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n.93 / 14
7 LUGLIO 2014
MAGAZINE
Partnership Chili e UCI LG: arriva l’OLED 4K Nikon D810
Decreto
Il cinema non teme più Prezzo a partire
Evoluzione ma
Franceschini:
l’Home Theater 06 da 7500 euro 07 non rivoluzione 23
vendere l’Italia
(e gli italiani)
un tanto al chilo
Finalmente il decreto Franceschini di adeguamento dei compensi per copia privata è stato
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Noi di DDAY.
it, che amiamo la trasparenza, abbiamo rivelato
tutte le cifre del decreto alcuni giorni prima della
pubblicazione. Cifre che evidentemente il Ministero voleva tenere più riservate possibili prima della
pubblicazione ufficiale per evitare che diventassero oggetto di dibattito pubblico. Un’operazione
che con la trasparenza sbandierata dal Governo e
dalla stessa SIAE non ha nulla a che spartire.
La vicenda della copia privata – non ci sono
dubbi - è torbida. Torbida – e l’abbiamo
visto – nei meccanismi di determinazione dei
compensi; torbida – e lo vedremo nei prossimi
giorni – nei meccanismi di ridistribuzione,
clamorosamente complicati e parcellizzati,
tanto da rendere nella realtà non controllabile
dall’esterno il fiume di soldi che arriva nelle
casse della SIAE e da esse (solo in parte) riesce
per tutti gli step di ridistribuzione successiva.
Ora che il decreto e le sue tariffe impazzite
diventeranno legge, è giusto interrogarsi sugli
effetti delle nuove determinazioni. Impossibile
fare una stima ragionevole di quale diventerà
la raccolta SIAE per copia privata, e non perché
non si possano fare previsioni sensate sul
mercato di smartphone, tablet e hard disk. Ma
perché, come abbiamo già ampiamente visto
nel 2003 e poi nel 2009, moltiplicando le nuove
tariffe per per i volumi di vendita non si otterrà
la cifra che SIAE riuscirà a raccogliere. E questo
perché in molti (sia consumatori che e rivenditori)
semplicemente compreranno all’estero evitando
di versare i compensi. I rivenditori meno propensi
al rispetto delle regole (o con più “acqua alla
gola”) compreranno all’esterno in evasione SIAE;
in consumatori lo faranno senza evadere nulla,
visto che è un loro diritto comprare all’estero
all’interno della UE senza alcun ulteriore onere.
Il succo: prezzi sui canali italiani “trasparenti”
che inevitabilmente saliranno, spingendo i consumatori (più o meno consapevolmente) verso
i rivenditori nostrani “torbidi” o semplicemente
verso i rivenditori esteri, che non mancheranno di
approfittarne potenziando pubblicità e presenza
di siti in lingua italiana. Insomma, un danno che
finirà per colpire soprattutto l’Italia, i nostri rivenditori onesti (e i loro dipendenti) e le filiali italiane
delle multinazionali (e i loro dipendenti). Quanto
ai consumatori meno attenti, questi finiranno per
comprare, senza neppure saperlo, prodotti in
adempimento SIAE, spendendo un po’ di più, e
questo aiuterà (ma meno di quanto si spera) le
casse della SIAE, che ha bisogno come il pane di
aumentare la raccolta e allungare i tempi di ridistribuzione, in modo da sostenere con i proventi
finanziari una gestione tipica che anche i bilanci
ufficiali certificano come fallimentare.
Non è “fantapolitica”. È solo la storia che si ripete, lo scrivevamo 12 anni fa, lo riscriviamo ora.
Il compenso per copia privata negli anni scorsi
è stato uno stimolo incredibile per insegnare ai
consumatori a comperare CD e DVD all’estero,
distruggendo il tessuto distributivo italiano, che
infatti in quel settore è defunto. Oggi, né più né
meno come le accise sulle sigarette, i compensi
per copia privata saranno un nuovo stimolo
al “contrabbando” di prodotti in evasione;
oppure dreneranno denari freschi dalle tasche
dei cittadini con il “vizio” della tecnologia (e
magari nessun interesse per la musica o il
cinema). Un provvedimento anti-italiano frutto
solo dei poteri forti che non si fanno scrupolo di
compromettere la nazione per interessi di parte.
Parafrasando una canzone dei vecchi Genesis:
“Vendere l’Italia un tanto al chilo…”.

Gianfranco GIARDINA
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Copia Privata, tutte le nuove
tariffe del decreto Franceschini
DDAY.it rivela in anteprima le cifre dei nuovi compensi
Raccolta raddoppiata e doppia imposizione TV-Hard Disk
02
Android L: Google pronta
a domare tutti i dispositivi
08
La nuova versione di Android pronta a
diventare il cuore dei TV e delle auto
Con Android Wear sale
la febbre degli Smartwatch
13/14
Presentati i nuovi tecno-gadget LG
e Samsung con a bordo Android Wear
Ford Focus Electric, guidare
elettrico è un vero piacere
Com’è guidare un’auto elettrica?
Può sostituire una macchina tradizionale?
Abbiamo passato due settimane con
la Focus Electric e abbiamo scoperto che...
26
IN PROVA
28
LG G3
Sfida all’ultimo pixel
32
Panasonic AX800
Pronti a dimenticare
il plasma?
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7 LUGLIO 2014
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MERCATO Sono finalmente trapelate tutte le cifre complete delle nuove determinazioni dei compensi per Copia Privata
Copia Privata, le tariffe del decreto Franceschini
Il provvedimento pubblicato in Gazzetta Ufficiale solo il 7 luglio. La stangata su TV, PC, smartphone, tablet e hard disk
di Gianfranco GIARDINA
iamo riusciti ad entrare in possesso, con alcuni
giorni di anticipo sulla pubblicazione in Gazzetta
Ufficiale (avvenuta lunedì 7 luglio) di una copia del
decreto ministeriale firmato oramai più di quindici giorni
fa dal Ministro Dario Franceschini riguardante l’adeguamento dei compensi per copia privata per il prossimo
triennio. Pubblichiamo in anteprima tutte le cifre, una per
una, delle nuove determinazioni.
Si tratta, come ampiamente previsto, di un provvedimento che negli intendimenti degli ideatori dovrebbe
portare a un forte aumento del prelievo in considerazione del fatto che sono state inserite ex novo delle
categorie soggette, è stata fortemente aumentata l’imposizione sui prodotti di successo e le riduzioni hanno
riguardato solo supporti e apparecchi in grande contrazione di mercato. Tra le altre cose vengono introdotti
i compensi su alcuni componenti separati, come gli
hard disk, con un’incidenza di circa il 30% del prezzo
al pubblico del prodotto: ancora una volta è dimostrata
l’impossibilità che questi compensi vengano assorbiti
dall’industria, come Ministero, SIAE e Confindustria
Cultura vorrebbero far credere. I compensi - come peraltro previsto dalla legge, ricadranno sul consumatore
finale, finendo per essere addirittura aumentati da IVA
e marginalità del canale distributivo. Infine, sono stati
introdotti casi di doppia imposizione: si pagherà, tanto
per fare un esempio, su TV con funzione PVR ma anche sugli Hard Disk e sulle chiavette USB senza le quali
i TV non sono in grado di registrare. Ovviamente, il prelievo, come già successo nel 2003 e nel 2009, con i
due più importanti adeguamenti del passato, potrebbe
non portare il “raddoppio” sperato dagli aventi diritto:
la storia ci insegna come uno dei risultati evidenti di
questi aumenti, forte anche la sempre maggiore diffusione dell’e-commerce, sarà quello di indirizzare gli
acquisti verso negozianti esteri o negozi italiani poco
trasparenti, mettendo ancora più in ginocchio rivenditori e retailer italiani ligi alle regole, con effetti indiretti
anche sul livello di occupazione e sul prelievo fiscale.
Per chi non lo sapesse, la copia privata è il diritto che
un consumatore ha di copiare un contenuto legittimamente acquistato (e quindi tassativamente non pirata)
su altri dispositivi di sua proprietà. I contenuti copiati
non possono essere ceduti a terzi a nessun titolo, anche non oneroso. Per poter avere questo diritto (che
però è sempre più difficile esercitare perché può essere svolto solo nel rispetto delle misure di protezione
anticopia), il consumatore è tenuto al pagamento di
un compenso che grava su supporti e apparecchi. Per
semplicità di gestione, il compenso è prelevato a monte e precisamente da chi importa o produce i prodotti
assoggettati, che poi - nella stragrande maggioranza
dei casi - carica quest’onere sulla filiera a valle (con
incremento di IVA e margine del canale distributivo)
fino ad arrivare al consumatore finale. Ecco in ordine di
rilevanza la nuova determinazione dei compensi, finalmente nella sua formulazione completa.

S
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Smartphone e Tablet
Telefonini
Il compenso precedente per gli smartphone era pari
a 0,90 € a prescindere dalla capienza; sui tablet non
c’era imposizione. Il compenso sugli smartphone viene quindi ora esteso ai tablet e viene aumentato secondo la seguente tabella.
I cellulari tradizionali erano soggetti tanto quanto gli
smartphone a un compenso di 0,90 €. Ora il compenso scende a 0,50 €. Inutile dire che le vendite di telefonini non smartphone stanno crollando.
TELEFONINI
SMARTPHONE E TABLET
Compenso fisso a prescindere
da potenza e prezzo
0.50 €
MEMORIA
COMPENSO
fino a 8 GB
3,00 €
Hard Disk
da > 8 fino a 16 GB
4,00 €
da >16 fino a 32 GB
4,80 €
oltre 32 GB
5,20 €
La situazione degli Hard Disk è fortemente mutata:
con i vecchi compensi l’imposizione era solo per gli
Hard Disk esterni (pari a 0,02 € per GB fino a 400
GB e 0,01 per GB sopra i 400 GB). Oggi l’applicabilità viene estesa a tutti gli Hard Disk esterni, anche
senza case, ovverosia anche i componenti destinati
per esempio a essere integrati in personal computer
o NAS. I nuovi compensi porteranno un Hard Disk
da 2 TB a un compenso di 20 €, circa il 30% del
prezzo attuale al pubblico di questo prodotto. Quindi, a fronte di un’apparente riduzione dei compensi,
l’estensione della fattispecie anche agli Hard Disk
“nudi” eleva notevolmente la previsione di gettito da
questa categoria.
Televisori
I TV senza hard disk non erano contemplati dal decreto
precedente: SIAE aveva tentato di inserirli unilateralmente tra i prodotti soggetti equiparandoli a videoregistratori. Viene ora formalizzato e introdotto un compenso forfettario su tutti i TV dotati di funzione PVR pari a 4,00 €.
Questo porta ovviamente a una doppia imposizione: si
paga per il TV (che senza hard disk non può registrare
nulla) e si paga anche per l’hard disk da collegare al TV. I
TV con hard disk integrato sono invece tariffati secondo
la capienza: vedi oltre per i compensi correlati.
TELEVISORI
TV con funzione PVR
HARD DISK
Compenso per GB
0,01 €
Massimo applicabile
20 €
4,00 €
Schede di memoria
Computer
Per i PC era previsto un compenso differenziato a seconda che ci fosse o meno il masterizzatore integrato:
2,40 € o 1,90 €. Ora che il masterizzatore è praticamente assente dalla maggior parte dei notebook, il
compenso diventa fisso e più che raddoppia:
Le schede di memoria erano e saranno assoggettate,
anche con il nuovo decreto, in maniera uniforme, a
prescindere dal fatto, per esempio, che alcuni formati
oramai siano presenti solo sulle fotocamere. In particolare, le vecchie tariffe prevedevano un compenso
di 0,05 € a GB fino a 5 GB da aumentare di 0,03 € per
PERSONAL COMPUTER
Compenso fisso a prescindere
da potenza e prezzo
5,20 €
segue a pagina 03 
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MERCATO
Audio player
Copia Privata, tutte le tariffe
segue Da pagina 02 
MAGAZINE
Nel caso dei player portatili audio (come per esempio
gli iPod) o dei sistemi Hi-Fi con memoria integrata, le
tariffe sono rimaste identiche. Eccole nel dettaglio:

ogni GB successivo ai 5 GB. Le tariffe ora aumentano
sensibilmente come di seguito riportato:
SCHEDE DI MEMORIA
CAPACITÀ
COMPENSO
0,64 €
0€
da >128 MB fno a 512 MB
2,21 €
0,09 €
da >512 MB fno a 1 GB
3,22 €
da >1 GB fino a 5 GB
5,15 €
da >5 GB fno a 10 GB
6,44 €
fino a 40 GB
6,44 €
da >10 GB fno a 15 GB
7,33 €
da >40 GB fino a 80 GB
9,66 €
da >15 GB fno a 20 GB
9,66 €
da >80GB fino a 120 GB
12,88 €
12,88 €
da >120 GB fino a 160 GB
16,10 €
da >160 GB fino a 250 GB
22,54 €
COMPENSO PER GB
fino a 32 MB
>32 MB fino a 1 GB
0,09 €
Massimo applicabile
5,00 €
Chiavette USB
Le chiavette USB restano quasi ai medesimi livelli, salvo un piccolo aumento (sopra i 4 GB era 0,09 € a GB).
La tariffa diventa praticamente uniforme a 0,10 € a GB,
secondo la seguente tabella:
CHIAVETTE USB
CAPIENZA
COMPENSO PER GB
fino a 256 MB
0€
>256 MB fino a 1 GB
0,10 €
per ogni GB
successivo al primo
0,10 €
Massimo applicabile
9,00 €
da >20 GB in su
Personal Video player
Anche nel caso dei Personal Video Player (come per
esempio gli iPod Touch) le tariffe dei compensi per
copia privata sono rimaste immutate. Eccole nel dettaglio:
PERSONAL VIDEO PLAYER
CAPIENZA
COMPENSO
fino a 1 GB
3,22 €
da >1 GB fino a 5 GB
3,86 €
da >5 GB fno a 10 GB
4,51 €
da >10 GB fino a 20 GB
5,15 €
Supporti vergini
da >20 GB fino a 40 GB
6,44 €
Nel caso dei supporti, ci sono state alcune conferme e
alcune revisioni, generalmente verso il basso. Peraltro
è noto che il ricorso alla masterizzazione è oramai pratica residuale e in via di abbandono, con conseguente
quasi sparizione degli acquisti di supporti, se non per
usi professionali. Paradossale poi osservare come siano ancora contemplati supporti dei tutto scomparsi dal
mercato e della cui sparizione evidentemente il Ministero non è informato. I compensi sono rivisti come da
tabella seguente.
da >40 GB fino a 80 GB
9,66 €
SUPPORTI VERGINI
TIPO
VECCHIO
COMPENSO
NUOVO
COMPENSO
Audiocassette
0,23 € per ora
di reg.
0,23 € per ora
di reg.
VHS
0,25 € per ora
di reg.
0,10 € per ora
di reg.
0,22 € per ora
di reg
0,22 € per ora
di reg.
CD-R/RW Audio
e Minidisc
CD-R/RW dati
D-VHS
0,15 € ogni
700 MB
0,10 € ogni
700 MB
0,29 € per ora
di reg.
0,22 per ora
di reg.
0,41 €
ogni 4,7 GB
0,20
ogni 4,7 GB
Blu-ray Disc
R/RE
0,41 €
ogni 25 GB
0,20
ogni 25 GB

DVD-R/+R/
RAM/-RW/+RW
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Questa voce integra tutti gli apparecchi audio video
che integrano un Hard Disk, come anche i TV: ovviamente nel caso dei TV, questa imposizione esclude
quella relativa ai TV con funzione PVR ma senza Hard
Disk. Le tariffe in questo caso sono rimaste immutate
rispetto a prima, e precisamente:
fino a 128 MB
CAPIENZA
per ogni GB
successivo al primo
AUDIO PLAYER
Memoria o Hard Disk integrati
in VCR, Decoder o TV
da >80 GB fino a 120 GB
12,88 €
da >120 GB fino a 160 GB
16,10 €
da >160 GB fino a 250 GB
22,54 €
da >250 GB fino a 400 GB
28,98 €
da >400 GB in su
32,20 €
MEMORIA O HARD DISK
IN VCR, DECODER O TV
CAPACITÀ
COMPENSO
da >250 GB fino a <400 GB
28,98 €
da 400 GB in su
32,20 €
Registratori e masterizzatori
La situazione è immutata: masterizzatori e registratori
audio o video pagano il 5% del prezzo di vendita di
chi importa. Nel caso di prodotti polivalenti, il compenso viene calcolato come 5% del prezzo di prodotto non polivalente con analoghe funzionalità di
registrazione.
Altri apparecchi con memoria o Hard Disk
Eventuali altri apparecchi contenenti memoria a stato
solido o Hard Disk e dotati di funzioni di registrazione
e riproduzione audio-video sono tariffati secondo la
capienza e non hanno subìto cambiamenti rispetto al
recente passato. Precisamente:
ALTRI APPARECCHI
CON MEMORIA O HARD DISK
CAPACITÀ
COMPENSO
fino a 256 MB
0,54 €
Hard Disk esterno con uscite audio video
da >256 MB fino a 384 MB
0,97 €
Gli Hard Disk multimediali sono sempre più rari sul
mercato. Le tariffe restano immutate rispetto a prima.
Eccole nel dettaglio:
da >384 MB fino a 512 MB
1,29 €
da >512MB fino a 1 GB
1,61 €
da >1 GB fino a 5 GB
1,93 €
da >5 GB fino a 10 GB
2,25 €
COMPENSO
da >10 GB fino a 20 GB
2,58 €
fino a 80 GB
4,51 €
da >20 GB fino a 40 GB
3,22 €
da >80GB fino a 120 GB
6,44 €
da >40 GB fino a 80 GB
4,83 €
da >120 GB fino a 160 GB
7,73 €
da >80 GB fino a 120 GB
6,44 €
da >160 GB fino a 250 GB
10,42 €
da >120 GB fino a 160 GB
8,05 €
da >250 GB fino a <400 GB
12,88 €
da >160 GB fino a 250 GB
11,27 €
da 400 GB in su
14,81 €
da >250 GB fino a 400 GB
14,49 €
da >400 GB in su
16,10 €
HARD DISK CON USCITE A/V
CAPACITÀ
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MERCATO Il decreto ministeriale che ha aumentato i compensi per copia privata muove le acque
La copia privata ha spaccato Confindustria
Confindustria Digitale convoca una conferenza stampa contro gli aumenti dei compensi
Confindustria Cultura risponde a distanza difendendo gli aumenti. Si attendono ricorsi
di Gianfranco GIARDINA
I
l decreto ministeriale con il quale
Dario Franceschini ha aggiornato (in
aumento) i compensi per copia privata
scuote i palazzi. Da un lato c’è Confindustria Digitale che, per voce del Presidente
Elio Catania, ha convocato una conferenza stampa per chiedere la revisione completa della disciplina della copia privata,
non più al passo con i tempi; dall’altro lato
c’è Confindustria Cultura, il cui Presidente
Marco Polillo appoggia la firma del decreto considerando l’impianto della copia
privata come il migliore possibile. Il tutto
nello stesso giorno.
Voci contro, quindi, anche solo dentro a
Confindustria, per tacere di tutte le altre
più scontate contrapposizioni, consumatori da un lato e percettori dei compensi
dall’altro. La tesi di Confindustria Digitale
(che associa i produttori di elettronica) è
quella che di fatto si vuole configurare
il compenso per copia privata come un
sussidio da un’industria, quella del digitale, a un’altra, quella dei contenuti. Questo
è vieppiù vero - dicono le aziende - se il
compenso dovesse essere assorbito tout
court dall’industria, come prospettato dal
Ministro e da SIAE nei propri comunicati
stampa; cosa che però - premettono in
Confindustria digitale - è impossibile, dati
i prezzi in costante caduta libera, il mercato stagnante e la marginalità che oramai
è ridotta ai minimi termini. Quindi - chiarisce Catania con certezza - non c’è alcun
dubbio che l’applicazione dei nuovi compensi avrà un impatto sulla dinamica dei
prezzi. Confindustria Cultura definisce,
invece, il compenso per copia privata
come “una giusta retribuzione del diritto

