è del resto la prima
volta che succede, ne sanno qualcosa i
figli del baby boom nati tra gli anni ’60 e
’70 del secolo scorso. A Lugano però è
scoppiato un gran putiferio. Per la durata di questa fase di transizione – a parecchi genitori e docenti sette anni nelle
baracche appaiono davvero troppi – e
per l’incertezza sulla sede futura della
scuola media di Lugano centro. E questo è il secondo nodo da sciogliere. Il
Cantone è intenzionato a realizzare la
nuova struttura di fronte al Palazzo degli Studi, su un terreno di sua proprietà,
confinante con il parco Ciani. Il Comune di Lugano non ha ancora preso posizione su questo progetto, anche perché
assillato dal tracollo finanziario emerso
in questi mesi, figlio di una malagestione che coinvolge però anche l’ex Municipio. Dal canto loro, il Collegio dei docenti delle scuole medie e l’Assemblea
dei genitori hanno invece lanciato una
petizione, che in poche settimane è riuscita a raccogliere oltre quattromila firme. Una petizione che chiede l’esatto
contrario di ciò che prevede il Cantone,
siamo pertanto al muro contro muro.
Prima di tutto, dicono i firmatari, si
deve realizzare la nuova sede in un area
esterna al parco Ciani, per non intaccare
uno dei pochi spazi verdi rimasti in città
e prevedere una diversa tempistica per
quanto riguarda i lavori previsti. In altri
termini dapprima si dovrebbe procedere con la nuova sede della scuola media e
solo in un secondo tempo si dovrebbe
dare inizio ai lavori di ristrutturazione
del Palazzo degli Studi. La petizione propone anche – ed è questa un’ulteriore
pietra d’inciampo in una vicenda di per
sé già complicata – di valutare la possibilità di realizzare il nuovo istituto scolastico nell’edificio dell’ex Macello, oggi in
parte occupato dai cosiddetti «autogestiti», discendenti diretti di quelli che
una quindicina d’anni fa venivano chiamati i «Molinari». Ipotesi già ventilata
anni fa dal Municipio, sollecitato anche
da diverse interpellanze sul tema, la prima datata 2005. L’idea alla base di questa
rivendicazione è quella di realizzare una
sorta di «cittadella scolastica», perché
proprio a fianco dell’ex Macello si trovano già oggi la sede della scuola elementare e quella dell’asilo di via Lambertenghi. Proprio la settimana scorsa, la sinistra cittadina, ha presentato un’altra
proposta: realizzare all’ex Macello una
«cittadella della solidarietà».
Visto l’affollarsi dei progetti, il futuro della scuola media di Lugano centro si è trasformato in un brutto rompicapo, posto nel bel mezzo di un groviglio di interessi: quelli del Cantone – la
scuola media è pur sempre di competenza cantonale – quelli dei docenti, dei
genitori, del Comune di Lugano, degli
autogestiti e più in generale degli abitanti della città, perché in gioco c’è la zona pregiata del parco Ciani ed un eventuale riqualifica dell’ex Macello comunale, oggi struttura fatiscente. Per farsi
un’idea più precisa della reale condizione dello stabile, una struttura storica
che va conservata nella sua morfologia,
il Municipio di Lugano ha promesso un
sopralluogo all’inizio del mese di febbraio, dopo che i servizi dell’ammini-
prevista oggi. Sempre di più, mi rendo
conto che i miei sospetti sono azzeccati: la visita allo zoo è solo un pretesto; la
vera destinazione della giornata è
un’altra. Resta da scoprire quale può
essere. Uscendo dall’auto, dopo aver
salutato quello che ai miei occhi è chiaramente il complice di mio padre, gli
spiego che mi sembra giunto il momento di confessarmi la verità. Lui annuisce, sorridendo nuovamente, e
apre la porta posteriore del camioncino. A quel punto resto sbalordito, senza parole. Ai miei occhi appare uno
stupendo go-kart, pronto per essere
pilotato. Dopo un momento di gioioso
smarrimento, esclamo esultante: «Sì!
Andiamo ai go-kart!» Se fino a quel
momento questo era solo un sogno,
ora sta per diventare realtà.
Dopo un’ora e mezza di viaggio, che
sembra non voler finire mai, giungia-
mo finalmente ai bordi della pista. Ai
miei occhi, illuminati dell’emozione,
appare subito gigantesca. Mi sembra
ideale per imparare a pilotare questo
piccolo ma affascinante veicolo, per
provare l’ebrezza della velocità, per conoscere il funzionamento del suo motore, per capire i segreti del suo telaio e
per rendersi conto dei comunque numerosi pericoli connessi. E la giornata,
che passa in un batter d’occhio, si rivela veramente bellissima. In serata, una
volta rientrato a casa, dopo aver ringraziato mio padre e il fratello della sua
fidanzata, non ho più alcun dubbio: il
mio hobby dev’essere quello di fare il
pilota di go-kart.
Nelle settimane seguenti raddoppio i
miei sforzi nei lavoretti estivi che sto
svolgendo presso la ditta di mia madre.
Riesco così a ottenere una valida ricompensa, da utilizzare per cercare di
strazione cittadina avranno redatto un
rapporto sullo stato di salute dell’edificio e sui costi di un suo eventuale rifacimento. Dal punto di vista politico si
tratterà anche di capire se e come continuare la cosiddetta «via della tolleranza» nei confronti degli autogestiti, adottata volens nolens dall’ex sindaco Giorgio Giudici. Una miccia in più, in una
situazione di per sé già sufficientemente
infiammata.
Alla politica ora il compito di venirne a capo in quello che appare già ora
un bel «derby» tra Cantone e Città di
Lugano. Con a questo punto un fatto
certo: comunque vada a finire si prospettano tempi lunghi, per le discussioni politiche e, quando inizierà la fase di
progettazione, per i sicuri ricorsi, sia
contro l’eventuale soluzione prospettata dal Cantone, al confine del parco Ciani, sia per qualsiasi altro intervento, nell’ex Macello o altrove. E chissà, tra i
bambini dell’asilo di via Lambertenghi
c’è forse qualcuno che ha il contrassegno della lumaca, figura che rischia di
trasformarsi in un simbolo per questa
vicenda a lungo sottovalutata.
I ragazzi si raccontano di Kevin Quarenghi
Un piccolo sogno chiamato go-kart
Salve! Oggi vorrei raccontarvi di come
un mio piccolo sogno è diventato realtà. Certo non si tratta di uno di quei sogni galattici, particolarmente ambiziosi, che mirano a stravolgere tutta una
vita; spesso però, nei fatti, impossibili
da realizzare. Questo è un sogno che
qualcuno potrebbe considerare modesto, magari troppo legato alla sfera di
un divertimento tecnologico e non in
grado di coinvolgere altre persone. Per
me, però, è particolarmente importante, e questo per diversi motivi, anche
affettivi. La sua concretizzazione mi ha
riempito di felicità, come poche altre
volte. Vi racconto cos’è successo, proprio come l’ho vissuto io.
Una mattina presto di un week-end di
mezza estate, come ogni due settimane, mio padre viene a casa di mia madre a prendermi. Dopo avermi saluta-
to calorosamente, mi dice di portare il
passaporto, perché saremmo andati in
Italia a vedere uno zoo famoso. Lo
ascolto attentamente, poi eseguo quello che mi chiede, piuttosto contento di
andare allo zoo, anche se un po’ sorpreso di partire così presto per andare
in un posto in realtà piuttosto vicino.
Salendo in auto, lo vedo particolarmente sorridente, cosa che mi fa sicuramente piacere, anche se accresce i
miei dubbi sulla vera meta del viaggio
che stiamo intraprendendo. Non dico
nulla, per non creare scompiglio, e mi
siedo al solito posto nell’auto di mio
padre, aspettando con crescente impazienza lo svolgersi degli avvenimenti.
A un certo punto mio padre rallenta e
si ferma in un posteggio, collocandosi
proprio dietro a un camioncino bianco. Dall’abitacolo vedo il fratello della
sua fidanzata, la cui presenza non era
comprare un go-kart. Resta però ancora da trovarne uno. Proprio alla fine
dell’estate, un conoscente si fa vivo, dicendomi che sta cercando un acquirente per il suo go-kart, non volendolo
più utilizzare lui, e che è disposto a farmi un prezzo di favore. È la mia grande
occasione. Tanto più che mio padre,
da parte sua, mi fa sapere che è disposto a concedermi un piccolo spazio nel
suo garage, dove potrei depositare il
veicolo tra un utilizzo e l’altro.
E così il mio piccolo sogno, diventato
realtà nel corso di una giornata, può esserlo anche in futuro, almeno ogni volta che avrò la possibilità di andare su
una pista a sfrecciare con il mio personale go-kart. Grazie, papà e mamma!
Testi corretti dal professor Gian Franco
Pordenone
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
5
Società e Territorio
Annuncio pubblicitario
Un successo
inatteso
Videogiochi L’arrivo della nuova
generazione di console avrebbe dovuto essere
un evento tiepido e invece i negozi sono stati
presi d’assalto. Quali i motivi?
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pieno
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d‘energia.
Sony Microsoft
Vostra farmacia Amavita
Filippo Zanoli
È sempre interessante quando i fatti finiscono per smentire speculazioni e ragionamenti che, alla vigilia degli eventi,
sembravano assodati. Nessuno, infatti,
aveva previsto un lancio così prorompente per la nuova generazione di console di Sony e Microsoft eppure è stato
un grande, grandissimo successo. Entrambe, in molti casi, erano già esaurite
prima ancora di arrivare nei negozi poi,
con il Natale alle porte, è iniziata la caccia vera e propria. Grande assente sotto
l’albero nostrano, per chi si accontenta
dei canali tradizionali ovvio, è la Xbox
One che verrà commercializzata ufficialmente in Svizzera solo nel corso di
quest’anno. Un successo, ho detto, inaspettato, ma perché? Non è forse una
nuova generazione di macchine un
evento unico e degno di nota?
La corsa per
accaparrarsi le nuove
macchine da gioco di
Microsoft e Sony ha
sorpreso analisti e critici
Lo è senz’altro ma, bisogna essere sinceri, tutto lasciava a intravedere se non un
flop un’accoglienza tiepida da parte dei
consumatori di tutto il mondo, per una
lunga serie di motivi. Innanzitutto, come già riportato anche su queste pagine, i nuovi hardware non hanno mai
pienamente convinto e hanno trovato
aspra opposizione e forte critica da parte del popolo della rete.
Niente di nuovo sotto il sole, molte
limitazioni e «solo» più potenza di calcolo. In secondo luogo, entrambe uscivano sul mercato senza giochi rilevanti
che motivassero in maniera inequivocabile la necessità di acquisto di oggetti
dal prezzo assolutamente non anticrisi,
oscillante fra i cinquecento e i seicento
franchi. Per questo motivo molti videogiocatori accaniti, consigliati anche dalla stampa del settore, avevano deciso di
aspettare ancora qualche mese prima di
procedere all’acquisto. Si prospettava,
quindi, un normalissimo inizio «in salita», vera e propria prassi nella vita di
una console. Nemmeno l’esordio di
Playstation 3 e Xbox 360 era stato entusiasmante e le due avevano iniziato ad
ingranare solamente dopo circa un anno dalla loro messa in pista.
Questa volta però non è andata co-
sì, il pubblico ha risposto con inatteso
entusiasmo sborsando volentieri i soldi
necessari per accaparrarsi la propria
scintillante scatola ipertecnologica e alcuni dei giochi disponibili al lancio. Per
dichiarazione delle stesse aziende, le
due debuttanti a poche settimane dal
lancio sono entrate già in più di 4 milioni di case.
Dove hanno sbagliato gli analisti e i
critici?
Hanno sbagliato a sottovalutare
tutti quei motivi impalpabili che, volenti
o nolenti, spesso finiscono per influenzare il mercato in maniera importante.
In primo luogo ha sicuramente influito la «voglia di nuovo» di chi ha nel
suo salotto/cameretta la stessa console
da sette anni a questa parte: una grande
fetta di chi ne ha comprata una nuova
era spinto da una forte e sentitissima
voglia di cambiare. Quindi, più che ai
giochi, era interessato a continuare una
narrazione (privata o condivisa con altri), dal presente al futuro del videogioco, abilmente sfruttata in fase di marketing da Sony con una pubblicità emblematica per la sua PS4: La storia visuale
di un ragazzo dagli anni ’90 ad oggi, la
cui crescita è stata accompagnata dalle
diverse versioni della console più famosa di sempre.
Passare alla «nuova generazione»,
quindi, è un modo per continuare quella che, nelle pratiche, altro non è che
una tradizione contemporanea. L’effetto novità, inoltre, con il suo alone misterioso (e anche un po’ magico) è inoltre
in grado di far svanire qualsiasi dubbio
o incertezza sull’acquisto.
Ultimo fattore, da manuale di commercio, che ha contribuito al vero e proprio botto è la rarità. Tutti sapevano che
il numero di macchine disponibili al
lancio erano poche e molte erano già
state prenotate. Questo ha reso le nuove
Playstation e Xbox ancora più desiderabili, scatenando una vera e propria caccia alla console che ha generato anche
poco edificanti speculazioni online. Un
imbuto che le aziende hanno abilmente
gestito distribuendo in maniera scaglionata e capillare sul territorio limitate
quantità fino al raggiungimento della
«normalizzazione» post-festiva.
Se Sony e Microsoft ridono, piange
invece Nintendo che con la sua Wii U
ha venduto ben al di sotto delle aspettative. Si prospetta, quindi, un’ottava generazione bipolare con, per ora, un leggero vantaggio in casa Playstation.
Insomma, il futuro del gaming è
aperto e… tutto è possibile.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
Società e Territorio
La casa della memoria
Pubblicazioni Un libro del medico inglese Tom Smith sostiene che conoscere i meccanismi della memoria
aiuta ad evitarne la perdita
Eliana Bernasconi
Succede a volte di ascoltare persone lamentarsi della propria memoria, arrabbiarsi scoprendo che un meccanismo
perfettamente funzionante fino a poco
tempo prima ora può incepparsi. Vi è
chi si innervosisce perché ciò che vorrebbe indicare, il nome di un oggetto, di
una persona o di una località, gli sfugge
(«come si chiama? non mi viene in
mente, ce l’ho sulla punta della lingua»).
Vi è chi si accorge di non ricordare se ha
già preso la solita medicina o meno, chi
non sa dove aveva appoggiato le chiavi
Secondo il dottor Smith
la memoria non è un
patrimonio passivo ma
un processo attivo che
dura tutta la vita
un momento a, chi voleva parlare di
una cosa alla tal persona, ma se lo ricorda solo il giorno dopo. Siamo una
società che invecchia, aumentano le
persone che vedono la loro memoria
«perdere qualche colpo». Capita verso
i 50 anni, magari prima, magari dopo,
ma capita. Di recente (vedi «Corriere
del Ticino» del 29.8.2013) anche la
scienza lo ha confermato, la rivista
«Science Translational Medicine» ha
informato della scoperta, da parte del
gruppo del Nobel Eric Kandel della
Columbia University, della «proteina
della memoria», cioè della prima molecola direttamente responsabile della
sua perdita. Denominata «RbAp48»
questa proteina si riduce con l’età,
esperimenti fatti sui soliti topolini
hanno dimostrato come immettendo
una quantità adeguata di tale proteina
nel cervello di un topo anziano si ha
un recupero della memoria. Questa
diminuzione fisiologica alla quale andiamo incontro con gli anni, chiariscono gli scienziati, non ha niente a
che vedere con la famigerata patologia
di Alzheimer. Eppure non poche persone di fronte a lievi défaillance nella
loro capacità di ricordare, tendono a
entrare in ansia, prevedendo rapidi e
catastrofici peggioramenti.
Per eliminare tale paura, che ha
sperimentato personalmente, il dottor
Tom Smith, medico inglese che da anni tiene sul quotidiano «The Guardian» la popolare rubrica Doctor Doctor, ha pubblicato un interessante saggio: Memoria perduta? Come venire a
patti con l’età che avanza (Orme editori, collana Tarka). Leitmotiv del libro è uno solo: non perderemo la memoria se non lo vogliamo, non la perderemo nella misura in cui ne conosceremo alcuni meccanismi e apprenderemo come usarli, la memoria è un
processo attivo, qualcosa che può essere migliorato a qualunque età, su cui
lavorare in continuazione e di cui essere responsabili. La si perde per molte cause, non solo per l’età, può esserci
una malattia, una depressione, l’uso di
alcuni farmaci, lo stile di vita, il fumo o
altro ancora come una forte commozione cerebrale dovuta a un incidente.
Di per sé la perdita, continua il
dottor Smith, è una caratteristica normale della vita, riempiamo costantemente il nostro cervello di informazioni e inevitabilmente molte resteranno inutilizzate per un sovraccarico
di dati. Il libro è comunque ricco di
esempi che chiariscono quando si dovrebbe sospettare qualcosa di anomalo, l’inizio di una patologia mentale
più seria. Un intero capitolo spiega come si possono identificare questi casi
che hanno bisogno immediatamente
di un parere del medico.
Per organizzare le esperienze della vita e dunque anche per ricordare, il
nostro cervello usa una rete di cellule
nervose interconnesse che comunicano tra loro attraverso impulsi elettrici
e «trasmettitori» chimici posti sulla
sua intera superficie, la famosa «corteccia». Collocata in profondità, nella
parte centrale del cervello vi è una importantissima «stanza di controllo»,
La memoria può essere migliorata anche con la creatività. (Keystone)
l’ippocampo, così chiamato per la sua
forma che ricorda un cavalluccio marino. La scoperta sorprendente è che
imparare e conoscere sviluppa e ingrandisce l’ippocampo. A questo proposito Il dottor Smith porta l’esempio
dei tassisti di Londra, costretti quotidianamente a districarsi nell’ardua
mappa delle strade: nel 2005 una ricerca scientifica ha dimostrato che i
loro ippocampi risultavano più grandi
e attivi di quelli di altre persone e che
non era solo la memoria delle strade a
migliorare, ma anche la loro intelligenza. I tassisti di Londra ci insegnano
che la memoria non è quella che abbiamo, ma quella che creiamo.
Per generazioni gli insegnanti delle elementari hanno insistito sulla ripetizione, sulle tabelline, sull’ortografia, sulle poesie studiate a memoria, poi
gli anni 80 e 90 accantonarono come
superate le vecchie regole educative:
basta grammatica, ortografia, numeri,
solo «libero apprendimento». Oggi disponiamo di computer per verificare
l’ortografia senza il minimo sforzo, ma
ci chiediamo se tale abbandono sia stato un vero progresso. La memoria, insiste sempre il dottor Smith, è un processo attivo che dura tutta la vita, non
un patrimonio passivo.
Il saggio è inoltre ricco di consigli
e trucchi davvero divertenti. Volete ricordare nomi e cognomi? Basta usare
il metodo delle associazioni: Carlo
Forni? pensare a San Carlo che si prepara una pizza; Sara Medici? una ragazza che dovrà consultare dei dottori;
Leonardo Bianchi? una persona ammira la Gioconda mentre fuori nevica.
Diventerete creativi.
A questo proposito una miniera
di consigli simili a un gioco ma molto
utili si trova anche nei libri di un altro
grande studioso ideatore di sistemi
per ricordare: Gianni Golfera. Sia Golfera sia Tom Smith consigliano per
esempio un antico metodo (risale a
Giordano Bruno) per riuscire a ricordare una lista di oggetti, azioni o persone. Basta collocarsi mentalmente
nella casa in cui siete cresciuti da bambini. Nessuno al mondo ricorda tanto
bene questa casa come voi che ricordate perfettamente il numero dei locali, la forma, la collocazione. In ognuna
di queste stanze collocate mentalmente la cosa, l’azione o la persona che volete memorizzare, ripercorrete poi le
stanze che ben conoscete e dentro troverete, indissolubilmente legato all’antico ricordo quello nuovo. Provare
per credere.
«Abbiamo bisogno di strade e ferrovie»
Trasporti Intervista con Bernhard Metzger, responsabile della Direzione logistica
della Federazione delle cooperative Migros
Andreas Dürrenberger
La Svizzera è una nazione legata alla ferrovia. Tuttavia, la manutenzione e l’ampliamento di un sistema ferroviario
sempre più sollecitato costa parecchi
soldi. Il Consiglio federale vuole garantire e ancorare nella Costituzione questo
finanziamento grazie a un apposito
fondo. Per questo motivo il 9 febbraio
prossimo il popolo svizzero sarà chiamato a votare sul progetto per il finanziamento e l’ampliamento
dell’infrastruttura ferroviaria, in breve
FAIF (leggi anche a pagina 30).
pliamento, ma in una prima fase si tratterà soprattutto di manutenzione. Nel
nuovo fondo per l’infrastruttura ferroviaria sono a disposizione 6,4 miliardi
di franchi fino al 2025. Il 60 percento di
questi soldi saranno utilizzati per la
manutenzione e solo circa un quarto
per l’ampliamento della rete. La Svizzera è un Paese legato alla ferrovia e
dobbiamo prenderci cura di questo eccellente sistema. Grazie al FAIF ciò
viene garantito.
L’anno scorso nel traffico passeggeri
si sono verificate moltissime avarie e
ritardi, al punto che Stellwerkstörung (guasto tecnico) è diventata addirittura la parola svizzera dell’anno.
Ne ha risentito anche il traffico
merci?
I trasporti delle merci avvengono soprattutto di notte. Sebbene esista un
piano orario, esso è comunque meno
preciso e quindi gli effetti dei guasti non
si ripercuotono allo stesso modo di
quelli che colpiscono l’intenso traffico
passeggeri. Tuttavia, stiamo toccando
determinati limiti anche nel traffico
merci.
in camion all’anno. Sarebbe bello, ma ci
si chiede se quei trasporti saranno effettivamente trasferiti dalla strada alla ferrovia.
La situazione cambierà con un ampliamento della rete ferroviaria?
Da parte del settore logistico manca
la volontà di passare dalla gomma
alla rotaia?
Di certo con un ampliamento potremo
eliminare qualche strozzatura. Ad
esempio, secondo la Confederazione, il
previsto raddoppio dei binari sulla
tratta Neuchâtel – Bienne comporta un
potenziale risparmio di 100’000 viaggi
Secondo lei, cosa dovrebbe cambiare allora?
Signor Metzger, cosa significa per
Migros la votazione sul FAIF?
Da anni siamo di gran lunga il maggior
cliente di FFS Cargo. L’anno scorso abbiamo trasportato su rotaia un milione
di tonnellate di merci, equivalenti ad
oltre 75’000 vagoni merci. Di conseguenza, siamo fortemente interessati ad
avere una rete ferroviaria efficiente e riteniamo che il FAIF sia una buona cosa,
sebbene il nome di «Finanziamento e
ampliamento dell’infrastruttura ferroviaria» sia un po’ fuorviante.
Cosa intende dire?
Con il FAIF non si tratta solo di am-
Sicuramente no. Il treno, però, non può
soddisfare tutte le esigenze logistiche dei
trasporti. Non si tratta soltanto dell’infrastruttura, ma anche dei costi di trasporto e delle limitazioni legate ai tempi.
Oggi il traffico merci avviene principalmente su strada e questa situazione resterà immutata anche in futuro.
Collaborazione
intelligente: i
trasporti su
gomma e rotaia
devono
completarsi a
vicenda.
(SBB-CFF-FFS)
Abbiamo bisogno di una rete stradale e
ferroviaria che funzionino bene. Perciò,
analogamente al FAIF, dovremmo mettere a disposizione sufficienti mezzi finanziari anche per la manutenzione e,
dove necessario, l’ampliamento della
rete stradale. Lo ha riconosciuto lo
stesso Consiglio federale, che sta già lavorando a un fondo per le strade nazionali e il traffico d’agglomerato, il
cosiddetto FOSTRA.
* Redattore di Migros Magazin
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni
Linguaggio e civiltà
Seduto al tavolino di un bar ascoltavo
distrattamente le frasi di adolescenti in
conversazione. Di conversazione, in realtà, ce n’era poca: con più frequenza arrivavano interiezioni oscene – quelle
che un tempo si dicevano, con riprovazione, «parolacce». È così: una frasetta e
tre parolacce; e qualche bestemmia. E gli
amici in ascolto fanno coro.
Capita spesso e non può stupire. Chi, almeno da ragazzo, non ha fatto uso di interiezioni volgari con gli amici? Ma due
cose mi sembrano strane. Noi, da studenti, si badava che non ci fossero adulti
nelle vicinanze che potessero sentire,
specialmente signore e signorine; sapevamo, dunque, che le volgarità linguistiche possono offendere la sensibilità
altrui e trasmettere un’immagine degradata di noi stessi. Nel romanzo di Federigo Tozzi Con gli occhi chiusi (1915) c’è
una donna, Anna, che tiene un’osteria –
un luogo dove, tradizionalmente, il tur-
piloquio è di casa. Ma, scrive Tozzi,
«quando qualcuno bestemmiava
troppo, Anna impallidiva e lo guardava
in faccia. Egli rimaneva con la parola in
bocca e tutti gli altri tacevano; e la conversazione era cambiata». Ora, invece,
nessuno sembra più farci caso: ed è
anche vero che il maggior numero di parolacce che ho raccolto in quella permanenza al bar provenivano da voci
femminili. Già: le ragazze sembrano più
sboccate dei maschi. Forse si battono
per la parità dei sessi e addirittura vogliono essere più emancipate dei compagni?
Seconda stranezza: le espressioni di volgarità sessuale vengono spesso usate
come gettoni polisemici quando non
viene la parola giusta – il che accade
spesso. Un po’ come agitare freneticamente due dita disegnando virgolette
nell’aria per avvisare che si sta dicendo
«onesto» ma in realtà si vuol dire «legit-
timo», o «legale», o qualsiasi altra parola
che non viene. Dove il lessico è povero,
la volgarità supplisce.
La lingua, si sa, evolve. Anche nel linguaggio asettico che usiamo comunemente s’infilano inconsapevolmente
parole che in origine erano oscene ma
che hanno perso il significato originario:
«fesseria», ad esempio, rinvia al termine
napoletano per indicare l’organo femminile; e «buggerare», preso alla lettera,
significa praticare la sodomia. Forse un
giorno le interiezioni oscene d’oggi saranno usate con altro senso nelle conversazioni salottiere della buona società.
Non è dunque qui il problema. Piuttosto, un problema emerge quando la volgarità inflazionata diventa spasso e
presunzione di spiritosaggine. Un’indagine condotta in Italia nel 2003 appurava che nelle trasmissioni televisive
italiane veniva detta una parolaccia ogni
21 minuti; e lo stesso studio, condotto
dalla Eta Meta Research, portava a concludere che il fenomeno corrispondeva
a una precisa scelta strategica delle reti
televisive, con il deliberato obiettivo di
aumentare gl’indici d’ascolto, alla ricerca della complicità dello spettatore.
Non sorprende: nel 1989 la Mondadori
pubblicò un Manuale per insultare meglio; tre anni dopo uscì un Insultario
pubblico. Si tratta, in fondo, di libri non
privi di arguzia e di ironia, ma testimoniano comunque che l’insulto furoreggia. Una decina d’anni fa la Mondadori
pubblicò poi un Piccolo libro degli insulti: un libro tutt’altro che stupido. Il
curatore, Beppe Cottafavi, metteva a
confronto insulti in uso nella prima
metà del Novecento con quelli dei decenni successivi e ne ricavava che anche
in questo campo la fantasia si andava
impoverendo: quanto più l’abitudine
all’insulto dilaga, tanto più l’improperio
perde di originalità e di efficacia.
Qualcosa dunque va perduto, e non solo
in dignità e decoro. L’impoverimento
del linguaggio è di per sé un segno di decadenza, perché solo un linguaggio
complesso permette l’espansione del
pensiero. Gustavo Zagrebelsky osserva:
«Il numero di parole conosciute e usate è
direttamente proporzionale al grado di
sviluppo della democrazia e dell’uguaglianza delle possibilità. Poche parole e
poche idee, poche possibilità e poca democrazia; più sono le parole che si conoscono, più ricca è la discussione politica
e, con essa, la vita democratica».
Occorre forse aggiungere che la parolaccia può anche costituire uno sfogo liberatorio. Se uno, piantando un chiodo nel
muro, si pesta un dito, trarrebbe ben
poco sollievo urlando «Perdindirindina!»: serve qualcosa di più forte. Ma,
come annotava Umberto Eco, «l’utilità
della parolaccia è appunto data dalla sua
eccezionalità».
Bahn in inverno è chiusa e andarci a
piedi è sconsigliato, si scivola, il ghiaccio. Tra le tante memorabilia in bacheca, diamo notizia, almeno, di un
arpione da baleniere-arma del delitto
in The adventure of Black Peter, l’antica
maglia di rugby a righe rosse e nere del
Blackheath (1858) dove ha giocato il dr.
Watson, la corrispondenza spedita al
221 b Baker Street alla quale rispondeva un’impiegata di banca, il «Times»
del 14 febbraio 1910 dove un corrispondente da Ginevra riportava il
bando delle ferrovie svizzere di leggere
i gialli. Superata questa anticamera
museale, eccoci nel salotto di Sherlock
Holmes a Meiringen (592 m), benché la
situazione sia da acquario. Colpiscono
le iniziali della regina Vittoria sforacchiate sulle vetrate: tra il visitatore e il
luogo di partenza di tante straordinarie
avventure. Un ornamento realizzato
nei momenti di noia dallo stesso Holmes, sparando sulle pareti. La tappezzeria vittoriana, scelta da Mrs Hudson,
la governante, è quella che si poteva
comprare all’epoca da Woolams & Co.
La maniacalità filologica con la quale è
stata ricreata questa stanza bric-à-brac
da John e Sylvia Reid è ammirevole.
Una scena teatrale senza personaggi,
ma con gli oggetti che rimandano agli
avventurosi casi vissuti da Holmes e
Watson e alle loro abitudini domestiche al primo piano. C’è il violino Stradivari, tazze di tè, il «Times»,
caminetto, lo scrittoio georgiano dove
Watson narrava le gesta di Holmes, le
sue armi portate dalla guerra afgana,
l’angolo degli esperimenti chimici, il
portaburro che serviva per i reperti criminali eccetera. Altre tracce apocrife
del pellegrinaggio holmesiano a Meiringen: Hotel Sherlock Holmes, Sherlock alpin club: per il doposcì, una
Sherlock Lounge: bar in uno chalet del
1780. E una vera, l’hotel Adler. Anche
se di hotel Adler ce ne sono dappertutto, l’unica donna che ha colpito Holmes è pur sempre Irene Adler.
di una causa superiore. Difendere una
corretta alimentazione significa impegnarsi sul piano della salute pubblica, su
quello della tutela territoriale favorendo
i prodotti locali e, in definitiva, su quello
della cultura e della civiltà. È un ruolo
che può conferire autorevolezza e rappresentatività, di portata nazionale e
addirittura internazionale, a chi sa interpretarlo ai più alti livelli. I grandi
cuochi figurano, a giusto titolo, fra i cittadini benemeriti, capaci di esprimere il
meglio di un Paese, valorizzando un
aspetto consolatorio dell’esistenza, trasformando il vizio della ghiottoneria in
virtuosa raffinatezza. Ogni Paese vanta i
suoi campioni. Attualmente proprio
uno svizzero ha raggiunto una fama
ormai mondiale: il grigionese Andreas
Caminada, che gestisce un ristorante
nel castello di Fürstenau, dove per avere
un tavolo bisogna prenotare con sei
mesi di anticipo. Come avviene a Forte
dei Marmi, da Lorenzo, e in altri luoghi
consacrati da un culto gastronomico riservato a pochi.
Ma, ristoranti stellati a parte, la gastronomia, al pari della moda e del turismo,
è diventata un fenomeno di massa, di
cui, proprio negli ultimi tempi, si registrano gli effetti sul piano mediatico. I
giornali, persino le cosiddette testate
autorevoli, concedono uno spazio crescente, addirittura debordante, alle rubriche di cucina, gastronomia,
alimentazione, che dir si voglia. Insomma, il mangiare viene proposto
sotto tutti i suoi possibili aspetti. Per
non parlare, poi, della televisione dove,
a ogni ora, sugli schermi compaiono
pentole, mestoli, carni, verdure, pesci
presentati da cuochi, che proprio qui
conquistano la popolarità di autentici
guru. Una trasmissione come Master
Chef decreta la loro sorte di «maghi
delle padelle», che rivelano i segreti del
brodo (che deve bollire per sei ore) e
dell’«insalata di radicchio», banco di
prova decisivo per il talento culinario,
secondo lo chef Carlo Cracco. In pratica, quali saranno poi gli effetti di tutte
queste edificanti lezioni? Sarà un’impressione strettamente personale, ma
osservando i carrelli, alle casse della Migros, li vedo colmi, in gran parte, di surgelati o addirittura precotti.
