MAGAZINE - DDay.it

n.100 / 14
17 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
100
n.100 / 14
17 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
100 numeri non Il canone Rai si
LG a tutto OLED
TV avvolgibili
bastano, DDay.it pagherà con la
bolletta della luce 02 nel 2017
07
serve ancora
Non amiamo le auto-celebrazioni. Ma 100 fascicoli di DDAY.it Magazine sono un traguardo importante: qualcosa come 4500 pagine fitte fitte
di “enciclopedia” del mercato dell’elettronica
di consumo. Un mercato che sembra cambiare
continuamente, insieme alle tecnologie, ma
che ha dei difettacci che non perde mai.
Basta tornare indietro di 50 anni, agli albori
dell’elettronica: un cinegiornale del 20 settembre 1963 fa la cronaca di quanto emerge dalla
mostra della Radio e della Televisione alla Fiera
di Milano. Il servizio si intitola “Prezzi fissi”.
Il cronista d’epoca commenta così: “In cerca di
novità tecnologiche, ci imbattiamo nella novità
più inattesa, con questi chiari di luna: ribassano, e notevolmente, i prezzi. Le industrie più
note e qualificate si sono messe d’accordo per
stabilire prezzi fissi. Com’è stato possibile un
ribasso, mentre in tutti i settori aumentano i
costi?” E ancora: “È possibile grazie all’aggiornamento degli impianti e al rinnovamento dei
sistemi distributivi. Ora il pubblico non sarà più
disorientato come prima”.
Parlano anche i clienti: “I prezzi non erano reali,
visto che a seconda dei luoghi e delle circostanze si potevano avere gli sconti più diversi e
impensati”. Un altro: “Io pensavo di aver fatto
un affare quando mi hanno valutato il mio
vecchio TV 60mila lire: alla fine ho speso di più
di quello che avrei speso oggi, pur tenendomi il
mio vecchio televisore”.
E infine interviene anche un rivenditore: “Non
si poteva andare più avanti in questa maniera.
Sono convinto che con la nuova politica di
prezzi bassi e fissi il pubblico si convincerà ad
acquistare prodotti di qualità al gusto prezzo di
listino senza ottenere sconti”.
Insomma, 50 anni sono passati invano: ancora
oggi i prezzi sono tutt’altro che fissi; e al lancio
sono tutt’altro che bassi. E questo a svantaggio
degli utenti e - oramai è dimostrato - non certo
a favore di rivenditori e industria. Forse questo
mercato non riuscirà mai a guarire da questa
malattia per la quale tutti gli attori in gioco si
fanno male da soli: i clienti comprano a prezzi
spesso pompati oppure devono aspettare gli
“scontacci” che dopo mesi riportano il prodotto
più vicino al vero valore; il prezzo e l’affare viene prima di tutto, anche della qualità dell’aderenza alle proprie necessità. L’unico antidoto
che conosciamo è la buona informazione, a
favore dei consumatori finali, che possono così
scegliere meglio, e a favore dei rivenditori, che
possono mitigare gli eccessi di marketing dei
produttori che troppe volte tendono a esaltare
l’ultima (spesso falsa) innovazione. Di buona
informazione nel nostro settore se ne fa e se
ne è fatta troppo poca: noi crediamo di dare
il nostro contributo a costruire un mercato più
consapevole e quindi più sano, a favore di tutti.
E allora, mi sia permesso un augurio: lunga vita
a DDAY.it Magazine, cento e cento e ancora
cento di questi numeri!
Gianfranco GIARDINA
Microsoft Office
gratis su iPhone
iPad e Android 09
Obbligo DVB-T2 per i TV: si rinvia
a metà 2016 ma con il codec HEVC
Allo studio la possibilità di inserire il rinvio nel “Milleproroghe”
I termini slittano di 18 mesi, in sincrono con i lanci delle gamme
02
Music Key sarà il servizio
a pagamento di YouTube
Offrirà video musicali senza pubblicità
anche offline. L’Italia per una volta
è tra i Paesi pilota, saremo tra i primi
a poter usufruire di questo servizio
IN PROVA
32
Galaxy Alpha, il più
bello della famiglia
34
06
iMac con display Retina 5K
Difficile non innamorarsi
Abbiamo provato l’iMac con display retina
Ha uno schermo dall’incredibile risoluzione
di 14,7 Megapixel: è un vero sogno
Asus Zenfone 6
Ok il prezzo è giusto
40
21
Honeywell Evohome
Comfort multiroom
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17 NOVEMBRE 2014
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MERCATO In extremis il legislatore cerca di rimediare al pasticcio creato dalla legge del 2012
DVB-T2: l’obbligo salta a metà 2016 con HEVC
Il Governo medita di introdurre un rinvio di 18 mesi nel decreto Milleproroghe in arrivo
di Gianfranco GIARDINA
N
Non tutti sanno che è in vigore in
Italia una legge che prevede che,
a partire dal prossimo 1 gennaio
2015, i rivenditori non possano più assortire i TV privi di sintonizzatore DVBT2 e che da fine giugno tali TV non
possano proprio più essere venduti.
Una disposizione pensata male e mai
revocata, malgrado le prese di posizione dell’industria, dei consumatori e di
autorevoli osservatori di mercato, oltre
che di DDAY.it.
Secondo indiscrezioni che abbiamo raccolto, quest’obbligo, che come vedremo
non ha senso di esistere almeno nella
formulazione attuale, dovrebbe essere
rinviato e perfezionato con un inserimento dell’ultim’ora nel decreto “Milleproroghe” tipico dell’attività di Governo
delle ultime settimane dell’anno. Il rinvio
previsto dovrebbe spostare di 18 mesi
in avanti, a luglio 2016, l’obbligo per i
rivenditori di non assortire nuovi prodotti senza DVB-T2, aggiungendo però
anche l’obbligatorietà del codec HEVC
a bordo; di conseguenza le vendite dei
prodotti in magazzino senza queste ca-
ratteristiche dovrebbero continuare per
ulteriori 6 mesi, fino a fine 2016.
La legge attuale è stata introdotta circa
due anni e mezzo fa, quando ancora
ben poco si sapeva sulla destinazione
delle frequenze terrestri (che stanno
via via passando al traffico dati cellulare) e sull’esistenza di codec più evoluti dell’MPEG4. Da allora da più parti
è arrivato l’appello a una revisione di
questa norma: infatti un obbligo di questo tipo, senza ulteriori indicazioni, non
ha alcun senso. Oramai è noto che, se
mai ci saranno trasmissioni DVB-T2 in
Italia, saranno fatte utilizzando il codec
HEVC, molto più efficiente e in grado di
contribuire a giustificare un doloroso
nuovo switch-off. Adeguarsi all’obbligo
di legge attuale non è difficile: basta
commercializzare in Italia gli stessi TV
che sono distribuiti sul mercato inglese, dove ci sono le prime trasmissioni
DVB-T2 ma senza HEVC. Questo vuol
dire che questi apparecchi, con grande
dispiacere di chi li ha comperati, non saranno mai compatibili con le eventuali
trasmissioni italiane in DVB-T2. Questo
obbligo, pensato inizialmente per evitare la commercializzazione di prodotti
obsoleti, se resta così com’è finirà invece per premiare prodotti superati e del
tutto inutili in un eventuale scenario di
nuovo switch-off italiano. Se – come auspichiamo – verrà posto in essere il sensato rinvio emerso dalle indiscrezioni, si
saranno risolti due problemi in un colpo
solo: innanzitutto, sarà davvero ragionevole contare per la seconda metà
del 2016 di avere gamme interamente
compatibili con HEVC (anche gli entry
level), caratteristica che – siamo pronti a scommettere – si rivelerà ben più
decisiva per i servizi di streaming che
per il digitale terrestre; e poi, spostando a luglio l’inizio dell’obbligo, si potrà
finalmente gestire questa migrazione in
sincrono con l’introduzione delle nuove
gamme TV che, dopo la presentazione
rituale a gennaio al CES di Las Vegas,
arrivano sugli scaffali italiani proprio tra
aprile e giugno.
MERCATO Il canone Rai costerà meno, ma lo dovrà pagare anche chi non possiede un TV
Il canone Rai si pagherà con la bolletta
Basta avere uno smartphone, un tablet o un PC per essere tenuti al pagamento del canone
di Roberto PEZZALI
econdo Il Messaggero Renzi avrebbe dato il via libera alla riforma che
cambierà il modo di pagare la tassa
più odiata e più evasa d’Italia. Il canone
Rai si pagherà con la bolletta elettrica e
questo vuol dire che la dovranno pagare
tutti, ma si pagherà anche di meno, una
cifra stimata che va dai 35 euro agli 80
euro, a seconda degli indicatori Isee. La
riforma garantirà alla Rai un gettito di 1.8
miliardi, più o meno quanto incassa oggi.
Resta da capire anche se una percentuale delle vendite dei biglietti della lotteria
Italia contribuirà al canone, come si era
pensato in un primo momento, oppure
se sarà tutto a carico dei contribuenti.
L’altra novità è che il canone lo dovranno
pagare non solo chi possiede un TV, ma
anche chi ha un tablet, uno smartphone o
un PC: anche i mezzi moderni diventano

S
torna al sommario
quindi a tutti gli effetti prodotti in grado di
ricevere e visualizzare immagini televisive. Un altro elemento che rende la tassa
globale: trovare una persona che non ha
uno smartphone, un PC o un televisore
oggi è davvero difficile. Il Ministero del
Tesoro ora deve capire con che strumento normativo applicare il decreto, se
presentare un emendamento alla Legge
di Stabilità oppure varare un decreto ad
hoc. L’Authority per l’Energia ha già sollevato dei dubbi, definendo improprio
l’uso della bolletta elettrica per pagare il
canone. Noi stessi solleviamo altri dubbi: come si segnalerà l’indicatore ISEE?
Come si riuscirà ad applicare la cosa in
modo semplice? Pensiamo ad esempio a
chi ha case al mare o in montagna, quindi con più allacciamenti magari gestiti da
enti diversi: come si farà a dimostrare di
dover pagare una sola volta? Per non
parlare di aziende e uffici, tutti dotati di
computer che al momento non pagano
ma rischiano così di vedersi addebitato
in bolletta un canone magari già pagato.
Spetta ovviamente all’utente dimostrare
di aver già pagato e qui si solleva un altro enorme dubbio: quando una persona
riceve un bollettino della luce per una
utenza secondaria con inserito un ulteriore canone (già pagato) e non paga
rischierà l’interruzione della fornitura?
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recapito presso gli uffici
postali interessa oltre
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sul territorio italiano
di Andrea ZUFFI
Amazon annuncia un’importate
novità nel servizio di consegna
dei prodotti ordinati sul proprio
portale. Si tratta di una nuova
opzione tra le modalità di consegna che prevede la possibilità di
far recapitare la merce acquistata presso un Pick-Up Point, cioè
un punto di ritiro presente presso
più di 10.000 uffici postali italiani.
Completando l’acquisto il cliente
potrà selezionare direttamente
da Amazon il Pick-Up Point che,
per ubicazione e orario d’apertura, risulta essere più comodo per
il ritiro. Il servizio è disponibile
per la modalità di consegna 3-5
giorni e non prevede costi aggiuntivi rispetto a quelli già previsti per la spedizione. Ci sono
alcune limitazioni per gli imballi
di grandi dimensioni che sono
però chiaramente indicate all’atto dell’acquisto. Se è vero che la
principale ritrosia nei confronti
degli acquisiti online è oggi rappresentata dal timore nell’utilizzare la carta di credito sul web,
questa novità sarà accolta con
favore dal pubblico perché permette di rimuovere un altro dei
fattori che ostacola l’e-commerce e cioè il timore di non essere
a casa nel corso della giornata
per ritirare quanto consegnato
dal corriere.
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17 NOVEMBRE 2014
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MERCATO Maurizio Costa, presidente di FIEG, attacca Google e chiede un contributo per l’utilizzo dei contenuti in Google News
FIEG chiede soldi a Google, ma non trasparenza
Google risponde che dà 9 miliardi di dollari all’anno agli editori. E, parlando di soldi, si perde il vero pallino: la trasparenza
G
di Gianfranco GIARDINA
oogle croce e delizia. E, come spesso accade,
sapori contrastanti, soprattutto se masticati assieme, a molti non vanno giù. È il caso di Maurizio Costa, presidente della FIEG (Federazione Italiana
Editori Giornali) e di Audipress (la società che rileva
le tirature della stampa cartacea), che in un’intervista
rilasciata a Repubblica attacca frontalmente Google
e l’accusa di non pagare l’utilizzo di contenuti di altri,
cioè degli editori (posizione già sostenuta precedentemente in un convegno). Il riferimento è alle notizie che
compaiono in Google News (che è comunque solo un
aggregatore e neppure dei più voraci di contenuti) che
– a dire di Maurizio Costa – Google utilizza senza “pagare”. Il presidente di FIEG chiede quindi che Google
riconosca agli editori un contributo per questo utilizzo.
Una posizione bizzarra arrivata nella stessa settimana
in è stata messa la parola fine a un lungo braccio di
ferro tra il grande editore tedesco Axel Springer e Google: da qualche mese Axel Springer aveva vincolato la
presenza dei link ai propri articoli su Google News al
pagamento da parte di Google di una royalty, senza
ottenere una risposta positiva. Il conseguente “delisting” da Google News aveva causato in pochi mesi
una contrazione del traffico dei siti coinvolti di oltre il
40%. L’editore è quindi tornato sui propri passi, conscio
che restare fuori da Google oggi significa restare fuori
da una porzione rilevante di Internet. Google, con una
nota di risposta alla posizione di FIEG, sostiene di svolgere un servizio agli editori: 10 miliardi di clic a favore degli editori di tutto il mondo e 9 miliardi di dollari
erogati a livello globale alle testate aderenti al circuito
pubblicitario AdSense. Come dire: se volete metterla
sul piano dei quattrini, ve ne diamo già abbastanza. E
cara grazia che non vi chiediamo di pagare l’inclusione delle vostre notizie in Google News. Non possiamo credere che Maurizio Costa, persona preparata e
competente, ignori questa dinamica e non sappia che
l’inclusione in Google News non è obbligatoria ma anzi
va richiesta dall’editore; ed è impossibile che non sappia che ogni editore con pochi caratteri di codice nelle

Maurizio Costa, presidente di FIEG
torna al sommario
pagine html dei propri siti può impedire che un articolo
venga indicizzato. E che gli editori costruiscono appositamente dei feed XML per poter essere “aggregati” da
realtà terze che hanno l’unico compito di dare visibilità
ai contenuti. La verità, come anche il caso Axel Springer ha dimostrato, è che nessun editore oggi può fare
a meno di Google. E del suo bacio dal sapore un po’
mortale. Costa, che si muove a livello di federazione e
quindi non a nome di una singola società (nessun editore italiano lo farebbe per la paura di “rappresaglie”)
probabilmente cerca solo di lanciare la palla un po’ più
avanti, sventolando tra le altre cose anche la bandiera
di una nuova Google Tax (che poco c’entra con l’altro
tema), in un minestrone comunicativo che non fa alcuna chiarezza, salvo mettere Google dalla parte dei
cattivi. Quelli di Google di certo non sono benefattori
e Google non è una Onlus, come crede la stragrande
maggioranza degli utenti che ancora non capisce bene
come mai servizi come GMail, Google Maps, Google
Drive e YouTube siano gratuiti. Google bada (e bene)
al proprio tornaconto e lo fa utilizzando una posizione
di dominio acquisita con bravura e non con l’inganno.
Lo fa seguendo le leggi (anche quelle fiscali vigenti,
che ovviamente non sono adeguate ad un’economia
veramente globale) e con il beneplacito degli editori,
che senza il traffico proveniente da Google, proprio
non potrebbero stare. Costa pensa probabilmente di
riuscire a mettere Google in difficoltà mediatica e costringerla, per mera convenienza, a sedersi a un tavolo
in cui trovare una mediazione che permetta agli editori
(probabilmente i più grandi e quelli della carta stampata che rappresenta) di essere remunerati in qualche
modo per un utilizzo dei propri contenuti di cui però
gli editori stessi non possono fare a meno. Un piccolo
paradosso, quello proposto da Costa, che identifica sì
che dietro a Google c’è un grande problema ma sbaglia completamente la sua identificazione. Google oggi
governa il traffico Internet e in qualche modo aiuta i
prodotti editoriali online di qualità a crescere e diventare più popolari. Da questo punto di vista, lunga vita a
Google. Il punto è che nessuno sa se l’operazione di
indicizzazione dei contenuti e di riproposizione degli
stessi nei risultati delle ricerche sia veramente neutra-
le o se sia polarizzata; per esempio, siamo sicuri che
Google non tenda a promuovere, per esempio, i siti
che aderiscono più vigorosamente al proprio circuito
di vendita pubblicità AdSense? Se lo facesse, farebbe di certo i propri interessi e non violerebbe alcuna
legge. Ma sicuramente avrebbe un influsso diretto sul
governare attivamente il traffico di Internet, un potere
che nessuno vorrebbe fosse concentrato in una sola
società privata e che di certo non può essere esercitato sulla base di algoritmi “segreti”. Gli editori sani, piuttosto che elemosinare contributi, dovrebbero chiedere
ed ottenere da Google garanzie assolute di neutralità,
eventualmente assicurate da opportuni audit ai quali
Google dovrebbe sottoporsi in ragione della posizione dominante che occupa. E che dire poi dei proventi
dal circuito pubblicitario AdSense di Google: l’editore
conosce solo la cifra che riceve e il numero di clic che
l’hanno generata, ma non sa quanto resta a Google;
ovverosia non sa quanto ha pagato l’inserzionista. Il
rapporto tra Google e l’editore non è vincolato contrattualmente da una percentuale fissata, come in tutti
i comuni rapporti tra concessionaria pubblicitaria ed
editore. E a anche questa è un’opacità che bisognerebbe chiedere a Google di rimuovere. Se poi qualcuno riesce a pensare anche a un sistema di tassazione
dei proventi generati da Google (a questo punto trasparenti) sulle testate italiane, si faccia avanti: purché si
tratti di un meccanismo fiscale che non ci faccia ridere
dietro da mezzo mondo. Deve quindi essere chiaro
che il problema legato a Google non è il non pagare
l’utilizzo delle notizie (che invece serve agli editori) ma
è la mancata trasparenza. E se - come Google sostiene
- non vengono fatti “favoritismi”, non dovrebbero esserci problemi ad essere più trasparenti.
Quindi, Maurizio Costa ha ragione nel voler sedersi al
tavolo con Google. Ma dovrebbe farlo per chiedere e
ottenere maggiore trasparenza. Il “contributino” immaginato finora sarebbe soggetto agli stessi limiti di trasparenza dei risultati delle ricerche e quindi finirebbe
di favorire ancora di più chi già oggi è (ammesso che lo
sia) favorito dall’algoritmo di Google. E - ci piacerebbe
essere rassicurati - il presidente di FIEG non vuole che
questo accada, vero?
n.100 / 14
17 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
MERCATO Acer lancia in Italia la nuova gamma di smartphone presentata a IFA, è un ritorno in grande nel settore della telefonia
Tornano gli smartphone Acer: “È il momento giusto”
Il noto brand di informatica ha obiettivi importanti, punta nel medio termine a raggiungere una quota di mercato pari al 5%
A
di Gianfranco GIARDINA
cer ha deciso di introdurre massicciamente i
propri smartphone in Italia, a partire da questa
stagione natalizia. In definitiva, tutti i principali
produttori di PC orientali sono attivi in questo mercato: Asus ha una bella linea di Zenfone; Lenovo ha
affiancato alla sua linea un po’ confusa di smartphone
nientemeno che Motorola, che ha acquistato recentemente da Google. Un tentativo di entrare nel mercato
della telefonia era già stato fatto da Acer qualche anno
fa, con modelli Android e Windows Phone introdotti in
Italia ma che non hanno mai sfondato: il mercato era
molto diverso e lasciava meno chance a nuovi entranti. Oggi invece Acer conta di riuscire a far leva sul proprio brand, arcinoto, e su un rapporto qualità prezzo
eccellente. Per parlarne abbiamo incontrato, presso il
quartier generale di Acer Italy, Marco Cappella
Marco Cappella, country manager di Acer Italy

DDAY.it: Acer ci riprova: perché questa nuova rifocalizzazione sugli smartphone è diversa da quella di
qualche anno fa?
Marco Cappella, country manager Acer Italy: “È vero
che Acer alcuni anni fa fece un primo ingresso nel
mondo degli smartphone ed è vero che molto probabilmente, visto che i risultati non arrivarono, si trattò di un ingresso affrettato. Da allora sono passati
diversi anni, Acer a questo punto ha una gamma di
smartphone che può vantare una quota di mercato
significativa in importanti Paesi occidentali…”
DDAY.it: Di quali Paesi stiamo parlando
Cappella: “Si parla di Paesi non distanti da noi, sia
geograficamente che culturalmente: per esempio la
Francia e la Spagna. Nell’area BeNeLux siamo da
poco diventati il quarto brand (dopo Samsung, Apple
e LG, ndr). Oggi sia la gamma di prodotti che l’esperienza maturata in questi altri Paesi ci dice che è il
momento giusto e che possiamo farcela. Ovviamente non abbiamo l’ambizione di diventare leader di
mercato né di competere alla pari con i brand che
da molti anni operano in questo settore, ma di raggiungere una quota di mercato minima ma visibile, di
qualche punto percentuale.”
DDAY.it: Ma i rivenditori sono pronti a reinserire i
vostri prodotti nella propria offerta?
Cappella: “Qualche ritrosia c’è, ma si può capire: non
torna al sommario
si può negare il fatto che il canale distributivo non
avesse fatto una esperienza esaltante ai tempi della
prima introduzione”.
DDAY.it: Qual è il punto di forza della vostra offerta
smartphone?
Cappella: “Il punto di forza di questa stagione natalizia è Liquid Jade, un prodotto che si distingue per
un form factor molto sottile: è molto maneggevole e
ben disegnato, da effetto ‘wow’… Se uniamo queste
caratteristiche con il suo posizionamento di prezzo di
229 euro, allora appare chiaro come questo prodotto
e Acer in generale possa dire la sua in questo settore.
Inoltre è solo l’inizio, perché lo stile ‘Jade’ verrà presto esteso anche ad altri modelli e prezzi”.
Il Liquid Jade (qui la scheda tecnica) era stato presentato per l’Europa all’ultima edizione dell’IFA di
Berlino (qui la nostra notizia) e la sua qualità migliore, anche a un primo hands-on ci pare essere la cornice molto sottile sui lati e il display “gapless” che
ricorda da vicino la soluzione utilizzata per quello di
iPhone 6.
Jade sarà disponibile per il momento in Italia nelle
due colorazioni classiche, bianco e nero, ma esistono sui mercati internazionali anche un versione rosa
e una verde chiaro. Jade ha anche una fotocamera
da 13 megapixel; unico aspetto discutibile, così a prima vista, è l’obiettivo della fotocamera, che non è in
sagoma e così rischia di graffiarsi incidentalmente.
Ci illustra il prodotto Luca Elisei
Luca Elisei, Technical Manager Smartphone di Acer
DDAY.it: Quali sono le caratteristiche principali di
questo Jade?
Luca Elisei: “Si tratta di un telefono sottilissimo,
7,5 mm di spessore, rastremato ai fianchi, il che gli
conferisce una facile impugnatura e una sensazione
maneggevolezza. Il display è 5 pollici ma in uno chassis che di solito ospita display più piccoli, grazie a una
cornice davvero contenuta. Il peso è di 110 grammi,
molto leggero. Il sistema operativo è un Android 4.4,
per adesso; arriverà più avanti l’aggiornamento ad
Android Lollipop”.
DDAY.it: È curioso il loghino DTS-HD che campeggia
sullo schienale del Jade: che valore rappresenta a
vostro giudizio?
Elisei: “Per quanto riguarda il Jade, è semplicemente
un modo per arricchire un prodotto di alta gamma;
su altri prodotti, come il nostro Z500, l’operazione
acquista un senso più compiuto, soprattutto in considerazione della coppia di speaker frontali di questo
apparecchio”.
segue a pagina 05 
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17 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
MERCATO
Tornano gli smartphone Acer
segue Da pagina 04 