Elio Catania, Presidente
di Confindustria Digitale
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ANITEC contro
Franceschini:
“Provvedimento
che chiude la
porta al futuro”
ANITEC esprime
amarezza e disappunto
per il provvedimento
del Ministero dei Beni
Culturali che innalza
l’equo compenso
d’autore”. Confindustria Digitale risponde
che, secondo proprie stime, la raccolta di
compensi per copia privata, con le nuove
determinazioni del Ministero, passerebbe in Italia dai circa 65 milioni del 2013 a
quasi 160 milioni di euro (su una raccolta
totale di diritti d’autore da parte di SIAE di
600 milioni), finendo per rappresentare
una parte tutt’altro che marginale e “residuale” dell’assetto del diritto d’autore,
come invece prescriverebbe la direttiva
UE: vero, a patto che la stima, fatta sui
nuovi compensi che non sono ancora
stati comunicati (almeno ai cittadini), sia
corretta. Confindustria Cultura da parte
sua scende anche in campo in difesa della SIAE, sostenendo che la società degli
autori ed editori avrebbe solo incarico di
raccogliere “ma l’intera somma viene poi
ripartita agli aventi diritto”, cosa quantomeno imprecisa, visto che la SIAE (e le
altre associazioni a valle) trattengono
quote non trascurabili come “rimborso
spese”. Confindustria Digitale sottolinea con forza come i nuovi compensi
non siano affatto di freno alla diffusione
della tecnologia; Confindustria Digitale
ribatte con le tabelle con tutti i compensi relativi a tablet, smartphone e PC per
dimostrare che in almeno 10 nazioni (tra
quelle che prevedono la copia privata) i
compensi su questi prodotti sono a zero
e che di conseguenza le medie europee
sarebbero nettamente inferiori ai livelli
di imposizione attuali in Italia. La copia
privata è fonte di forti conflitti anche fuori dai nostri confini nazionali: è di questi
giorni la notizia del pronunciamento da
parte del Consiglio di Stato francese che
per la sesta volta ha sospeso le correnti
tariffe dei compensi per copia privata, anche con un valore retroattivo (le aziende
potranno chiedere dei rimborsi di quanto pagato); malgrado ciò Copie France,
Marco Polillo, Presidente
di Confindustria Cultura
l’ente che stabilisce i compensi, ha nel
frattempo rideterminato gli stessi per superare la delibera cassata dal Consiglio
di Stato, riaprendo i giochi e provocando
un nuovo ricorso da parte dell’Industria.
Tutto ciò, appunto, in Francia che è sempre presa come esempio principale dagli aventi diritto visti i livelli di compensi
esorbitanti previsti in questo Paese: i
cugini d’Oltralpe contribuiscono all’intera
raccolta europea di compensi per copia
privata con oltre 200 milioni di euro e
un’incidenza da soli intorno al 25%-30%
del totale continentale. Insomma, l’attuale disciplina della copia privata sembra
tutt’altro che assestata e condivisa e una
revisione dovrà comunque essere fatta al
più presto (se ne sta discutendo tra l’altro in sede europea). Altrimenti il futuro
sarà fatto di ricorsi incrociati e tribunali, a
vantaggio degli avvocati e tutto a danno
di due figure: i consumatori, che pagano,
e gli aventi diritto che non ricevono dato
che i fondi restano bloccati in attesa di
sentenza o al massimo distribuiti con riserva, con costose fideussioni richieste
dalle collecting society.
di Paolo CENTOFANTI
Grande delusione da parte di
ANITEC, l’Associazione Nazionale
Industrie Informatica, Telecomunicazioni ed Elettronica di Consumo,
per il provvedimento del Ministro
dei Beni Culturali con cui si dà il via
libera al “nuovo” equo compenso,
il cui adeguamento include anche
smartphone e tablet. Disappunto
oltre che per la sostanza anche
per la forma, come sottolinea il
Presidente del gruppo elettronica
di consumo di ANITEC, Lamperti: “Volevamo attendere qualche
giorno, affinché il testo del provvedimento fosse noto, prima di esprimere un giudizio, ma rileviamo
che ad oggi non è ancora, incomprensibilmente e poco trasparentemente, stato reso disponibile”.
Come ricorderete il Ministro Franceschini ha annunciato la firma
del decreto via social network nel
dopo partita dell’Italia ai Mondiali.
Lamperti, che è anche Vice Presidente di ANITEC, non risparmia
critiche nel merito del provvedimento: “l’aggiornamento di cui abbiamo notizia non tiene conto né
dei risultati evidenziati dallo studio
commissionato dal Mibact stesso,
né del principio di una legge che,
per quanto desueta, lega comunque l’equo compenso alla capacità
di registrazione sul dispositivo di
contenuti protetti da diritto d’autore”. Agli occhi di ANITEC, e non
solo, rimane intatto il peccato originale della legislazione sull’equo
compenso per copia privata, cioè
il fatto che si tratta di un “balzello
sulle intenzioni” che colpisce tutti,
nonostante solo il 13% di utenti effettua davvero una copia privata su
smartphone e tablet. Clicca qui per
leggere il comunicato di ANITEC.
n.93 / 14
7 LUGLIO 2014
MAGAZINE
MERCATO La tecnologia potrà essere integrata a breve in Google Play Music e YouTube
Google compra Songza per musica su misura
Il servizio è nato per fornire playlist musicali basate sui propri gusti e sullo stato d’animo
di Emanuele VILLA
oogle ha annunciato l’acquisto
del servizio di streaming musicale Songza per una cifra non
comunicata ma che dovrebbe aggirarsi (secondo il New York Times) intorno
ai 39 milioni di dollari. Lungi dall’avere la medesima portata dall’acquisizione di Beats da parte di Apple, la
mossa strategica di Google è volta a
migliorare il proprio servizio musicale
(Google Play Music), ma anche a fornire una risposta chiara a Apple, che
sicuramente sta studiando interessanti
sinergie tra il proprio colosso iTunes e
il neo-acquisito Beats Music. La tecnologia alla base di Songza, che resterà
ancora a lungo un’app indipendente,
potrà essere impiegata sia in Google
Play Music che in YouTube per l’ascolto di playlist personalizzate che si
avvicinino ai gusti dell’utente: molti
commentatori d’oltreoceano fanno no-
G
tare come Google disponga già di una
tecnologia di auto-apprendimento dei
gusti dell’utente, ma d’altronde Songza funziona in modo diverso poiché le
sue playlist, basate sui gusti, sensazioni, stati d’animo, momenti della giornata e via dicendo, sono realizzate da
persone in carne e ossa. In tal senso,
Songza ricorda Pandora e non si dif-
ferenza poi tanto da Beats Music, che
può disporre di un team di musicisti ed
esperti per realizzare le playlist pubblicate nel proprio servizio. Qualche
mese e scopriremo come il servizio di
Songza, che per inciso ha riscosso un
notevole successo tra gli appassionati,
verrà integrato nell’ampio catalogo di
servizi di Big G.
Microsoft e Canon insieme per il Lumia PureView?
Microsoft e Canon annunciano la stretta di un accordo incrociato per i rispettivi brevetti
Nel comunicato si parla di nuovi dispositivi mobile e si pensa agli smartphone ex Nokia
I
di Paolo CENTOFANTI

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Dopo la separazione da
Sony, Vaio Corporation
ha lanciato i primi
computer (Vaio Fit
e Vaio Pro) sul mercato
giapponese. Nonostante
il brand Sony sia sparito,
l’azienda assicura che
il DNA Vaio è sempre lui
di Emanuele VILLA
MERCATO Non sono chiare le intenzioni di Canon e a quali tecnologie Microsoft è interessata
prossimi smartphone Lumia con
fotocamera PureView potrebbero
avere dentro ottica o tecnologia
Canon? Dopo l’accordo annunciato
da Microsoft e il produttore giapponese è sicuramente possibile.
Le due aziende hanno, infatti, siglato
un accordo incrociato di licenza per
l’accesso al reciproco catalogo di
brevetti accumulati negli anni. I dettagli dell’accordo non sono stati ancora
resi noti, ma Microsoft parla esplicitamente di “certi prodotti di digital
imaging e dispositivi consumer mobile”, per cui è lecito pensare subito
agli smartphone e in casa Microsoft
questo vuol dire gamma Lumia dopo
l’acquisizione della relativa divisione
di Nokia.
Meno chiare, invece, sono le intenzioni di Canon e soprattutto a quali
particolari tecnologie Microsoft potrebbe essere interessata nello speci-
Vaio torna
sul mercato
Sony non c’è più
fico. Certamente sono tanti i prodotti
Canon che si appoggiano alla piattaforma Windows, ma in questo caso si
parla di via libera per un’integrazione
decisamente più profonda. È improbabile pensare a un sistema di ripresa con sistema operativo Windows
(mobile o meno), mentre è una strada
già percorsa dalla concorrente Nikon
quella della produzione di una fotocamera con sistema operativo Android,
ed è noto che Microsoft ha imposto
accordi di licenza a molti produttori
di dispositivi che integrano il sistema
operativo mobile di Google; non è da
escludere, quindi, che ciò possa rientrare nei termini degli accordi stretti
con Canon.
Mesi fa Sony diede l’annuncio
della vendita della propria divisione Vaio a un fondo d’investimenti
giapponese (Japan Industrial Partners), annuncio che segnò l’allontanamento dell’azienda dal mondo del PC. Motivi ovvii: divisione
troppo grossa per la domanda e
necessità di concentrare al massimo gli sforzi sui mercati trainanti,
ovvero smartphone e tablet.
La cosa curiosa è che da quel
giorno, dei PC Vaio si sono perse
le tracce. Fino a quando la neonata Vaio Corporation ha iniziato
a distribuire Vaio Fit e Vaio Pro
in Giappone. Tristemente (ma in
modo del tutto logico), il logo Sony
è scomparso, al suo posto il brand
Vaio rappresenta sia la linea di
prodotto, sia il produttore stesso.
L’unico “resto del tempo che fu”
è online: al momento, infatti, i PC
Vaio vengono venduti in Giappone tramite il Sony Store. Come da
previsione, al momento si tratta di
un “affare” tutto giapponese e con
poche possibilità di estensione
ad altre parti del mondo, quanto
meno nel breve periodo: la stessa
azienda ha annunciato un forte ridimensionamento rispetto al “periodo Sony”, con un massimo di
240 impiegati e operazioni al momento limitate al mercato domestico. Ma il DNA Vaio non si tocca.
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7 LUGLIO 2014
MAGAZINE
ENTERTAINMENT Un accordo di portata storica: il cinema non ha più paura dell’Home Theater
Divertimento continuo dalla sala al salotto
Chili e UCI annunciano una partnership strategica che porterà diverse promozioni congiunte
di Gianfranco GIARDINA
ade una barricata. Quella che da
sempre separa il mondo degli
esercenti cinematografici da quello dell’home entertainment che, fino a
oggi, a torto o a ragione, si sono sempre
sentiti in concorrenza. È stato comunicato, infatti, un accordo che, per il settore, ha una portata storica e che non ha
molti precedenti neppure all’estero: UCI
Cinemas, una delle principali catene
di sale cinematografiche, ha stretto un
accordo di partnership a lungo termine
con Chili, la videoteca online. In forza di
questo accordo, sin dai prossimi mesi
assisteremo a una serie di attività congiunte con l’intento di creare una sorta
di continuum tra l’intrattenimento in sala
cinematografica e quello a casa. Il target è chiaro: gli appassionati di cinema.
Una passione quella per i film che non
può essere confinata a una o all’altra
modalità di fruizione. Gli intervenuti alla
conferenza stampa hanno sottolineato
che si andrà al di là delle semplici attività di comunicazione congiunta (come
gli spot Chili prima della proiezione del
film al cinema, cosa già vista): la nuova partnership annunciata da Stefano
Parisi (presidente di Chili) e Andrea
Stratta (amministratore delegato di UCI)
permetterà ai due gruppi di allestire
C
MERCATO
Pioneer vende
la divisione
audio/video

Pioneer perde un altro pezzo: arriva
la notizia della vendita della divisione
audio/video al fondo Baring Private
Equity Asia (Hong Kong) e a Onkyo
Corporation. Il fondo cinese deterrà il
controllo di Pioneer Home Electronic
con il 51% (società che era già stata
separata da Pioneer), mentre i tre
player della partita (Pioneer, Onkyo e
Baring) decideranno come dividersi
il restante 49%. L’accordo è in via di
definizione anche se la chiusura è data
per imminente, con l’affare che verrà
chiuso alla fine di agosto. Sia Onkyo
che Pioneer manterranno la loro identità nel mercato dell’audio/video, anche
se verranno unite le forze per brevetti,
ricerca, sviluppo e produzione.
torna al sommario
Diritti calcio
serie A: molto
rumore per nulla
Raggiunto l’accordo
in Lega Calcio per
i diritti TV delle stagioni
2015-2018: dopo diffide
e controdiffide, non
cambia nulla.
Sky e Mediaset
sempre protagoniste
di Roberto FAGGIANO
L’annuncio è stato dato da Stefano Parisi, presidente di Chili, e Andrea Stratta,
amministratore delegato di UCI Cinemas.
delle offerte innovative: per esempio
andando a vedere in sala l’ultimo film di
un regista, si potranno ottenere sconti e
promozioni sul noleggio virtuale o sull’acquisto di tutti i suoi vecchi film, ovviamente sulla piattaforma di streaming di
Chili. Già adesso, inoltre, è possibile acquistare nei foyer dei cinema UCI le carte prepagate di Chili, che permettono
quindi di vedere film in streaming senza
dover inserire alcun dato relativo a carte
di credito o Paypal. Ma gli sviluppi futuri
possibili sono probabilmente la cosa più
interessante: sarebbe interessante, per
esempio, poter acquistare direttamente
al cinema, ovviamente dopo la visione
del film, l’upgrade per la visione del
medesimo film anche in streaming (non
appena disponibile in VOD), magari per
condividere l’esperienza con il resto
della famiglia non presente in sala; il tutto - si spera - a un prezzo ben inferiore
della somma dei due “biglietti”, quello
del cinema e quello del noleggio online.
E il fatto che sia Parisi che Stratta hanno
sottolineato che la partnership (in esclusiva) è a lungo termine e non un “mordi
e fuggi”, fa sperare bene per l’ideazione di nuove e interessanti promozioni
“cross-piattaforma”. A questo punto, la
palla passa ai responsabili marketing, la
cui fantasia può essere l’unico limite.
MERCATO Riciclaggio valido per un nuovo iPhone o iPad
Permuta iPhone anche in Italia
Dal 30 giugno Apple valuta l’usato
di Paolo CENTOFANTI
A
pple ha attivato anche in Italia il programma di riuso e riciclo per iPhone e
iPad che consente di avere una valutazione sul proprio usato per l’acquisto
di un nuovo dispositivo presso gli Apple Store. Per avere una valutazione del
proprio iPhone o iPad usato, basta recarsi in un Apple Store oppure compilare le
apposite voci sullo store online, all’indirizzo http://store.apple.com/it/browse/reuse_and_recycle. La valutazione dipende naturalmente dalle condizioni del dispositivo: eventuali danni esterni, danneggiamento da liquido, software già ripristinato,
presenza o meno del caricabatterie originale, integrità del display touch, ecc. In
caso di dispositivo in condizioni perfette, la valutazione può arrivare fino a 342 euro
per gli iPad più recenti. Presso gli Apple Store la valutazione viene effettuata al
momento in negozio e l’utente può decidere se accettare il prezzo offerto e quindi
utilizzarlo come sconto per l’acquisto di un nuovo modello di iPhone o iPad. È possibile riciclare un iPhone per acquistare un iPad e viceversa naturalmente. Utlizzando
la procedura online, invece, è possibile organizzare il ritiro del proprio dispositivo e
la cifra stabilita verrà versata all’utente tramite un bonifico.
Gli sportivi italiani in pantofole
possono stare tranquilli: anche
le prossime tre stagioni calcistiche saranno disponibili in TV con
le stesse modalità attuali. Sky
avrà l’esclusiva sul satellite per
tutte le partite, mentre Mediaset
diffonderà sul digitale terrestre
tutte le gare delle migliori otto
squadre del campionato. In Lega
Calcio hanno scelto di rinunciare
a qualche decina di milioni pur di
non turbare l’attuale situazione: in
pratica, sono state accettate le offerte di Sky e Mediaset, anche se
non erano le più vantaggiose, nei
rispettivi pacchetti in palio. Risultano, invece, non assegnati i diritti
per il web, dato che nessuno ha
presentato delle offerte, e anche
le immagini degli spogliatoi prima delle partite perché l’offerta
di Sky è risultata insufficiente. La
Lega incasserà circa 945 milioni
di euro contro gli 1,1 miliardi disponibili se fossero state scelte
le migliori offerte; Sky sborserà
572 milioni di euro per 132 partite
in esclusiva, Mediaset verserà invece 373 milioni. Ricordiamo che
tutto questo è riferito alle stagioni
dal campionato 2015-2016, quindi
c’è tutto il tempo per cambiamenti in corsa con mediazioni tra i due
colossi delle pay-tv. In particolare
Sky potrebbe offrire qualcosa
a Mediaset pur di non perdere
le partite di Champions League
sempre dalla stagione 2015/16 e
non è ancora chiaro a cosa serviranno i canali DTT affittati da
Sky: estensioni dei pacchetti a
pagamento usufruibili dal nuovo
MySky in DVB-T2 oppure nuovi
canali in chiaro oltre a Cielo e all’imminente Sky TG24?
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7 LUGLIO 2014
MAGAZINE
TV E VIDEO LG UK ha ufficializzato il lancio dei TV OLED 4K: arriveranno in Europa dopo l’IFA
L’OLED 4K LG arriva in autunno a 7500 euro
I prezzi vanno dalle 6.000 sterline per il 65” alle 20.000 sterline per il 77” visto a Las Vegas
Verranno chiuse a
novembre le fabbriche
di plasma Samsung
Per ora si producono
solo modelli base a
basso costo, ma non
arriveranno in Italia
Si chiude un’era
del TV a schermo piatto
di Roberto PEZZALI
I
TV OLED 4K presentati da LG al CES
di Las Vegas arriveranno in Europa
dopo l’IFA. LG Italia ci aveva confermato l’arrivo dei due modelli da 65” e
77”, ma è LG UK a rompere gli indugi,
annunciando non solo i due modelli ma
anche i prezzi di listino. Che LG facesse
sul serio con l’OLED si era già capito, ma
ora con l’OLED 4K può davvero dare all’appassionato quello che desidera, la
tecnologia per il nero perfetto unita alla
risoluzione. Nonostante il 4K sia ancora
di Roberto PEZZALI
prematuro, chi investe tanto su
un TV difficilmente si accontenta del Full HD: 65EC970V
e 77EC980V, tecnologia sempre OLED WRGB, offriranno
quindi un pannello da 3840 x
2160 pixel organici e avranno
a bordo anche la piattaforma
smart WebOS. I prezzi saranno
alti, ma il 65” è comunque abbordabile: 6000 sterline di listi-
no, 7500 euro al cambio attuale vanno
confrontati con i 5500 euro richiesti oggi
per un LCD 4K da 65”, non una follia. Più
elevato invece il prezzo per il 77”, un prodotto più elitario e anche più difficile da
produrre: 20.000 sterline. Lo scoglio più
difficile da “eliminare” è ora la curvatura
dello schermo: nella testa di LG tornare
al piatto significa fare un passo indietro,
ma forse sarebbe un passo indietro che
gli appassionati gradirebbero.
TV E VIDEO Arriva in autunno il nuovo MySkyHD, riunisce in un solo decoder DVB-S, DVB-T e web
In arrivo il super decoder DVB-S, DVB-T e web di Sky
Tom’s Hardware pubblica le foto di uno dei modelli prodotti dai partner. Probabile il DVB-T2
di Roberto PEZZALI
T

orna il decoder unico: Sky si prepara a lanciare a ottobre il nuovo
MySkyHD che sarà compatibile
con tutte le piattaforme di distribuzione
di contenuti: digitale terrestre, satellite
e internet. Il sito Tom’s Hardware ha
pubblicato le prime foto di uno dei modelli di decoder e con un rapido giro di
telefonate abbiamo avuto conferma che
il prodotto esiste e che è davvero previsto l’arrivo sul mercato per la prossima
stagione televisiva. Il nuovo modello
torna al sommario
Bye Bye plasma
Anche Samsung
dice addio
avrà doppio tuner sia satellitare che digitale terrestre, e Sky quasi sicuramente
ha inserito a bordo un tuner DVB-T2 per
tenersi pronta a trasmettere sul nuovo
standard con compressione HEVC. Il
nuovo decoder avrà hard disk da 500
GB integrato, supporto per il WiFi e connessione di rete gigabit. Sky, dopo l’accordo raggiunto con Telecom per l’uso
della rete è pronta anche a trasmettere
in DVB-T sui canali affittati a Telecom
Italia Media (anche questo è confermato): difficile capire se trasmetterà il calcio
(servirebbero più canali) ma sicuramente
una offerta Sky DVB-T o DVB-T2 è ai nastri di partenza.
Il plasma è destinato a sparire
entro l’anno: dopo Panasonic,
e questo forse è stato l’addio
più doloroso, anche Samsung
decide di interrompere la produzione di pannelli al plasma a
novembre.
Samsung SDI, la divisione che
si occupata della produzione
dei pannelli per le TV, ha annunciato che le fabbriche verranno
riconvertite per altri usi (batterie) e in qualche caso cedute a
terzi. Con l’abbandono delle TV
al plasma da parte di Panasonic
la tecnologia è al capolinea:
già quest’anno Samsung Italia
aveva deciso, e non è stata la
sola filiale, di non importare più
TV al plasma, A questo punto,
ormai, resta sul mercato la sola
LG con prodotti di primo prezzo
destinati alle promozioni presso
la grande distribuzione.
Il plasma, oltre a non essere più
richiesto dai consumatori e con
una rendita davvero bassa per
chi lo produce, non si presta
neppure ad uno sviluppo tecnologico: davvero difficile fare un
plasma Ultra HD a basso consumo, meglio lasciare perdere.
È la fine del plasma, ma speriamo che coincida con l’inizio dell’era degli OLED.
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7 LUGLIO 2014
MAGAZINE
MOBILE La nuova versione di Android, che sarà rilasciata nel corso dell’anno, è la più grossa rivoluzione del S.O. di Google
Android L: una sola release per domarli tutti
Google gioca la carta pigliatutto: Android L da smartphone e tablet passerà gradualmente anche su auto, TV e computer
S
di Paolo CENTOFANTI

e per Apple l’arrivo di iOS 7 ha rappresentato
un cambio epocale per la sua strategia mobile,
un anno dopo è il turno di Google che tenta
la svolta con il nuovo Android L. Di fronte a migliaia
di sviluppatori, Google ha illustrato le potenzialità e
tutti i tentacoli del suo prossimo sistema operativo
che verrà rilasciato entro l’anno per gli utenti finali,
ma che gli sviluppatori potranno adottare e usare fin
da subito per i loro dispositivi.
Una scelta ovvia, anche perché la release “L” è probabilmente la più difficile da adottare per gli sviluppatori che costruiscono app per il sistema operativo
Google: dopo anni di incoerenza nel design delle
app ora Google cerca di dettare una via da seguire
con quello che viene chiamato “Material Design”.
La base è quella del Flat UI Design, ma ombre e
effetti aiutano a dare un senso di profondità all’interfaccia che così non si sviluppa solo nelle due dimensioni di base del piatto schermo. Una interfaccia
che si estenderà a tutto l’ecosistema Google, dagli
smartphone e tablet ai nuovi device come gli smartwatch, le auto, i Chromebook e il TV.
Google ha lavorato molto in questi ultimi mesi sul design e qualche nuova app prodotta proprio da Google
è già basata sulle nuove linee guida, che prevedono
anche un adattamento del font Roboto, migliorato
per adattarsi meglio a scalare su tutte le risoluzioni,
anche quelle più basse. Ora tocca agli sviluppatori:
sapranno realizzare app qualitativamente belle anche dal punto di vista del design e dell’interfaccia? Il
tempo c’è, anche perché è probabile che, come per
gli altri sistemi operativi,ci vorrà un po’ per vedere
L adottato su tutti i dispositivi. Android L conta oltre
5000 nuove api per gli sviluppatori e tantissime novità anche per gli utenti finali, che non si limitano solo
al restyling: le notifiche ad esempio sono più interattive, vengono ordinate non solo per cronologia ma
anche per importanza e soprattutto possono andare
in hover su applicazioni come giochi o video. Migliora anche la sicurezza: oltre al kill switch, per bloccare il dispositivo in caso di furto, Google ha anche
aggiunto un nuovo metodo di autenticazione basato
sulle specifiche di Bluetooth 4.0, ovvero la vicinanza
torna al sommario
con un dispositivo che può essere una smart tag o
uno smart watch. Lo smartphone si sblocca, quindi,
solo se è nei paraggi dello smartwatch e resta inaccessibile se lasciato ad esempio sul tavolo o lontano
dal suo proprietario.
Android L ha assimilato anche tantissime migliorie
da alcune apps e da alcuni tweaks pubblicati dalla
community sui vari forum: dai link si possono, ad
esempio, aprire direttamente le apps ed è stata implementata una nuova modalità a basso consumo,
che assicura fino a 90 minuti in più di autonomia spegnendo i servizi non essenziali, una cosa che ricorda
un po’ la Stamina Battery degli Xperia.
Cambiano anche le prestazioni: oltre a Chrome
Mobile, che gestisce animazioni a 60 fps, Android L
ha abbandonato il vecchio interprete Dalvik per passare a ART, che assicura prestazioni raddoppiate e
soprattutto supporta processori a 64 bit. Un cambio significativo, che permetterà una apertura più
rapida delle app e anche un consumo minore di
batteria, perché Android impiegherà meno tempo
Google I/O, Material design
a decompilare e interpretare il codice. Novità anche per chi sviluppa videogiochi: grazie all’Android
Extension Pack si potranno aggiungere ai giochi elementi grafici e effetti aggiuntivi per quei processori
che li supportano, un po’ quanto fatto fino ad oggi da
NVIDIA con le applicazioni su Tegra Zone. Il risultato,
almeno da quanto visto durante la presentazione, è
eccellente.
Android L, già scaricabile per gli sviluppatori, si
estende anche agli altri mondi Google, dal nuovo TV
all’auto.
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7 LUGLIO 2014
MAGAZINE
TV & VIDEO Il nuovo Android L potrà funzionare sui TV, anche come ricevitore Chromecast
Dal flop di Google TV nasce Android TV
Sony, Sharp e TPVision hanno già detto sì, LG e Samsung proseguono per la loro strada
G
di Roberto PEZZALI
oogle ci aveva già provato, ma i risultati non sono stati quelli sperati:
dei Google TV e dei set top box
Google TV non resta altro che un ricordo. Android TV torna ora al centro dell’attenzione con un nome nuovo e grazie
a Android L: non si tratta di un sistema
dedicato con piattaforma di app per i TV,
ma una declinazione del sistema operativo pensata apposta per il salotto. In realtà nel nuovo Android TV batte proprio
Android L, una release con aggiunto un
modulo per la gestione di tuner, ingressi
HDMI e altri accessori e funzionalità proprie di un TV, ma è chiaro che la parte
“media & apps” è quella su cui Google
punta. E qui, dopo gli errori del passato,
si attinge finalmente a Google Play con
tutte le sue app, che possono “scalare”
sul grande schermo grazie al design “liquido”.
Android TV è l’evoluzione dei TV basati
su Android già visti, come ad esempio quelli prodotti da TPVision e Haier.
TPVision è stata una delle prime aziende ad accettare la nuova piattaforma e
nel corso del prossimo anno, passerà a
Android su tutti i modelli smart. Una scelta che faranno anche Sony e Sharp, con
TV basati su Android e abbandono della
vecchia piattaforma smart. Google non
è riuscita, tuttavia, a catturare l’attenzione di chi con i TV riesce ancora a fare
numeri, ovvero LG e Samsung, ottimi
partner per la telefonia ma intenzionati a
proseguire per la loro strada per quanto
riguarda il TV. Tornando al nuovo sistema operativo Android TV, oltre a poter
eseguire tutte le app destinate all’enter-
tainment, funzionerà anche come ricevitore Chromecast e si potrà interfacciare
con diversi dispositivi, dai controller per
il gioco agli smartwatch. Android TV è
una bella sfida soprattutto per i produttori, che si apprestano ad abbracciare
una piattaforma che ha già fatto flop
una volta: sarà la volta buona? I primi TV
Android li vedremo solo nel 2015, anche
se probabilmente uscirà entro l’anno
qualche set top box con i quali si potrà
gustare in anteprima l’experience dei
nuovi TV pensati da Google.
MOBILE Android L introduce alcune interessanti innovazioni anche per quanto riguarda l’audio
Con Android L arriva l’audio ad alta definizione
Il nuovo S.O. di Google supporterà i 96kHz/24bit e la bassa latenza in ingresso (20ms)
di Emanuele VILLA
A