Passeggiate svizzere di Oliver Scharpf
Il salotto di Sherlock Holmes a Meiringen
Alla fine dell’avventura Il problema finale, apparsa nel dicembre 1893 sul
mensile «The Strand», Sherlock Holmes muore a Meiringen. Il più grande
detective di tutti i tempi, inventato da
Sir Arthur Conan Doyle (1859-1930),
cade nel baratro della cascata del Reichenbach, avvinghiato in una lotta fatale con il professor Moriarty: il
«Napoleone del delitto». Conan Doyle
decide di uccidere il suo geniale personaggio per dedicarsi ad altro, tipo studi
sullo spiritismo, senza però fare i conti
con l’affezionato pubblico. Ventimila
lettori disdicono l’abbonamento allo
«Strand». Nell’ottobre 1903 Sherlock
Holmes ritorna con La casa vuota: si è
salvato grazie a qualche cognizione di
baritsu giapponese. E così, un freddo
pomeriggio ai primi di febbraio scendo
alla stazione di Meiringen; comune
dell’Oberland bernese di quasi cinquemila abitanti adagiato sul fondovalle
pianeggiante dell’Haslital, dove scorre
il giovane Aar ora color assenzio. Un
posto dove ho sognato di andare fin
dalla mia preadolescenza, epoca in cui
ho divorato tutto Sherlock Holmes.
Accanto alla stazione, una roulottekebab. Va detto, spesso, i luoghi fantasticati a lungo attraverso i libri,
all’inizio, sono un po’ una delusione;
come Londra o Parigi del resto, ed è
tutto dire. M’incammino sulla Bahnhofstrasse e incontro subito le meringhe in vetrina: Café-confiserie Brunner
e Bäckerei-konditorei Frutiger, ex
Lüthi. Le meringhe nascono nel 1600
proprio a Meiringen – mutuandone da
qui il nome – per mano del pasticcere
Gasparini. Intorno tante montagne innevate. Pochi passi ed ecco la statua di
Sherlock Holmes; realizzata in bronzo
nel 1988 da John Doubleday, idea dell’ex direttore del Parkhotel du Sauvage
(1880) e la Sherlock Holmes Society
(1951). Seduto dinoccolato su una roccia, braccia conserte, cappotto genere
Inverness, cappello deerstalker, pipa
calabash. Tre elementi iconici derivati
dalle illustrazioni di Sidney Paget
(1860-1908) per lo «Strand». Alle sue
spalle, la stravagante chiesetta inglese
consacrata nel 1868 a uso dei tanti viaggiatori britannici di quei tempi da queste parti, tra i quali, lo scozzese Conan
Doyle. Dal 1991, il suo seminterrato è
sede del Sherlock Holmes Museum,
dov’è stato ricreato il salotto-studio
londinese di Sherlock Holmes al 221 b
di Baker Street. Mi siedo lì davanti,
panchina stile parchi inglesi, apre alle
16.30. In faccia alla chiesetta-museo c’è
una pista di ghiaccio ma pochi pattinano: i genitori spingono i bambini
sopra delle foche di plastica. Qui dietro
si staglia misterioso il Parkhotel du
Sauvage: l’«Englischer Hof» della finzione letteraria dove Holmes e il dr.
Watson prendono una stanza il tre
maggio 1891. All’audioguida auricolare rinuncio ben presto. Scendendo le
scale, riproduzione delle cascate del
Reichenbach di Turner, bisogna accontentarsi: la celebre Reichenbachfall-
Mode e modi di Luciana Caglio
Dopo gli stilisti è la volta dei cuochi
È proprio il loro momento, quello che
per una categoria professionale segna
l’apice di una notorietà e di un prestigio
che rende i suoi esponenti protagonisti
delle cronache. Sta succedendo ai cuochi ciò che, negli ultimi decenni, era avvenuto per i sarti, promossi a creatori, a
responsabili dell’estetica contemporanea, insomma stilisti, per usare un termine dai connotati persino divistici. Si
tratta, infatti, di percorsi paralleli e paragonabili. Al pari dei sarti, i cuochi
hanno compiuto un salto di qualità, dal
profilo sociale, tanto da meritarsi denominazioni più gratificanti. Si preferisce
chiamarli maestri, chef, artisti della tavola. Non è soltanto una questione di
nome, ma anche di ruolo. Oggi, i cuochi, o almeno i più capaci e ambiziosi, si
attribuiscono una funzione che supera i
limiti tradizionali della gastronomia. E
così come per Armani, Prada, Trussardi, e co., la moda non era stata unicamente vestiti, ma socialità, cultura,
sport, e quant’altro, alla stessa stregua,
adesso, i cuochi considerano la cucina
Andreas
Caminada nella
cucina del suo
ristorante nel
castello di
Schauenstein a
Fürstenau.
(Keystone)
un punto di partenza verso orizzonti
sempre più ampi e imprevedibili. E, per
forza di cose. La materia prima di questa branca, il cibo, è diventata un oggetto di studio esplorato da una scienza
in incessante sviluppo, quella dell’alimentazione appunto che ha stabilito relazioni con la medicina, la chimica, la
psicologia, l’antropologia, e via dicendo, come vuole l’interdisciplinarità.
Fatto sta che un’esigenza primordiale,
un tempo soddisfatta con risorse modeste e casalinghe, si è caricata di significati che hanno influito sugli addetti ai
lavori del settore creando nuove professioni, i dietisti per esempio, e attribuendo una nuova fisionomia anche
alla figura, tradizionalmente bonaria
del cuoco, a suo agio in un mondo di
pentole, fornelli e ricette per tutti. Ne
era stato un esempio il nostro Bigio
Biaggi con la rubrica televisiva «Cosa
bolle in pentola», a suo modo anticipatrice di tendenza.
La sta sostituendo una generazione di
cuochi che svolgono, con la dovuta professionalità, una funzione ormai ad
ampio raggio: al servizio, per così dire,
Iscriviti ora e partecipa:
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Il 29 marzo 2014 l’Europa-Park aprirà le sue porte in esclusiva per i membri Famigros.
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del 29 marzo 2014.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
9
Ambiente e Benessere
Il fascino delle isole greche
Hotelplan organizza per tutti i lettori
di «Azione» una meravigliosa crociera estiva
sulla nave Costa Fascinosa. Il viaggio di
gruppo avrà luogo dal 23 al 30 giugno 2014
Un reportage di… tre righe
La scrittura di viaggio sintetica
propone prima di tutto un
esercizio di concentrazione
Antonio Stoppa al Canvetto
In una mostra il precursore
della divulgazione naturalistica
delle nostre montagne
Champagne in via Collinetta
Il Federer Fans Club si allarga
dopo la vittoria di Stanislas
Wawrinka agli Open di Australia
pagina 19
pagina 10
pagina 13
pagina 15
La cardiologa
Julija Klimusina.
(Vincenzo
Cammarata)
Cuore di donna
Salute Quello che si dovrebbe sapere sulle malattie cardiovascolari, in una conferenza
organizzata da Forum Elle, giovedì 6 febbraio
Maria Grazia Buletti
Il cuore è la principale pompa del nostro organismo ed è responsabile dell’apporto di una sufficiente quantità di
sangue, dunque ossigeno, a tutti gli organi. Ogni giorno il nostro muscolo
cardiaco batte senza sosta da 50 a 90
volte al minuto. Ciò significa circa
100mila volte al giorno e più di 3 miliardi di volte in circa 80 anni di vita. Un vero «atleta», che però potrebbe ammalarsi e quindi non essere più in grado di
adempiere questo compito vitale, con la
conseguenza di un’insufficiente irrorazione sanguigna di polmoni, cervello,
reni, fegato, intestino, eccetera. E se la
cardiomiopatia si protrae nel tempo, il
cuore si altera in modo permanente
mettendo a rischio la vita stessa della
persona.
Secondo la Società Svizzera di Cardiologia, nel nostro Paese si contano
annualmente circa 30mila infarti e le
malattie cardiovascolari rappresentano
la più frequente causa di morte. «Distinguiamo le malattie cardiovascolari
in due grandi famiglie: quelle che colpiscono primariamente il muscolo cardiaco e quelle più frequenti, inerenti le
arterie cardiache che nutrono il musco-
lo stesso, il quale di conseguenza, non
ricevendo sufficiente apporto sanguigno, si può ammalare», esordisce la cardiologa Fmh Julija Klimusina che ci
riassume i principali fattori di rischio
delle malattie cardiocircolatorie: «Predisposizione genetica, ipertensione,
diabete, fumo, iperlipidemia (ndr: colesterolo alto), alimentazione e stile di vita possono intaccare arterie coronarie e
cuore e avere conseguenze gravi o infauste».
Non tutti sono coscienti però del
fatto che il cuore della donna manifesta
i sintomi delle malattie cardiache in
modo diverso rispetto a quello maschile: «Di fatto, in Svizzera le malattie cardiocircolatorie rappresentano la maggiore causa di mortalità femminile: nel
2010 le morti femminili dovute a una
malattia cardiovascolare rappresentavano il 37,2 per cento, mentre quelle dovute a un tumore erano il 23,3 per cento; mentre il rapporto fra donna e uomo
parla del 37,2 per cento di mortalità
femminile rispetto al 32,8 per cento di
quella maschile».
Il cuore della donna è diverso da
quello maschile? E soprattutto: l’infarto
è davvero un problema solo maschile? I
dati statistici dimostrano il contrario.
Come si manifesta quindi nelle donne e
come comportarsi in una situazione
d’emergenza? Al fine di far comprendere la prevenzione efficace delle malattie
cardiovascolari – anche e soprattutto
nella donna che spesso ne sottovaluta i
sintomi – e per fornire le risposte a queste domande specifiche, giovedì 6 febbraio (alle 20.15, Scuola Club Migros, a
Lugano in via Pretorio 15) la dottoressa
Julija Klimusina proporrà la serata informativa «Donna & Cuore, quello che
le donne dovrebbero sapere sulle malattie cardiovascolari».
Organizzata da Forum Elle di Migros Ticino in collaborazione con la
Fondazione Svizzera di Cardiologia,
questa conferenza ha lo scopo di informare il pubblico femminile sul tema
delle malattie cardiocircolatorie, proprio perché la donna stessa spesso tende
a sottovalutare una sintomatologia che
potrebbe presentarsi atipica rispetto a
quella dell’infarto acuto.
«Stanchezza generale, sudorazione,
dolore addominale superiore o alla
schiena, nausea, vomito o svenimento
spesso lasciano pensare ad altre cause
che la donna interpreta quasi sempre
come segnale di affaticamento da lavoro
o dallo stress del proprio ruolo. Di con-
seguenza la donna arriva all’ospedale in
ritardo per rapporto all’uomo», asserisce la dottoressa Klimusina, spiegando
che nel caso dell’infarto acuto «il tempo
vale il muscolo salvato: più si perde tempo e peggiore sarà la prognosi».
Inoltre, i fattori di rischio nella
donna aumentano al di sopra dei 45 anni: «Durante la menopausa diminuiscono gli estrogeni (ndr: ormoni femminili
che fungono pure da protezione per il
muscolo cardiaco), può aumentare il
colesterolo, mentre ipertensione arteriosa, diabete e stile di vita possono essere determinanti insieme al fatto che la
donna tende ad attribuire i sintomi della malattia a tutto fuorché al cuore».
Dunque, a breve come a lungo termine
la prognosi e la mortalità conseguenti
alle cardiomiopatie sono nettamente
superiori nella donna rispetto all’uomo.
A titolo preventivo si può fare parecchio: «Età e fattori ereditari sono fattori
di rischio non influenzabili, ma possiamo agire molto su tutti gli altri fattori
cosiddetti influenzabili come il tabagismo, l’ipertensione arteriosa, il diabete,
l’obesità e quant’altro».
Senza sottovalutare che la donna
giovane corre un rischio maggiore per
tutta una serie di motivi: «Prima della
menopausa, la combinazione della pillola anticoncezionale con il tabagismo
può notevolmente aumentare il rischio
degli eventi cardiovascolari», mette in
guardia la cardiologa che ricorda pure
come si sottovaluta la possibilità che
una giovane donna possa avere qualcosa al cuore; un atteggiamento che va sostanzialmente riveduto.
L’universo femminile può fare tanto per mantenere un cuore sano e per
prevenire l’insorgere di una malattia così infausta come la cardiopatia ischemica: «Essere bene informate, un sano stile
di vita, che comprenda un’alimentazione bilanciata e un’attività fisica regolare,
e il non sottovalutare i sintomi sono già
una buona prevenzione che può salvare
la vita», conclude la dottoressa Julija
Klimusina che, lo ricordiamo, sarà a disposizione del pubblico per la conferenza «Donna & Cuore» organizzata da Forum Elle Ticino insieme alla Fondazione Svizzera di Cardiologia.
Informazione
L’appuntamento è per giovedì
6 febbraio, alle 20.15, Scuola Club
Migros, a Lugano in via Pretorio 15.
L’entrata è libera.
10
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
Ambiente e Benessere
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Seducenti isole greche
Viaggio Per i lettori di «Azione», Hotelplan organizza
una meravigliosa crociera estiva sulla nave Costa Fascinosa,
dal 23 al 30 giugno 2014
Rotta verso la Grecia, terra ricca di storia e cultura. Alla scoperta della splendida Santorini, isola vulcanica con le
sue piccole case bianche dai tetti a cupola; della caratteristica Mykonos che
vi farà scoprire le specialità della cucina greca nelle tipiche taverne del suo
porticciolo e della magica Dubrovnik,
chiamata anche la perla dell’Adriatico,
città ricca di fama internazionale e patrimonio Mondiale dell’Unesco.
Il viaggio sarà intrapreso a bordo
della moderna Costa Fascinosa, dove
Programma
Costa Fascinosa,
isole greche
1° giorno – Trasferimento in
torpedone a Venezia e partenza alle
17.30.
2° giorno – Bari, arrivo 14.00,
partenza 17.30.
3° giorno – Corfù/Grecia, arrivo
08.00, partenza alle 13.00.
4° giorno – Mykonos/Grecia arrivo
15.00, partenza 23.00.
5° giorno – Santorini/Grecia, arrivo
07.00 partenza alle 14.00.
6° giorno – Navigazione.
7° giorno – Dubrovnik, arrivo 08.00,
partenza 13.00.
8° giorno – Venezia, arrivo 09.00,
trasferimento in torpedone in
Ticino.
l’ospite potrà gustarsi ogni istante della
sua permanenza grazie all’atmosfera
rilassante che avvolgerà la scoperta di
queste meravigliose destinazioni.
Basterà lasciarsi sedurre dalla vita
a bordo che regalerà momenti indimenticabili sulla Costa Fascinosa. La
nave vanta cabine spaziose che dispongono di bagno o doccia e toilette, climatizzazione, Tv, telefono, minibar,
cassaforte, asciugacapelli, servizio in
cabina 24 ore su 24. Inoltre sulla nave
si trovano cinque ristoranti (di cui due
a pagamento su prenotazione) e ben 13
bar, di cui un Cognac & Cigar Bar e un
Coffee & Chocolate Bar.
Al di là della ristorazione si annoverano anche quattro piscine (una con
copertura semovente), cinque vasche
idromassaggio, un centro benessere.
Per non parlare delle attività sia di divertimento, sia sportive e di benessere.
Ad esempio: la sera vengono offerti
spettacoli presso il teatro e musica nelle varie sale. C’è un casinò e la discoteca per trascorrere serate piacevoli,
mentre di giorno, per chi non volesse
scendere a terra, saranno proposte variegate attività sia per adulti sia per
bambini. Non mancano poi una pista
di jogging e il campo polisportivo. Lo
Spa Wellness Samsara di 6mila mq
ubicato su due piani, dispone infine di
palestra, piscina per talassoterapia, sale
trattamenti, sauna, bagno turco e solarium UVA.
Prezzi per persona
Tagliando
d’iscrizione
Cabina doppia interna: Fr. 1070.– per persona • Cabina doppia esterna con finestra:
Fr. 1200.– per persona • Cabina doppia esterna con balcone: Fr. 1390.– per persona
• Bambini da 0 a 17 anni in cabina con due adulti: Fr. 330.– per bambino •
Attenzione: cabine singole, triple e quadruple su richiesta.
Desidero iscrivermi alla crociera
estiva dal 23 al 30.06.2014.
Le quote comprendono
Trasferimenti in torpedone dal Ticino a Venezia e ritorno, sistemazione nella cabina
prescelta, trattamento di pensione completa, utilizzo di tutte le attrezzature della nave
e partecipazione alle attività di animazione a bordo, tasse portuali.
Cognome: ........................................................
Le quote comprendono
Spese di dossier Hotelplan (Fr. 60.–), quote di servizio obbligatorie da pagare a bordo,
bevande ai bar e ai pasti, escursioni e tour organizzati, assicurazione annullamento
(Fr. 80.– per persona), adeguamento carburante e ogni extra non menzionato nella
voce «Le quote comprendono».
Nome:
........................................................
Via:
........................................................
NAP:
........................................................
Località:
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Telefono:
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e-mail:
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Sarò accompagnato da … adulti
e … bambini (0-17 anni).
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T+41 91 820 25 25
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
13
Ambiente e Benessere
Viaggi di poche parole
Il cammino
infinito
Viaggiatori d’Occidente In Giappone, nel periodo Edo (1603-1867), i brevi haiku
Bussole Inviti a
furono molto usati per raccontare luoghi e incontri, inframmezzandoli alla prosa
letture per viaggiare
«Quando come me, prima di partire,
non si sa niente di Compostela, ci s’immagina un antico sentiero che corre fra
l’erba, con dei pellegrini più o meno solitari che lo mantengono in buono stato
con il loro continuo passaggio. Errore
grossolano, subito corretto nel momento
stesso in cui uno esce di casa per procurarsi quel documento noto come credencial, indispensabile per accedere agli alloggi per pellegrini! Si scopre allora che il
Cammino è oggetto, se non di un culto,
quantomeno di una passione, condivisa
da molti di coloro che l’hanno percorso.
Dietro l’antica via si cela una vera e propria organizzazione: associazioni, pubblicazioni, guide, uffici appositi. Il Cammino è una rete, una confraternita,
un’internazionale…»
Claudio Visentin
Si può raccontare un viaggio in diciassette sillabe? Sì, se scrivete un haiku.
L’haiku di regola è una poesia di tre soli versi, di cinque, sette e ancora cinque
sillabe. Tutto è essenziale sino all’estremo, le impressioni fluiscono dirette
dall’anima, non c’è spazio per nulla di
superfluo o decorativo. L’haiku coglie
con estrema precisione un attimo,
un’illuminazione, uno stato d’animo
indotto dallo spettacolo della natura
circostante: il silenzio, la solitudine, la
nostalgia…
mirare il plenilunio nelle migliori condizioni.
Nel 1689 intraprese un più impegnativo viaggio verso i boschi settentrionali (Lo stretto sentiero verso il profondo
Nord), nel corso del quale rifinì e mise
alla prova le sue categorie estetiche, scoprendosi sempre più parte obbediente
del grande regno della natura.
Incontrò la morte in viaggio verso
Osaka nel 1694. E la sofferenza fa capolino nel suo ultimo haiku: Viaggiando,
malato / la strada dei sogni miei / su una
palude prosciugata.
Gli haiku furono molto apprezzati
in Occidente. Ne compose Jack Kerouac, il cantore del viaggio On the Road
negli anni Cinquanta: Gli uccelli cantano / nel buio. / Alba piovosa.
Così come lo scrittore argentino
Jorge Luis Borges: La luna nuova. / Lei
pure la guarda / da un’altra porta.
Anche per un «viaggiatore d’Occidente» dei nostri tempi la sfida di raccontare un viaggio in forme brevi può
essere appassionante, ispirandosi al modello dell’haiku o ad altre forme di componimento. Ci sono per esempio i romanzi in sei parole, genere nel quale il
capolavoro riconosciuto è di Hemingway: «Vendesi scarpine da neonato,
mai indossate» («For sale: baby shoes,
never worn»). O meglio ancora i «romanzi in tre righe» di Félix Fénéon, critico letterario e d’arte francese che durante la sua vita non pubblicò neppure
un saggio ma seppe riconoscere il genio
dei pittori impressionisti e di scrittori e
poeti quali Verlaine, Mallarmé, Apollinaire, Rimbaud, Proust. Nel 1906, Fénéon scrisse per il quotidiano «Matin»,
senza mai firmarli, 1500 «romanzi» costituiti appunto da tra righe ciascuno.
Per esempio: «Ieri gara di pesca con la
canna nella Sèvre. / 1900 concorrenti
hanno gettato l’amo, / 15mila spettatori
incitavano il pesce ad abboccare.»
La scrittura di viaggio sintetica propone prima di tutto un esercizio di concentrazione: esprimersi in uno spazio
estremamente ridotto aiuta a rendere
più essenziale la scrittura, a dare il giusto
peso a ciascuna parola. Inoltre, pur partendo da così lontano, siamo assai vicini
alle forme d’espressione imposte dai
nuovi strumenti di comunicazione. Per
esempio il piccolo racconto di Félix Fénéon, riportato qui sopra, misura 135
caratteri, poco meno dei 140 consentiti
da Twitter. Questo social network di
successo potrebbe dunque essere la palestra perfetta per i vostri componimenti
di viaggio.
Una piccola sfida: provate a raccontare un vostro viaggio applicando la
«formula Fénéon», così come fu codificata dal suo inventore. Dedicate una riga
per la descrizione del luogo visitato, una
per raccontare un evento lì accaduto e
l’ultima per l’epilogo a sorpresa. Se non
altro – rispetto ad altri mezzi d’espressione come diari, raccolte di fotografie o
video – avremo il merito di non chiedere
troppo tempo ai nostri lettori…
Mandateci i vostri componimenti
più riusciti ([email protected])!
Vicky
il cammino di Tôkaidô che, snodandosi
vicino al mare, collegava Edo (dove aveva sede lo Shogun, il governatore del
paese) a Kyoto, residenza dell’imperatore (vedi «Azione» n. 10 del 4 marzo
2013). Ne trasse un libro di viaggio dal
titolo curioso: I ricordi di uno scheletro
scosso dalle intemperie (non è da meno
un altro suo libro intitolato Ricordi di un
bagaglio consumato). Negli anni seguenti viaggi e componimenti poetici si
moltiplicarono, a placare i movimenti di
un’anima inquieta: il viaggio più poetico
fu quello che compì al solo scopo di am-
C Lynn Steele
In ogni haiku troviamo un accenno (kigo) alla dimensione del tempo, quello
del componimento o della vicenda in esso narrata. È quasi sempre espresso in
forme indirette e raffinate: la fioritura
dei ciliegi, le lucciole d’estate, una fredda
pioggia autunnale, una festa pubblica
che cade in un particolare periodo dell’anno… Per esempio, sapete trovare il
kigo in questo haiku?
Stanco: / entrando in una locanda /
fiori di glicine. Naturalmente è il glicine, che rimanda alla bella stagione. E
ancora: Vecchio stagno / una rana si
tuffa. / Rumore dell’acqua. Qui è la rana
con i suoi giochi primaverili a segnare il
tempo.
Perché parliamo di questa poesia
minima? Perché in Giappone, nel periodo Edo (1603-1867), i brevi haiku furono molto usati per raccontare i viaggi,
inframmezzandoli alla prosa. Il maestro
di questo genere è l’autore dei componimenti che avete appena letto, Matsuo
Basho (1644-1694).
Matsuo Munefusa (questo il suo vero nome) dopo un’educazione militare e
alcuni anni di servizio come samurai
volle staccarsi dal mondo e dalle sue illusioni, diventando un monaco zen. Per
lunghi anni visse tra Kyoto e Tokyo, ma
fu soprattutto viaggiatore infaticabile e
attraverso l’uso dell’haiku seppe creare
ritratti di luoghi e incontri perfettamente conclusi.
Nell’estate del 1685, Basho compì il
tradizionale viaggio al Monte Fuij lungo
Yosa_Buson
Esprimersi in uno
spazio estremamente
ridotto aiuta a rendere
più essenziale
la scrittura e anche
a dare il giusto peso
a ciascuna parola usata
Infinito Cammino. Quando tutto sembra essere stato detto, ecco che un altro
pellegrino chiude a chiave la porta di casa, si mette in spalla le sue poche cose e
va per le strade del nord della Spagna
verso il «Campo della stella» e la fine del
mondo, per visitare la tomba di Giacomo. Sempre più spesso lo fa senza una
vera motivazione che non sia la curiosità, come Jean-Cristophe Rufin, medico
e scrittore, che si lascia plasmare giorno
dopo giorno dalla strada sino a concludere: «Partendo per Santiago non cercavo niente e l’ho trovato». E se in un primo momento si guarda il suo libro con
sospetto, con il timore che sia simile a
troppi altri, si finisce poi per apprezzarlo
pagina dopo pagina.
Ultimo paradosso: lungo il Cammino si
può…pedalare, come sembra dimostrare una fortunata guida giunta alla quarta
edizione. Un altro piccolo miracolo..
Bibliografia
Jean-Cristophe Rufin, Il cammino
immortale. La strada per Santiago,
Ponte alle Grazie, 2013, pp. 208, € 13,90;
Riccardo Latini e Mariacarla Castagna,
Guida al Cammino di Santiago de
Compostela in bicicletta. Oltre 800
chilometri dai Pirenei a Finisterre, Terre
di mezzo, 2014, pp. 160, € 18.
Trappole mentali
Giochi Come allenare l’intelligenza stimolando ed educando il proprio intuito
1. Giuseppe tiene stretto nelle mani
un pallone da basket. Appena allenta
la presa, il pallone si dirige verso l’alto, invece di cadere in basso. Come
mai?
2. Un commissario di polizia interroga un insigne professore e la sua assistente, sospettati di aver commesso
un delitto. L’uomo confessa: «Noi siamo colpevoli», ma l’altra dichiara: «Io
sono innocente». Come può spiegarsi
un fatto del genere, tenendo conto
che entrambi hanno detto la verità?
3. Un valente architetto mette a punto
un progetto per evitare il crollo degli
edifici in caso di forti scosse telluriche. Il progetto viene messo in opera,
ma nonostante la sua oggettiva validità, il numero di edifici lesionati aumenta sensibilmente rispetto al passato. Come mai?
4. Il 22° e il 24° presidente degli Usa
avevano lo stesso padre e la stessa madre, ma non erano fratelli. Come mai?
5. Due turisti inglesi girano per Roma; l’inglese più piccolo è figlio dell’inglese più grande, ma l’inglese più
grande non è il padre dell’inglese più
piccolo. Come mai?
6. Per questioni di lavoro, ogni tanto il
signor Valente Bellocchio deve portare
delle lenti a contatto graduate, pur se
gode di un’ottima vista. Come mai?
Soluzione
L’intelligenza è un’attitudine di difficile e delicata definizione; una sua
componente fondamentale, però,
consiste sicuramente nella capacità di
saper affrontare la soluzione di un
problema, riuscendo a individuare rapidamente lo spazio adeguato nel
quale ricercarla, senza farsi condizionare da fuorvianti presupposti. Questa capacità, che in alcuni individui è
innata, e che abitualmente viene definita intuito, è legata più a un’adeguata
impostazione mentale che a particolari predisposizioni genetiche; di conseguenza, si tratta di un’attitudine che
può essere opportunamente stimolata
ed educata. Molto spesso, infatti, non
si riesce a trovare una soluzione convincente, non perché non si possegga-
no gli strumenti opportuni per farlo,
ma perché inconsciamente si tende ad
affiancare ai dati di partenza altre ipotesi vincolanti, non esplicitamente
enunciate, che finiscono per rendere
irresolubile il problema.
Per darvi la possibilità di testare il
livello del vostro intuito, vi propongo
alcuni enigmi piuttosto capziosi, la
cui soluzione non necessita di particolari conoscenze, ma della capacità
di saper interpretare adeguatamente
l’enunciato proposto.
Vi consiglio, comunque, in tutti
gli eventuali casi in cui non riusciate a
trovare la soluzione corretta, di andare a leggere con attenzione quella ufficiale, cercando di individuare (e, possibilmente, di rimuovere…) il vincolo
mentale che vi ha indotto a cadere in
trappola.
1. Giuseppe si trova sott’acqua. Appena allenta la presa, il pallone sale a galla.
2. L’insigne professore ha parlato, usando il noi di maestà. Di conseguenza, è come
sa avesse detto: «Io sono colpevole».
3. Perché, diminuendo il numero di edifici totalmente distrutti, aumenta il numero
di quelli solo danneggiati (alcuni edifici che prima sarebbero crollati al suolo, adesso
riportano soltanto delle lesioni…).
4. Non erano fratelli, perché erano la stessa persona. Grover Cleveland, infatti, assunse la carica di presidente degli Usa due volte, non consecutive: dal 1885 al 1889 e
dal 1893 al 1897.
5. L’inglese più grande è la madre (e non il padre) di quello più piccolo…
6. Il signor Bellocchio lavora in una fabbrica di materiale ottico e, quindi, ogni tanto
deve… portare delle lenti a contatto ad alcuni rivenditori.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
15
Ambiente e Benessere
Un pioniere della divulgazione naturalistica
Escursionismo «Sulle tracce di Antonio Stoppani» è il nome della mostra allestita al Canvetto luganese,
che resterà aperta fino al primo di marzo
Marco Martucci
Fra le tante sfaccettature affascinanti
dei nostri monti c’è anche l’esperienza
che si prova, scarponi ai piedi, di non
sapere dove si è. Siamo in Svizzera o siamo in Italia? È perfino divertente sorridere di questi confini politici, come
quando mi capita di zigzagare giocherellando su qualche cresta lungo la linea
di frontiera. Le montagne non conoscono confini, se non quelli di suolo, di vegetazione e di roccia o ancora quelli formati da lunghe incisioni che chiamiamo
valli. Di certo nulla ha il sapore di quei
confini politici da noi fissati, fra ghiacci
e creste conquistati col sangue.
Naturalista, alpinista,
ricercatore, divulgatore,
appassionato di natura
e paleontologia, e anche
insegnante: sono solo
alcune delle tante facce
di Antonio Stoppani
Pensavo anche a tutto questo, l’altra
sera, durante l’inaugurazione della bella mostra Sulle tracce di Antonio Stoppani – pioniere della divulgazione naturalistica, presentata al Canvetto luganese dalla Fondazione Diamante e
promossa dal Club Alpino Svizzero Sezione Ticino con il Club Alpino Italiano Sezione di Lecco. La mostra luganese, che resterà aperta fino al primo
marzo, è un riassunto significativo di
una più ampia esposizione che il CAI
Sezione di Lecco aveva realizzato lo
scorso autunno, per i 150 anni del Club
Alpino Italiano, fondato nel 1863; lo
stesso anno in cui nacque il Club Alpino Svizzero. È anche per questo doppio compleanno che la mostra è stata
portata a Lugano, brillante intuizione
del nostro Club Alpino.
Le montagne, più che dividere,
uniscono. Prima della costruzione delle
Ritratto di Antonio Stoppani, penna su carta da spolvero, novembre 2013. (© Silvia Todeschini)
grandi vie di comunicazione di pianura, sono molti gli uomini e le donne che
sono transitati a piedi attraverso passaggi – San Jorio o San Lucio per citarne due – oggi frequentati da escursionisti e sportivi. Sulle tracce di Antonio
Stoppani – Percorsi fra montagna,
scienza e arte in Lombardia e Canton
Ticino, così la denominazione della
mostra di Lecco. Titolo felice che non
divide ma unisce queste nostre terre insubriche, le quali tanto si somigliano,
per cultura, lingua, monti, vegetazione
e clima.
Ecco dunque Antonio Stoppani, figura ottocentesca davvero poliedrica,
di cui l’esposizione mette a fuoco, volutamente, solo alcune facce, il naturalista, l’alpinista, la passione per la natura,
la ricerca, la paleontologia, l’insegna-
mento e la divulgazione. Conoscevo
pochissimo di Stoppani, tante volte
avevo visto il suo busto all’entrata del
Museo di Storia Naturale di Milano,
ma tutto finiva qui. È stata perciò – per
me e, credo, per molti – una piacevole
sorpresa scoprire, attraverso la mostra
e la sua presentazione, un personaggio
così importante per le nostre terre e
non soltanto.
A giusta ragione è stato scelto dal
progetto interreg Confini d’incontro.