DDAY.it: Beh, OK alla decodifica, che può essere
utile. Ma è difficile pensare a una riproduzione di
alta qualità dagli speaker di uno smartphone. Non
quello Acer, uno qualsivoglia… Parlando ancora del
Jade, è dual SIM?
Elisei: “Ha uno slot combi che può ospitare o due SIM,
in configurazione dual SIM appunto, o una SIM e una
SD card per estendere la capienza della memoria.”
DDAY.it: Bella soluzione. Dovendo identificare i tre
fattori chiave che possono determinare il successo
del Jade, cosa citereste?
Cappella: “Sicuramente il primo fattore è il design,
non ho dubbi. Poi c’è l’integrazione con alcune app
importanti, come per esempio la navigazione anche
offline con TomTom: infatti offriamo gratuitamente
un’app proprietaria che si chiama AcerNav che sfrutta la mappe TomTom e i punti di interesse di Trip Advisor, che possono essere anche interamente o parzialmente caricate in memoria, sia in quella da 8 GB
interna che in una microSD aggiuntiva; questo vuol
dire che l’utente può navigare senza utilizzare il traffico dati, contrariamente a quanto accade, per esempio, con Google Maps. E infine, come terzo fattore,
la disponibilità del sistema Build Your Own Cloud, il
sistema Cloud di Acer che permette di sincronizzare
tutti i propri contenuti su tutti i propri device, anche
non Acer.”
DDAY.it: Al di là delle app aggiunte, la versione di
Android che proponete è fedele all’originale o è
molto personalizzata?
Elisei: “La nostra idea è quella di rimanere molto fedeli alla proposta Android originale con alcune app
di arricchimento dell’offerta come i già citati AcerNav
e il sistema cloud.”
DDAY.it: Disponete oltre a questo Jade, di qualche
altro modello. Ma non è necessario avere una gamma più ampia per penetrare il mercato in questa
fase?
Cappella: “È vero, commercialmente è sempre meglio
disporre di una gamma più ampia. L’anno prossimo la
nostra offerta si allargherà anche a dei phablet, Ma
dal punto di vista del consumatore finale e tutto sommato anche da quello della distribuzione, è anche
vero che meno sono le referenze e più ci si concentra
sui prodotti chiave”.
torna al sommario
DDAY.it: Questo Jade e gli altri smartphone Acer saranno disponibili anche attraverso i gestori?
Cappella: “Al momento no. Per adesso ci concentriamo sul mercato dei grandi negozi di elettronica di
consumo e su quello dei rivenditori sia quelli di informatica certificati da noi che quelli di telefonia. Fino
a fine anno, sul fronte dei superiore di elettronica,
abbiamo stretto un accordo di esclusiva con Unieuro,
che è la catena più diffusa sul territorio nazionale: da
qui a Natale il Jade potrà essere acquistato presso
questi negozi… Nel 2015 invece i prodotti verranno
estesi a tutte le insegne dell’elettronica di consumo.”
DDAY.it: chi avete nel “mirino”? A chi pensate di sottrarre quote di mercato?
Cappella: “Beh, non credo ai brand che primariamente stanno dominando il mercato. Sicuramente
da quella pletora di concorrenti che compongono il
gruppo dei cosiddetti ‘inseguitori’…”
DDAY.it: … i quali stanno erodendo quote proprio ai
leader. Quindi in pratica l’idea è quella di sottrarre
quote a Samsung e compagni?
Cappella: “Allora, Acer sicuramente ha un brand molto più noto e forte di molti di questi inseguitori. Certo,
arriviamo da un settore limitrofo a quello della telefonia, ma con prodotti validi e appunto una notorietà
del marchio che dovrebbe aiutarci. Alla fine quindi
credo che prenderemo spazio un po’ da tutti, sia dai
leader grazie all’estremo rapporto qualità-prezzo che
offriamo, che dagli altri che magari hanno nomi molto
meno noti del nostro”.
DDAY.it: per il momento la vostra offerta è puramente Android, ma in passato Acer ha avuto anche
smartphone Windows: verranno proposti apparecchi
anche con questo sistema operativo?
Cappella: “In futuro prossimo è possibile che arrivino
anche dei device Windows Phone…”
DDAY.it: futuro quanto prossimo?
Cappella: “Nel corso del 2015”.
DDAY.it: Un mercato come quello della telefonia non
concede tante “cartucce”: Acer con questo rientro
non può fallire. Qual è l’obiettivo di quote di mercato
che considerate un target di successo raggiungibile?
Cappella: “Direi il 5%. Non certo nel 2015, ma nel
medio periodo. Noi comunque siamo e rimaniamo
un’azienda di informatica, che vuole operare sul mercato della telefonia ma non con l’ambizione di essere
il leader, almeno per adesso. Poi tra qualche anno vedremo che prospettive si apriranno; per ora vogliamo
avere delle quote ‘visibili’ che rendano sensato per
tutti parlare di questi prodotti”.
DDAY.it: Il leader di mercato della telefonia è
Samsung. La stessa Samsung è recentemente uscita
dal settore dei PC in Europa, dove voi invece siete
nati e cresciuti. È veramente possibile per un brand
proporre un’offerta di successo che vada dagli
smartphone ai PC, passando per i tablet?
Cappella: “Dovreste chiedere a Samsung perché
è uscita dal mercato PC. Fino a tre-quattro anni fa,
il mercato dei PC cresceva a doppia cifra, ma ora è
molto diverso. Quando il mercato rallenta o addirittura
flette i nodi vengono al pettine: se hai una struttura
molto leggera e rapida, poco costosa, hai margini per
tenere duro quando la competizione si fa pesante e
poi, quando qualcuno esce dal mercato come successo ora, hai un po’ di più di spazio per respirare. Se
invece hai una struttura più pesante, devi spalmare
costi comuni su tutte le linee di prodotto e inevitabilmente quelle con margini bassi e crescite che rallentano sono quelle che vanno prima in difficoltà”.
DDay.it: Per concludere: cosa dire ai consumatori
per convincerli ad andare in negozio a vedere questo Jade e gli altri smartphone Acer?
Cappella: “Beh, che sul mercato c’è un brand importante, con dietro un’azienda leader nel mondo dei device mobili in assoluto; che entra adesso perché adesso ha tutte le carte in regola per poterlo fare e l’ha
già dimostrato in molti Paesi importanti e lo fa con un
gamma limitata di prodotti per riuscire a rimanere focalizzata: vogliamo fare poche cose ma farle bene”.
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17 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
ENTERTAINMENT Dopo mesi di rumor, Google ha ufficializzato il servizio YouTube Music Key
YouTube a pagamento si chiama Music Key
Offre l’accesso ai video musicali senza pubblicità, anche offline. Arriva subito in Italia
C
di Emanuele VILLA
he Google stesse per inaugurare una versione a pagamento di YouTube lo sanno anche i
muri: sono mesi che si parla di offrire
ad abbonati paganti i video musicali
di YouTube (quelli ufficiali, s’intende)
senza pubblicità e permettere la loro
fruizione offline su dispositivo mobile,
per cui la notizia di oggi non rappresenta nulla di rivoluzionario. Le notizie importanti sono relative al nome
del servizio, che si chiamerà YouTube
Music Key, al prezzo di debutto (7,99
dollari) e al fatto che tra gli Stati “pilota” c’è anche l’Italia, insieme agli Stati
Uniti, Finlandia, Gran Bretagna, Irlanda, Portogallo e Spagna. Ma di cosa si
tratta, in concreto? Innanzitutto Google
rilascerà a brevissimo nuove app YouTube per iOS e Android che saranno
fortemente incentrate sulla musica.
Non sarà semplicemente possibile vedere i video musicali, ma anche ricercare tra discografie complete, elenchi
di artisti, playlist preconfezionate e
suggerimenti basati sui gusti musicali
degli utenti. Questo sarà accessibile a
In occasione dell’anno
“Italia in America Latina
2015-2016” FIMI e il
Ministero degli Affari
Esteri hanno deciso di
ricorrere allo streaming
come strumento per
presentare la musica
italiana
tutti, un bel passo avanti. Poi, chi vorrà potrà provare Music Key, ovvero la
versione a pagamento: per testare il
servizio, Google procederà inizialmente con inviti diretti ai “grandi consumatori di musica”, dopo di che proporrà
un abbonamento promozionale a 7,99
dollari (euro?) mensile; niente male, se
si considera che esso consente non
solo l’accesso a Music Key, ma anche
a Google Play Music (quello che finora si è chiamato Google Play Music All
Access), ovvero l’equivalente dei vari
Deezer, Spotify, Rdio... di casa Google.
Music Key sarà la versione Premium di
YouTube contenente i video concessi
in licenza dalle etichette discografiche:
oltre all’elevata qualità garantita dall’
“ufficialità” dei prodotti, Music Key permetterà l’ascolto offline mediante scaricamento sul dispositivo e, per chi usa
YouTube in movimento, anche l’ascolto
in multitasking; in pratica il video non si
interromperà se attiviamo un’altra app,
esattamente come avviene oggi con
qualsiasi servizio musicale.
ENTERTAINMENT La band icona dell’alternative rock verrà trasmessa live mercoledì 19 in 4K
Linkin Park Live gratis e in Ultra HD via satellite
I partner tecnici sono SES e Samsung: per vedere il concerto ci vuole un TV 4K HEVC
di Emanuele VILLA
omunicazione di servizio per i
rockettari: il concerto dei Linkin
Park alla 02 Arena di Berlino di
mercoledì prossimo 19 novembre verrà trasmesso live a partire dalle ore 21
in formato Ultra HD e compressione
HEVC. Lo comunicano congiuntamente SES e Samsung, partner tecnici di
un’avventura che ha il sapore di primizia
hi-tech: il concerto verrà trasmesso via
satellite sul canale Astra Ultra HD Demo
(Astra, 19.2 gradi Est) ed SES si occuperà dell’encoding Ultra HD a 50fps con
codec HEVC e profondità di colore a 10
bit.Una notizia entusiasmante per chi
coniuga la passione per la tecnologia
con l’amore per il rock. L’impatto scenografico curato e molto appariscente
scelto dalla band per il tour di The Hunting Party darà sicuramente una mano

C
torna al sommario
FIMI sceglie
Deezer per
portare
la musica in
America Latina
sul fronte del coinvolgimento. I partner
tecnici consigliano la visione su un display Samsung Ultra HD di ultima generazione, ovviamente in grado di ricevere
e decodificare lo stream HEVC 50fps,
ma non ci sono motivi che ostacolano la
visione con un TV equivalente, purché
in grado di gestire le specifiche dello
stream. LG dovrebbe essere in grado,
Panasonic e Sony l’ultima volta che abbiamo provato non funzionavano ancora correttamente.
di Paolo CENTOFANTI
Alcuni artisti non vedranno di buon
occhio i servizi streaming musicale, ma l’industria musicale sembra
invece non aver alcun problema a
supportare queste piattaforme e,
anzi, sfruttarle a loro vantaggio. È il
caso della FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana di Confindustria) che di concerto al Ministero
degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, ha deciso
di coinvolgere il servizio Deezer
in un’iniziativa che rientra nella
manifestazione “anno italiano in
America Latina 2015-2016”, una
serie attività che verranno lanciate
in contemporanea con Expo 2015,
per intensificare i rapporti tra Italia
e paesi dell’America Latina. Sul
fronte della cultura musicale italiana, FIMI ha dunque deciso di realizzare una playlist che ripercorre
la storia della musica italiana, partendo dalla tradizione operistica e
arrivando fino alla musica contemporanea, spaziando tra tutti i generi
musicali. La playlist è chiamata “La
Musica dell’Anno dell’Italia in America Latina” e sarà costantemente
aggiornata nel corso dell’anno e
integrata nei siti degli istituti italiani di Cultura in America Latina.
L’iniziativa prevederà nel 2015 una
lunga serie di eventi e spettacoli in
Italia e all’estero: Uto Ughi si esibirà al Centro Social por la Musica
di Caracas, Stefano Bollani parteciperà all’Ottavo Festival Jazz de
Montevideo, il Teatro San Carlo di
Napoli porterà al Teatro Colòn di
Buenos Aires l’Opera verdiana e
concerti di arie celebri.
n.100 / 14
17 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
TV E VIDEO LG passa al P-OLED: tutti i nuovi prodotti utilizzeranno un substrato in plastica
Il futuro OLED di LG: TV avvolgibili nel 2017
La tecnologia P-OLED permetterà in un paio d’anni la realizzazione di TV e prodotti avvolgibili
L
di Roberto PEZZALI
G punta in modo sempre più deciso sull’OLED: è infatti prossima
l’inaugurazione della nuova linea
di produzione M2 che porterà la capacità produttiva del colosso coreano
a 34.000 pannelli OLED al mese. Inoltre, LG ha anche deciso di passare al
P-OLED, ovvero Plastic OLED. Dopo
aver realizzato il primo display circolare Plastic OLED la catena produttiva
LG si è organizzata per poter passare
tutta la produzione alla nuova tecnologia. Plastic OLED, o P-OLED, non è una
tecnologia nuova: il termine “plastic” si
riferisce all’utilizzo di un substrato in
plastica al posto del classico vetro per
la realizzazione dei pannelli. Fino ad
ora l’uso della plastica era sconsigliato perché si pensava che questo tipo
di substrato, realizzato con particolari
polimeri, non fosse stabile alle elevate
temperature: LG è invece riuscita a tro-
ENTERTAINMENT
Google Music
Crescono
i download

In un mondo dominato dallo streaming Google sembra in controtendenza. Zehavah Levine, responsabile del
progetto musicale di Google, infatti,
ha parlato del successo di Google
Play Music All-Access “…non stiamo
aumentando solo gli abbonati al
servizio ma anche e soprattutto gli
acquirenti”. In parallelo, Google Play
Music genera importanti fatturati
anche nel settore dello streaming e
la Levine ha sottolineato come nella
visione di Google ci sia spazio per
entrambe le filosofie. “Abbiamo lanciato il nostro store un anno e mezzo
prima del servizio di streaming. Se
guardiamo agli abbonati arrivati dallo
store online, possiamo notare che la
sottoscrizione al servizio di streaming
ha generato un aumento degli acquisti invece che un calo”. E ancora “Il
67% dei guadagni dello scorso anno
sono arrivati dalle vendite ma siamo
consapevoli di vivere in un mondo
dove le tendenze cambiano facilmente ma noi abbiamo intenzione di
supportarle senza distinzione”.
torna al sommario
vare una soluzione e ora si parte con
la produzione di schermi più grandi. I
vantaggi sono numerosi, il primo e più
importante è la durata del pannello. La
nuova tecnica di produzione permette,
infatti, di migliorare l’incapsulamento
dell’elemento OLED prevedendo il fenomeno dei pixel “morti” che ha colpito
i primi pannelli OLED di grande formato.
Allo stesso modo la plastica migliora la
robustezza e diminuisce lo spessore: il
pannello attuale del TV OLED da 55” di
LG è spesso 1 mm, i nuovi panelli saranno spessi meno di 0.5 mm. L’obiettivo
di LG non coincide però perfettamente
con quello degli appassionati: nella roadmap che l’azienda ha diramato infatti
sono previste per il 2017 le prime TV
avvolgibili. Tutto bello, ma un TV OLED
piatto non si riesce proprio a fare?
Amazon
“regala” il 4K
con Prime
Amazon integra il servizio di
streaming video con contenuti 4K
e con l’appoggio di diversi studi di
Hollywood, andando così a competere con Netflix. Gli utenti di Amazon,
però, non dovranno pagare alcun extra: tutti gli abbonati a Amazon Prime
Instant Video potranno riprodurre i
video alla massima qualità disponibile. Servirà un televisore Ultra HD
con l’app di Amazon, mentre è poco
probabile che l’attuale generazione
del set top box di Amazon Fire TV
sia in grado di supportare il servizio
(serve un’uscita HDMI 2.0). Amazon
Prime negli Stati Uniti ha un costo
di 99 dollari all’anno, ma rispetto
all’Italia include più servizi, come lo
streaming musicale, streaming video
con una libreria di 40.000 titoli, migliaia di libri e anche spazio illimitato
nel cloud per le foto. Lo streaming
video è al momento disponibile solo
negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in
Germania e in Giappone.
TV E VIDEO Sony entra ufficialmente nel mondo dello streaming televisivo con PlayStation Vue
PlayStation Vue è la TV via streaming di casa Sony
Arriverà a inizio 2015 in USA, conterrà la programmazione (live e on demand) di 75 canali
S
di Emanuele VILLA
ony ha annunciato il proprio servizio PlayStation Vue, una piattaforma di streaming video contenente la programmazione di 75 canali
dei palinsesti di CBS, Discovery, Fox,
NBCUniversal, Viacom e Scripps.
Il debutto è previsto negli Stati Uniti
ed è probabile che resti confinato nel
nuovo continente per un po’, ma per
il momento non ci sono notizie ufficiali in merito; così come non si sa nulla
del prezzo del servizio. L’azienda ha
infatti spiegato che l’intera piattaforma
sarà disponibile tramite un abbonamento mensile “a prezzo contenuto
e competitivo”, ma non ha dichiarato
cifre concrete. Per la fase beta, Sony
rilascerà alcuni inviti a partire già da
questo mese nell’area metropolitana
di New York, per poi aprire il servizio
all’intera nazione nel primo quarto del
2015: non ci stupiremo se Sony punterà molto su PlayStation Vue tra le novità del CES di gennaio.
Il servizio sarà inizialmente dedicato
agli utenti PlayStation 3 e PlayStation 4,
ma arriverà successivamente su iPad e
altre piattaforme, offrirà programmazione live, on demand e in modalità
catch-up, con film e show televisivi di
ogni genere: l’ipotesi che Vue vada a
colpire con forza Netflix, Hulu o gli altri
servizi già avviati è remota (almeno all’inizio), ma si fa notare come gli utenti
della console siano estremamente fedeli a Sony e potrebbero portare il numero di abbonamenti più in alto rispetto alle previsioni dell’azienda. Sony ha
inoltre dichiarato che il contenuto degli ultimi 3 giorni di programmazione
di tutti i canali sarà disponibile senza
necessità di preregistrazione, mentre
la registrazione dei programmi li renderà disponibili per 28 giorni.
IL PIÙ SEMPLICE
IL PIÙ SMART
*LG G2 vincitore del premio Best Phone 2013 di Cellulare Magazine.
Now It’s All Possible
Cosa c’è di meglio di LG G2, eletto migliore smartphone del 2013*?
La sua sorprendente evoluzione.
Nuovo LG G3. Il più semplice, il più smart.
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17 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
MOBILE La suite di Microsoft sorprende tutti: Office ora è gratuita per iPhone, iPad e per Android
Office ora è gratis su iPhone, iPad e Android
Per usare le funzioni avanzate e il cloud su One Drive, si dovrà avere la sottoscrizione completa
O
di Roberto PEZZALI
ffice per iOS e Android adesso è
gratis: una mossa a sorpresa da
parte di Microsoft che, assecondando le richieste dei consumatori,
apre a tutti la sua suite più famosa. Non
servirà quindi alcun abbonamento a
Office 365: si potranno aprire e modificare file di testo con Word, tabelle con
Excel e presentazioni con PowerPoint
salvando e condividendo i file sullo
spazio Dropbox collegato.
In realtà qualche limite c’è: chi vorrà
usare funzioni avanzate come le tabelle pivot su Excel dovrà avere la sottoscrizione completa, così come chi vorrà
fruire dello spazio cloud illimitato su
One Drive, ma alla fine è giusto così:
sono funzioni evolute che servono solo
a pochi, soprattutto a chi usa Office per
lavoro. L’annuncio ha anche un risvolto
sul lato app: Microsoft ha infatti aggiornato le app per iPad e ha pubblicato
sull’App Store le tre applicazioni singole per iPhone, Word, Excel e PowerPoint. Le app per iPhone, davvero ben
fatte, hanno le stesse identiche funzionalità di quelle per iPad anche se organizzate su un layout più compatto e
adeguato al form factor di un telefono.
Proprio per questo, lato iPhone, sono
state aggiunte alcune funzionalità specifiche per poter scorrere un file senza
dover continuamente ricorrere al Pan
& Zoom, come ad esempio il reflow
all’interno di Word. Microsoft ha anche
mostrato la versione “preview” dell’applicazione per tablet Android (si può
chiedere accesso alla beta qui): ancora
non è pronta, ma lo sarà nel 2015, così
come la versione touch per Office 10,
anche lei in fase di sviluppo avanzato.
MOBILE Ora si può usare lo smartphone NFC per accedere ai mezzi pubblici di Milano e Torino
A Milano e Torino in metro con l’NFC e PosteMobile
PosteMobile annuncia la possibilità di caricare biglietti e abbonamento sulla Super SIM NFC
O
di Paolo CENTOFANTI

ra è possibile viaggiare sui mezzi
pubblici di Milano e Torino utilizzando il proprio smartphone NFC
al posto del tradizionale biglietto. Il servizio è stato annunciato da PosteMobile in collaborazione rispettivamente
con ATM e GTT e richiede l’utilizzo della SIM Super SIM NFC dell’operatore
telefonico e uno smartphone Android
compatibile. Il funzionamento è abbastanza semplice: gli utenti PosteMobile
di Milano e Torino dovranno semplicemente virtualizzare la propria tessera
torna al sommario
dei mezzi pubblici all’interno dell’app
per Android di PosteMobile che funziona da digital wallet e completare
l’autenticazione sul sito dell’azienda di
trasporti relativa alla propria città. Fatto
ciò, sarà possibile acquistare abbonamenti direttamente dall’app e utilizzare lo smartphone NFC al posto della
normale tessera per passare i tornelli
della metropolitana o validare la corsa
sui mezzi di superficie. Al momento
nessuna notizia su un’eventuale futura
compatibilità anche con gli smartphone Windows Phone.
Il Communicator
di Star Trek
è realtà
Tra video
dell’Hoverboard Hendo
e notizie di macchine
volanti, sembra
proprio che la realtà
si stia confondendo
con i nostri film
fantascientifici preferiti.
Onyx, nella fattispecie,
è il comunicatore di Star
Trek calato nella vita di
tutti i giorni
di Lorenzo LAUDA
OnBeep, startup Americana, presenta Onyx, un indossabile che
funzionerà come un comunicatore di Star Trek: ovunque tu sia
potrai parlare con chiunque tu
voglia, in modo smart, senza la
necessità di dover portarti dietro
oggetti supplementari. Saranno
necessari solo una connessione
dati e uno smartphone a cui collegare tramite bluetooth il dispositivo ed il gioco è fatto: premi il
pulsante e manda un messaggio
in tempo reale ad un gruppo di
persone da te precedentemente
scelto grazie all’app dedicata.
Onyx si presenta con una forma
circolare, compatto e esteticamente pulito, ha un peso di soli
46g ed è dotato di una batteria a
litio ricaricabile tramite un cavo
micro USB che viene fornito
nella confezione. Il dispositivo
è pre-ordinabile al prezzo di 99
dollari per pezzo o a 195 dollari
per una coppia e non preoccupatevi per i tempi di attesa: secondo OnBeep entro dicembre
2014 i clienti inizieranno a ricevere il proprio comunicatore.
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17 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
MOBILE Alla Samsung Developer Conference tanti nuovi servizi per stare al passo con Apple
Flow, Proximity e realtà virtuale: gli assi di Samsung
Samsung non abbandona Google, ma aggiunge ad Android funzioni che Google stessa non ha
S
di Roberto PEZZALI
amsung continua la sua rincorsa
ad Apple, partendo proprio dal
famoso Moscone Center di San
Francisco, luogo simbolo di molte presentazioni del più acerrimo concorrente. Si svolge lì l’edizione annuale della
Samsung Developer Conference, la
conferenza destinata agli sviluppatori
di applicazioni per prodotti Samsung di
ogni tipo e piattaforma, dagli smartwatch con Tizen alle più recenti Smart TV.
La Samsung Developer Conference è la
dimostrazione che in questi anni Samsung è cresciuta moltissimo, e ha saputo
costruire attorno ai suoi prodotti un ecosistema solido e probabilmente anche
redditizio. Samsung, da puro produttore
di hardware che era, ha capito che non
si può vivere solo di prodotto: gli ultimi bilanci parlano chiaro, i guadagni su smartphone e TV decrescono rapidamente e
solo la voce “servizi” può compensare
riportando davanti ai grafici dei profitti il
segno più. La mossa più coraggiosa (ma
anche la più rischiosa) sarebbe ovviamente quella di abbandonare Android
puntando sul proprio sistema operativo,
capitalizzando così tutte le revenue dello store applicazioni e di tutti i servizi ad
esso collegato, dalla musica ai film ai giochi. Quello che insomma ha fatto Amazon,
un fork di Android a tutti gli effetti che
di certo non ha fatto piacere a Google.
Samsung ha però deciso di seguire una
strada più morbida: da una parte si tiene
stretta Google abbracciando il suo sistema operativo, dall’altra sta creando una
serie di framework aggiuntivi che permettono di collegare Android al suo ecosistema, aggiungendo ad Android stesso
funzionalità che Google non ha, ma di cui
Samsung ha bisogno per restare in scia
ad Apple. Ecco quindi che dalla Samsung Developer Conference spuntano
Flow, Proximity, Simband e nuovi prodotti
come Project Beyond, una camera a 360°
LG presenta nel mercato coreano
AKA, smartphone Android per i
più piccoli. Occhi animati, diversi
per ogni modello, comunicano le
notifiche e lo stato del telefono
Sotto la cover si nascondono
specifiche di tutto rispetto
da usare per creare ambienti da visitare
poi con il visore Gear VR. Flow, la nuova piattaforma presentata, è la versione
Samsung di Handoff di Apple: permette
di spostare applicazioni e dati in modo
“seamless” da smartphone a tablet, da
tablet a smart TV e da smart TV a smartphone. Flow gestisce anche lo scambio
di notifiche: una notifica che arriva sullo
smartphone viene visualizzata anche sulla Smart TV Samsung e sul tablet. Ispirato
sempre ad un altro framework Apple troviamo Proximity, la versione Samsung di
iBeacon: Proximity è un pacchetto di funzionalità inserite a livello di sistema che
permettono agli sviluppatori di interagire
direttamente con i beacons, piccoli trasmettitori Bluetooth low energy sfruttabili
per applicazioni di localizzazione a corto
raggio o di marketing. Con i beacons (qui
l’approfondimento) è possibile veicolare
un’informazione in maniera push a tutti
i dispositivi Samsung nelle vicinanze, in
modo simile a quello che può fare Apple
con iBeacon. Diciamo simile, perché l’integrazione Samsung viene fatta a livello
di sistema, ed è più marketing oriented:
mentre con iBeacons per ricevere dati
quando passiamo di fronte ad una vetrina
dobbiamo avere l’app del negozio installata, Samsung con proximity può gestire
notifiche senza alcuna app installata. Una
scelta più radicale, da dosare però con
attenzione: i beacon sono un’arma a dop-
pio taglio se usati in modo invasivo.
Non contenta poi di Google Fit Samsung
ha presentato alla Samsung Developer
Conference una nuova versione della reference platform per health tracker, Simband 2, insieme ad un pacchetto di api
e servizi cloud per gestire le informazioni
legate alla salute.
Qui Samsung si è ispirata più al recente
Band di Microsoft e ai servizi a lui collegati, creando uno smartwatch ricco di
sensori da utilizzare come hardware per
la creazione di app legate proprio alla
persona. Non potevano mancare poi
GearVR e le applicazioni di realtà virtuale:
qui Samsung ha scelto di appoggiarsi a
OculusVR per la piattaforma, annunciando l’arrivo della developer edition del
Gear VR a dicembre. Samsung rilascerà
due pacchetti: 199$ liscio e 249$ con
controller bluetooth, entrambi destinati a
coloro che vogliono iniziare a creare app
dedicate al visore di realtà virtuale.
Per aiutare poi gli sviluppatori nel difficile
compito, Samsung ha anche realizzato
Project Beyond, una videocamera composta da 16 moduli di ripresa Full HD capaci di catturare un ambiente a 360° senza interruzioni. Samsung porterà modelli
di questa videocamera in giro per il mondo catturando immagini panoramiche di
luoghi di interesse significativi, dando
inizio a quello che potrebbe essere il turismo virtuale.

I SENSORI DI SIMBAND 2
torna al sommario
LG AKA, lo
smartphone
che ti guarda
negli occhi
di Massimiliano ZOCCHI
Il mercato coreano, si sa, è sempre
un po’ stravagante. E in quest’ottica LG presenta l’ennesimo terminale quasi sicuramente destinato
a rimanere confinato nel mercato
domestico: LG AKA. Coloratissimo
e semplice nelle linee, con scocca
in plastica, è un device pensato
per adolescenti. I quattro colori
però non sono solo una diversità
estetica, ma si tratta anche di quattro “soggetti” diversi. Già, perché
AKA interagisce col proprietario
tramite occhi animati che sporgono dalla cover rigida frontale. Occhi che sono diversi a seconda del
soggetto e che cambiano anche in
caso di notifiche e avvisi. Faremo
così la conoscenza di Eggy (giallo),
Wookie (bianco), Soul (blu) e YoYo
(rosa). La cover frontale è rimovibile mostrando un normale terminale
full touch Android 4.4, con display
da 5” IPS da 1280 x 720 pixel, connettività LTE, Wi-Fi e NFC, con fotocamera posteriore da 8 MP e frontale da 2 MP. Il tutto animato da un
processore quad-core da 1.2 GHz
(non meglio specificato) e 1.5 GB
di RAM. Dicevamo degli occhi, che
sono in grado di comunicare notifiche e “stati d’animo”: un esempio
è il cambiamento di colore in caso
di batteria scarica. Gli occhi si arrossano, come se lo smartphone
fosse malato, per poi tornare verdi
e normali dopo averlo caricato. LG
AKA è disponibile nel mercato coreano. Eccolo in video.
n.100 / 14
17 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
MOBILE I due nuovi fitness tracker di Jawbone saranno presto disponibili anche in Europa
Jawbone e il fitness “next-gen”: Up3 e Up Move
Un modello top di gamma, Up3 e un entry level, Up Move, più semplice ed economico
di Massimiliano ZOCCHI
ono due i nuovi fitness tracker di
Jawbone: il top di gamma UP3, che
costerà 180 dollari, e una nuova categoria per Jawbone, un entry level economico da 50 dollari chiamato Up Move.
Il nuovo capofamiglia, Up3, é la risposta
alle nuove tendenze del mercato delle
fitness band, aggiungendo sensori per il
battito cardiaco, e temperatura ambientale e della pelle. Non manca il classico
accelerometro. Tramite la tecnologia
integrata, Up3 può monitorare la qualità
del sonno in modo avanzato, tenere traccia dello stato di salute e riconoscere il
tipo di attività fisica che svolge l’utente.
Resta assente un display, e l’unico modo
di interfacciarsi è l’app dedicata, tramite
la quale si possono catalogare tutti i dati
e beneficiare di suggerimenti per migliorare la propria condizione fisica (ecco un
video di presentazione).
Nuovo design, affidato a Yves Behar,
che ha comunque linee che siamo abituati a vedere nelle smartband. Autonomia dichiarata di 7 giorni, resistente
all’acqua fino alla profondità di 3 metri.
Sarà disponibile per la fine dell’anno,
inizialmente solo in nero. Altri colori
arriveranno nel 2015. Un’altra diversità
S
è la batteria, non un’unità ricaricabile ma una semplice batteria da
orologio sostituibile. Up Move sarà
disponibile già da questo mese.
Anche per Up Move è stato rilasciato
un breve video.
Per entrambi i modelli si parla per
ora di Apple Store e di altri negozi
americani come Amazon o Best Buy,
senza riferimenti ad altri mercati, anche se pensiamo che saranno presto
disponibili anche per l’Europa. In risposta ai competitor che offrono anche
modelli economici, ecco arrivare Up
Move, un entry level con nuovo design,
dalle funzioni molto più basilari. Accelerometro con funzione contapassi,
tracker attività fisica e calorie bruciate.
UP MOVE
Presente anche il monitoring del sonno
ma a un livello meno sofisticato. Tutto
consultabile sempre dall’app apposita.
Una particolarità di Move è che può
essere indossato come braccialetto
oppure come clip sui vestiti.
MOBILE LG sarebbe già in grado di realizzare display non solo flessibili, ma anche economici
I display flessibili di LG diventano più economici
La riduzione di costo passerebbe anche dalla sostituzione dei filamenti di alluminio con il rame
I
di Emanuele VILLA