ndroid L dovrebbe portare novità
interessanti anche sotto il profilo
audio: a livello di puro ascolto, la
prossima versione di Android supporterà campionamenti fino a 96kHz/24bit.
Allo stato attuale, il core di KitKat effettua processing a 16bit, nonostante alcuni telefoni dal 2013 in poi dispongano di
DAC 24/96 e alcuni produttori (viene segnalato LG) abbiano modificato il kernel
proprio per ottenere il supporto per
l’audio ad alta definizione. Ma di fatto, si
tratta di personalizzazioni delle singole
aziende. Novità importanti anche per chi
è interessato agli aspetti di produzione
audio, da una semplice registrazione all’utilizzo del terminale come dsp per effetti in tempo reale e per la registrazione
da sorgente esterna. Uno dei problemi
di Android, migliorato con KitKat ma non
torna al sommario
del tutto risolto, è la
latenza in ingresso e
uscita: soprattutto in
ingresso, questa può
raggiungere anche i
600ms, rendendo di
fatto impossibile ogni
genere di produzione.
Android L porta con
sé un’accelerazione
sul processing audio
tale da portare il delay
in ingresso a circa 20ms, non propriamente zero ma comunque impiegabile
per la maggior parte degli usi, anche
di processing real-time. Da segnalare,
poi, un processo di resampling migliorato, operazione che si rivela necessaria
tutte le volte in cui il campione audio
da riprodurre non combacia perfettamente con i formati supportati dal DAC:
l’interpolazione lineare di Android KitKat
pare introdurre molti artefatti che si ripercuotono sulla qualità d’ascolto, mentre il
resampler di Android L è stato riscritto
dalle fondamenta proprio per evitare
introduzioni nocive sull’audio originale.
Oltre a questo, vengono segnalati miglioramenti sul sync audio e video, che
fino a KitKat potevano raggiungere anche i 100ms, ed è stato introdotto ufficialmente l’USB audio.
La fotocamera
di Android L
scatterà in RAW
Si apre un nuovo
capitolo per
la fotografia
da smartphone
Le funzionalità
del sistema operativo
permetteranno
di realizzare app
più professionali
di Andrea ZUFFI
Gli appassionati di fotografia
con smartphone non potranno
che gioire per le importanti novità annunciate con Android L per
il comparto foto. I dispositivi che
vedranno la luce con la versione
L di Google OS avranno infatti
applicazioni che consentiranno
il controllo manuale di tutti i parametri più significativi. Merito
della nuova API Camera2, che
permetterà agli sviluppatori di
realizzare app molto più evolute
di quelle viste finora.
Le nuove app daranno all’utente
il controllo manuale di parametri quali il tempo di esposizione,
la messa a fuoco, l’innesco del
flash, il bilanciamento del bianco, la stabilizzazione.
Altro punto di svolta sarà il
supporto nativo del formato
DNG (RAW). Con la nuova API
sarà infatti possibile catturare
assieme allo scatto in JPG o
PNG, anche l’immagine RAW
bypassando tutti gli algoritmi di
ottimizzazione presenti su buona parte degli smartphone attuali, quasi sempre poco sofisticati.
Le app di fotografia per Android
L, inoltre, potranno “spremere” i
sensori e l’hardware dei dispositivi in realtime, senza dover
sottostare ad eventuali limiti imposti dal produttore: il risultato
sarà la possibilità, ad esempio,
di scattare foto in sequenza
settando gli FPS a piacere. E
a giovare delle novità non saranno solo gli smartphone, ma
anche le nuove generazioni di
fotocamere (Samsung e Nikon
ad esempio) che si avvarranno
di Android L.
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7 LUGLIO 2014
MAGAZINE
MOBILE Finalmente svelato il progetto con cui Google intende conquistare l’automobile
Google
sale
in
macchina
con
Android
Auto
Non è una nuova piattaforma ma un collegamento tra smartphone e il display della plancia
A
Al Google I/O è stato
presentato Google Fit
Il sistema è integrato
in Android L e monitora
tutte le nostre attività
di Paolo CENTOFANTI
l Google I/O 2014 è stato finalmente presentato il frutto della
Open Automotive Alliance, l’iniziativa che Google ha creato con l’industria
automobilistica per portare Android alla
guida. Si chiama, guarda caso, semplicemente Android Auto, ma non è come
qualcuno poteva aspettarsi una vera e
propria nuova piattaforma. Si tratta di
qualcosa di molto simile a CarPlay di
iOS, cioè una nuova interfaccia grafica
che lo smartphone (e non il sistema di
bordo dell’automobile) è in grado di visualizzare sul display della plancia. Lo
smartphone, e con esso Android, prende
quindi il comando del sistema di intrattenimento dell’automobile, con un’interfaccia più pulita, semplice e che sfrutta
molto i controlli vocali. Android Auto si
appoggia infatti molto su Google Now,
con la capacità di visualizzare informazioni in modo contestuale a seconda di
quello che si sta facendo (o meglio dove
stiamo guidando). Buona parte della
presentazione è stata dedicata chiaramente a Google Maps, che proprio nell’auto trova il suo campo di applicazione
ideale, ma anche alla nuova interfaccia
di Roberto PEZZALI
semplificata di Play Music, capace però
di dare accesso, anche con i controlli vocali a tutte le funzionalità. L’interfaccia di
Android Auto è in grado di visualizzare
anche le notifiche dei messaggi in arrivo,
con lettura vocale dei messaggi e allo
stesso modo possibilità di rispondere
dettando il messaggio. Da quello che si
è visto, esattamente come per CarPlay,
anche con Android Auto lo smartphone
andrà collegato al sistema di bordo via
cavo e al momento Google rilascia un
SDK per lo sviluppo delle applicazioni
con supporto ad Android Auto con due
set di API: riproduzione audio (quindi per
app di streaming musicale ad esempio)
e di messaggistica, per sfruttare il sistema di notifica e di risposta vocale anche in applicazioni di terze parti. Google
promette che la prima auto compatibile
Android Auto uscirà dalle fabbriche entro la fine dell’anno e ha mostrato l’ampio
supporto ottenuto dall’Open Automotive
Alliance, con una lista praticamente di
tutti i principali marchi automobilistici, ma
anche di importanti nomi dell’elettronica
di consumo (Alpine, Clarion, Kenwood,
Pioneer e tanti altri).
MOBILE Google tende la mano al mondo business con un sistema integrato nei nuovi prodotti
Android For Work: stesso telefono per casa e lavoro
Aumenta la sicurezza e permettere ai dati personali di coesistere con quelli professionali
D
di Massimiliano ZOCCHI

urante il Google I/O, Big G ha
presentato Android For Work,
un sistema che sarà integrato
in Android L, che permetterà la coesistenza di dati personali e professionali
sullo stesso device. Decisiva, in questo
caso, la collaborazione di Samsung:
Android For Work integra, infatti, il
core di Samsung Knox, sistema della
casa coreana creato proprio per la sicurezza dei dispositivi utilizzati in ambiente lavorativo. Google ha precisato
che i vantaggi dell’adozione della tecnologia sviluppata da Samsung sono
molteplici, primo fra tutti il fatto che al
momento è l’unica esistente, ponendo
di fatto le basi per un futuro standard.
Inoltre, le applicazioni che già sono
predisposte per Samsung Knox non
torna al sommario
Anche Google
ti vuole in forma
Ecco Google Fit
necessitano di modifiche, se non in
minima parte, rendendole immediatamente compatibili.
Tramite il sistema studiato dai due
partner, non sarà necessario creare
due ecosistemi differenti e distaccati,
ma le app potranno separare e distinguere i dati personali da quelli profes-
sionali, rendendo tutto più semplice e
fluido. I principali produttori integreranno la piattaforma nei nuovi modelli,
ma se avete un vecchio smartphone
Google ha pensato a un aggiornamento (o a un’app apposita, non è ancora
chiaro) per i device con a bordo almeno Ice Cream Sandwich.
L’incredibile successo dei device
indossabili, e di tutta la schiera di
applicazioni che ne consegue, ha
attirato l’attenzione dei principali
brand, Google compresa, che
per non perdere terreno nei confronti dei concorrenti ha presentato Google Fit.
Ma di cosa si tratta? In pratica,
come già visto in sistemi analoghi
della concorrenza, Google Fit è
un Hub software che raccoglie
tutte le informazioni sulla salute,
sul fitness e le attività motorie dell’utente, raggruppando dati derivanti da altre applicazioni dedicate e, ovviamente, dai wearable
device. È quindi una piattaforma,
non una semplice app. Per far ciò
Big G ha messo in piedi una collaborazione con i principali nomi
del settore, sia per quanto riguarda le app, sia per quanto riguarda
l’hardware e i sensori necessari
alle misurazioni, coinvolgendo
realtà come Nike, Adidas, Polar,
Intel, LG, ma anche basandosi
sulle app più conosciute come
Runtastic, RunKeeper o Noom.
Ellie Power, product manager di
Google, ha precisato che si tratterà di un sistema integrato nella
nuova release Android L, che permetterà di consultare ogni dato,
metrico o statistico, senza accedere ad applicazioni di terze parti.
Questo grazie ad un unico set di
API disponibili nell’SDK, che verrà
rilasciato a breve, così da rendere
i dispositivi e i software di terze
parti compatibili e connessi al
nuovo ecosistema.
n.93 / 14
7 LUGLIO 2014
MAGAZINE
MOBILE L’obiettivo di Google è quello di ottenere coerenza di utilizzo sui vari dispositivi
Google come Apple, sceglie lo stile “flat”
Wear, Auto e TV non si personalizzano
Non ci sarà libertà di personalizzazione per Android TV, Android Wear e Android Auto
I produttori non potranno toccare nulla del S.O., ma solo produrre hardware compatibile
di Roberto PEZZALI
l nuovo linguaggio visivo di Google,
il Material Design, è stato uno dei
protagonisti del recente Google I/O.
Google, per la prima volta, ha spinto sull’acceleratore per riuscire a raggiungere
quella coerenza stilistica tra applicazioni e servizi, da sempre uno dei punti di
forza di Apple. Google adotterà il nuovo
stile “flat” su tutte le declinazioni del suo
prossimo sistema operativo Android L,
non solo tablet e smartphone ma anche
TV, smartwatch e auto. Android Wear,
Android Auto e Android TV saranno accomunati non solo dal “core” Android ma
anche dall’aspetto e dall’interfaccia, elemento importantissimo per permettere ai
consumatori di adattarsi senza problemi
a device di svariate marche senza dover
lottare con interfacce diverse. Rispetto a
quanto succede, però, con Android per
smartphone e tablet, i produttori partner
di Google per i nuovi servizi non avranno libertà di personalizzazione se non
l’installazione di applicazioni dedicate differenti, scelta anomala e controtendenza
per Google che ha fatto della personalizzazione il suo cavallo di battaglia. A dare
l’annuncio è David Burke, direttore dello
sviluppo software di Google: “Wear, TV e
Auto saranno progetti gestiti direttamente da Google e non verranno lasciate
libertà ai produttori per quanto riguarda
I
funzionalità, skin o interfaccia”. Questo vuol dire
che tutti gli Android Wear
saranno uguali nel funzionamento, con un’esperienza
d’uso coerente e differenze
minime legate all’hardware:
nel caso degli smartwatch G
Watch e Gear Live, ad esempio, la differenza principale
è la presenza di un sensore
di battito cardiaco sul Samsung con relativa app. Una
scelta molto “Apple”, con la
differenza che Apple produce i suoi dispositivi mentre Google si
affida a partner esterni che potrebbero
non essere così felici nel dover tenere
un’interfaccia e un’esperienza identica
a quella dei competitor. Non è un caso,
probabilmente, che Samsung e LG non
abbiano abbracciato il programma Android TV: troppe le limitazioni imposte da
Google, con il rischio di TV identiche tra
loro nel funzionamento e difficili da differenziare a livello di marketing.
Il lavoro di Google sul “design” dell’interfaccia utente rischia di creare anche
qualche problema con smartphone e
tablet: la nuova interfaccia Flat e il nuovo
visual kit di Google spingeranno gli sviluppatori a creare applicazioni con uno
stile coerente a quanto fatto vedere da
Google stessa, ma quanto fatto vedere
da Google probabilmente non sarà sulla
maggior parte degli smartphone in vendita: Samsung, HTC, LG e Huawei hanno interfacce personalizzate che poco
hanno a che vedere con quanto fatto da
Google. Chi potrà godere della nuova
interfaccia Google? Probabilmente i produttori minori, che usano android stock, e
i device Nexus. La scelta fatta da Google
è particolare: blindare tutto evitando che
i produttori mettano mano a Wear, TV e
Auto è un comportamento da Apple, ma
questa scelta vuole anche dire aggiornamenti veloci, niente frammentazione e
un maggiore controllo. Tutto cose buone,
ma gli appassionati della customizzazione potrebbero non capirlo.
Sony è stata la prima a rilasciare Android 4.4.4
Il nuovo firmware è disponibile per gli smartphone Sony Xperia Z1, Z1 Compact e Z Ultra
S

ony ha cominciato a rilasciare l’aggiornamento ad Android
KitKat 4.4.4 per alcuni dei suoi terminali, a meno di 10 giorni dal rilascio di
Google. Il nuovo firmware 14.4.A.0.108
è disponibile per gli smartphone Sony
Xperia Z1, Xperia Z1 Compact e Xperia
Z Ultra e introduce gli ultimi fix per bug
e problemi di sicurezza introdotti nel-
torna al sommario
l’ultima versione di Android, tra cui la
sostituzione della libreria OpenSSL in
cui erano state evidenziate criticità non
da poco.
L’aggiornamento, oltre ad allineare gli
smartphone con l’ultima versione disponibile di Android, introduce anche
dei miglioramenti per quanto riguarda
l’interfaccia personalizzata di Sony, tra
cui una “aggiornata e migliorata esperienza d’uso per la fotocamera”, e le
Google apre lo store
con le applicazioni
per Android Wear
Al Day 1 ci sono
applicazioni per le
mappe, social network,
chat, notizie e...
compagnie aeree
di Emanuele VILLA
MOBILE L’aggiornamento ad Android KitKat 4.4.4 chiude i bachi di sicurezza di OpenSSL
di Paolo CENTOFANTI
Android Wear
Arrivano
le prime app
ultime versioni delle app Sony.
Nessuna informazione, invece, ancora
per quanto riguarda il modello più recente di Sony, l’Xperia Z2.
Con il lancio del primi smartwatch basati su Android Wear, Google ha inaugurato un canale ad
hoc all’interno del proprio Play
Store, nel quale è già possibile
dare un’occhiata all’offerta prevista per il day 1. C’è bisogno dell’app ufficiale Android Wear per
provvedere agli aggiornamenti
di sistema e per il pairing con il
proprio dispositivo (per la compatibilità, ricordiamo che essa
è assicurata solo per dispositivi
con Jelly Bean 4.3 e superiori),
dopo di che si può spaziare all’interno dell’offerta disponibile
e pensata per estendere le funzionalità dello smartwatch.
Tra le app già prevista ne troviamo
alcune
diffusissime,
quali Bandsintown, per essere
sempre informati sulle proprie
band preferite e, soprattutto,
sui concerti della propria zona,
ma troviamo anche le news di
The Guardian, gli immancabili
Google Maps e Hangouts e il
diffusissimo Pinterest. Per gli
appassionati e chi lavora nel
mondo della finanza è disponibile l’app di Thomson Reuters, c’è
un corso d’inglese, Talkray per
chiamate e chat, e le app ufficiali
di due “pesi massimi” nel mondo
delle compagnie aeree: Delta e
American Airlines. Per chi volesse estendere il discorso, lo store
aperto a questo indirizzo.
n.93 / 14
7 LUGLIO 2014
MAGAZINE
MOBILE Compatibilità con gli smartphone Android 4.3 o superiori che abbiano Bluetooth 4.0
LG G Watch con Android Wear a 199 euro
LG G Watch è uno dei primi tre dispositivi con Android Wear presentati al Google I/O
Lo smartwatch è disponibile in preorder da qualche giorno a 199 euro. Anche in Italia
L
di Roberto PEZZALI
G Electronics ufficializza anche
in Italia G Watch, uno degli attesi
smartwatch basati su Android Wear.
Insieme al nuovo Gear Live di Samsung,
G Watch sarà uno dei primi ad arrivare,
perché l’incredibile Moto 360 arriverà
solo più avanti nel corso dell’anno, presumibilmente a settembre.
“LG è una tra le prime aziende a vendere un device Android Wear. Nella fase di
sviluppo del nostro G Watch abbiamo
tenuto in mente il consumatore e realizzato un prodotto che potesse essere
un compagno essenziale e, ancor più
importante, semplice da usare”, ha affermato Jong-seok Park, presidente e CEO
di LG Electronics Mobile Communications
Company.
LG G Watch è potente quanto uno
smartphone di fascia media: all’interno,
infatti, troviamo uno Snapdragon 400
da 1.2 GHz affiancato a un display IPS
Always-On da 1.65 pollici a basso consumo. Anche se per un orologio l’abito è
quello che più conta (e qui forse Motorola può davvero fare il botto), G Watch
racchiude tutte le funzionalità di Android
Wear, quindi schermo sempre acceso
con l’ora visualizzata, connessione Bluetooth allo smartphone per gestire messaggi e chiamate in entrata e soprattutto
controllo dei dispositivi, dallo smartphone stesso alla TV.
Con la nuova interfaccia a schede basata
sul Material Design che contraddistingue
Android L, la nuova release di Android,
G Watch integra anche il riconoscimento vocale per la ricerca, la dettatura di
messaggi e l’aggiunta di appuntamenti
in agenda.
Il prezzo non è affatto male, 199 euro,
soprattutto se si considera che è
waterproof e dust proof (IP67), ha una
cassa in acciaio inossidabile e può essere personalizzato con qualsiasi tipo
di cinturino. Per gli avidi di altri dettagli
tecnici di G Watch si conosce la risoluzione dello schermo (280x280), la batteria
(400 mAh) e la memoria (4GB per le app,
512 MB di RAM): le dimensioni sono di
37.9x46.5x9.95mm e il peso di 63 grammi; connettività ovviamente Bluetooth,
giroscopio, accelerometro e bussola integrata e due colori, white e black. Una
parola, infine, sulla compatibilità, anche
se è quella di Android Wear: G Watch,
come gli altri smartwatch basati sullo
stesso sistema operativo, sarà compatibile con tutti gli smartphone Android 4.3
o superiori ovviamente con Bluetooth
4.0 a bordo. Nessuno, invece, ha parlato
di autonomia, e qualche dubbio a noi viene: uno Snapdragon 400 con 400 mAh
di batteria può durare più di un giorno?
Clicca qui per il video.
Windows Phone 8.1 per tutti entro metà luglio
Microsoft comunica tramite Twitter l’aggiornamento per i dispositivi Windows Phone 8
L

umia 630/635 e l’ormai prossimo
Lumia 930 sono i primi dispositivi
Windows Phone ad essere stati progettati per lavorare con la versione 8.1
del sistema Microsoft, release che come
sappiamo però sarà resa disponibile anche per tutti gli altri device già equipaggiati con una delle precedenti build 8.0.
Dopo numerose indiscrezioni sulle effettive tempistiche del rilascio, ora pare
essere arrivata una conferma definitiva
sulla data. Ad annunciare il tutto ci ha
pensato la divisione indiana di Micro-
torna al sommario
Al momento il suo nome
in codice è Robin e di lui
si sa ancora poco. Avrà
un display AMOLED,
un corpo molto sottile
e un prezzo accessibile
se confrontato con
quello dei suoi rivali
di Andrea ZUFFI
MOBILE WP 8.1 arriverà prima su Nokia Lumia 1020 e 925, poi sul 520, infine su tutti gli altri
di Vittorio Romano BARASSI
Asus prepara
lo smartwatch
ultra sottile
soft che, tramite Twitter, ha comunicato che
l’aggiornamento sarà
disponibile per tutti i
dispositivi entro la metà
del mese di luglio.
Gli utenti Windows
Phone 8 dovranno dunque attendere qualche
altro giorno prima di
mettere le mani sul nuovo sistema operativo (qui la nostra prova approfondita); nonostante non sia ancora ufficiale,
indiscrezioni parlano di un rilascio “graduale”: WP 8.1 arriverà prima sui Nokia
Lumia 1020 e 925, per poi diventare
disponibile su Lumia 520 - best seller
assoluto della gamma di smartphone
Nokia - e solo dopo su tutti gli altri dispositivi.
Anche il primo smartwatch di
Asus ha ora un nome. A rivelare
il codename, Robin, è un tweet
di @evleaks. Anche se non sono
disponibili informazioni ufficiali,
secondo le indiscrezioni circolate negli ultimi giorni Robin
avrà un display AMOLED e sarà
lo smartwatch più sottile della
categoria. Quest’ultima informazione, sicuramente a favore
di design ed ergonomia, desta
qualche perplessità sull’autonomia. Per saperlo, però, bisognerà attendere qualche mese.
Asus, infatti, non vorrebbe agire
in modo affrettato, ma piuttosto
lavorare al consolidamento degli sviluppi incentrati sul nuovo
Android Wear e iniziare la distribuzione in settembre. Inoltre,
come avvenuto per altri suoi dispositivi sul mercato, Asus starebbe puntando ad aggredire il
mercato con un prezzo più abbordabile rispetto ai competitor.
Con il G Watch di LG a 199 euro,
il Samsung Gear Live allo stesso
prezzo e l’elegante Moto360 il
cui prezzo ipotizzato sarà intorno ai 249 dollari, sarebbe una
bella sorpresa per i consumatori
trovare Robin a un prezzo che,
se i rumor saranno confermati,
dovrebbe essere compreso tra
i 99 e 149 dollari.
n.93 / 14
7 LUGLIO 2014
MAGAZINE
MOBILE Smartwatch con una dotazione hardware buona e un occhio di riguardo per il design
Arriva Samsung Gear Live con Android Wear
Samsung presenta ufficialmente il suo prossimo techno-gadget a tutto Android Wear
di Michele LEPORI
a famiglia “Gear” di Samsung accoglie un nuovo membro di tutto rispetto: Gear Live è il primo
smartwatch della casa coreana con
sistema operativo Android Wear ad arrivare sul mercato. Google, per bocca
del suo vicepresidente Sundar Pichai,
annuncia grandi cose in arrivo dalla
partnership con Samsung e questo
Gear Live è solo l’inizio: “… gli orologi
che montano Android Wear a bordo
vogliono essere i compagni ideali della nostra giornata, grazie alla loro batteria in grado di durare una giornata
intera e allo schermo luminoso che ne
garantisce la visibilità anche in piena
luce”. Gli fa eco JK Shin, CEO Samsung
e responsabile della divisione IT & Mobile: “… grazie alla lunga partnership
con Google, abbiamo tratto il meglio
L
da Android Wear e quello che può
offrire Samsung è un’esperienza che
solo Samsung stessa può dare. Insieme possiamo far crescere questa fetta
di mercato”.
A livello tecnico, lo smartwatch monta un display da 1,6” con risoluzione
320x320 con processore da 1,2 GHz,
512 GB di RAM e sensore della frequenza cardiaca racchiuso in una struttura di 9 mm di spessore e 59 grammi di peso. La comunicazione con gli
smartphone Android 4.3 Jelly Bean o
superiore è garantita da protocollo
Bluetooth e permette di visualizzare
notifiche, messagi e chiamate. Doppia
colorazione, nera e rossa, con la possibilità di usare qualsiasi cinturino sul
mercato, nel classico formato da 22
mm: una scelta che strizza l’occhio all’aspetto più fashion di questi disposi-
tivi e che non c’è dubbio contribuirà a
renderli più di uso quotidiano e meno
da “nerd”.
Prezzo di listino dello smartwatch
Samsung Gear Live di 199 euro.
Withings presenta Activité, l’orologio “smart”
Activitè è un orologio di classe, realizzato in Svizzera su specifiche di designer francesi
Ma è anche smart, è capace di registrare quello che facciamo e lo invia allo smartphone