Vie condivise d’arte, storia e tradizioni,
frutto della cooperazione transfrontaliera Italia-Svizzera, per sviluppare una
rete di itinerari di turismo culturale fra
Lombardia e Canton Ticino. E proprio
a Lecco, patria natale di Stoppani, è
previsto per domenica 23 febbraio un
pomeriggio speciale.
Antonio Stoppani: chi era? Eclettico è dir poco! Leggiamo allora qualche
notizia dalla sua biografia. Nacque il 15
agosto 1824 a Lecco, quarto di sedici figli. Entrò presto in seminario, fu ordinato sacerdote. Convinto sostenitore
dell’unità d’Italia, fu sulle barricate nella Milano delle «Cinque giornate» nel
1848 e aderì, appassionato di montagna, al neocostituito Club Alpino Italiano. Pur mantenendo una solida fede
cattolica, preferì dedicarsi all’insegnamento. Nel 1861 gli fu affidata la prima
cattedra italiana di geologia presso
l’Università di Pavia. Divenne poi professore di geologia all’Università di Firenze e al Politecnico di Milano. Scienziato autentico, Stoppani aveva raggiunto un alto livello in due scienze da
poco nate, la geologia e la paleontologia
– ovvero lo studio dei fossili – da autodidatta, attraverso letture, frequentazioni e soprattutto come instancabile
percorritore delle sue montagne che
amava e indagava nei loro aspetti naturalistici.
Sin da giovanissimo girava per le
montagne, fu anche sul nostro Monte
San Giorgio, cercando rocce e fossili,
tanto che qualcuno coniò il termine
stoppanizzare, per intendere che, dove
passava lui, non restava neppure un
fossile. Si può affermare che la ricerca
paleontologica in Lombardia nasce con
Stoppani, che troviamo fra i fondatori
del Museo Civico di Scienze Naturali di
Milano, da lui diretto dal 1882 fino alla
morte avvenuta nel 1891. Ma Stoppani
non fu solo eccellente geologo e paleontologo. I suoi interessi erano vastissimi e fra i suoi amici contava personaggi
come Antonio Rosmini, Alessandro
Manzoni e Giuseppe Verdi.
Fu scrittore prolifico e pubblicò
moltissimi libri, dai trattati scientifici
alle opere letterarie spesso finalizzate a
divulgare in modo semplice ma sempre
rigoroso le scienze naturali. Anche in
questo, Stoppani fu pioniere, uno dei
primi divulgatori scientifici. Celeberrimo è il suo libro Il Bel Paese, opera
scientifico-popolare, che divenne un
best-seller con oltre trenta ristampe nei
primi trent’anni e in cui Stoppani descrive in modo rigoroso e al contempo
poetico le meraviglie naturalistiche
dell’Italia. Curiosità: nel 1906 un notissimo formaggio venne battezzato con il
nome del libro più popolare dell’epoca.
Era il Bel Paese che per molti anni portò
sull’etichetta, accanto alla carta d’Italia,
l’effigie di Antonio Stoppani.
Alpinista nel vero senso della parola, Stoppani non fu. Non conquistò
grandi vette né aprì nuove vie. Ma, in
tempi in cui l’alpinismo era ancora disciplina elitaria riservata a persone facoltose, ebbe un forse ancor più grande
merito: quello di comprendere il valore
educativo e sociale dell’alpinismo e di
diffondere fra la gente il «piacere dei
monti».
Il censimento degli equidi
Mondoanimale La banca dati sul traffico di animali è uno strumento importante per salvaguardare
la salute di cavalli, pony, asini, muli e bardotti
Da quasi tre anni, in Svizzera vige l’obbligo di registrare tutti gli equini nella
banca dati sul traffico di animali (Bdta)
e quest’obbligo di notifica si estende a
tutti gli equidi: oltre ai cavalli anche pony, asini, muli e bardotti. L’Ufficio federale di veterinaria (Ufv), in comunione
con l’Ufficio federale dell’agricoltura
(Ufag), ritiene che la loro registrazione
consentirà, in futuro, di reagire meglio
alle minacce in caso di epizoozie.
«Oggi si pone il problema che a
fronte di un’epizoozia non si può assolutamente dire quali effettivi sono minacciati e come si può proteggere questi
equini», affermano all’Ufv e Ufag. Gli
addetti ai lavori spiegano che, al manifestarsi di un’eventuale epizoozia, bisogna essere in grado di dare pronta risposta alle seguenti domande: «Da dove
provengono gli equini colpiti? Con
quali altri animali sono entrati in contatto? Vi sono altre aziende ad essere
minacciate dall’epizoozia?».
Proprio grazie ai dati registrati nella Bdta diventa dunque più facile rispondere rapidamente a questi quesiti e
si possono di conseguenza attuare le
misure mirate a evitare il propagarsi di
un’eventuale epizoozia. All’inizio dello
scorso anno è scaduto il termine transitorio per la registrazione di tutti gli
equidi alla banca dati, ma fino ad allora
si stimava che un terzo di essi non era
ancora stato registrato. Di fatto, a fine
2012 dei circa 90mila capi detenuti in
Svizzera ne erano stati registrati 52’733.
Mentre oggi, a distanza di un anno, i dati indicano che la quasi totalità dei proprietari ha provveduto a registrare i
propri animali. Cifre confermate piena-
mente dall’Ufv: «A metà agosto 2013
erano registrati oltre 95’500 cavalli, pony, asini e muli».
All’Ufv e all’Ufag ribadiscono che
questo risultato rappresenta: «Una lotta
efficace contro le malattie infettive tra
gli animali, a patto però che i dati siano
costantemente aggiornati», e invitano i
proprietari di un equide a notificare
tempestivamente tutti i cambiamenti
che sopravvengono nel tempo.
Lilly M.
Maria Grazia Buletti
Dunque, registrare un equino (o un
equide) significa innanzitutto iscriverlo
alla banca dati sul traffico degli animali
Bdta che si trova su www.agate.ch. Inoltre: «Tutti devono essere muniti di un
passaporto e i puledri devono essere
identificati mediante microchip». Una
volta effettuata la registrazione, i doveri
non sono finiti perché alla Bdta vanno
notificati anche un’eventuale esportazione, un cambio di proprietario o scuderia e gli altri importanti cambiamenti
ed eventi occorsi. Ed è proprio su tutti
questi cambiamenti e sulla loro relativa e
tempestiva notifica che gli uffici preposti
mettono l’accento a inizio 2014, a partire dal cambio di scuderia: «Se un equide
è trasferito per oltre 30 giorni in una
nuova scuderia o su un nuovo pascolo,
occorre inoltrare una notifica di cambio
di ubicazione. Lo stesso vale per i trasferimenti all’estero, per cui dovrà essere
registrato il Paese di destinazione».
Nelle disposizioni vengono altresì
regolate le norme di registrazione di
vendita e acquisto, in modo che il nuovo proprietario annunci correttamente
e tempestivamente l’acquisizione dell’animale. Anche l’importazione di animali che non figurano ancora nella Bdta
è soggetta a notifica. E naturalmente,
pure la nascita di un puledro deve essere
registrata entro 30 giorni, mentre la giumenta deve ovviamente già figurarvi.
All’atto della notifica della nascita, il puledro è sempre registrato come animale
da reddito e sta al proprietario notificare l’eventuale cambio dello scopo di utilizzazione, chiedendo la mutazione sulla banca dati da «animale da reddito» ad
«animale da compagnia». Ma attenzione: la mutazione non può essere revocata e gli animali da compagnia non possono essere macellati né immessi nella
catena alimentare! Merita naturalmente un accurato aggiornamento anche la
morte di un equide, sia in caso di macellazione (se si tratta di un animale da
reddito) sia per quelli da compagnia.
L’aggiornamento costante della
Bdta contribuisce a che essa diventi una
vera e propria piattaforma per tutte le
organizzazioni equine, a tutela dei nostri animali. Inoltre: «Un’identificazione inequivocabile e la registrazione sono anche presupposti importanti per la
notifica di trattamenti con medicamenti veterinari e la rintracciabilità delle
derrate alimentari di origine animale».
L’indirizzo di registrazione è
www.agate.ch > Informazioni > Notifica degli animali > Equidi, dove si trova
pure un elenco delle organizzazioni riconosciute per il rilascio del passaporto.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
17
Ambiente e Benessere
Dolci… espressini
Cucina
di Stagione
La ricetta
della settimana
Dessert
Ingredienti per 4 persone: 50 g di pasta sfoglia · zucchero ·
1 dl di caffè espresso molto forte · 1 dl di panna intera · 2 cucchiai di liquore al caffè · 30 g di crema alla vaniglia in polvere
da cuocere.
1. Scaldate il forno a 180 °C. Stendete la pasta sfoglia su uno
strato abbondante di zucchero in una sfoglia di 5 mm. Ritagliate dalla sfoglia 1 rondella per persona di circa 3 cm. Accomodatele in una teglia foderata con carta da forno. Cuocete
al centro del forno per 15 minuti.
2. Mescolate l’espresso con la panna, il liquore e la crema in
polvere. Trasferite il tutto in una padella e portate a ebollizione
per 2 minuti, mescolando. Distribuite la crema nelle tazzine
da caffè o in bicchierini e lasciatela raffreddare. Al momento
di servire posate sulla tazzina il coperchio di pasta sfoglia.
Un esemplare gratuito
si può richiedere a:
tel. 0848 877 869*
fax 062 724 35 71
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
19
Ambiente e Benessere
Sognando altri colpi grossi
Sportivamente Complice il tennis implacabile di Stan Wawrinka contro Rafa Nadal, nella finale dell’Australian
Open vinta dallo svizzero, e lo champagne stappato con largo anticipo nel salone tv del club di Via Collinetta,
i soci festeggiano rumorosamente il primo «slam» dell’ex ombra di Roger Federer
Alcide Bernasconi
Quella domenica mattina c’era un buon
numero di soci del Federer Fans Club di
Via Collinetta nel salone della tv. Qualche giovane era riuscito ad alzarsi in
tempo per non perdersi i primi scambi
tra Stanislas Wawrinka e Rafa Nadal
perché i genitori l’avevano costretto a
salire in villa, e non mancare di rispetto
alla presidentessa che si era data molto
da fare per organizzare quel party di cui
si era persa l’abitudine da quando Roger
Federer usciva troppo presto dai tornei
dello slam.
A più di una settimana
dallo storico incontro,
alcuni momenti
rimangono impressi
nella memoria dei fan
Stavolta ero salito soltanto io, in villa,
quando Rafa ha costretto il nostro a tornare negli spogliatoi dopo tre set, senza
intervista finale, quella che spetta al vincitore e per la quale Federer aveva ritrovato il gusto, cavando anche un paio di
battute esilaranti dal suo repertorio, come nelle occasioni che contano. Riempito il sacco da tennis in un baleno, le
racchette infilate alla rinfusa e sopra,
forse, il solito asciugamano, da portare a
casa o da regalare a qualche sostenitore
di riguardo, Roger si era già infilato nel
corridoio verso lo spogliatoio, sparendo
alla vista del pubblico, mentre Michelle,
pensando di non esser vista, si asciugava una lacrima. Quasi impassibili, invece, i volti di Miroslava, moglie del campione, dell’allenatore e consigliere Stefan Edberg, che sembra aver fatto finora
un buon lavoro, non fosse che per la vit-
toria di Federer contro Murray. Quanto
a me, mi sono limitato a stringere forte
la mano a donna Michelle, come sempre al limite del pianto ogni volta che
Nadal, o Djokovic e, talvolta, Murray si
congedavano da Roger, battendogli una
mano sulla spalla, come a dire di non
prendersela, che comunque aveva disputato una buona partita.
Sapevamo entrambi, donna Michelle ed io (e perfino la governante
Victoria) che il destino era segnato,
quando quel satanasso di Rafa rispondeva a tutti i colpi. Qualche bella giocata dal basilese bastava appena a strappare un «oh!» di ammirazione del pubblico e di qualche cronista, oltre agli applausi di circostanza. Nadal, una mano
ricoperta di bendaggi, i tic rispolverati
come nelle migliori giornate e i servizi
sempre ad alta velocità, aveva mostrato
all’amico Roger che il più forte era sempre lui. Federer doveva fare un ulteriore salto di qualità, per ritrovare quelle
risposte che destabilizzavano a volte lo
spagnolo.
Sorprendendo quasi tutti, ci sarebbe riuscito Stan Wawrinka a suscitare
dubbi su dubbi nella mente di Rafael
Nadal, in una finale, pur non bellissima, che non potremo però mai dimenticare. Dovevate sentirli, i soci del club
– da qualche giorno ormai, ossia dall’eliminazione dell’esterrefatto Djokovic ad opera del vodese nei quarti – il
nuovo «Federer & Wawrinka Fans
Club». Tifo da calcio o da hockey, voci
che si alzavano sempre più col passare
del tempo, visto che Victoria, con l’intuito di chi sa fare bene il suo mestiere,
aveva già portato in tavola diverse bottiglie di champagne. Di quello buono.
Ai fans pareva di sognare: pasticcini
preparati ad arte, e quel nettare perlaceo in due versioni, bianco e rosé. Così
c’era davvero gusto a seguire la finale.
Wawrinka festeggiato al suo rientro a Ginevra. (Keystone)
Stan sparava i suoi colpi senza alcun timore reverenziale. La sua faccia era
quasi impassibile e alcuni lampi nei
suoi occhi confermavano che si trattava proprio di lui, non di un automa con
le sue parvenze. Il clan di Nadal, in tribuna, abbozzava gesti come per dire a
Rafa di non preoccuparsi. Ma bastava
guardarli, i maiorchini, per capire che i
più in ansia erano proprio loro. Certo,
non sto a raccontare ancora l’incontro,
a oltre una settimana dal trionfo di
Stan, ma l’intermezzo di nove minuti e
rotti in cui Rafa aveva abbandonato il
campo per farsi curare un dolore improvviso alla schiena, aveva gelato la
sala. A un certo punto Stan è scattato,
alzando la voce in direzione del giudice
di gara, perché non gli era stato detto
che cosa stava succedendo. Abbiamo
visto che cosa possa significare, sul piano psicologico, un’interruzione come
quella in una finale. Fortunatamente
Rafa e Stan sono buoni amici, però Wawrinka per un po’ ha perso il filo del
suoi gioco nel terzo set, prima di ritrovare pienamente il controllo della partita nel quarto. Alla fine, battuto 6-3 6-2
3-6 6-3, Rafa ha appoggiato la testa sulla spalla dell’avversario. Non voleva
gettare la spugna lo spagnolo e si è perciò battuto a fondo per onorare il vode-
se, la platea, gli organizzatori e Rod Laver, a cui è intitolata l’arena di Melbourne.
Mi chiedo che cosa passasse per la
testa a lui, uno dei più grandi campioni
del tennis mondiale, in quel festival di
colpi micidiali, scagliati con violenza,
dritti e rovesci per non dire dei servizi
sparati come proiettili, scatti, frenate e ripartenze. In questo gioco, logorante quasi come una tortura, che ha messo k.o.
Nadal, Laver ha visto comunque benissimo la crescita di Wawrinka, lasciando
intendere che le probabilità di successo
finale erano altissime per lo svizzero. Ancora un paio di cosette da sistemare, ma
questo Stan può vincere altri slam se tiene duro. Era stato o no, Wawrinka, il primo a battere Djokovic e Nadal nello stesso torneo? Eccolo balzare così, Stan, al
terzo posto della classifica mondiale, dopo aver impedito al direttore di banca
che abita ai piedi della collina, fan del
maiorchino ma nonostante ciò socio del
club della presidentessa, Michelle, di
piantare l’ennesimo alberello di… Nadal
per festeggiare il «suo» pupillo.
I brindisi sono tutti per Wawrinka.
Nel mucchio festante mi limito a un casto bacio su una guancia di Michelle che
prima di congedare gli amici, a chiusura
della splendida mattinata, dice di augurarsi che Federer ci ripensi e partecipi
con Stan all’impegno di Coppa Davis a
Novi Sad contro la Serbia. Una Davis, ecco che cosa ci manca. Il vincitore dell’Australian Open aveva o no salvato
l’Olimpiade di Federer a Pechino guidandolo quasi nella finale del doppio alla
conquista della medaglia d’oro. E, infatti,
Roger ci ha ripensato. Il nuovo «Federer
& Wawrinka Fans Club di via Collinetta» stringe di nuovo i pugni: ecco giunto
il momento di uscire dal torpore, perché
il tennis svizzero ha – sembra – ancora
qualcosa d’importante da dire.
Giochi
Cruciverba
Risolvi il cruciverba e,
leggendo le lettere nelle
caselle evidenziate,
troverai un proverbio.
1
2
3
4
5
9
6
7
10
13
14
11
15
Sudoku Livello difficile
8
12
16
17
18
19
20
21
22
23
24
,
26
29
25
27
,
Scopo del gioco
Completare lo
schema classico
(81 caselle,
9 blocchi, 9 righe
per 9 colonne) in
modo che ogni
colonna, ogni riga
e ogni blocco
contenga tutti i
numeri da 1 a 9,
nessuno escluso
e senza ripetizioni.
3
1
9
4
6
6
27. Riceve l’oro
28. Giungono proprio in centro
29. Gli estremi del Nord
30. In, in francese
31. Tolgono il sonno
33. Pecora, capra
34. Non variabile
VERTICALI
1. «Da» in inglese
2. La cultura a Lugano... in futuro
3. Le iniziali del giornalista Giannino
4. Può essere telefonica
5. Lettera dell’alfabeto greco
6. Un numero
7. I bis della salsa
8. Diffusione di liquidi attraverso una
membrana
1
7
3
9
3
9
31
5
5
4
1
32
9
34
4
ORIZZONTALI
8
1
2
1. Nome femminile
5. Risolve problemi di natura ortopedica
9. Un condimento per tagliatelle
10. Ha la criniera sulla schiena
11. Di questo ne è pieno il borioso
13. La lingua dei trovatori
14. Assicura il carico sul mulo
16. Tutt’altro che sommo
17. Canta «Meraviglioso amore mio»
18. Uno strato del nucleo terrestre
19. Non è mai sazia!
20. Si spazientisce facilmente
21. Decora il muro
22. Simulacri
23. Un’agile saltatrice
24. Un figlio di Adamo
26. Fa i cross
2
28
30
33
6
10. L’incitazione per sollevare
un grosso peso
12. Uno dei Sette Nani
15. Opera di Giuseppe Verdi
16. Non si possono lasciare a piedi
17. Un cereale
18. Segnano il tempo
19. Messaggero, banditore
20. La stessa cosa
21. Il Paradiso delle Alpi
22. Un trampoliere
24. Bagna Firenze
25. Anagramma di gaio
27. Amò la ninfa Siringa
28. Una sigla dell’Arma dei
Carabinieri
30. Preposizione
32. Le iniziali dello scrittore Saba
5
7
Soluzione della settimana precedente
Piante e salute – Frase risultante:
Sedative e antinfiammatorie.
A
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Svizzera, al kg
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
23
Politica e Economia
Olimpiadi invernali a Sochi
Avranno luogo dal 7 al 23
febbraio nella città della Russia
meridionale. Proteste, critiche
internazionali e timori
di attentati stanno rovinando
a Putin e al suo governo poco
liberale la vigilia dei giochi
Obama più ottimista
Nel suo consueto discorso sullo stato
dell’Unione il presidente americano promette
al Paese di voler trasformare il 2014 in un anno
di azione, con o senza Congresso, e di ridare
vita al sogno americano che si è spento durante
i primi anni del suo mandato
Fra gli eredi di Gengis Khan
La Mongolia si è aperta al
capitalismo, al prezzo di grosse
fratture sociali ed economiche
Votazioni federali
Finanziamento delle ferrovie
e attribuzione dei costi degli
aborti al voto il 9 febbraio
pagina 25
pagina 24
pagina 30
AFP
pagine 26-27
In Tunisia è ancora primavera
Nuova Costituzione È stata salutata come una pietra miliare della democrazia in Medio Oriente, a differenza
di quella egiziana appena approvata non garantisce alcun privilegio o immunità ai militari
Marcella Emiliani
Hanno impiegato 2 anni e 3 mesi, ma
alla fine i tunisini ce l’hanno fatta. Il 26
gennaio scorso l’Assemblea costituente
ha approvato a larga maggioranza (200
a favore, 12 contro, 4 astenuti) la nuova
Costituzione che si presenta come la più
democratica mai apparsa in Medio
Oriente. Considerate le convulsioni
delle primavere arabe, il risultato è decisamente positivo. Gli stessi padri costituenti erano consci del buon lavoro fatto e, brandendo la bandiera, hanno festeggiato cantando tutti assieme l’inno
nazionale. Vale la pena dunque vedere
quale futuro politico è stato disegnato
sulla carta per la Tunisia, partendo dal
punto dolens dell’islam.
La maggior preoccupazione dell’Occidente e dell’opinione pubblica
tunisina, di gran lunga la più laica della
regione, era che la sharia, ovvero la legge islamica, diventasse la fonte prima-
ria del legislativo. Preoccupazione fondata, visto che la maggioranza dei seggi
della Costituente medesima (91 su 216)
era occupata da rappresentanti di EnNahda (il Partito della rinascita) dichiaratamente islamico, che ha vinto le
elezioni dell’ottobre 2011. Ebbene, anche dentro En-Nahda, ha vinto lo spirito di riconciliazione nazionale e l’islam
è stato riconosciuto solo come «religione della Tunisia». Attenzione: «della
Tunisia», non dello Stato, che rimane
civile, secolarizzato e concede piena «libertà di credo e coscienza» a tutti i suoi
cittadini.
Questa precisazione, contenuta
nell’articolo 6, è importante perché in
pratica proibisce l’apostasia. L’apostasia
a noi ricorda il Medio Evo ma per i musulmani di oggi è un rischio reale. I takfiristi (takfir in arabo significa il massimo dell’empietà o apostasia, appunto)
cioè gli estremisti islamici che si arrogano il diritto di giudicare chi sia o non sia
un buon musulmano, arrivano a condannare a morte chi giudicano apostata. Il povero Anwar Sadat, allora presidente dell’Egitto, il 6 ottobre del 1981 ci
rimise la vita per questo, dopo aver fatto
la pace con Israele a Camp David nel
’79. Unica concessione ai nostalgici del
califfato islamico, l’obbligo per i candidati alle presidenziali (non alle politiche) di essere di fede mussulmana.
E visto che i due poli che si stanno
azzuffando nelle primavere arabe sono
soprattutto i partiti islamici e gli eserciti, andiamo a vedere cosa è previsto per
le forze armate. A differenza della nuova Costituzione egiziana, quella tunisina non garantisce alcun privilegio o impunità ai militari, specificando che
«l’esercito nazionale appoggia le autorità civili in base ai principi e alle condizioni definite dalla legge». Le Forze armate d’altronde in Tunisia non hanno
mai avuto il peso e l’importanza che
hanno avuto in Egitto fin dal 1952 e non
hanno giocato alcun ruolo politico nella
Primavera dei gelsomini. Hanno anzi
protetto la popolazione dagli attacchi
delle forze di sicurezza che erano lo
strumento principe della repressione di
Ben Ali.
Tutto sta a vedere quanto saranno
forti e salde le istituzioni che l’esercito è
chiamato a difendere e coadiuvare. Sotto questo profilo la Tunisia si è dotata di
un regime misto che affida l’esecutivo
sia al presidente della repubblica che al
capo del governo che decidono assieme
le linee generali nel campo della difesa,
della politica estera e della sicurezza nazionale nel rispetto delle leggi votate dal
parlamento, eletto a suffragio universale. Il presidente è eletto per 5 anni e può
essere oggetto di impeachment qualora
lo richiedano i due terzi del parlamento,
anch’esso eletto con un mandato di 5
anni. Sulla carta tutto è stato calibrato
perché non si creino centri di potere
troppo forti e ci sia un costante monito-
raggio di un’istituzione sull’altra. Insomma un check and balance che – come ha sottolineato l’attuale presidente
della repubblica Moncef Marzouki (al
centro nella foto) – metta la Tunisia al
riparo da altre dittature.
Ma, islam a parte, la nuova Costituzione tunisina è stata salutata come una
pietra miliare della democrazia in Medio Oriente per il totale rispetto dei diritti umani, civili e politici che proclama, primo fra tutti l’uguaglianza tra uomo e donna che a quelle latitudini suona come iperavveniristica. Detto ciò,
nessuno si illude che la nuova Costituzione possa alleviare nell’immediato i
gravi problemi economici del Paese e
comincia a serpeggiare anche la preoccupazione per la reazione dei partiti
islamici «alla destra» di En-Nahda come Hizb ut-Tahrir (Partito della liberazione) o, peggio, delle formazioni salafite jihadiste. Ma intanto la Tunisia ha
tracciato ancora una volta la via.
24
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
Politica e Economia
È iniziato il conto alla rovescia
Olimpiadi invernali di Sochi Si stanno per aprire i giochi olimpici più costosi e rischiosi della storia, sui quali
Astrit Dakli
Se non fosse in gioco la stabilità di mezza Europa, e con essa le prospettive di
sviluppo e di uscita dalla crisi economica della stessa Russia, il disastro dell’Ucraina potrebbe tornar comodo a
Vladimir Putin. Le fiamme di Kiev hanno infatti spostato l’attenzione generale
lasciando per il momento in ombra i
problemi che il leader del Cremlino ha
di fronte in quel di Sochi, dove dal 7 al
23 febbraio si svolgeranno i giochi
olimpici più costosi – e rischiosi – della
storia, giochi sui quali Putin ha puntato
tutto il prestigio della sua figura facendone l’evento-chiave del proprio mandato presidenziale.
Il tema dei diritti degli
omosessuali
sta accendendo
gli animi dopo la legge
anti-gay di Putin
All’appuntamento di Sochi, Putin arriva con degli indubbi successi ma anche
con parecchi guai e soprattutto con
molte incognite aperte, con la possibilità di cambiare completamente il segno
al bilancio finale che si potrà tirare
quando gli ultimi atleti avranno lasciato
il resort sulla costa del Mar Nero per far
ritorno a casa.
Tra i successi, il principale è indubbiamente l’aver tenuto fede agli impegni presi nel 2007, quando riuscì con
uno straordinario pressing personale ad
ottenere l’assegnazione dei giochi invernali: nonostante la crisi economica
abbia colpito negli anni successivi la
Russia in misura superiore alle attese, e
nonostante una marea di problemi tecnici, logistici e perfino strategici, ora
tutto è pronto a dispetto delle pessimistiche previsioni di molti, in Russia e
fuori. La città di Sochi – già fatiscente
esempio di urbanizzazione alla sovietica – è stata trasformata in una modernissima e scintillante vetrina della moda
e dello sport, alberghi nuovi di zecca
hanno in offerta oltre quarantamila posti letto, impianti ultramoderni accoglieranno le prestazioni dei seimila atleti attesi nel centro montano di Krasnaya
Polyana, collegato a Sochi e alla costa
del Mar Nero da un’autostrada e una linea ferroviaria di nuovissima costruzione: le basi materiali per lo svolgimento di giochi olimpici nel modo migliore ci sono insomma tutte – e non era
un risultato scontato.
Ma sull’altro piatto della bilancia ci
sono comunque guai non risolti, o addirittura provocati proprio da Putin e
dal suo modo di gestire la politica nazionale. In primo luogo, la questione
della cosiddetta legge anti-gay, che se
non ha portato come alcuni temevano
(o speravano) a un boicottaggio dei giochi come quello che seguì l’invasione
sovietica dell’Afghanistan nel 1979,
mettendo in crisi i giochi olimpici estivi
di Mosca 1980, porterà comunque a
proteste e contestazioni durante le
prossime settimane. La legge in questione, ricordiamo, non mette fuorilegge i
gay né considera reato le relazioni tra
persone dello stesso sesso – come alcuni
in Occidente con ignoranza sostengono
– ma prevede il divieto di svolgere «propaganda omosessuale» in pubblico in
modi e luoghi dove essa possa essere recepita da minorenni. In pratica essa
mette al bando le manifestazioni del gay
pride e consente di sanzionare chi per
esempio esibisca in pubblico simboli legati al movimento gay. Come conseguenza collaterale della stessa legge, le
autorità russe hanno imposto uno stop
alle adozioni di bambini russi verso
quei Paesi dove è legale il matrimonio
fra persone dello stesso sesso. Ci sono
state fortissime proteste in Europa e negli Stati Uniti riguardo questa iniziativa,
fortemente voluta dalla Chiesa ortodossa e da una parte significativa del partito
Russia Unita, ma Putin l’ha voluta confermare e difendere ad ogni costo (pur
insistendo sul fatto che ai giochi di Sochi «saranno benvenuti e tutelati tutti
gli atleti e gli spettatori, senza riguardo
ai loro orientamenti sessuali»); è certo
che durante le due settimane dei giochi
sia alcuni atleti sia gruppi di visitatori
stranieri insceneranno proteste e manifestazioni spiacevoli per il Cremlino.
Più in generale, Putin arriva all’appuntamento olimpico con addosso un
vespaio di critiche internazionali per
l’atteggiamento autoritario e assai poco
liberale del suo governo: anche per depotenziare queste critiche il leader russo ha voluto in dicembre un’amnistia
che ha fatto uscire dal carcere migliaia
di detenuti tra cui – non a caso – tutti i
più noti in Occidente, dall’ex re del petrolio (tramutatosi in filosofo e politico
liberal) Mikhail Khodorkovskij alle ragazze del gruppo Pussy Riot, Marija
Alyokhina e Nadja Tolokonnikova. Pur
apprezzata, questa misura di clemenza
non ha ovviamente fermato le critiche e
le accuse di autoritarismo.
Il punto più critico comunque, dove si concentrano le maggiori incertezze
e i maggiori timori, più che le proteste e
le critiche, resta quello della sicurezza.
Nonostante un enorme spiegamento di
forze in tutta la regione, il Cremlino
non sembra pienamente in grado di garantire che i giochi non saranno in qualche modo toccati dal terrorismo separatista e islamista, fattosi molto attivo negli ultimi tempi, con il suo massimo
esponente, l’«emiro» ceceno Doku
Umarov, che ha esplicitamente invocato la necessità per i gruppi estremisti attivi nella regione di colpire proprio le
Olimpiadi invernali e la loro macchina
organizzativa. In questi sette anni passati da che i giochi sono stati assegnati a
Sochi, poco o nulla è stato fatto dalle autorità di Mosca per curare politicamente e socialmente il tumore che da un
ventennio avvelena Caucaso: né investimenti per creare posti di lavoro né
negoziati per coinvolgere i gruppi radicali, né misure per combattere la corru-
Keystone
il presidente russo Putin ha puntato tutto il prestigio della sua figura facendone l’evento-chiave del proprio mandato
zione e l’arbitrio che imperano nella regione.
Al contrario, in molti casi la valanga di denaro (50 miliardi di dollari, secondo i calcoli più aggiornati) abbattutasi su Sochi e dintorni ha alimentato
corruzione e mafie, mentre a lavorare
nei cantieri venivano chiamati – a salari
bassissimi e in condizioni semi-schiavistiche – operai centroasiatici importati
a intere squadre da organizzazioni malavitose. Il notissimo blogger Aleksej
Navalny, diventato ormai da tempo un
vero e proprio leader politico dell’opposizione, ha pubblicato proprio alla vigilia dei giochi un poderoso dossier sulla
corruzione, gli imbrogli e i furti che
hanno contraddistinto la preparazione
delle Olimpiadi invernali, portando
nelle tasche private di un pugno di oligarchi molto vicini a Putin e all’entourage del Cremlino un buon terzo dei
soldi pubblici spesi dallo Stato. Ovviamente le autorità hanno negato totalmente le affermazioni di Navalny, sostenendo che in realtà i costi dell’operazione Sochi 2014 sono stati largamente
inferiori a quanto detto dai critici.
Sochi è a pochi chilometri dalle repubbliche caucasiche ribelli – nonché
dall’Abkhazia in lotta con la Georgia,
ma questa è un’altra storia – e si trova di
fatto nel territorio che due secoli fa era
la patria dei circassi islamici, poi sconfitti e costretti alla diaspora dai generali
dello zar con lunghe e sanguinose guer-
re. Umarov ha parlato di «danze sataniche sulle tombe dei nostri antenati» per
definire i prossimi giochi; e anche se secondo alcuni lo stesso Umarov è ormai
morto e in suo nome parlerebbero altri,
è chiaro che il pericolo esiste. Nelle
scorse settimane per ben tre volte la
grande città di Volgograd, nel sud della
Russia e relativamente vicina al Caucaso, è stata colpita da attentatori suicidi,
con un pesantissimo bilancio di vittime
(35 morti), senza che l’imponente presenza della polizia e dei servizi di sicurezza riuscisse né a impedire gli attentati né a mettere poi le mani sugli organizzatori. Logico temere che altri attacchi,
contro gli obiettivi più disparati, possano verificarsi durante i giochi.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
25
Politica e Economia
Obama è
passato
all’azione
alzando il salario
minimo per i
dipendenti
dell’Amministrazione federale.