l mondo sta sperimentando i primi
esemplari di display curvi e flessibili, ma molte aziende ritengono che
questo sia davvero il futuro, soprattutto
nel segmento mobile. Pioniere delle
nuove tecnologie è senza dubbio LG,
che durante una presentazione all’Intenational Workshop on Flexible &
Printable Electronics ha annunciato un
nuovo processo produttivo per display
flessibili tale da incrementare notevolmente la produttività, la flessibilità e,
soprattutto, i costi. In effetti la tecnologia è pronta, ma stenta ad essere presentata commercialmente e proposta
al pubblico per via del suo costo: in un
mondo sempre più attento al rapporto
qualità/prezzo, un tablet che si piega in
tre e costa una fortuna avrebbe poco
torna al sommario
senso. Ma la situazione potrebbe
cambiare a breve: grazie a una
tecnologia nota
come Roll to Roll
(della quale non si
hanno particolari
informazioni), LG
sarebbe riuscita a
piegare e rendere ulteriormente
flessibili i propri
pannelli, mentre la netta riduzione di
costo passerebbe anche dalla sostituzione dei filamenti di alluminio con
componenti analoghi in rame. Cosa
che, stando a quanto si sa, rappresenta
un passo avanti notevole, poiché fino
a poco fa si riteneva impossibile la so-
stituzione tra i due elementi a causa di
alcune proprietà chimiche del rame. In
sostanza, LG ha già testato e provato
la tecnologia roll-to-roll ed è pronta a
impiegarla nei primi prodotti, che evidentemente saranno prototipi ma potrebbero vedere presto la luce.
13 pollici per il
prossimo tablet
di Samsung
Samsung potrebbe
presentare entro la fine
dell’anno un nuovo
tablet con display
da 13 pollici e S-Pen
Al momento si tratta
soltanto di indiscrezioni,
ma il trend che porta
a schermi sempre più
grandi è reale
di Andrea ZUFFI
Il mercato ci sta abituando ad una
costante crescita nelle dimensioni dei display degli smartphone,
e per questo i produttori di tablet,
per dare nuovo appeal ai propri
dispositivi, non hanno altra scelta
che far lievitare anche gli schermi
di questi ultimi.
Dalla Corea del Sud arriva in queste ore la notizia che Samsung
starebbe pianificando il lancio entro la fine dell’anno di un nuovo
tablet da 13 pollici. Non si conoscono altri dettagli sull’hardware,
se non che si dovrebbe trattare
di un display LCD e non Super
AMOLED. Grazie inoltre all’utilizzo della S-Pen, e con l’ausilio di
una personalizzazione di Android
che renderebbe il tablet multiwindow (analoga a quella dei
tablet PRO della stessa azienda),
Samsung intende offrire maggior
produttività all’utenza business.
Inoltre, se i rumor saranno confermati, Samsung entrerà in diretta competizione con un segmento del mercato oggi già occupato
da Microsoft con Surface 3 PRO e
da altri prodotti ibridi come i convertibili laptop/tablet. A conferma
del trend ci sarebbero anche altre
voci secondo le quali anche Sony
e Apple starebbero progettando
tablet da 12 pollici.
n.100 / 14
17 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
MOBILE Da SamMobile emergono le prime specifiche tecniche del successore del Galaxy S5
Samsung riparte da zero per il Galaxy S6
Samsung vuole realizzare un modello completamente nuovo, tagliando i ponti con il passato
N
di Paolo CENTOFANTI
onostante l’hype e le buone
vendite, il Galaxy S5 non è stato
quel mega successo che forse
Samsung si aspettava: margini e utili
si stanno assottigliando e il colosso
coreano vuole ripartire con il piede
giusto. Per questo motivo per il Galaxy S6, internamente chiamato project
zero, Samsung ha deciso di ripartire
per l’appunto da zero. Il Galaxy S4 e
S5 sono stati alla fine delle evoluzioni
del Galaxy S3, contaminate in qualche
modo dal lavoro svolto sulla linea Galaxy Note (e viceversa), ma l’S6 sarà
un prodotto completamente nuovo. Di
certo nel design, e dal Galaxy Alpha
in poi, sappiamo che Samsung ha già
iniziato a lavorare su nuovi materiali
di maggiore qualità, dopo che troppo
spesso anche i suoi top di gamma sono
stati accusati di eccessiva “plasticosità”. Ora SamMobile ha ottenuto anche
dei dettagli su quelle che dovrebbero essere le specifiche tecniche del
nuovo top di gamma. La dimensione
dello schermo non sarebbe ancora
stata decisa, ma dovrebbe avere una
Apple ha rilasciato
agli sviluppatori una
beta di un nuovo
aggiornamento di iOS
8 che, oltre a sistemare
altri bug, promette
un miglioramento
delle prestazioni per i
dispositivi più vecchi
di Paolo CENTOFANTI
risoluzione di 2560x1440 pixel, visto
che da qui non si torna indietro. Samsung avrebbe intenzione di realizzare
come al solito due varianti, una con
processore Qualcomm Snapdragon
810, l’altra con il nuovo Exynos 7420
accoppiato a un nuovo modem LTE
realizzato da Samsung. In entrambi i
casi si parla di architettura a 64 bit per
sfruttare al meglio le caratteristiche del
nuovo Android 5.0 Lollipop. Sul fronte
fotocamera Samsung sarebbe ancora
in decisa sul riutilizzare il sensore da 16
Megapixel con stabilizzatore ottico di
immagine oppure fare il salto ai 20 Megapixel, mentre per la webcam frontale
la risoluzione dovrebbe essere sempre
di 5 Megapixel come sugli ultimi modelli lanciati dal produttore. Il Galaxy
S6 dovrebbe poi essere dotato di 3
GB di RAM e monterà un nuovo chip
all-in-one di Broadcom per GPS, WiFi
e Bluetooth, soluzione che dovrebbe
ridurre ulteriormente i consumi energetici. Molto è ancora suscettibile di
cambiamenti come si può vedere, ma
le fonti di SamMobile si sono dimostrate sempre piuttosto attendibili.
MOBILE La tecnologia super veloce LTE Advanced arriva sulla rete mobile italiana grazie a TIM
60 comuni italiani viaggiano a 180 Mbps
I comuni abilitati per connessioni fino a 180 Mbps sono 60. Si passerà presto a 225 Mbps
R
di Roberto PEZZALI

oma, Milano, Torino, Napoli, Firenze, Genova, Palermo e Bari sono
alcune delle 60 città che da oggi
viaggeranno in 4G ad una velocità super. TIM, dopo la sperimentazione a
Torino, ha reso disponibile per prima
a livello nazionale la tecnologia LTE
Advanced portando la velocità di connessione mobile a 180 Mbps al secondo. Un valore che vuol dire streaming
4K su tablet, scambio di dati ad altissima velocità e download fulminei. Un
primo passo importante, anche perché
già si sta studiando l’upgrade a 225
Mbps che dovrebbe arrivare nel 2015.
Per poter fruire della tecnologia serve
uno smartphone LTE Advanced, e al
momento l’unico disponibile è il Galaxy
Note 4. Secondo TIM il Note 4 resterà
torna al sommario
iOS 8.1.1
migliorerà le
prestazioni di
iPhone 4S e iPad 2
da solo per poco: ben presto sullo store TIM saranno
presenti altri terminali, sicuramente chiavette e router
esterni, ma non escludiamo
qualche altro smartphone. I
clienti consumer e business
che hanno già sottoscritto
offerte 4G LTE potranno
accedere
gratuitamente
alla nuova tecnologia fino al prossimo
30 aprile, poi ci sarà da pagare (come
sempre). Per poter provare LTE Advanced bisogna abitare in una di queste
città, oltre ovviamente ad avere un
Galaxy Note 4: Roma, Milano, Napoli,
Torino, Palermo, Genova, Firenze, Bari,
Catania, Messina, Taranto, Brescia, Prato, Reggio Calabria, Livorno, Salerno,
Siena, La Spezia, Alessandria, Pistoia,
Catanzaro, Pisa, Lucca, Pescara, Nova-
ra, Savona, Sanremo, Carrara, Latina,
Cuneo, Viterbo, Teramo, Campobasso,
Arezzo, Caserta, Grosseto, Viareggio,
Asti, Benevento, Torre del Greco, Pozzuoli, Matera, Cremona, Massa, Potenza, Castellammare di Stabia, Afragola,
Vigevano, Fiumicino, Aprilia, Legnano,
Marano di Napoli, Pomezia, Tivoli, Battipaglia, Anzio, Sesto Fiorentino, Busto
Arsizio, Mugnano di Napoli e Giugliano
in Campania.
È un film già visto: a ogni nuovo
rilascio di iOS, i dispositivi Apple
più vecchi ancora supportati subiscono un significativo degrado
nelle prestazioni. È l’altra faccia
della medaglia di un lungo ciclo
di supporto per prodotti con tre
o quattro anni sulle spalle, che
nel mondo dell’elettronica di
consumo spesso equivalgono a
decenni. Con il rilascio di iOS 8,
quest’anno la storia si è ripetuta
per iPhone 4S e iPad 2, entrambi lanciati nel 2011 e basati sul
SoC Apple A5, che con il nuovo
aggiornamento del sistema operativo ha mostrato segni di cedimento, offrendo ai possessori di
uno di questi dispositivi dei rallentamenti rispetto ad iOS 7.
Ora Apple ha distribuito agli sviluppatori la prima beta di iOS 8.1.1,
aggiornamento che promette
oltre alla risoluzione di altri bug
ancora presenti, una maggiore
ottimizzazione per iPhone 4S e
iPad 2. Si dovrebbe così ripetere
quanto accaduto lo scorso anno
con iOS 7.1, che aveva riportato
un po’ più di vitalità nell’iPhone
4, classe 2010, e di colpo invecchiato con l’arrivo della prima
release di iOS 7. È facile gridare
all’obsolescenza programmata,
ma vale la pena tenere a mente
- e vale per tutte le piattaforme grafici come quello qui riportato: i
processori diventano sempre più
potenti, il che vuol dire anche che
far girare allo stesso modo il software più recente sui modelli più
vecchi, con curve come queste,
non è un gioco da ragazzi.
n.100 / 14
17 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
MOBILE La sicurezza di iOS inizia a scricchiolare: un gruppo di ricercatori ha segnalato una falla importante in iOS, presente fin da iOS 7
Allarme rosso per iPhone e iPad: seria falla di sicurezza
Rispetto al malware WireLurker, segnalato di recente, questa volta la minaccia è molto seria e riguarda tutti i dispositivi
di Roberto PEZZALI
a sicurezza di iOS inizia a scricchiolare: dopo WireLurker, il malware
segnalato di recente ma tutto sommato innocuo, arriva ora la denuncia da
parte di un altro team di ricercatori che
afferma di aver identificato (e segnalato a Apple) un bug decisamente serio,
chiamato Masque Attack. La falla di sicurezza in questo caso colpisce tutti gli
iPhone e gli iPad, a prescindere dalla
presenza di un eventuale jailbreak e di
un collegamento fisico. Per farla semplice, ma poi entreremo nel dettaglio, Masque Attack permette ai malintenzionati
di sostituire le app scaricate dall’Apple
Store con una applicazione identica che
L
ha accesso però a tutte le risorse della
vecchia app.
Un esempio aiuta meglio a capire come
funziona e quali sono i rischi: ogni applicazione scaricata dall’AppStore è
segnata da un “bundle identifier”, un
identificativo univoco di ogni app.
Questo codice non è affatto segreto:
basta aprire con un editor di testo un
file del pacchetto dell’applicazione
per risalire al bundle identifier della
stessa: nel caso di Gmail, ad esempio,
il bundle id è “com.google.Gmail”. Apple usa questo bundle ID per gestire
gli aggiornamenti delle app, ma quando fa un aggiornamento non verifica
che i certificati dell’aggiornamento e
dell’app originale
coincidano: Masque Attack usa
proprio
questa
assenza di controllo per “aggiornare” una applicazione installata
sostituendola con
una applicazione
fasulla ma con
le sembianze di
quella originale.
L’applicazione non viene ovviamente
scaricata dallo store, ma da un sito
web, ed è per questo che l’aggiornamento viene segnalato da un “popup”
che appare dopo aver aperto un sito
web. L’applicazione sostitutiva oltre a
poter loggare password e trasmettere
dati ha anche accesso a tutte le risorse
nella cache dell’app: la versione fasulla
di GMail vede e può anche trasmettere
le mail in cache e i dati della vera GMail
(trattandosi di un update la cartella dell’app non viene cancellata), e questo
vale anche per altre app come quelle di Home Banking. Il video mostra
chiaramente come funziona la cosa,
e vedere come GMail viene sostituita
da una applicazione finta con un semplice click fa abbastanza impressione.
La gravità di questo bug è enorme: se
apparisse a qualcuno un popup sull’iPhone con scritto “aggiorna Whatsapp per togliere la notifica di visione”
siamo certi che il 90% degli utenti premerebbe “yes” senza pensarci. Apple è
a conoscenza del problema, ma anche
la nuova release 8.1.1beta non corregge
la cosa, anche se, vista la gravità della
falla, probabilmente ci sta lavorando. In
ogni caso è meglio fare gli aggiornamenti solo dall’Apple Store, evitando di
cliccare su invitanti popup.
MOBILE Sharp presenta un nuovo display IGZO per smartphone da 736 dpi, 2560 x 1440 pixel
IlUn grande
display
IGZO
di
Sharp
serve
solo
ad
Oculus
esercizio di tecnologia, inutile su uno smartphone ma perfetto per i visori VR
L
di Roberto PEZZALI

a gara dei pixel non sembra avere
una fine: anche se ormai si è capito
che già il 1080p è quasi troppo su
uno smartphone, soprattutto se guardato da una distanza normale, i produttori
continuano a investire nella realizzazione di display super risoluti. È il caso di
Sharp, che dimostra tutta la sua abilità
nel creare pannelli LCD con tecnologia
IGZO super risoluti, mostrando il primo
schermo da 4.1” con una definizione di
736 ppi. Un traguardo record, raggiunto portando la risoluzione del pannello
a 2560 x 1600, quindi WQXGA (o quad
HD). La stessa definizione è quella necessaria ad un display da 6” per gestire
una risoluzione 4K, e Sharp si è detta
torna al sommario
pronta a fornire
quel tipo di display a partire
dal 2016, con
i primi sample
per i produttori
già nel 2015.
La qualità dello
schermo ovviamente non di
discute, tuttavia
siamo sempre
più convinti che
uno schermo di questo tipo sia più utile
per consumare rapidamente la batteria
di uno smartphone piuttosto che per
migliorare effettivamente la qualità di
visione. Se invece guardiamo ad altri
ambiti, come gli schermi per la realtà
MAGAZINE
Estratto dal quotidiano online
www.DDAY.it
Registrazione Tribunale di Milano
n. 416 del 28 settembre 2009
direttore responsabile
Gianfranco Giardina
editing
Claudio Stellari, Maria Chiara Candiago,
Simona Zucca, Alessandra Lojacono
virtuale, allora sì che i pannelli a risoluzione elevatissima hanno un senso: un
pannello 4K da 6” sarebbe perfetto per
raddoppiare la risoluzione dell’OculusVR, permettendo finalmente una resa
più che dignitosa?
Editore
Scripta Manent Servizi Editoriali srl
via Gallarate, 76 - 20151 Milano
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n.100 / 14
17 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
MOBILE Un’indagine sulla sicurezza dei sistemi di messaggistica sfata diversi miti e svela sorprese
BB Messenger e WhatsApp tra le chat meno sicure
Una tabella analizza alcune caratteristiche che contribuiscono alla sicurezza di un servizio
L
di Paolo CENTOFANTI

a Electronic Frontier Foundation,
agenzia non-profit che si occupa di
diritti “digitali” fin dalla nascita del
web, ha annunciato una nuova iniziativa denominata Campaign for Secure &
Usable Crypto. Si tratta essenzialmente
di una campagna di sensibilizzazione
per una maggiore diffusione di sistemi
di comunicazione che, sull’onda delle
rivelazioni di Edward Snowden sui programmi di sorveglianza globale, offrano un’effettiva protezione della privacy.
La prima fase di questa campagna è
la “secure messaging scorecard”, una
tabella in cui vengono analizzate le
funzioni di sicurezza di tutti i principali
servizi di messaggistica, chat, videochiamata ed email che “promettono”
una qualche sorta di protezione della
comunicazione. La tabella è stata compilata analizzando alcune ben precise
caratteristiche che contribuiscono alla
sicurezza di un servizio. Un primo punto
è naturalmente che la trasmissione sia
criptata lungo tutto il cammino della comunicazione, ma viene anche richiesto
che la crittografia sia end-to-end, fatta
in modo cioè che il gestore del servizio
non sia in grado di accedere ai messaggi, tipicamente affidando la generazione
delle chiavi direttamente ai due interlocutori. Ma meglio sarebbe ancora se il
sistema fosse in grado di proteggere le
comunicazioni passate anche in caso
di compromissione delle chiavi private
e offrisse un meccanismo per la verifica dell’identità dell’interlocutore. Altri
aspetti riguardano la qualità della documentazione sulla sicurezza dei servizi,
se il codice degli strumenti implementati è disponibile pubblicamente per la
ricerca di eventuali bug e falle, ma anche se la sicurezza è stata testata da un
ente indipendente esterno all’azienda.
Tutto ciò considerato, quali sono allora
i migliori servizi di chat e messaggistica
dal punto di vista della sicurezza? La
scorecard compilata dalla EFF riserva
qualche sorpresa. In primo luogo BlackBerry Messenger, che comunemente è
torna al sommario
WhatsApp
Arriva l’ansia da
messaggio letto
(e addio privacy)
Senza nessun annuncio
WhatsApp aggiunge la
notifica che avverte se
un proprio messaggio
è stato letto dal
destinatario
di Massimiliano ZOCCHI
considerato uno dei servizi più sicuri,
soddisfa unicamente il requisito della
crittografia della trasmissione, ma non
end-to-end. BlackBerry è in buona compagnia comunque, con Viber, Yahoo!
Messenger, WhatsApp, Facebook Messenger. WhatsApp ha dalla sua di aver
comunque subito almeno un audit sulla
sicurezza della sua blanda soluzione.
Skype, rispetto a questi servizi, offre
in più la crittografia end-to-end, ma
lo storico delle chat non è immune al
furto di chiavi e Microsoft non ha mai
rilasciato informazioni dettagliate sulla
crittografia implementata. Tra i servizi
non specializzati e di largo utilizzo, ot-
tengono invece un buon “punteggio” le
soluzioni Apple iMessage e FaceTime,
che sono resistenti al furto delle chiavi segrete, ma non hanno contromisure per verificare l’identità degli utenti.
Apple inoltre ha rilasciato sufficiente
documentazione delle soluzioni impiegate, ma non ha naturalmente messo a
disposizione il codice sorgente per ulteriori verifiche. In cima alla classifica ci
sono naturalmente i servizi specializzati
come Silent Phone, Signal, TextSecure,
ma anche storici nomi come PGP non
riescono a strappare il bollino verde in
tutti i requisiti. La scorecard completa è
disponibile qui.
Era forse l’unica app di messaggistica orfana di questa funzione, ma
ora anche WhatsApp si è adeguata, aggiungendo la notifica di avvenuta lettura dei messaggi. Nessun
annuncio e nessun aggiornamento
nei relativi store delle diverse piattaforme però: la modifica è avvenuta con un aggiornamento OTA
da remoto, per questo in molti non
si sono accorti subito della novità.
Semplicemente il doppio segno
di spunta che prima indicava l’avvenuta consegna del messaggio,
da adesso in caso di lettura si trasforma da verde a blu, ad indicare
appunto che il destinatario ha visionato tale messaggio. Abbiamo
già avuto modo di verificare utilizzando i diversi sistemi operativi,
che anche per gli utenti italiani è
già avvenuto il passaggio, e se per
caso non siete già tra i “fortunati”
vi basterà attendere il naturale
rollout. Contrastanti le reazioni: da
chi grida al miracolo, a chi invece
è preoccupato che questa sia ulteriore fonte di ansia. Oltreoceano sono più noncuranti di questo
aspetto, ma nel Vecchio Continente la privacy è considerata sacra.
Non tutto è perduto però, le spunte diventeranno blu solo se leggiamo il messaggio all’interno dell’applicazione. Se invece lo leggiamo
dalla lock screen o dalla lista delle
chat attive, la notifica in blu non arriverà, lasciandoci con mille dubbi,
o forse un po’ più sereni.
n.100 / 14
17 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
AUTOMOTIVE Mercedes ha presentato un concept SUV con propulsione a idrogeno ed elettrica
Il concept SUV di Mercedes è un’astronave
Ha interni da nave spaziale, la vernice è un composto che crea elettricità dalla luce e dal vento
di Massimiliano ZOCCHI
l mondo delle concept car è sicuramente particolare: ti fanno sognare
ad occhi aperti, con linee mozzafiato e tanta tecnologia, ma pochissime arrivano alla fase di produzione di
massa, e spesso con parecchie modifiche dal prototipo originale. Molto
probabilmente seguirà questa strada
anche la Mercedes Vision G-Code, un
SUC (Sport Utility Coupe) con il quale
la casa tedesca mostra le capacità del
suo centro progettazione di Pechino.
Lo scopo di questo distaccamento è
fare da incubatrice a nuove idee, raccolte dagli ultimi trend un po’ in tutto il
mondo, e infine creare progetti e prototipi che siano l’incarnazione di queste
novità, unitamente a nuove soluzioni
motoristiche e tecnologiche che potrebbero trovare un’applicazione futura
nelle auto della Stella a tre punte.
Nello specifico Vision G-Code ha un biglietto da visita tutto sommato non esagerato. Le linee esterne sono poco più
azzardate rispetto a moderni SUV, e i
cerchi da 21” hanno un disegno classico. L’illuminazione diurna è ovviamente
affidata a LED, e anche la grossa calandra frontale è illuminata, con un colore
diverso a seconda della modalità di
guida. E’ una 2 posti + 2, e anche per
questo è stato adottato il sistema delle
portiere reverse per i sedili posteriori,
per facilitare l’accesso.
Come dicevamo, abbastanza normale esternamente quanto spettacolare
all’interno. Le linee sono minimal riuscendo comunque a dare sensazione
di futuro, con un pizzico di spirito aerospaziale. Pochi colori, bianco e nero
in prevalenza, strumentazione ridotta
L’auto elettrica potrà
essere alimentata
da nano capacitori
Il team che porta avanti
lo studio è composto
in larga parte
da scienziati italiani

I
torna al sommario
L’auto elettrica
del futuro è
senza batterie
e un po’ italiana
di Massimiliano ZOCCHI
all’osso, nettamente in controtendenza
con le auto odierne, dove si cerca di
mettere display ovunque. Ogni passeggero ha a disposizione un sedile
singolo, con poggiatesta incorporato
e cintura di sicurezza a 4 punti. I posti
integrano una funzione massaggiante
ed è curioso il volante non circolare in
stile Formula 1.
La parte tecnologica più interessante
è la speciale vernice denominata multi-voltaic silver, in grado di generare
elettricità quando esposta alla luce,
trasformando la scocca in un gigantesco pannello fotovoltaico. La stessa
vernice è anche in grado di accumulare
corrente statica dall’aria e dal vento e
di indirizzarla poi al motore. L’energia
elettrica non viene però convogliata
in batterie, ma utilizzata direttamente
per la produzione di idrogeno. Non è
chiaro come avvenga questo processo,
lasciando intendere che ci sia un minisintetizzatore di idrogeno a bordo.
L’idrogeno andrà poi ad alimentare
il motore frontale, mentre il secondo
motore, quello sull’asse posteriore è
esclusivamente elettrico, lasciando in-
tendere che comunque ci sono delle
batterie a bordo. Sfruttando i diversi
propulsori si potranno scegliere differenti modalità di guida.
Hybrid eDrive: questa modalità è totalmente elettrica, basata sulla massima
efficienza e il miglior confort possibile
a bordo grazie alla silenziosità del motore elettrico.
Hybrid Eco Mode: con questa impostazione entra in gioco anche il motore a combustione, a tratti o in modo
continuativo a seconda della potenza
necessaria. Una modulazione sonora
digitale diffonde un suono nell’abitacolo che controbilancia le vibrazioni del
motore a combustione, tenendo alto il
livello del confort.
Hybrid Sport Mode: come suggerisce
il nome, questa modalità di propulsione
non è certo al risparmio, dando potenza e agilità, usando entrambi i motori,
e in particolare quello elettrico come
boost per le accelerazioni. La modulazione sonora interviene anche qui, lasciando però un suono più aggressivo.
Ovviamente Mercedes non parla di
piani futuri per questa vettura, anche
se voci di corridoio annunciano una
particolare attenzione della casa di
Stoccarda nel segmento dei SUV/Crossover: questo che vediamo potrebbe
essere il primo studio per un mezzo
Urban Mobility.
l supercapacitori sono in grado di
immagazzinare energia elettrica e
di rilasciarla molto velocemente.
Non vengono utilizzati al posto delle batterie al litio perchè la quantità di energia che possono fornire
è bassa. Qui entra in gioco la ricerca portata avanti alla Queensland
University of Technology, cioè
riuscire a nascondere moderni
supercapacitori in ogni intercapedine di un’auto a trazione elettrica. Il team di ricercatori, guidato
dall’italianissimo Dr. Nunzio Motta
e dal Dr. Jinzhang Liu, sta studiando la possibilità di rendere questi
componenti leggeri, piccoli e al
tempo stesso in grado di immagazzinare più energia. L’impronta
italiana è ben profonda, dato che i
ricercatori impiegati sono sempre
italiani: Marco Notarianni, Francesca Mirri e Matteo Pasquali. Al momento l’idea è di accoppiare l’uso
dei supercapacitori a quello delle
convenzionali batterie. Sfruttando
la loro proprietà di rilascio rapido
della carica possono servire per
dare un overboost al motore, o
per ricaricare le batterie “normali”
in breve tempo. Un’automobile di
questo genere potrebbe coprire
distanze fino a 500 km, oltre ad
avere minor costo di produzione e
minor impatto ambientale per l’assenza di sostanze come il litio, per
il quale tra l’altro non è previsto un
abbassamento del costo di produzione nei prossimi anni. Il team fa
sapere che questo film ultra energetico potrebbe anche essere utilizzato nei device portatili o negli
accessori, ad esempio inserendolo all’interno di cover che avrebbero così la possibilità di caricare lo
smartphone in pochi minuti.
n.100 / 14
17 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
PC Sony presenta la nuova linea di dischi esterni SSD: hanno dimensioni da carta di credito
Da Sony gli SSD formato “carta di credito”
Due modelli da 128 GB e 256 GB, entrambi con un’ elegante finitura esterna in alluminio
S
di Massimiliano ZOCCHI
ony punta sull’eleganza e la portabilità per i nuovi dischi esterni
SSD. Il modello SL-BG1 assicura
128 GB di spazio di archiviazione, mentre il fratello maggiore SL-BG2 passa a
256 GB.
E’ evidente come Sony con questi nuovi
prodotti strizzi l’occhio a professionisti e
appassionati che amano prodotti raffinati, richiamando il design spesso utilizzato negli Ultrabook o nei notebook Apple, dove l’alluminio la fa da padrone.
Finitura esterna che riprende quindi lo
stesso materiale, in colore silver oppure
nero satinato.
Dimensioni da carta di credito, eccezion
fatta per lo spessore ovviamente, ma
senza rinunciare a robustezza e protezione dei dati. Sony infatti dichiara che
l’involucro esterno minimizza i danni da
vibrazioni, urti e surriscaldamento.
Il trasferimento dati è affidato all’interfaccia USB 3.0 che garantisce una ve-
Il Model A+ è il nuovo
entry level tra i PC
single-board, il prezzo
è il più basso di sempre
solo 20 dollari. È già
disponibile in USA e UK
di Emanuele VILLA
locità minima di 290 MB/s in lettura, in
base alle prove effettuate da Sony stessa. La velocità di scrittura risulta poi essere inferiore. In dotazione troveremo i
software dedicati Password Protection
Manager e Backup Manager, utili per
gestire le proprie copie e garantirne la
sicurezza nel caso il disco venga smarrito e cada nelle mani sbagliate. Sony
dichiara aperte le prenotazioni online,
anche se al momento i nuovi SSD non
sono ancora presenti sul sito italiano.
PC Si credeva che non sarebbe costato meno di 2.500 dollari, ma Dell ci sta ripensando...
Meno di 2.000 dollari per il monitor 5K Dell
Arriverà per Natale nei negozi americani, non si sa ancora se verrà venduto anche in Italia
di Emanuele VILLA
nnunciato lo scorso settembre,
il monitor Dell da 27’’ con risoluzione 5K arriverà sugli scaffali dei
negozi (inizialmente americani) a dicembre con un prezzo di listino inferiore ai
2.000 dollari. Una buona notizia per chi
ha deciso di entrare nel mondo della
risoluzione “altissima” per PC replicando di fatto le caratteristiche (visive)
dell’iMac di recentissima introduzione.
Il nome completo del prodotto è Dell
UltraSharp 27 Ultra HD ed è il primo monitor al mondo con la risoluzione “enorme” di 5120 x 2880 pixel, che giusto
per rendere l’idea, è sette volte quella
del Full HD. Inizialmente si pensava che
Dell l’avrebbe posizionato a un listino
di 2.500 dollari, ma pare proprio che
l’azienda si sia ricreduta e, nel tentativo
di spingere al massimo un’esclusiva interessante, abbia intenzione di proporlo a meno di 2.000 dollari; per i prezzi
ufficiali e per sapere se arriverà anche