L
torna al sommario
tura silver o nera e il
quadrante in zaffiro
assicura classe e resistenza. Il tutto accompagnato da un cinturino in vero cuoio. E
dove sarebbe smart?
Intanto oltre alle lancette principali ce n’è
un’altra, che invece
di segnare i secondi
(come in quasi tutti gli
orologi dell’universo)
serve a monitorare i
progressi
dell’utente
verso l’obiettivo fissato, obiettivo che
viene impostato tramite smartphone. In
pratica, Activité non ha display nascosti, effetti speciali, fotocamere e affini,
semplicemente i sensori interni (tra cui
l’accelerometro) permettono la misurazione di tutti i parametri delle più comuni fitness band: passi, distanza percorsa, calorie bruciate, anche la qualità
del sonno, oltre a fungere da sveglia
Smentendo le voci degli
ultimi mesi, un dirigente
Google ha affermato
che il brand Nexus
non verrà “cancellato”
dagli Android Silver
di Emanuele VILLA
MOBILE L’autonomia dell’orologio è di un anno e, al momento, il prezzo è di 390 dollari
di Emanuele VILLA
a prima critica che si muove agli
smartwatch in commercio riguarda
il design: abbiamo sempre considerato l’orologio come un oggetto
di stile, un complemento della nostra
personalità, un dispositivo tanto utile
quanto bello da vedere e da “vivere”.
Passare da un orologio raffinato a uno
smartwatch non è facile: va bene la
tecnologia, va bene il mondo smart,
ma a livello stilistico sembra (eccezioni
escluse) di essere tornati indietro, oltre
al fatto che un orologio a batteria dura
anni e uno smartwatch va ricaricato con
una frequenza simile (pur non la stessa,
a dire il vero) a quella di uno smartphone. Withings vuole risolvere la situazione proponendo uno smartwatch che ha
le sembianze, il look e la raffinatezza
di un orologio, e la cui autonomia è di
un anno: Activité. L’orologio è realizzato dalla collaborazione tra un team
di designer francesi e di produttori
svizzeri, la cassa è in acciaio con fini-
Nexus non deve
morire: parola
di Google
con tanto di vibrazione. Le rilevazioni
vengono ovviamente inviate a un’app
(per il momento iOS) che permette la
gestione dell’attività e l’impostazione di
percorsi di fitness personalizzati. Tutto
come gli altri smartwatch, solo che qui
non bisogna ricaricare nulla alla sera e
lo si può tranquillamente portare con
sé durante la cena di gala, certi di fare
bella figura. Il prezzo, al momento in
dollari, è di 390$.
Sono mesi che fonti più o meno attendibili sostengono che Google
sia in procinto di eliminare il brand
Nexus per concentrarsi sugli Android Silver, smartphone di terze
parti gestiti da Google sotto il profilo software. In pratica, i telefoni
della “serie” Android Silver avranno la medesima versione software (Android L?) e le stesse personalizzazioni a prescindere dal
produttore: Google potrà garantire un’esperienza utente analoga
e immediatezza di aggiornamenti,
senza dover attendere tutte le
modifiche custom da parte dei
singoli produttori. Ciò premesso,
e nonostante il progetto Android
Silver sia vivo e vegeto, parrebbe
che Google non sia intenzionata a
“uccidere” Nexus. Secondo Dave
Burke, responsabile tecnico per
Android e Nexus, la fine di questo
brand è stata una deduzione degli
utenti: in realtà, sostiene Burke,
“questa è una conclusione del
tutto sbagliata […] stiamo ancora
investendo in Nexus”. Intervistato
a proposito di Android Silver, il dirigente Google ha però preferito
glissare, dichiarando di non voler
ancora rilasciare dichiarazioni ufficiali sull’argomento. La certezza
è che a questo punto Nexus resisterà almeno ancora un anno, ed
entro fine 2014 potremo vedere
sia gli Android Silver sia i nuovi
Nexus: sarà poi un problema di
Google permetterne una coesistenza pacifica, per noi significa
un’estensione dell’offerta, e non
possiamo che esserne felici.
n.93 / 14
7 LUGLIO 2014
MAGAZINE
MOBILE Fidelys,oltre alle funzionalità degli smartwatch, offre riconoscimento dell’iride
Ecco lo smartwatch che ti riconosce se lo guardi
Una piccola fotocamera riconosce l’utente, sbloccando automaticamente alcune funzioni
di Emanuele VILLA
È
l’anno degli smartwatch, questo
è certo. Sony e Samsung l’anno
scorso con i Gear (poi replicati
quest’anno), ora tutti gli Android Wear,
un iWatch a breve e chissà quanti all’orizzonte; ciò nonostante, le idee più
innovative sembrano arrivare dai piccoli produttori indipendenti, da quelli
che per mettere il produzione il proprio
progetto hanno bisogno di una campagna di crowdfunding. È il caso di
Fidelys, uno smartwatch che all’apparenza ci ricorda il Moto 360, con quadrante tondo che richiama l’eleganza
di un orologio tradizionale unita alle
molteplici funzioni della “generazione
smart”: ma qui quello che conta non è
tanto il Bluetooth, l’NFC, le notifiche,
l’ora, il player musicale e le previsioni del tempo, quanto il fatto che per
sbloccarlo è sufficiente guardarlo. Sì,
perché all’interno della cassa c’è una
camera che fotografa l’iride dell’utente
e “immette” la rilevazione all’interno di
un sistema di riconoscimento biometrico. È in pratica l’evoluzione del sistema di riconoscimento delle impronte
che, dopo il successo di iPhone 5S e
Galaxy S5, ormai va tanto di moda. Ma
ci si domanda: a cosa servirebbe? A
sbloccare l’orologio, probabilmente, ma
si ipotizza anche che il riconoscimento
dell’iride “sblocchi” automaticamente
certi servizi dell’orologio o immetta
automaticamente password laddove
richiesto. Tanto che molti la stanno già
vedendo come la soluzione definitiva
alle mille mila password che ci portiamo dietro: possiamo dimenticarcele
senza problemi, tanto alla fine basterà
guardare lo schermo per entrare in siti
protetti e aree riservate. Ecco perché
l’idea è sì di partire con uno smartwatch, ma poi di estendere la tecnologia
di IriTech a tanti altri dispositivi, tra cui
PC, telefoni e tablet. Curiosamente,
infine, lo smartwatch non è touch ma
si controlla ruotando la cornice e il sistema operativo è proprietario, il che
assicura (tra l’altro) compatibilità con
Android, Windows Phone e, prossimamente, anche con iOS.
Qui un video che svela le principali caratteristiche di questro particolare smartwatch
Anche
in
Italia
ora
si
può
dire
“Ok
Google”
Con la fatidica frase è possibile lanciare la ricerca e i comandi vocali in Google Now
A
di Paolo CENTOFANTI

torna al sommario
Si chiama Pelty ed è
italiano il diffusore
Bluetooth che usa come
energia il calore della
fiamma di una candela
di Roberto FAGGIANO
MOBILE Google aggiorna l’app di ricerca, la frase “Ok Google” è disponibile anche in italiano
Il comando “Ok Google”, diventato simbolo soprattutto dell’utilizzo dei Google Glass, ora è disponibile anche in italiano. Con il lancio
della versione 3.5.15 dell’app di ricerca, Google ha infatti attivato la frase
chiave anche dispositivi Android con
lingua di sistema italiana: basta aprire
Google Now e dire “OK Google” affinché lo smartphone o il tablet si metta
automaticamente in modalità ascolto,
pronto per accettare altri comandi vocali. È possibile effettuare ricerche sul
web, in alcuni casi anche in linguaggio naturale (ad esempio “trovami un
ristorante” o “che tempo fa”), ma anche avviare app con il comando “apri”,
oppure effettuare azioni come inviare
una mail, un messaggio, creare un pro-
Pelty, il diffusore
che va a candela
memoria (“ricordami di”), un evento in
calendario e così via.
Da notare che Ok Google funziona unicamente dalla finestra di Google Now
o - per chi non ha attivato l’assistente
di Google - cliccando prima sul widget
della barra di ricerca. Non è quindi ancora disponibile la funzione “sempre
in ascolto”, che permette di accedere
ai controlli vocali in qualsiasi momento
e da qualsiasi schermata del telefono
proferendo la frase magica.
L’idea è enuta a Gianluca Gamba:
un diffusore che se ne può stare
al centro del tavolo perché sfrutta
come energia il calore della fiamma di una candela, senza fili o batterie. Il diffusore si chiama Pelty, è
realizzato in Italia ed è al momento un progetto lanciato su un sito
di crowfounding ma dovrebbe
essere pronto per il prossimo
novembre. Il nome del diffusore
non è casuale perché il principio
fisico che crea l’energia parte da
Charles Peltier, un fisico francese
del 1800 che scoprì come una
corrente fatta passare tra due metalli genera calore. Da qui l’effetto
opposto - detto di Seeback - sul
fatto che una notevole differenza
di calore tra due metalli crea energia elettrica. Il Pelty è un oggetto
molto ben rifinito, in ceramica e
vetro, facile da collocare ovunque e bello anche quando non è
in funzione. La base in ceramica
ospita un lumino, quelli comunemente usati per gli scaldavivande, appena sopra la fiamma c’è il
collettore di calore metallico che
alimenta il sovrastante diffusore e il relativo amplificatore. Una
copertura in vetro protegge la
fiamma e convoglia aria e calore
verso l’alto. Il collegamento verso
smartphone e tablet avviene tramite Bluetooth; nel prototipo è utilizzato un altoparlante da 7,5 cm
con amplificatore da 12 watt. Non
solo il progetto ma anche le parti
in ceramica e vetro sono realizzate in Italia. Clicca qui per il video.
n.93 / 14
7 LUGLIO 2014
MAGAZINE
MOBILE Complice il presunto avvio della produzione, si intensificano i leak sul iPhone 6
iPhone
6:
torna
l’ipotesi
del
display
curvo
Nikkei pubblica le foto dei mockup, 9to5mac fa un incontro ravvicinato con la cover frontale
A
di Emanuele VILLA
vvicinandosi la fatidica data di
lancio (fine settembre, presumibilmente), il mondo dell’informazione tecnologica è letteralmente
invaso da notizie riguardandi l’iPhone 6:
chi propone foto di componenti, chi caratteristiche più o meno attendibili, chi
porta avanti un discorso più generico e
cerca di capire, al di là di alcuni aspetti
ormai noti, come si presenterà il prodotto
finito.
È il caso di Nikkei, che ha pubblicato sul
proprio sito web una gallery di mockup
che svelano (qualora autentici) alcuni dei
dettagli di design della prossima generazione di telefoni Apple: il rumor è interessante poiché diverse fonti ritengono che
proprio in questi giorni i produttori asiatici abbiano iniziato la fabbricazione dei
due iPhone che vedremo dopo l’estate.
Certamente alcune cose non sono definitive: il pulsante home sembra piccolo
se paragonato a quello di iPhone 5S e
non combacia perfettamente, così come
il display. Nikkei torna, di conseguenza, sull’ipotesi che iPhone 6 abbia un
display leggermente curvo per amalgamarsi perfettamente con il case in alluminio. Esclusa, comunque, la possibilità
che tutto il telefono sia concavo come i
modelli presentati recentemente da LG e
Samsung. I mockup visti di profilo dimostrano quello di cui si parla da settimane:
il design di iPhone 6 sarà più sottile e
“morbido” rispetto a quello delle ultime
due generazioni e la disposizione di tasti
e connettori sarà sostanzialmente analoga. Una sola differenza rilevante: il tasto
di accensione/stand by non sarà più sul
profilo superiore ma di fianco, vicino allo
slot nano SIM.
Dotazione di tutto
rispetto e prezzo
competitivo per il nuovo
smartphone Huawei
con display retina
da 5 pollici
di Andrea ZUFFI
Dal canto suo, 9to5Mac ha pubblicato
una gallery di foto relative alla cover
frontale dell’apparecchio, foto che sostanzialmente confermano tutte le indiscrezioni degli ultimi mesi: display ampio, due versioni, rigorosamente piatto.
L’unica novità meritevole di menzione è
la presenza di una nuova feritoia di fianco all’altoparlante, che presumibilmente
dimostra il riposizionamento della fotocamera frontale o il sensore di prossimità.
MOBILE Non è ancora uscito il Sony Z2 Compact e in molti sospettano che non arriverà mai
Sony Xperia Z3 e Z3 Compact arriveranno all’IFA
In rete le foto di Xperia Z3 e Z3 Compact, che l’azienda dovrebbe presentare a Berlino
C
di Emanuele VILLA

om’è noto, il rinnovamento di tablet è smartphone segue di solito una cadenza annuale. Ma non
in casa Sony, che è solita andare ancor
più veloce: dopo Z1 è arrivata la versione Compact, poi è comparso Z2, del
quale stiamo ancora attendendo l’analoga versione compatta. Ora, però, si
parla già di Z3, con tanto di foto dei primi mockup. Se i rumor degli ultimi giorni dovessero rivelarsi attendibili, Sony
presenterà a IFA 2014 (5-10 settembre)
addirittura Z3 e Z3 Compact, abbandonando nel dimenticatoio Z2 Compact,
che non vedrà mai la luce.
Nulla più che un rumor, che va preso
per quel che è, ma a ben pensarci
avrebbe senso: Sony è stata criticata
lo scorso anno per aver presentato
Z2 a un mese di distanza (o poco più)
da Z1 Compact, che sarà pure potente, ma che rappresenta comunque un
torna al sommario
terminale
della
generazione precedente. Plausibile, dunque, il fatto
che Z2 Compact
non veda mai la
luce, ma che le
2 versioni di Z3
(normale e Compact)
vengano
presentate contemporaneamente, approfittando
appunto di una
fiera importante
come quella di
Berlino. Dalla foto
sembrerebbe che Sony abbia deciso di
ridurre enormemente lo spessore della
cornice, allineandosi in questo modo ai
competitor coreani e soprattutto a LG,
che con G3 ha reso davvero millimetrica la distanza dal display al confine
Huawei
Ascend G630
Display 5 pollici
per 199 euro
del telefono. Troppo presto per ipotizzare caratteristiche tecniche, ma le dimensioni del display sembrano di fatto
ricalcare quelle di Z2, per cui è plausibile che anche Sony si avventuri nel
Quad HD. Staremo a vedere…
Huawei arricchisce la sua gamma
di dispositivi mobili presentando
Ascend G630, uno smartphone
Android dal design essenziale e
sottile (8,1 mm), caratterizzato da display da 5” con tecnologia IPS 295
PPI e risoluzione 1.280 x 720 pixel.
Il processore è un Qualcomm
MSM8212 quad-core da 1,2 GHz,
con 1 GB di RAM e capacità di
storage di 4 GB, espandibile fino
a 32 GB tramite scheda Micro SD.
Il sistema operativo è Android, qui
nella versione 4.3 con interfaccia utente Emotion 2.0 UI Lite. La
connettività è affidata al modulo
3G, sono presenti le interfacce
Wi-Fi b/g/n, Bluetooth 4.0 e MicroUSB High Speed. Niente NFC.
La fotocamera principale da 8
Megapixel, con flash LED e autofocus, integra la funzione Audio
Control Mode che permette di
scattare fotografie con un comando vocale. Per le videochiamate
è presente sul lato frontale una
seconda fotocamera da 1 Megapixel. Ascend G630 dispone inoltre del sistema di amplificazione
Qualcomm Audio + Effect, che
garantisce un buon volume audio per l’ascolto di musica anche
senza cuffie. La batteria da 2000
mAh promette la classica giornata
di autonomia. Ascend G630 è già
disponibile in Italia, nei colori bianco o nero, al prezzo di 199€.
n.93 / 14
7 LUGLIO 2014
MAGAZINE
MOBILE I tablet Asus su cui si può scaricare Sky Go sono MeMO Pad FHD 10 LTE e MeMO Pad 10
Sky Go su tablet Asus, Samsung non più sola
Asus ha annunciato la partnership con Sky per portare Sky Go sui suoi tablet Android
Solo due modelli, ma ora Samsung non è più sola. A quando una maggiore apertura?
A
di Roberto PEZZALI
sus ha raggiunto un accordo
con Sky per portare Sky Go su
alcuni modelli di tablet, per la
precisione l’Asus MeMO Pad FHD 10
LTE (ME302KL) e l’Asus MeMO Pad 10
(ME102A). Una scelta questa che permetterà a Sky Go di aumentare il bacino di utenti, anche se solo due modelli della vastissima famiglia Asus forse
rappresentano una piccola nicchia del
potenziale che la partnership tra Asus
e Sky poteva offrire (il Nexus 7?).
“ASUS è da sempre attenta ad assicurare ai propri utenti esperienze ricche,
avvincenti e soddisfacenti nell’utilizzo
dei propri prodotti. Per questo motivo
siamo estremamente lieti della collaborazione con Sky che ci consente
di offrire ai quasi 80.000 utenti della
nostra gamma di tablet MeMo Pad
MOBILE
Il nuovo iPod
Touch 16 GB
a 209 euro

Apple ha annunciato una nuova
versione dell’iPod Touch più economico, quello con memoria da 16 GB,
che ha ora le stesse caratteristiche
di quelli da 32 e 64 GB, con fotocamera posteriore da 5 MP e disponibilità in 6 colori diversi (rosa, giallo,
azzurro, argento, grigio siderale).
Le altre caratteristiche rimangono
invariate: processore A5 e display
Retina da 4’’. La vera novità è forse
il prezzo, visto che l’iPod Touch da
16 GB costa ora 209 euro, ma anche
gli altri due modelli già a listino
hanno subìto un sensibile taglio dei
prezzi. L’iPod Touch da 32 GB costa
ora 259 euro (prima 329 euro), mentre il modello da 64 GB passa a 309
euro, contro i 439 euro.
torna al sommario
Microsoft e
Nokia credono in
Android: ecco X2
Confermate le
indiscrezioni sul
nuovo smartphone
Nokia-Microsoft con il
robottino a bordo:
X2 è realtà e porta con
sé anche la tecnologia
dual-SIM e un ventaglio
di colori
di Michele LEPORI
10 il meglio dell’intrattenimento SKY
offerto dal servizio in mobilità” commenta Manuela Lavezzari, direttore
marketing di ASUS Italia.
Per scaricare Sky Go sul proprio tablet,
i clienti Asus dovranno passare dallo
store dedicato ASUS Plus, disponibile
sul Play Store di Google. Con l’arrivo
di Asus, Samsung non è più quindi
la sola azienda del mondo Android a
proporre Sky Go come applicazione,
e forse sarebbe ora di allargare ulteriormente l’utenza anche verso altri
produttori.
MOBILE Skype è dunque controllabile con comandi vocali
Skype per Windows Phone 8.1
Ora la app funziona con Cortana
S
di Paolo CENTOFANTI
kype aggiorna la sua app per Windows Phone 8.1 con l’integrazione con
Cortana. Diventa possibile controllare l’app in modo completo con comandi
vocali in linguaggio naturale.Una delle principali nuove funzionalità di Windows Phone aggiunte con l’aggiornamento 8.1 è sicuramente Cortana, il sistema di
controlli vocali in linguaggio naturale di Microsoft. Cortana è stato aperto anche ad
applicazioni di terze parti e una delle prime a sfruttare questa possibilità è Skype.
Con il nuovo aggiornamento dell’app, infatti, Skype è ora completamente controllabile con comandi vocali, anche senza aprire direttamente l’app. Per chiamare un
contatto con Skype basterà, infatti, dire a Cortana qualcosa del tipo “chiama tizio
con Skype”, questo almeno quando l’assistente vocale verrà reso disponibile anche
in italiano. Ricordiamo, infatti, che al momento Cortana funziona unicamente
in inglese e impostando in
questo modo la lingua di
sistema di Windows Phone 8.1. Potete leggere la
nostra prova completa
di Windows Phone 8.1 per
tutti i dettagli su Cortana
e le altre novità dell’ultima
versione del sistema operativo mobile di Microsoft.
Ne avevamo già parlato, e ora
Microsoft e Nokia lo annunciano
ufficialmente: Nokia X2 è realtà,
segno che a Redmond credono
nelle potenzialità di Windows
Phone senza perdere di vista
la popolarità e la penetrazione
di mercato dell’OS di Google.
Con la prima generazione di X,
Microsoft e Nokia hanno fuso la
veste grafica di Windows Phone
e dei servizi Microsoft con le potenzialità d’uso di Android: una
scelta che il mercato ha accolto
tiepidamente ma che ha spinto
il colosso americano a provarci
nuovamente con un terminale
che farà del prezzo entry level
(99 euro) e di colori lucidi quali
verde, arancione e nero (giallo,
bianco e grigio a breve) due armi
importanti per ottenere favori del
pubblico e quote di mercato.
A livello tecnico, l’X2 conferma i
rumors: schermo da 4,3”, processore dual-core da 1,2 GHz e 1 GB
di RAM che non fanno gridare al
miracolo rispetto al modello precedente ma che gli utenti sperano possa far fare un salto di qualità nell’esperienza d’uso, che sul
primo X mancava soprattutto di
reattività nel passaggio fra le app
in multitasking. L’arrivo sul mercato europeo (e italiano) è previsto
per il prossimo luglio.
Clicca qui per il video.
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7 LUGLIO 2014
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MOBILE Abbiamo provato rapidamente il nuovo Surface Pro 3: la realizzazione è impeccabile. Prezzo a partire da 819 euro
Surface Pro 3, le nostre prime impressioni d’uso
Il competitor diretto è il Macbook Air, ma Microsoft è fermamente convinta di avere qualche freccia in più al suo arco
M
di Roberto PEZZALI
icrosoft ha presentato in Italia Surface Pro 3
e, con qualche settimana di ritardo rispetto
ai colleghi americani, siamo riusciti a mettere le mani per qualche minuto. Il nuovo “laptop
replacement” made in Redmond è per Microsoft il prodotto della svolta, almeno per quanto riguarda la gamma Surface: dopo aver vacillato tra il Surface consumer
(quello con Windows RT) e il Surface Pro l’azienda ha
finalmente capito che forse è quest’ultimo il ramo dal
quale trarre più soddisfazioni. Microsoft è particolarmente ambiziosa a riguardo, lo stesso Luca Callegari,
Direttore Marketing di Surface per l’Italia, ci confida che
il prodotto messo nel mirino è il Macbook Air di Apple.
Professionisti, creativi, utenti evoluti: il target di Surface
Pro 3 è abbastanza ampio e abbraccia tutti coloro che
desiderano portabilità, leggerezza, flessibilità e, ovviamente, necessitano di Windows come sistema operativo, per la precisione Windows 8.1 Pro.
Surface Pro 3 resta un tablet, ma grazie ad una serie
di accorgimenti, come la tastiera con blocco magnetico e il kickstand, Microsoft ha cercato di proporre la
migliore esperienza notebook possibile, con possibilità
quindi di digitare con il tablet appoggiato ad un piano
o anche sulle gambe.
Leggero e ben costruito
Con Surface Pro 3 Microsoft ha fatto un lavoro eccezionale dal punto di vista costruttivo e sicuramente
non ha lesinato gli sforzi: leggerezza e robustezza si
ottengono investendo sui materiali e basta guardare le
cerniere del kickstand e la lavorazione del cabinet in
magnesio per capire il motivo di un prezzo che è quasi
triplo rispetto a quello di un normale tablet. Lo spessore di soli 9.1 mm e il peso di 800 grammi lo rendono
facilmente trasportabile, anche se non è leggerissimo
da tenere sospeso con una mano sola. Lo schermo da
12” in formato 3:2 restituisce una ampia area di visualizzazione per la fruizione di web e app e, se a prima
vista ci spaventava la risoluzione molto elevata (2160 x
1440 pixel), dobbiamo ammettere che sia il desktop sia
le app più usate (anche la suite Adobe nella sua ultima
versione grazie al supporto HiDPI) si presentano godibili e funzionali, senza tasti troppo piccoli e con una
buona area di schermo sfruttabile.
Non siamo riusciti, ovviamente, a provare l’autonomia:
Microsoft dichiara 9 ore di navigazione web, ma sicuramente con un uso più “creativo” (rendering, visione
video, gaming) l’autonomia scende di qualche ora.
Le performance ci sono sembrate molto buone sulla
versione base, aspetto tutt’altro che scontato considerando il numero di pixel che la scheda video integrata
deve gestire. La configurazione scelta, comunque, impatta sulle prestazioni del sistema.
Ottima la penna, pratica la tastiera