(Keystone)
Obama, il sogno e la promessa
Discorso alla Nazione Il presidente americano annuncia che il 2014 sarà l’anno della svolta: in parte per infondere
ottimismo e in parte per scrollarsi di dosso l’immagine di presidente dalle promesse deluse
Federico Rampini
«Breakthrough year»: l’anno della svolta. Barack Obama è più che ottimista,
quasi trionfale nell’annunciare un 2014
che segnerà la riscossa americana.
«Quest’America affronta il XXI secolo
in una posizione più forte di qualsiasi
altra nazione». Nel suo discorso sullo
Stato dell’Unione, pronunciato nel
consueto appuntamento annuo a Camere riunite e in diretta su tutti i network tv, il presidente elenca con puntiglio una lunga serie di successi, molti
dei quali si sono accumulati sotto la sua
Amministrazione. «Abbiamo la più alta percentuale di neolaureati da più di
tre decenni. Otto milioni di posti lavoro creati in quattro anni, la disoccupazione più bassa da cinque anni. L’indipendenza energetica sempre più vicina.
Il deficit pubblico ridotto di metà». Un
elenco di forze che viene suggellato da
questo sorpasso verso la grande rivale:
«Non è più la Cina la principale destinazione degli investimenti esteri, è
l’America». Obama rivendica una situazione davvero eccellente, almeno se
paragonata con il resto del mondo: anche se non lo dice, è evidente il confronto con l’Europa stagnante, con tante potenze emergenti in affanno e afflitte da recenti fughe di capitali.
La situazione è
paradossale: l’America
torna ad essere la
locomotiva della
crescita globale, tuttavia
la popolarità di Obama
è ai minimi storici
L’iniezione di ottimismo è necessaria in
una fase paradossale in cui l’America
torna ad essere la locomotiva della crescita globale e tuttavia il suo presidente
è ai minimi di popolarità nei sondaggi.
Nell’ultima inchiesta demoscopica del
«Wall Street Journal» il 61% si dice «insoddisfatto» per la situazione economi-
ca, anche se il 71% si dichiara almeno
parzialmente soddisfatto per la propria
situazione personale. Dopo averne
elencato le forze, ecco i punti deboli degli Stati Uniti secondo lo stesso Obama.
La politica è al primo posto. Un sistema
di governo che non è stato all’altezza dei
suoi compiti. «Trasformiamo questo
2014 in un anno di azione», esorta Obama. Poi spiega che lui è pronto a farlo da
solo, con o senza Congresso.
Il tema centrale, quello che spiega
la stessa impopolarità del presidente
pur in una fase di ripresa, è la rottura
del Sogno americano. «Ancora prima
della Grande Recessione – spiega Obama – profonde trasformazioni tecnologiche e la globalizzazione avevano eliminato molti posti di lavoro ben remunerati». Descrive così questa ripresa
economica diseguale e ingiusta: «I profitti delle imprese non sono mai stati
tanto alti, eppure molti salari sono fermi. La mobilità sociale non è più quella
di una volta. Nel mezzo di una crescita
troppi lavoratori fanno fatica a tirare
avanti». Il compito della politica, sottolinea, deve essere quello di «rovesciare
queste tendenze». Ed ecco la sua sfida al
Congresso: «Ogni volta che potrò migliorare le opportunità degli americani
senza passare attraverso l’iter legislativo, io lo farò».
Una promessa alla sua base, una
minaccia alla destra repubblicana. È il
caso del salario minimo legale, dove lui
passa all’azione da subito. Più volte
Obama ha cercato di fare approvare dal
Congresso un aumento del minimo retributivo, senza successo. Ora si muove
da solo, laddove questo è possibile: alza
da 7,25 a 10,10 dollari l’ora il minimo
salariale almeno per i dipendenti di
quelle aziende che lavorano per l’Amministrazione federale. È un gesto importante, che comincia con i neoassunti e al termine alzerà le buste paga per
centinaia di milioni di americani.
Guardiani, addetti alla sicurezza, uscieri, muratori, camerieri: come dice il
presidente, citando un esempio fra tante mansioni date in subappalto a ditte
esterne, «non è ammissibile che chi cucina i pasti per le nostre truppe sia co-
stretto a vivere ai margini della povertà». Una legge varata dal Congresso
avrebbe ben altra portata, certo: si applicherebbe a 17 milioni di lavoratori.
Impossibile farlo, per il no della destra.
E allora ecco «Obama l’unilateralista»,
come lo definiscono i repubblicani.
«L’attuale minimo – incalza lui – è del
20% inferiore rispetto ai tempi in cui
era presidente Ronald Reagan». Non a
caso cita in questo passaggio il leader
storico della rivincita conservatrice:
oggi un partito repubblicano che si è
spostato molto più a destra di Reagan, è
l’ostacolo per tutte le riforme. «Date un
aumento all’America», invoca Obama
mentre lo applaude in piedi solo metà
del Congresso: i suoi.
Segue un elenco dettagliato di atti
che Obama indica come i passaggi essenziali per consolidare questa ripresa e
renderla più equa nella ripartizione dei
benefici. «Eliminiamo i privilegi fiscali
che incentivano le nostre multinazionali a delocalizzare il lavoro all’estero.
Usiamo il gettito recuperato da questa
elusione, per ricostruire le infrastrutture. Rovesciamo i tagli ai finanziamenti
pubblici per la ricerca (voluti anche
questi dalla destra repubblicana, che ha
la maggioranza alla Camera, ndr)».
C’è un rinnovato impegno per
l’ambiente: Obama s’impegna a usare il
suo potere esecutivo per imporre nuovi
e più severi limiti alle emissioni di CO2
da parte delle centrali elettriche, attraverso regolamenti emanati direttamente
dall’Environmental Protection Agency.
«Il cambiamento climatico è un fatto. I
nostri figli ci chiederanno se noi abbiamo fatto tutto quello che potevamo per
salvare il pianeta». Rilancia l’obiettivo di
una riforma delle leggi sull’immigrazione, «perché quelli che vengono qui per
studiare e lavorare rendono l’America
più attraente». Incassa l’appoggio dei
chief executive di grandi imprese che
sottoscrivono un impegno a «non discriminare nelle politiche di assunzione
coloro che sono rimasti disoccupati per
lunghi periodi». Annuncia un altro piano condiviso con le grandi imprese hitech: «Apple, Microsoft, Verizon e altri
offriranno gratis a 20 milioni di studenti
l’accesso alla connessione Internet a
banda larga nelle scuole».
Un obiettivo riguarda la parità
femminile: «Troppe politiche aziendali
sembrano prese da un episodio di Mad
Men (la celebre serie televisiva ambientata negli uffici aziendali degli anni Cinquanta, ndr), le donne devono avere retribuzioni eguali a parità di lavoro, e
non devono essere penalizzate quando
hanno figli». Il messaggio centrale resta
quello sulla ripresa diseguale. Obama
dà la linea ai democratici, in vista delle
elezioni legislative di novembre. La battaglia sarà tutta in salita, e tuttavia il presidente è convinto che il tema sociale sia
quello vincente. A condizione di non
declinarlo in modo ostile, punitivo.
«Noi americani non abbiamo risentimenti contro chi ha successo. Ma nessun cittadino che lavora a tempo pieno
dovrebbe avere una famiglia che vive
nella povertà».
La politica estera occupa uno spazio ridotto. Ma Obama non rinuncia a
ribadire la sua richiesta al Congresso,
più volte rilanciata e sempre respinta:
«Chiudiamo Guantanamo. L’America è
più forte e più sicura quando è coerente
con i valori in cui crede». Per la stessa
ragione annuncia di avere deciso dei limiti all’uso dei droni, e richiama la riforma avviata per ridurre le attività di
spionaggio della National Security
Agency. «I cittadini ordinari non dovrebbero sentirsi minacciati nella loro
privacy». Annuncia che porrà un veto
se i repubblicani dovessero mandargli
una legge che inasprisca le sanzioni
sull’Iran, boicottando così il dialogo in
atto fra Washington e Teheran.
Il senso di questo discorso sullo
Stato dell’Unione è duplice. Da una parte Obama usa una delle occasioni più
solenni a disposizione del presidente,
per fare una «pedagogia dell’ottimismo», infondendo fiducia in un’opinione pubblica americana che non «sente»
la ripresa in atto. D’altra parte tenta disperatamente di divincolarsi dalla sua
immagine di presidente dalle troppe
promesse deluse: e mentre galvanizza le
truppe del partito democratico in vista
del voto di novembre, deve rassicurare
sul fatto che non passeranno altri tre
anni del suo mandato in un estenuante
gioco di veti incrociati con la destra.
Il discorso del presidente sullo
Stato dell'Unione è una confutazione
del «teorema Electrolux» (per citare
l’azienda di elettrodomestici che in Italia propone un brutale ridimensionamento dei salari operai), quello cioè secondo cui la globalizzazione impone
una rincorsa al ribasso verso i concorrenti più poveri, i salari più bassi, le nazioni con meno diritti. Obama rivendica il fatto che la sua America torna ad
essere la prima destinazione degli investimenti internazionali, strappando
alla Cina questo primato. Esalta il capitalismo illuminato, quello che «il salario minimo lo aumenta autonomamente, senza aspettare il governo». La
sua strategia per una ripresa sostenibile passa attraverso l'aumento delle retribuzioni più basse: è la lezione di
Franklin Roosevelt nel New Deal, il
potere d’acquisto diffuso come antidoto alla depressione.
Il Sogno Americano da ricostruire,
eccolo nelle sue parole: «Io credo che
qui in America il nostro successo non
deve dipendere da come siamo nati, ma
dalla nostra etica del lavoro e dall’ambizione dei nostri sogni. È questo che attirò qui i nostri antenati. È così che la figlia di un operaio oggi è chief executive
di General Motors, il figlio di un barista
è presidente della Camera, e il figlio di
una mamma single è il presidente della
più grande nazione del mondo».
Non sfugge ai commentatori la sottile distinzione tra Obama e una nuova
star del suo partito, il neosindaco di
New York Bill de Blasio. Il presidente
non vuole insistere troppo sul tema delle «diseguaglianze», perché la lotta alle
ingiustizie evoca in una parte degli elettori moderati dei temi tabù: «lotta di
classe», egualitarismo, socialismo. Meglio quindi affrontare lo stesso tema sul
versante positivo e costruttivo, cominciando con un gesto concreto a favore
dei più deboli, dei lavoratori meno remunerati. Migliorare la condizione di
chi sta in basso, è un approccio meno
divisivo rispetto alle tasse sui ricchi.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
27
Politica e Economia
La statuta di Marco Polo nel centro città.
stro sogno è di rendere stanziale il novanta per cento della popolazione entro
il 2030». Una follia, che alimenta tuttora
le file dei nostalgici del sistema comunista e delle sue «regole».
Se nei secoli la popolazione mongola pensava di essere sopravvissuta al
peggio, non aveva ancora conosciuto la
razzia del capitalismo energetico. A poco più di vent’anni dalla caduta del comunismo, a dieci anni dall’avvento di
un liberismo sfrenato e brutale, che prospera nella più cinica mancanza di valori, di regole e di rispetto degli uomini e
della natura, un Paese che potrebbe essere ricco e autonomo è ostaggio di una
«élite» mongola (spesso composta dagli
stessi politici che hanno retto per anni le
sorti del Paese, o dai loro insaziabili
rampolli) che pasteggia ostentatamente
a champagne, cena in esclusivi ristoran-
Una Mongol-fiera
Matteo Bellinelli, giornalista e regista attivo per molti anni preso la RSIRadiotelevisione svizzera, è autore di
decine di documentari e di moltissimi ritratti di personalità del mondo
della cultura, delle arti, dello spettacolo e della politica, realizzati in tutti
i continenti (o quasi). Alla Mongolia
ha dedicato tre documentari, tra cui
«La mensa e il gregge», che ha dato
vita all’Associazione dal nome omonimo (www.lamensaeilgregge.ch),
attiva in Mongolia dal 2004 al fianco
di allevatori nomadi e dove ha costruito scuole e asili per bambini particolarmente poveri.
Per festeggiare i suoi dieci anni di vita,
il 7-8-9 febbraio l’Associazione «La
mensa e il gregge» organizza presso
«Jazz in Bess» (Via Besso 42a, 6900
Lugano) un evento di musica jazz e
multi-culturale ricco di sorprese, con
un’esposizione-asta di opere di artisti
svizzeri e italiani. L’entrata è libera.
ti francesi, viaggia su enormi fuoristrada
blindati e abita in ville degne della California più volgare e pacchiana. Una
concentrazione di esibizionismo e pessimo gusto difficilmente eguagliabile. Al
loro fianco, una schiera di uomini d’affari e funzionari occidentali privi di
scrupoli che ogni mese guadagnano decine e decine di migliaia di euro, vive in
appartamenti sontuosi, sorseggia vini
francesi pregiati e alimenta il mercato
della prostituzione. Così si consuma la
grande spartizione della Mongolia, in
silenzio e sotto gli occhi complici della
comunità internazionale.
Un «sistema» (quello comunista)
che, pur arricchendo e perpetuando il
potere della nomenclatura, assicurava
un minimo vitale a tutta la popolazione
mongola, e persino un’ipotesi di futuro,
in due decenni è stato sostituito da un
«sistema» opposto ma simile, nel quale il
5% della popolazione controlla il 95%
delle ricchezze del Paese. Che sono vertiginose: nel deserto del Gobi compagnie australiane, cinesi, giapponesi
sfruttano avidamente il secondo giacimento di rame e oro del pianeta, 450 mila tonnellate di rame e centinaia di chili
di oro all’anno per il prossimo mezzo secolo. E poi uranio, ferro, carbone, gas e
«terre rare» fondamentali per l’industria
globale. Un patrimonio stimato in oltre
tremila miliardi di euro, da cui però pochissimi cittadini mongoli potranno
trarre beneficio: il 40% è disoccupato e
vive sotto la soglia di povertà, il 35% vive
con 50 franchi al mese e, secondo la
FAO, l’organizzazione della Nazioni
Unite per l’alimentazione, un terzo della
popolazione è sotto alimentato. Sette
maschi su dieci sono alcolizzati.
«Togliete l’alcol alla Mongolia,
avrete il più bel Paese del mondo», mi
disse una volta una religiosa francese
che ha consacrato la sua vita ai poveri di
Ulaanbaatar.
Una brutta città, Ulaanbaatar, terribilmente inquinata, ostaggio di un
traffico selvaggio e anarchico, sommersa in dieci anni dall’arrivo di centinaia
Ulaan Baatar: un tempio buddhista sovrastato da nuovi palazzi.
La sterminata periferia di Ulaanbaatar, detta Gher district; sullo sfondo si intravvedono i palazzi della città moderna.
di migliaia di diseredati provenienti
dalla steppa e dal Gobi: dei suoi
1’200’000 abitanti il 60% vive nel «Distretto delle gher» (le tende-abitazioni
tipiche della Mongolia), una bidonville
tentacolare e insalubre, che circonda
avvolge e soffoca la città. Con centinaia,
migliaia di bambini che preferiscono vivere nelle fognature della città e «farsi»
di droghe poverissime e mortali, piuttosto che subire le violenze di padri alcolizzati. Il tasso ufficiale (e molto pubblicizzato) di crescita del PIL mongolo nel
2013 è stato del 15%, con punte mensili
del 18%, ma l’inflazione cresce di giorno in giorno e il costo della vita ha raggiunto livelli insostenibili per questi
«miserabili» del ventunesimo secolo.
Una giovane nomade del Gobi un
giorno mi disse: «Io sono felice di essere
la moglie di un allevatore. Qui molte
donne si lamentano delle nostre condizioni di vita; lo riconosco, sono dure e
difficili. Lavoriamo molto e abbiamo
poche comodità. Sono stata anch’io in
città, ho visto come si vive a Ulaanbaatar. Hanno tutto, o quasi. Ma non la vita
che voglio io. A me basta che nella nostra gher ci siano sempre una candela, i
fiammiferi e il sale. Al resto penso io».
Gli osservatori mongoli più attenti
all’evoluzione della propria società, preoccupatissimi, credono che i prossimi
3-5 anni saranno decisivi: la folle corsa
della Mongolia verso il capitalismo è
nelle mani di una classe dirigente tra le
più corrotte del mondo (il Paese è al
120° posto su 183 nella classifica di
«Transparency international» sulla corruzione percepita nel settore pubblico).
Se non si farà nulla per fermarla, il destino di un Paese straordinario è segnato.
A sinistra,
nomade
mongolo kazako
nella sua gher, a
destra allevatore
nella steppa.
Intanto, l’imponente statua di Lenin, che troneggiava nel centro della città, di fronte all’albergo costruito nel
1961 per ospitare i dignitari sovietici in
visita, è stata rimossa: al suo posto, a poche decine di metri di distanza, davanti
alla modernissima Central Tower di vetro azzurro che ospita le lussuose boutique di Vuitton, Zegna e Armani (guardia armata alla porta, ricevono solo su
appuntamento) è comparsa una (brutta) statua di Marco Polo. Segno dei tempi: il grande viaggiatore veneziano che
aprì la strada dei commerci tra l’Occidente e la Cina, passando proprio per la
Mongolia, è diventato il suo nuovo luccicante punto di riferimento.
Poco lontano, nella steppa, donne e
uomini calzano ancora, come nei secoli i
loro avi, stivali di cuoio con la punta rivolta verso il cielo. Per non ferire la terra.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
29
Politica e Economia
Votazione federale Sull’immigrazione di massa, favorevoli
e oppositori dell’iniziativa si servono degli stessi simboli, ma i toni
dell’UDC denotano un mutamento di strategia
Johnny Canonica
Da una parte un albero di mele, le cui
radici stanno sgretolando la Svizzera.
Dall’altra un boscaiolo che sta abbattendo un melo pieno di frutti. Sono le due
immagini che i promotori dell’iniziativa UDC «contro l’immigrazione di
massa» (l’albero «sgretolante») e chi invece la combatte (l’albero «in via di abbattimento») hanno scelto per affrontare la campagna di voto sulla proposta
democentrista. E se fra meno di una settimana sapremo come sarà andata a finire (cioè se l’iniziativa sarà stata accolta o respinta da popolo e cantoni), quel
che è già certo è che le due campagne
hanno fatto discutere dentro e fuori i
due fronti.
Non più corvi o pecore
nere, solo slogan pacati:
l’UDC intende così
conquistare i voti degli
elettori moderati
Ma cominciamo col parlare della prima
delle due immagini che è stata affissa sui
muri delle case della Confederazione, e
questo ben prima che la campagna in
vista della votazione del 9 febbraio
prendesse il via. Nel corso dell’estate un
manifesto raffigurante un melo pieno di
frutti ha fatto la sua comparsa nei quattro angoli della Confederazione, manifesti sponsorizzati da Economiesuisse
che ricordavano i benefici per la piazza
economica svizzera degli accordi bilaterali e della libera circolazione delle persone. Poi, con l’avvicinarsi dell’appuntamento alle urne, accanto all’albero è
comparso un boscaiolo nell’atto di abbatterlo. Un boscaiolo che ha la silhouette del Boscaiolo di Ferdinand Hodler, quadro che tra l’altro troneggiava
nell’ufficio dell’allora consigliere federale Christoph Blocher, uno dei padri
dell’iniziativa «contro l’immigrazione
di massa». Una scelta non casuale quindi quella fatta da chi ha curato la campagna del no, un’immagine che deve far
passare il messaggio «l’iniziativa UDC
mette in pericolo il successo della piazza
economica svizzera e di conseguenza il
benessere della popolazione».
Tra fine novembre e inizio dicembre un altro melo è cresciuto sui muri
svizzeri, quello dei promotori dell’iniziativa. Questo albero, anch’esso ricco
di frutti, ha radici rigogliose e forti. Talmente forti che sta sgretolando il terreno su cui poggia, un terreno che altro
non è se non la Svizzera. Se il primo albero, quello di Economiesuisse, vuole
rappresentare i vantaggi delle relazioni
bilaterali con l’Unione europea per
l’economia elvetica, questo secondo
rappresenta invece i flussi di persone
che vengono in Svizzera per trovare lavoro, flussi che i promotori dell’iniziativa giudicano eccessivi e quindi pericolosi per il benessere del Paese e della sua
popolazione. È probabile che chi ha curato la campagna democentrista si sia
ispirato coscientemente all’albero di
Economiesuisse – un albero, quest’ultimo, che tra l’altro era già stato utilizzato
in passato per sostenere in votazioni
popolari oggetti attinenti le relazioni bilaterali Svizzera-UE – certo è che facendo uso di questo melo, si è distanziato
da un certo stile che l’UDC ha impiegato in passato, anche con successo. Nessuna immagine per così dire violenta –
nessuna pecora nera, nessun corvo,
nessuna scarpa che calpesta la Confederazione, nessun «losco figuro» che tiene
minaccioso un coltello in mano – ma
un semplice melo dalle radici rigogliose
e lo slogan innocuo e politicamente corretto «l’eccesso nuoce». Uno stile tutto
sommato poco UDC.
La campagna democentrista non
sorprende però con la sua mitezza solo
nella forma, ma sorprende anche nei
contenuti. Sfogliando il giornale che il
partito ha fatto recapitare a tutte le economie domestiche elvetiche per sostenere la propria iniziativa vi sono un paio di cose che balzano all’occhio. In primo luogo la scelta di alcuni argomenti
scelti per convincere la popolazione a
sostenere la proposta, argomenti già
utilizzati in passato dal fronte rossoverde per le proprie battaglie. Pensiamo
qui al metro quadrato di terreno coltivabile perso ogni secondo (per la precisione 1,1 m2, come afferma la grafica
nel giornale del partito), l’edificazione
sfrenata (di alloggi, ospedali, scuole),
l’aumento del traffico. Non proprio gli
esempi tipici di marca UDC. E poi, secondo aspetto, la mancanza della voce
(e del viso) di Christoph Blocher nella
stessa pubblicazione.
«Questa campagna di voto potrebbe essere il segno di un cambio di strategia del partito», ha affermato un paio di
settimane fa Georg Lutz, professore di
scienze politiche all’Università di Losanna, in un articolo pubblicato dalla
«NZZ am Sonntag». Dopo la sconfitta
elettorale del 2011, il partito potrebbe
essersi convinto che lo stile del confronto duro, adottato da tempo e che tanti
successi gli ha dato, possa essere anche
il suo limite. Se grazie a questo stile è
riuscito a raccogliere molti voti di persone scontente della politica, lo stesso
non riesce però a calamitare sul partito i
voti moderati provenienti da altri partiti. Meglio quindi adottare uno stile più
sobrio se si vogliono portare a casa dei
successi alle urne (e in parlamento).
Uno stile che non è però quello di Christoph Blocher, ed è forse per questo che
la sua figura resta in secondo piano in
questa campagna di voto. E chissà cosa
penserà il «grande vecchio» del partito
guardando il melo dalle radici rigogliose, soprattutto se ricorderà la tenaglia
che «azzannava» la croce svizzera, l’immagine che aveva accompagnato la sua
battaglia condotta nel 1992 (e vinta)
contro l’adesione della Svizzera allo
Spazio economico europeo.
Ma non è perché sia – forse! – in disaccordo con la campagna adottata a
sostegno dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa che Christoph Blocher abbia mollato il partito. Anzi! Come ammesso da lui stesso alla «Sonntagszeitung» due settimane fa, è praticamente solo lui che sta finanziando
questa campagna, avendo sborsato tre
milioni di franchi di tasca propria. Molti altri imprenditori democentristi si sono guardati bene dal farlo, forse anche
perché tutto sommato contrari all’iniziativa, visto che dalle buone relazioni
politiche e commerciali con l’UE ci guadagnano; pensiamo qui al consigliere
nazionale bernese Hansruedi Wandfluh o al suo ex collega turgoviese Peter Spuhler; per non parlare di Walter
Frey, ex capogruppo a Palazzo federale,
che da importatore di vari marchi automobilistici grazie all’immigrazione può
sperare in una crescita della sua cifra
d’affari e dei suoi guadagni.
Nelle ultime settimane però l’UDC
ha deciso di non basarsi più solo sul
melo per sostenere la sua campagna,
due altri tipi di annunci sono comparsi
sulla stampa a favore dell’iniziativa. Il
primo prevede una popolazione residente di 16,3 milioni di persone e con
una maggioranza di cittadini stranieri
entro il 2060, il secondo invece (non
dell’UDC stessa, ma di alcuni suoi
membri riuniti nel Comitato di Egerkingen) si chiede invece se presto il numero di musulmani in Svizzera raggiungerà il milione. Se con i toni politicamente più corretti l’UDC vuole convincere i moderati a sostenere la sua
proposta, con quelli da battaglia non
vuol perdere i voti conquistati in passato. Soprattutto in questa votazione
sull’immigrazione di massa, dove verosimilmente ogni voto a favore (o contrario) conterà. E parecchio.
Cartellone degli
oppositori
dell’iniziativa
contro
l’immigrazione
di massa:
l’albero è
l’economia
svizzera.
(Keystone)
Doppio cuscinetto
anticongiunturale
Finanza La BNS invita inoltre le banche ad
applicare regole di autolimitazione sui crediti
ipotecari per timore di un’eventuale crisi
immobiliare. Troppa fretta e troppo zelo?
Keystone
L’albero della discordia
Ignazio Bonoli
L’analisi dell’evoluzione del settore dei
crediti ipotecari ha indotto la Banca
Nazionale Svizzera a chiedere al Consiglio federale di aumentare il cuscinetto
anticiclico del capitale proprio delle
banche. Il governo ha quindi autorizzato la BNS a chiedere alle banche di aumentare dall’attuale 1% al 2% i mezzi
propri sulle posizioni in crediti ipotecari per il finanziamento di abitazioni,
ponderati in base al rischio, a partire
dal 30 giugno 2014 sul tema, vedasi anche Angelo Rossi a pagina 31).
Segni di squilibrio sul mercato del
credito ipotecario e, più in generale, su
quello immobiliare erano visibili già a
partire dal mese di novembre dello
scorso anno, quando presso le banche
erano in atto crediti ipotecari per 863
miliardi di franchi, con una crescita del
4% rispetto al 2012, mentre la crescita
globale dell’economia si assestava attorno al 2% soltanto. L’aumento delle ipoteche concesse a debitori privati, negli
undici mesi del 2013, risultava del 3,7%
e quello per le aziende perfino del 5,5%.
Questa dinamica ha quindi suggerito alla Banca Nazionale di far uso dello
strumento anticiclico settoriale a disposizione. Questa possibilità era stata annunciata una prima volta nel febbraio
del 2013, con un tasso dell’1%, a partire
dall’autunno dello stesso anno (vedi
«Azione» del 1.4.13). Anche questa volta la banca centrale concede quindi un
lasso di tempo di cinque mesi per adeguarsi alle nuove condizioni.
L’attesa, già lo scorso anno, era che
questo cuscinetto, accompagnato da
misure di autoregolazione da parte delle banche, nella concessione di crediti
ipotecari, potesse contribuire ad attenuare il surriscaldamento di questo
mercato. Tuttavia queste misure non
hanno avuto l’effetto sperato sul mercato immobiliare e gli squilibri si sono accentuati. In realtà però queste prime
misure hanno indotto parecchie banche – anche fra le più importanti del settore – ad adottare misure che ne hanno
migliorato la solidità. Già questi primi
interventi avrebbero perciò avuto l’effetto, nel 2013, di rallentare la crescita
dei crediti ipotecari, nonché quella dei
prezzi degli immobili, rispetto ai ritmi
dell’anno precedente.
L’aumento è stato però ancora tale
da far temere interventi ben più drastici
se la crescita si fosse mantenuta a quei
livelli. In un clima congiunturale tuttora caratterizzato da bassi tassi di interesse e da un settore bancario ben fornito
di capitali da investire, senza appropriati interventi si potrebbe correre il rischio di una pericolosa bolla immobiliare. Il cuscinetto immobiliare da solo
però non basta per correggere la tendenza e si torna a parlare di regole di autogestione da parte delle banche. Il cuscinetto serve infatti soprattutto a migliorare la resistenza degli istituti di credito in caso di crisi del settore immobiliare. Ha quindi lo scopo di rendere un
po’ meno attrattivo per le banche il credito ipotecario rispetto ad altre forme di
credito.
Non è però sicuro che il raddoppio
di questa misura abbia l’effetto sperato.
Del resto l’Associazione dei banchieri
svizzeri non crede che questi interventi
possano servire a calmierare i prezzi sul
mercato immobiliare, mentre eventuali
effetti rallentatori sulla congiuntura sarebbero ancora più problematici. Sempre secondo i banchieri, il raddoppio
del tasso del cuscinetto potrebbe anche
avverarsi esagerato e quindi avere effetti
negativi sull’intero settore.
Il surriscaldamento del mercato
immobiliare colpisce attualmente soltanto alcune regioni come l’agglomerato zurighese, l’arco lemanico o l’alta
Engadina. Le banche avrebbero preferito essere coinvolte nel processo decisionale, piuttosto che vedersi confrontate con un adeguamento in tempi brevi e con un provvedimento recente, la
cui efficacia sarebbe ancora da dimostrare. Sarebbero necessari tempi più
lunghi da concedere all’autoregolazione delle banche e consentire di sviluppare effetti constatabili empiricamente
sui mercati, prima di decretare misure
più severe.
Le stesse autorità federali contano
molto sull’autoregolazione delle banche. Sono infatti in atto discussioni tra i
rappresentanti delle banche, il Dipartimento federale delle finanze, la FINMA
e la Banca Nazionale, con lo scopo di
migliorare le linee direttrici dell’autoregolamentazione nella concessione di
crediti ipotecari. In particolare si vorrebbe limitare, nel caso di abitazioni
private, l’indebitamento che, con un interesse calcolatorio del 5%, venga a costare al debitore più del terzo del suo debito. Si vorrebbero inoltre regole più
chiare per l’ammortamento. Dal canto
suo anche l’Associazione dei proprietari di case si dice preoccupata della decisione, benché ne possa capire le ragioni,
a causa della forte crescita dei crediti
ipotecari. Teme però che questo intervento possa provocare un aumento dei
tassi d’interesse ipotecari.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
30
Politica e Economia
Nuovo fondo per la ferrovia
Votazione federale L’estensione e l’efficienza della rete ferroviaria nazionale impone nuovi investimenti
di 6,4 miliardi entro il 2025. Spese inutili che non migliorano l’autofinanziamento delle FFS, secondo gli oppositori
Alessandro Carli
Se non vuole correre il rischio di «perdere il treno», la ferrovia necessita di
nuovi investimenti. Il 9 febbraio prossimo, gli Svizzeri saranno chiamati ad approvare l’ennesimo fondo per poter far
fronte alle esigenze di sviluppo di questo mezzo di trasporto pubblico. Tra
una quindicina d’anni, la domanda di
viaggiatori potrebbe crescere del 50%.
In una prima fase, entro il 2025, si prevede di investire 6,4 miliardi di franchi.
Visto che il nuovo fondo sarà ancorato
nella Costituzione, popolo e cantoni saranno chiamati a pronunciarsi. I cittadini dovranno esprimersi anche sulle
iniziative popolari «Contro l’immigrazione di massa» (ne abbiamo riferito
nell’ultimo numero) e sul «finanziamento dell’aborto» (vedi sotto).
Contestato in
particolare il limite di
3000 franchi di
deduzione fiscale per le
spese di trasporto
Negli ultimi decenni, i fondi per il finanziamento della ferrovia sono spuntati
come funghi, con molteplici varianti di
finanziamento. Il popolo ha più volte
approvato progetti infrastrutturali miliardari. Non è tuttavia facile calcolare
quanto è finora stato speso per «Ferrovia
2000» (nel 1987 furono stanziati 5,4 miliardi), per la realizzazione delle Nuove
linee ferroviarie alpine (nel 1992 il popolo ha accolto un credito di 15 miliardi
di franchi), per il successivo Fondo di finanziamento dei trasporti pubblici
(Fondo-FTP), con un investimento totale di 30,5 miliardi e per la seconda fase
di «Ferrovia 2000», ribattezzata Sviluppo dell’infrastruttura ferroviaria (SIF).