A
torna al sommario
Raspberry
Pi Model A+
È piccolissimo
e costa 20 dollari
da noi, comunque, c’è ancora bisogno
di qualche giorno.
Parlando di caratteristiche tecniche, Dell
UltraSharp 27 Ultra HD è un monitor
da 27’’ con luminosità dichiarata di
350 cd/m2 e rapporto di contrasto statico di 1000:1, un tempo di risposta GTG
di 8 ms e densità di pixel di 218 ppi. Dell,
inoltre, comunica che il suo pannello IPS
è in grado di coprire il 99% dello spazio
Adobe RGB e il 100% di quello sRGB,
mentre come angolo di visione dichiarato troviamo un 178°, sia in orizzontale
che in verticale.
Difficile non conoscere, almeno di nome, Raspberry Pi, il
single-board PC ultraeconomico basato su Linux e concepito
all’origine come supporto per
l’educazione dell’informatica e
della programmazione. L’azienda
inglese ha recentemente annunciato il Model B+ e ora, nel tentativo di replicarne parzialmente
la dotazione hardware ma a un
livello di prezzo ancor più basso, propone Model A+ che è più
sottile (65mm), consuma meno
energia di Model A e propone
alcuni miglioramenti tra cui 14 pin
GPIO in più (ora siamo a 40), slot
Micro SD e un circuito sonoro più
avanzato e dalla resa migliore.
Il processore resta il Broadcom
BCM2835, lo stesso del predecessore, così come la dotazione di RAM, “ferma” a 256 MB.
L’azienda ovviamente spera che,
derivando molte caratteristiche
dal modello superiore e proponendo il nuovo nato a un prezzo
mai visto, il concetto portato avanti da Raspberry Pi si estenda più
di quanto fatto finora. Model A+
è disponibile immeditatamente in
USA e UK per 20 dollari di listino (5 in meno rispetto a Model
A), prezzo che si suppone verrà
esteso al resto del mondo, disponibilità permettendo.
n.100 / 14
17 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
SMARTHOME Lo starter kit con due videocamere disponibile per Natale da 350 dollari
Con Arlo Netgear punta sulla smarthome
La videocamera di sorveglianza di Netgear è adatta all’uso sia in interno che in esterno
Ha una batteria per l’installazione senza cablaggi e salva i video su cloud dedicato
di Michele LEPORI
etgear ha deciso di puntare forte
sul potenziale della smarthome
con Arlo, un progetto di videocamere per la sorveglianza delle abitazioni
e relative pertinenze costruito attorno a
un progetto di cloud storage proprietario e sfruttando la qualità dei milioni di
modem e router Netgear già presenti in
altrettante case sparse per il mondo. Arlo
nasce con caratteristiche tecniche interessanti: angolo di visione a 120°, ripresa
a 720p, visione a infrarossi per la notte
e un rivestimento esterno a prova di intemperie che la rende adatta a ogni situazione. Lo slogan di Arlo focalizza l’attenzione sulla totale assenza di cavi: le
videocamere hanno una batteria interna
rimovibile e ricaricabile con un’autonomia stimata a utilizzo normale attorno ai
4-6 mesi; lo spazio su cui vengono archiviate le riprese è gratuito fino a 200 MB,
N
Samsung
Advanced S Pen
Più sensibile e
versatile

Samsung ha annunciato Advanced S
Pen, evoluzione della famosa smart
stilo di cui va a migliorare tutte le
funzionalità principali. Rispetto al predecessore, ha una miglior sensibilità
(doppia), riconosce con più precisione
la rapidità con cui si scrive, l’inclinazione e la rotazione; la maggior sensibilità permetterà l’implementazione di
nuove funzionalità creative, di editing
e di riconoscimento del tratto. Samsung ha rilasciato un aggiornamento
dell’SDK relativo all’S Pen così che gli
sviluppatori possano accedere alle
feature della nuova stilo. Advandes
S Pen sarà rilasciata in bundle con il
Note del prossimo anno (o magari con
i tablet Note che l’azienda presenterà
al CES), ma sarà compatibile anche
con Galaxy Note 4 e Galaxy Edge. Al
momento non si hanno informazioni su
prezzo e data di rilascio, ma Samsung
fa sapere che la stilo sarà acquistabile
sul proprio sito una volta che il prodotto sarà commercializzato.
torna al sommario
La lampadina
che inganna
i ladri
Un sistema di
illuminazione
intelligente che fa
sembrare “viva” la
casa anche quando non
ci siamo. Il progetto
è interessante, ma si
preannuncia molto caro
di Emanuele VILLA
sufficiente secondo Netgear a garantire
dalle 2 alle 3 settimane di video, mentre
per esigenze multiroom o di filmati continui saranno disponibili diversi upgrade
con canone mensile variabile in funzione
dello spazio. Le videocamere saranno
fruibili tramite app per iOS e Android che
permetterà di modificare i parametri di
ripresa, ricevere notifiche qualora venga
rilevato un
movimento
e interfacciarsi con gli
altri dispositivi partner della AllSeen Alliance. Lo
starter kit sarà disponibile per le festività
a partire da 350 dollari e ogni unità addizionale sarà venduta a 170 dollari.
SMARTHOME Dovrebbe essere disponibile il prossimo anno
MAID, e il forno diventa smart
di Michele LEPORI
ectorQube, realtà californiana con sede in quel di Palo Alto, ha raggiunto e
superato lo stretch goal di 50.000 dollari su Kickstarter necessario a dare
il via libera al suo progetto di forno intelligente MAID con il quale i fortunati
possessori potranno gustare ottimi manicaretti senza perdere di vista l’importanza
della dieta e dei valori nutrizionali.
MAID, acronimo di Make All Incredible Dishes (crea tutti i piatti più incredibili), è un
elettrodomestico connesso in grado di elaborare manicaretti sulla base dei nostri
gusti personali, migliorarli grazie ai feedback che possiamo inviare in tempo reale e
allargare il database di ricette grazie alla collaborazione che SectorQube promette
essere gomito a gomito con un team di chef ed esperti del gusto. Fin qui nulla di
radicalmente diverso né da quanto presentato da LG all’IFA né dalla squadra di
chef di Samsung, dove stanno quindi le differenze con i progetti delle due gemelle
coreane? Nell’aspetto dietetico: MAID è in grado di interfacciarsi con le più popolari
app di fitness e attività
fisica per iOS e Android, e monitorando i
dati è in grado di creare una dieta ad hoc
che ci supporti quotidianamente.
L’arrivo nelle case dei
bakers è fissato per
l’autunno-inverno del
prossimo anno, giusto
in tempo per il periodo
delle feste.
S
Il mercato ormai è stracolmo di
soluzioni “smart” per quanto concerne l’illuminazione domestica,
ma nessuno finora ha pensato di
usare delle lampadine per aumentare la sicurezza interna o come
dissuasori contro i furti in casa.
Finora, appunto. BeON Home è
una soluzione concettualmente
semplice, ingegnosa e tanto cara,
(parliamo di circa 199 dollari per 3
lampadine), dedicata a dissuadere i malviventi dal fare irruzione
in casa quando non ci siamo. Le
lampadine si accendono da sole
quando non c’è nessuno in casa
creando degli scenari credibili;
in questo modo si suppone che
i malviventi non corrano il rischio
di entrare in un appartamento
potenzialmente abitato e passino oltre. Stesso discorso quando qualcuno suona alla porta: le
lampadine si accendono e i ladri
passano all’appartamento successivo (così pare, poi è tutto da
dimostrare). Quando si è in casa
il sistema è completamente controllabile via app. Inoltre, BeON
Home ha una sua piccola riserva
di energia che le permette di accendersi in caso di cali di tensione
o segnalazioni di fumo, ecc. BeON
è un progetto in crowdfunding su
Kickstarter con una data d’uscita
stimata compresa tra aprile e agosto 2015; l’obiettivo è di 100.000
dollari e le previsioni sono rosee,
visto quello raccolto finora.
n.100 / 14
17 NOVEMBRE 2014
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SCIENZA I test finora effettuati dai ricercatori hanno avuto un tasso di successo tra il 25 e l’83%
Trasmissione del pensiero, esiste e funziona
Ricercatori americani hanno dimostrato la possibilità di registrare e trasmettere il pensiero
S
di Paolo CENTOFANTI
tanchi di studiare? In futuro la
conoscenza potrebbe venirci infusa direttamente dalla mente di
un professore o un esperto grazie alla
trasmissione del pensiero. Fantascienza? Non del tutto, visto che un gruppo
di ricercatori americani dell’Università
di Washington è riuscito a dimostrare
la possibilità di trasmettere dei pensieri da cervello a cervello e a ripetere l’esperimento con diverse coppie
di soggetti. In questa prima fase, i ricercatori sono riusciti a trasmettere a
distanza l’impulso di premere un pulsante per sparare con un cannone in
un videogioco. In pratica un soggetto
si trova davanti a uno schermo con
un semplice videogioco in cui occorre
sparare con un cannone al momento
giusto e senza alcun tipo di controllo
per interagire con il computer.
Sono già passati 10
anni dal lancio della
prima versione del
browser Firefox, il primo
a rompere il dominio di
Internet Explorer
Un sistema di rilevamento delle onde
cerebrali del soggetto registra quindi la
volontà di sparare e la trasmette in un
altra stanza o edificio dove si trova un
secondo individuo, questa volta senza
alcuno schermo ma una tastiera a disposizione. Tramite un apposito dispositivo l’impulso viene trasmesso all’area
del cervello che governa il movimento
della mano e così viene premuto il pulsante per sparare con il cannone nel
FOTOGRAFIA
La prima
videocamera
notturna
a colori

Sharp è la prima a portare sul mercato una videocamera di sorveglianza
con capacità di ripresa notturna a
colori. Il target dell’azienda non è
il mercato consumer ma quello dei
sistemi avanzati di sorveglianza corporate. Il sistema di visione notturna
a infrarossi è basato su un CCD realizzato da Sharp e dal National Institute
of Advanced Industrial Science &
Technology giapponese e permette la
registrazione in condizioni di oscurità
totale (0 lux) a colori con risoluzione
di 1280x720 pixel a un framerate
di 30 fps; il sistema è basato su
un singolo CCD, per mantenere le
dimensioni dell’apparecchio più
contenute possibile, ed è compatibile
con lo standard HD-SDI, per essere
facilmente integrato nei sistemi di
sorveglianza
attuali. La
disponibilità dei
primi esemplari
è prevista per il
28 novembre.
torna al sommario
Firefox compie
10 anni e lancia
la privacy in un
click con il tasto
dimentica
videogioco. I test hanno avuto un tasso
di successo della trasmissione compreso tra il 25% e l’83%, dove in realtà
i fallimenti sono stati per lo più dovuti
alla mancata emissione dello stimolo
a sparare da parte del soggetto “sorgente”. Il prossimo passo della ricerca
sarà quello di provare a trasmettere informazioni più complesse come veri e
propri pensieri e concetti.
Clicca qui per il video.
SCIENZA L’anuncio completo del progetto tra pochi mesi
Una flotta di micro-satelliti
per portare Internet ovunque
L
di Paolo CENTOFANTI
a nuova missione di Elon Musk, l’imprenditore americano che ha lanciato Tesla
e SpaceX, pare sia quella di portare Internet in ogni angolo del globo, possibilmente a basso costo. Per realizzare questo obiettivo, ha raccontato il Wall
Street Journal, che ha ricevuto la soffiata da fonti a conoscenza dell’operazione,
Musk starebbe unendo le forze con la WorldVu Satellites, società fondata da Greg
Wyler, ex dirigente Google per cui seguiva i progetti satellitari. L’idea sarebbe quella di sviluppare un nuovo tipo di satelliti di telecomunicazioni, più leggeri e meno
costosi di quelli attualmente utilizzati, e realizzare una flotta di 700 di questi per
creare una copertura Internet globale. Secondo l’articolo del Journal, la WorldVu
Satellites sarebbe già licenziataria delle necessarie frequenze, e i due starebbero
cercando un terzo partner per lo sviluppo dei satelliti. Il progetto sarebbe però
ancora solo nei primi stadi di definizione e l’appoggio di Elon Musk all’iniziativa
non sarebbe ancora confermato al 100%. L’impresa è ambiziosa e non è delle più
semplici. Da una parte i costi dell’iniziativa per sviluppare la nuova tecnologia e
mettere in orbita la rete satellitare sono appunto stratosferici (si parla di miliardi di
dollari), dall’altra c’è una forte competizione nel settore, con i progetti alternativi di
Google e Facebook da una parte, e la storia di clamorosi fallimenti come quello di
Iridium dall’altra.
Non solo indiscrzioni, però: il progetto è
stato confermato da Elon Musk con un
tweet, annunciando tra l’altro il coinvolgimento diretto di SpaceX. Nel tweet
parla di una larga flotta di micro-satelliti.
L’annuncio completo della nuova iniziativa arriverà nel giro di 2/3 mesi.
di Paolo CENTOFANTI
Nel 2004 Mozilla lanciava la prima
versione di Firefox, browser open
source che avrebbe rilanciato una
competizione sul mercato dei
browser che sembrava impossibile riaprire per lo strapotere di
Microsoft. Oggi le cose sono molto diverse, con quote di utilizzo
dei vari browser più “democratiche” grazie anche all’ingresso di
Google e Apple e all’avvento di
smartphone e tablet, ma Firefox
occupa ancora un posto speciale
nel cuore di molti internauti, che in
questi giorni festeggiano il decimo
anniversario del software. Mozilla
ha lanciato una nuova versione
che aggiunge funzionalità legate
alla privacy come il tasto “dimentica” per cancellare con un click
gli ultimi dati di navigazione. Niente di nuovissimo, ma come dice
Mozilla, portare una funzionalità
come questa in una posizione immediatamente accessibile, significa aumentarne l’uso da parte degli
utenti. Inoltre arriva il supporto per
DuckDuck GO, il motore di ricerca
che non traccia in alcun modo le ricerche effettuate dagli utenti. Così
ha commentato il compleanno di
Firefox Chris Beard, CEO di Mozilla: “Mozilla è differente. Noi non
siamo una software company tradizionale. Siamo una community
no profit a livello globale che si
mobilita per la missione condivisa
di promuovere aperture, innovazione e opportunità online”.
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GADGET In Italia per usare questo drone serve il permesso dell’Enac e anche il patentino
DJI Inspire 1: riprese 4K per la Ferrari dei droni
Meno di 3.000 euro per il miglior drone per foto e riprese aeree forse mai realizzato
Riprende video a 4K e si alza fino a 4.500 metri. Unica pecca l’autonomia di soli 18 minuti
di Roberto PEZZALI
JI è una delle aziende più note
nel mondo dei droni per la fotografia e le riprese aeree: i suoi
modelli Phantom 2 e Phantom 2 Vision
hanno raccolto svariati apprezzamenti
per la facilità di gestione e la qualità delle foto scattate. DJI torna ora a
stupire con Inspire 1, probabilmente il
drone fotografico più avanzato disponibile sul mercato. Venduto a meno
di 3000 euro, che non sono assolutamente tanti per un prodotto di questo
tipo, Inspire 1 è in grado di riprendere
video a 4K e 30 fps a 360 gradi, questo
grazie al cambio di assetto variabile
del drone che dopo il decollo sposta
il blocco camera verso il basso proprio
per avere visuale totalmente libera.
Inspire 1 in realtà ha due fotocamere:
quella principale scatta a 12 Megapixel
e riprende a 4K, l’altra è puntata verso il basso e viene usata per gestire la
stabilizzazione del volo e la localizza-
D
zione quando manca la copertura GPS.
La batteria da 4500 mAh purtroppo
non permette una autonomia eccezionale: calcolando la riserva di potenza
che il drone trattiene per le emergenze
Inspire 1 può volare per 18 minuti, raggiungendo gli 80 km/h di velocità e alzandosi fino a 4500 metri. L’atterraggio
è automatico, o in una posizione scelta
sulla mappa oppure nei pressi del pilota. Per guidarlo un telecomando con
una portata di 2 km, ma è possibile
GADGET
Zap&Go, il
battery pack
superveloce

Zap&Go è il primo battery pack che,
grazie all’uso del grafene, è in grado
di ricaricarsi in 5 minuti. Quanto ci
metta a ricaricare il telefono non
si sa (dipende dal telefono, dalla
capienza della batteria originale,
ecc.), ma quel che conta è che se si è
fuori casa, si ha tutto (quasi) scarico
e ci si ferma 5 minuti in un bar, si ha
tempo a sufficienza per ricaricare
completamente il battery pack. Il
prodotto sarà venduto con un set di
spine internazionali, ha una batteria
da 1.500 mAh ma non è ancora
disponibile, è un progetto in attesa
di finanziamento su Indiegogo, dove
ha già ottenuto molto più dei 30.000
dollari richiesti per dare il via alla
produzione, per cui Zap&Go diventerà realtà a breve.
torna al sommario
anche svincolare dal telecomando il
controllo della videocamera facendola
gestire da un operatore.
Il TV d’oro è
di Samsung
Il TV può far notizia anche da spento
se costruito in oro. Si tratta di un
TV Samsung che farà parte della
famiglia Curve, con diagonale 78”
e risoluzione 4K e con pannello posteriore in oro lavorato con tecnica
ottchil, antica arte di lavorazione dei
metalli del sudest asiatico e di cui
Sung Yong Hong, il papà del progetto, sembra essere uno dei massimi esponenti. Gli intagli sul retro
avranno un tema, Memory of TV, che
raffigurerà personaggi e momenti
chiave della storia televisiva. Inutile
sottolineare come Christie’s abbia
fiutato le potenzialità di questa gallina dalle uova d’oro. L’esposizione si
terrà il 20 novembre all’Hong Kong
Convention and Exhibition Center,
ma ancora non si hanno informazioni
sulle modalità di partecipazione
all’asta di vendita.
GADGET Il progetto su Kickstarter ha già raggiunto l’obiettivo di 55.000 dollari canadesi
Impossible, la bici elettrica che entra nello zaino
Impossible è una bici elettrica pieghevole e facilmente trasportabile, raggiunge i 20 km/h
I
di Lorenzo LAUDA
mpossible Technology, team di ingegneri sito in Cina, ha presentato
Impossible, una bici elettrica pieghevole che sembra uscita da un film.
Il team ha impiegato tre anni per la realizzazione del progetto con lo scopo di
ottenere una bici incredibilmente leggera e duratura. Esteticamente ha un
aspetto futuristico: non ha il classico
frame orizzontale ma un design circolare per garantire che il peso del ciclista sia equamente bilanciato sull’intera
struttura. Realizzata completamente
in fibra di carbonio, Impossible pesa
meno di 5 kg ed è alta appena 43 cm,
ma può trasportare fino a un peso di 85
kg. Il motore, realizzato appositamente
dal team, è leggero ma potente: dotata
di dieci batterie da 2900 mah 10A 3.6V,
Impossible può muoversi a una velocità massima di 20 km/h per 45 minuti o
alla velocità normale per 24 chilometri,
le batterie sono ricaricabili attraverso
una normale presa della corrente.
Nel corso degli anni il settore delle bici
da città ha subìto varie trasformazioni:
le tecnologie disponibili sono migliorate rendendo le bici sempre più facili
da trasportare. Per quanto riguarda il
settore delle bici pieghevoli elettriche,
però, non c’era una vera soluzione ottimale: grazie a Impossible Technology
avremo a disposizione una bici elettrica facilmente trasportabile, capace di
raggiungere i 20 km/h e dotata di un
design non comune.
Il progetto è finanziabile su Kickstarter,
e per potersi aggiudicare una Impossibile Bike bisogna spendere circa 300
euro con le spedizioni previste per
agosto 2015; il team ha fatto sapere
che se riceverà un adeguato supporto
attraverso la campagna di crowdfunding migliorerà il prodotto andando ad
aggiungere Bluetooth, GPS e altri elementi personalizzabili.
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TEST Il nuovo Apple iMac con display retina è un all-in-one con uno schermo dall’incredibile risoluzione di ben 14,7 Megapixel
iMac con Display Retina 5K: amore a prima vista
È un sogno per chi lavora con foto e video, ma anche per tutti gli altri. Il prezzo è alto ma allineato a ciò che offre il prodotto
di Paolo CENTOFANTI
l display retina è infine arrivato anche sull’iMac. Apple
ha utilizzato per la prima volta questa espressione
nell’ormai “lontano” 2010 al lancio dell’iPhone 4,
il primo smartphone dotato di uno schermo con una
risoluzione di 326 ppi. Possiamo tranquillamente dire
che prima di allora nessuno si era mai preso la briga
di parlare in termini di pixel per pollici per descrivere
la risoluzione di un display - se non in ambito grafico
professionale - che è anche il motivo per cui il marketing di Apple coniò l’espressione “retina” per indicare
uno schermo con una risoluzione sufficientemente
alta da far sì che il nostro occhio non sia in grado di
risolvere i singoli punti. Seguendo questa definizione,
la risoluzione di un “retina display” dipende dalla distanza da cui lo guardiamo (oltre che dalle nostre diottrie a dire il vero) e quindi dall’utilizzo che ne facciamo:
lo smartphone è quello che probabilmente guardiamo
da più vicino, seguito dal tablet, quindi il notebook per
finire con il computer desktop. Casualmente - o forse
no - questa è anche la tabella di marcia con cui Apple ha introdotto il retina display sui suoi dispositivi:
iPhone, iPad, MacBook Pro e ora iMac. Sul nuovo iMac
da 27 pollici ciò vuol dire uno schermo con risoluzione
di 5120 x 2880 pixel o 5K come viene descritto, per
mantenere uniformità di linguaggio con il tanto di moda
4K. Solo una trovata commerciale? Tutt’altro.
I
Formula vincente non si cambia
il nuovo iMac con display retina Non è in senso stretto
una nuova generazione di all-in-one Apple, visto che
il design e la costruzione rimangono inalterati rispetto al modello da 27 pollici precedente. Si tratta della
stessa versione ultra slim, senza drive ottico quindi, e
con tutte le connessioni poste sul retro. L’iMac rimane il desktop tutto in uno esteticamente più elegante
e meglio costruito sul mercato, tutto in alluminio e a
prima vista indistinguibile dal modello senza retina display. Anche la dotazione di base è la stessa, compresa la tastiera Bluetooth in alluminio, che sinceramente
è davvero troppo piccola per un prodotto di questa
classe, elegante quanto si vuole, ma a nostro avviso
l’acquisto almeno della tastiera estesa con tastierino
numerico è d’obbligo. Troviamo poi il magic mouse,
mentre il magic trackpad (quasi indispensabile se si vogliono sfruttare le gesture di OS X come sui MacBook)
è opzionale. Considerando il prezzo di listino, poteva
essere incluso. Un design così pulito spesso significa
anche che l’aggiornabilità del computer è molto limitata. L’unico componente ufficialmente aggiornabile dall’utente senza invalidare la garanzia è costituito dalla
memoria RAM (8 i GB installati nell’opzione base), ma
teoricamente con un po’ di perizia è possibile sostituire
anche il processore e l’hard disk. La scheda grafica è
invece saldata sulla scheda logica e non può essere
sostituita. L’accesso ai quattro slot per la RAM è molto agevole, grazie all’apposito sportellino al centro sul
retro dell’iMac.
video
lab
Apple iMac 27” con display Retina 5K (2014)
CON QUESTO SCHERMO È DIFFICILE DIRGLI DI NO
2.629,00
Apple ha preso quello che era già il migliore computer all-in-one e lo ha reso ancora più appetibile con uno schermo di cui ci si innamora
immediatamente. Non è solo un fattore estetico, visto che chiunque ama la fotografia rimarrà incantato dal modo in cui propri scatti (persino
quelli meno riusciti) prendono nuova vita su questo schermo. Per non parlare dell’editing video, design grafico, modellizzazione 3D e così via.
Ma certo anche chi può permettersi il nuovo iMac e non ha particolari velleità creative si lascerà sedurre dalla resa dell’interfaccia grafica
del sistema operativo, dei testi e delle pagine web. Come computer in sé, il nuovo iMac ha i limiti di sempre, ovvero quelli della scarsa
aggiornabilità del sistema, seppure i computer Apple tendono ad avere una longevità superiore alla media, e non è la macchina ideale per i
videogiochi. L’unico vero appunto che possiamo fare al display, specie dal punto di vista di chi guarda al nuovo iMac come uno strumento di
lavoro, è uno spazio colore non da monitor professionale, che per qualcuno potrebbe costituire un limite insormontabile, anche se è possibile
collegare fino a due monitor esterni 3860x2160 pixel. Per una volta il prezzo è del tutto allineato con quello che offre il prodotto.
o
8.9
Qualità
9
Longevità
9
Design impeccabile
COSA CI PIACE Display meraviglioso
Hardware ben calibrato
Design
10
Semplicità
9
D-Factor
9
Prezzo
8
Display accurato ma non a wide gamut
COSA NON CI PIACE Aggiornabilità limitata alla sola RAM
Con OS X 10.10.0 problemi di stabilità del WiFi
Le connessioni sono complete e includono quattro
porte USB 3.0, due porte Thunderbolt 2 (che permettono di collegare fino a due monitor esterni 4K), Gigabit Ethernet, lettore di carte di memoria SDXC, uscita
per le cuffie. Quest’ultima funziona anche da uscita
digitale ottica con apposito cavo adattatore e supporta cuffie con microfono (tutte quelle compatibili con
iPhone). Naturalmente c’è poi la connettività wireless,
Bluetooth 4.0 e WiFi 802.11ac. Nelle nostre condizioni
di prova, la connettività 802.11ac è arrivata a toccare
in media una velocità di trasferimento file di 20 MB/
s (protocollo AFP e scrittura su SSD). In questo caso
Apple dichiara compatibilità con una velocità massima
di 1,3 Gbit/s via WiFi, ma in realtà abbiamo riscontrato
alcuni problemi di connettività, che sembrano essere