Tra i punti che più abbiamo apprezzato di Surface Pro 3
ci sono la nuova penna e la tastiera. La penna è sta-
torna al sommario
video
lab
ta rinnovata nel design e nella distribuzione dei pesi:
sembra di tenere in mano una vera penna a sfera,
con il giusto bilanciamento e un buon grip. Premendo
il tasto nella zona superiore si accede direttamente a
One Note, mentre il supporto per le altre app sarà integrato più avanti. Dalla penna ci aspettavamo una minore sensibilità rispetto a quella del modello precedente,
che aveva un digitalizzatore a 1024 punti di pressione
(quella nuova ne ha solo 256), tuttavia in ambiente
One Note sembra che la reattività e la precisione siano
addirittura migliori, con una scrittura quasi analogica.
Buona anche la tastiera: il doppio aggancio è effettivamente stabile, ma un notebook offre comunque una
impressione diversa, soprattutto se dobbiamo tenerlo
sulle gambe. La nuova cover ha comunque il touchpad
cliccabile, una superficie maggiore e tasti leggermente
più ampi che facilitano la scrittura: dopo aver provato
a digitare un breve testo possiamo dire che effettivamente la tastiera restituisce un feedback simile a quello delle tastiere piatte usate sui migliori ultrabook.
Prezzo alto, ma il target è Apple
Resta il prezzo: si parte da 819 euro per la versione con
processore Core i3 e 64 GB di SSD, ma visto l’ingombro del sistema operativo consigliamo di stare almeno
sul modello con Core i5 e 128 GB di SSD, per il quale
servono però 1019 euro. A questo vanno aggiunti il costo della penna (54,99 euro) e della cover (134,99 euro)
per un totale di circa 1200 euro.
Considerando il prezzo del Macbook Air da 13” con
128 GB di SSD, 1029 euro, si può dire che i prodotti
sono “allineati”: Surface offre uno schermo touch, un
display a risoluzione maggiore e la possibilità di uso
come tablet, il Macbook, risponde con uno schermo
leggermente più ampio, maggiore autonomia ed una
tenuta migliore del suo valore nel tempo. Come “gift” a
chi preordina Surface Pro 3 Microsoft regala una copia
di Office 365 Personal: il tablet sarà disponibile in Italia
a partire dal 28 agosto, pronto per il “back to school”.
Il kickstand è robusto e ha regolazioni quasi infinite.
Ottima la gestione della penna, nonostante in realtà
utilizzi soli 256 livelli di pressione.
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MOBILE Per la prima volta il display super AMOLED su un tablet Samsung, il design riprende quello del Galaxy S5
Preview Galaxy Tab S, il display è la marcia in più
Con Galaxy Tab S, nuovo premium tablet, Samsung sfida il predominio dell’iPad. Sarà lui il nuovo campione dei tablet?
di Roberto PEZZALI
arrivato nei negozi italiani Galaxy Tab S, l’ultima
fatica di Samsung in fatto di tablet. Due modelli,
che vedono per la prima volta al debutto il display
super AMOLED su un tablet dell’azienda coreana. Un
esperimento era già stato fatto con il Galaxy Tab 7.7, ma
è la nuova gamma S a riportare l’attenzione sulla necessità di un display di qualità su un dispositivo come il
tablet dove il display è praticamente tutto.
È
video
Un Galaxy S5 fatto tablet
Con Galaxy Tab S Samsung ha trasformato in tablet il
Galaxy S5: dalla finitura posteriore ai materiali usati (la
solita plastica) il tablet S ricorda molto lo smartphone
top di gamma, nel bene e nel male. Qualcuno potrebbe preferire un tablet più solido (iPad o Xperia Tablet
Z2), ma tolti i materiali il tablet Samsung ha i suoi validi
argomenti di vendita. Tra questi il peso e lo spessore
davvero ridotti, oltre a un buon grip che permette di
afferrare senza problemi con una mano il prodotto. I
due modelli, uno da 8.4” e uno da 10.5”, sono praticamente identici, e la cosa vale anche per la risoluzione
del display che per entrambi è pari a 2560x1600 pixel,
situazione che pone il modello più piccolo in vantaggio
per definizione dello schermo.
Samsung ha deciso di distribuire in Italia solo i due modelli LTE 4G (che permettono anche di telefonare) al
prezzo di 499 euro e 599 euro, prezzi allineati al mercato dei tablet top di gamma con un occhio ovviamente
all’iPad, che nella sua versione Air Wi-Fi + Cellular costa
599 euro, come il Galaxy Tab S. Dal Galaxy S5 i tablet
ereditano anche qualche componente hardware come
il sensore fingerprint (stessa logica dello smartphone)
ma sono privi di sensore per il battito cardiaco.
Curiosa la scelta di Samsung per il processore: per la
prima volta arriva in Europa, e quindi in Italia, un tablet
con processore a otto core Exynos 5, il 5430. Siamo
davanti a un SoC con architettura bigLITTLE dotato di
quattro CPU A15 da 2.1 Ghz e di quattro CPU ARM A7 da
1.5, con GPU Mali Midgard dotata anche di decodifica
hardware HEVC. Un’ottima soluzione quest’ultima che
dovrebbe aiutare a gestire il display a elevata risoluzio-

La fotocamera è da 8 MP per entrambi, il “bollino” tondo è l’aggancio per la cover. Il retro ha lo
stesso pattern del Galaxy S5.
torna al sommario
SAMSUNG GALAXY TAB S DA 10.5”
lab
ne, affiancato per la parte audio da un co-processore
dedicato Cortex A5 denominato Seiren per la decodifica dei flussi audio. Il nuovo processore Samsung, costruito con tecnologia a 20 nanometri, è affiancato dal
modem Intel XMM7260 LTE Category 6 (300mbit/s), al
debutto su un prodotto consumer. Una scelta curiosa:
una soluzione basata sullo Snapdragon 800 sarebbe
stata più affidabile e sicura, ma quasi sicuramente la
decisione è più politica che tecnologica, con Samsung
che probabilmente vuole dimostrare a Qualcomm che
può fare a meno di lei. Speriamo che a rimetterci non
sia il consumatore (leggi scarso supporto negli aggiornamenti): le performance del tablet ci sono sembrate
davvero buone, anche se in alcune situazione una piccola lag è avvertibile, soprattutto sul browser. Servirà
un test più approfondito con un software più maturo
per trarre conclusioni. La potenza c’è, quello che manca forse è un po’ di ottimizzazione.
Il display è davvero bello (e preciso)
Il punto di forza del Galaxy Tab S è il display, un piccolo
capolavoro di tecnologia che grazie all’eliminazione
Il display è davvero ottimo, impossibile percepire
la retinatura, solo da una distanza super ravvicinata si vede la trama dei pixel.
SAMSUNG GALAXY TAB S DA 8.4”
della retroilluminazione (un AMOLED è self emitting)
riesce a mantenere lo spessore del tablet decisamente ridotto. I due display, nonostante la risoluzione, non
sono propriamente identici: quello da 8.4” è realizzato
utilizzando la tecnologia Diamond Pixel, una sorta di
PenTile che usa subpixel condivisi, mentre quello da
10.5” è un vero display RGB. In entrambi i casi è impossibile percepire la retinatura e quello che più si apprezza è la resa cromatica, a tratti forse troppo satura, ma
comunque precisa e fedele. Il display del Galaxy Tab S
è probabilmente uno dei migliori display mai prodotti
per tablet, e la conferma è arrivata anche da DisplayMate nelle scorse settimane. Con una serie di profili
colore preimpostati e una buona luminosità anche
alla luce del sole, il display AMOLED dei nuovi tablet
Samsung copre il 90% della scala colore AdobeRGB e
copre senza problemi sia sRGB che REC709, lo spazio
colore dei contenuti video HD.
A bordo si trova la suite completa di applicazioni
Samsung con interfaccia personalizzata, Magazine UX
e possibilità di multi window: i prezzi sono di 499 e 599
euro, prezzi premium ma comunque allineati a un mercato dei tablet di fascia alta dove un Xperia Tablet Z2
costa di listino 699 euro.
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7 LUGLIO 2014
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MOBILE Google ha annunciato alcune feature che avvicinano i Chomebook ai terminali Android
Chrome OS e Android sempre più vicini
Alla conferenza per gli sviluppatori, Google ha mostrato app Android girare su Chrome OS
di Emanuele VILLA
ono mesi che ci si interroga sul motivo per cui Google mantenga un
sistema operativo per smartphone
e tablet e uno specifico per notebook,
che com’è noto identifica un’intera categoria di prodotto: i Chromebook.
Il giorno in cui Google ne eliminerà uno
dei due estendendo l’altro è ancora
lontano, ma si percepiscono i primi segnali di avvicinamento. D’altronde Sundar Pichai è attualmente a capo sia di
Chome che di Android, e difficilmente
tra i suoi piani vi sarà il mantenimento
del doppio binario: a questo Google
I/O, l’azienda ha annunciato estese
possibilità di dialogo tra i due sistemi,
come la possibilità di sbloccare un
Chomebook tramite pairing con smartphone Android, oppure la visualizzazione delle notifiche di Android in un
pannello di Chrome OS e via dicendo.
In realtà, più che le novità concrete,
ciò che conta sono i segnali di netto
Il nuovo router
di Netgear
Nighthawk X6 lavora
contemporaneamente
sui 2,4 GHz e su due
bande a 5 GHz, per
una capacità di banda
complessiva di 3,2 Gbit/s
S
di Paolo CENTOFANTI
avvicinamento tra i due sistemi, confermato dal fatto che lo stesso Sundar
Pichai ha dimostrato la compatibilità di
Chrome OS con app native Android, in
particolare Evernote, Flipboard e Vine.
Si suppone che un giorno (Pichai dice
“Siamo ancora ai primi passi”, per cui
non proprio domani) tutte le app Android saranno liberamente scaricabili e
impiegabili su Chromebook.
Ma con un problema: l’interfaccia touch. I Chromebook, eccezioni escluse,
non hanno display touch, e l’ipotesi di
realizzare due versioni di ogni app è
fantascienza: molto più probabile che
venga intensificato l’uso dei display
touch nel Chromebook, con tanto di
inserimento di una tastiera virtuale. Ma
a quel punto, non sarà diventato semplicemente un tablet Android?
PC Al Samsung SSD Global Summit 2014 l’azienda coreana annuncia in pompa magna 850 Pro
Samsung 850 Pro, il primo SSD con tecnologia “3D”
È la prima memoria SSD con tecnologia 3D Vertical NAND, con memoria da 128 GB a 1 TB
L
di Michele LEPORI

a kermesse coreana in quel di Seul
è l’occasione per Samsung di togliere il velo su 850 Pro, l’ultimo
nato nel ricco panorama di memorie
SSD offerte a professionisti e videogiocatori in cerca di pura prestazione: se
con il predecessore Samsung era riu-
torna al sommario
Netgear lancia
il router
Tri-Band
scita a catalizzare l’attenzione sui propri SSD grazie a prestazioni di livello
unite a prezzi competitivi, con 850 Pro
Samsung aggiunge potenza grazie
all’implementazione della tecnologia
V-NAND, ribattezzata dalla major coreana 3D NAND. Da anni era noto che
la scalabilità del NAND, l’architettura
flash standard dei dischi SSD, fosse
destinata ad arrivare ad un punto-limite
per questioni fisiche legate alle dimensioni dei transistor: 20 nm sembra proprio essere il massimo che si può chiedere a questa tecnologia ed ecco che,
per sbrogliare la matassa, Samsung
ha pensato di terminare lo sviluppo
basandosi su una struttura a celle verticali, da cui V-NAND. Questa struttura
permette la nascita dell’850 Pro con
prestazioni di primo livello: velocità di
lettura e scrittura rispettivamente fino
550 MB/s e 520 MB/s con lettura e
scrittura casuale fino a 100.000 operazioni IOPS (la prima) e 90.000 IOPS
(la seconda). A garantirne l’affidabilità
ci pensa la funzione Dynamic Thermal
Guard che tiene sotto controllo le temperature generate da 850 Pro e ne evita il surriscaldamento.
La commercializzazione del disco SSD
850 Pro è prevista da metà luglio in 53
Paesi, fra cui l’Italia, con tagli di memoria pari a 128 GB, 256 GB, 512 GB
e 1 TB, ma non si hanno ancora indicazioni sui prezzi.
Netgear ha annunciato il lancio
del nuovo router Nighthawk
X6 (codice prodotto R8000), il
primo Tri-Band. Non si tratta di
un nuovo standard, bensì della possibilità di utilizzare una
banda aggiuntiva sui 5 GHz rispetto ai “normali” router dual
band. Il router è dotato di sei
antenne ed è in grado di offrire
fino a 600 Mbit/s sui 2,4 GHz in
802.11n e fino a 1,3 GBit/s su ciascuna delle due bande a 5 GHz
simultaneamente, per una capacità complessiva di 3,2 GBit/s
in wireless. Chiaramente non
si tratta della velocità massima
raggiungibile da ciascun dispositivo, ma dalla capacità complessiva del router. Il Nighthawk X6
è basato sul nuovo chipset WiFi
a 5 GHz di Broadcom XStream
platform e integra un processore ARM dual core da 1 GHz per
le funzioni di routing e NAS del
dispositivo, con 256 MB di RAM
e porte USB 2.0 e 3.0. Il router
Netgear ripropone la tecnologia Beaforming+ che consente
di utilizzare la configurazione
MIMO delle antenne per indirizzare il migliore segnale possibile direttamente verso un dispositivo collegato. Il Nighthawk X6
è stato per il momento annunciato per mercato americano,
dove verrà venduto a un prezzo
di listino di 299,99 dollari, tasse
escluse.
Rock’n’Go.
Loewe Speaker 2go.
Speaker Bluetooth portatile con funzione vivavoce, NFC e
fino a 8 ore di autonomia. Sound 2.1 integrato da 40 Watt.
Prezzo al pubblico: 299 Euro.
www.loewe.it
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HI-FI E HOME CINEMA Novità operative per la serie di sintoamplificatori Aventage Yamaha: Wi-Fi e Wireless Direct sono di serie
Yamaha rinnova i sintoampli Aventage con la Serie 40
I cinque modelli della serie 40, già di alto livello, aggiungono importanti novità anche nel controllo dell’elaborazione DSP
di Roberto FAGGIANO
a serie Aventage con il suffisso 30 di
Yamaha aveva già raggiunto livelli di
assoluto rilievo e mancava davvero
poco per raggiungere tutte le aspettative
degli aspiranti utenti: collegamenti wireless e maggiore flessibilità delle elaborazioni DSP. Lacune prontamente colmate
con la nuova serie 40, sempre formata da
cinque modelli con prestazioni e potenza
crescenti.
I nuovi RX-A740 (699 euro), A840 (899
euro), A1040 (1.099 euro), A2040 (1.499
euro) e A3040 (2.099 euro) hanno ora
tutti il collegamento Wi-Fi integrato e il
Wireless Direct, in modo da
L
poter accedere
più facilmente ai
contenuti di rete e
YAMAHA RX-A740
YAMAHA A3040
sfruttare meglio l’applicazione dedicata
per smartphone e tablet. Altre importanti novità sono concentrate nell’elaborazione DSP, ora
più flessibile grazie alla possibilità di modificare alcuni parametri direttamente dalla rinnovata applicazione AV Controller.
Update: Yamaha ha annunciato
che i modelli 2040 e 3040 saranno compatibili con Dolby Atmos dal prossimo autunno con aggiornamento firmware. Sul top di gamma 3040
troviamo anche il Cinema DSP HD3 e la
calibrazione automatica YPAO
che viene ora
svolta in modalità 3D con misurazioni multiple per angolazione e asse,
in modo da avere il miglior controllo delle
caratteristiche acustiche dell’ambiente.
Le altre caratteristiche tecniche e l’estetica dei nuovi modelli della serie Aventage
non hanno subito modifiche, ritroviamo
quindi convertitori ESS dal modello 1040
e upscaling video 4K, AirPlay, DLNA,
compatibilità FLAC e Spotify. La potenza
disponibile è più che abbondante per tutti i modelli, per esempio sul top di gamma
3040 ci sono 150 watt RMS su nove canali, mentre sul 1040 la potenza “scende” a
7 x 110 watt RMS. Cosa manca? Per essere completi i nuovi Aventage avrebbero
potuto offrire anche il Bluetooth, ma forse
per questo livello di apparecchi non è stato ritenuto così indispensabile.
HI-FI E HOME CINEMA Da Yamaha il primo proiettore sonoro che si trasforma in un supporto per televisori fino a 55 pollici
Il proiettore sonoro Yamaha si trasforma nella soundbase SRT-1000
Un progetto semplificato per rendere più accessibile il diffusore, che si controlla tramite l’app Home Theater Controller
di Roberto FAGGIANO
proiettori sonori Yamaha per l’Home
Theater hanno sinora dimostrato di
dare una resa migliore rispetto alle
soundbar, a scapito però di dimensioni
maggiori della media e prezzi altrettanto superiori. Il nuovo proiettore sonoro
SRT-1000 (499 euro) riesce a infrangere