Per quest’ultimo, nel 2009 il Parlamento
ha iniettato nel Fondo-FTP 5,4 miliardi.
Ma i soldi non bastano!
Sono infatti previsti nuovi sviluppi,
da finanziare attraverso un nuovo unico
Fondo per l’infrastruttura ferroviaria
(FinFer), ancorato nella Costituzione, e
realizzato a tempo indeterminato nell’ambito del finanziamento e amplia-
mento dell’infrastruttura ferroviaria
(FAIF). Il FinFer subentrerà all’attuale
Fondo per il finanziamento dei progetti
d’infrastruttura dei trasporti pubblici
(Fondo FTP), che nel frattempo giunge
a scadenza.
Il decreto federale che istituisce il
FAIF potrebbe effettivamente essere accolto il 9 febbraio prossimo da popolo e
cantoni, già per il fatto che gli abitanti
del nostro Paese sono assidui frequentatori dei treni. In una prima fase, con
una spesa di 6,4 miliardi, il progetto
FAIF deve dunque garantire loro, entro
il 2025, l’efficienza di una rete, oramai
satura, con convogli sempre più affollati e prezzi dei biglietti in continuo aumento. È recente l’annuncio del presidente del consiglio d’amministrazione
delle FFS Ulrich Gygi che i biglietti del
treno aumenteranno mediamente
dell’1,5% all’anno fino al 2033 e anche
di più con il FAIF.
In ogni caso, in questa prima fase
d’ampliamento decisa dalle Camere saranno creati i presupposti per poter migliorare l’offerta ferroviaria: aumento
della lunghezza dei treni, delle carrozze
a due piani e della frequenza dei collegamenti, anche in Ticino. Il progetto
FAIF, è un controprogetto diretto all’iniziativa popolare dell’Associazione
traffico e ambiente (ATA) «Per i trasporti pubblici», nel frattempo ritirata,
poiché i suoi autori si sono detti soddisfatti del «pacchetto» approvato dalle
Camere. L’iniziativa ATA voleva attribuire il gettito dell’imposta sugli oli minerali in parti uguali alla strada e alla
ferrovia.
Il nuovo FinFer sarà alimentato, oltre che dalle fonti esistenti – circa 4 miliardi di franchi all’anno, pari all’80%
dei depositi che vi confluiranno – anche
da nuove entrate. I mezzi già disponibili
provengono dalle risorse generali della
Confederazione (2,3 miliardi), dai proventi della tassa sul traffico pesante
commisurata alle prestazioni (TTPCP),
da una quota dell’IVA e dall’imposta
sugli oli minerali.
Le nuove entrate, pari a circa un
miliardo di franchi, saranno costituite
dai contributi dei cantoni (500 milioni),
nonché dall’1 per mille dell’IVA, destinato fino al 2017 al risanamento dell’assicurazione invalidità. Dal 2018 al 2030,
Operai FFS
preparano la
messa in
esercizio di una
galleria a Zurigo.
(Keystone )
questo introito sarà di 300 milioni all’anno. Inoltre, saranno chiamati alla
cassa anche gli utenti.
Il parlamento ha infatti accettato di
limitare a 3000 franchi la deduzione
massima dall’imposta federale diretta
per spese di trasporto domicilio-luogo
di lavoro. Questa misura, che dovrebbe
far affluire nelle casse federali, rispettivamente nel FinFer, 200-220 milioni di
franchi all’anno, costituisce l’aspetto
più contestato del progetto in votazione. Gli oppositori non vogliono infatti
saperne di un nuovo contributo degli
automobilisti.
Lo schieramento favorevole al
FAIF – che riunisce tutti i grandi partiti
(UDC esclusa) – sostiene che l’80% della popolazione non sarebbe toccato dal
nuovo limite di 3000 franchi, deducibili
a titolo di spese di trasporto per recarsi
al lavoro. Saranno penalizzati i pendolari con un abbonamento generale di
prima classe (che non potranno dedurre interamente le spese di viaggio) e gli
automobilisti il cui tragitto quotidiano
supera i 20-35 km. In questo modo, gli
utenti della strada e della ferrovia saranno posti sullo stesso piano, mentre il
pendolarismo su lunghe distanze sarà
reso fiscalmente meno interessante.
Tuttavia, molti automobilisti non
ne vogliono sapere. I pendolari sulle
lunghe distanze saranno i più colpiti.
Secondo il consigliere nazionale Adrian
Amstutz (UDC/BE), presidente dell’Associazione svizzera dei trasportatori
stradali (ASTAG), si tratta di un controsenso: «se da un canto lo Stato pretende dai lavoratori e dai disoccupati
grande flessibilità, dall’altro vuole ora
ridurre loro la deduzione delle spese di
viaggio». A suo modo di vedere, anche i
cantoni adegueranno di riflesso la loro
fiscalità. A essere colpito è soprattutto il
ceto medio.
Forte del recente siluramento del
rincaro della vignetta, il fronte degli oppositori – condotto dal consigliere nazionale Walter Wobman (UDC/SO) e
del quale fanno parte la citata ASTAG e
gli importatori di veicoli «auto suisse» –
biasima un progetto eccessivo e troppo
caro. Per questo fronte, un importo
«delirante» di 6,4 miliardi è precursore
di altre esigenze smisurate. In definitiva, si tratta di una questione di principio: non è il caso che il popolo, e in particolare gli automobilisti, siano nuovamente chiamati alla cassa per sostenere
gli utenti del treno.
Per i contrari, i miliardi di franchi
sfornati negli ultimi decenni non hanno
migliorato l’autofinanziamento dei trasporti pubblici. Sancire il sovvenzionamento trasversale strada-ferrovia – affermano – è una «fregatura» e il prossimo
annuncio dell’istituzione di un fondo
analogo per la strada non cambia le cose.
I fautori avvertono che se il popolo
rifiutasse il FAIF, anche il fondo stradale sarebbe destinato a naufragare. Un
«no» provocherebbe un ulteriore massiccio aumento dei biglietti e indurrebbe i viaggiatori a sfruttare nuovamente
l’auto. La ministra dei trasporti Doris
Leuthard definisce il FAIF «progetto di
primaria importanza per il nostro Paese». Solo così sarà possibile gestire l’aumento dei viaggiatori, estendendo la rete laddove è necessario.
Secondo Doris Leuthard, gli Svizzeri ci tengono ad avere ferrovie efficienti, che rispondano alle nuove necessità. D’altronde, tutti concordano sulla
necessità di fluidificare il traffico. Investendo nella ferrovia – sottolinea la ministra dei trasporti – si evita nei prossimi anni il collasso sulle strade. A suo
modo di vedere, il popolo, che ne è consapevole, approverà anche questa volta
il nuovo fondo di finanziamento. I sondaggi le stanno dando ragione.
Chi deve pagare un’interruzione di gravidanza?
Votazione federale Gli ambienti anti-abortisti non sono d’accordo che i costi siano a carico dell’assicurazione
malattia di base; la controparte teme che un sì all’iniziativa spinga le donne con meno mezzi a correre dei pericoli
L’aborto torna a far discutere, quasi 12
anni dopo la sua depenalizzazione. Occorre subito chiarire che l’iniziativa popolare in votazione il 9 febbraio prossimo, non intende vietare l’aborto, ma
chiede che non venga più finanziato
dall’assicurazione di base obbligatoria,
bensì attraverso una copertura assicurativa complementare. L’iniziativa sembra
comunque volta al fallimento.
Il 2 giugno 2002, il 72,2% dei votanti approvarono il cosiddetto «regime
dei termini» che autorizza l’interruzione della gravidanza, anche su richiesta
della gestante, nelle prime 12 settimane
dall’inizio dell’ultima mestruazione,
dopo un colloquio personale col medico, chiamato a proporre alternative. Allora, gli Svizzeri accolsero anche il relativo rimborso. Tuttavia, i fautori dell’iniziativa – che si annoverano negli
ambienti antiabortisti – sostengono che
i votanti non avevano deciso su questo
aspetto con cognizione di causa.
Tra i sostenitori dell’iniziativa figurano anche UDC e PPD, sebbene la
stessa divida questi partiti. Addirittura,
i democratici cristiani raccomandano
chiaramente di respingerla. I fautori garantiscono di non voler mettere in causa la depenalizzazione delle interruzioni
volontarie della gravidanza (IVG). Ri-
Chi abortisce paga già oggi una parte
dei costi. (Keystone)
tengono comunque l’aborto un crimine, sostenendo di voler salvare mille feti
all’anno. Il comitato d’iniziativa ricorda
che, contrariamente a Italia e Francia,
l’Austria, che ha depenalizzato l’IVG,
non la rimborsa. In Germania, certi costi vengono presi a carico, ma in linea di
principio non l’intervento.
Attualmente, in Svizzera l’assicurazione malattie copre i costi dell’interruzione di gravidanza se è chiesta dalla
donna o se è effettuata per necessità medica. Si tratta infatti di un intervento
medico che deve svolgersi in condizioni
adeguate. Per i fautori dell’iniziativa è
giusto che le casse malattia coprano i
costi che servono a tutelare la vita,
com’è il caso per la gravidanza e il parto.
L’aborto – ricordano – serve invece a
distruggere la vita. Chi sceglie liberamente questa soluzione, deve assumersi
la responsabilità, ivi compresa quella finanziaria. È dunque ingiusto che i costi
di questa scelta ricadano su tutti i cittadini. Nel caso in cui la gravidanza mettesse in pericolo la salute della puerpera
o fosse frutto di uno stupro, l’aborto rimarrebbe in ogni caso coperto dall’assicurazione di base.
Chi vuole però essere libero di ricorrere a questo mezzo, secondo l’iniziativa deve stipulare un’apposita assicurazione complementare, che costerebbe solo 2-3 franchi al mese, evitando
di far ricadere i costi sull’intera collettività. Gli aborti costerebbero da 8 a 10
milioni di franchi all’anno. Questi costi
non si limitano all’intervento di IVG:
non di rado, infatti, quest’ultimo provoca nella donna disturbi psichici anche gravi. Risultano così costi sanitari
aggiuntivi non indifferenti.
Gli oppositori, con il Consiglio federale, replicano che 8 milioni rappresentano soltanto lo 0,03% dei 26 miliardi finanziati attualmente dall’assicurazione di base. Nel caso in cui l’IVG non
fosse più rimborsata – affermano – ogni
assicurato adulto si vedrebbe ridotto il
premio mensile di 20 centesimi. Inoltre,
le donne che si sottopongo all’IVG pagano di tasca loro, attraverso la franchi-
gia, da 300 a 2500 franchi, come pure la
partecipazione del 10% ai costi rimanenti (fino a 700 franchi). Tutto ciò basta per coprire una parte dei costi di
IVG, valutati tra i 600 e i 1000 franchi.
Se approvata, l’iniziativa rischia di
instaurare una medicina a doppia velocità, dal momento che le donne gravide
sprovviste di sufficienti mezzi economici, potrebbero rivolgersi a metodi abortivi insicuri, magari nella clandestinità,
mettendo a repentaglio la loro salute.
Per l’ampio fronte che invita a respingere l’iniziativa, l’argomento finanziario è
solo un pretesto per nascondere un attacco al regime dei termini.
Un sotterfugio, dunque, solo per rimettere in causa un regime che si è rivelato valido? Nel 2012, in Svizzera sono
stati praticati 10’853 aborti. Dall’introduzione del regime dei termini nel
2002, ciò si è tradotto – come ricorda il
Consiglio federale – in circa 7 interruzioni di gravidanza su 1000 donne tra i
15 e i 44 anni. È uno dei dati più bassi
d’Europa. / AC
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi
Torniamo a parlare di bolla
Da quattro anni si parla in Svizzera di
una bolla dell’immobiliare. Se ne parla,
è necessario precisare, non come di un
fatto accertato, ma come di un evento
che potrebbe, prima o dopo, concretizzarsi. Il fascino di queste discussioni è
che tutti vi possono partecipare e dire la
loro, senza tema di essere smentiti, almeno fino a quando non scoppierà la
bolla. A questo punto, per il beneficio
dei lettori che non sono addentro alle
cose dell’economia, sarà utile definire
che cosa sia una bolla immobiliare.
Grosso modo si può dire che il fenomeno si compone di quattro fasi che si
succedono nel tempo. Dapprima vi è un
forte aumento della domanda di immobili (case, appartamenti, uffici). La seconda fase, che è quella nella quale si
trovano certe regioni della Svizzera da
quattro anni circa, vede i prezzi dell’immobiliare aumentare rapidamente,
molto più rapidamente che l’indice dei
prezzi al consumo, per intenderci. È
evidente che un simile fenomeno di rincaro non può durare per sempre. La
terza fase è contrassegnata da un arresto
nella crescita della domanda, perché i
prezzi vengono oramai considerati
troppo alti. La fase successiva è quella
nella quale i prezzi tracollano perché
oramai si è formata un’ampia riserva di
costruzioni vuote che non trovano
clienti. Per fare un esempio: nel corso
della bolla della seconda metà degli anni
Ottanta, i prezzi dei terreni nel Canton
Zurigo si sono triplicati in 5 anni. Dal
1991 al 1996, invece, la proprietà immobiliare in quel Cantone ha perso circa il
35% del suo valore. Tutti i partecipanti
al mercato immobiliare fanno le spese
della bolla. Ma il rischio maggiore lo
sopportano le banche che distribuiscono le ipoteche. Il fenomeno di rin-
caro dell’immobiliare che stiamo vivendo oggi è molto più contenuto di
quello di trent’anni fa e non concerne
praticamente che le due regioni nelle
quali la crescita economica è più rapida,
ossia la metropoli zurighese e l’arco lemanico. Le cifre in gioco sono comunque elevate e preoccupano le autorità
che devono controllare l’andamento del
mercato creditizio. La Finma come la
Banca nazionale predicano, almeno dal
2011, che l’evoluzione del mercato immobiliare del nostro Paese ha tutti i crismi di una bolla e che quindi le banche
dovrebbero restringere i cordoni del
credito ipotecario. Cosa che, è giusto
aggiungere, le stesse stanno facendo, almeno da un paio d’anni, proprio per i
provvedimenti imposti da questi due
organi di vigilanza sui mercati finanziari. È dell’altra settimana l’ultimo
provvedimento cautelativo. La Banca
nazionale ha chiesto che le banche aumentino, a partire da metà anno, i fondi
propri destinati a coprire i rischi di ipoteche sulle abitazioni dall’1 al 2%. Gli
investimenti ipotecari in Ticino ammontano a circa 40 miliardi di franchi.
Supponiamo che la metà delle ipoteche,
ossia 20 miliardi, riguardi abitazioni.
L’1% di 20 miliardi sono 200 milioni
che le nostre banche dovranno mettere
da parte, a partire dal luglio di quest’anno, per coprire i rischi legati al credito ipotecario. Si può pensare che non
tutte le banche siano contente di dar seguito a questo provvedimento, tanto
più che, dal luglio del 2013, hanno già
dovuto metter da parte, su raccomandazione dell’Associazione svizzera dei
banchieri, la medesima somma per il
medesimo scopo. Così in Ticino, nel
giro di due anni, si saranno tolti dai
mercati finanziari 400 milioni di fran-
chi per assicurare i rischi legati all’espandersi della bolla immobiliare.
Nessuno si meraviglierà se, nel prossimo futuro, i tassi ipotecari dovessero
salire di qualche quarto per cento. Il
vero problema però è che, finora, i
provvedimenti adottati per contenere
l’espansione del mercato ipotecario non
sono serviti a gran che. Si può quindi
ipotizzare che anche la misura appena
annunciata dalla Banca nazionale non
basterà a contenere il rincaro dei prezzi
dell’immobiliare. A meno che non
abbia sulla domanda un effetto premonitore talmente forte da far mutare – e
potrebbe succedere anche da una settimana all’altra – le attese degli speculatori. Intanto, da Zurigo si annuncia che
nel quartiere alla moda di Zurigo-Ovest
sono molti i nuovi appartamenti che
non trovano compratore o rimangono
sfitti perché sono troppo cari.
non importa nulla; ma vede una breccia
per mettere in difficoltà Renzi, e lì si infila. Quanto a Grillo, lui si muove in
modo da evitare con cura la possibilità
di un accordo con qualsiasi partito; nel
giro di un mese è passato dalla difesa del
Porcellum al Mattarellum al proporzionale puro; e le giravolte non sono ancora finite.
L’Italicum, o come verrà chiamato, garantisce la governabilità; non la rappresentanza. Gli elettori rischiano di non
poter decidere neppure stavolta il nome
degli eletti. Il modello Renzi-Berlusconi
evita solo formalmente il vizio del Porcellum dichiarato incostituzionale dalla
Consulta: l’impossibilità di individuare
i candidati. Le liste più brevi renderanno se non altro i deputati riconoscibili. Ma essi non dovranno il loro
mandato a una scelta popolare, come
nel caso dei collegi uninominali; saranno comunque e sempre legati al
capo partito. Se i seggi saranno ripartiti
su base nazionale si eviterà il pericolo di
frammentazione, impedendo a ogni
collegio di eleggere un sindacalista del
territorio; ma si concentrerà ancora di
più il potere di selezione della classe di-
rigente nelle mani di pochi. Per tacere
dei 92 seggi attribuiti con il premio di
maggioranza e quindi del tutto svincolati al territorio.
Oltretutto, di ridurre il numero dei parlamentari non si parla più. Mentre
viene attribuita una funziona salvifica al
superamento del bicameralismo perfetto, che in effetti rallenta le decisioni,
ma non ha impedito agli Stati Uniti
(dove le leggi devono passare al vaglio
di Camera e Senato) di diventare la più
potente democrazia al mondo.
Non è solo una questione politica. La
crisi della rappresentanza non riguarda soltanto i partiti. Trasferire
potere dalle segreterie ai cittadini è
condizione necessaria ma non sufficiente. La rivolta contro le élite investe
l’intero establishment, dai sindacati
alle varie istituzioni. Non saranno primarie semiclandestine come quelle tenute dal Pd tra il Natale e il
Capodanno 2012, o consultazioni online poco trasparenti come quelle grilline, a sciogliere un nodo che non
riguarda solo l’Italia ma è il grande
tema del nostro tempo. Per recuperare
un minimo di credibilità, di capacità
di guida, di rapporto con la base, le
élite devono porsi il tema della rappresentanza. La logica di Grillo – sostituirle con «uno di noi» – palesemente
non funziona, così come non ha funzionato l’utopia leninista di affidare
l’amministrazione dello Stato alla
cuoca (che nell’epoca della cucinaspettacolo ha trovato ben altre gratificazioni). Ma questo non autorizza
nessuno a richiudersi nella logica delle
consorterie e dei partiti personali.
L’unico modo per restituire pienamente ai cittadini il potere di scegliere i
loro rappresentanti sarebbe reintrodurre i collegi uninominali previsti dal
Mattarellum, il sistema con cui si è votato nel 1994, nel 1996 e nel 2001
(quando emerse tutte le volte una chiara
maggioranza di governo). Il più votato
vince, e si trova a rappresentare il collegio, vale a dire il territorio; se poi non
farà bene il suo mestiere, sarà mandato
a casa. Ma i collegi uninominali non
passeranno mai: Berlusconi non li
vuole; e anche gli altri capi partito tutto
sommato preferiscono tenere per sé
quote di potere anziché trasferirle agli
elettori.
nuzione della mortalità infantile sino
all’alimentazione sempre più controllata e a una medicina in grado di consentire anche agli anziani un’esistenza
degna di essere vissuta.
Va però ricordato che questi primati
causano anche effetti collaterali meno
rallegranti. Lo evidenzia un’analisi condotta qualche mese fa dall’Istituto di ricerche economiche (Ire) e pubblicata
sul periodico «Square» dell’Università
della Svizzera italiana. Prendendo in
esame l’atavica lacuna della scarsa competitività del nostro Cantone, la pubblicazione dell’Usi proietta una situazione
socio-economica del Ticino assai più
neutrale rispetto a quella «mitizzata» da
cronache e polemiche politiche. Ad
esempio, analizzando i fattori critici o le
influenze negative, l’Ire include, oltre al
grosso problema dei bassi salari, anche il
peso della struttura demografica, evidenziando giustamente come il nostro
cantone abbia «gli indici di vecchiaia e
di dipendenza (fasce d’età non attive)
tra i più alti della Confederazione» e risulti oltretutto anche un cantone «poco
pronto a gestire il processo d’invecchiamento».
Primati non sempre invidiabili, quindi,
quelli dell’invecchiamento. Lo si deduce
ad esempio dai commenti sul tasso di
denatalità che in Europa stranamente
accomuna Grecia e Germania: lo stesso
giorno che un giornalista greco scriveva
un vibrante articolo (sul «New York
Times») per dire che «i greci sono in
lotta con la sopravvivenza», su uno dei
maggiori quotidiani tedeschi («Bild») in
prima pagina troneggiava questo interrogativo: «I tedeschi si estingueranno?».
La cancelliera Merkel ha ipotizzato una
soluzione improntata sull’immigrazione; l’arcivescovo di Colonia mons.
Meisner ha invece lanciato un singolare
appello: «Donne, state a casa e fate almeno tre figli». Basterà un mix di queste
due soluzioni per risolvere i problemi
demografici e di sviluppo del nostro
cantone?
In&outlet di Aldo Cazzullo
Il nodo della rappresentanza
Ma qual è il significato della partita che
sta agitando la politica italiana? L’opinione pubblica assiste un po’ smarrita e
un po’ spazientita a una discussione che
sfugge alla comprensione di chi legittimamente non si appassiona ai metodi
elettorali, e soprattutto alle convenienze
dei vari partiti. Forse vale la pena mettere ordine.
Berlusconi ha voluto il Porcellum, e ora
vuole questa nuova versione resa appena più decente che passa sotto il
nome di Italicum, per due motivi. Ha
bisogno del bipolarismo, per poter continuare a segnare la politica italiana
nella logica «o con me o contro di me».
E ha bisogno di designare di persona i
parlamentari. Per questo non vuole le
preferenze, che sottraggono potere al
capo per darlo, più che agli elettori, alle
consorterie e alle clientele locali. Alfano
ha l’interesse opposto: il Nuovo centrodestra si presenta come fortemente radicato in particolare al Sud e in Sicilia, e
dalle preferenze trarrebbe giovamento.
Alla minoranza del Pd, delle preferenze
Trattative in
corso fra il
segretario Pd
Matteo Renzi e
Silvio
Berlusconi.
Zig-Zag di Ovidio Biffi
Primati rallegranti ma non troppo
Con la solita professionalità Carlo Silini
a metà gennaio ha presentato e commentato sul «Corriere del Ticino» il voluminoso rapporto su demografia e
salute a fine 2012 nei 35 Stati membri
dell’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico).
Recensendo questo «Panorama della salute», il «Corriere» ha posto in evidenza
un bizzarro primato della Svizzera: il
nostro Paese risulta al primo posto con
45 psichiatri ogni 100 mila abitanti (i secondi, ovvero gli islandesi, ne censiscono meno della metà: 22,3).
Sull’origine di questo primato io azzarderei un «effetto Jung», ma per avere
certezze occorrono ben altri studi!
Molto più «pacifico» l’altro nostro primato, quello della longevità, presentato
così sul CdT: «Nel 2011 la speranza
media di vita per uno svizzero era di 82,8
anni, poco più di giapponesi e italiani (a
pari merito con 82,7 anni). Negli USA,
per dire, si vive in media 4,2 anni di
meno. In Turchia si raggiungono in
media i 75 anni. Dove si campa poco, soprattutto per colpa dell’AIDS, è il Sudafrica dove la speranza di vita si ferma a
52,6 anni».
Ho scelto questo dato riguardante la
longevità perché mi serve da riferimento per approdare ad un altro importante primato captato qualche mese fa,
forse (non ne ho la certezza, avendo
smarrito ogni riferimento sulle fonti)
quando i quotidiani svizzero-tedeschi
hanno presentato lo stesso rapporto dell’Ocse e integrato quei dati con quelli di
un altro studio sulla demografia presentato dall’Ufficio federale di statistica agli
inizi del 2013. Il lavoro dei ricercatori
svizzeri era centrato sulle diversità che
emergono fra le varie regioni elvetiche
in fatto di mortalità ma, di riflesso, esaminava anche quelle riguardanti la longevità. Il primato più eclatante di quel
rapporto è tutto ticinese. Infatti gli
esperti dell’UFS di Neuchâtel hanno
evidenziato l’eccezionale dato relativo
all’aspettativa di vita delle donne tici-
nesi. Quasi un secolo fa, nel 1920 le nostre donne avevano una vita media che
superava di poco i 50 anni e risultavano
in «ritardo» di oltre 7 anni rispetto alle
donne di Basilea città che allora guidavano la classifica. Nel 2010 in Svizzera
nessuno superava in anzianità le donne
ticinesi che vantano una media di 85,5
anni di aspettativa di vita, un anno oltre
la media nazionale e 3 anni in più di
quella delle donne glaronesi. Ricordiamo anche che la media svizzera negli
ultimi 40 anni dell’aspettativa di vita per
gli uomini è passata da 70,1 a 80,3 anni,
mentre per le donne ( 76,1 anni nel
1970) è salita a 84,7 anni (da questi due
dati l’Ocse ha derivato i quasi 83 anni di
speranza media di vita in Svizzera).
Non v’è dubbio che tutti, in particolare
coloro che vedono questi «cippi» ancora
lontani, si rallegrano dei primati di longevità, come pure del continuo progresso (sociale e medico-sanitario) che
contribuisce ad allungare sempre più le
prospettive di vita: a partire dalla dimi-
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
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Cultura e Spettacoli
A teatro
Ogni settimana la scena ticinese
propone diverse pièces che
testimoniano la vivacità locale
Una vita per il cinema
La produttrice Elda Guidinetti della Ventura
Film con sede a Meride racconta le gioie
e i dolori del «fare cinema» in una società che
al cinema va sempre meno
Di architettura e non solo
L’architetto ticinese Mario Botta
protagonista di un
libro-intervista
pagina 35
Dopo gli Smiths
Morrissey, ex-cantante
della celebre band inglese
The Smiths ha dato alle stampe
una discutibile autobiografia
pagina 37
pagina 34
pagina 36
Lo Spirito
Orrendo
Personaggi Ricordando William
S. Burroughs nel centenario della nascita
Daniele Bernardi
Ogni scrittore svolge delle indagini. Si
muove attorno al cadavere, raccattando
indizi come vecchie cicche che qualcuno ha lasciato imprudentemente sul pavimento. Prende nota di ciò che ha visto
e sentito nel luogo oscuro in cui il crimine si è consumato. Nulla gli sfugge: la
posizione del corpo della vittima gli
suggerisce come si sono svolti i fatti e gli
rivela dove si trovava l’assassino al momento dello sparo.
Joan Vollmer nel 1944 studiava
giornalismo alla Columbia University
ed era particolarmente dedita all’uso
della benzedrina. Viveva assieme a Jack
Kerouac e a Edie Parker in un appartamento della 115th Street, a New York.
All’epoca del suo incontro con Joan,
William Seward Burroughs (Saint Louis, 1914 – Lawrence, 1997) era un trentenne eroinomane ben conscio della
propria omosessualità. La cosa non turbava affatto la ragazza, anzi, pare affermasse che «faceva l’amore meglio di
tutti i papponi con cui lei aveva avuto a
che fare in passato».
I due si sposarono e condivisero
una dissoluta convivenza in compagnia
dei protagonisti della «Beat Generation». Ebbero anche un figlio, William
Burroughs III, che venne al mondo già
tossicodipendente e destinato alla catastrofe. Quando, dopo disastrose vicissitudini, nel 1950 la famiglia si trasferì a
Città del Messico, Burroughs non era
ancora un vero e proprio scrittore. Fu lì
che iniziò a buttare giù il suo primo libro, Junkie – un romanzo che considerava di scarso valore, ma contenente già
i semi di quella mostruosa arborescenza
che è l’opera burroughsiana.
Quello che avvenne in seguito è fin
troppo noto. Il 6 settembre del 1951 un
proiettile attraversò le tempie di Joan:
completamente ubriachi i due avevano
deciso di inscenare l’impresa di Guglielmo Tell, utilizzando una delle pistole
che avevano in casa. Forse, narrando
questi fatti, come scrisse Fernanda Pivano, «un critico rischierebbe di passare
per un cronista nero e abbassarsi, come
già certi giornalisti sensazionali, a definire Burroughs un assassino comune o
un ex detenuto per spaccio di droghe».
Non è così, ed è stato lo scrittore stesso a
darcene conferma quando asserì che,
con il decesso della moglie, egli fu costretto a diventare l’autore che tutti oggi
conosciamo.
«Vivo con l’incubo costante del
dominio, e con il bisogno costante di
sfuggire al dominio, al Controllo. La
morte di Joan mi ha portato in contatto
con l’invasore, con lo Spirito Orrendo,
costringendomi a una lotta eterna, in
cui non ho altra scelta che scrivermi la
via di fuga». Da quel fatidico giorno
iniziò l’operazione Burroughs. Muovendosi attorno ad una ferita sempre
aperta, accompagnato dal suo fantasma, el hombre invisible, come lo soprannominarono alcuni, cominciò la
dolorosa indagine che lo portò nei labirinti paranoidi del potere e a dar forma
alle ossessioni che nascono da ogni tipo
di dipendenza.
Non si scrive mai da soli. C’è sempre qualcuno che accompagna il poeta
nella sua discesa agli inferi e nella risalita verso la superficie. Quando Jack Kerouac nel 1957 raggiunse Burroughs a
Tangeri (luogo in cui si era rifugiato e
che si era trasformato, nel suo immaginario, in quella terra di nessuno che
aveva chiamato col nome di «Interzona») sapeva già quale sarebbe stato il titolo del romanzo che, via via, andava
formandosi nelle mani dell’amico: The
Naked Lunch. «Non ho ricordi precisi
di aver scritto le note che ora sono state
pubblicate sotto il titolo di Il Pasto Nudo» scrisse Burroughs nella sua intro-
William Burroughs in un ritratto di Giona Bernardi.
duzione al libro. Kerouac, come solo
un amico può fare, lavorava fino a sei
ore al giorno dattilografando il manoscritto che, presto, sarebbe diventato
una delle leggende della sottocultura
americana.
Narrazione senza storia, flusso di
scrittura con slanci lirici e trovate ferocemente grottesche, scatola cinese devastata contenente miriadi di narrazioni che si susseguono a catena come un
domino inesorabile, Il Pasto Nudo è un
vero e proprio «rapporto» (come ha ben
visto David Cronenberg nella sua versione cinematografica – alla cui realizzazione, peraltro, partecipò lo scrittore
stesso) di un agente infiltrato nell’universo della malattia. Ma quello di Burroughs, ovviamente, non è un mero re-
soconto del disagio. Attraverso la sua
esplorazione ciò che risalta sono le dinamiche di schiavitù alla base delle relazioni tra gli esseri. Come Franz Kafka
(con le dovute proporzioni) egli ci vuole
mostrare le nostre parti di dominati e di
dominanti – e quanto questi due lati
della stessa medaglia collaborino vicendevolmente contendendosi la carne
della nostra mente, mantenendo vivo
un conflitto permanente in un paradossale equilibrio.
«Ci vuole un bel po’ di fegato, ragazzino, a far fuori un’abitudine»
scrisse nella «Prefazione atrofica» che
conclude il volume. Forse un’esperienza estrema ed un’opera così singolare come quelle di «Old Bull Lee» (così lo chiamò Kerouac nelle pagine di
On the road) ci rivelano anche quale
sia l’unica possibile via di scampo al
dolore umano: sapere che non c’è via
di scampo e di questa constatazione, a
dispetto di sé, fare qualcosa – qualcosa
che ci apra la strada verso il mondo
dell’altro, portando sul volto i segni di
quelle ferite che sono i lineamenti del
nostro spirito.
Allora, forse, come l’ottantatreenne autore di una ventina di libri (senza
contare le opere sonore e visive), amante dei gatti e della prosa di Joseph Conrad, potremo dire, seduti sotto un portico di legno in una casa nel Kansas, «Io,
William Seward, capitano di questa sotterranea dalla testa di hashish, domerò
il Mostro di Loch Ness con rotenone e
farò cow boy alla balena bianca».