segue a pagina 22 
torna al sommario
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TEST
iMac con display Retina 5K
segue Da pagina 21 
legati all’attuale versione di OS X Yosemite: rallentamenti improvvisi che richiedono di disattivare e riattivare la connessione WiFi. In ogni caso non abbiamo
mai agganciato una portante superiore ai 878 Mbit/s
e abbiamo ottenuto in media una velocità massima
di trasmissione di file sulla rete intorno ai 160 Mbit/s,
comunque meglio di una connessione cablata a 100
Mbit/s. Va detto che l’ambiente dove abbiamo effettuato le nostre è piuttosto affollato di connessioni WiFi,
probabilmente più che in un’abitazione tradizionale,
per cui tenetene conto.
Un display accuratamente calibrato
La caratteristica che rende così interessante il nuovo
iMac è il suo display IPS da 27 pollici 5K, anche perché
nel momento in cui scriviamo è l’unico di questo tipo
sul mercato. Del resto lo stesso standard di connessione DisplayPort, fino a quando non saranno disponibili i
primi prodotti DisplayPort 1.3, non è in grado di gestire
con un singolo cavo un segnale video a 5120 x 2880
pixel a 60 Hz (motivo per cui non è possibile utilizzare
l’iMac solo come monitor). Durante la presentazione
Apple ha sottolineato come ha dovuto sviluppare internamente un timing controller in grado di gestire la
larghezza di banda necessaria per pilotare tutti questi
pixel. Anche se piuttosto velocemente, Apple ha snocciolato durante la presentazione alcuni dettagli tecnici
relativi al nuovo display che, da quanto è emerso dal
teardown di iFixit, è realizzato da LG, parlando di tecniche come oxyde TFT, organic passivation derivata
dal display retina dell’iPad e photo alignment. Le prime due indicano caratteristiche di progettazione della
matrice TFT (thin film transistor) utilizzata nel pannello
LCD, essenzialmente l’elettronica che a livello di pixel
pilota i cristalli liquidi. Si tratta di due tecniche che migliorano le prestazioni dei microscopici transistor con
questo livello di densità dei pixel, assicurando rispettivamente pulizia del segnale ed efficienza energetica.
A questo proposito anche la retroilluminazione è stata
migliorata con un’efficienza energetica del 30% superiore rispetto al modello non retina.
Photo aligment è invece una tecnica di costruzione
delle celle di cristalli liquidi, che consente un allineamento più preciso delle molecole dei cristalli, andando
Nelle nostre condizioni di prova, la connettività 802.11ac è arrivata a toccare in media una velocità di
trasferimento file di 20 MB/s (protocollo AFP e scrittura su SSD).
a migliorare il rapporto di contrasto espresso dal pannello rispetto a una visione in asse, mentre un nuovo
filtro di compensazione agisce sul rapporto di contrasto fuori asse. Apple non dichiara invece nel dettaglio
le caratteristiche del display a livello di prestazioni, soprattutto per quanto riguarda la colorimetria. Abbiamo
effettuato così diverse misurazioni per capire quanto il
nuovo retina display dell’iMac possa essere un buon
strumento per chi lavora con le immagini non solo per
la sua risoluzione di oltre 14 Megapixel, ma anche per
la sua resa cromatica. Il risultato che abbiamo ottenuto
è che in generale il monitor del nuovo iMac è tra i più
accuratamente calibrati out-of-the-box che abbiamo
avuto modo di misurare. Con un errore deltaE medio
di circa 2.8 su oltre 900 campioni di tonalità possiamo
dire che il nuovo retina display è sicuramente ottimo.
Ciò vale per la copertura dello spazio colore sRGB.
Quello che potrebbe far storcere il naso ai professionisti è invece la copertura dello spazio colore Adobe
RGB, che invece si ferma al 72% secondo le nostre
rilevazioni (effettuate con sonda X-Rite i1 Display Pro e
software dispcalGUI). Impostando la retroilluminazione
in modo automatico (l’unica regolazione che abbiamo
a disposizione!) e con una sala normalmente illuminata, l’iMac offre una luminosità del display intorno alle
250 cd/mq di default, con un rapporto di contrasto di
ben 1200:1. Creando un profilo calibrato del monitor
con il colorimetro e dispcalGUI è possibile migliorare
ulteriormente il risultato portando il deltaE medio ad
appena 0,47 con un valore massimo di 1,58. In questo
caso la copertura dello spazio Adobe RGB sale leggermente fino al 75%, ma è chiaro che non si tratta di un
pannello pensato per lavorare con wide gamut come
questo o quello DCI per il cinema.
Uno schermo di cui ci si innamora
Questi sono i freddi numeri, che però non dicono quello che è il reale impatto durante l’uso di questo schermo, che è semplicemente meraviglioso per contrasto,
brillantezza dei colori e naturalmente definizione. Le
immagini sembrano stampate sullo schermo e anche
avvicinandoci di molto non è possibile distinguere i singoli pixel. La nuova grafica di OS X Yosemite sembra
essere stata disegnata fin dall’inizio per questo nuovo
display e la resa a livello di eleganza è davvero notevole, dai dettagli delle icone, fino al rendering dei font
di una pagina web. Ciò che però davvero impressiona
è la visualizzazione di fotografie scattate con una fotocamera digitale. La sensazione è la stessa di guardare
delle foto stampate su carta fotografica di alta qualità, con tutta la precisione di un display a matrice fissa. Avere un display da 14,7 Megapixel vuol dire poter
visualizzare quasi in risoluzione nativa le foto scattate
con un gran numero di fotocamere (16 Megapixel non
sono poi così lontani), con tutti i vantaggi del caso. Le
foto prendono davvero vita e rimettere mano alla propria libreria di scatti su questo schermo è un vero e
proprio piacere che dà quasi assuefazione.
Questo schermo è naturalmente l’ideale anche per il
montaggio video, visto che è possibile riprodurre le
clip full HD alla loro risoluzione nativa lasciando spazio
per tutti gli strumenti, cosa che è possibile fare volendo
persino con materiale nativo 4K: anche in questo caso
avanza spazio per la timeline e per alcuni strumenti,
anche se non con così tanto agio per un normale workflow. Tenete presente che con le impostazioni base,
come per il MacBook Pro, essenzialmente tutti gli elementi grafici dell’interfaccia a schermo offrono la stessa dimensione a schermo che avrebbero su un monitor
con risoluzione di 2560x1440 pixel, ma con quattro volte il numero di pixel che li compongono.
Se certamente chi lavora con le immagini saprà trarre vantaggio da tutta questa risoluzione, non vuol dire
che l’iMac con display retina sia dedicato o adatto solo
a loro: basta poco per innamorarsi davvero di questo
schermo e tornare indietro non è facile. Il rapporto di
contrasto e la resa cromatica conquistano subito e
nonostante il vetro frontale doni un aspetto lucido allo
schermo, i riflessi sono davvero minimi anche in ambiente ben illuminato.
L’hardware è all’altezza del compito
Chiaramente la vera domanda è: ma l’hardware dell’iMac è sufficiente per muovere questa montagna di
pixel? Pur offrendo anche nella configurazione minima
un hardware decoroso, l’iMac Retina utilizza comunque

segue a pagina 23 
torna al sommario
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17 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
PC Acer ha presentato Aspire Switch 12, convertibile dotato di Windows 8.1. Lo vedremo nel 2015
Acer Switch 12: il tablet 5 in 1 è servito
Offre le quattro configurazioni tipiche di questi prodotti più la modalità desktop all-in-one
A
di Massimiliano ZOCCHI
cer ha già sperimentato diverse
soluzioni ibride tra PC e tablet,
per accontentare più clienti in un
colpo solo. Segue questa filosofia anche Aspire Switch 12 che, se per nome
è il naturale successore di Switch 10 e
11, come possibilità offre qualcosa in più
dei modelli precedenti. Infatti le tipiche
modalità di questi convertibili possono
essere riassunte in quattro posizioni:
tablet, notebook, display e inclinato
capovolto. Con la tastiera sganciabile,
ma che rimane connessa al dispositivo, Aspire Switch 12 può anche essere
utilizzato in un modo che ricorda molto
da vicino alcuni desktop all-in-one, col
PC stesso contenuto nel solo schermo,
e con i dispositivi di input liberamente
posizionabili sul piano di lavoro. Interessante la soluzione scelta per ottenere
questo risultato: la tastiera si separa
solo per la parte contenete i tasti, l’altra
metà, quella con le cerniere di snodo,
rimane attaccata al corpo principale,
funzionando poi da base d’appoggio
per le diverse posizioni.
Questo fa sì che il nuovo nato di Acer
possa offrire diverse soluzioni in mobilità, sia per chi ama l’immediatezza del
tablet, sia per chi preferisce la produttività del notebook, ma all’occorrenza
trasformarsi in una comoda postazione
fissa. Dal punto di vista puramente tecnico siamo di fronte a caratteristiche di
buon livello con un display da 12,5 pollici Full HD, processore Core M e possibilità di scegliere un disco allo stato
solido da 60 o 120 GB. La RAM molto
probabilmente sarà come al solito da
4 GB. Non mancano ovviamente porte
HDMI e USB 3.0. Non ci sono dati precisi sulla batteria ma Acer dichiara fino
a 8 ore di utilizzo. Si attende il lancio
nel Nord America per l’inizio del 2015, il
prezzo non è stato ancora comunicato.
PC
Tu parli
Skype traduce
Skype Translator è finalmente
disponibile per una preview
pubblica, a cui è possibile accedere
previa registrazione nella pagina
Microsoft e qualora si disponga
di un PC o un tablet basato su
Windows 8.1. Skype Translator
offre la traduzione in tempo reale
delle conversazioni, di modo tale
che ognuno possa parlare nella
propria lingua e l’interlocutore
capire senza difficoltà. Microsoft
non è la prima ad interessarsi della
cosa ma potrebbe essere la prima
a diffonderla a livello planetario e
gratuito. Nota positiva, tra le lingue
supportate dalla preview c’è anche
l’italiano; in questo modo potremo
allenarci e parlare con qualche
amico straniero nella speranza che
le traduzioni siano corrette. Qui
un video che illustra la traduzione
dall’inglese al tedesco e viceversa.
Che si tratti di una preview è
abbastanza chiaro, ma le premesse
per un buon prodotto ci sono tutte.
Release probabile: inizio 2015.
TEST
iMac con display Retina 5K
segue Da pagina 22 

una scheda video con GPU per laptop e qualcuno potrebbe storcere il naso. Per la nostra prova abbiamo
scelto il modello base, con 8 GB di RAM e 1 TB di fusion
drive (disco ibrido hard disk e SSD). I benchmark sintetici di Geebench 3 mettono l’iMac Retina base un gradino sotto il Mac Pro entry level in modalità multi core,
ma in single core le prestazioni sono addirittura superiori. Apple ha optato come GPU per la AMD Radeon
R9 M290X con 2 GB di RAM GDDR5 che per quanto
abbiamo avuto modo di vedere durante le nostre prove, se la cava più che egregiamente nel mantenere l’interfaccia di Yosemite sempre fluida in quasi tutte le situazioni. Lo stesso vale per il processore, che è un Intel
Core i5-4690 quad core da 3,5 GHz con Turbo Boot a
3,9 GHz, che ha dimostrato di reggere bene anche con
editing video in 4K (non abbiamo testato però filmati
realizzati con apparecchiature professionali). In questo
caso comunque è sicuramente preferibile optare per il
modello con Core i7 e R9 M295X.
Durante la nostra prova abbiamo utilizzato software
come la Creative Cloud di Adobe, Aperture e Final Cut
Pro X, ottenendo sempre buone prestazioni specie a
livello di reattività della macchina, che non ha mai mostrato segni di tentennamenti o di “fatica” da troppo
carico. Pur non trattandosi in questa configurazione di
un’alternativa a 360 gradi per un computer come il Mac
Pro, quello che possiamo dire è che la scheda grafi-
torna al sommario
I benchmark sintetici di Geebench 3 mettono
l’iMac Retina base un gradino sotto il Mac Pro entry level in modalità multi core, ma in single core
le prestazioni sono addirittura superiori.
ca questa volta è all’altezza del suo compito e non si
è ripetuto quanto successo ad esempio con il primo
MacBook Pro retina da 13 pollici, dove l’hardware grafico non era abbastanza potente. Il benchmark sintetico
sulla scheda video offre un valore piuttosto alto se lo
confrontiamo con quello del Mac Pro: 91.54 fps contro
in media circa 77 fps. Ma bisogna tenere conto che il
Mac Pro è dotato di doppia scheda video che avvantaggia i software che fanno ampio uso di OpenCL.
Va detto però che questo iMac non è invece l’ideale
per il gaming. In primo luogo la maggior parte dei giochi per OS X comunque non supportano la risoluzione
nativa del display, ma anche con quei titoli con cui è
Il benchmark sintetico sulla scheda video offre un
valore piuttosto alto se lo confrontiamo con quello
del Mac Pro: 91.54 fps contro in media circa 77
fps. Ma bisogna tenere conto che il Mac Pro è
dotato di doppia scheda video che avvantaggia i
software che fanno ampio uso di OpenCL.
possibile sfruttarla (abbiamo provato con Diablo III),
l’hardware non è in grado di offrire prestazioni sufficienti a 5120x2880 pixel. Le cose migliorano naturalmente abbassando la risoluzione. Qui va detto che la
resa non è paragonabile a quello che usualmente ci
troviamo di fronte quando pilotiamo un monitor tradizionale non alla sua risoluzione nativa: se tipicamente
l’immagine si fa impastata e poco piacevole, qui impostando ad esempio una risoluzione di 2560x1440 pixel,
l’upscaling è comunque tollerabile e si può apprezzare
un buon dettaglio senza un aliasing fastidioso. Con
questa risoluzione il gioco viaggia anche con le impostazioni grafiche al massimo con un buon frame rate
e senza tentennamenti, segno comunque delle buone
prestazioni della scheda grafica AMD.
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TEST Spesso il tablet viene usato per prendere appunti, a mano ma anche con apposite penne capacitive create ad hoc
Gli appunti sul tablet senza rimpiangere la carta
Sembrerebbe scontato, ma in realtà il mondo della scrittura su tablet è contraddistinto da infinite variabili. Vediamole
di Emanuele VILLA
n giorno ci svegliamo con un proposito nobile:
sostituire definitivamente carta e penna con un
tablet e un pennino ad hoc. Ce la possiamo fare?
Tutto farebbe pensare di sì: prendi il tuo iPad, compra
una qualsiasi penna capacitiva e il gioco è fatto. In realtà
il discorso è molto più complesso di così, e da ciò all’idea
di scrivere una guida in merito il passo è stato breve: che
tipi di penne esistono? Tutti i tablet sono compatibili?
Tutte le penne sono uguali? Tutte le app ci permettono
di scrivere in libertà? Il feel è davvero quello di “carta e
penna” o viviamo rincorrendo il mondo analogico?
U
Per andare a botta sicura
ci vuole un “digitalizzatore”
Giusto a titolo d’esempio, consideriamo proprio Galaxy
Note 4: il telefono ha un digitalizzatore Wacom integrato
nel display capace di riconoscere la pressione su 2048
livelli, proponendo un tratto leggermente diverso in
ognuna di essi. Dal canto suo, Samsung offre un pennino molto leggero, con punta elastica e un tasto per
l’attivazione delle funzioni dedicate: queste si sommano
a software ad hoc realizzato per prendere appunti, disegnare e molto altro. La risoluzione incredibile del pannello (Quad HD) è poi un ulteriore punto di forza: se è vero
che l’occhio non riuscirà mai a vedere il singolo pixel
su una risoluzione del genere, più pixel si hanno più la
precisione aumenta e il tratto assomiglia a quello del
mondo analogico, della penna o della matita. Con anche
tutte le sue imperfezioni: disegnare con lo strumento
Matita sul Note 4 mostra un tratto volutamente sporco e
imperfetto, con microsbavature che sono precisamente
quelle di una matita su un foglio di carta. Inoltre, e su
questo punto torneremo in modo approfondito in seguito, i dispositivi con digitalizzatore attivo possono vantare
un eccellente sistema di palm rejection, ovvero non tengono conto dei tocchi involontari del palmo della mano
sul display. Lo schermo avverte l’arrivo del pennino da
una certa distanza e disattiva ogni altra forma di comunicazione touch che non sia il pennino stesso. Questo
l’abbiamo testato 100 volte: con un Note 4, le possibilità
di “sporcare” il foglio con la mano sono pressochè nulle
e lo stesso vale col Note 8 dello scorso anno; l’unico
modo per scrivere senza pennino è quello di usare un
dito, ma il palmo in sé non arreca alcun danno. La sensibilità alla pressione è del tutto indipendente dalla velocità del tratto e l’unico potenziale limite è la reattività del
pannello (che poi dipende dal digitalizzatore e dal processore del sistema) di fronte a tratti molto veloci, oltre a
possibili difetti del display stesso di fronte alla pressione,
come rilevato in occasione della prova di Surface Pro 3
che lasciava alcune “macchie” abbastanza visibili sia pur
temporanee. Essendo sensibile alla pressione, di solito
per scrivere è necessario premere un po’ di più rispetto
alla scrittura su dispositivi non ottimizzati, ma il risultato
è senza dubbio analogo a quello della “cara e vecchia”
penna, lag esclusa. Altro limite è il costo delle penne, ma
di solito vengono fornite in dotazione con il dispositivo.
Il 90% dei dispositivi
non è pensato per la penna
Tante persone ci hanno confessato di non voler comprare un tablet o smartphone col pennino perchè “al massimo lo aggiungo in un secondo momento”. Certo, aggiungere la funzionalità di scrittura via penna è sempre
possibile con qualsiasi dispositivo dal display capacitivo,
ma non si pensi di ottenere con una spesa minima i medesimi risultati di uno strumento ottimizzato all’origine:
mentre qui si può contare su hardware ottimizzato per
lo scopo, chi nasce per l’uso esclusivo con le dita (il 99%
dei modelli) deve sopportare un certo grado di imprecisione. La caratteristica portante di questi dispositivi è di
essere stata pensata per l’utilizzo con le dita, non con un
pennino: per questo motivo non è possibile scrivere con
una Bic su un iPhone e ci si deve affidare a penne o stilo
ad hoc, note come “capacitive” poichè compatibili con
display touch che fanno uso di questa tecnologia. Qui
a lato, la Stilo Virtuoso di Kensington, tipico esempio di
penna capacitiva con punta spessa.
I loro vantaggi sono diversi: costano pochissimo (nell’ordine anche di una manciata di euro), sono molto
leggere, non hanno bisogno di alcuna alimentazione e,
replicando di fatto la posizione del dito sul display, sono
compatibili con tutte le app. Sarebbe tutto troppo perfetto se non ci fossero anche i lati negativi, ovvero tra l’altro
l’assenza di sensibilità alla pressione e di palm rejection.
Possono sembrare piccole cose, ma in realtà sono determinanti nell’avvicinare la scrittura su tablet a quella su
carta: il fatto di non poter appoggiare il palmo della mano
è un limite non da poco, arginato da recenti funzionalità
di alcune app (ed è sempre meglio disabilitare, come nel
caso dell’iPad, la funzione di gesture multitouch), ma pur
sempre presente. Spesso e volentieri ci si trova a sporcare il figlio digitale con tocchi involontari, cancellazioni
non volute e via dicendo. Per quanto concerne il primo
punto, invece, alcune app simulano l’effetto della pressione mediante la rapidità del tratto: se il movimento è
veloce, il tratto è più fine, se si indugia, diventa più spesso. Una bella idea, non fosse che la precisione non è
paragonabile a quella dei dispositivi con digitalizzatore
e che l’assenza di pressione (o la pressione “simulata”)
rendono meno naturale e apprezzabile l’esperienza di
scrittura. Le penne capacitive, disponibili in svariati formati, dimensioni, spessore e peso, vanno quindi bene
per quello che si definisce “uso generale”, per prendere
qualche appunto o usare il tablet con la penna ma senza
particolari pretese di precisione o artistiche. In pratica,
se l’ipotesi è di scrivere a penna due volte a settimana
può andar bene, se questa diventa uno strumento quotidiano di svago o lavoro, meglio affidarsi alla soluzione
precedente o a quella Bluetooth di cui diciamo ora.
Bluetooth come “meglio dei due mondi”?
Visto che la maggior parte dei dispositivi non è dotato
di pennino e di digitalizzatore, un po’ di tempo fa si è
pensato di inventare un sistema che riuscisse a replicare
i vantaggi della penna “attiva” su tutti i dispositivi. E sono
nate le penne capacitive Bluetooth, che stanno conquistando una fetta sempre più grande di mercato a causa
della loro versatilità e qualità di scrittura.
Il principio di funzionamento è tanto semplice quanto
ingegnoso: tutte le informazioni che il display non può
avere poiché sprovvisto di sensori ad hoc, gliele fornisce la penna previo pairing Bluetooth con l’apparecchio
stesso. Questo significa che la penna, solitamente capacitiva di suo, una volta effettuato il pairing con il tablet
gli comunica in tempo reale i livelli di pressione, oltre a
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segue a pagina 25 
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TEST
Prendere appunti su un tablet
senza rimpiangere la carta
segue Da pagina 24 
poter (di concerto col software) supportare
pure tecnologie avanzate di palm rejection,
esattamente come i modelli attivi. Qui i produttori si sono sbizzarriti: ci sono modelli
con punta finissima pensati esclusivamente per prendere appunti, altri con punta
intercambiabile che diventano pennelli o
evidenziatori all’occorrenza, altri pensati
per sostituire le matite e via dicendo. In più,
le penne in questione possono supportare
anche funzionalità ulteriori, proprio come
quelle attive: la pressione di un pulsante le
può trasformare da matita a gomma, cambiare lo spessore della punta, del tipo del
pennello ecc. Sembrerebbe tutto eccezionale, ma come sempre ci sono anche delle
controindicazioni. Il costo è il primo: difficile
trovare una buona penna o stilo Bluetooth
sotto i 50 euro, impossibile arrivare a una
manciata di euro come i pennini capacitivi. Il
fatto che venga usato il Bluetooth LE significa poi due cose: che il tablet deve essere
compatibile e che la penna ha una batteria
integrata. Il primo è un problema solo se si
possiede un dispositivo di diverse generazioni fa (per
esempio, la Bamboo Stylus Fineline è compatibile solo
con iPad 3 e successivi), il secondo è un limite in ogni
caso, visto che la penna va comunque ricaricata ciclicamemente, e questo nonostante l’autonomia sia cresciuta parecchio in tutti i modelli e ormai superi le 24 ore
di utilizzo. In ogni caso, come vedremo nella prova del
modello Wacom, la penna bluetooth è una buona via di
mezzo tra i due estremi, capace di qualità di alto profilo
e con un rapporto qualità/prezzo invitante.
Esistono anche le Smart Pen
Le penne digitali sono un altro capitolo, molto affascinante ma più di nicchia. Esse coniugano il piacere della
scrittura tradizionale, su carta, con quello della digitalizzazione dei contenuti. Perchè diciamocelo, la tecnologia
fa passi da gigante ma il piacere di scrivere su carta è
ancora un’altra cosa. Un esempio di quanto stiamo dicendo è Livescribe SmartPen 3. In pratica si tratta di
scrivere su quello che apparentemente è un normalissimo taccuino di carta ma che in realtà nasconde dei
minuscoli puntini che rivelano al sensore presente nella
penna la posizione precisa del tratto. Tutto ciò che viene
scritto è in inviato (sempre via Bluetooth o cavo) al tablet,
digitalizzandolo. Ed è anche possibile, premendo appositi segni presenti sul foglio, registrare appunti vocali che
verranno associati al testo che si sta scrivendo. Una volta
digitalizzato il tutto, si apre il mondo dell’interattività: un
giorno e un’ora scritti a mano possono diventare immediatamente un appuntamento di calendario, un appunto
vocale può corredare una note e via dicendo.
Usiamo un po’
Wacom Bamboo Stylus Fineline
Quanto sopra dà un’idea (pur sommaria) del mercato
di penne e pennini per prendere appunti. Ora andiamo
sul pratico per introdurre il secondo “blocco” di questo
articolo, ovvero quello del software e delle app. Per fare
ciò, abbiamo usato una stilo che, pur essendo molto
versatile, è stata pensata appositamente per scrivere,
prendere appunti e scarabocchiare, non tanto quindi
per dare sfogo alle proprie inclinazioni artistiche (che
saranno oggetto di un ulteriore articolo dedicato agli
aspiranti pittori). Stiamo parlando di Wacom Bamboo
Stylus Fineline, che al prezzo di listino di 59,90 euro
offre una penna compatibile con dispositivi Apple iPad
Mini (e successivi) e iPad 3 (e successivi), con punta sottile da 1,9 mm e peso complessivo di 23 grammi.
Non è un peso piuma ma questo è tutt’altro che un difetto: una penna robusta semplifica la scrittura e rende
più sicuro il tratto. Ha un pulsante centrale utile per il
pairing con la sua app e per funzionalità extra, offre sensibilità alla pressione e supporta il palm rejection per
rendere tutto
più realistico possibile. La batteria non è removibile ma
si carica tramite un classico micro USB per poi durare
più di 24 ore di utilizzo.
La penna è dedicata al solo mondo Apple: per la prova
abbiamo usato un iPad Mini Retina, preventivamente
dotato dell’app Bamboo Paper che è (ovviamente) ottimizzata per l’utilizzo con il dispositivo in prova. Come
anticipato, l’ergonomia è ottima: la penna non è così
piccola e leggera come, per esempio, le S Pen Samsung, ma offre una sensazione di robustezza notevole,
che ci conseguenza rende sicuro e preciso il tratto.
Una volta installata l’app, è necessario effettuare il
pairing, per il quale esiste un’apposita procedura molto semplice già prevista all’interno dell’app: da notare
che Bamboo Stylus FIneline si comporta a tutti gli effetti
come una penna capacitiva e quindi funziona con tutte
le app, ma se ci si trova in Bamboo Paper o in un’altra
applicazione ottimizzata (ce ne sono 4 o 5, tutte segnalate nel sito Wacom), l’uso via Bluetooth è pressoché
indispensabile. Cioè, si può scrivere anche senza, ma
se anche la precisione del tratto resta discreta, non
c’è palm rejection e, soprattutto, non c’è sensibilità alla
pressione e il tratto è sempre uguale.
Durante la routine di prova ci è capitato alcune volte
di non connettere la penna per errore (d’altronde l’unico modo per scoprirlo è un simbolino acceso/spento
nell’app), ma ce ne siamo accorti molto rapidamente.
Non tanto per la pressione, ma perché il tratto compariva leggermente spostato rispetto alla punta della biro e
l’assenza di palm rejection ci ha portato a “sporcare” più
e più volte la pagina inavvertitamente e a dover intervenire con la gomma. L’uso col Bluetooth è decisamente
più appagante e ci sentiamo di consigliarlo, pur richiedendo ancora qualche perfezionamento per raggiungere il “feel” della carta: la sensibilità alla pressione è
notevole, forse un po’ meno marcata o reattiva rispetto
a uno strumento dedicato ma pur sempre appagante.
Inoltre, trattandosi di uno strumento bluetooth, non c’è
bisogno di premere per scrivere: la penna scrive anche
solo sfiorando lo schermo, senza necessità di imprimere forza. La precisione è buona, va ancora perfezionata
la reattività, che lungi da causare un problema di fronte
all’ “uso comune”, potrebbe creare qualche grattacapo
a chi scrive molto rapidamente: non solo la scrittura su
schermo compare con qualche millisecondo di ritardo
(e questo è normale anche negli strumenti dedicati),
ma se si scrive velocemente può capitare che qualche
dettaglio del proprio tratto, dei segni e delle lettere non
venga riportato su schermo. Parliamo di dettagli, ma se
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TEST
Prendere appunti su un tablet
senza rimpiangere la carta
segue Da pagina 25 
si usa alternativamente tablet e carta la differenza si
nota.
Discorso un po’ più complesso per quanto concerne
il palm rejection, che come anticipato rappresenta un
“must” per chi con il tablet vuole scrivere parecchio e
non solo saltuariamente: a patto di disabilitare le gesture multitasking, funziona bene e non ci ha creato
problemi di sorta, ma anche qui si ha l’impressione che
qualche passo avanti sia ancora possibile.
Passo avanti che ovviamente non ha nulla a che vedere con la penna ma riguarda il software: in linea di massima la mano può essere appoggiata prima di iniziare a
scrivere senza causare danni, ma nel volume di utilizzo,
è capitato più volte di ritrovare segnetti scritti col palmo
in un secondo momento o qualche momento di indecisione del tratto. Tra l’altro sarebbe comodo un indicatore di carica della penna direttamente sulla stessa: in
un’occasione il tratto è diventato instabile, discontinuo,
stracolmo di errori, per poi accorgerci leggendo le indicazioni dell’app, che si trattava semplicemente di un
problema di batteria.
Morale: a nostro avviso Bamboo Stylus Fineline rappresenta un modo eccellente per entrare nel mondo
della scrittura a mano (per il disegno ci sono strumenti
dedicati, con la Intuous del medesimo produttore) avvalendosi di una tecnologia (bluetooth) che avvicina
molto i tablet “normali” a quelli dedicati. È ergonomica,
pesata, ci si abitua abbastanza in fretta e si ottiene soddisfazione, ma è anche giusto segnalare a chi proviene
da decenni di scrittura su carta che - ancora - la sensazione non è la stessa. C’è una lag minima avvertibile
rispetto alla carta, qualche tratto non viene riportato,
la precisione è inferiore e il palm rejection, pur funzionante, a volte non impedisce di sporcare il foglio. Tutte
considerazioni che non rivolgiamo a Bamboo Stylus
Fineline ma alla scrittura via pennino bluetooth in generale: ancora qualche perfezionamento e butteremo
via il taccuino di carta (comportamento “eco” apprezzabile di per sé), ma ad oggi questo ha ancora il suo
bel motivo di essere.
L’app Bamboo Paper in sè è ben realizzata, per quanto avremmo preferito poter godere di tutti i pacchetti
MAGAZINE
extra compresi nel prezzo, cosa che invece non c’è
(acquistando però Intuous Creative Stylus ci sono
pacchetti addizionali extra). Resta ovviamente un set
di funzionalità di base che coprono tutte le esigenze
primarie di chi vuole scrivere con il suo tablet: scrittura, personalizzazione dei quaderni e delle pagine, tre
penne con altrettanti tipi di tratto, esportazione delle
pagine, condivisione e inserimento di elementi grafici,
nella fattispecie le foto.
Le “top app”: i magnifici quattro
App per prendere appunti ce ne sono infinite (basti
pensare al notissimo Evernote o Microsoft OneNote),
anche se occupandoci solo di quelle abilitate alla scrittura con pennino si restringe un po’ il campo. Ricordiamo inoltre che il tema di questo articolo è prendere
appunti col tablet, non trasformarlo in uno strumento di
pittura; questo lo faremo in un secondo momento, parlando di strumenti dedicati e app ad hoc. Anche qui, il
discorso da fare prima di selezionarne una è semplice:
i pennini capacitivi funzionano con tutte le app ma hanno diversi limiti (dalla precisione del tratto all’assenza di
sensibilità alla pressione) solo parzialmente compensati dalle funzionalità del software, quelli bluetooth invece devono essere espressamente supportati dall’app
altrimenti funzionano come normalissimi pennini da
pochi euro. Ciò premesso, ecco alcuni nomi da considerare accuratamente:
Good Notes
Disponibile per: iOS
Prezzo: 5,99 euro
È uno dei nomi più apprezzati nell’ambito della scrittura a
mano libera, sia per quella in
senso stretto, sia per disegnare e dare sfogo alla propria vena artistica. Un’app sicuramente curata e completa,
con l’unico limite (non da
poco) di essere disponibile
solo per iOS, quindi tipicamente per iPad. Il software
supporta la scrittura a mano via penne capacitive e anche di alcuni dispositivi smart, nella fattispecie Jot
Script/Touch e Pogo Connect. Niente Bamboo per il
momento, con tutte le limitazioni del caso. Il software
offre inoltre un sistema di palm rejection, permette di
impostare in modo semplice la posizione di scrittura e
ha tutta una serie di opzioni di stampa, esportazione,
scrittura su PDF e molto altro. I pennelli offerti sono la
penna stilografica e quella a sfera, molto naturali come
tratto e fortemente personalizzabili in termini di spessore di punta e colore, anche se il riconoscimento della
pressione necessita (ovviamente) di un pennino di
quelli supportati. Le opzioni, come anticipato, sono
moltissime: si va da quelle più tipicamente tipgrafiche
all’inserimento di elementi multimediali nelle pagine
del taccuino, come immagini, foto e PDF, i tipi di carta
sono diversi ed è anche presente una funzione di riconoscimento delle forme e del testo scritto; quest’ultima,
in particolare, funziona abbastanza bene a livello di riconoscimento, a patto che si cerchi di scrivere nel
modo migliore e in stampatello. I lavori possono essere
sincronizzati automaticamente su cloud ed è disponibi-
le anche una funzione di scrittura a mano libera su PDF
per annotazioni personalizzate.
Penultimate
Disponibile per: iOS
Prezzo: free
Il successo planetario di
Evernote, l’app che gestisce
in un unico luogo (e in modo
smart) appunti, documenti,
ritagli, note, ritagli e molto altro, ha portato la medesima
azienda a realizzare Penultimate, app disponibile solo
per iOS e pensata specificamente per chi usa un pennino per le proprie annotazioni.
Non è pensata per disegnare, visto che gli strumenti
creativi non hanno la medesima profondità e versatilità
di quelli delle app ad hoc. La sincronizzazione automatica con i proprio account Evernote è in assoluto il punto di forza del prodotto, i cui fogli scritti a mano e completati con elementi multimediali entrano così a far
parte del diario di Evernote.
Il meccanismo di funzionamento è analogo a quello
delle app di scrittura manuale: si crea un taccuino, si
inseriscono le pagine, eventualmente integrandole
con elementi multimediali e si scrive sulla pagina come
fosse carta. Come anticipato, non è uno strumento
pensato per disegnare: la penna è una sola e con 3
punte di spessore diverso, i tipi di foglio sono giusto
3 (semplice, a righe e a quadretti, ma con l’opzione di
acquistarne infiniti altri nel market) e i colori sono gli
standard, opzioni di base ma più che sufficienti per
lo scopo prefisso. L’app incorpora la “protezione da
polso” (palm rejection) ed è utilizzabile non solo con i
pennini capacitivi, ma anche con la stilo bluetooth Jot
Script Evernote, per la quale c’è un’apposita procedura
di configurazione. sando l’app per prendere appunti,
se ne apprezza soprattutto la semplicità d’uso unita
alla leggibilità del tratto, oltre alla citata sincronizzazione automatica con Evernote e alla funzionalità di
riconoscimento e ricerca del testo anche nelle pagine
scritte a mano. Come anticipato, le opzioni tipografiche
sono quelle di base e la “protezione da polso” è senza
dubbio migliorabile su pennini capacitivi standard; per
evitare tratti involontari bisogna prima iniziare a scrivere, poi appoggiare il palmo, e questo non è del tutto
naturale. Per essere un’app gratuita, la dotazione è comunque molto valida e se ne consiglia l’installazione.
Notability
Disponibile per: iOS
Prezzo: 2,69 euro
Notability è
uno degli strumenti più apprezzati dagli
utenti iOS per
prendere appunti e raccoglierli in un
unico ambiente versatile, che tra l’altro fa perno sul cloud per la sincro-