I
torna al sommario
entrambe le cose: la forma è infatti quella
di una soundbase, cioè ampia ma sottile
per poter ospitare un televisore. Precisamente, le misure sono di 78 x 7 x 37 cm
(Lx Ax P), in grado di abbinarsi a televisori
da 40 fino a 55 pollici con peso fino a 40
kg. Per l’ascolto musicale è disponibile il
Bluetooth con aptX per il collegamento
senza fili di smartphone e tablet. Il controllo del diffusore può avvenire tramite l’app
gratuita Home Theater Controller, dalla
quale si può impostare il proprio punto
d’ascolto nell’ambiente e selezionare la
sorgente con uno dei quattro effetti DSP
disponibili, ma volendo il diffusore è in grado di memorizzare i comandi fondamentali del telecomando del televisore, come
accensione e variazione del volume. Il
diffusore integra i decoder per colonne
sonore Dolby Digital e DTS. Disponibile
anche la funzione che esalta i dialoghi e
il livellamento automatico del volume con
le diverse sorgenti. Gli ingressi purtroppo
non prevedono la presa HDMI, bisognerà
optare per un collegamento digitale tramite i due ingressi ottici o quello coassiale;
in opzione anche l’ingresso analogico per
TV molto vecchi. In uscita è disponibile il
segnale per un eventuale subwoofer at-
tivo aggiuntivo. Tecnicamente, SRT-1000
utilizza 8 piccoli tweeter, 5 dei quali fungono da proiettori sonori per ricreare gli
effetti surround, mentre la gamma media
e bassa è affidata a due woofer ellittici
frontali e due subwoofer che diffondono
verso il basso. La potenza disponibile è
di 2 watt per ogni tweeter, 2 x 30 watt ai
woofer e 2 x 30 watt ai subwoofer.
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FOTOGRAFIA Due anni dopo le reflex da 36 Megapixel, Nikon annuncia la nuova ammiraglia
Nikon D810: evoluzione ma non rivoluzione
La reflex presenta grosse innovazioni su autofocus, intervallo ISO e funzioni di ripresa video
di Michele LEPORI
I
rumors su internet giravano da parecchio, ora Nikon li ricopre di ufficialità
annunciando l’uscita sul mercato della nuova ammiraglia D810 che eleva gli
standard e le caratteristiche tecniche
utili ai fotoamatori, ma che dà anche
una grossa accelerata sul pedale della qualità video. Rimanendo fedele alla
tradizione della serie 800, la nuova D810
mantiene lo standard di 36,3 MP con
sensore in formato FX senza filtro lowpass ottico supportato dal processore
Nikon EXPEED 4 che promette nitidezza e gamma cromatica mai viste prima.
Notevolissimo anche il lavoro svolto
dalla casa giapponese sull’intervallo di
sensibilità ISO che vede ora un range
di 64-12.800 estensibile fino a 51.200.
Nikon ci tiene poi a sottolineare l’ottimo
lavoro svolto sull’AF della D810: il nuovo
modo Area AF a gruppo promette ac-
Con un nuovo
accessorio che tiene
saldamente unite due
videocamere, GoPro
realizza un sistema
che permette la
registrazione di foto e
video simultaneamente
e di filmati in 3D
di Andrea ZUFFI
quisizioni immediate anche per soggetti
piccoli in condizioni al limite dello scatto e il sistema AF a 51 punti Multi-CAM
3500 FX promette di regalare immagini
alla massima risoluzione disponibile fino
a 5fps, ma anche fotografie da 15,3 MP
fino a 7fps in modalità DX. Novità annunciate anche per otturatore/pentaprisma,
che dovrebbe stabilizzare maggiormente l’immagine inquadrata nel mirino e
scongiurare il pericolo di micromossi
grazie all’otturazione a prima tendina
elettronica. Comparto video di pari livello
a quello fotografico per la D810, che è in
grado di registrare in FullHD a 50p/60p
con livelli di disturbo quasi inesistenti
e che promette grandi cose anche a livello audio, con il suo microfono stereo
integrato e con D-Movie multi-area che
permette la regolazione dei livelli prima
e durante il video. Interessante anche
lo zoom con schermo diviso Live view
che consente di controllare i piani e la
nitidezza dei dettagli in due porzioni sul
display posteriore da 3” e 12.290 punti. Completano la dotazione di serie un
pacchetto software quali Nikon Picture
Control 2.0, che permette di intervenire
anche durante le riprese o le sessioni
fotografiche permettendo elaborazioni
in tempo reale su nitidezza, luminosità,
colore e saturazione; mentre la nuova
impostazione Uniforme “Flat” lavora sulla conservazione dei dettagli sia alle alte
luci che per le ombre.
Nikon sembra pronta a replicare il successo della prima D800 con una reflex
assolutamente votata all’utilizzo a tutto
campo, tanto per fotografi quanto per videomaker: non ci resta che aspettare di
avere un esemplare in test per una prova
completa.
FOTOGRAFIA Aperture e iPhoto verranno sostituiti da Photos per OS X, non prima del 2015
Apple dice addio ad Aperture e Adobe ringrazia
L’annuncio in anteprima al WWDC 2014. Verrà integrato sia in iOS 8 che in OS X Yosemite
di Paolo CENTOFANTI
A

pple ha lanciato il concetto di camera oscura digitale con il software
Aperture nel 2005, ma da allora il
programma ha ricevuto via via sempre
meno aggiornamenti ed è stato superato
da alternative come Lightroom di Adobe.
Ora Apple annuncia ufficialmente la cessazione dello sviluppo di Aperture che,
come iPhoto, verrà sostituita dalla nuova
app Photos, che però non vedrà la luce
su OS X prima del 2015. Photos è il nuovo programma di gestione della libreria di
torna al sommario
GoPro Dual Hero
Due videocamere
unite per il 3D
“estremo”
foto e l’editing che verrà integrato sia
in iOS 8 che in OS X Yosemite ed è
stata mostrato in anteprima al keynote
del WWDC 2014. Se da un lato aggiunge la funzione di libreria fotografica
iCloud, con modifiche che si riflettono
automaticamente in tutti i dispositivi
iOS e OS X, dall’altro Photos per OS X
sembra più un sostituto per iPhoto che
per Aperture, con un approccio molto
meno professionale, anche se le nuove regolazioni “composite” sembrano
essere intuitive quanto potenti, dal
poco che si è visto alla presentazione.
GoPro annuncia il sistema “Dual
Hero” per la propria videocamera Hero 3+ Black Edition,
aggiungendo così la possibilità
di cattura simultanea di video e
foto in alta risoluzione e la registrazione di filmati in 3D.
Dual Hero System è in sostanza
un nuovo accessorio che permette di affiancare e unire saldamente due Hero 3+ rendendole
controllabili come fossero un
unico apparecchio in grado di
scattare foto e catturare video simultaneamente o doppi video in
2D sincronizzati: in questo caso
il software di editing scaricabile
gratuitamente farà il resto, convertendo in 3D quanto filmato.
l kit Dual Hero, composto da una
custodia impermeabile fino a
60 metri e un paio di occhialini
3D costa 199,99 euro. A questo
spesa vanno però aggiunti circa
400 euro per l’acquisto di una
seconda videocamera. Sempre
che se ne possieda già una, altrimenti ce ne vorranno 800 per
acquistarne due, portando così il
costo dell’intero sistema a circa
1000 euro.
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7 LUGLIO 2014
MAGAZINE
AUTOMOTIVE La vettura “green” arriverà in Europa nell’estate 2015 al prezzo di 50.000 euro
Toyota punta sull’alimentazione a idrogeno
FCV fa 700 chilometri con un singolo pieno e il rifornimento completo dura circa tre minuti
N
di V. R. BARASSI
on ha ancora un nome “definitivo”
ma quella che fin dalla sua prima
presentazione è stata denominata
FCV (Fuel Cell Vehicle) ha già un prezzo e
una data di uscita. La tecnologica berlina
di Toyota arriverà in Giappone ad aprile
2015 e in Europa e USA qualche mese
più tardi, in estate; sarà proposta a un
prezzo di listino di circa 7 milioni di Yen
che al cambio attuale equivalgono a poco
più di 50.000 euro. Ma perché spendere
tutti questi soldi? Il motivo è presto detto:
FCV è la prima auto alimentata a idrogeno di Toyota destinata alla produzione di
serie. L’obiettivo dell’azienda nipponica
è quello di proporre una vettura dotata
delle migliori tecnologie “green” attualmente disponibili, superando allo stesso
tempo tutti i limiti delle attuali automobili
elettriche. FCV è la risposta giapponese
alla Tesla Model S, automobile totalmente elettrica che tanto ha fatto parlar di
sé nei mesi passati; ma è anche un’auto
totalmente diversa nella concezione poiché l’idrogeno è tutt’altra cosa. Grazie a
una tecnologia proprietaria che sfrutta
Un nuovo processo di
cracking dell’ammoniaca
potrebbe risolvere
il problema di stoccaggio
e di produzione
dell’idrogeno per i motori
a celle di combustibile
di Paolo CENTOFANTI
reazioni tra idrogeno e ossigeno, Toyota
è riuscita a realizzare un’automobile capace di fare circa 700 chilometri con un
singolo pieno di idrogeno (che si effettua
in circa 3 minuti!); nessun accenno sulle
prestazioni dell’automobile in questione
(forse il vero punto forte delle elettriche
che sono in grado di offrire tutta la coppia a “0 giri”), ma non dovrebbero essere
lontane da quelle dei normali motori a
combustione. Il vero problema dell’idrogeno è che difficilmente vedremo sorgere distributori in Italia. La tecnologia
è buona, le auto arriveranno presto ma
servono investimenti importanti in questa direzione, probabilmente qualcosa
che il nostro Paese attualmente non può
permettersi. In Giappone il governo ha
messo fior di quattrini a disposizione di
Toyota al fine di agevolare la diffusione di
tale tecnologia. Il risultato? In Giappone
arriveranno presto centinaia di stazioni di
rifornimento di idrogeno. E sono avanzati
anche soldi per 50 analoghe stazioni su
tutto il territorio della California, primo
stato USA in cui debutterà la FCV.
AUTOMOTIVE La nuova Tesla andrà a competere nella fascia di prezzo di BMW Serie 3 e Audi A4
La Model E sarà la Tesla a un prezzo abbordabile
Arriverà, forse, nel 2016 la prima auto elettrica Tesla pensata per un mercato più ampio
T
di Paolo CENTOFANTI

esla Model S è l’unica automobile
elettrica in grado di competere davvero per autonomia e prestazioni
con le sue dirette concorrenti con motore a combustione, ma stiamo parlando di
un veicolo dal prezzo intorno ai 70.000
euro, inarrivabile per la maggior parte
delle persone. Le cose cambieranno
con la Model E, la prima automobile che
Tesla pensa di poter offrire a un prezzo
decisamente abbordabile. Lo conferma
in un’intervista il vice presidente della
meccanica di Tesla, Chris Porritt, che
spiega come l’innovativa azienda automobilistica californiana punti a competere nella stessa fascia di prezzo delle
BMW Serie 3 e Audi A4, grosso modo
la metà rispetto alla Model S. Per raggiungere questo risultato la Model E
avrà poco a che spartire con la Model S:
torna al sommario
Una scoperta
potrebbe
lanciare
la rivoluzione
dell’idrogeno
niente telaio in alluminio, ad esempio,
e sarà del 20% più piccola. Ma per abbassare ulteriormente il price point delle
auto Tesla, occorrerà aspettare che venga completata la Gigafactory, lo stabilimento che permetterà di ridurre i costi
di produzione delle preziose batterie, il
componente che più grava sul prezzo
complessivo di tutte le auto elettriche.
Prima della Model E, arriverà sul mercato il SUV Model X, auto a sette posti che
dovrebbe uscire nel 2015. Per la berlina
“economica” si dovrà, invece, aspettare
la fine del 2016.
Il motore a celle di combustibile è
efficiente e pulito ma, nel caso dell’idrogeno come carburante, pone
non pochi problemi per quanto riguarda il suo stoccaggio, la produzione e la creazione di una rete di
distribuzione. Il risultato di una ricerca inglese sembra aver trovato
la soluzione a questi problemi. La
chiave è il cracking dell’ammoniaca, ovvero la reazione chimica che
permette di estrarre l’idrogeno da
ogni molecola di NH3 (l’ammoniaca appunto). Il cracking è già possibile, ma con le tecniche tradizionali il catalizzatore della reazione
è costituito da metalli preziosi costosissimi che rendono il processo
non sostenibile economicamente.
Ora gli scienziati Bill David e Martin Jones del Science and Technology Facilities Council britannico,
hanno trovato un modo di sfruttare
l’ammoniaca come fonte di idrogeno, utilizzando una doppia reazione che utilizza un materiale molto
più economico come l’ammoniuro
di sodio. L’ammoniaca può essere
immagazzinata in taniche di plastica a bassa pressione direttamente
sull’auto e la sostanza viene già
utilizzata come materia prima per
la realizzazione di fertilizzanti, ambito per il quale esiste già una rete
di distribuzione che può essere
utilizzata come il punto di partenza per creare l’infrastruttura anche
per il settore automobilistico. La
scoperta è ritenuta di portata rivoluzionaria e il team dell’STFC ha
lanciato un appello affinché altri
scienziati si uniscano alla ricerca
per mettere a punto ulteriori dettagli ancora da risolvere.
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7 LUGLIO 2014
MAGAZINE
AUTOMOTIVE Diventano 29 i produttori di auto che integrano CarPlay sui propri modelli
Apple CarPlay anche su Fiat e Alfa Romeo
Anche le automobili del gruppo Fiat con i suoi marchi di punta diventeranno “intelligenti”
S
di Roberto PEZZALI
ono 29 i produttori di auto che
stanno lavorando all’integrazione
di CarPlay di Apple: la notizia arriva direttamente dalla casa di Cupertino che ha annunciato di aver stretto
l’accordo con ulteriori nove case automobilistiche, tra le quali troviamo
anche i marchi del gruppo Fiat Crysler
ovvero Fiat, Abarth, Alfa Romeo, Jeep,
Chrysler e Dodge. Apple fa strage di
produttori, e se guardiamo alla lunga lista di chi ha aderito al programma (Ferrari, Honda, Hyundai, Mercedes-Benz,
Volvo, Audi, BMW, Chevrolet, Citroen,
Dodge, Ford, Jaguar, KIA, Land Rover,
Mazda, Mitsubishi, Nissan, Opel, Peugeot, Subaru, Suzuki, Toyota), mancano davvero poche aziende. Tra questi,
è bene sottolinearlo, ci sono produttori
che hanno annunciato partnership
anche con Google per Android Auto
pertanto nessun allarmismo: le auto-
Linux Foundation
annuncia la
pubblicazione della
piattaforma open source
per i sistemi automotive
mobili del futuro saranno intelligenti
ma saranno in grado di collegarsi con
i più noti sistemi operativi mobile. CarPlay, previsto in uscita entro fine anno
su Ferrari, Mercedes, Volvo, Honda e
Hyunday (alcuni modelli), permette di
replicare le applicazioni dello smartphone sul display dell’automobile,
ovviamente con un’interfaccia pensata
appositamente per facilitare l’interazione e ridurre i rischi di distrazioni al
minimo. Non mancherà, ovviamente, il
supporto vocale. CarPlay, un po’ come
Android Auto, è però un’estensione
del sistema di entertainment dell’auto:
senza uno smartphone compatibile radio, navigatore (se installato) e media
player funzionano ugualmente.
AUTOMOTIVE A bordo della nuova ammiraglia Hyundai c’è un sistema mai visto finora
Ci sono Autovelox? Hyundai Genesis frena da sola
La frenata automatica rallenta la vettura nei pressi degli autovelox segnalati dal navigatore
di Vittorio Romano BARASSI
N

ata con l’obiettivo di soddisfare
le esigenze degli automobilisti
americani alla ricerca di un’ammiraglia dal costo contenuto, Genesis
di Hyundai arriva anche in Europa nella
sua unica versione dotata di motore a
benzina da 3.8 litri. È una macchina che
in Italia sarà offerta a cifre superiori ai
60 mila euro e, probabilmente, per via
torna al sommario
Linux passa
alla guida
con Automotive
Grade Linux
della motorizzazione e per il minor appeal rispetto alle concorrenti tedesche,
non riscuoterà molto successo ma sarà
ricordata per una particolarità: oltre al
sensore del livello di CO2 nell’abitacolo, monta un sistema di frenata automatica quando l’autovettura si avvicina ad
un rilevatore elettronico della velocità
(che sia autovelox o tutor). Gli autovelox sono tutti segnalati sulle mappe
del navigatore di bordo che “seguono”
l’autovettura grazie al sistema GPS; una
volta che l’auto arriva a 800 metri dal
rilevatore di velocità il sistema avverte
il guidatore con un segnale sonoro: se il
conducente non fa nulla per rallentare,
l’autovettura prende l’iniziativa e frena
automaticamente il mezzo, portandolo alla velocità giusta. Ovviamente il
sistema funziona esclusivamente con
i rilevatori fissi; per quelli mobili tocca
ancora al guidatore stare attento.
di Paolo CENTOFANTI
Linux Foundation ha annunciato la
disponibilità di Automotive Grade
Linux, una piattaforma basata su
Linux per la realizzazione di sistemi
di bordo per auto. Si tratta di una
distribuzione costruita intorno a
Tizen IVI (In-vehicle Infotainment),
ma che non si limita solo alle funzioni di intrattenimento. Scopo di
AGL è quello di costruire la base
per lo sviluppo di una dashboard
interattiva capace di controllare,
oltre alla riproduzione di sorgenti
e file multimediali, anche condizionatore, link ai dispositivi esterni,
navigatore, sensoristica stradale
e tutto ciò che di smart può essere installato sull’auto. Automotive
Grade Linux, ci tiene a precisare
la Linux Foundation, non è un prodotto finito pronto per l’installazione a bordo di un’auto, ma il punto
di partenza per gli sviluppatori per
costruire il proprio sistema di bordo. Il ruolo di AGL vuole essere
per l’auto quello che in ambito PC
è svolto da distribuzioni consolidate come Debian e Fedora, i “semi”
da cui poi nascono tutte le distribuzioni Linux. Tra i sostenitori del
progetto ci sono aziende automobilistiche come Hyundai, Jaguar/
Land Rover, Nissan, Toyota, più
nomi dell’elettronica come Intel,
LG, NVIDIA, Panasonic e Samsung.
In quest’ottica il sistema operativo
per auto Linux si pone alla stessa
stregua di QNX, una delle piattaforme software più utilizzate in ambito automobilistico.
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7 LUGLIO 2014
MAGAZINE
TEST Com’è guidare un’auto elettrica? Può davvero sostituire una macchina tradizionale a benzina? Cerchiamo di scoprirlo
Che bello guidare elettrico con la Ford Focus
La Focus Electric è molto divertente da guidare, peccato per l’autonomia ridotta che obbliga ad un utilizzo da city car
C
di Paolo CENTOFANTI
omplici gli (insufficienti) sforzi legislativi per
forzare i produttori di automobili ad avere a
listino veicoli sempre meno inquinanti, sempre più aziende offrono a catalogo anche delle auto
completamente elettriche.
Si tratta di macchine in cui, a differenza delle ibride,
il tradizionale motore termico è completamente sostituito da uno elettrico e al posto del serbatoio del
carburante troviamo delle potenti batterie ricaricabili. Un approccio radicale alla mobilità “pulita” con
tanti pregi e per ora anche altrettanti difetti, non tutti
di facile risoluzione nel breve periodo. Per capirne di
più sulla “svolta elettrica” che, seppure con numeri
ridicoli rispetto al mercato dell’auto tradizionale, ha
comunque il suo fascino, abbiamo chiesto a Ford di
provare per un breve periodo la sua Focus Electric,
versione totalmente elettrificata della classe c americana, da poco disponibile anche in Italia.
La Ford Focus Electric(ificata)

Per abbassare la media delle emissioni del proprio
listino di automobili, i grandi produttori stanno seguendo due strade: c’è chi come Nissan e Renault
ha realizzato auto elettriche ad hoc e chi come Ford
e la stessa Fiat ha optato per convertire in versione
elettrica auto già esistenti. La Focus Electric rientra
chiaramente in questa seconda categoria, tanto che,
salvo alcuni dettagli, a prima vista è indistinguibile
dal modello tradizionale a benzina o diesel.
La prima differenza la si scopre aprendo il baule, dove lo spazio è sensibilmente ridotto per via
della presenza delle colossali batterie ricaricabili,
necessarie a immagazzinare l’energia per il propulsore elettrico: si tratta di batterie agli ioni di litio da
23 kWh e dal non indifferente peso complessivo di
300 Kg. Esternamente, invece, non si può non notare la diversa disposizione di quello che potrebbe
essere scambiato per il bocchettone della benzina
e che invece è lo sportellino che copre la presa di
alimentazione per la ricarica della batteria.
Intorno al “bocchettone” c’è un cerchio LED che si
illumina di luce azzurra e indica lo stato di ricarica del
torna al sommario
video
lab
veicolo. Il motore è costituito da un propulsore elettrico con una potenza di 107 kW, pari a 142 cavalli,
situato come al solito sul fronte del veicolo. Il grosso del peso del mezzo rimane così concentrato
soprattutto sul retro, dove si trovano le pesanti batterie. Per garantire la migliore efficienza possibile,
la Focus Electric impiega un particolare sistema di
“regenerative braking” che consente di recuperare
l’energia cinetica del mezzo in frenata, che va così a
ricaricare un poco la batteria. Inoltre, le batterie sono
tenute a temperatura controllata con un sistema di
raffreddamento/riscaldamento a liquido che mantiene costantemente il range ottimale.
In totale Ford dichiara un’autonoma massima di circa
160 Km, anche se come vedremo meglio su strada le
cose sono un po’ diverse.
Per quanto riguarda l’allestimento, Ford per la
Focus Electric ha deciso di offrire praticamente una
dotazione di serie che include di tutto e di più, comparabile a quella della Focus top di gamma con motore tradizionale: sistema audio Sony con navigatore
satellitare e sistema Ford Sync, sedili riscaldati, fari
a LED e bi-xeno, sensori di parcheggio, videocamera
posteriore per l’assistenza in manovra, climatizzato-
re. La versione fornitaci da Ford include anche i fari e
i tergistalli automatici, oltre ai vetri oscurati.
In totale la Focus Electric ha un costo di 39.990 euro
di listino, il che la pone tra le auto elettriche più costose sul mercato, fatta eccezione per le Tesla naturalmente, che appartengono però a una fascia di
prezzo decisamente superiore.
La ricarica della batteria e l’autonomia
La prima differenza rispetto a un’auto tradizionale è
naturalmente che la Focus Electric si carica con la
spina della corrente e non facendo rifornimento di
carburante. La vettura è dotata di connettore cosiddetto di Tipo 1, che consente di caricare la batteria
con una normale presa elettrica domestica: si entra
in garage, si prende il cavo apposito e lo si collega
con la spina alla presa come se fosse un aspirapolvere o qualsiasi altro elettrodomestico. In questo
modo, però, la carica completa richiede fino a 11 ore.
Rispetto ad altri veicoli elettrici, la Focus Electric,
infatti, non supporta metodi avanzati di ricarica ad
alta potenza a corrente continua o con trifase, che
segue a pagina 27 
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MAGAZINE
TEST
Ford Focus Electric
segue Da pagina 26 
consentono una carica veloce in 30 minuti dell’80%
della batteria.
È possibile “accelerare” la ricarica utilizzando prese collegate a impianti di potenza superiore ai normali 3 KW, arrivando così al massimo alla ricarica
in circa 4 ore. Il connettore Tipo 1 installato sulla
Focus Electric supporta comunque al massimo impianti monofase da 7,3 KW a 230 volt e con corrente massima di 32 ampere. In dotazione ci è stato
fornito anche un adattatore da spina tradizionale a
industriale monofase 200/250 volt, che consente di
attaccarsi anche a prese di questo tipo, presenti su
molte colonnine di ricarica pubbliche, come quelle
del circuito e-moving attivo in Lombardia, ad esempio. Non è però possibile utilizzare le colonnine del
circuito Enel - distribuite soprattutto lungo la A1 e
la A14 - che necessitano dei connettori di Tipo 2
o Tipo 3. Ciò chiaramente pone dei considerevoli
vincoli sull’autonomia del veicolo. Con un raggio
d’azione di circa 150 Km e tempi di ricarica così lunghi (minimo 4 ore se troviamo una presa a 32 A che
possiamo utilizzare) non è possibile pensare di poter utilizzare la Focus Electric al di fuori dell’ambito
cittadino, se non per brevi tragitti verso destinazioni
nel raggio di 40/50 Km, dando per scontato di salvare parte della carica per tornare alla “base”.
L’ansia da autonomia passa subito