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
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Cultura e Spettacoli
Rabbia soffocata
su un letto di lenticchie
Serie Tv,
nessun segno
di rispetto
Scena ticinese Oltre allo spettacolo presentato da DesertoDentroTeatro, anche le proposte
problema della
cattiva scelta di
programmazione
continua a far
discutere
di Flavio Stroppini e di Filippo Armati
Giorgio Thoeni
L’avventura teatrale della nostra regione ha ripreso ad alimentarsi con regolarità. C’è molta voglia di mettersi in gioco seguendo paradigmi professionali
spesso diversi ma tutti accomunati da
un percorso di crescita e affermazione.
Letto di lenticchie (A bed among the lentils), un monologo di Alan Bennett, è
stato proposto recentemente per tre sere al Teatro Foce di Lugano da DesertoDentroTeatro, la compagnia fondata
nel 2005 da Fabio Doriali e Mirko
D’Urso. Ora D’Urso, che dirige il prolifico MAT (Movimento Artistico Ticinese), non fa più parte della compagnia
che è guidata da Doriali con scelte di repertorio che guardano alla drammaturgia contemporanea. Conosciamo il suo
stile registico, energico, determinato
talvolta impetuoso. In questo caso affida il compito di reggere la scena a Nadia
Penzavalli, cresciuta nel grembo del
MAT e attrice che avevamo già notato
in alcune precedenti produzioni. Letto
di lenticchie fa parte di Talking Heads,
una serie di dodici racconti scritti per la
BBC alla fine degli anni Ottanta.
La regia di Doriali
avrebbe potuto
essere più insistente
e incisiva, agevolando
il lavoro dell’attrice
Bennett, classe 1934, attore, scrittore e
sceneggiatore di successo, è uno degli
«arrabbiati» della scena inglese. Cresciuto in periferia e da una famiglia proletaria, descrive un mondo schietto, di-
L’attrice Nadia Penzavalli in Letto di lenticchie.
retto, con un linguaggio ricco di luoghi
comuni, spesso disarmanti e posti accanto a considerazioni intrise di feroce
sarcasmo e involontaria ironia: elementi
costitutivi di un ritratto quotidiano e
drammatico. Sono storie che hanno per
protagoniste persone semplici, confrontate con una società in profonda trasformazione e intrappolate nel disagio delle
sue contraddizioni. Letto di lenticchie
racconta di Susan, cinquantenne infelice è moglie di un reverendo inglese,
molto popolare nel quartiere in cui vivono e che deve accompagnare in tutte le
funzioni religiose. Tra noia e disperazione, su una scena su cui penzolano barattoli-ampolle-acquasantiere simili a capestri, Susan racconta della sua vita senza emozioni e del suo incontro con Mister Ramesh, un pizzicagnolo pakistano
che sa danzare: una danza che cambierà
la vita di Susan facendole scoprire una
felicità proibita… su un letto di lenticchie. Lo spettacolo scorre abbastanza
bene e la Penzavalli ce la mette tutta per
rendere credibile la disperazione di Susan, forse ancora al di sotto delle sue vere
potenzialità espressive. Per aiutarla la
regia di Doriali avrebbe potuto insistere
di più nell’accentuare la drammatica
ironia di un testo lasciando così emergere la drammaticità di un disagio sociale
di grande attualità. Applausi ripetuti per
tre seguite serate.
La ferrovia si racconta e Quantum II
al Teatro Sociale
È un progetto in divenire quello che Flavio Stroppini e Monica De Benedictis
stanno presentando a tappe al pubblico
del Teatro Sociale. Da poco è stata superata la terza fase (Step) di Prossima fer-
mata Bellinzona, una ricerca che vedrà
la sua realizzazione definitiva per il palcoscenico della capitale nel gennaio del
2015. È un teatro-documentario nutrito
di materiali d’archivio e originali, ricerche e testimonianze che hanno quale tema il rapporto tra la capitale ticinese e la
ferrovia. Al centro di questa operazione
c’è il racconto di un tragico scontro fra
treni avvenuto nel 1924 alla stazione di
scambio di San Paolo, alle porte di Bellinzona. Un racconto che accende la
memoria locale ancora così tenacemente attaccata a quella «Gotthard Bahn»,
alle storiche Officine, a una società operaia che è ancora sentita nella capitale.
Una memoria ancora viva con i suoi
suoni, le sue voci e leggende, la sua cadenza lavorativa, i personaggi di una realtà fortemente ancorata al territorio.
Dietro a quest’altra avventura c’è la tenacia progettuale della nostra prosa radiofonica accanto a una politica di prossimità portata avanti con perseveranza
dal Teatro Sociale e da buona parte delle
sue coproduzioni.
Un esempio ci arriva anche da
Quantum II di Filippo Armati e Sarah
Waelchli, andato in scena sul suo palco
in prima assoluta a metà gennaio. Lo
spettacolo è un divertente accostamento
fra danza contemporanea e quella pop
passando per il tango e attraversando i
decenni. Animato dalle teorie della fisica quantistica, da esplorazioni filosofiche e da una buona dose di training, Armati e la Waelchli sviluppano una serie
di momenti danzati senza soluzione di
continuità dove prevale l’ironia. Un po’
debole drammaturgicamente, Quantum II propone però uno spettacolo fresco e simpatico al cui debutto il pubblico ha assistito numeroso rispondendo
con applausi anche a scena aperta.
Otto borghesi
in una casa di campagna
Teatro Visita al padre di Schimmelpfennig al Piccolo di Milano
Giovanni Fattorini
Dei drammaturghi della sua generazione, Roland Schimmelpfennig (Göttingen 1967) è il più rappresentato in Germania e uno dei più rappresentati all’estero. In Italia, prima di Visita al padre
sono stati messi in scena quattro suoi lavori, uno dei quali s’intitola Die Frau
von früher (La donna di una volta). Il vero protagonista di questo dramma del
2001, a mio parere, è il Tempo: il Tempo
che altera i corpi, gli affetti e i ricordi; che
genera e vanifica illusioni e giuramenti
di fedeltà e di eterno amore; che accende
e spegne il desiderio e la passione, trasformandoli in indifferenza e avversione, e a volte in odio che spinge al delitto.
Romy (la donna del titolo) incarna il
passato che ritorna e irrompe nell’altrui
presente, con esiti rovinosi.
Come Romy, in una calda giornata
d’estate, suona alla porta di Franz (sposato e con figlio), per dirgli che intende
onorare – e per pretendere che anche lui
onori, dopo ventiquattro anni – un patto d’amore contratto al tempo della loro
adolescenza, così il ventisettenne Peter,
in una fredda giornata d’inverno, suona
al cancello di una grande e antica casa di
campagna per incontrare Heinrich, il
padre sessantenne che non ha mai visto,
e che ignora di avere un figlio, nato da
una breve relazione con una donna molto più giovane di lui. Che cosa ha spinto
Peter a lasciare gli Stati Uniti a bordo di
un mercantile e a raggiungere a piedi, in
due settimane, la casa che sorge isolata
nella campagna coperta di neve? Certo il
desiderio di conoscere il padre, ma quasi
sicuramente anche la volontà di vendicare in qualche modo la madre sedotta e
abbandonata, che poco tempo prima di
essere uccisa da un cancro gli aveva rivelato – fornendogli altresì nome e indirizzo – che il padre non era morto subito
dopo la sua nascita, come gli aveva fatto
credere fino ad allora.
Heinrich (un anglista da dieci anni
alle prese con la traduzione del Paradiso
perduto di Milton) vive lontano dal
mondo con la moglie sessantenne Edith
(proprietaria della casa); con la figlia
ventenne Isabel, che ha interrotto gli
studi per intraprendere la carriera di attrice; con la nipote trentenne di Edith,
Sonja, che lavora presso l’Istituto di Botanica. Ospite per un tempo imprecisato
è la quarantenne Marietta, figlia di primo letto di Edith, che ha dovuto chiudere il suo negozio di moda e progetta di
fare l’infermiera. La vendetta di Peter sarà quella del giovane maschio che attenta al ruolo e all’autorevolezza del genitore possedendo tutte le femmine a lui variamente legate. Quando il vecchio maschio reagisce, la situazione sembra volgere al peggio; ma poi il dramma si
sgonfia in un finalino grottesco.
Nel programma di sala il regista
Carmelo Rifici parla di una rimozione
del passato (quello della Germania nazi-
sta e comunista) «che ha impedito la trasmissione alle nuove generazioni di
un’eredità storica». Parla di uno scontro
tra padre e figlio che richiama modelli
mitici. Parla di giovani «privi di riferimenti, incapaci di imprimere una direzione alle proprie esistenze»: giovani che
«brancolano in cerca di ruoli, cambiano
continuamente lavoro, sovente indicano il mestiere dell’attore quale ideale
obiettivo di realizzazione (perché l’attore ha una parte assegnata)».
Per Carmelo Rifici, è chiaro, Visita
al padre sviluppa in modo persuasivo
dei temi (tutti riconducibili al tema più
generale del Tempo: passato, presente e
futuro) che a me paiono solo accennati,
oppure illustrati in modo goffamente
didascalico: si veda ad esempio il tormentone di Isabel (Sara Putignano), che
all’inizio di ogni atto tenta di cambiare,
senza riuscirci, la schermata di avvio del
suo cellulare, raffigurante – così le sembra – la torretta di guardia di un campo
di concentramento. Al di fuori di queste
scenette (di queste gag?), Isabel è un personaggio di imbarazzante inconsistenza. Di una mancanza di spessore soffrono chi più chi meno anche gli altri personaggi. Massimo Popolizio e Mariangela Granelli (i migliori in scena) si applicano con grande impegno alla caratterizzazione di Heinrich e Marietta, ma
il risultato è al limite del macchiettismo.
Paola Bigatto e Caterina Carpio sono la
professorale professoressa e la di lei fi-
Una scena della pièce Visita al padre,
regia di Carmelo Rifici.
glia Nadia. Alice Torriani è Sonja: molto
alta e molto bionda. Nemmeno Anna
Bonaiuto e Marco Foschi (attori di qualità) riescono a rendere convincenti le figure di Edith e Peter. Devo aggiungere
che Visita al padre abbonda di riferimenti parodici piuttosto rozzi a drammaturghi famosi: Cechov (i bersagli
mancati e la scena degli arrivederci), Ibsen (l’uccisione e l’eviscerazione dell’anitra selvatica), Bernhard (il modo irritato e insolente con cui Heinrich parla
degli scrittori russi).
Dentro la spaziosa, nitida, algida
scena di Guido Buganza, la regia di Rifici
sa rendere fluida una scrittura drammaturgica frammentata e lacunosa, ma non
riesce a vivificare più di tanto una commedia poco coinvolgente a livello di intreccio e psicologia dei personaggi.
Dove e quando
Milano, Piccolo Teatro Studio Melato,
fino al 16 febbraio.
Visti in tivù Il
Antonella Rainoldi
Tante volte abbiamo criticato la tv italiana perché dimostra di considerare il
telefilm alla stregua di un tappabuchi.
Tante volte abbiamo sottolineato l’importanza dell’applicazione del principio
di razionalità. Che senso ha acquistare
un telefilm se poi lo si umilia tenendolo
ai margini della programmazione o
spostandolo in continuazione? O uno ci
crede a queste narrazioni televisive moderne e le valorizza il più possibile, co-
Mad Men, su Rai4 a notte fonda:
perché umiliare un capolavoro?
me usa alla RSI, oppure non ci crede e
decide di rinunciarvi. La soluzione di ripiego non giova a nessuno, tanto meno
allo spettatore.
Quello della confezione è un problema serio. L’ha affrontato la scorsa
settimana Paolo Martini in un articolo
di fondo apparso sulla guida ai programmi televisivi all’interno di «Sette»,
il magazine del «Corriere della Sera».
Nel dispiacersi della moralistica ritrosia
diffusa per la grande serialità internazionale, Martini stigmatizza il trattamento riservato dalla tv italiana ai recenti vincitori di Golden Globe e punta
il dito contro i programmatori: troppe
volte le serie più belle sono state massacrate da mani insensate. È successo con
Breaking Bad e Parks and Recreation,
confinate in collocazioni difficili sulle
reti a pagamento, sul satellite e sul digitale. È successo in queste settimane con
Mad Men: pur rappresentando la qualità assoluta, il capolavoro di Matthew
Weiner è finito a nascondersi tra le pieghe notturne del palinsesto di Rai4.
Downton Abbey è una delle occasioni sprecate più clamorose. Avevamo
in mente di tornarci sopra, dopo l’insuccesso della terza edizione su Retequattro e il trionfo della quarta su PBS,
la televisione pubblica americana. Ma
la penna di Martini ci ha frenato: «Negli
Stati Uniti, Downton Abbey ha fatto segnare il record di ascolti: ha appena battuto persino The Good Wife della CBS,
che dal 21 gennaio Raidue ripropone,
chissà perché, proprio da metà di una
vecchia stagione. Alla fine una regola
base del successo delle serie è inscritta
nel nome stesso, il programmatore televisivo deve scegliere una collocazione
adeguata e mantenerla costante. Ma figurarsi se interessa a qualcuno in Italia
la coerenza editoriale di una rete. E poi,
per un telefilm americano o inglese,
non ci sono agenti, produttori, faccendieri o politici che si lamentino della pessima programmazione». Non
avremmo potuto scrivere di meglio.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
Cultura e Spettacoli
Al pubblico piacerà?
Incontri A colloquio con Elsa Guidinetti, co-responsabile della casa
di produzione cinematografica Ventura Film
Eliana Bernasconi
Fondata a Chiasso nel 1991 da Andreas
Pfaeffli e Elda Guidinetti, con l’obiettivo
di produrre film che superassero frontiere e confini convenzionali di forma e
contenuto, Ventura Film è una casa di
produzione cinematografica con sede a
Meride, che ha avuto quest’anno significativi riconoscimenti: a livello cantonale
il premio assegnato al Festival di Locarno dal Canton Ticino ai produttori
(ex-aequo con Amka Films di Tiziana
Soudani), a livello internazionale con la
presenza di due film in concorso alla
70ma Mostra internazionale del cinema
di Venezia. Due film dal linguaggio cinematografico molto diverso, due mondi
raccontati in modo originale da registi
con una forte personalità artistica: Via
Castellana Bandiera, esordio cinematografico intenso e drammatico della regista e autrice teatrale Emma Dante,
premiato con la coppa Volpi a Elena
Cotta per la migliore interpretazione
femminile, e Die Frau des Polizisten di
Philip Groening, un autore tedesco affermato (di lui si ricorderà Il grande silenzio, documentario girato nella
Grande Chartreuse, premiato come miglior documentario europeo nel 2007).
Elda Guidinetti, non è facile incontrarla... la sua attività la porta a spostarsi molto?
In questo momento sono spesso in
viaggio per due film, uno dei quali è
Fuori Mira di Erik Bernasconi, il regista
di Sinestesia (prodotto da Villi Hermann, Imago Films). Fuori mira è il secondo film di Bernasconi, e come tale
una prova difficile. Girato nell’Alto
Adige, con un cast di bravi attori italiani, il film è attualmente in fase di
montaggio. Sarà finito in primavera. È
una storia dell’oggi, una tragicommedia
sviluppata partendo da una fatto di cronaca avvenuto in Ticino alcuni anni fa.
Mi diceva della Polonia.
Proprio il mese scorso siamo stati a
Lodz per le riprese di un film di Matthias Huser, regista svizzero tedesco al
suo primo lungometraggio. Forse il titolo del film – provvisorio – Mi hanno
rincorso attraverso tutta l’Arizona lascia
intuire perché è stato girato in Polonia.
La storia aveva bisogno di grandi spazi,
ma in Svizzera il paesaggio è marcato da
valli e montagne. La Polonia inoltre ha
una delle più famose scuole di cinema al
mondo, proprio a Lodz, e quindi abbiamo trovato un ambiente molto professionale che ha senz’altro contribuito
a superare la barriera linguistica.
Lo scorso anno in novembre-dicembre
eravamo in Argentina per le riprese di
un documentario su Alfonsina Storni:
Alfonsina di Christoph Kühn, regista
svizzero tedesco che da anni vive ad Auressio e che, studiando la storia dell’emigrazione ticinese si è imbattuto
appunto nella Storni.
Il pubblico delle sale vede solo il
prodotto finale, ma come si muove
un produttore cinematografico?
Capita che un regista arrivi con una primissima vaga idea. È capitato con Kristina Wagenbauer, per esempio.
Eravamo a Berlino e ci ha chiesto un appuntamento. Non la conoscevamo
anche se è cresciuta a Lugano. Ci ha
detto: ho un’idea e voglio che voi siate i
produttori dei miei film. È una giovane
regista talentuosa e molto motivata. Sta
scrivendo il suo primo lungometraggio.
Nel frattempo abbiamo prodotto un
suo cortometraggio, con l’aiuto della
RSI, nostro importante partner. La base
della collaborazione è la voglia di confrontarsi vicendevolmente. Se riteniamo che una storia abbia il potenziale
di diventare un film, aiutiamo a svilupparla, a farla diventare sceneggiatura.
Magari permettendo al regista e allo
sceneggiatore di confrontarsi con una
realtà più grande, internazionale. È capitato per esempio al momento della
scrittura di Fuori mira: abbiamo dato la
possibilità a Erik Bernasconi e ai suoi
cosceneggiatori Mario Fabio e Daniel
Bilenko di frequentare i workshop di
EKRAN, un programma europeo organizzato a Varsavia dalla Scuola di
Wajda. A sceneggiatura finita, vediamo
di trovare i finanziamenti così che la
storia possa diventare un film. Una fase
che può essere anche molto lunga.
Quindi non succede che un regista
svizzero vi contatti con una sceneggiatura.
A noi non è mai capitato. Anche perché
in Ticino e Svizzera il rapporto produttore regista è più facile. Siamo in pochi e
ci conosciamo tutti. Un regista s’informa e capisce con chi gli piacerebbe
lavorare in base alla filmografia del produttore. Nelle coproduzioni invece il
produttore straniero ci contatta sempre
con la sceneggiatura a uno stadio di sviluppo avanzato, se non già con la versione definitiva. E di solito con il
finanziamento garantito. Spesso c’è già
una relazione di lavoro stabilita in precedenza, una collaborazione oppure conoscenza e stima reciproche. Capita
anche che incontriamo registi con progetti interessanti, di cui ci piacerebbe
produrre un film. In questi casi spesso il
cammino è lungo, i film stranieri sono
così costosi che come coproduttori
svizzeri è impossibile arrivare a trovare
anche solo il 10% dei costi.
È importante il distributore?
Il distributore è importantissimo. Può
già essere coinvolto perché la sceneggiatura gli piace, o per il nome degli attori protagonisti, o perché gli sono
piaciuti i film del regista. Avere un distributore fin dall’inizio può essere un
fattore importante nella ricerca dei finanziamenti perché è garanzia che il
film venga realizzato. Il momento in cui
il rapporto produttore-distributore è
più stretto è durante la promozione del
film, quando si concorda la strategia per
coinvolgere il pubblico. Il distributore
da parte sua collabora con il gestore
delle sale cinematografiche.
La vostra esperienza in merito?
I ticinesi non vanno molto al cinema.
Possiamo produrre film interessantissimi, ma la percentuale di spettatori rimane bassa. Anche perché si compete
con molti film prodotti con potenti
mezzi finanziari, penso ai film americani. La produzione cinematografica
rappresenta la maggior industria di
esportazione negli USA, una realtà che
non ha nulla da vedere con la nostra.
Già solo i mezzi per promuovere i film
sono ingenti: la presenza di un’attrice
famosa per promuovere un film a un festival importante può costare metà di
un budget di un nostro film, per dare
un’idea. In Svizzera non c’è un’indu-
La produttrice cinematografica Elda Guidinetti. (CdT - Crinari)
stria cinematografica. Si producono
film in modo quasi artigianale. In Francia invece l’industria cinematografica
nazionale è promossa maggiormente, e
i risultati si vedono. In Italia la situazione è difficile e lo notiamo dal numero
altissimo di richieste di coproduzioni
che ci arrivano da produttori italiani.
Il film di Emma Dante in Ticino è
stato visto?
Via Castellana Bandiera, in prima
mondiale a Venezia, è uscito a metà settembre in Italia e la settimana dopo in
Ticino. Nelle 4 sale che l’hanno programmato percentualmente ha avuto
gli stessi spettatori che in Italia. La differenza sta nei numeri, più di 70’000 in
Italia, meno di mille in Ticino. Naturalmente il distributore così come il gestore delle sale guardano al numero di
spettatori. Vi è però anche chi è interessato a programmare film meno commerciali, ma di valore per forma e
contenuti, di produttori indipendenti
come noi.
Un film non vive solo al cinema.
I festival sono un modo per far conoscere i film al pubblico straniero già interessato al cinema. Per esempio, dopo
Venezia Via Castellana Bandiera è
stato invitato a festival importanti
come Londra, Pechino, Tokyo. I festival possono essere anche un’occasione
per presentare il film a distributori stranieri o a chi si occupa delle vendite
mondiali, arrivando così alla distribuzione televisiva.
Oltre ai festival abbiamo la distribuzione di DVD e di VOD (Video on Demand). La gente ormai non va al
cinema ma vede i film a casa. La tecnologia influenza le nostre abitudini.
Quali difficoltà incontrate?
Le difficoltà sono a ogni tappa della realizzazione di un film. Nella fase della
scrittura sono legate alla struttura che si
vuol dare alla storia, alla psicologia dei
personaggi. Scrivere una sceneggiatura
è un percorso lungo e accidentato, di
natura più concreta al momento della
ricerca dei finanziamenti. Una volta che
i finanziamenti sono assicurati bisogna
organizzare le riprese e assicurare che
alla fine siano «in time e in budget», cioè
non superino il tempo preventivato e il
preventivo. C’è quindi la fase del montaggio, delicata nei documentari perché
spesso quest’ultimi sono «ricreati» al
momento del montaggio. Vengono poi
la sonorizzazione, le musiche, gli effetti
speciali. A film finito la domanda è sempre la stessa: piacerà al pubblico?
Il Novecento secondo Mario Matasci
Gallerie Negli spazi Matasci Arte di Tenero e nel Deposito di Riazzino fino al 22 febbraio è possibile visitare
una mostra dedicata al Novecento artistico di stampo ticinese
Simona Ostinelli
Partiamo da quello che succede ora,
una mostra intitolata Novecento, un secolo d’Arte fra Ticino e Lombardia, che
rimarrà aperta alla Matasci Arte di Tenero e al Deposito di Riazzino fino al
22 febbraio. E parliamo dei temi della
rassegna, dedicata alla pittura lombarda e ticinese fra Otto e Novecento, con
aperture espressioniste provenienti da
Nord. Il programma potrebbe apparire
strano a chi non conosce le vicende artistiche del nostro cantone, e soprattutto la storia della Galleria Matasci,
affermatasi in anni in cui non c’erano
né il Museo cantonale e nemmeno i
musei cittadini. Il promotore dell’iniziativa è Mario Matasci, viticoltore e
conoscitore d’arte. Matasci, che accoglie il visitatore sempre con il sorriso e
grande ospitalità, non sa quante opere
possiede, non ha mai fatto un inventario, ma da come ne parla deve conoscerle tutte una per una. E non ha un
artista preferito, ma tante predilezioni,
che lo hanno accompagnato per quattro decenni di acquisizioni. Per appar-
tenere alla sua collezione, un pittore
deve corrispondere alla sua arte. Come
Tino Repetto, che vive come un eremita, e i suoi dipinti sono spiritualmente
rarefatti. O come Franco Francese, che
ritrae la moglie Elide mentre si spegne
giorno per giorno.
Mario Matasci, classe 1931, ha il
passo svelto di chi ha un obiettivo preciso: far conoscere la sua formidabile
raccolta al maggior numero di persone. «Lo sa quanto ha impiegato quel
capodicastero per visitare la collezione? Tre minuti, dico, tre minuti, neppure il tempo di preparare un caffè».
Non è tenero nei confronti delle istituzioni, ma i fatti, o meglio, i numeri, sono dalla sua parte, con l’organizzazione di un centinaio di mostre di pittura,
scultura e fotografia, che hanno indagato soprattutto il linguaggio espressionista e l’informale, e l’edizione di
validi cataloghi con contributi scientifici di prim’ordine. Non è un caso insomma se la Galleria Matasci ha saputo ritagliarsi uno spazio importante
nella storia artistica cantonale, andando a supplire proprio quelle lacune che
Grande nudo di Edmondo
Dobrzanski.
le istituzioni non sapevano o non potevano colmare.
La storia di Mario Matasci, un uomo che ha saputo mettere a frutto al
meglio le sue doti materiali e intellettuali, è ricca di aneddoti divertenti. Fino a quarant’anni si occupa dell’azien-
da vinicola di famiglia e non ha mai
posseduto un quadro. Nel 1968, mentre sta attendendo un viticoltore in un
grotto di Losone, conosce Erwin Sauter, pittore confederato, che gli offre
un suo quadro. Mario e Erwin entrano
subito in sintonia, e dopo poco tempo
l’artista di Davos chiede di organizzare
una personale nello scantinato di Villa
Jelmini a Tenero, vicino all’azienda vinicola. Quello che poteva restare un
caso isolato si trasforma in una bellissima avventura espositiva che dura ancora oggi. Dalle cantine agli spazi soprastanti il passo è breve, e negli anni
Villa Jelmini ospiterà decine di appuntamenti dedicati ad artisti storici e
contemporanei, quasi tutti vissuti fra
Ticino e Lombardia. A questo filone
locale se ne accosta un altro dedicato
alle influenze espressioniste provenienti da Nord, con nomi di caratura
internazionale che contribuiscono ad
attirare a Tenero visitatori italiani e
confederati.
La mostra odierna, con la sezione
dedicata al figurativo esposta a Riazzino e quella astratta a Tenero, è la storia
della Galleria Matasci, ma è anche la
storia della formazione di un’identità
di un territorio. Una vicenda che non
ha pretese di completezza e che è solidamente ancorata ai gusti e alle passioni del suo promotore. Gli autori presentati sono quasi quaranta ed è impossibile citarli tutti. Però, nel percorso espositivo, abbiamo notato dipinti
di Franzoni, Cattori e Boldini, Dobrzanski e Morlotti, Francese e Repetto. Interessante a Riazzino anche l’allestimento: i grandi ambienti consentono una certa fluidità, ed ecco che visivamente sono possibili i confronti fra
Genucchi e Remo Rossi, e le due Crocefissioni di Schürch e Bonetti. Più
contenuta per ragioni di spazio la mostra a Tenero, ma anche qui non mancano i protagonisti dell’arte lombarda
e ticinese: Chighine e Giunni, Verdi e
Piccoli, ma anche Bolzani, Gabai, Realini e Cavalli. Un’avventura che continuerà anche in futuro: attualmente
Matasci sta lavorando ad una grande
mostra su Dobrzanski, uno dei suoi
preferiti, o meglio, uno dei suoi tanti
artisti preferiti.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
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Cultura e Spettacoli
Vivere l’architettura
Meridiani e paralleli In un libro edito da Casagrande l’architetto ticinese Mario Botta
svela convinzioni, ricordi e visioni
Giovanni Orelli
Dopo una prima segnalazione fatta a
giovani pre-universitari giustamente incerti sulla scelta universitaria, su quale
facoltà, pensateci su bene, voi – voi, cioè
non per obbedienza ai vostri genitori o
parenti o amici, ma senza trascurare loro consigli; ma decidete voi VOI, perché
è una ragguardevole parte del vostro destino che ne dipende, eccomi con la segnalazione di un ammirevole bilancio
intorno alla propria scelta fatta da un architetto ticinese noto in tutto il mondo.
Davanti agli scenari
delle megalopoli
globalizzate l’architetto
non può abbandonare
il proprio impegno
Il suo nome è Mario Botta. Tanto nomini
nullum par elogium disse un cinquecentista per un grande del suo tempo: a tanto
nome nessun elogio è inadeguato. Il libro
sul quale mi appoggio è Vivere l’architettura, Conversazione con Marco Alloni,
Casagrande-Saggi, Bellinzona 2012.
La prima scossa (è un libro pieno di
«scosse») datami (spero proprio che
il –mi si converta in un –ci) quando, subito affrontando il tema dell’etica, (sì, i
buoni architetti non dimenticano l’etica)
scrive, pagina 22: «Questa etica e cultura
degli affetti era una condizione “naturale”, una prerogativa delle donne di una
volta, segnate dalla femminilità austera e
dignitosa tipica del mondo contadino».
Molto ben detto. Grazie a Botta.
Degli uomini son vari gli appetiti,
come dice l’Ariosto. Così le opinioni. A
p. 32 l’intervistatore Alloni interroga
Botta sulla sua formazione, sulle scuole
fatte, cominciando con le elementari.
Botta dice tra l’altro che la scuola elementare «cambia poco o nulla. A quell’età andare bene o male a scuola non fa
una grande differenza». Strana opinione,
in radicale contrasto con quella espressa
dal maggior critico letterario del Novecento italiano, Gianfranco Contini, per il
quale (vedi Diligenza e voluttà. Ludovica
Ripa di Meana interroga Gianfranco
Contini, Mondadori, 1989, p. 21 e dintorni): «Io penso che sia molto più importante un buon insegnamento elementare che un buon insegnamento
universitario. L’universitario è molto facile da produrre. Un buon insegnamento
elementare, questo è essenziale (…). Venire incontro a curiosità mie suscitarmene di nuove: questo è veramente una cosa unica, e in fondo, l’insegnamento è
tutto lì».
Mario Botta (ma forse qui arrischio)
si sente forse più mendrisiotto-lombardo che «ticinese»: «A sud delle Alpi siamo guardati con sospetto dagli altri Svizzeri perché per noi l’Italia è l’Europa.
Quando affermo che la mia città è Milano, certi benpensanti svizzeri si arrabbiano, ma lo dico con piena cognizione di
causa. È inevitabile che Zurigo sia più
lontana rispetto a Como o Milano. Como era al centro del mio distretto vitale e
Il celebre
architetto
Mario Botta.
(CdT - Crinari)
immaginario dell’infanzia, così come
Milano è diventata la capitale della mia
formazione».
Ma il giovane studente che vuol conoscere alcune delle ragioni che hanno
spinto Botta a scegliere architettura, è
impaziente di giungere a quelle pagine
che illustrino il titolo del libro: Vivere
l’architettura. Io non ho nessun numero
per aiutarlo in questa scoperta. Posso dire che mi ha impressionato una pagina
come la 117 sul cantiere di Campione,
che indica anche come un architetto può
essere relativamente libero di inventare
per le «parti esterne» ma non per gli interni:
«Per gli interni devo riconoscere che
non avevo nessun mandato specifico,
per cui l’interior design del casinò ha finito per non avere niente a che fare con il
linguaggio architettonico. Va detto che
purtroppo questo succede sempre più
spesso nei grandi edifici, dove gli interni
hanno una progettazione autonoma, che
per rispondere alle sciagurate leggi del
marketing segue criteri lontani da quelli
dell’architettura».
E quali sono i criteri dell’architettura? Legga, il giovane studente curioso, il
libro, e vedrà. Io segnalerei, come esemplare il capitolo Opero attraverso la luce,
p. 155 e seguenti, e privilegerei la p. 158
per la Biblioteca Bodmer a Cologny, vicino a Ginevra. «La biblioteca Bodmer è
una “meraviglia del mondo”. È conosciuta da pochi…». È una struttura ipo-
gea, cioè sotterranea. La pagina 159 è soprattutto dedicata alla luce, la vera generatrice dello spazio. Ma lo spazio per Botta è interstellarmente diverso dallo spazio mio, qui, esaurito. Ma oso rubare
quattro righe al settimanale per una non
confortosa opinione di Botta (p. 124) che
mi trova totalmente consenziente: «Davanti agli scenari delle megalopoli sparse
nel mondo globalizzato, l’incidenza che
la cultura architettonica riesce ad esercitare appare in effetti insignificante. Questo non significa però che si debba abbandonare l’impegno. Sarebbe come
chiedere a un poeta di non scrivere poesie solo perché il giornalismo più volgare
o lo spettacolo televisivo più triviale hanno mercato».
Una promessa è una promessa!
Ritiriamo da subito tutte le bottiglie
di plastica vuote e le ricicliamo.