segue a pagina 27 
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17 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
MOBILE IK Multimedia annuncia iRig HD-A, versione per Android dell’interfaccia per collegare strumenti a smartphone e tablet
iRig HD e AmpliTube su Android, ma solo per Samsung
Il supporto è al momento limitato solo ad alcuni smartphone Samsung, ma almeno qualcosa si muove sul fronte Android
di Paolo CENTOFANTI
L
a vita del musicista che vuole usare
smartphone o tablet Android non è
proprio facile, vista la mancanza di
un framework audio a bassa latenza nel
sistema operativo. Le cose dovrebbero finalmente cambiare con l’arrivo di Android
5.0, ma nel frattempo Samsung ha da un
paio d’anni cercato di sopperire a questa
mancanza per i fatti propri, con delle sue
librerie dedicate denominate Samsung
Professional Audio. In concomitanza
con l’arrivo della versione 2.0 di queste
librerie, IK Multimedia ha annunciato
una nuova versione di iRig HD realizzata
appositamente per il mondo Android e
denominata iRig HD-A. Si tratta di un ac-
cessorio che si collega allo smartphone
o tablet tramite adattatore USB (incluso
nella confezione) e che permette di collegare chitarre elettriche per utilizzare
effetti software e registratori multi-traccia.
L’interfaccia integra un convertitore A/D a
24 bit e supporta frequenze di campionamento di 44.1 e 48 KHz. Visto che anche
a livello software l’offerta è ancora limitata su Android, IK lancia anche Amplitube
per Android, suite che trasforma il tablet
o lo smartphone in un vero e proprio multi-effetto per chitarra. Software e interfaccia sfruttano però appunto le librerie
proprietarie di Samsung, il che significa
che i nuovi prodotti, al momento, possono essere unicamente utilizzati su Galaxy
TEST
Prendere appunti su un tablet
senza rimpiangere la carta
segue Da pagina 26 
nizzazione automatica. Notability è molto interessante
per intraprendere e portare avanti progetti condivisi poichè non si limita a permettere la scrittura su tablet, tra
l’altro con una buona dotazione di strumenti creativi, ma
anche di usare svariati elementi multimediali (foto, disegni, anche note audio) per corredare il propri progetti.
In questo modo è possibile fare un disegno e sottoporlo
ai propri colleghi di team, ricevendo in risposta non solo
ulteriori commenti testuali (via tastiera o scrittura manuale), ma anche vocali, altre immagini, foto, documenti e
via dicendo. Trattandosi di un prodotto dedicato al mondo Apple, la sincronizzazione automatica via iCloud fa sì
che il proprio progetto sia sempre aggiornato a prescindere dal dispositivo.Per quanto concerne, infine, la condivisione dei progetti, Notability utilizza non solo iCloud
ma anche tutti i principali strumenti di cloud storage, tra
cui Google Drive e Dropbox.
Papyrus

Disponibile per: Android, Kindle, Windows Phone
Prezzo: gratis (con acquisti in app)
Nonostante la presenza
massiccia di app per prendere appunti a mano nello
store Apple, spostiamoci
un po’ di casa e vediamo
qualche proposta degli
store concorrenti. Basta
una ricerca sommaria su
Google per far saltar fuori
questo Papyrus in cima
alla lista. Sarà perchè è
torna al sommario
Note 4 e Galaxy Note Edge, con il supporto per Galaxy S5 e Galaxy Note 3 che
verrà aggiunto in un secondo tempo. In
gratuito (col solito meccanismo degli acquisti in app per
ulteriori opzioni, pennelli, tipi di carta, possibilità di esportazione pdf ecc), sarà che è molto semplice da usare e
compatibile Android, Kindle Fire e Windows Phone, ma
effettivamente si tratta di un’opzione da non scartare.
Le opzioni sono le solite, da quelle tipicamente tipografiche ai tipi di carta alla possibilità di importare elementi
multimediali per scriverci sopra a quelle di condivisione
cloud su Dropbox o Box, per i quali è necessario un abbonamento premium. Il meccanismo di funzionamento lo
stesso delle soluzioni concorrenti: si crea un notebook,
si scrive, si importano eventuali elementi multimediali da
condividere, si esporta il tutto. Nel nostro caso, usando
la Bamboo Stylus Fineline che non è pensata per dispositivi Android, abbiamo subito tutti i limiti di una penna
capacitiva normale, anche se con un LG G3 la reattività
del tratto e la precisione sono risultati notevoli.
Curiosamente, inoltre, Papyrus offre supporto non tanto alle penne Bluetooth, ma ai dispositivi Android dotati
di penne attive, fornendo così un’opzione in più rispetto a quelle (software) fornite dal produttore del tablet.
In pratica, se avete un Galaxy Note 4 o Note 10 affini,
potete usare Papyrus come alternativa al software Samsung mantenendone le funzionalità esclusive. E questo
è molto interessante. Tutte le opzioni premium, inoltre,
hanno prevista l’opzione di prova, per valutare la qualità
del software prima dell’acquisto: in particolare, stiamo
parlando dell’importazione PDF, di tool avanzati e dei
servizi cloud.
L’attacco alla carta è iniziato
L’obiettivo di questo articolo non è fornire un quadro
esaustivo di soluzioni hardware e software dedicate alla
scrittura a mano libera (ci vorrebbe un’enciclopedia), ma
di fare il punto su una tematica a nostro avviso interessante. Inizialmente avremmo voluto occuparci anche di
considerazioni di natura artistica, ma dovendo estendere il discorso a strumenti dedicati, penne ad hoc, e
ogni caso, qualcosa finalmente comincia
a muoversi anche sul versante Android,
ed è già un risultato.
infinite app creative, abbiamo pensato di dedicare agli
artisti un articolo a parte, magari coinvolgendone qualcuno per avere giudizi e impressioni. Il concetto che
vogliamo suggerire come conclusione è che, nel settore
delle “handwritten notes”, il processo di avvicinamento
alla bellezza del metodo tradizionale è a buon punto. Ma
non è ancora arrivato a destinazione.
Si parte da una penna capacitiva da pochi euro e un’app
gratuita, accoppiata che va benissimo per prendere 2
appunti alla settimana, fino a soluzioni con digitalizzatore dedicato che rappresentano - ad oggi - in assoluto
la scelta migliore in termini di fedeltà di scrittura, palm
rejection, sensibilità alla pressione e opzioni creative,
con una distanza rispetto all’esperienza su carta davvero millimetrica. I due limiti invalicabili, ovvero la leggera
latenza e la precisione del tratto, magari non arriveranno
mai a eguagliare al 100% la scrittura su carta, ma con un
minimo di pratica ci si va vicino. Le soluzioni Bluetooth,
delle quali abbiamo provato Bamboo Fineline, ma ce ne
sono molte altre, tra cui l’Adonis Jot che sta riscuotendo
successo, sono una buona via di mezzo tra le due e permettono di dare funzionalità extra a tablet non ottimizzati, raggiungendo un risultato simile (ma di sicuro non
identico) alle soluzioni con digitalizzatore.
L’esperienza su carta resta al momento imbattuta: le
persone che scrivono molto durante il giorno e a cui abbiamo fatto provare la scrittura su iPad hanno sempre
confermato che “non è la stesa cosa”, e questo un po’
per abitudine, un po’ perchè la precisione non è (e non
può essere) la stessa. Tutti riconoscono perfettamente
la propria calligrafia, ma i più precisi ci dicono che qualche dettaglio va perso nella scrittura su tablet, che tende
a compensare qualche rapido cambio di direzione del
tratto rendendo il risultato più “morbido” che nel reale.
Siamo vicini ma possiamo ancora migliorare: nel frattempo, le soluzioni disponibili rappresentano un’alternativa
più che valida, “eco” ed economica alla tradizionale accoppiata di carta e penna. Provare per credere.
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17 NOVEMBRE 2014
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TEST iPad giunge alla sesta versione con l’iPad Air 2, un prodotto che ormai ha raggiunto la maturità. Lo abbiamo provato
Più leggero e più potente: in prova iPad Air 2
iPad Air 2 ha la potenza di un PC racchiusa in un dispositivo semplice per chiunque e nel formato di un piccolo quaderno
di Paolo CENTOFANTI
uando Steve Jobs presentò l’iPad, non fu subito
capito appieno. Tutti sapevano che Apple stava
lavorando su un tablet basato su iOS e le aspettative, come spesso capita al lancio di un nuovo prodotto Apple, erano altissime, ma quando finalmente l’iPad
fu svelato in molti si limitarono a fare spallucce con un
“è solo un iPod Touch gigante” o “a cosa mai servirà”.
Meno di cinque anni dopo, il mercato è invaso da tablet
di ogni ordine e grado, tutti ispirati a quel primo “grosso”
iPod, e il mercato dei PC tradizionali è in caduta libera.
Per certi versi le reazioni dopo la presentazione dell’iPad
Air 2 sono state simili: è “solo” un nuovo iPad più sottile. Nelle varie iterazioni che si sono susseguite, Apple
ha lavorato migliorando diversi aspetti del suo tablet:
il display, le fotocamere, il processore e, solo a partire
dallo scorso anno, il design, con l’introduzione dell’iPad
Air. Ma ora, con l’iPad Air 2, tutti questi miglioramenti
- insieme a un’ulteriore limatura di qualche spigolo -,
confluiscono in un prodotto che è finalmente quello che
l’iPad aspirava ad essere fin dall’inizio: la potenza di un
PC racchiusa in un dispositivo adatto a chiunque per
semplicità di utilizzo e nel formato di un piccolo quaderno. Per chi segue la tecnologia giorno per giorno l’evoluzione è stata quasi impercettibile, ma dal primo iPad
all’iPad Air 2 il salto è enorme e l’ultimo tablet di Apple è
un importante punto di arrivo. Scopriamolo
Q
Sempre più sottile e leggero, senza una
minima rinuncia sul fronte della qualità
Con l’iPad Air, lo scorso anno Apple ha rivisto in senso forte il design dell’iPad originale tagliando in modo
significativo la dimensione della cornice, riducendo lo
spessore ad appena 7,5 mm e il peso a 478 grammi.
Quest’anno Apple è riuscita a ridurre lo spessore ulteriormente, portando l’iPad ad appena 6,1 mm, più sottile
persino dell’iPhone 6.

La differenza di spessore, cornice dello schermo e
peso tra l’iPad Air 2 e l’iPad 4 è davvero significativa,
ma anche la differenza rispetto all’iPad Air alla fine
si sente.
torna al sommario
video
lab
499,00 €
Apple iPad Air 2
HARDWARE ECCELLENTE, IN ATTESA DI UN’EVOLUZIONE DI IOS PER IPAD
Ce ne avessero fatto vedere uno uguale 5 anni fa, avremmo gridato al miracolo e questo nuovo modello di iPad è sicuramente un punto di
arrivo per la categoria: bisogna toccarlo con mano per rendersi conto di quanta potenza abbiamo a disposizione in un dispositivo così sottile,
leggero, ben costruito e con display da quasi 10 poillici. Il salto di prestazioni è ben percepibile anche rispetto al modello dello scorso anno e il
display è stato ulteriormente migliorato. L’unico appunto che possiamo muovere non è tanto all’hardware che, fotocamera a parte, è davvero
impressionante, ma al software: iOS come piattaforma ha subito una grossa evoluzione sull’iPhone, ma lo stesso non si può dire sul versante
iPad, dove l’esperienza di utilizzo è rimasta grosso modo identica a quella del primo modello presentato da Steve Jobs a inizio 2010, e non
ci sono molte novità indirizzate specificatamente al formato tablet. Certo l’iPad può contare ancora su un’ecosistema di applicazioni di gran
lunga superiore a quello di Android, soprattutto per quanto riguarda la produttività e i software creativi (ricordiamo che chi acquista un iPad
trova incluso nel prezzo Pages, Numbers, Keynote, iMovie e GarageBand), ma abbiamo l’impressione che Apple, per quanto riguarda iOS per
iPad, si sia un po’ seduta sugli allori. Detto questo, è davvero il miglior iPad di sempre.
8.8
Qualità
9
Longevità
9
Sottile, leggero e con materiali di qualità
COSA
CI PIACE L’A8X mette tanta potenza a disposizione
Display migliorato sotto tanti aspetti
Design
10
Semplicità
8
D-Factor
9
Prezzo
8
Fotocamera con ampi margini di miglioramento
COSA
NON CI PIACE Alcune funzioni di iOS 8 (“Salute” ad esempio)
sono rimaste solo su iPhone
Il record o meno di spessore è comunque meno importante di quella che è l’effettiva sensazione di leggerezza del nuovo iPad che, va bene, sarà anche più
pesante di un normale quaderno, ma non più di alcune
riviste: 437 grammi per la versione WiFi e 444 grammi
per quella LTE.
Ma i numeri, fidatevi, non dicono fino in fondo quanto
sembra leggero ora l’iPad quando lo si prende in mano.
Anche perché Apple non ha arretrato di un millimetro
- perdonateci il gioco di parole - per quanto riguarda la
costruzione, che rimane di altissimo livello per qualità
della lavorazione e scelta dei materiali. Esteticamente,
a parte la riduzione di spessore, non ci sono stati grossi
stravolgimenti. Sono stati leggermente rivisti i tasti del
volume, simili a quelli dell’iPhone 6, mentre il selettore di blocco rotazione schermo, secondo la filosofia di
Johnny Ive per cui meno c’è meglio è, è andato definitivamente in pensione.
Naturalmente c’è poi la novità del TouchID che a partire da questo modello fa il suo arrivo anche su iPad.
video
lab
iPad Air 2
In prova il nuovo iPad Air 2 di Apple
Il funzionamento è analogo a quello dell’iPhone 5S e
iPhone 6, con la differenza che su iPad Air 2 pur essendoci in realtà anche un chip NFC all’interno, al momento
Apple ha deciso di non abilitarlo per la funzione Apple
Pay nei negozi fisici. Negli Stati Uniti, unico Paese dove
segue a pagina 30 
n.100 / 14
17 NOVEMBRE 2014
TEST
Apple iPad Air 2
segue Da pagina 29 
al momento Apple Pay è attivo, è comunque possibile
utilizzare Touch ID per i pagamenti online.
Non cambia il formato
ma il display è sempre più bello
Considerando che la qualità della costruzione è rimasta
intatta e che all’interno troviamo un processore ancora
più potente, dove è andata a tagliare Apple quel millimetro e mezzo di spessore? La risposta è nel nuovo retina display dell’iPad Air 2. Anche se formato di schermo
e risoluzione rimangono infatti invariati, rispettivamente
9,7 pollici di diagonale e 2048x1536 pixel, il display è
tutto nuovo ed è stato realizzato con un processo che
fonde vetro frontale, sensore multi-touch e pannello
LCD in un unico sottile componente.
Questa soluzione elimina gli strati intermedi tra i vari
elementi, riducendo riflessioni interne a beneficio di
resa cromatica e contrasto percepiti. Apple ha anche
realizzato un nuovo strato anti riflesso che, così dice,
dovrebbe garantire una riduzione del 56% dei riflessi
rispetto all’iPad dello scorso anno.
I display degli ultimi tablet top di gamma sono tutti eccellenti e a ogni nuova iterazione ci chiede se sia possibile fare di meglio. Di certo non possiamo parlare per
l’iPad Air 2 di un salto epocale rispetto al modello dello
scorso anno, ma sicuramente il display è effettivamente
migliore sotto alcuni punti di vista. L’eliminazione della
stratificazione del display rende le immagini ancora più
“a pelo di schermo”, una caratteristica che dà sempre
MAGAZINE
più la sensazione di toccare direttamente i contenuti
visualizzati. Le icone di iOS 8, complice l’effetto parallasse dello sfondo, sembrano quasi davvero galleggiare
sullo schermo e le pagine web del browser o le fotografie sembrano venire sfiorate dai nostri polpastrelli.
Il rapporto di contrasto appare migliorato e il nuovo
rivestimento antiriflesso riesce effettivamente a ridurre in qualche modo l’effetto specchio anche se siamo
ancora lontani dall’ottimale, specie per quanto riguarda
l’utilizzo all’aria aperta: lo schermo è sicuramente più intellegibile, anche con luci dirette, ma i riflessi continuano ad esserci. Specie in interni con le luci dirette delle
lampade, a seconda dell’angolo di incidenza, si nota la
differenza dello schermo rispetto ai modelli precedenti,
con una sorta di “effetto polarizzato” ad alti angoli di visione: confrontando lo schermo con un iPad di generazione precedente, è evidente come quello dell’iPad Air
2 appaia più scuro a display spento o visualizzando una
schermata nera. C’è poco da aggiungere d’altro sullo
schermo. Era ottimo quello dell’iPad Air e questo è stato
ulteriormente migliorato.
Con processore a 3 core e 2 GB di RAM
le prestazioni fanno un balzo in avanti

Il processore, come ormai da tradizione, è una versione
potenziata dell’ultimo SoC per iPhone, in questo caso
dell’A8 dell’iPhone 6, l’A8X. Questa volta però i cambiamenti non riguardano come in passato solo la GPU. La
novità più importante è che il nuovo SoC Apple, per la
prima volta, integra infatti una CPU a tre core e ciascuno
di questi ha un clock leggermente superiore a quello
dell’A8 standard, 1,51 GHz contro gli 1,39 GHz visti sull’iPhone 6. Ciò porta a un incremento nella potenza di
calcolo di non poco conto, circa il 40% in più rispetto
all’iPad Air dello scorso anno, non solo secondo quanto
dice Apple, ma anche stando i benchmark da noi effettuati. L’A8X, come l’A8, è realizzato con processo a
20 nm (in sostanza più
piccolo rispetto alla generazione precedente,
ma anche più denso di
componenti, 3 miliardi di
transistor), ed è basato
naturalmente su architettura a 64 bit. A concorrere all’aumento di
prestazioni c’è anche il
La scheda logica dell’iPad Air 2 fotografata da iFixit nel loro usuale smontaggio
passaggio da 1 a 2 GB di
dettagliato. È il primo processore a tre core di Apple e integra 2 GB di RAM.
RAM, che dovrebbe dare
molto più agio all’esecuzione di app in background, migliorare la
velocità di caricamento e
naturalmente permettere
agli sviluppatori di realizzare software per tablet
sempre più complessi.
I risultati di GeekBench
3 parlano da soli: l’iPad
Air 2 è di gran lunga il
dispositivo iOS più potente di sempre, con un
sensibile miglioramento
anche rispetto agli ultimi
iPhone con processore
torna al sommario
Il display offre una buona copertura dello spazio
sRGB ma con la tendenza a sovrasaturare i primari
del rosso e del blu con un deltaE prossimo a 5.
Il bilanciamento del bianco tarato sui 7300°K è
molto preciso. Elevata la luminosità, 420 cd/mq.
A8 appena presentati. Lo score sul test multi-core è superiore di quasi il 29% a quello del più potente tablet
Android al momento sul mercato, l’NVIDIA Shield con
SoC Tegra K1.
Al di là dei test sintetici, il miglior banco di prova dell’iPad è naturalmente nell’utilizzo di app, il più intensive
possibili. Un test significativo è quello del browser Safari. Su iPad Air 2 possiamo aprire contemporaneamente
un gran numero di tab senza incorrere in alcun tipo di
rallentamento. Fino a 8 o 9 tab (a seconda delle pagine aperte), le pagine non vengono nemmeno ricaricate
passando da una all’altra, segno che il GB in più di memoria la differenza la fa in questo caso. Come raffronto
basti sapere che con l’iPhone 6 Plus il numero di schede che non necessitano di essere ricaricate scende a 2
o 3 a seconda della pesantezza dei siti aperti. Con più
di 12 tab aperte le pagine vengono ricaricate più spesso
passando da una all’altra, ma Safari non sembra dare
segni di cedimento e rimane stabile e scattante.
Esattamente come durante la presentazione abbiamo
poi messo alla prova il nuovo iPad con l’app Pixelmator,
software di ritocco grafico tra l’altro molto più simile alla
versione desktop di quanto ci aspettassimo. Abbiamo
provato a manipolare fotografie scattate con una mir-
Le icone sul nuovo retina display sembrano quasi
galleggiare sullo schermo.
segue a pagina 31 
n.100 / 14
17 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
MOBILE SanDisk lancia iXpand Flash Drive, una chiavetta USB con conconnettore Lightning
Più memoria su iPhone e iPad con iXpand
Si collega ad un pc per caricare file, ma ha anche una porta Lightning per trasferirli su iDevice
S
di Roberto PEZZALI
anDisk lancia la chiavetta USB
per iPhone e iPad: sulla scia
delle varie chiavette compatibili
con Android (basate su USB On The
Go) arriva ora iXpand Flash Drive,
una chiavetta disponibile in tre tagli
con connettore Lightning integrato.
Dopo aver copiato i contenuti sulla
chiavetta, usando un normale PC o
Mac, si può collegare il connettore
Lightning all’iDevice per scaricare
sull’iPhone o sull’iPad i contenuti presenti. Per farlo SanDisk ha creato una
companion app, che gestisce sia la codifica / decodifica dei files sia la copia
dola come un hard disk
esterno. I prezzi vanno dai
59$ della versione da 16
GB ai 119$ della versione
con 64 GB di memoria.
dei files dalla chiavetta al dispositivo
stesso. Non è necessario comunque
copiare i file: possono essere riprodotti
direttamente dalla chiavetta utilizzan-
TEST
Apple iPad Air 2
segue Da pagina 30 
rorless da 16 Megapixel (passate all’iPad tramite handoff
da un Mac) con grande agio, applicando regolazioni ed
effetti senza neanche un tentennamento. Solo le selezioni tramite bacchetta magica - e con file così grandi
- mettono in crisi l’app, che impiega diversi secondi ad
applicare modifiche ad aree delle immagini così realizzate. Ma considerando che stiamo utilizzando un dispositivo così piccolo, mica male davvero.
Giochi che fanno uso delle nuove librerie grafiche Metal, come Asphalt 8, non deludono per impatto grafico
e velocità di caricamento. Il passaggio anche tra applicazioni pesanti (ad esempio Safari con una quindicina
di tab aperte, Pixelmator con editing a 16 Megapixel,
Garageband e Asphalt) è sempre rapido e con una “ri-
presa” rapida delle app in background. In questo caso
abbiamo assistito a un leggero drop iniziale nel frame
rate di Asphalt, ma nulla di preoccupante. Viceversa
passando in multitasking da una partita di Asphalt in
corso alla navigazione via Safari, la risposta del browser è istantanea e non appena viene aperta l’app possiamo già scorrere la pagina. In definitiva il nuovo iPad
ci è parso davvero prestante a livello hardware. Forse
da Asphalt ci aspettavamo qualcosa di più a livello di
frame rate, ma gli sviluppatori apparentemente hanno
preferito spingere l’acceleratore sugli effetti grafici piuttosto che sulla fluidità, ma stiamo comunque parlando
di una resa impensabile solo un paio di anni fa su un
dispositivo mobile con questa risoluzione di schermo.
Infine, tramite il lettore multimediale Infuse 3, abbiamo
provato a riprodurre oltre a filmati in alta definizione
anche in 4K, scoprendo con sorpresa che l’iPad è in
grado di riprodurli. Per lo più la riproduzione è fluida
e solo con file con estensione MOV abbiamo notato
qualche salto di frame qua e là. La maggiore potenza del processore non sembra aver avuto un grosso
impatto sull’autonomia, che essenzialmente rimane invariata rispetto all’iPad Air: d’altra parte il nuovo tablet
è più sottile e non c’è stato spazio per una batteria più
capiente.
La fotocamera non è ancora paragonabile
a quella dell’iPhone