È innegabile che a frenare la scelta di un’auto elettrica, prima ancora dei costi, è il fattore psicologico:
“con un’auto elettrica non vai da nessuna parte” è il
primo pensiero che viene in mente a molti quando si
parla di una macchina di questo tipo. In realtà, quello che abbiamo scoperto sulla nostra pelle con due
settimane di utilizzo, è che quello dell’autonomia è
un problema a metà.
Certamente con un mezzo come la Focus Electric,
privo di ricarica fast, i viaggi lunghi sono esclusi a
priori, anche con attenta pianificazione, per cui è
appurato che non si tratta di un veicolo adatto a
chi si muove in lungo e largo per l’Italia per lavoro
o che viaggia ogni weekend lontano da casa. Detto
questo, in due settimane di utilizzo non ci siamo mai
scontrati con il limite dell’autonomia.
Il display dell’auto visualizza sempre lo stato della
carica, il budget teorico in Km a disposizione e l’autonomia effettiva in base alle condizioni di consumo
in tempo reale. Basta però accendere il climatizzato-
torna al sommario
Uno dei limiti maggiori dei veicoli elettrificati, cioè convertiti dai modelli esistenti e non concepiti come
elettrici, è che le batterie spesso vanno a sottrarre spazio prezioso, come nel bagagliaio in questo caso.
re e immediatamente perdiamo 10 Km di autonomia.
Sia per l’utilizzo in città che per gli spostamenti da
Milano al suo hinterland e viceversa, l’autonomia
della Ford Electric è in realtà più che sufficiente. Il
valore reale del raggio di azione offerto dalla batteria è di circa 120/140 Km con una carica completa: questo varia in funzione dello stile di guida ma
anche delle condizioni meteo. Il fattore che incide
maggiormente sull’autonomia è il condizionatore
d’aria che riduce il nostro budget anche di 20 Km
e oltre, seguito a ruota dallo stile di guida. La Focus
Electric, con i suoi display che visualizzano l’energia recuperata con la frenata e quanto riusciamo a
guadagnare sul budget di Km iniziale grazie a una
buona guida, ci invoglia a guidare con più calma e
“furbizia”: utilizzare il freno a motore per rallentare in
vista di uno stop o una precedenza senza inchiodare
all’ultimo ci regala chilometri preziosi di autonomia
in più, così come mantenere una velocità di crociera
costante ed effettuare partenze dolci e controllate.
Un minimo di accortezza nell’uso in città e zone limitrofe ci permette di renderci presto conto che l’autonomia non è poi così limitata, almeno nell’utilizzo
di tutti i giorni.
Il motore elettrico della Ford è comunque all’altezza di una guida più sprint. L’auto è dotata di cambio
automatico, ma in realtà non è nemmeno del tutto
corretto parlare di cambio, visto che la trasmissione è diretta senza marce e il motore è in grado di
erogare una coppia costante fin da subito. La Focus
Electric passa da 0 a 100 Km/h in 11,4 secondi, il tutto
nel più completo silenzio che caratterizza i veicoli
elettrici. La velocità massima è di 137 Km/h, ma perché è autolimitata.
Sta di fatto che guidare la Focus Electric è talmente
un piacere da far passare in secondo piano i limiti
che abbiamo visto: silenziosissima, facile da guidare,
rilassante e allo stesso tempo potente quando serve
e perché no, anche divertente. E una volta tornati a
casa basta collegare la spina e siamo a posto, con
il vantaggio che la ricarica di corrente farà si lievitare la nostra bolletta, ma i costi di rifornimento sono
sensibilmente inferiori a quella di un’auto a benzina, circa 2 euro per una carica che offre 120/140 Km
di autonomia, niente male.
video
lab
Ford Focus Electric
L’esperienza di guida
EV promosso in città
Manca però la carica veloce..
La sensazione che abbiamo tratto da questa esperienza è che già oggi un’auto elettrica è un’alternativa che
può essere presa in considerazione da chi cerca soprattutto una city car. Il costo iniziale è più alto rispetto
a un’utilitaria, in parte ripagabile con il più basso costo
di ricarica rispetto al carburante. A ciò si aggiungono gli
sgravi su bollo auto e assicurazione e vantaggi come il
parcheggio gratuito (a Milano ad esempio con apposita
tessera da chiedere al comune) e la circolazione libera nelle aree a traffico limitato, ma bisogna mettere in
conto che occorre avere un garage per la ricarica della
batteria, a meno di non avere una colonnina pubblica
vicino a casa.
Nel caso specifico della Ford Focus, questo tipo di scenario di utilizzo non si sposa benissimo con un veicolo di questa classe, che sembra nato per spostamenti
di ben altro tipo. La Focus Electric da questo punto di
vista, senza la possibilità della ricarica fast (80% della
ricarica in 30 minuti, offerto da altri veicoli elettrici con
le apposite colonnine), risulta notevolmente penalizzata, rendendo impraticabili viaggi sulla lunga distanza,
a meno di non mettere in conto diverse ore di attesa
ogni 100 Km o poco più, presso le poche colonnine
presenti in Italia (e come detto, oltretutto, escludendo
tutte quelle con sole prese di Tipo 2 o 3). Certo è che
guidare un’auto elettrica è un piacere immenso e l’unica cosa che possiamo augurarci è che i problemi di
autonomia - o con capillare diffusione di colonnine ad
alta potenza o con miglioramento della capacità delle
batterie - vengano risolti al più presto.
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7 LUGLIO 2014
MAGAZINE
TEST Con il G3, LG supera i limiti del precedente G2 offrendo qualcosa di inedito: un display Quad HD più grande e l’autofocus laser
LG G3: in prova lo smartphone con pixel “infiniti”
Cambia il look, c’è lo slot micro SD, l’interfaccia è nuova e la batteria è removibile, peccato solo che non sia waterproof
di Emanuele VILLA
abbiamo visto per la prima volta a Londra, in occasione della presentazione europea: ora è arrivato
il momento di testare LG G3 in modo approfondito.
Il telefono si pone come erede dell’ottimo G2 e, più in
generale, come punto di riferimento del settore Android
per i mesi a venire, forte di alcune caratteristiche tecniche superiori rispetto a tutti i concorrenti. Per un confronto “sulla carta” con i competitor diretti, in particolare
Sony Xperia Z2, HTC One M8 e Samsung Galaxy S5, rimandiamo al nostro approfondimento, torniamo qui sul
discorso ma con una serie di considerazioni di natura
pratica. Avendo avuto la fortuna di testare G2, G Flex e
G2 Mini, possiamo dire che fin da subito G3 dà l’impressione di essere diverso: più grande, sì, ma con una serie
di rinnovamenti che vanno al di là del display maggiorato. Il design è molto curato e si basa sull’accostamento
di sottili inserti metallici laterali con una cover di policarbonato con finitura metallica (pare si tratti di una mescola di materiale plastico e filamenti metallici) e tanto
di texture tipica dell’alluminio che ricorda quella di HTC
One M8: mentre Samsung rincorre il look della pelle. LG
cerca il medesimo effetto estetico della cover in alluminio di iPhone o HTC One, chiaramente con una soluzione meno costosa. L’effetto è comunque piacevole alla
vista e al tatto: se osservato da una certa distanza non
c’è modo di distinguere G3 dalle soluzioni in alluminio
unibody, ma una volta impugnato, la differenza di “feel”
emerge in modo netto. In tal senso LG ha dichiarato, per
voce di Chul Bae Lee, Vice President of Mobile Design, che uno chassis di alluminio avrebbe fatto lievitare
il prezzo in modo importante, e supponiamo non fosse
intenzione di LG realizzare un prodotto per pochi eletti:
LG G3, infatti, ha un prezzo di listino inferiore di 100 euro
rispetto ai top di gamma, 599 euro per la versione da 16
GB (e 2GB di RAM), contro i 699 di base di molti altri, ad-
L’

Una delle caratteristiche distintive di LG G3 è la finitura metallica della cover posteriore, assente in G2.
torna al sommario
video
LG G3
599,00 €
lab
INCORAGGIANTE INIZIO DELLA “NEXT-GEN”
La componentistica hardware è allo stato dell’arte e questo garantisce un’esperienza d’uso eccellente in condizioni normali e di routine quotidiana.
Spingendo sul multitasking lo smartphone segue a ruota, i power user potranno notare qualche incertezza/lag/scatto di fronte a pesanti carichi di
lavoro, presumibile conseguenza dell’ elevato numero di pixel del display che il processore è chiamato a gestire, ma nel complesso la situazione è
fluida, anche sotto il profilo grafico e del gaming. Il display ormai ha raggiunto quantità di pixel impressionanti, che si notano solo con video e foto
dedicate, come quelle precaricate nel telefono, e mette in mostra un’eccellente luminosità, colori brillanti pur con un’avvertibile flessione della
luminosità allontanandosi dal punto di visione ottimale. Infine, due considerazioni sul prezzo: il telefono testato è quello da 599 euro di listino, con
16 GB di storage e 2 GB di RAM. Considerando che 599 euro è un prezzo base che, con ogni probabilità, scenderà nel corso dei mesi, G3 potrebbe
diventare un best buy: va bene per l’utente casual che vuole un oggetto bello e affidabile da tenere per anni, ha la potenza per soddisfare anche chi
gioca e lo vuole usare assiduamente, rendendolo un po’ il cuore tecnologico di tutte le sue attività quotidiane.
8.3
Qualità
8
Longevità
8
Design
8
Simplicità
9
- Display Quad HD molto luminoso
COSA CI PIACE - Design curato e piacevole
COSA NON CI PIACE
- Ottimo rapporto qualità/prezzo
dirittura 729 euro dell’HTC One M8, il cui prezzo risente,
appunto, non solo della componentistica impiegata, ma
anche dei materiali pregiati che ne formano la scocca.
Qui siamo a 129 euro in meno, considerando qualche
componente hardware più costoso, display in primis. Il
design è molto ben bilanciato: il telefono è leggero, non
ha tasti capacitivi nella cornice ma solo quelli on-screen,
ha una cornice estremamente sottile, soprattutto ai bordi sx/dx, che potrebbe causare qualche “tocco” e azione non voluta. Resta il fatto che il design borderless è
molto carino e di chiaro gusto hi-tech. Non è più grande
di G2 come telefono ma lo è il display, segno che la cornice è stata ulteriormente ridotta. L’emettitore IR sul bordo superiore rende il telefono anche un telecomando
multifunzione, solita micro USB per la ricarica insieme al
jack per le cuffie nella parte bassa e i tre pulsanti principali sul retro: accensione/standby, aumento e riduzione
del volume, ma a questi due possono essere assegnate
funzioni specifiche come l’attivazione della fotocamera
a telefono spento e via dicendo. La filosofia è quindi la stessa del G2, ma qualche affinamento si nota: il
bilanciere del volume ha una bella texture zigrinata e,
soprattutto, quello dell’accensione è a filo del telefono
e non sporge come nel G2: in pratica, non c’è più la
possibilità di accendere o spegnere inavvertitamente
il telefono solo appoggiandolo da qualche parte. C’è il
doppio flash, c’è il sensore di messa a fuoco laser e c’è
D-Factor
8
Prezzo
9
- Qualche rallentamento
in condizioni di forte carico
- Angolo di visione non eccezionale
ovviamente la fotocamera principale: un modulo stabilizzato da 13 Mpixel con l’aggiunta dell’autofocus laser
che promette, rispetto ai tradizionali sistemi a contrasto,
una maggior rapidità e precisione nella messa a fuoco,
soprattutto in condizioni di luce attenuata. Questa volta
la batteria da 3.000 mAh è removibile e c’è lo slot micro
SD: tante cose scontate, non fosse che G2 non aveva
né una né l’altra. L’idea è che LG abbia voluto agire su
due fronti: superare i limiti di G2, ascoltando i commenti
più critici, e offrire una caratteristica da “effetto wow”,
segue a pagina 29 
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7 LUGLIO 2014
MAGAZINE
TEST
LG G3
segue Da pagina 28 
con il display Quad HD. Rispetto a G2, infatti, troviamo
la cover removibile, il look più curato, il pulsante posteriore incassato, la fotocamera con autofocus laser, lo
snapdragon 801 (contro l’800) e lo slot micro SD, ma
soprattutto una nuova interfaccia, che LG dedica completamente al concetto di semplicità. Un ritorno indietro? Forse sul fronte delle personalizzazioni, ma resta
il fatto che raramente abbiamo trovato un’interfaccia
così “pulita”: il look “fumettoso” di G2 (per non parlare
di G Flex) lascia qui spazio a un design molto più soft
e maturo, meno elaborato se si vuole, ma dall’impatto
più adeguato a un top di gamma. Certamente LG non
rinuncia a quelli che considera i propri assi nella manica,
come il Knock On e il Knock Code, che tra l’altro funzionano bene, ma di base l’interfaccia sembra molto quella
standard di KitKat con un tema grafico LG e poco altro:
da notare che le app principali sono contraddistinte
ognuna da un codice colore che si ripropone all’interno
dell’app stessa (per esempio, musica è viola, messaggi
giallo e via dicendo). In questo modo, essendo grafica,
font e impostazioni simili in tutto il sistema operativo,
si capisce subito dove ci si trova osservando il colore
della schermata. Di base sulla homescreen troviamo il
widget delle previsioni Meteo (fornito da Accuweather),
con l’aggiunta di consigli in un menu a tendina che LG
chiama Smart Notice e che si aggiornano a seconda
dell’utilizzo del telefono. Simpatico l’invito a “vestirci di
conseguenza” a seguito di una previsione di temporale
nell’immediato futuro: il temporale c’è stato, con un po’
di ritardo rispetto alla previsione ma c’è stato. E poi c’è
anche un discorso di fitness, cui si accede scorrendo
l’interfaccia verso sinistra e che ci permette di avere una
preview di LG Health, che agisce tramite il contapassi e
il GPS fornendo un’indicazione di calorie, tempi, passo,
velocità e via di seguito. Grafica piacevole e intuitiva,
con discreta ricchezza di funzioni, così come lo è il Centro Notifiche, dalla grafica “minimal” ma molto semplice
da usare e interpretare. In pratica, quando si parla di
grafica e user interface le considerazioni soggettive
sono all’ordine del giorno, ma troviamo che il passo
avanti rispetto a G2 (e G Flex) sia netto: più semplice,
più moderna, senza grandi “orpelli” grafici ma molto
funzionale. La strada è quella giusta.
Giochiamo e stressiamolo a dovere
Nonostante le dimensioni del display, G3 è sufficientemente leggero da risultare comodo durante la routine
quotidiana: dà una sensazione di robustezza analoga
al G2 ma ha uno schermo più grande che non sfigura.
Knock on e Knock code funzionano molto bene e l’interfaccia, di base, è fluida come si conviene a un top di
gamma. Anzi, il concetto di semplificazione qui può aver
aiutato, e non poco. Non dimentichiamo che il display
è un Quad HD da 2.560 x 1.440, cosa che da un lato
rappresenta il principale plus dell’apparecchio, dall’altro comporta un onere maggiore per il processore, che
vuole assicurare la medesima user experience degli altri
top di gamma ma con display Full HD. LG ha optato per
lo snapdragon 801 a 2,5 GHz con quantitativo “custom”
da 2 o 3 GB di RAM a seconda del modello: vista l’infinità di pixel del display, la soluzione non plus ultra sarebbe stata lo snapdragon 805, ma molto probabilmente
LG avrebbe dovuto attendere ancora un po’ prima di
poter proporre il telefono affidandolo a una distribuzione mondiale. Abbiamo trascorso una settimana con G3,
l’abbiamo inserito nella routine di tutti i giorni e stressato
all’infinito: di base, l’impatto è esattamente lo stesso di
tutti i top di gamma di questa generazione, ovvero gli
extra-pixel non intaccano un’interfaccia fluida, passaggi
tra le pagine velocissimi, lag iniziale trascurabile sulla
navigazione web via dicendo. Temevamo un po’ sotto il
profilo grafico per via dell’immenso numero di pixel e, di
conseguenza, degli fps non irresistibili rilevati da alcuni
benchmark, ma ci siamo dovuti ricredere: il problema ai
fini pratici non si è posto (magari si porrà un domani, ma
per ora si possono dormire sonni tranquilli). Abbiamo
infatti scaricato Asphalt 8, che nonostante la risoluzione
Quad HD del pannello, risulta fluido e piacevole, Taxi
Drift va molto bene e stesso discorso per Into the Dead.
Volevamo anche provare Fifa 14 su una densità di pixel
del genere, ma purtroppo il gioco non è (ancora) compatibile con il nostro dispositivo. Ciò premesso, la routine quotidiana scorre ovviamente bene, tra navigazione
web, posta e momenti di svago con gli ultimi videogame
o i videoclip. La navigazione web risente (su Chrome) di
una lieve lag iniziale per poi scorrere fluidissima, tale e
quale agli altri top di gamma con display Full HD, e non
abbiamo riscontrato problemi particolari nell’impiego
classico del multitasking: LG Health sempre attivo con
contapassi e (talvolta) GPS, musica di sottofondo, eventualmente un po’ di navigazione web su rete cellulare:
tutto scorre in modo stabile. Solo il browser, come detto,
risente di qualche limitata indecisione iniziale che tende
ad aumentare in caso di multitasking massiccio, ma è
tratto comune a quasi tutti i terminali Android. Morale:
i pixel in più ci sono, ma l’uso normale, anche intenso,
può contare su prestazioni di alto profilo.
Trattandosi di un top di gamma, siamo poi passati a un
impiego da power user: continui e compulsivi passaggi
tra app, funzioni, download in background e via dicendo. Qui qualche momento di indecisione lo si riscontra:
chi ama aprire e chiudere le app in una manciata di secondi o usare il pannello multitasking (tra l’altro molto
bello con la personalizzazione LG) di continuo, potrà
notare una tendina degli Smart Notice che scende a
scatti, un secondo di attesa richiamando la homepage
durante il multitasking massiccio, oppure qualche ritardo nell’apertura delle app dopo aver sfiorato l’icona relativa: cose che non sono determinanti nelle routine di
tutti i giorni, ma è giusto segnalare anche loro.
Display luminosissimo con pixel “infiniti”
Un’interfaccia
“pulita” e di
facile approccio
con tutto
l’occorrente
sempre a
portata di mano
LG Health
agisce tramite
il contapassi e
il GPS fornendo
un’indicazione
di calorie, tempi,
passo e velocità.
Apriamo il capitolo display: ormai in condizioni normali,
su un display Quad HD come questo non c’è davvero
modo di vedere i pixel; siamo arrivati a un punto in cui,
retina o non retina, andare ulteriormente avanti non
avrebbe più molto senso a livello pratico. Ma per permettere a tutti di vedere le differenze col Full HD della
passata stagione, LG ha precaricato nel telefono due
video realizzati ad hoc in formato Quad HD: uno è un
collage di fotografie, l’altro un video vero e proprio in
timelapse. Il primo è letteralmente impressionante: pare
che alle immagini sia stato applicato anche un edge
enhancement per far risaltare maggiormente i profili e

segue a pagina 30 
torna al sommario
n.93 / 14
7 LUGLIO 2014
TEST
LG G3
segue Da pagina 29 
i dettagli, di modo tale che in determinate circostanze
i pixel si riescono a vedere e sono davvero in quantità
impressionante. Stesso discorso per il video in timelapse: la vividezza cromatica è notevole e i movimenti sono
lenti e ritmati in modo tale da dar risalto anche al minimo dettaglio, che si vede tutto nonostante il display da
5,5’’ non sia ideale (ci vorrebbe un TV, e pure grosso).
Per confrontare il tutto con un video esterno, abbiamo
scaricato una piccola porzione di Timescapes in Quad
HD e l’abbiamo caricata nel telefono (mp4), anche per
vedere come si comporta l’hardware nella riproduzione
di questo tipo di materiale: molto bene, fluido, dettaglio
leggermente inferiore rispetto ai casi precedenti, ma
sempre pronunciato e spettacolare, il tutto senza scie
e con una buona uniformità. Qui, piuttosto, la compressione si vede tutta, ma il telefono è incolpevole. Niente
male anche la riproduzione dei filmati Full HD: abbiamo
registrato un video a un concerto con la fotocamera integrata (a 1080p), e il risultato a video è stato appagante
sia in termini di dettaglio, sia di impatto cromatico, non
particolarmente “carico” ma per questo anche più fedele della media.
Foto e video, con un laser in più
La parte fotografica è un altro aspetto di G3 da valutare
con attenzione: rispetto a G2, il sensore è sempre da 13
Mpixel, ma lo stabilizzatore ottico è stato ulteriormente
migliorato ed è stata introdotta, come novità più interessante, l’autofocus laser. Prima cosa da dire, per chiarire
i dubbi: il laser è sempre acceso quando si attiva l’app
fotocamera, ed emette una leggerissima pulsazione
avvertibile in prossimità del sensore. La tecnologia,
consiste nell’emissione di un fascio di raggi infrarossi
a bassa intensità, fascio che va a “colpire” il soggetto
posto a breve distanza; sulla base della rifrazione, il
MAGAZINE
sensore posto a sinistra della fotocamera è in grado di
calcolare continuamente e con estrema rapidità la distanza tra lo smartphone e l’oggetto, regolando il fuoco di conseguenza. LG dichiara una velocità di messa
a fuoco addirittura pari a 0,276 sec, superiore rispetto
ai dati dichiarati dai competitor: per sua stessa natura, il sistema autofocus laser lavora bene su soggetti
in prossimità e, soprattutto, in condizioni di luce attenuata, caso quest’ultimo particolarmente interessante
considerando che lo smartphone è usato di solito per
scatti rapidi, automatici e senza valutare le condizioni
di scatto; un autofocus preciso anche
al buio è un passo avanti non indifferente. Il sistema adottato da LG
è ibrido: quando la messa a fuoco
laser incontra le maggiori difficoltà
(oggetto trasparente o troppo distante, panorami, paesaggi), interviene la
messa a fuoco a ricerca di contrasto
per risolvere la situazione. A livello
software, la parola d’ordine è semplificazione: l’interfaccia è assolutamente
basic, il fuoco è automatico ma può essere riposizionato via touch, per scattare
una raffica basta tenere premuto il tasto di
scatto e le opzioni sono il minimo indispensabile: risoluzione delle foto e dei video,
modalità panorama, Magic Focus, doppio
scatto e poco altro. LG ha deciso di puntare
sulla semplicità, strizzando l’occhio agli utenti
casual ma lasciando un po’ di amaro in bocca
a quelli più evoluti, che comunque non disdegnano
compensare l’esposizione, agire sul bilanciamento del
bianco, magari sui tempi di esposizione e via di seguito. I risultati sono comunque apprezzabili in condizioni
ideali di scatto, calano (rimanendo nella norma) di sera;
buono il macro automatico e davvero efficiente l’autofocus laser su un oggetto ravvicinato in una stanza
oscurata. Pur senza una rilevazione strumentale, il fuo-
co è stato pressoché istantaneo e molto preciso. Risultati apprezzabili sotto il profilo del video 4k: registrando
in pieno giorno otteniamo un quadro appagante, sia
sotto il profilo cromatico che in termini di microdettaglio. Di sera la rumorosità aumenta ma l’intelligibilità dei soggetti resta discreta, sostanzialmente nella
norma, il tutto assistito da colori abbastanza carichi.
Clicca qui per vedere il video 4k ripreso con LG G3
Infine, il discorso batteria: temevamo che il display fosse molto oneroso e che il telefono potesse avere difficoltà nel gestire la normale routine giornaliera, nonostante i 3.000 mAh della batteria. In
realtà, ci siamo dovuti ricredere: abbiamo
trascorso un intero giorno a un concerto,
dalla mattina alla sera tarda, con connessione dati sempre attiva, almeno 50 foto
scattate e una decina di video 4k girati,
abbiamo chattato con whatsapp, ricevuto qualche telefonata e consultato
quasi costantemente l’email, tenendo
tra l’altro sempre acceso LG Health.
Ovviamente alcune foto le abbiamo
condivise su Facebook e non sono
mancati anche dei Tweet: per precauzione, abbiamo fissato l’attivazione automatica della modalità di
risparmio energetico sotto il 50%
(di default c’è il 30%), e ci siamo ritrovati a sera tarda con circa il 10%
di autonomia. In condizioni di routine normale non siamo mai scesi sotto il 30%,
a testimonianza del fatto che G3 è un terminale che
svolge il suo mestiere senza imporci rinunce, se non in
condizioni eccezionali. Va sicuramente ricaricato ogni
giorno, ma arriva a sera senza problemi. Piuttosto, gli
possiamo muovere un appunto sul fatto che si surriscalda con una certa facilità e in modo abbastanza intenso, soprattutto con l’uso massiccio della fotocamera
o della connessione dati.
I NOSTRI SCATTI DI PROVA clicca le immagini per l’ingrandimento
Condizioni ideali di scatto, per
un risultato apprezzabile sia ai
fini del dettaglio che della resa
cromatica