La piccola Solei ha un buon motivo per essere contenta:
come abbiamo promesso, ora in ogni filiale Migros insieme
alle bottiglie del latte si possono restituire anche i flaconi
vuoti di shampoo, docciaschiuma, detersivi e prodotti per
la pulizia. Con questa misura e altre numerose promesse
concrete ci impegniamo per la generazione di domani.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
Cultura e Spettacoli
Mezze rivelazioni
Pubblicazioni L’eterno scontro tra ego e arte nell’attesissima
autobiografia della tormentata rockstar inglese Morrissey, criticata
ed elogiata in egual misura dalla stampa e dai fan
Benedicta Froelich
Per quanto sgradevole tale considerazione possa apparire, è indubbio che vi
siano spesso buone ragioni per rimanere perplessi davanti ai libri firmati da
nomi del mondo dello spettacolo quali
showmen, cantanti, attori, etc. Tralasciando palesi aberrazioni quali i vari
volumi a opera di calciatori o soubrette,
la diffidenza verso questo tipo di prodotti deriva quasi sempre dalla consapevolezza di come essi siano sovente redatti da invisibili ghostwriter – e di come, se a scrivere è la celebrità che firma
il volume, il risultato sia perlopiù scadente.
Morrissey avrebbe
fatto meglio
ad affidarsi
alla competenza
di un editor
Questo, tuttavia, non sembra essere il
caso di Steven Morrissey (meglio conosciuto semplicemente come Morrissey), carismatico e tormentato ex frontman della celebre band inglese degli
Smiths, e da molti anni performer solista dall’innegabile originalità. All’età di
cinquantaquattro anni, il buon vecchio
«Moz», come lo chiamano i suoi fan, ha
infatti deciso di seguire le orme di molti
illustri predecessori e scrivere un’autobiografia, intitolata semplicemente Autobiography e da poco pubblicata in
Gran Bretagna (si suppone che una traduzione italiana sia presto in arrivo).
Certo, bisogna ammettere che fa un certo effetto vedere un libro contemporaneo, per giunta realizzato da un cantante, apparire nella prestigiosa collana
«Classics» delle edizioni Penguin (normalmente riservata, come il nome stesso suggerisce, ai grandi classici della letteratura), così come suona strano leggere in quarta di copertina dello «status
iconico raggiunto da Morrissey in vita».
Ma se si riesce a sorvolare su simili cadute di stile, una volta aperto il libro si
rimane piacevolmente sorpresi: perché,
più ancora che il suo racconto, ciò che
cattura il lettore fin dalla prima pagina è
la scrittura di Moz. In modo abbastanza
classico, il libro ha inizio con l’infanzia
di Steven, calata nell’atmosfera triste e
fuligginosa dei quartieri working-class
della Manchester del dopoguerra – ambientazione già immortalata in molti
brani dello stesso Morrissey, in cui questo fondale squallido e spietato diveniva
metafora dell’inevitabile sconfitta a cui
sono destinate le aspirazioni di chi abbia la sfortuna di nascere in simili condizioni (all’interno di «un programma
governativo / studiato per uccidere i
tuoi sogni», come recitava il brano Interesting Drug). Ma, sebbene la prima
parte di Autobiography costituisca un
grande affresco dell’Inghilterra urbana
degli anni ’60-’70 e della fervida scena
musicale che animava il mondo anglofono, curiosamente l’elemento più interessante del libro resta comunque lo stile: Morrissey gioca con le parole, con il
ritmo e le assonanze di ogni singola frase, e le sue descrizioni spietate dei palazzi sventrati e delle strade luride del suo
triste mondo cittadino ricordano vagamente certe visionarie pagine del Dickens di Tempi Difficili – mentre i racconti dei soprusi subiti a scuola (tipici
del sistema educativo anglosassone dei
tempi andati) hanno lo stile lucido e tagliente di una cronaca neorealista.
In effetti, la prima metà del volume
è senz’altro la più catalizzante e intrigante; per contro, chi da Autobiography
si aspettava un compendio di rivelazioni e confessioni sulla carriera musicale
degli Smiths e del loro leader è destinato
a una cocente delusione, poiché, in modo piuttosto arbitrario, Morrissey glissa
su molti dettagli della propria avventura con la band che lo ha reso celebre. Al
di là di questo, tuttavia, si presenta a
tratti un quesito più sottile: quello sulla
reale motivazione dietro diverse pagine
del libro, che suonano come se l’autore
stesse usando la scrittura per tentare di
convincere il lettore a schierarsi dalla
sua parte contro vari colleghi e nemici –
il che, purtroppo, lo spinge a dedicare
ben cinquanta pagine alla famosa causa
Il cantante inglese Steven Morrissey (Moz). (Keystone)
legale che lo vide trascinato in tribunale
da un ex membro degli Smiths per una
triste questione di diritti d’autore.
Certo, chiunque abbia mai amato
Morrissey come musicista di spessore
(e chi scrive è una di queste persone) sa
bene quanto il carattere umorale del
personaggio abbia influito sulla sua carriera, e sulle difficili e tese interazioni
con la stampa e con i colleghi; e bisogna
dire che in queste pagine, egli fa valere
con innegabile forza le proprie ragioni.
Tuttavia, la sua tendenza ad autocommiserarsi risulta piuttosto ridondante
per un lettore, soprattutto considerando che Autobiography conta ben 457
pagine (!). Eppure, nonostante da questo memoriale traspaia un innegabile
egocentrismo, il suo grande valore sta
nella preziosa grazia delle «vignette»
che Morrissey dipinge per illustrare le
sue esperienze giovanili, o i vari personaggi da lui conosciuti; e viene da pensare che, forse, la presenza di un buon
editor o consulente avrebbe davvero
fatto la differenza, nei delicati equilibri
del testo – anche se, probabilmente, il
diretto interessato non avrebbe mai accettato di abbassarsi a seguire i consigli
altrui. Purtroppo, bisogna ammetterlo,
spesso l’egotismo mal si accorda con
l’esercizio dell’arte.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
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Cultura e Spettacoli
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Sì è vero, la canzone
NOVITÀ riesce ancora a stupirci
Musica Nuovi dischi per i giovani talenti Julia Holter e Blue Hawaii
Zeno Gabaglio
PROVA
SUBITO:
LE PIÙ CREMOSE
ZUPPE KNORR DI
TUTTI I TEMPI!
Malgrado la discografia sia in una declamata crisi, malgrado l’industria musicale
sia data per spacciata, malgrado sembri
che nessuno possa più produrre musica,
ogni mese si viene letteralmente sommersi da nuove uscite discografiche. Al
punto che il problema non è tanto scegliere a quale capezzale indirizzarsi per
sussurrare le ultime preghiere, quanto
piuttosto capire come muoversi per poter continuare ad ascoltare buona musica, in un sistema che brilla per sovrapproduzione ed eccesso di promozione. Il
circolo vizioso in cui siamo coinvolti
comporta infatti che – nel sistema musicale sempre più povero e nella società
sempre più disattenta – le forze residue
dell’industria si concentrino sulla pubblicità per prodotti sicuri, l’usato garantito del mercato della musica.
Diventa quasi impossibile uscire da
un simile meccanismo che coinvolge
tutti i media, i social network e persino i
più fidati consigli degli amici. Finché –
per puro caso – il mouse non casca su un
link un po’ discosto, la radio web non
trasmette una certa canzone, in fondo
alla rivista un nome mai sentito prima
attira l’attenzione. E dalla finestra del
proprio udito comincia ad entrare aria
fresca, che non si pensava potesse più esserci, e il corpo si sospende in ascolto.
Julia Holter, Loud City Song
È a metà del pezzo che capita la magia.
Non che He’s Running Through My
Eyes inizi male, anzi: un piano scordato
da saloon che si combina a rumori da
esecuzione domestica e ad una voce cristallina. Autentica intimità sonora. Ma
poi comincia il ritornello, in minore,
languido, che arriva a chiudersi con
un’armonia sospesa e su di un accordo
in maggiore: cosa diavolo ci fa, lì in una
canzone di una giovane californiana, un
fraseggio che sa di Rinascimento e una
cadenza piccarda? Un vero corto circuito per la percezione, un dubbio che colpisce e al tempo stesso affascina. E anche il resto delle tracce di Loud City
Song – l’album pubblicato pochi mesi fa
per la Domino – continua a ripagare
La copertina di
Untogether dei
Blue Hawaii.
l’ascolto curioso di chi crede che la forma-canzone possa comunque e sempre
regalare emozioni nuove. Che sia con
ambientazioni soul-funky, con rumorismi evocativi o con affascinanti arrangiamenti acustici, e sempre ad accompagnare la delicata voce della cantante.
Blue Hawaii, Untogether
No, non è il film del 1961 diretto da Norman Taurog ed interpretato da Elvis
Presley. E nemmeno c’entra l’omonima
traccia dell’omonimo album di Elvis,
conosciuto soprattutto per la canzone
Can’t Help Falling in Love. Blue Hawaii è
un duo canadese di recente formazione,
anche se costola di una band relativamente nota come i Braids, che si iscrive
nel genere «musica elettronica». Cassa
dritta e su le mani? Tutt’altro, perché la
raffinatezza con cui Raphaelle StandellPreston and Alex Cowan cesellano il
suono di ogni canzone non ha niente a
che vedere con lo stereotipo di musica
elettronica danzereccia. Non che qualche traccia del disco Untogether non si
possa ballare, ma a farla da padrone –
anche qui – è il concetto di canzone, di
Top10
DVD & Blu Ray
Top10
Libri
Top10
CD
1. Sotto Assedio
1. Clara Sánchez
1. Artisti Vari
C. Tatum, J. Foxx
Le cose che sai di me, Garzanti
novità
2. Un piano perfetto
D. Kruger, D. Boon novità
3. I Puffi 2
Megahits 2014
2. Artisti Vari
2. Jeff Kinney
Diario di una schiappa –
Guai in arrivo, Il Castoro
Animazione
The Dome Vol. 68
3. Laura Pausini
Greatest Hits
brano da ascoltare per il valore di testo e
musica, di suoni (e il miscuglio elettrico/acustico è davvero riuscito) o di linee
melodiche (belle e imprevedibili, soprattutto quando l’interpretazione della
cantante va a fingere meccanismi, come
il loop, solitamente regno della postproduzione elettronica). Ma a togliere il
fiato è soprattutto The Other Day, l’ultima traccia. Con quel synth arpeggiato
che vaga nell’aria accanto alla voce,
mentre un basso profondissimo tiene
ancorato l’ascolto alle radici della terra.
Vorrei volare ma non posso.
Agenda
dal 3 al 9 febbraio 2014
Eventi sostenuti dalla
Cooperativa Migros Ticino
900presente
Pour échapper à la télévision
Domenica 9 febbraio
Auditorium RSI, Lugano,
ore 17.30
3. Stephen King
4. Shadowhunters
Doctor Sleep, Sperling novità
L. Collins, J.C. Bower
4. Modà
Gioia… non è mai abbastanza
4. J. P. Sloan
5. Elysium
English da zero, Mondadori novità
M. Damon, J. Foster
5. Eugenio Finardi
Fibrillante novità
5. Violetta
6. Come ti spaccio la famiglia
J. Aniston, J. Sudeikis
7. The Lost Dinosaurs
R. Dillane, P. Brooke novità
8. Turbo
Animazione
9. Percy Jackson e gli Dei
dell’Olimpo 2
Il mio diario – un anno dopo
Disney novità
6. Fabio Volo
La strada verso casa, Mondadori
7. Margaret Mazzantini
Splendore, Mondadori
8. Isabel Allende
Il gioco di Ripper, Feltrinelli
6. Andrea Bocelli
Love in Portofino
7. Ligabue
Mondovisione
8. Zucchero
Minispettacoli
Una giornata con Giulio
Coniglio
Domenica 9 febbraio
Oratorio S. Giovanni, Minusio
ore 15.00 / 17.00
Una rosa blanca
9. Eros Ramazzotti
Noi Due
L. Lerman, A. Daddario
9. Khaled Hosseini
10. R.I.P.D – Poliziotti d’aldilà
E l’eco rispose, Piemme
J. Bridges, R. Reynolds
10. Ildefonso Falcones
In vendita nelle maggiori filiali Migros.
Knorr è in vendita alla tua Migros
La regina scalza, Longanesi
10. Antony/Battiato
Dal suo veloce volo
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
39
Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta
Giuro che è l’ultima
Ancora una lettera da una affezionata
lettrice. Giuro che è l’ultima. Mi ha
spinto a renderla nota la considerazione che chissà quante signore si sono
trovate invischiate in una circostanza
simile.
Caro Bruno, ho bisogno del tuo aiuto.
Sei la mia ultima spiaggia. Ho già sottoposto il mio dilemma a un sacco di rubriche di corrispondenza e nessuno ha
saputo o se l’è sentita di darmi un consiglio. Una mia cara amica, donna colta
intelligente e sensibile, quando le ho
manifestato la mia intenzione di rivolgermi a te, mi ha domandato se per
caso mi avesse dato di volta il cervello.
Secondo lei tu non hai un briciolo di
esperienza e darti retta può solo provocare disastri, ma, giunta a questo
punto, non ho alternative. La situazione angosciosa nella quale mi dibatto
senza intravedere via d’uscita è presto
detta: non so come far sapere a mio marito che ho intenzione di lasciarlo perché mi sono innamorata di un altro
uomo. Tu dirai: è una storia vecchia,
banale, si è già verificata milioni di
volte. Lo so, però nel mio caso c’è una
piccola variante ed è, tieniti forte, che
l’uomo di cui mi sono innamorata è un
alieno, un extraterrestre. Guarda che
non è come pensi tu, il mio Lui non è
una palla verde con antenne al posto
degli occhi. È in tutto e per tutto uguale
a un terrestre, solo un filino più bello. Il
mio Eriberto mi ha spiegato che loro
devono assumere le sembianze degli
abitanti del pianeta che sono incaricati
di esplorare. Il nome glielo assegnano
sfogliando dei nostri vecchi registri di
cui sono venuti in possesso e in questo
senso sono rimasti un po’ indietro. Eriberto mi ha detto che quando lui torna
a casa in licenza, sul suo pianeta,
d’aspetto è tutto diverso ma non ha voluto entrare nei dettagli, forse per non
spaventarmi. Tu mi dirai: se è in tutto e
per tutto eguale a uno di noi, come fai a
essere sicura che si tratti di un alieno?
Non credere che non mi sia posta
anch’io questa domanda. Un giorno
che Eriberto non stava tanto bene, l’ho
convinto a farsi visitare dal mio iridologo di fiducia. Ebbene, quello che ha
letto nell’iride dei suoi occhi è stato uno
spettacolo così sconvolgente da spingerlo a cambiare specializzazione, ora
fa il maestro di Kundalini. Caro Bruno,
mi permetto di darti del tu anche se
non ci conosciamo perché sono sicura
che tu sei uno di quelli che vanno sul
monte Musinè ad aspettare gli Ufo. Un
mio amico ti ha visto e mi ha riferito
che mentre gli altri ufologi erano intenti a puntare i loro binocoli verso il
cielo stellato tu ne approfittavi per
spazzolare le cibarie e i vini portati fin
lassù negli zaini per combattere il
freddo della notte. Per tornare al mio
amore alieno, devi sapere che gli esploratori inviati in giro per l’universo
hanno la proibizione assoluta di innamorarsi e di stabilire legami sentimentali duraturi con le donne del posto, ma
Eriberto appena mi ha vista ha perso la
testa e ha infranto le regole. Sinceramente, come dargli torto? Per ridurre
al minimo il rischio che i suoi capi vengano a saperlo e lo richiamino in patria,
dobbiamo vederci di nascosto e,
quando andiamo in giro a comprare
degli abiti e della biancheria per lui, o
andiamo al ristorante o in albergo,
pago sempre io. La verità è che quelli
che comandano sul suo pianeta li spediscono in giro per l’universo praticamente senza istruzioni; per fortuna
Eriberto fa in fretta a imparare i nostri
usi e le nostre abitudini. Gli ho prestato
la mia carta di credito e il mio Bancomat e vedessi com’è diventato bravo a
fare i prelievi! In questo sembra proprio uno di noi. Anche con il nostro
cibo ha fatto progressi incredibili; nei
primi tempi era così affamato che gli
andava bene tutto, panini, pizze, focacce, farinata; poi è stata la fase dei
piatti tipici e adesso siamo al top, ostriche, champagne, tartufi. Ogni tanto si
ritira in una località segreta per compilare e spedire un rapporto. Persino le
pile del suo trasmettitore gliele devo
comprare io, è incredibile che li mandino in giro così, senza mezzi. Qualche
volta parliamo del nostro futuro ma
Eriberto mi ha fatto capire con molto
tatto che è impensabile che lui possa
portarmi con sé nel viaggio di ritorno,
troppo diverse dalle nostre sono le abitudini sul suo pianeta. Nonostante il
fatto che il nostro amore sembri senza
futuro io vorrei ugualmente dire tutto a
mio marito, uno psichiatra poco attento agli aspetti pratici della vita ma
che prima o poi si accorgerà dei buchi
nel nostro conto corrente. Infine non ti
nascondo che coltivo il sogno che il
mio Eriberto si decida a chiedere asilo
politico e rimanga per sempre con me.
Tu cosa mi consigli?
Cara Ornella, io penso che per il momento non dovresti ancora dire nulla a
tuo marito; gli psichiatri hanno la pericolosa tendenza a vedere matti dappertutto. Invece potresti predisporre una
gradita sorpresa al tuo Eriberto; chiedere, senza dirgli niente, l’asilo politico
per lui. Vedi di rilevare di nascosto con
uno stratagemma le sue impronte,
anche incomplete, e portale in Commissariato con una sua fotografia. Vedrai che un asilo glielo trovano e prima
di quanto ti immagini. Fammi poi sapere com’è andata, a meno che non ne
parlino anche i giornali. Tuo Bruno.
sioni di alcuni filosofi, che a partire da
Gorgia fino agli analitici del secolo
scorso non hanno fatto che ripeterci che
noi siamo un qualcosa («monade», diceva Leibniz) che non ha contatti certi
né con la realtà (Kant, Critica della Ragion Pura), né con coloro che appaiono
simili a noi. Come il primo Wittgenstein del Tractatus (1922), che nella prefazione scrive: «Tutto il senso del libro
si potrebbe riassumere nelle parole:
Quanto può dirsi, si può dir chiaro; e su
ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere», e secondo lui non si può parlare
di ciò che si scontra con i limiti del proprio personale linguaggio. Poi cambierà
idea, parlerà di gioco di combinazioni
che porta a una possibile espressione e
comprensione di quanto ciascuno dice.
Ma la paura dell’incomunicabilità ha
ormai, non solo grazie al Tractatus,
preso possesso del ventesimo secolo. Le
scienze della psiche e la filosofia, soprattutto la filosofia del linguaggio e la se-
miotica, hanno dedicato a questo argomento molti scritti e dibattiti, arricchiti
da posizioni limite e opposte o possibili
conciliazioni. Io ho sempre visto con
gratitudine i risultati di alcuni filosofi
nell’età matura: dopo aver negato ogni
possibile contatto con la realtà, Kant poi
non riesce a fare a meno della morale e
della fede in un Dio giudice e retributore, come deve, anche lui, arrendersi al
«libero gioco delle facoltà» quando si
tratta di giudicare del bello, del sublime,
della tensione a un fine di questo
mondo. Così, come si è visto, Wittgenstein. Partendo dunque dalla estrema
severità delle dimostrazioni scientifiche
e logiche, si deve accettare la sfuggente
realtà di come sia possibile aver contezza del mio qui e ora, e riuscire anche
a trasmetterla ai miei simili. Anche perché la vita quotidiana va esattamente
nella direzione opposta, i nostri rapporti col mondo e con l’«altro» sono
fondati su sensazioni, intuizioni, vaghi
sentire. «Hai una brutta cera, che cosa ti
preoccupa?»; «È inutile che tu mi ripeta
che m’ami, si vede che non sei convinto»; «Ho una paura che non riesco a
respirare, né a pensare»; «Scelgo l’abito
rosso, me lo sento mio»; «Qui mi sento
a casa». Quale scienza può scientificamente mostrare il significato di tali
espressioni, che peraltro qualunque essere umano dotato di ragione invece interpreta perfettamente?
Ma. Ma non dobbiamo nemmeno abbracciare con fiducia tutto quanto ci
viene comunicato, perché la non scientificità delle espressioni altrui comporta
una non univoca via al senso. Ed ecco
che una richiesta da ragioniere viene intesa come una battutaccia da guitto,
proprio perché, tra le tante facoltà che
«giocano» nel comunicare tra noi, esiste
anche l’arte del fingere e simulare. Ne
riparleremo, per i prossimi quindici
giorni, i compiti: riprendete in mano il
Galateo.
del rene e così via, spaziando liberamente come nulla fosse in ogni settore
della conoscenza, pretendendo ascolto
e spacciando la vostra ignoranza per
autenticità creativa. Se poi per caso
non venite presi sul serio o il vostro interlocutore si permette di disapprovare, c’è sempre la scorciatoia
dell’insulto o la strada maestra del
complottismo: «Comeeee?! Non è
d’accordo con me! Eh già, deve difendere la sua casta…». «Casta» (unico
voto della settimana: 2) è decisamente
parola abusata, come altre espressioni
che vanno per la maggiore: «quant’altro», «piagnisteo», «gogna mediatica»
(«infamante» e «insopportabile»)…
Automatismi linguistici.
Ma è stata la Giornata della Memoria a
offrirci il meglio (il peggio) del repertorio retorico degli ultimi anni. Dal
calciatore Del Piero al presidente delle
Ferrovie dello Stato, la frenesia di rilasciare alle agenzie, a Twitter e a Facebook la propria dichiarazione sul tema
ha aperto un festival dell’ovvietà e
dell’ipocrisia senza pari. Ognuno con il
suo pensierino perfettamente confezionato e con la sua piccola citazione
faticosamente mandata a memoria
(appunto, la memoria…) due minuti
prima: aperte e chiuse virgolette. Non
costa molto, deresponsabilizza e fa
molto figo. Alcuni, nella fretta, hanno
azzardato considerazioni non proprio
di portata universale. Tipo: «Ricordare
per non dimenticare». Che è come
dire: camminare per non star fermi,
correre per non andar piano, parlare
per non tacere o tacere per non parlare… Ridere per non piangere.
Ci sarebbe da ridere per non piangere.
Per esempio, ecco i compagni di partito di Calderoli e Borghezio, quelli che
di solito paragonano a una scimmia la
ministra Kyenge, gente che caccerebbe
a calci nel sedere i «Bingo Bongo» arrivati sulle carrette del mare, eccoli consegnare ai posteri frasette ispirate tipo:
«La memoria di quei tragici eventi è
importante soprattutto per i nostri
giovani affinché mai più si ripetano simili atrocità» (Roberto Cota, presidente della regione Piemonte).
Applausi. Ecco il presidente della
Lombardia Roberto Maroni citare
Primo Levi: «Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché
ciò che è accaduto può ritornare»… E
a proposito di memoria, val la pena
rammentare che solo il giorno prima
(26 gennaio), per commemorare adeguatamente le vittime della Shoah,
Maria Teresa Baldini, consigliera regionale della lista di Maroni, aveva
chiesto al sindaco di Milano di chiudere i Rom nelle caserme in disuso. Ricordare per non dimenticare (le
castronerie). Ma qualcuno che sappia
tacere (per non dire scemenze)? Non
sarebbe meglio, come in Israele, fermarsi due minuti in silenzio? Ascoltare il suono straziante di una sirena
piuttosto che sopportare per ventiquattr’ore una serie infinita di fesserie?
Postille filosofiche di Maria Bettetini
Paura di (non) comunicare
Avevo scritto una email «di lavoro»:
caro collega, etc., dobbiamo prendere
accordi sugli aspetti tecnici sull’acquisto di materiale che è di competenza sia
mia che tua, buon anno, saluti etc.
Dopo quindici giorni, non avendo ottenuto risposta, riprovo: forse non ti è
giunta la mia email, volevo solo sapere
etc. Risposta: la tua email mi è giunta,
ma pensavo che fosse uno scherzo, che
tu volessi prendermi in giro, e io alle
email ironiche non rispondo mai.
Ohibò. È vero, sia per scritto che a voce
facilmente mi scappa una battuta, ma
da tempo ho imparato, spero, a controllarmi, soprattutto quando si tratta di
numeri, acquisti, bilanci. Lì c’è poco da
ridere, di questi tempi e comunque in
generale. È vero, negli anni potrei aver
scherzato in maniera non gradita. Se
così fu, fu un errore, me ne dispiaccio.
Ma… come si può pensare che uno
scherzi a proposito di materiali di lavoro e denaro che o c’è o non c’è, c’è
poco da ironizzare? Così ragionando ho
capito che l’errore era mio. Era quell’idiota convinzione di pensare e pretendere che tutti seguano lo stesso tuo
filo di pensiero, logico o non logico. Che
in fondo ci intendiamo, ci somigliamo
tutti, proviamo gli stessi sentimenti, miriamo alle stesse mete. E questo è sbagliato, sbagliato, sbagliato. Perché più la
mente del nostro interlocutore sarà raffinata e matura, più facilmente occulterà il suo vero sentire, per mostrare
quello che ritiene opportuno e quando
lo ritiene. Così negli anni, ogni incontro
con questo collega, per me privo di ripercussione emotiva o intellettuale, per
lui forse significava «Attenzione, eccola
qui, attivare modalità “pesce in barile”,
liberarsene subito, pericolo pericolo».
Certamente non possiamo riempirci di
paranoie (il giornalaio mi dà il resto
senza guardarmi in faccia, sta forse
complottando un rapimento?), e nemmeno, d’altra parte, accettare le conclu-
Voti d’aria di Paolo Di Stefano
Le parole allo sbaraglio
Spulciando nel chiacchiericcio universale che quotidianamente ingolfa il
web c’è da divertirsi, perché la Rete
esorta chiunque a commentare qualunque cosa senza ritegno, come in
una gigantesca «Corrida» (vi ricordate
la storica trasmissione radiofonica e
poi televisiva di Corrado, sottotitolo:
«Dilettanti allo sbaraglio»?). Commentare è l’invito indifferenziato di
ogni sito di informazione che si rispetti: siete pregati di dire la vostra su
ogni argomento, poco importa se sparate scemenze, fatelo, non esitate, partecipate, intervenite, non siate timidi,
commentate tutto il commentabile…
Il vostro commento cretino si sommerà a un altro commento cretino e
avanti di questo passo i contatti cretini
si moltiplicheranno e il successo del
sito sarà assicurato ai posteri. Per
esempio, pur non avendo mai aperto la
Costituzione, volete dire la vostra sullo
psicodramma della legge elettorale italiana? Non intendete per nulla al
mondo risparmiare all’umanità il vostro parere incompetente e per di più
anonimo? Collegatevi con un giornale
a caso e buttate là la vostra stupidata in
faccia al costituzionalista che nella vita
non ha fatto altro che studiare la legge
elettorale: su, coraggio, combattete
con lui ad armi pari. Insegnate a Giovanni Sartori o a Gustavo Zagrebelsky
che cos’è un collegio uninominale.
Che sarebbe come voler dare consigli
ad Alonso su come pilotare la Ferrari e
a Leonardo su come rendere più
espressiva la Gioconda: «Avresti dovuto mette un’ombra in più di grigio
sulla palpebra destra…».
Dietro uno pseudonimo (nickname in
inglese), potete fingervi esperti e disquisire con tutti di tutto: stamattina di
fissione nucleare, a mezzogiorno dell’urbanistica di Los Angeles, oggi pomeriggio di filologia bizantina, stasera
di criminalità organizzata, domani
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
Idee e acquisti per la settimana
shopping
E vai con i bagordi
Attualità Sono oltre 150’000 le persone che ogni anno si divertono partecipando ai carnevali sparsi per il Ticino.
Nostro incontro con un Re
Alcune classiche specialità carnascialesche di Migros Ticino: i bigné ticinesi Savaris, le frittelle ondulate e le bugie zuccherate. (Flavia Leuenberger)
Il Re di Locarno è stato eletto l’anno
scorso a questa nuova carica e a lui
chiediamo da dove provenga questa
sua passione.
Nella lista delle tradizioni viventi allestita dall’Unesco, c’è anche il carnevale ticinese che sta entrando nel
pieno del suo svolgimento. Per conservare le tradizioni, ma anche per
promuovere forme di divertimento
non violente e lontane da eccessi di
sorta, 130 società carnevalesche del
Ticino e della Mesolcina si sono unite
nel 2007 per fondare l’Associazione
regnanti della svizzera italiana (Arsi –
www.arsiticino.ch), oggi presieduta
da Mauro Trapletti (nella foto).
«La mia passione per il carnevale nasce
da molto lontano. Da giovane seguii
l’invito di un amico e partecipai al mio
primo veglione. Fu un vero successo per
me, tanto che da allora non ho più
smesso di festeggiare. A conseguenza
della mia assidua presenza, in diversi mi
hanno chiesto se volevo diventare Re e
io ho semplicemente accettato con
gioia: per dieci anni sono stato il Re di
Gordevio, mentre l’anno scorso sono
stato eletto a capo della Stranociada, il
carnevale di Locarno».
volta “CarnevalArsi”, ossia un carnevale
benefico per gli utenti dell’Unitas e del
Tavolino magico. Lunedì 3 marzo saremo alla casa Andreina di Lugano per
portare allegria, musica e coriandoli, gustando nel contempo e in compagnia il
tradizionale risotto e luganiga».
Già, risotto e luganiga è di sicuro un
piatto importante della maggior
parte dei carnevali della Svizzera
italiana (se non di tutti). Quali le altre
tradizioni culinarie (e non) che pos-
siamo ancora trovare e che volete
anche mantenere?
cora degustare, contribuendo così a
mantenere viva una bella tradizione».
«Personalmente ritengo importante che
a carnevale ci si mascheri ancora e pertanto vedo di buon occhio iniziative a
incitamento di questo, come i concorsi
che a Locarno vengono organizzati per
le migliori maschere presenti alla Stranociada. A livello culinario noto che
purtroppo si fatica sempre più a trovare
i ravioli o i tortelli di carnevale. Fortunatamente in alcuni paesi si possono an-
Oltre ai tortelli, altri dolci allietano questi momenti di festa. Nei supermercati
Migros possiamo per esempio assaporare le classiche frittelle ondulate, i
bigné ticinesi, le chiacchiere o le bugie
zuccherate, tutti prodotti che sono entrati ormai a far parte delle abitudini
carnevalesche dei ticinesi. / Elia Stampanoni
Alcuni carnevali
del 2014
A Locarno ha preso posto su un
trono vacante…
«Esatto, Locarno ha finalmente riavuto
un suo Monarca, Re Pardo 1°, dopo ben
22 anni di assenza. Nello stesso anno
sono pure diventato presidente dell’associazione Arsi».
Oltre che difendere le tradizioni e
promuovere la sicurezza, quali altre
attività svolge l’associazione?
«Quest’anno organizzeremo per la prima
Bigné ticinesi Savaris 150 g Fr. 3.90
Frittelle di carnevale 216 g Fr. 2.90
Bugie zuccherate 250 g Fr. 3.50
5-8.2
13-16.2
18-23.2
24.2-3.3
27.2-4.3
27.2-4.3
28.2-1.3
5.3-8.3
6.3-8.3
Re Bözz Sementina
Carnasch Cadenazzo
Lingera Roveredo
Sbroia Lugano
Rabadan Bellinzona
Nebiopoli Chiasso
Stranociada Locarno
Re Naregna Biasca
Or Penagin Tesserete
42
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
Idee e acquisti per la settimana
Legumi secchi:
buoni, nutrienti e convenienti
Novità Da questa settimana presso i reparti verdura dei supermercati Migros di Serfontana, Lugano, Agno,
S. Antonino e Locarno troverete diverse leguminose secche in vendita sfusa
La scelta è veramente allettante e saprà
certamente accontentare tutti gli amanti
dei legumi. Ceci giganti, farro perlato,
lenticchie verdi e rosse, fave, piselli e diversi tipi di fagioli quali spagna, neri,
borlottini, dall’occhio, rossi e cannellini
sono ora ottenibili al libero servizio, nelle
maggiori filiali di Migros Ticino. Non
dovete fare altro che riempire il sacchetto
messo a disposizione con la quantità desiderata, pesarlo e stampare l’etichetta da
apporre sul sacchetto.
I legumi secchi sono apprezzati dai
buongustai non solo per la loro delica-
tezza, ma anche per le loro proprietà nutrizionali, dal momento che contengono
pregiate sostanze quali fibre alimentari,
vitamine, oligoelementi e proteine (leggi
riquadro). Inoltre sono praticamente
privi di materia grassa e il loro prezzo è
particolarmente vantaggioso. Alcuni
consigli: per ammorbidirli e ridurre i
tempi di cottura, come pure per renderli
più digeribili, i legumi secchi vanno
messi in ammollo in acqua fredda il
giorno prima della cottura. Prima di
farlo sciacquarli sotto l’acqua corrente
per eliminare le impurità. Salate i legumi
solo a fine cottura. Cuocere a fuoco basso
in abbondante acqua. I tempi di cottura
possono variare da circa un’ora e mezza
(fagioli) fino a tre-quattro ore (ceci) . Per
dimezzare i tempi di cottura si può utilizzare la pentola a pressione; in questo caso
si può anche evitare l’ammollo.