Aprire tante tab di Safari contemporaneamente
con 2 GB di RAM è tutta un’altra esperienza.
torna al sommario
Apple ha migliorato anche la fotocamera dell’iPad con
la nuova iSight camera con sensore da 8 megapixel capace di riprendere video 1080p e scattare a raffica fino
a 10 scatti al secondo. A livello di funzionalità la fotocamera eredita molte funzionalità di quella per iPhone,
come il riconoscimento dei volti, la modalità panorama,
la ripresa video al rallentatore a 120 fps (ma con risoluzione ridotta a 720p) e la funzione time lapse.
Ma nonostante il nuovo sensore, stiamo comunque
parlando di una fotocamera molto meno sofisticata di
quella degli iPhone e la maggiore risoluzione rispetto al
Galaxy Note
Edge arriva
anche in Italia
Il Galaxy Note Edge di Samsung alla
fine verrà distribuito anche fuori
dalla Corea del Sud e in particolare
dovrebbe arrivare anche in Italia. Lo
riporta SamMobile che ha pubblicato
la lista completa dei paesi in cui il
particolare phablet verrà lanciato
in Europa. Il Galaxy Note Edge
debutterà di sicuro in Danimarca, il
12 dicembre, e a seguire in Austria,
Francia, Germania, Gran Bretagna,
Italia, Lussemburgo, Polonia, Portogallo Spagna e Svizzera. SamMobile
ha anche un’indicazione sul prezzo :
tra gli 850 e i 900 euro. Aspettiamo
ora l’annuncio ufficiale da parte di
Samsung.
Con l’iPad Air 2 è possibile manipolare agevolmente le immagini da 16 Megapixel di una
fotocamera. Solo gestendo selezioni molto
complesse all’interno della fotografia (ad esempio
con la bacchetta magica), abbiamo riscontrato dei
significativi rallentamenti.
modello dello scorso non deve ingannare. Anche la fotocamera frontale, che Apple chiama FaceTime Camera, pur essendo capace di riprendere video in 720p e
ora dotata di obiettivo con apertura di F2,2, rimane pur
sempre basata su un sensore di soli 1,2 Megapixel.
Per quanto riguarda le prestazioni, le fotografie effettuate con l’iPad Air 2 offrono un discreto livello di dettaglio
e in generale una buona resa cromatica, ma gli scatti
sono anche molto più rumorosi rispetto a quelli effettuati con un iPhone e la qualità delle immagini scende velocemente appena cala la luce a disposizione per la nostra fotografia. In sostanza la fotocamera è sicuramente
stata migliorata, è più completa in termini di funzionalità
a disposizione, ma non può ancora veramente sostituire
quella dello smartphone.
n.100 / 14
17 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
TEST Abbiamo provato lo smartphone Alpha di Samsung, elegante, robusto ed equilibrato; piccolo neo la durata della batteria
Galaxy Alpha, perché Samsung un po’ lo snobba?
Presentato in sordina e con un prezzo di listino “importante”: Galaxy Alpha è uno degli smartphone Samsung più riusciti
di Roberto PEZZALI
hi passa il giorno a leggere notizie sui siti come
DDay.it sicuramente conosce il Galaxy Alpha,
ma tutti gli altri? Il piccolo Alpha, presentato in
agosto e mostrato da Samsung all’IFA di Berlino è arrivato quasi in silenzio nei listini degli operatori italiani
e Samsung ha fatto davvero poco per pubblicizzarlo,
preferendo dare spazio al Note 4. Sarà per il prezzo
un po’ elevato se confrontato con quello che offre o
sarà per evitare di “disturbare” il Note 4 che non può
permettersi un flop, in realtà non c’è un vero motivo
per non parlare di Galaxy Alpha. Anche perché, con
Apple che ha dismesso la fascia dei piccoli schermi, il
Galaxy Alpha è un gioiellino ben costruito e più compatto dell’iPhone 6, nonostante uno schermo AMOLED più grande. Lo abbiamo provato.
C
Il Galaxy più bello della famiglia
Tra i Samsung Galaxy che abbiamo avuto il piacere di
provare negli ultimi anni, il Galaxy Alpha è sicuramente
uno dei migliori. Non è solo una questione di materiali: le dimensioni ridotte hanno permesso di realizzare uno smartphone che pare decisamente solido e
robusto. Anche la cover posteriore, classica plastica
serigrafata “made by Samsung” offre una sensazione
al tocco migliore di quanto siamo stati abituati in questi
ultimi anni. È innegabile che il design dell’Alpha trae
ispirazione da altri smartphone: il bordino in alluminio
tagliato a 45° e lucidato ricorda molto la passata generazione di iPhone, mentre il profilo assomiglia un po’
a uno degli ultimi smartphone Huawei. Il complesso
comunque, per quanto non sia del tutto inedito, è davvero piacevole. Samsung non rinuncia ad alcuni tratti
distintivi: il tasto home è fisico, integra il riconoscimento per l’impronta digitale, la fotocamera posteriore
sporge leggermente e sono stati nascosti, a ridosso
video
GRAN PICCOLO TELEFONO, MA L’AUTONOMIA...
Galaxy Alpha è forse uno dei migliori smartphone mai fatti da Samsung e si fatica a capire perché non sia spinto al pari di altri prodotti del
marchio Samsung. Non è uno smartphone per “tecno-maniaci”: la batteria con autonomia standard, lo schermo HD, l’assenza di espansione
SD sono difetti per chi sbava da sempre dietro all’ultimo top di gamma, ma per l’utente che cerca solo un buon smartphone sono cose del
tutto trascurabili. E questo Galaxy Alpha è un prodotto giusto, bilanciato, equilibrato e costruito anche con materiali di qualità. Ha i suoi piccoli
difetti, perché nulla è perfetto, ma sono tutti aspetti che il 90% delle persone ignora totalmente o comunque ci passa sopra, perché non
ritiene fondamentali. Anche i tentennamenti software sono legati al tipo di utilizzo: un power user sarà portato a richiedere di più dal proprio
smartphone e potrebbe incappare proprio in fastidiosi micro rallentamenti, sia nel browser che nell’interfaccia. Non subito ovviamente, ma
dopo un po’ di tempo. Acquisto consigliato? Chi lo compra prende un buon prodotto, ma chi vuole uno smartphone piccolo e completo dovrebbe prima di tutto guardare in casa Sony: l’Xperia Z3 Compact è davvero un gioiello e costa anche meno del Galaxy Alpha. È un Sony e non è un
Samsung (e questo per chi tiene all’apparenza è importante), ma per fotocamera e autonomia il Sony è decisamente su un altro livello, così
come per la scocca che ricordiamo essere waterproof.
7.5
Qualità
8
Longevità
8
Design e costruzione
COSA CI PIACE Schermo eccezionale
32 GB di memoria integrati
Design
8
Schermo OLED ma si rinuncia al Full HD
Meglio la qualità dell’AMOLED o la risoluzione elevata? Samsung sceglie la prima, equipaggiando Galaxy

Semplicità
7
D-Factor
8
Prezzo
6
Prezzo elevato
COSA NON CI PIACE Autonomia limitata
TouchWiz alla lunga causa piccoli rallentamenti
del modulo camera, i sensori biometrici già usati sul
Galaxy S5. Per rendere più chiaro dove si posiziona
l’Alpha nella gamma Samsung si può inserire al vertice basso del triangolo che compone con Galaxy S5 e
Galaxy Note 4: dall’S5 ruba alcuni elementi, dal Note
4 prende soprattutto il design ma per il resto ci mette
molto del suo, incluso il processore Exynos al debutto
su uno smartphone di fascia alta in Europa. Una cosa
è chiara: il Galaxy Alpha non è lo smartphone fatto per
chi spulcia voce per voce della scheda tecnica illuminandosi davanti al GB di RAM in più e ai megapixel
della fotocamera; a fronte di un prezzo importante,
599 euro, Alpha non ha tutto quel boost tecnologico
degli altri due top di gamma Samsung. Dal display
HD alla fotocamera da 12 Megapixel questo nuovo
smartphone perde senza dubbio nel confronto con il
Galaxy S5, ma è bene iniziare a mettere l’hardware in
secondo piano e pensare di più all’esperienza d’uso.
torna al sommario
b
a
599,00l€
Samsung Galaxy Alpha
Alpha con uno schermo AMOLED HD da 4.7”: siamo
di fronte a uno schermo simile a quello utilizzato sul
vecchio Galaxy S3 per risoluzione e diagonale, ma
le similitudini si fermano qui. Grazie all’adozione della tecnologia InCell lo schermo integra il touch e ha
bordi decisamente sottili, caratteristica questa che
permette di raggiungere dimensioni compatte nonostante la diagonale ampia. Il Galaxy Alpha, per intenderci, è leggermente più piccolo dell’iPhone 6 che
ha uno schermo di pari dimensioni. La qualità dello
schermo Samsung non si discute: dall’eccezionale
angolo di visione all’elevato contrasto passando per
l’ottima resa cromatica, il display di Galaxy Alpha
non ha nulla da invidiare agli ultimi display di casa
Samsung, seppure più risoluti. Serviva il Full HD? A
nostro avviso no, 720p sono più che sufficienti a fornire un’immagine compatta a una distanza di visione
standard, e il Full HD avrebbe solo contribuito a diminuire la durata di una batteria già non eccezionale
di suo (ma che si fa la giornata).
segue a pagina 33 
n.100 / 14
17 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
TEST
Samsung Galaxy Alpha
segue Da pagina 32 
Batteria al limite, attenzione
a spremerlo troppo
Galaxy Alpha non è una sfida facile per Samsung:
le dimensioni impongono, infatti, il costruttore a
usare una batteria più piccola del solito e questo
potrebbe ripercuotersi sull’autonomia complessa.
Anche se c’è chi ha fatto miracoli in questo segmento, e ci riferiamo a Sony con il suo Z3 Compact,
il Galaxy Alpha non è certo un esempio in fatto di
autonomia. Si arriva a sera, ma solo se usiamo lo
smartphone come telefono: passando tutto il tempo
su Facebook o a giocare, continuare a usare la fotocamera e tenere lo smartphone come appendice
del proprio corpo sempre in mano non aiuta di certo e dopo 6 ore la batteria ci saluta. Volendo fare un
confronto diretto con l’iPhone 6, il Galaxy Alpha ha
un’autonomia del 35% in meno, frutto della peggiore ottimizzazione di Android rispetto a iOS: se non
fosse stato usato un AMOLED HD probabilmente
l’autonomia si sarebbe ridotta ulteriormente. Il processore Exynos Octa viene preferito per la prima
volta al Qualcomm Snapdragon e abbinato a 2 GB
di RAM non sfigura rispetto ad altri smartphone Android: anche i benchmark gli danno ragione. Tutto
perfetto? No, ovviamente Galaxy Alpha ha i suoi
difetti: nel corso delle prove abbiamo rilevato una
tendenza al surriscaldamento se usiamo applicazioni che caricano molto il Soc Exynos, e sotto il
profilo hardware restano da segnalare un sensore
biometrico non sempre preciso nello sblocco del
dispositivo, l’assenza di espansione di memoria
(ma ci sono 32 GB a bordo) e uno speaker di qualità
davvero modesta. Per quanto poi il processore sia
potente,
TouchWiz di Samsung continua ad essere una shell
pesante per Android e abbastanza esosa in termini
di risorse di sistema: con lo smartphone “nuovo” tutto sembra fluido e veloce, ma dopo un po’, con tante
applicazioni installate, applicazioni in background e
servizi attivi qualche scatto o rallentamento è da tenere in conto. Anche in questo caso, come per l’autonomia, sta tutto alla “saggezza” dell’utilizzatore:
è evidente che attivare 10 servizi di messaggistica,
mo ai sensori, il Galaxy
Alpha ha la stessa dotazione dell’S5 e include il sensore di battito
cardiaco a ridosso del
flash: un bel giochetto
all’inizio, ma alla fine si
rivelerà un altro gadget
inutile come il barometro e il termometro inseriti in altri smartphone e
mai usati.
Fotocamera
bella di giorno
brutta di notte
riempire le pagine di widget e lasciare tante app
in background non è un caso standard, ma mentre
iOS è molto più efficiente nel gestire la memoria
delle singole app, Android ancora
lascia troppa libertà.
Tanti sensori
Connettività completa

Sotto il profilo dei sensori e della
connettività Galaxy Alpha è abbastanza completo: Bluetooth 4.0, il
Wi-Fi e ovviamente non mancano
LTE e NFC. Unica assenza l’uscita
video: il connettore USB 2.0 micro non è compatibile né SlimPort
né MHL, e chi vuole collegare lo
smartphone al TV deve ricorrere
alla soluzione wireless utilizzando o un TV compatibile o il mirror tramite una chiavetta come
Chromecast. Se, invece, guardia-
torna al sommario
Samsung utilizza sul Galaxy Alpha una versione
a 12 Megapixel del suo
modulo fotografico ISOCELL, lo stesso già usato su
altri smartphone. L’utilizzo di meno megapixel potrebbe anche essere un bene, in realtà crediamo
che Samsung oltre ai megapixel abbia ridotto anche la dimensione del sensore per farlo stare in un
corpo più compatto. Il risultato è una fotocamera
che come quasi tutte ormai eccelle quando si tratta
di fotografare con molta luce ma soffre abbastanza
quando di luce ne abbiamo davvero poca. Il flash
LED c’è, ma come sempre sugli smartphone il flash
fa più danni che altro soprattutto se non è una luce
controllata come punto di bianco e ben bilanciata.
Samsung, come sempre, arricchisce l’esperienza
fotografica personalizzando l’applicazione di scatto, e oltre alle modalità classiche ci sono moltissime
altre funzioni avanzate come il defocus dello sfondo. Anche in questo caso non tutto è perfetto: la
foto qui sopra, ad esempio, mette in luce la poca
naturalezza dello sfocato realizzato in post produzione, una linea di demarcazione troppo netta per
apparire reale.
Tra le funzioni avanzate della fotocamera disponibili sul Samsung Alpha c’è il
defocus dello sfondo che però mette in luce la poca naturalezza dello scatto.
n.100 / 14
17 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
TEST Per l’ammiraglia degli smartphone il produttore taiwanese sceglie un display XXL con livrea elegante e corpo sottile
Asus Zenfone 6 in prova: ok il prezzo è giusto
Processore Intel Atom e batteria da 3300 mAh per buone prestazioni e un’autonomia invidiabile. Mancano LTE e NFC
di Andrea ZUFFI
li smartphone dalle dimensioni più che generose sono sempre meno tabù e, nonostante il
termine infelice con cui vengono comunemente
identificati, i phablet sono una grande comodità per
chi ha necessità di consultare documenti, leggere e
scrivere molte email e accedere al web per ricerche
e consultazioni. A esser sacrificate sono indubbiamente la portabilità e la maneggevolezza in tutti quei
casi in cui si deve “soltanto” telefonare o scrivere un
SMS, ma questo è il prezzo da pagare per non avere
sempre al seguito un tablet o un laptop, in aggiunta
all’irrinunciabile smartphone.
A nostro avviso Asus coglie questo aspetto con lo
Zenfone in versione da 6 pollici, tenuto conto che
questa taglia potrebbe beneficiare della fase di “nobilitazione” che stanno subendo i phablet grazie alla
recente spinta data da Apple con l‘uscita di iPhone
6 Plus. Zenfone rappresenta un gamma di dispositivi dal design sobrio ed equilibrato, equipaggiati con
processore Intel e animati da una versione di Android
personalizzata dal produttore. I vari modelli si differenziano per prestazioni e caratteristiche, tra cui la
RAM, la capacità di storage interno, la risoluzione della fotocamera e soprattutto le dimensioni del display.
Si vai dai 4 pollici del piccolo di famiglia fino ai 6 del
top di gamma oggetto di questa prova, che nell’offerta di Asus prende il posto (non del tutto data l’assenza
della stilo) di Fonepad 6 (si veda la prova di dday.it a
questo link). Il processore è lo stesso e cioè un Intel
Atom Z2580 Dual-Core da 2.0 Ghz con tecnologia Intel HyperThreading che promette ottime prestazioni
a bassi consumi di energia. LA RAM installata è da
2GB e la grafica è affidata a una GPU PowerVR SGX
544MP2. Il display di Zenfone 6 è costituito da un
pannello IPS da 6 pollici con risoluzione 1280 per 720
pixel, una densità di 320 dpi e una luminosità di 400
nit in tecnologia Asus TruVivid. La resistenza a graffi e
urti vari è garantita da Gorilla Glass 3.
La memoria interna è di 16 GB, ampliabili di ulterio-
G
video
lab
ASUS ZenFone 6
299,00 €
UN BUON RAPPORTO QUALITÀ/PREZZO
Volendo trarre un bilancio dopo diversi giorni di utilizzo, si può considerare ZenFone 6 un prodotto di buona qualità e dal prezzo non eccessivo,
ad oggi pari a 299,00 euro. Il dispositivo è indicato per quella fetta di utenza che non mira ai top di gamma dei marchi più blasonati ma che
si sente a proprio agio con un prodotto esteticamente gradevole e con una versione del sistema operativo Android con personalizzazione ben
curate e funzionali. Rimane soggettiva la scelta di avere in tasca un dispositivo dal display esagerato che, senza dubbio, agevola la gestione
delle email e la navigazione web ma che non può proprio essere utilizzato come uno smartphone tradizionale, ad esempio se si ha la necessità
di scrivere un messaggino o fare una chiamata “al volo” cercando il numero in rubrica con una mano sola. Sempre rimanendo nel campo
dei phablet, probabilmente un 5,5” sarebbe una scelta un po’ più azzeccata, almeno in termini di ergonomia. Va riconosciuto come Asus
abbia lavorato al miglioramento del comparto fotografico per renderlo utilizzabile anche in condizioni di luce sfavorevole. La mancanza della
connettività LTE e del chip NFC potrebbero essere considerati una limitazione ma il rapporto qualità/prezzo porta a dover accettare qualche
compromesso. Chi già conosce Asus infine non potrà che apprezzare l’evoluzione che il produttore ha messo in atto con la gamma ZenFone.
7.9
Qualità
8
Longevità
7
Autonomia
COSA CI PIACE Estetica e spessore ridotto
Personalizzazione software
Design
8
Semplicità
9
COSA NON CI PIACE
ri 64 GB tramite slot MicroSD. La connettività è 3G
con standard HSPA+ e sono disponibili le interfacce
WLAN 802.11 b/g/n e Bluetooth 4.0. Assente la tecnologia NFC. La fotocamera principale è da 13 MP con
flash LED mentre quella frontale è da 2 MP.
Con Zenfone 6 Asus rinuncia al pennino e al conseguente inseguimento del Galaxy Note, preferendo
andare alla ricerca di un proprio spazio nel mercato
degli smartphone, strizzando l’occhio anche all’utenza aziendale con la promessa di semplificare la vita a
chi ha molte attività, contatti e appuntamenti da gestire. Da un punto di vista estetico gli smartphone di
ultima generazione non sono poi così diversi tra loro
e la differenza può essere fatta in termini di dotazione
hardware ma soprattutto sul fronte dell’usabilità e dell’esperienza utente. Vedremo nel corso della prova
se la scelta di Asus di dare un nome rassicurante ed
antistress a questo terminale sarà supportata nei fatti.
Il prezzo di listino è attualmente di 299,00 euro il che
lo colloca in una fascia di mercato intermedia in com-
D-Factor
7
Prezzo
8
Assenza di Android Kit Kat
Flash LED della fotocamera
Niente LTE
pagnia di dispositivi come il Sony Experia T2 Ultra
con display HD 6” con caratteristiche e prezzo simili
ma con in più NFC oppure il Nokia Lumia 1320 ad un
prezzo al momento un po’ inferiore e dotato di 4G.
Molte personalizzazioni Asus
e prestazioni adeguate
Dopo aver utilizzato per diversi giorni in modo continuativo questo dispositivo, la sensazione è quella di
trovarsi di fronte ad un vero smartphone targato Asus,
contrariamente a quanto avviene per esempio quando si impiega Fonepad 7, a tutti gli effetti un tablet
con funzioni telefoniche. Fino a che Asus non renderà
disponibile l’annunciato aggiornamento alla versione
4.4, sullo Zenfone 6 “gira” Android 4.3 arricchito da
una serie di personalizzazioni che costituiscono la
Zen User Interface. Al momento della prova Asus ha
annunciato ma non ancora rilasciato l’upgrade a Kit
Kat. Se è vero che l’adozione di uno stile di vita “zen”

segue a pagina 35 
torna al sommario
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TEST
Asus Zenfone 6
segue Da pagina 34 
chiama in causa doti di equilibrio interiore che poco
dipendono da strumenti materiali, è anche vero che
un insieme di applicazioni semplici, funzionali e ben
integrate nel sistema operativo permette di liberare
la mente dai compiti più noiosi per consentirle di dedicarsi ad aspetti più qualitativi. Asus ci ha provato
seriamente con questa Zen UI e in particolare con
What’s Next e Do It Later due app particolarmente apprezzabili da chi utilizza generalmente lo smartphone
in modo intensivo per gestire in mobilità il proprio
tempo e le proprie “to-do list” oppure per ricerche
web e accesi al mondo dei Social senza sentire troppo la mancanza del PC.
What’s Next in particolare si occupa di recuperare le
informazioni del calendario per ricordare all’utente,
direttamente nella schermata home, e anche in quella
di blocco, gli eventi futuri, fornendo tutti i dettagli più
importanti come ora e luogo, con tanto di condizioni
meteo.
Do It Later è invece un essenziale ma efficace gestore
di liste di attività che permette, oltre all’inserimento
manuale delle note, anche la possibilità di aggiungere ogni genere di task che potrebbe andare perso:
un articolo interessante, un post su Facebook, una
mail o un sms possono essere inviati a Do It Later
con un gesto istantaneo dal menu di ciascuna app.
Un altro componente dell’interfaccia è l’ormai collaudato ZenLink che consiste in una suite dedicata alla
connessione tra dispositivi Asus per la condivisione
di contenuti in prossimità. Si va da Share Link per
l’invio tramite Wi-fi di file e filmati anche di grandi dimensioni (Asus garantisce la compatibilità anche con
dispositivi Android di altri produttori purché abbiamo
MAGAZINE
a bordo l’app Asus ShareIT) a Party Link, utile invece
per distribuire in tempo reale ad uno o più dispositivi
presenti nelle vicinanze le foto appena scattate.
Remote Link invece permette di trasformare lo Zenfone in un dispositivo di input wireless che potrà fungere da touchpad, da puntatore per le presentazioni, da
tavoletta grafica o ancora da controller via bluetooth
per il Windows Media Player del PC.
In tema di personalizzazioni vale la pena citare le altre
soluzioni software proposte da Asus e cioè Quick Settings, il pacchetto che va a sostituire completamente
l’area delle notifiche e delle impostazioni rapide. Con
un’estetica totalmente differente rispetto alla versione Android stock, qui troviamo i link a tutto quel
occorre avere a portata di mano, cioè tutte le impostazioni su connettività, luminosità automatica, GPS e
altro; oltre ad alcuni Special Tool come Asus Quick
Note, che permette di prendere note in modo rapido
e di appuntarle sulla home screen come fossero dei
veri e propri Post-it, o come Flash Light per segnalare
la propria presenza al buio usando il flash led come
lampeggiante di emergenza. Altra utile funzione raggiungibile dal menu Quick Settings è la modalita “con
una sola mano” che permette di ridurre le dimensioni
della schermata a 4.3, 4.5 o 4.7 pollici rendendo così
raggiungibile con il solo pollice di una mano anche la
parte superiore. Interessante poi la modalità lettura
che limita l’affaticamento degli occhi e, molto utile nei
mesi invernali, la modalità Glove Touch che aumenta la sensibilità dello pannello consentendone l’uso
anche con i guanti; dopo averlo provato con guanti
di lana e guanti sintetici di medio spessore non abbiamo dubbi sulla sua efficacia, avendo inoltre verificato
che escludendo la funzione il display non rileva più il
tocco con i guanti.
Proprio il display è uno dei punti forti di questo smarphone. Oltre alle dimensioni che rendono piacevole
l’esperienza di lettura mail e documenti PDF, l’esperienza di gioco e di visione di immagini e filmati, abbiamo apprezzato la resa cromatica ovviamente in
rapporto alla fascia di prezzo. La fluidità e la risposta
al tocco permettono di operare sempre in modo naturale con la regolazione automatica della luminosità
che lavora bene e si adatta a qualunque condizione
di luce, anche all’aperto. La risoluzione di 1280 per
720 pixel è in linea con quella degli altri dispositivi di
questa categoria e la tecnologia IPS dona un ampio
angolo di visuale e scarse variazioni cromatiche spostandosi dal punto ottimale di visione.
Il decantato rivestimento anti impronte è risultato
poco efficace e quando lo schermo è spento gli aloni
e le ditate sono identiche a quelle che vedremmo su
un vetro non trattato. Il processore Intel si comporta
in modo particolarmente performante anche quando
si spreme il dispositivo.
Durante la prova abbiamo operato in multitasking
senza riuscire a mettere seriamente in ginocchio il
sistema. Anche in una delle condizioni tipiche in cui
l’utente potrebbe trovarsi e cioè con il navigatore
GPS attivo, la musica in sottofondo e la necessità di
scrivere una mail (non durante la guida naturalmente)
o fare una ricerca in internet la risposta al tocco risulterà sempre fluida e senza lag significativi.
Soltanto accanendosi nella navigazione su pagine
web particolarmente pesanti e insistendo con lo zoom
e gli scorrimenti rapidi si nota che il rendering del
browser inizia a presentare qualche difficoltà. I giochi
di ultima generazione, avidi di risorse, girano senza
problemi su Zenfone 6 restituendo una sensazione
di reattività che rende il gaming coinvolgente: titoli
come Real Racing sono giocabili senza problemi.
Anche l’audio è in linea con il precedente Asus (Fo-

I NOSTRI SCATTI DI PROVA clicca le immagini per l’ingrandimento
torna al sommario
segue a pagina 36 
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MAGAZINE
MOBILE Microsoft lancia il nuovo Lumia 535: 5” di schermo, 5 Megapixel di fotocamera frontale, sensore di ambiente integrato
Microsoft saluta Nokia: Lumia 535 è il primo della nuova era
Lumia 535 è il primo smartphone marchiato Microsoft dopo l’era Nokia. Riuscirà a vendere in Italia come il predecessore?
di Roberto PEZZALI
L
umia 535 è il primo smartphone
Microsoft Lumia: Microsoft punta
sul low cost proponendo un device
d’assalto, 110 euro più tasse per un prodotto che a dispetto del nome, Lumia
535, fa parecchi dispetti agli altri modelli
entry level appena lanciati. Il Nokia 535
infatti ha un grande schermo IPS da 5”
qHD, una fotocamera frontale da 5 Megapixel per i selfie, uno Snapdragon 200
con 1 GB di RAM e 8 GB di spazio per le
app espandibili tramite slot.
Una ottima dotazione di base per uno
smartphone che corregge tutti i difetti del precedente Lumia 530 (e anche
del 630): c’è ad esempio il sensore di
ambiente integrato, l’autofocus per la
fotocamera, il flash LED e c’è anche
bluetooth 4.0. Microsoft punta tutto sulla “experience” che Windows Phone e
Lumia possono dare grazie alla suite di
app integrate come Office, One Note,
Outlook per le email, Skype e One
Drive con 15 GB di spazio gratuito. Un
ottimo smartphone al prezzo che viene
TEST
Asus Zenfone 6
segue Da pagina 35 
nepad 6) avuto in prova nei mesi scorsi: la tecnologia
SonicMaster con una combinazione di hardware e
software proprietari garantisce un buon volume senza distorsioni. Su questo modello è inoltre presente
la la radio FM che necessita dell’inserimento delle
cuffie (in dotazione). Nulla di diverso da quanto ci si
aspettava sul funzionamento del Gps che, in linea con
altri prodotti dello stesso marchio, richiede tempi non
trascurabili per il primo fix ma che poi funziona bene,
anche se con qualche occasionale imprecisione.
Asus ha reso disponibile tra gli accessori dello Zenfone la View Flip Cover, una custodia rigida in vari
colori per la protezione del display che si installa
mediante sostituzione della scocca posteriore di plastica con una metallica che aiuta anche a rendere lo
smartphone più elegante. Quando View Flip Cover
viene chiusa si attiva lo standby e attraverso un’apertura circolare nella custodia, l’utente può vedere una
porzione del display sottostante che mostra alcune
informazioni come l’orario, le notifiche di mail e sms
ricevuti, le chiamate perse, le condizioni meteo o il
titolo della canzone eventualmente in esecuzione sul
player musicale. In caso di chiamata entrante è possibile accettare o rifiutare senza aprire la cover stessa.
Buona fotocamera
Più di un giorno di autonomia