Il parere dell’esperta
Falafel ai pinoli con crème fraîche alla limetta
«Le leguminose sono ricche di amido
e quindi di energia. Inoltre sono una
buona fonte di proteine, fibre alimentari, ferro, calcio, magnesio, e potassio. Fra le leguminose troviamo lenticchie, ceci, fagioli di vari tipi (borlotti,
cannellini, bianchi di spagna, dall’occhio, neri,... come pure piselli).
Le proteine delle leguminose sono più
sensibili alle interferenze positive o
negative sull’assorbimento. Per questo motivo è raccomandato l’ammollo, e gettare l’acqua dell’ammollo,
al fine di eliminare i fitati che interferiscono con l’assorbimento del ferro.
Combinare ai legumi un cereale permette di aumentare il valore biologico
delle proteine. Le raccomandazioni
nutrizionali attuali per un’alimentazione equilibrata propongono di consumare settimanalmente due o tre
volte leguminose abbinate ai cereali.
Nella pratica potete abbinare 50-100 g
di legumi cotti con 150-200 g di cereali, di preferenza integrali, oppure
pasta, cotti. Potete preparare leguminose in maggiore quantità e congelarle, così da averne sempre una
Piatto principale per 6 persone
Pamela Beltrametti, dietista
diplomata S.S.S., titolare
dello studio di consulenza e terapia
dietetica «La Dietista» di Cadenazzo
(www.ladietista.ch)
scorta. Alcune gustose preparazione
potrebbe essere, ad esempio: Falafel
(polpette di ceci) con riso integrale;
Fagioli in insalata con farrotto allo
zafferano; Paté di lenticchie con pane
integrale; Fagioli borlotti con pasta;
Minestra di farro e ceci. Sarebbe
ideale accompagnare questi abbinamenti con un’insalata o delle crudità,
fonti di vitamina C, che aumenta l’assorbimento del ferro proveniente dai
legumi».
ciato e le erbe tritate finemente. Pestate il
cumino e aggiungetelo ai ceci insieme con
la paprica, il sale, il sumac, l’amido di mais,
la farina e il lievito. Impastate bene il tutto e
lasciate riposare l’impasto per un paio
d’ore.
Ingredienti
500 g di ceci
300 g di cipolle
200 g di pinoli
4 spicchi d’aglio
3 mazzetti d’erbe, ad es. prezzemolo,
cerfoglio, coriandolo
1 cucchiaio di semi di cumino
1 cucchiaio di paprica
15 g di sale
1 cucchiaio di sumac, in vendita nei negozi
di specialità etniche
1 cucchiaio di amido di mais
2 cucchiai di farina
0.5 cucchiaino di lievito in polvere
olio per friggere
½ limetta
200 g di crème fraîche
sale, pepe
2. Formate delle polpette grosse come una
noce. Doratele in una friggitrice, poche alla
volta, a 170 °C per ca. 5 minuti. Grattugiate
la scorza della limetta e mescolatela con la
crème fraîche. Unite un poco di succo e
condite con sale e pepe. Servite la crème
fraîche con i falafel.
Tempo di preparazione
ca. 40 minuti + riposo alcune ore + ammollo tutta la notte
Per persona
ca. 18 g di proteine, 19 g di grassi, 29 g di
carboidrati, 1500 kJ/360 kcal
Preparazione
1. Mettete a bagno i ceci in acqua fredda e
lasciateli ammollo per tutta la notte. Scolateli e fateli sgocciolare bene. Tritateli grossolanamente con le cipolle e i pinoli in un
tritatutto poco alla volta. Trasferite la massa
in una scodella. Unite ai ceci l’aglio schiac-
Una ricetta di
43
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
Idee e acquisti per la settimana
Portateci
i vostri
giocattoli
usati!
Sabato 8 febbraio, dalle 8.00 alle 17.00, il
Centro S. Antonino ha il piacere di
ospitare ancora una volta l’associazione
locarnese GiocaSolida. Nell'ambito di
un programma occupazionale gestito
dal comune di Muralto, dei disoccupati
raccolgono giocattoli usati e una volta
rimessi quasi a nuovo vengono donati
ai bambini più bisognosi in Ticino, in
Svizzera e all’estero. Il programma riscuote di anno in anno un successo
sempre maggiore.
La formula è semplice: consegnate i vostri giocattoli da riciclare agli utenti di
GiocaSolida presenti nella mall del
Centro S. Antonino. Dopo essere stati
Più
shopping
Lo sapevate che alcune filiali Migros del
Sottoceneri vi danno la possibilità di effettuare la spesa serale fino alle ore
19.00, dal lunedì al sabato, durante tutto
l’anno? Vi ricordiamo qui quali sono gli
orari d’apertura dei punti vendita interessati:
Boffalora
dal lunedì al sabato 08.00 - 19.00
Stabio
dal lunedì al sabato
08.00-12.30/14.00-19.00
Molino Nuovo
dal lunedì al sabato 08.00-19.00
Mendrisio
dal lunedì al sabato 08.00-19.00
(giovedì 20.00)
Pregassona
dal lunedì al sabato 08.00-19.00
(giovedì 21.00)
Serfontana
dal lunedì al venerdì 8.30-19.00
(giovedì 21.00)
Sabato 8.30-18.00
Cassarate
dal lunedì al sabato 08.00-19.00
Lugano
dal lunedì al sabato 08.00-19.00
(giovedì 21.00)
Premiazione concorsi
«SMS» weekend Royal
Negli scorsi giorni si è svolta la premiazione dei due concorsi proposti durante
lo scorso anno in collaborazione con il
fornitore La Ferme Bongrain di Cressier
sur Morat, abbinati ai rinomati formaggi
francesi: Tartare, Saint Albray, Chavroux
Tendre Bûche, Fol Epi Classic e Caprice
des Dieux. 20 fortunati clienti si sono aggiudicati ognuno una carta regalo Migros
del valore di 200 franchi. I due premi
principali, costituiti da un buono viaggio
Hotelplan del valore di 2’000 franchi
l’uno, sono stati assegnati alla signora Lea
Nyfeler di Lugaggia e alla signora Camilla
Fossati di Bellinzona. Alle due fortunatissime vincitrici vanno i nostri complimenti. Vi possiamo sin d’ora anticipare
che nel corso dell’anno saranno riproposti altri concorsi abbinati a questi formaggi tipici della Francia; non perdete le
prossime edizioni di Azione per i dettagli!
separati per tipologia, verranno portati
nell’atelier di Muralto, dove saranno lavati, disinfettati e, laddove necessario,
accuratamente riparati. I giochi rimessi
a nuovo verranno quindi imballati, catalogati e infine regalati ai bambini più
indigenti. L’anno scorso, GiocaSolida
ha trattato oltre 50 mila giocattoli, mettendoli a disposizione di più di 37 mila
bambini di ogni parte del mondo. Infine ricordiamo che GiocaSolida non ritira giochi elettrici a pila o batteria, giochi e peluches ingombranti, nonché
giochi attinenti alla guerra.
Vi aspettiamo numerosi!
Da sinistra: Renato Facchetti (responsabile pubblicità e sponsoring Migros Ticino), i coniugi Nyfeler e Charles-André Robert (responsabile vendite La Ferme Bongrain). (Giovanni Barberis)
Richiamo e ritiro
dei gorgonzola
Da un controllo a campione effettuato
internamente alla Migros sui gorgonzola è stata riscontrata la presenza di microorganismi del tipo Listeria nel prodotto Gorgonzola Dolce. Per motivi di
sicurezza, nella giornata di venerdì 24
gennaio 2014, la Migros ha richiamato
l’articolo interessato – Gorgonzola
Dolce, 200 g, n. articolo 2125.843,
prezzo d’acquisto Fr. 2.90.
L’Assicurazione qualità ha poi valutato
nuovamente la situazione dopo il richiamo. Sebbene finora non si segnalino ulteriori casi di listerie, la Migros ha
comunque attivato uno stop agli approvvigionamenti per tutti i prodotti
del fornitore italiano. Precisiamo che si
tratta di una pura misura cautelativa. Né
le verifiche del fornitore che analizza a
campione ogni partita prima della consegna né i controlli interni alla Migros
hanno infatti rivelato la presenza di altra
Listeria. Il produttore viene attualmente
sottoposto a ulteriori audit e controlli.
Gli approvvigionamenti potranno riprendere soltanto a fronte dei risultati
completi dei test e del via libera da parte
dell’Assicurazione qualità.
La misura adottata avrà come conseguenza l’assenza dei singoli gorgonzola
dagli scaffali Migros per il prossimo periodo. I gorgonzola di altri fornitori re-
gionali non sono interessati dalla misura cautelativa e rimangono pertanto
in assortimento.
Per qualsiasi domanda, i clienti possono
rivolgersi all’Infoline della Migros:
M-Infoline tel. 0848 84 08 48
da lunedì a venerdì dalle 08.00 alle 17.00
sabato: dalle 08.30 alle 12.30
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
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Idee e acquisti per la settimana
Cosce di pollo saporite
con yogurt alle erbe e spicchi
di patate al forno
Piatto principale per 4 persone
Ingredienti
qualche gambo di prezzemolo* e di aneto*
1½ limoni*
4 cucchiai d’olio d’oliva*
360 g di yogurt al naturale*
800 g di patate*
3 spicchi d’aglio*
¼ di mazzetto di erbe, ad es. timo, rosmarino, salvia
4 cosce di pollo*
sale alle erbe*, pepe dal macinapepe*
Il gruppo
L’uscita all’aperto
Nell’allevamento bio sono permessi
al massimo 500 animali per gruppo.
In ogni pollaio si possono tenere
quattro gruppi suddivisi. Ciò influisce
positivamente sulla salute degli animali.
Per garantire un allevamento rispettoso
degli animali, i polli possono fra l’altro
uscire sul pascolo e dispongono
di sufficiente luce del giorno.
2. Scaldate il forno a 220 °C. Tagliate i limoni a pezzetti,
dimezzate le patate per il lungo e tagliatele a spicchi.
Schiacciate un poco gli spicchi d’aglio senza sbucciarli.
Trasferite il tutto in un sacchetto grande per surgelati. Infilate sotto la pelle di ogni coscia di pollo 1 rametto d’erba
aromatica o delle foglioline. Staccate le foglioline dai rametti d’erba rimasti e mettetele nel sacchetto insieme
con le cosce di pollo. Condite generosamente il tutto con
sale alle erbe e pepe. Mescolate bene.
3. Estraete le cosce di pollo dal sacchetto e accomodatele nella teglia. Rosolatele nel forno per ca. 10 minuti.
Abbassate la temperatura a 200 °C. Distribuite le patate,
i pezzetti di limone e l’aglio intorno alle cosce. Cuocete il
tutto nella parte superiore del forno per ca. 30 minuti. Durante la cottura girate le cosce una volta. Servite il pollo e
le patate con lo yogurt alle erbe.
Il pollo che può
andare
sul pascolo
Suggerimento
se volete cosce di pollo particolarmente saporite, prima
della cottura fatele marinare in frigo per ca. 2 ore.
Tempo di preparazione
ca. 15 minuti + cottura ca. 40 minuti
Per persona
ca. 27 g di proteine, 23 g di grassi, 37 g di carboidrati,
200 kJ/470 kcal
Il cibo
Illustrazione Maja Drachsel; foto Claudia Linsi
I polli bio sono tenuti in piccoli gruppi che
possono uscire regolarmente all’aperto. Di
conseguenza la loro carne, povera di grassi,
acquista una buona consistenza
Preparazione
1. Tritate il prezzemolo e l’aglio. Grattugiate un poco di
scorza di limone. Mescolate la scorza grattugiata e il trito
d’erbe con 1 cucchiaino d’olio e lo yogurt. Condite la
salsa con sale alle erbe e pepe e mettete in frigo.
Il cibo bio è privo di organismi geneticamente
modificati. Qualità bio significa anche
nessun impiego preventivo di medicamenti
e additivi chimici.
Il tema polli risveglia in noi immagini di
diverso tipo. Da una parte si pensa a moltissimi polli in uno spazio ristretto, dall’altra ad animali che razzolano pacificamente in un verde prato. Quest’ultima è la
realtà per i polli bio. Da subito Migros
offre un assortimento ampliato di polli
bio. Questi animali sono allevati secondo
le severe linee direttive bio: possono uscire
all’aperto tutti i giorni e nei pollai godono
Bio è simbolo di misure severissime nella coltivazione
di materie prime. La massima priorità spetta al rapporto delicato con la natura,
alla naturalezza delle materie
prime e dei prodotti nonché
al benessere degli animali.
di aria fresca e luce del giorno. La fase di
oscurità dura otto ore, e ogni gruppo di
polli non può comprendere più di 500 animali. L’uscita all’aperto giornaliera rafforza le loro difese immunitarie e ne favorisce l’irrobustimento. Questo è
importante, perché l’impiego preventivo
di medicamenti chimici come antibiotici è
proibito. Organizzazioni riconosciute
dallo Stato controllano e certificano i pro-
duttori bio e chi lavora le carni almeno una
volta all’anno. In tal modo si può garantire
che dove c’è scritto bio, c’è dentro bio.
Il pollo è una carne apprezzatissima. Questo perché si tratta di una carne sana, leggera e versatile nella preparazione. Un
petto di pollo ben arrostito e tenero con
un’insalata mista, un croccante pollo al
forno o uno sminuzzato esotico con riso
basmati: non ci sono limiti alla fantasia
creativa. Le erbette aromatiche mediterranee come timo, maggiorana e salvia si sposano perfettamente col pollo, che di per sé
ha poco aroma, quindi gli olii eterici delle
erbe fresche servono a esaltare al meglio il
delicato sapore della carne. Per renderla
bella piccante, si aggiunge pepe, sale, peperoncino e paprika. E un buon brodo di
pollo riscalda e rinforza nel gelido inverno. / Heidi Bacchilega
*Tutti gli ingredienti sono disponibili come prodotti bio.
Ricetta di
Parte di
Generazione M è simbolo
dell’impegno sostenibile
della Migros. Migros bio ne
fornisce un prezioso contributo.
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Bio pepe** Max Havelaar nero intero
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
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Idee e acquisti per la settimana
Sulle piste
carichi di
energia
I loro preziosi ingredienti fanno dei diversi
prodotti Farmer i compagni ideali degli
sportivi. Ora il già vasto assortimento
si arricchito di tre creazioni a base di noci
e frutta
Anche durante le vacanze sciistiche, la
mattina si dovrebbe iniziare con una
sana colazione. In particolare se si intende praticare sport tutto il giorno,
una sana alimentazione è essenziale per
vivere la giornata in piena energia.
I prodotti Farmer forniscono all’organismo preziose energie, perché il loro
principale componente sono i cereali. I
fiocchi e i müesli Farmer, contrariamente a una colazione tradizionale
composta da molti ingredienti, si preparano in un attimo. Si aggiunge un po’
di latte, di jogurt e di frutta fresca, ed
ecco pronto un pasto equilibrato, sano e
leggero. Farmer Croc semi e noci, ad
esempio, un müesli con cereali, semi di
zucca e di girasole, noci croccanti e dolcificato con glicosidi steviolici invece
che con zucchero, fa della colazione
un’autentica leccornia da sgranocchiare.
Chi preferisce il gusto acidulo ricorrerà
a Farmer Croc bacche di bosco. E anche
gli amanti del cioccolato troveranno
CONS IG LI PE R L’ALIM EN
TA
Cibo da pista
I nutrienti sono decisivi per ma
ntenere la forma
e l’efficienza.
• Alla mattina Un müesli forn
isce energia. Aggiungetevi
pure un po’ di frutta fresca.
• Pasto principale Sciare me
tte appetito. Rinunciate
alla bistecca con patatine fritt
e. L’organismo necessita
poi di molta energia per la dig
estione e s’impigrisce.
Meglio una minestra o pollo
con verdura.
• Bevande L’aria secca inverna
le fa consumare
più liquidi. Ideali sono acqua
o tè non zuccherato.
Le bevande alcoliche non son
o adatte quali dissetanti,
in quanto compromettono la
capacità di concentrazione
e di guida.
pane per i loro denti: i fiocchi di grano
integrale, in parte rivestiti di cioccolato,
contengono sette vitamine e ferro, oltre
a un’alta percentuale di fibre.
L’assortimento Farmer offre una gran
varietà di prodotti per tutti i gusti.
Come novità, ora c’è anche la barretta
di cereali alle noci e alla frutta in tre varietà. Con melagrana, mirtilli o mela e
molte noci intere, questo snack è gustosissimo e fornisce tanta energia.
Lo spuntino ideale per ricuperare velocemente le forze
Se si trascorre tutta la giornata sulle piste,
una barretta Farmer è lo spuntino ideale.
Ad esempio Farmer Sport, la barretta
energetica con martilli rossi: la sua ricca
percentuale di fruttosio e glucosio fornisce velocemente al corpo preziosa energia. Barrette, fiocchi e müesli: tutti i prodotti Farmer sono anche fonte di fibre
vegetali. / Anette Wolffram Eugster;
foto Daniel Ammann; styling Carla Camiolo
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Farmer Croc bacche di bosco
500 g Fr. 3.80* invece di 4.80
Farmer Croc nature senza aggiunta
di zucchero 500 g Fr. 3.80* invece di 4.80
Farmer yogurt cioccolato
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2 x 550 g, 15% di riduzione
Tutti i tulipani
20% di riduzione, per es. tulipani M-Classic,
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Mix di orchidee
in vaso da 12 cm,
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Tutto l’assortimento Exelcat
20% di riduzione, per es. menù croccante
con manzo, 1 kg
Tutto l’assortimento di conserve di pesce
Rio Mare e Albo
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in olio d’oliva, 104 g
Tutti i Filets Gourmet Pelican MSC,
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Pomodori a grappolo, bio,
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Formentino, bio, Svizzera / Italia,
busta da 100 g 3.30
Mele Braeburn, agrodolci,
Svizzera, al kg 2.40 invece di 3.60 33%
Banane, bio, Fairtrade, Perù /
Ecuador, al kg 2.40 invece di 3.20 25%
Arance sanguigne, bio,
Italia, retina da 1 kg 2.70
Asparagi verdi, Messico, mazzo
da 1 kg 5.90 invece di 8.90 33%
Mirtilli, Cile, in conf. da 125 g
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PESCE, CARNE E POLLAME
Wienerli M-Classic, 5 x 2 paia,
Svizzera, 1 kg
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Lonza di maiale, TerraSuisse,
affumicata, per 100 g
1.95 invece di 3.30 40%
Carne secca dei Grigioni,
affettata, Svizzera, 123 g
7.90 invece di 9.90 20%
Fettine di pollo Optigal, Svizzera,
per 100 g 2.70 invece di 3.30
Tutti i tipi di sushi, per es. sushi,
bio, salmone da allevamento in
Irlanda e gamberetti da allevamento
in Costa Rica, 130 g
9.50 invece di 11.90 20%
Gamberetti tail-on, bio, cotti,
d’allevamento, Ecuador, per 100 g
4.30 invece di 6.20 30%
Prosciutto cotto Puccini, prodotto
in Ticino, affettato fine in vaschetta,
per 100 g 2.55 invece di 3.90 30%
Salame spinata Beretta, prodotto
italiano, affettato in vaschetta,
per 100 g 2.80 invece di 4.10 30%
Teneroni di vitello, TerraSuisse,
Svizzera, imballati, per 100 g
2.50 invece di 3.20 20%
Spezzatino di vitello magro,
TerraSuisse, Svizzera, imballato,
per 100 g 2.50 invece di 3.60 30%
Lombatine d’agnello,
Nuova Zelanda / Australia, imballate,
per 100 g 3.70 invece di 5.30 30%
Galletto speziato, Svizzera,
in conf. da 2 pezzi, per 100 g
1.– invece di 1.45 30%
Punta di vitello, TerraSuisse,
Svizzera, al banco, per 100 g
2.30 invece di 3.10 25%
Filetto dorsale di salmone,
Norvegia, al banco, per 100 g
3.65 invece di 4.90 25% fino all’8.2
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PANE E LATTICINI
Tutti i pani bio a lunga scadenza,
per es. pane integrale di segale,
rotondo, 500 g
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Tutti gli yogurt Farmer,
per es. al cioccolato, 225 g
1.55 invece di 1.95 20%
Tutti gli yogurt bio (yogurt di latte
di pecora esclusi), per es. prugna,
180 g –.60 invece di –.75 20%
Raccard Tradition in blocco maxi,
per 100 g 1.50 invece di 2.20 30%
Tilsiter alla panna, bio, per 100 g
1.50 invece di 1.90 20%
Pane Val Morobbia, 550 g
2.70 invece di 3.40 20%
FIORI E PIANTE
Tutti i tulipani, per es. tulipani
M-Classic, mazzo da 10 pezzi,
6.– invece di 7.50 20%
Mix di orchidee, in vaso da 12 cm,
la pianta 19.80
ALTRI ALIMENTI
Baby Kisss in conf. da 2, UTZ,
al latte o noir, per es. al latte,
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Tutti i praliné Frey in scatole
e i cioccolatini Adoro, UTZ,
per es. Pralinés Prestige, 250 g
11.10 invece di 13.90 20% **
Tutti i biscotti bio, per es. biscotti
di spelta con uvetta, 260 g
2.75 invece di 3.45 20%
Tutti i biscotti ChocMidor,
a partire dall’acquisto di 2 confezioni,
–.60 di riduzione l’una, per es. Carré,
100 g 2.30 invece di 2.90
Tutti i caffè e le bevande a base
di cacao bio, Fairtrade,
per es. caffè in chicchi, 500 g
7.05 invece di 8.30 15%
Nutella in vaso di vetro da 1 kg
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Miscela di frutta secca e noci
M-Classic in conf. da 3, 3 x 250 g
6.40 invece di 8.10 20%
Zucchero fino cristallizzato 1 kg
(zucchero Aarberg escluso),
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Tutti i Filets Gourmet Pelican
MSC, in conf. da 400 g, surgelati,
per es. Filets Gourmet à la Provençale 5.75 invece di 7.20 20%
Sminuzzato di pollo M-Classic
in conf. da 2, surgelato, 2 x 350 g
6.85 invece di 11.45 40%
Tutti gli articoli Pepsi e Schwip
Schwap in conf. da 6 x 1,5 l,
per es. Pepsi Regular
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non refrigerati, per es. succo
d’arancia e mango Sarasay, 1 l
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Tutti i tipi di riso M-Classic in
busta da 1 kg, a partire dall’acquisto
di 2 confezioni, –.60 di riduzione
l’una, per es. riso Parboiled Carolina
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Tutti i prodotti Mifloc bio e i rösti
bio, per es. Mifloc, 2 x 95 g
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Spaghetti o spaghetti all’uovo
M-Classic in conf. da 3,
per es. all’uovo, 3 x 750 g
5.40 invece di 6.75 20%
Tutto l’assortimento di senape e
maionese Thomy, per es. maionese
à la française, 265 g
2.– invece di 2.50 20%
Ketchup Heinz in conf. da 2,
hot o normal, per es. ketchup normal,
2 x 700 g 4.75 invece di 6.80 30%
Tutte le minestre, le salse e i brodi
bio, per es. brodo di verdura, 180 g
3.– invece di 3.80 20%
Tutto l’assortimento di conserve
di pesce Rio Mare e Albo, per es.
tonno rosa Rio Mare in olio d’oliva,
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Thai Kitchen Pad Thai
Sauce, 200 g 3.90 NOVITÀ *,** 20x
Tutto l’assortimento Pancho Villa,
per es. Soft Tortillas, 326 g
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Snacketti Zweifel in conf. da 2,
per es. Snacketti Onion Rings,
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Tutte le crostate,
per es. crostata di mele, 215 g
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Tutte le tortine in conf. da 4,
per es. tortina di Linz, 4 pezzi, 300 g
3.90 invece di 5.20 25%
Bagel con salmone
American Favorites, 155 g
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Tutti i crauti e i cavoli rossi bio
e M-Classic refrigerati,
per es. crauti cotti, bio, 500 g
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Miscela di verdure Anna’s Best,
per es. mediterranea, 320 g
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Gnocchi M-Classic in conf. da 2,
2 x 550 g 5.90 invece di 7.– 15%
Pasta in conf. da 3, bio,
per es. fiori alla ricotta e agli spinaci,
3 x 200 g 9.60 invece di 12.90 25%
Sofficini vegetariani in conf. da 2,
bio, per es. sofficini con erbe
aromatiche, 2 x 165 g
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Tutto l’assortimento Galbusera
(escluso Mini Tra), per es. frollini al
cacao, 160 g 2.30 invece di 2.90 20%
Sughi La Reinese, per es. al basilico, 350 g 2.30 invece di 2.90 20%
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
59
Idee e acquisti per la settimana
Iniziare la giornata con varietà ed equità
Colazione con Max? L’assortimento di prodotti Fairtrade Max Havelaar viene continuamente ampliato.Così ci sono anche tante buone
cose per la colazione
Bisognerebbe far colazione come un imperatore, si dice. Ma durante la settimana
è piû facile dirlo che farlo: o si ha voglia di
poltrire ancora un po’ sotto le coperte,
oppure bisogna dedicarsi ai bambini
prima che vadano a scuola. Al contrario
di quella dell’imperatore, però, una colazione equa è semplice da inserire nel tran
tran quotidiano. Inoltre una colazione a
base di prodotti Fairtrade Max Havelaar
non dà energia solo a noi, ma rafforza
anche le popolazioni dei paesi emergenti
e in via di sviluppo di questo nostro
mondo.
Fairtrade è un modello commerciale alternativo che si basa su tre colonne: commercio equo, organizzazione sociale e
protezione ambientale. Prezzi stabili e relazioni a lunga scadenza servono a migliorare le condizioni di vita dei piccoli
contadini e dei lavoratori. Grazie a Fairtrade, i piccoli contadini godono di in-
Fairtrade sostiene i piccoli
contadini e i lavoratori delle
piantagioni, fra l’altro con
prezzi minimi garantiti per le
materie prime e premi Fairtrade, affinché
essi possano migliorare autonomamente il loro tenore di
vita e le condizioni lavorative.
Coacipar, Brasile
troiti più alti, maggior stabilità finanziaria, e i lavoratori delle piantagioni di condizioni di lavoro migliori e una protezione della salute migliorata. Essenziale
anche il premio Fairtrade: spesso viene
utilizzato per progetti sociali come le cure
mediche o per l’infrastruttura (per esempio fontane). Sono i produttori stessi a
decidere insieme democraticamente
sull’utilizzazione del premio. I piccoli
contadni, dal canto loro, s’impegnano
per una coltura responsabile. I prodotti
Fairtrade non devono provenire necessariamente da coltivazioni biologiche. Tali
metodi vengono conunque incentivati in
modo mirato, ad esempio tramite prezzi
minimi più alti per i prodotti bio come gli
ananas Fairtrade bio. Bevanda al cacao,
caffè, noci di para, smoothie, jogurt, tè
nero o zucchero greggio: c’è tutto per una
colazione equa. / Nicole Ochsenbein;
foto & styling Veronika Studer
Parte di
Generazione M testimonia
l’impegno della Migros per
la sostenibilità.
Agronorte, Costa Rica
In questa cooperativa di arance nel
sud del Brasile, oltre a consultazioni
gratuite dal dentista e cure mediche,
a tutti i membri e alle loro famiglie sono
offerti corsi di perfezionamento per
raccoglitori.
Qui nel nord del Costa Rica si
producono biologicamente ananas Fairtrade. I premi finanziano
ad esempio l’istruzione dei contadini nel campo della coltura ecologica, materiale scolastico e
attività per i bambini.
El Arroyense, Paraguay
Invece di dover vendere lo zucchero
alla macina a prezzi instabili, oggi Yeni
Paolo Recalde Barrios è esportatore
indipendente. «Trattiamo, facciamo
contratti e vendiamo il nostro zucchero con fierezza».
Apicoop, Cile
470 contadini formano la cooperativa del
miele nel sud del Cile. Il premio Fairtrade
ha migliorato sensibilmente le condizioni
di vita in questa regione: è stato investito
nella fornitura di corrente e nella scolarizzazione dei bambini.
La Migros offre un
vasto assortimento di prodotti
equi per la colazione:
• Bio Fairtrade
Smoothie
kiwi-banana*
25 c. Fr. 3.30
• Fairtrade succo
d’arancia
1 l Fr. 1 .50
• Bio Fairtrade
zucchero greggio
600 g Fr. 2.30
• Bio Fairtrade
tè nero
20 bustine Fr. 2.70
• Bio Fairtrade
ananas
al prezzo del giorno
• Fairtrade miele
di fiori cremoso
500 g Fr. 5.95
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
61
Idee e acquisti per la settimana
Meno cartone per risparmiare spazio
La nuova scatola di cartone certificato FSC è molto più compatta:
misura 15 x 7,5 x 3 cm (prima 16,5 x 12,5 x 9,5 cm). Risparmiamo
spazio nella credenza e nella borsa della spesa.
Café Royal Espresso
10 capsule Fr. 3.80
Capsule con sigillo salva aroma
Nuove sono le capsule prive di imballaggio, ciò che permette
di produrre molto meno rifiuti. Il caffè risulta comunque saporito
come appena macinato.
Tanto aroma in formato mini
Basta con imballaggi e cartone superflui. Ogni capsula di Café Royal possiede ora un sigillo salva aroma.
Ciò consente di confezionare 10 pezzi in una scatola molto più piccola. Il risparmio di rifiuti è così del 60%
Gli amanti del caffè apprezzano la qualità e la varietà di Café Royal. Questo sistema di capsule rappresenta una valida
alternativa per le tutte le macchine da
caffè Nespresso abituali. L’unica pecca
finora era dovuta al fatto che ogni capsula era imballata singolarmente per
preservare il delicato aroma del caffè.
Le capsule ora posseggono esse stesse
un sigillo salva aroma, pertanto anche la
scatola per contenerle ha potuto essere
rimpicciolita. Inoltre il caffè è certificato
UTZ, il marchio per una coltivazione
sostenibile.
Al contempo, anche il design è stato rivisto e la gamma ampliata con due novità. Café Royal Lungo Forte è una variante più intensa del Lungo, dedicato a
chi ama apprezzare lentamente il caffè
in una tazza grande. Come prodotto stagionale viene invece proposta la varietà
Café Royal Vanilla con una delicata
nota vanigliata. / Dora Horvath; foto
Gettyimages
Café Royal
Lungo Forte
10 capsule Fr. 3.80
Café Royal
Limited Edition
Vanilla
10 capsule Fr. 4.20
In vendita
nelle maggiori
filiali Migros
CONCORSO
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 3 febbraio 2014 • N. 06
63
Idee e acquisti per la settimana
Per un bucato
senza troppe
complicazioni:
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Caps
28 pezzi Fr. 15.90
TOTALmente facile
Bianchi, colorati; delicati e non: con le capsule concentrate di Total tutti i capi restano puliti e curati.
Le pratiche porzioni evitano sovradosaggi, salvaguardando così l’ambiente
Scendere in lavanderia, caricare la biancheria, aggiungere la capsula Total e avviare la lavatrice. Oggi fare il bucato è un
gioco da bambini. La pellicola che avvolge le Total Caps è completamente
idrosolubile. Il liquido concentrato che
contengono è particolarmente efficiente
e sviluppa la sua forza pulente già a basse
temperature. In tal modo si risparmia
pure energia. Per un risultato ottimale
l’importante è comunque non caricare
troppo la lavatrice.
Una sola porzione di detersivo è sufficiente per un intero programma. Il concentrato è efficace sulle macchie ma deli-
cato sulle fibre. Che si tratti di capi bianchi, colorati o delicati, Total promette
pulizia e protezione di ogni tipo di tessuto e colore. Inoltre previene l’ingrigimento, preserva la brillantezza e la lumi-
nosità mantenendo la struttura dei capi.
Infine, le capsule di detersivo sono anche
comode da portare con sé in viaggio oppure per la lavanderia a gettoni. / Jacqueline Vinzelberg; foto Getty Images
PAGARE
RAPIDAMENTE
SENZA CONTATTO.
Ora alla Migros: pagamento con carta di
credito senza contatto. Fino a fr. 40.– non
occorrono né il PIN né la firma. Ancora
meglio con la Cumulus-MasterCard gratuita.