Nella progettazione di Zenfone, Asus ha dedicato attenzione al mondo della fotografia lavorando in modo
particolare sul software, inserendo la stabilizzazione
dell’immagine e una serie di robusti algoritmi dedicati
torna al sommario
proposto (probabile 129 euro): anche se
manca l’LTE e lo schermo non ha una
risoluzione eccelsa sicuramente viene
incontro alle esigenze di chi vuole un
grande schermo e tanta velocità.
Resta da chiedersi ora se con il marchio
ad aumentare la naturalezze e la luminosità degli scatti. Possiamo affermare inoltre che l’ottima app fotocamera (già presente in altri dispositivi Asus) trova ora la
sua ragion d’essere su una combinazione di hardware, software e ottiche molto più idonei di quanto sinora
presentato al mercato dal produttore taiwanese, avvicinando questo Zenfone all’area dei camera-phone di
qualche tempo fa. Il sensore fotografico principale ha
una risoluzione massima di circa 13 Mpx, cioè 4096 x
3072 pixel in modalità 4:3. Altra novità è rappresentata dal flash LED, di cui si apprezza la presenza ma non
la piena funzionalità, data la scarsa potenza; la fotocamera secondaria è invece da 2 MP. Tra le funzioni di
maggior intereresse segnaliamo senz’altro Profondità
di Campo con la quale si possono realizzare scatti di
buona qualità grazie al software che isola il soggetto in primo piano dal resto dell’immagine che rimane fuori fuoco. Asus simula così una regolazione dei
parametri ottici solitamente appannaggio esclusivo
di veri obiettivi fotografici. Un’altra novità
introdotta da Asus è
la modalità Luce Bassa che regala foto e
video più nitidi anche
di notte. Asus dichiara l’implementazione
di avanzati algoritmi
di elaborazione dell’immagine in grado
di aumentare la sensibilità fino al 400% e
del contrasto fino al
200% rispetto ai modelli precedenti, senza un forte aumento
del rumore.
Microsoft questo 535 venderà così tanto
come i precedenti Lumia in Italia: era il
nome “Nokia” a spingere le vendite di
Windows Phone in Italia o sono gli smartphone belli, economici, colorati e completi ad attirare i clienti?
Le foto scattate durante la prova, specie quelle in condizioni di luce non ottimale, presentano netti miglioramenti rispetto al passato. Pur non trattandosi di una
rivoluzione, Zenfone 6 rende piacevole l’utilizzo delle
funzioni fotografiche e di tutte le possibilità offerte
dal ricco menu dell’app fotocamera. Qui troviamo la
modalità Rimozione Intrusi che funziona molto bene
rimuovendo in modo intelligente dallo sfondo tutti gli
oggetti in movimento per lasciare solo i soggetti in
primo piano, cioè quelli che il fotografo voleva realmente immortalare.
E ancora modo Sorriso che, in caso di foto con più
persone, combina in una sola immagine il miglior sorriso di ciascun soggetto attraverso l’acquisizione e
l’analisi di cinque diversi scatti. Come suggerito dal
nome, invece, con Animazione GIF basterà tenere
premuto il pulsante di scatto per salvare una sequenza di foto che saranno poi automaticamente trasformate in un’immagine GIF animata.
Tra le modalità di scatto citiamo poi Indietro nel tempo per la quale si rimanda alla nostra prova di Asus
memoPad 7. Completano la carrellata il modo Selfie,
Panorama, un buon set di effetti fotografici e una semplice utility per il fotoritocco.
Più scarna la sezione del menu dedicata al video (Full
HD), ove è possibile però selezionare la modalità
Rallentatore che è un time-lapse già presente su altri
dispositivi Asus e che non ha raggiunto ancora un livello di maturità tale da produrre risultati apprezzabili.
Zenfone 6 è equipaggiato con una batteria a litio da
3300 mAh. Utilizzando intensamente lo smartphone
per mail, internet, chiamate e senza rinunciare né
all’ascolto di musica né e al navigatore per un paio
d’ore al giorno, l’autonomia media si è attestata su
una giornata e mezza, senza attivare il risparmio energetico. Per le prove il device è stato lasciato acceso
anche di notte, ma senza la connettività dati.
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MAGAZINE
TEST Abbiamo messo a confronto i due diffusori portatili più esclusivi del momento, hanno lo stesso prezzo: 349 euro
B&O PlayA2 contro B&W T7: chi suona meglio?
Offrono due interpretazioni di classe ma differenti di diffusore portatile, con prestazioni decisamente sopra alla media
P
di Roberto FAGGIANO
er una curiosa coincidenza B&O e B&W hanno
presentato quasi nello stesso giorno i loro diffusori portatili con collegamento Bluetooth aptX,
entrambi con il medesimo prezzo di listino di 349 euro
ed entrambi con l’ambizione di diventare il riferimento
nella categoria. Così abbiamo pensato di metterli subito
a confronto utilizzando i primissimi esemplari giunti in
Italia, entrambi in veste definitiva e pronti al confronto.
Ecco allora uno di fronte all’altro il B&O PlayA2 e il B&W
T7, oggetti che vanno ben oltre il concetto di diffusore
per smartphone per soddisfare il pubblico più esigente. Entrambi hanno dimensioni non proprio tascabili,
ma possono comunque venire spostati facilmente in
casa o sul terrazzo e sono facili da infilare in una borsa
per un viaggio. Tutti e due sono rifiniti con molta cura,
anche se il B&O attirerà di più lo sguardo con le sue
linee e la cura estrema di ogni dettaglio, mentre il B&W
è più rigoroso e meno impegnato a cercare consenso
estetico, consapevole di rivolgersi a chi già ben conosce la storia del marchio inglese.
Quelle piccole differenze
I due diffusori sono simili anche dal punto di vista
dimensionale e tecnico ma le differenze sono soprattutto sotto la pelle. Per quanto riguarda le dimensioni il PlayA2 è leggermente più grande, con i suoi
256 x 142 x 44 mm (L x A x P) mentre il T7 scende a
210 x 114 x 54 mm (L x A x P), il peso è di 940 grammi
per il T7 e 1,1 kg per il B&O. Ma la dotazione di altoparlanti è piuttosto diversa. B&O ha scelto una strada insolita con un terzetto di altoparlanti ripetuti su entrambi
i lati, con doppio woofer passivo, doppio midrange e
doppio tweeter, in modo da diffondere più ampiamente
la musica; la potenza disponibile è di 2 x 30 watt con
amplificazione digitale in classe D.
Il B&W invece adotta un piccolo sistema stereo con
doppio mid-tweeter frontale da 5 cm e una coppia di
radiatori passivi centrali che diffondono su entrambi i
lati. Per quanto riguarda l’autonomia della batteria, il
Play A2 si spinge fino a 24 ore mentre il T7 si ferma
a 18 ore, entrambi valori superiori alla media e più che
sufficienti per un normale utilizzo.
B&O Play A2, la classe conta ancora
Anche se appartiene alla linea più accessibile Play,
video
questo diffusore ha il DNA di Bang&Olufsen ben impresso nel suo corpo. La linea è semplice ed elegante,
una struttura in alluminio rivestita in materiale plastico
e una cinghietta per il trasporto in vera pelle, il tutto
disponibile in tre versioni di colore: nero, verde e grigio. Nell’esemplare in prova l’accostamento tra rivestimento grigio e la fascia metallica color rame si abbina
perfettamente al colore naturale della pelle e aumenta
la sensazione di avere tra le mani un oggetto che vale
il suo prezzo. Una considerazione che non sempre si
poteva fare su alcuni degli ultimi nati del marchio “economico” Play del costruttore danese.
I pochi comandi sono sistemati sul lato superiore, assieme a spie led molto discrete, per i collegamenti ci si
sposta sul lato destro con un ingresso minijack, la presa USB per una ricarica di emergenza allo smartphone
e la presa per ricaricare la batteria.
Qui accanto c’è la spia che segnala la batteria scarica e
l’avvenuta ricarica; se non vi accorgete che la batteria
è esaurita il diffusore emette un segnale sonoro e si
spegne diminuendo progressivamente il volume.
B&W T7, il piccolo che si ispira ai grandi
La prima impressione fornita dal T7 è di solidità e sobrietà, un corpo robusto con una finitura gommata in
colore nero opaco che circonda tutto il diffusore. Frontalmente invece c’è la sorpresa della struttura a nido
d’ape Micro Matrix che circonda lo spazio riservato agli
altoparlanti: la struttura è aperta e quindi lascia passare
lo sguardo verso ciò che sta dietro il diffusore. Non è
lab
solo un dettaglio estetico perché serve a minimizzare
le vibrazioni inevitabilmente prodotte dagli altoparlanti.
Un quadro appagante per ricordare l’esperienza dei
progettisti Bower & Wilkins in materia di altoparlanti.
I comandi sono sul lato superiore per l’abbinamento
Bluetooth e per il volume, mentre l’accensione è laterale con una serie di piccoli led che segnalano lo stato
di carica della batteria. Sul retro troviamo l’ingresso
minijack per una qualsiasi sorgente, la presa di ricarica
della batteria e un connettore usb di servizio. Gradito
omaggio per gli acquirenti di un T7 è un abbonamento
di tre mesi alla Society of Sound della stessa B&W, un
fornito magazzino musicale di album in alta risoluzione
selezionati da Peter Gabriel.
Il momento della verità
Eccoci al punto cruciale: quale dei due diffusori suona
meglio? Prima di entrare nei dettagli va ricordato ai lettori più giovani che i due costruttori vantano entrambi
grande tradizione nel campo della diffusione sonora.
Se i diffusori B&W sono universalmente apprezzati anche ai giorni nostri, forse non tutti sanno che
Bang&Olufsen ha tracciato molte strade importanti nel
campo della riproduzione musicale, con sistemi stereo
che erano molto ambiti negli anni 70 e 80, oltre ad alcune rarità come il giradischi con braccio tangenziale
e la ricerca tecnologica sui diffusori attivi. Diciamo subito che il PlayA2 suona davvero bene e merita il denaro necessario per l’acquisto, anche se magari molti
lo compreranno solo perché è bello. L’ascolto si porta
su livelli molto alti per la categoria, sembra sempre di
ascoltare un diffusore molto più grande, con bassi quasi sorprendenti per la loro profondità abbinata a notevole controllo.
La gamma media e le voci sono sempre equilibrate
e piacevoli mentre il dettaglio sugli acuti non è molto
spinto ma riesce comunque a creare un buon effetto
tridimensionale. Insomma un ascolto molto piacevole
a cui solo qualche brano ultra compresso può far perdere gradevolezza in gamma bassa, con qualche risonanza. Il volume raggiungibile è molto elevato e può

segue a pagina 39 
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HI-FI E HOME CINEMA Disponibile il diffusore Neolith di Martin Logan, costa 80.000 dollari
Neolith, il super diffusore elettrostatico
Ha il più grande pannello elettrostatico mai utilizzato, con una superficie di 55 x 120 cm
di Roberto FAGGIANO
Amazon ha presentato Echo, uno
speaker cilindrico che si comporta
in modo simile agli assistenti vocali
di Apple e di Google. È attivabile
tramite l’hotword Alexa ed è possibile
chiedergli quello che si vuole. Grazie
alla disposizione dei sette microfoni,
Echo è in grado di sentire la voce proveniente da ogni parte della stanza e,
grazie ad un’efficiente cancellazione
del rumore, può sentire una domanda
anche mentre riproduce la musica.
Amazon Echo sarà in vendita al momento solo in America (e su invito) ad
un prezzo di 199$, solo per un tempo
limitato a 99$ per chi ha sottoscritto
un abbonamento Amazon Prime.
D
opo l’anteprima all’Hi-End 2014
di Monaco è ora disponibile per
la vendita il mastodontico diffusore Martin Logan Neolith, quello che
può vantare il più grande pannello elettrostatico mai montato su un diffusore,
con una superficie pari a 55 x 120 cm,
con una superficie più grande del 35%
rispetto ai precedenti pannelli utilizzati da Martin Logan. Per completare la
risposta in frequenza verso il basso è
stato aggiunto un subwoofer da 38 cm
in accordo reflex che diffonde verso il
retro, mentre frontalmente c’è un altro
importante altoparlante da 30 cm in
sospensione pneumatica. Con questi
accorgimenti la risposta in frequenza
scende, secondo il costruttore, fino ai
23 Hz. Inutile aggiungere che un diffusore di questo livello e dimensioni va
collocato in una stanza dedicata, mantenendo le giuste distanze dalle pareti
Amazon Echo
Un cilindro
come assistente
laterali, oltre che pilotato da elettroniche
di pari livello qualitativo. Il Neolith è stato sviluppato per restituire la musica con
il massimo realismo possibile, studiando
attentamente la curvatura del pannello
per ottenere la migliore dispersione.
Se volete ordinarne una coppia per il
vostro salotto bastano 80.000 dollari,
ma solo per la finitura base, altrimenti
il prezzo sale.
TEST
B&O PlayA2 contro B&W T7
segue Da pagina 38 
quindi riempire anche ambienti di media cubatura. Sorprendente come la riproduzione musicale non cambi
minimamente ponendo il diffusore sui due lati e perfino
in verticale, una bella comodità per un portatile. Da un
diffusore B&W ci si aspetta sempre il meglio e abbiamo
affrontato il T7 con grandi aspettative. La prima impressione non è certo deludente anche se il diffusore B&W
si è mostrato molto sensibile alla qualità della musica,
tutta colpa della grande precisione in gamma acuta,
che se da un lato esalta le migliori registrazioni, dall’altro può mettere in luce gli eccessi di compressione.
La cosa che più ci ha colpiti del T7 è l’autorevolezza in
gamma bassa, profonda e controllata come in un diffusore di ben altre dimensioni. Si può alzare molto il
volume senza perdere lucidità e controllo. Molto buone
le voci che giungono precise e dettagliate dal centro
della scena, la ricostruzione tridimensionale è buona
ma ci aspettavamo ancora di più.
Il verdetto: vince il PlayA2

Il confronto tra i due diffusori ci vede in grave imbarazzo nel dire quale sia il migliore, ma per entrambi possiamo confermare che valgono quello – non poco – che
costano: 349 euro. Il PlayA2 è senz’altro più attraente
allo sguardo mentre il B&W sembra quasi volersi mimetizzare nella sua tinta opaca. All’ascolto le differenze sono veramente minime anche se il carattere è piut-
torna al sommario
tosto diverso tra i due contendenti: il PlayA2 affronta
la musica in modo più morbido, quasi consapevole
delle brutture che dovrà digerire; però è autorevole e
crea una notevole pressione sonora grazie alla diffusione su entrambi i lati. Il T7 riproduce la musica con
tono più professionale, sfoderando una gamma bassa incredibile per le dimensioni ma mettendo in luce
anche i difetti della compressione dei moderni MP3.
Considerando la qualità media della musica archiviata
sugli smartphone o trasmessa in streaming dal web,
possiamo dichiarare vincente di una microscopica incollatura il B&O PlayA2, musicalmente valido come il
rivale inglese ma decisamente più bello e appagante
per la finitura e i materiali impiegati.
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17 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
TEST Sono disponibili due kit base di Evohome, il Base Pack al prezzo di 279 euro e il Connected Pack con gateway a 299 euro
Honeywell Evohome, riscaldamento multiroom
Programmazione accurata per spendere meno
Riscaldamento multiroom con controllo a zone anche in remoto e tanti piccoli accorgimenti per ottimizzare i consumi
Stiamo provando Honeywell Evohome, un sistema di gestione davvero innovativo del riscaldamento domestico
D
di Roberto PEZZALI
opo aver parlato dei termostati intelligenti
come il Tado e il Nest, che controllano direttamente la caldaia gestendo accensione e spegnimento con avanzati algoritmi, proviamo un altro
sistema, diversamente intelligente ma ugualmente
smart: Evohome di Honeywell. Evohome applica al
riscaldamento il concetto di multiroom: ogni ambiente
della casa può essere gestito in modo singolo, controllando la programmazione e la temperatura non a
livello di casa ma a livello di stanza o di gruppi di stanze. Con questa logica la programmazione non solo è
più accurata ma permette anche di ottenere un sensibile risparmio soprattutto se la casa è grande. Il tutto
viene gestito da una centralina con display touch e
può essere controllato anche in remoto da smartphone con una pratica applicazione.
Questa è una prima parte di prova: abbiamo installato
il sistema, lo abbiamo configurato e fatto partire, ma
quanto effettivamente si risparmia lo possiamo dire
solo tra diversi mesi, quando potremo confrontare la
spesa dello scorso anno con quella di quest’anno. Un
confronto scientifico è impossibile: anche se la casa
è identica cambiano le condizioni climatiche, quindi
potremo dare solo un’indicazione del risparmio calcolando che ci sono in gioco tantissime variabili, dall’efficienza della caldaia alla classe energetica dell’edificio
al tipo di riscaldamento. In ogni caso abbiamo scelto di
fare la prova più classica e semplice possibile: abitazione con riscaldamento autonomo, 5 stanze con radiatori classici e dotati ancora delle vecchie valvole e kit
Evohome da installare in perfetta autonomia.
Un sistema a kit: che cosa serve
e quanto costa

Il sistema Evohome è un sistema modulare e versatile
e può gestire fino a 12 zone. Con “zone” non si intendono i radiatori, ma proprio zone distinte per le quali si
vuole controllare la temperatura in modo indipendente.
Ogni zona può integrare un numero svariato di valvole,
e questo permette di adattare Evohome a quasi tutti gli
ambienti. Per case più grandi esistono comunque soluzioni, ma qui oltre ad alzarsi i costi usciamo dall’ambito
della nostra prova, ovvero un sistema multiroom per
trilocali che permetta, a fronte di una spesa contenuta,
di rendere smart il riscaldamento di casa. Evohome ha
due kit base: Evohome Base Pack, che integra la console centrale e il modulo relè che va collegato alla caldaia
e l’Evohome Connected Pack, che in aggiunta al contenuto del kit base ha anche un gateway che permette
l’accesso da remoto e il controllo da smartphone. Il kit
Base costa 279 euro, il kit Connected 299 euro, ed è
quello che abbiamo provato noi: la differenza di prezzo
torna al sommario
video
non giustifica la scelta del sistema non connesso, sempre che uno sia privo di ADSL e non abbia la possibilità
di controllare il tutto anche dall’esterno.
Per controllare le varie stanze della casa il sistema
Honewell usa una serie di termostati digitali intelligenti
da montare sulle valvole termostatiche: un kit composto da 4 termostati costa 279 euro, uno singolo 80
euro. A listino ci sono altri accessori, dalla valvola per
il riscaldamento a pavimento ai sensori aggiuntivi, ma
abbiamo preferito un approccio più semplice e tipico.
A conti fatti con circa 600 euro (più iva) si può installare
in casa un sistema completo e intelligente.
Installazione fai da te
Installare Evohome non è assolutamente difficile, anche se bisogna prendere in considerazione diversi
fattori. Se una persona ha già applicato le valvole termostatiche ai propri radiatori, l’installazione porta via
pochi minuti: i termostati digitali HR92WE sono compatibili con la maggior parte delle valvole termostatiche
e le eventuali riduzioni sono inserite all’interno del kit.
Basta quindi rimuovere la vecchia testa per applicare il
nuovo controllo digitale motorizzato, che viene alimentato da due pile stilo e ha una autonomia di circa un
anno. Se, invece, i termosifoni hanno ancora le vecchie
valvole a manopola è necessario sostituire anche le
valvole: questa operazione è leggermente più laboriosa, noi l’abbiamo fatto ma è necessario svuotare
l’impianto e trovare riduzioni adeguate ai propri tubi
di rame. In questo caso consigliamo l’intervento di un
idraulico.
Se il centro di controllo è la mente, le valvole con i termostati digitali sono il braccio: ogni HR92, infatti, è in
grado di rilevare la temperatura del singolo ambiente
e, grazie a un motorino integrato, di chiudere o aprire
la valvola inserendo o escludendo il singolo termosifone o la zona dal circuito.
L’installazione degli altri elementi è decisamente semplice: il relè per la caldaia va collegato alla “chiama-
lab
ta” di calore, esattamente lo stesso tipo di collegamento degli altri termostati (analogici o digitali che siano),
mentre il gateway richiede solo un collegamento a una
porta Ethernet del router ADSL, il resto è automatico.
L’unica difficoltà potrebbe essere legata al posizionamento della centrale touch: in dotazione con il kit viene
dato un supporto a mensola che funziona anche come
caricabatterie, ma nella maggior parte dei casi si preferisce un montaggio a muro e per questo va preso un
accessorio opzionale che costa poche decine di euro.
Anche se la centrale è alimentata a pile, l’autonomia è
abbastanza ridotta: il display touch a colori consuma e
quindi l’alimentazione a pile è utile più come “backup”.
segue a pagina 41 
La sostituzione della vecchia valvola.
n.100 / 14
17 NOVEMBRE 2014
MAGAZINE
TEST
Honeywell Evohome
segue Da pagina 40 
I termostati digitali
Pratici e abbastanza precisI
La prima cosa che abbiamo cercato di capire quando
abbiamo montato il sistema è come facciano i termostati, montati attaccati al calorifero, a misurare la temperatura della stanza. In realtà Honeywell ha calcolato
la cosa, e tranne in situazioni particolare la misurazione
fatta dal termostato è decisamente precisa. Solo in un
caso, con un radiatore un po’ incassato, la valvola misura qualche grado in più rispetto al centro della stanza,
ma per fortuna è possibile regolare un offset agendo
sul menù.
Ogni singola “valvola” presenta un display LCD retroilluminato che indica la temperatura e il nome dell’ambiente e una manopola che permette di applicare una
regolazione locale, che verrà poi inviata alla centrale.
Tramite la manopola e il display si accede anche a un
menù di configurazione che oltre all’offset permette
anche di impostare altri parametri come la sensibilità
di rilevamento della “finestra aperta” oppure di bloccare le regolazioni per evitare che i bambini tocchino
e giochino con la regolazione. La “finestra aperta” è
uno degli elementi intelligenti della valvola stessa: è in
grado di rilevare se viene aperta una finestra chiudendo immediatamente la valvola per evitare uno spreco.
Ogni valvola è controllabile Wireless
tramite un sistema
proprietario criptato: il raggio tra
la centrale e la
valvola è di circa
50/60 metri, ma
ovviamente molto dipende dalla
struttura della casa:
nella centrale è integrato un sistema
che permette di
verificare la qualità
del collegamento.
La programmazione
un gioco da ragazzi

L’unità centrale ha le dimensioni di un termostato e il
frontale interamente occupato da un pannello touchscreen di tipo resistivo. La risoluzione del display non
è altissima, ma poco importa, fa quello che deve fare.
L’alimentazione a pile come abbiamo già detto è una
sorta di backup: l’autonomia non raggiunge le 24 ore
e comunque la centrale è un elemento che deve restare constantemente acceso. Alla prima accensione una
procedura guidata ci aiuta a collegare le varie periferiche tra loro e a regolare l’impianti: dobbiamo dire che
Honeywell ha fatto tutto a regola d’arte e la procedura
guidata è davvero semplice.
Inoltre, cosa da non trascurare, anche la stessa interfaccia utente è decisamente semplice e chiara: usa i colori
per indicare lo stato e le zone hanno un nome chiaro
che viene dato direttamente dagli utenti. Oltre a una
torna al sommario
L’unità centrale.
Il gateway.
serie di pre-set automatici è possibile regolare in modo
indipendente la programmazione di ogni ambiente su
base giornaliera: anche per questa sono disponibili
una serie di procedure guidate che semplificano la programmazione, come la possibilità di abbinare un profilo
a più giorni o di copiare i profili tra stanze.
Come per le valvole la distanza tra base centrale e
relè della caldaia è di circa 50 metri, almeno nel nostro
caso: dobbiamo dire, però, che la caldaia è su un piano
diverso rispetto all’unità centrale, e forse si guadagna
qualcosa tenendo tutto sullo stesso piano.
DNS come nel caso delle videocamere di sorveglianza,
basta attaccare la spina, creare l’account e tutto funziona subito. Questo è possibile perché in realtà non c’è
connessione diretta tra lo smartphone e il nostro sistema: i parametri sono registrati su un cloud Honeywell e
i dati vengono riallineati ogni tot secondi per verificare
se ci sono cambiamenti.
L’applicazione è davvero ben fatta e in italiano: permette di gestire tutti gli aspetti dell’unità centrale inclusa la
programmazione. Dopo aver usato l’app per un po’ di
giorni ci siamo chiesti per quale motivo serva anche la
centrale a casa: effettivamente il pannello touchscreen,
che è comunque la parte “costosa” del pacchetto, è
un plus se si vuole gestire il tutto da smartphone. Non
escludiamo che in futuro Honeywell possa pensare di
ridurre il costo del pacchetto lanciando una soluzione
dove il tablet o lo smartphone prendono il posto dell’unità centrale, quindi con un solo gateway, il relè per
la caldaia e tutti i termostati per le zone. L’azienda ci
fa sapere che stanno lavorando a qualcosa di simile,
ed essendo Honeywell uno dei partner di Apple per
Homekit, possiamo davvero aspettarci sorprese.
L’intelligenza del sistema
(e perché si risparmia)
Il sistema Evohome non ha all’interno algoritmi che
calcolano la presenza delle persone come succede
ad esempio su Tado e Nest, tuttavia grazie alla stessa architettura a zone promette un risparmio notevole.
Escludendo, infatti, una o più zone dal circuito la caldaia ha meno acqua da riscaldare e consuma di meno.
Ma non solo: l’unità centrale riesce a capire dopo qualche giorno quanto ci mette una stanza a raggiungere
la temperatura prestabilita e quanto a raffreddarsi. Utilizzando questi dati Evohome riduce l’utilizzo effettivo
del riscaldamento. Se si vuole la camera da letto a 21°
alle 21.00 con una normale termostato si accende la
caldaia mezz’ora prima: Evohome sa che per portare
a 21° quella stanza dai 18° di base ci vogliono solo 13
minuti pertanto si adatta di conseguenza.
E allo stesso modo se vogliamo riportarla a 18° dopo
la mezzanotte sa esattamente quando spegnerla per
raggiungere i 18°. A questo si aggiunge anche la gestione delle finestre aperte: con un sistema normale
non ci preoccupiamo di chiudere una valvola per non
sprecare energia se apriamo la finestra con riscaldamento acceso per arieggiare un ambiente: Evohome
fa da solo.
Accendi e regola in remoto
con lo smartphone
Oltre al funzionamento classico, Evohome può essere
controllato anche da remoto con l’applicazione disponibile per iOS e Android. La configurazione di questa
soluzione è rapida e indolore: basta creare un account
aggiungendo il numero di serie e un codice riportato
sotto il gateway, il resto è automatico. Trattandosi di un
sistema che dev’essere facile, Honeywell ha trovato
una soluzione che non richiede configurazioni particolari della rete e neppure registrazioni a servizi open-
Le prime impressioni sono positive
In attesa di capire quanto si risparmia
Per ora possiamo dare un giudizio sul funzionamento,
e possiamo dire che il sistema Honeywell ci è parso
preciso e efficiente. Il controllo remoto funziona davvero bene, la misurazione della temperatura tranne in
una zona dove abbiamo sistemato l’offset è precisa e
l’installazione ci ha portato via, valvole incluse, meno di
mezza giornata. Il costo, più di 600 euro, non è a nostro parere neppure troppo elevato se si pensa che un
Tado o un Nest costano comunque 250 euro e offrono
solo il controllo “acceso /
spento”, seppur intelligente, sulla caldaia. Dal punto
di vista della comodità, dal
controllo remoto alla programmazione granulare a
zona, sicuramente Evohome è un enorme passo
avanti rispetto al cronotermostato analogico tradizionale. Resta solo l’incognita
del risparmio: facciamo
passare l’inverno e poi vediamo i risultati.