Questa è un’ipotesi di macro
automatico con scatto a raffica.
Risultato buono, la foglia era
mossa dal vento e si nota un
discreto sfocato.
torna al sommario
Di sera il livello qualitativo
cala. L’immagine, scattata in
16:9, resta comunque discreta
a livello cromatico e mostra un
livello di dettaglio nella norma.
Condizioni ottime, si nota
qualche limite di dinamica del
sensore sulle ombre, ma assolutamente nella norma.
L’oggetto è vicinissimo, l’autofocus è molto rapido. Tra l’altro,
stavamo muovendo il telefono
per testare l’OIS. L’immagine è
ferma, la luminosità è elevata.
Controluce piuttosto difficile
da rendere, ma l’esito è più che
dignitoso sotto tutti i parametri
Buono il livello di dettaglio.
Situazione estrema ma in realtà piuttosto comune:
un concerto in condizioni di buio totale.
Nonostante gli inevitabili limiti di dinamica, il dettaglio tiene (si notino i particolari dell’impalcatura
del palco).
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n.93 / 14
7 LUGLIO 2014
MAGAZINE
TEST Panasonic riparte dal 4K con l’AX800, il primo vero tentativo di raggiungere la stessa qualità della gamma TV plasma
AX800: l’LCD che vuol far dimenticare il plasma
Design minimal, ottima qualità d’immagine, funzionalità interattive, personalizzazione e cloud. Peccato il prezzo elevato
I
di Paolo CENTOFANTI
l TX-65AX800T è il TV che ha l’arduo compito di
raccogliere l’eredità lasciata dall’ormai dismessa
gamma di televisori al plasma di Panasonic. Una
sfida non facile, che lo storico marchio giapponese
ha deciso di accettare buttandosi sull’Ultra HD e con
cospicui investimenti in ricerca e sviluppo, per non far
rimpiangere la qualità raggiunta con le serie VT60 e
ZT60 dello scorso anno. Una scommessa difficile, certo, ma non impossibile. Per la serie AX800 Panasonic si
affida a pannelli LCD con retroilluminazione LED Edge
e un nuovo local dimming. Ci sono la certificazione
THX e il bollino Studio Master Panel che Pansonic aveva utilizzato in una formula simile per l’amato ZT60. In
futuro arriverà l’AX900 full LED, ancora più evoluto (e
sicuramente più costoso), ma al momento la responsabilità di tenere alto il vessillo Panasonic ricade tutta
sull’AX800.
Design con il trucco
Per i TV top di gamma del 2014, Panasonic ha rivisto
per intero il design. Se i modelli delle fasce inferiori
riprendono in parte l’estetica del TV 4K dello scorso
anno, per le serie AS800, AX800 e la prossima AX900
ci troviamo di fronte a qualcosa di completamente diverso. La cornice è minimal, con finitura lucida e si appoggia su quella che sembra una staffa sotto dimensionata e dall’equilibrio impossibile.In realtà si tratta solo
di un appoggio mentre il vero piedistallo si sviluppa posteriormente e sul 65 pollici è di grosse dimensioni, pesante e, a dirla tutta non proprio bellissimo. Il piedistallo
è dotato anche di scanalature per il passaggio dei cavi
sotto il coperchio che può essere installato sulla parte
superiore. Naturalmente nel caso di posizionamento
a parete il piedistallo si stacca completamente, visto
che altrimenti sarebbe impossibile l’appoggio. Il design funziona se guardiamo il TV frontalmente, un po’
meno se sbirciamo lateralmente. Lo schermo rimane
anche leggermente inclinato all’indietro, prediligendo
così l’installazione su un mobile basso per un migliore
angolo di visione. Le connessioni sono disposte come
video
Panasonic TX-65AX800T
4.199,00 €
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GRANDE QUALITÀ DI IMMAGINE. FUNZIONI INTERATTIVE MIGLIORABILI
Panasonic è riuscita nell’impresa di non far rimpiangere troppo il plasma, con un TV capace di esprimere un’ottima qualità di immagine. È vero, il
nero ricorda solo a tratti quello dei top di gamma plasma dello scorso anno, e manca ancora quel feeling unico dei display a emissione diretta, ma
questa serie AX800 offre comunque colori brillanti, molto naturali, immagini compatte ed estremamente definite. Il local dimming non è sofisticato
come quello che abbiamo visto sull’ultimo top di gamma Sony, ma si comporta comunque molto bene in quasi tutte le occasioni e la resa nelle scene scure è sicuramente degna di nota per un LCD LED Edge. Ottima naturalmente la resa con i video in 4K. Sulla valutazione finale pesano il design
non eccelso (questione di gusti comunque) e la parte interattiva, ancora pesante e macchinosa nonostante non manchino degli spunti interessanti come la funzione TV Anywhere - che però necessita ancora di qualche messa a punto software. Prezzo elevato, come tutti i nuovi top di gamma 4K.
8.4
Qualità
9
Longevità
9
Design
7

7
D-Factor
9
Prezzo
8
- Ottima qualità di immagine
- Interfaccia un po’ lenta e macchinosa
COSA CI PIACE - Colorimetria precisa
COSA NON CI PIACE - Telecomando Touchpad da migliorare
- Regolazioni molto complete
- TV Anywhere al momento non molto stabile
di consueto sul retro, in parte lateralmente e in parte
verso il basso. La dotazione è quella “consueta” con
quattro ingressi HDMI, più alcune vestigia analogiche,
quali il component, il video composito e la SCART tramite gli adattatori in dotazione. In più rispetto al solito
troviamo l’ingresso DisplayPort 1.2 compatibile con segnali 4K. Sempre parlando di Ultra HD, via HDMI solo
l’ingresso 4 è compatibile con video 4K, fino a 60p e
con supporto HDCP 2.2. Ci sono poi tre porte USB, di
cui una con più alta alimentazione per il collegamento
di hard disk, l’uscita per le cuffie, porta di rete LAN e
uscita digitale ottica per il collegamento di un ampli-
Gli ingressi sono
tutti raccolti intorno
a questo “fazzoletto”
del retro del televisore.
Il vero piedistallo si sviluppa posteriormente e sul 65” è
di grosse dimensioni, pesante.
torna al sommario
Simplicità
ficatore esterno. Sono poi due gli ingressi HDMI con
funzione ARC, per il collegamento di un ampli. Il WiFi
è integrato e nella parte alta della cornice trova posto
la piccola webcam utilizzabile per le funzioni smart e
per effettuare le chiamate via Skype. Il TV è dotato di
doppio sintonizzatore DVB-S2 e doppio DVB-T/T2, con
due slot per moduli Common Interface. Teoricamente il
TV è dotato di decoder HEVC, ma il canale test di Hot
Bird attualmente in onda non viene visualizzato come
compatibile.
segue a pagina 33 
In dotazione
troviamo due
telecomandi.
Il primo tradizionale. Il secondo
è un telecomandotouchpad, pensato per
semplificare l’utilizzo delle app,
include anche il microfono per il
riconoscimento vocale.
n.93 / 14
7 LUGLIO 2014
TEST
Panasonic TX-65AX800T
segue Da pagina 32 
Focus su personalizzazione e cloud
La nuova piattaforma interattiva di Panasonic nasce
sulla base della My Home Screen dei TV dello scorso
anno, espandendo le funzioni secondo due direttive:
raccomandazione dei contenuti e servizi cloud. Nel
primo caso si parla di My Stream, una nuova schermata che raccoglie tutti i contenuti che ci possono interessare, dalle trasmissioni TV ai filmati di YouTube. Il
sistema è pensato per imparare i nostri gusti e quindi
affinare il modo in cui vengono selezionati i contenuti
per noi. Per fare questo, possiamo utilizzare il tasto
stella sul telecomando touchpad per aggiungere ai
preferiti un particolare video o una trasmissione che
stiamo guardando. Sul TV possiamo memorizzare
i profili di diversi utenti, in modo tale che ciascuno
possa avere il suo My Stream personalizzato con le
proprie raccomandazioni.
Altra nuova funzionalità che troviamo sull’AX800 è la
Info Bar. Si tratta di una barra di notifica che si attiva
automaticamente al nostro passaggio davanti al TV,
grazie a un sensore di movimento che visualizza informazioni personalizzate in base all’utente tramite il
riconoscimento facciale della webcam integrata. Le
informazioni includono il meteo, i suggerimenti e gli
eventuali messaggi non letti per noi.
Quella dei messaggi è una delle nuove funzionalità
cloud di Panasonic. Essenzialmente, registrandoci al
servizio di Panasonic potremo mandare, tramite l’app
per iOS e Android TV Remote 2, foto, brevi video e
messaggi di testo, con la nuova funzione Remote
Sharing. L’idea è che quando siamo lontani da casa,
possiamo mandare dei messaggi direttamente sul TV
ai nostri cari. Il problema è che in realtà il servizio è
molto limitato (lo spazio cloud tiene pochissimi messaggi e per un periodo limitato di tempo), ed è infinitamente meno pratico e meno versatile dei tanti servizi
MAGAZINE
di messaggistica per smartphone. Molto più interessante è, invece, TV Anywhere: l’altro servizio cloud
lanciato da Panasonic quest’anno. Come suggerisce
lo stesso nome, si tratta di un servizio che,
sempre tramite l’app TV Remote 2, consente di collegarsi al TV anche quando
siamo fuori casa, via smartphone o tablet.
L’app visualizzerà la lista dei canali del
digitale terrestre e del satellite, oltre alle
eventuali registrazioni memorizzate su un
disco collegato al TV e ci darà la possibilità di riprodurli in streaming dovunque
ci troviamo. Purtroppo l’implementazione
del servizio è ancora lontana dall’ottimale.
Innanzitutto spesso l’app da rete 3G non
riesce a connettersi al TV, non si capisce
se per problemi di autenticazione o se per
l’instabilità dell’app sul TV stesso. In secondo luogo
l’app TV Remote 2 è ancora migliorabile, visto che ad
esempio non è possibile visualizzare a tutto schermo
il video. Quando funziona, TV Anywhere è sicuramente interessante e speriamo Panasonic possa migliorarlo ulteriormente.
Troviamo poi al solito il lettore multimediale, con funzione DLNA e lo Swype & Share sempre dall’app TV
Remote 2, che consente con facilità di riprodurre sul
TV foto e video da smartphone e tablet. Viceversa è
possibile riprodurre i canali TV sintonizzati sui dispositivi tramite la stessa app e la rete locale (da non confondere con TV Anywhere che funziona anche da Internet). Non manca infine la sezione con le varie app,
tra cui si segnalano il browser, Chili TV per il noleggio
di film, YouTube, Vimeo, Aupeo!, Deezer, Facebook,
Twitter e così via.
Nel complesso tutte queste funzioni sono all’interno di
un’interfaccia che non è molto fluida e che risulta un po’
pesante da utilizzare e non sempre così intuitiva. La gestione degli utenti è divisa in almeno tre menù diversi
ad esempio a seconda che si tratti dell’account cloud
di Panasonic o di chi accede al TV. Non aiuta molto in
Oltre ai parametri base e ai classici controlli
per il bilanciamento del bianco, optando per i
profili denominati “professionale”, possiamo
regolare anche la temperatura colore e il gamma su una scala a 10 punti, oltre a luminosità,
saturazione e tonalità di primari e secondari.
realtà neanche il doppio telecomando visto che uno non
sostituisce l’altro e spesso vanno utilizzati in sinergia (il
tasto per “stellare” i preferiti, ad esempio, c’è solo sul
touchpad). Inoltre le gesture del touchpad sono spesso
tutt’altro che intuitive. Insomma, anche per quest’anno i
margini di miglioramento non mancano.
Regolazioni sempre più complete
Il menù delle impostazioni rimane sempre separato
da quello delle funzioni interattive e continua a evolversi. A livello grafico la novità maggiore è che ora,
quando si entra in una sezione, scorrendo tutte le
voci non si torna alla prima, ma si passa direttamente alla sezione successiva, come se tutto fosse una
lunga pagina. A livello di regolazioni video abbiamo
praticamente tutto e di più. Ciò permette di calibrare a
video
puntino il televisore intervenendo praticamente su ogni
aspetto. Sempre nel menù delle regolazioni video troviamo poi una lunga serie di opzioni aggiuntive che ci
permettono di intervenire dal contrasto, alla definizione
delle immagini, passando per l’allargamento dello spazio
colore oltre quanto previsto dallo standard per l’HDTV
(Rec.709). Il TV è dotato di “pseudo” local dimming (il
pannello è di tipo LED Edge e non full LED), funzione che
può essere regolata con il parametro Adaptive Backlight
su vari livelli di intensità. Panasonic dichiara inoltre una
funzione di back light scanning a 2000 Hz, ma nel menù
la voce è identificata unicamente da Intelligent Frame
Creation, con degli anonimi livelli di intensità (min, meLa barra delle
dio, max) che poco dicono sulla combinazione con la
notifiche Info Bar
funzione di interpolazione dei fotogrammi. È un po’ il
si accende in
problema di tante voci del menù che non hanno sempre
modo automatico
una chiara spiegazione del loro effetto.
quando si passa
davanti al TV.
Il microfono
La serie AX800 è certificata THX e come tale offre due
sempre in ascolto
profili di immagine pre-impostati THX, uno per la visione
permette di
in stanza oscurata e una per gli ambienti più luminosi.
richiamare a voce
Come prima cosa abbiamo dunque saggiato la qualità
le varie funzioni.
lab
Panasonic TX-65AX800T
le funzioni interattive
Una volta calibrato è perfetto

segue a pagina 34 
torna al sommario
n.93 / 14
7 LUGLIO 2014
TEST
Panasonic TX-65AX800T
segue Da pagina 33 
del preset più vicino alle nostre condizioni di visione.
Queste impostazioni offrono un setup tutto sommato
ben calibrato anche se non così vicino al riferimento
come avevamo visto sugli ultimi modelli al plasma dello
scorso anno. Il preset THX offre una buona linearità del
bilanciamento del bianco sulla scala di grigi, seppure
con una temperatura colore un po’ più fredda rispetto al
riferimento. Il gamma è basso e non molto lineare sulle
alte luci, anche se il comportamento è con molta probabilità anche da imputare all’effetto del local dimming.
Nel menù troviamo poi i banchi “Professionale” che
ci consentono di calibrare a piacere le immagini con
abbondanza di parametri. Utilizzando questo banco
è possibile ottenere un preset nettamente più vicino
al riferimento per tutti i parametri principali e in grado
di dimostrare le ottime doti del pannello montato dall’AX800. I controlli sul bilanciamento del bianco permettono di arrivare a ottenere una buona resa già con la
sola calibrazione a due punti. Volendo possiamo anche intervenire sulla scala a 10 punti per ottenere un
risultato ancora più preciso. Tra l’altro, effettuando il
bilanciamento del bianco anche la colorimetria va essenzialmente a posto da sola e non abbiamo dovuto
intervenire ulteriormente sulla regolazione dello spazio
colore. La calibrazione è stata effettuata impostando
un gamma di 2,4 e impostando la retroilluminazione
in modo tale da avere una luminosità massima di circa
120 cd/mq, un valore adatto a una visione in sala oscurata. Con questa configurazione il livello del nero si attesta intorno alle 0,037 cd/mq (0,005 cd/mq con segnale
totalmente nero), con un rapporto di contrasto ANSI
di 2844:1. Altro dato tecnico interessante è quello dell’input lag. Panasonic, più che creare un profilo gaming
dedicato, ha aggiunto la funzione “game” a ogni profilo di immagine all’interno di un sotto menù. Attivando
questa funzione l’input lag passa da circa 60 ms (senza
motion interpolation) a circa 37 ms.
La prova di visione
Panasonic non ha paura di ammetterlo: al momento la
tecnologia LCD non è ancora in grado di eguagliare i risultati raggiunti fin qui con il plasma, ma il gap, promette, non è mai stato così ridotto. Ce ne siamo già accorti
nelle ultime nostre prove di TV 4K, e anche con l’AX800
possiamo testimoniare che in effetti è così. Partiamo
subito da quello che è un aspetto caro a tanti “sostenitori” della tecnologia al plasma, ovvero resa in termini
di rapporto di contrasto e profondità del nero. Il nuovo
 Il TV integra anche

una webcam. Questa
serve sia per le videochiamate con Skype
che per la funzione
di riconoscimento
facciale degli utenti.
torna al sommario
MAGAZINE
TV Panasonic è sicuramente in grado
di convincere sotto entrambi gli aspetti.
Il TV è di tipo LED edge con local dimming, sistema di retroilluminazione ben
implementato da Panasonic su questa
serie. Il local dimming dell’AX800 non
è così preciso e “invisibile”, ma rientra
comunque tra i più efficaci che abbiamo
visto da anni a questa parte. Nelle scene
più scure infatti il TV è in grado di esprimersi con disinvoltura, offrendo immagini contrastate, precise sulle ombre e
con neri davvero profondi per un LCD e
spesso davvero in grado di rivaleggiare
con il plasma. Con l’immagina calibrata
per la visione in sala oscurata, possiamo
godere di una buona uniformità e comunque di un’ottima dinamica nei passaggi dallo scuro al chiaro e viceversa.
Anche nelle scene “mediamente” illuminate, il controllo
sulla retroilluminazione è convincente e non si ha mai
quell’effetto “luminescente” dei normali LCD dovuto
alla retroilluminazione, che altrove spesso rende le immagine velate e poco brillanti. Con il Panasonic questo
non capita mai, a differenza ad esempio di quello che
abbiamo osservato in alcune situazioni con il TV Sony.
Si nota una lievissima luminosità spuria ai bordi laterali, ma è davvero ridotta e trascurabile. Per correttezza,
dobbiamo segnalare che il modello giunto in redazione
aveva un area più scura nella parte sinistra dello schermo, ma si tratta di un sample di produzione che ha girato un po’ troppo il mondo. Come abbiamo detto altre
volte su queste pagine, il vantaggio del pannello 4K
non è solo chiaramente quello dell’elevata risoluzione
con i contenuti nativi Ultra HD, ma anche di offrire una
maggiore sensazione di compattezza dell’immagine
(avete presente gli schermi retina per gli smartphone?
Stessa sensazione), specie sugli schermi di grande
dimensione come questo 65 pollici. La visione di dischi Blu-ray regala così un’immagine di sicuro impatto,
dettagliata, precisa, ma anche con una “morbidezza”
molto cinematografica. Questa sensazione è il risultato anche dell’ottima resa cromatica dell’AX800 che
è capace di offrire colori naturali e caldi e allo stesso
tempo forti e brillanti, ma senza mai strafare e scadere
nell’eccessivo. Lo scaling ci è parso molto buono e in
grado di valorizzare i contenuti HD senza aggiungere
artefatti di alcun tipo. L’approccio di Panasonic è anche
in questo caso “morbido”, anche per quanto riguarda i
filtri a disposizione. Molto buono il comportamento di
quello denominato “ottimizatore di risoluzione” che dà
una lieve spinta al dettaglio senza introdurre eccessivi
Gli occhiali 3D
attivi in dotazione
aloni sui contorni, se non al livello massimo di intensità.
Stesso discorso per il “controllo contrasto” il cui effetto
è appena percepibile e sembra lavorare soprattutto
sulle basse luci, migliorandone in alcune situazioni la
resa. Nel complesso, quello che ancora manca rispetto
al plasma è la caratteristica brillantezza delle immagini in ogni situazione dei TV a emissione diretta e la
precisione su tutta l’area dello schermo del nero, che
nonostante la bontà dell’implementazione Panasonic
del local dimming non riesce a essere sempre perfetta.
Per quanto riguarda la risoluzione in movimento, senza
interpolazione (che Panasonic chiama Intelligent Frame Creation), qualche trascinamento che va a impattare il dettaglio più fine si nota. Impostando l’IFC sul
minimo, però, migliora istantaneamente la risoluzione
in movimento senza introdurre particolari artefatti di
movimento né quell’effetto telenovela che non a tutti
piace. Di fatto si passa da una risoluzione inferiore alle
300 linee TV senza IFC a oltre 900 e senza artefatti,
il che porta a consigliare di utilizzare sempre questa
impostazione almeno su minimo, anche con contenuti
24p (in questo caso il parametro prende il nome di 24p
smooth film). Aumentando di livello l’IFC la resa comincia a diventare meno naturale, fino ad aggiungere evidenti artefatti impostandolo alla massima intensità. La
visione di contenuti Ultra HD non fa che confermare
quanto di buono abbiamo visto fino ad ora, con in più
il vantaggio della risoluzione quattro volte superiore. Il
livello di dettaglio è impressionante e il quadro sembra ancora più compatto, con immagini che bucano
lo schermo e spesso la sensazione di guardare quasi da una finestra. Sono sempre le immagini di eventi
dal vivo (sport, concerti, ecc.) e documentari a colpire
maggiormente, mentre per i film occorrerà aspettare
una maggiore diffusione di opere effettivamente realizzate in 4K e le clip fin qui viste a parte qualche eccezione (Elysium ad esempio) non sembrano offrire un
grossissimo salto qualitativo rispetto all’HD. Una nota
sulla resa con contenuti 3D. Il TV Panasonic offre uno
dei 3D attivi più puliti e precisi che ci sia mai capitato di
vedere su un LCD, con sole due riserve. Da una parte,
anche se l’immagine è dettagliata e praticamente sempre priva di ghosting, il flickering è piuttosto pronunciato e alla lunga affatica la vista. Dall’altra gli occhiali
attivi in dotazione: leggeri e ben costruiti ma presentano alcune riflessioni sui bordi interni che possono
disturbare durante la visione.
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TEST Il sistema stereo Yamaha offre un buon rapporto qualità/prezzo, volendo si può acquistare anche la sola elettronica
Yamaha MCR-N560D, qualità formato compatto
La resa sonora è equilibrata, con bassi controllati e un buon livello di dettaglio. Peccato manchino Wi-Fi e Bluetooth
I
di Roberto FAGGIANO

l sistema Yamaha MCR-N560D (574 euro) è un
modo molto semplice per diffondere la musica
preferita in casa, sia da sorgenti tradizionali, sia
dalla musica liquida, grazie alla connessione di rete
e all’app di controllo. La parte elettronica è molto compatta (21 x 11 x 28 cm, L x A x P) e classica
nella linea. Il test si può estendere al modello 560
che ha le stesse caratteristiche tecniche, ma che è
senza la radio DAB e che costa 40 euro in meno.
Va segnalato che è disponibile anche la sola elettronica CRX-N560 senza diffusori e senza radio DAB,
al prezzo molto interessante di 379 euro, soluzione
ideale per chi ha già dei diffusori da poter sfruttare.
La potenza disponibile è di 2 x 32 watt (10% THD)
con tecnologia digitale, poi c’è il lettore CD, la radio
FM e DAB, una presa USB per collegare un dispositivo Apple o per riprodurre musica MP3 e Flac da
una chiavetta di memoria e la sezione network con
dlna per accedere ai contenuti musicali di un server
casalingo, Air Play per dispositivi Apple oppure per
servizi di streaming come Spotify o le radio internet.
L’insieme è controllabile dal telecomando in dotazione oppure dall’app dedicata per smartphone e
tablet.
I diffusori in dotazione sono dei compatti due vie da
scaffale con woofer dal tipico colore bianco Yamaha
e un tweeter a cupola, l’accordo reflex è posteriore
e quindi impone un minimo di attenzione nel collocamento, da evitare pareti posteriori troppo vicine.
Alla base troviamo tre piedini conici gommati che
impediscono ogni slittamento su superfici lisce, le
dimensioni di 27 x 15 x 23 cm (A x L x P) sono un
buon compromesso per essere inserito nell’arredamento domestico senza troppi problemi. In dotazione ai diffusori anche delle griglie in tessuto nero,
per chi non gradisse l’impatto estetico degli altoparlanti. La finitura del sistema – disponibile in nero
oppure silver + bianco per fianchetti e diffusori - è
molto elegante, soprattutto per la parte elettronica,
mentre i diffusori a un contatto più ravvicinato svelano una superficie esterna piuttosto economica,
in un nero lucido che è ben lontano dalla finitura
laccato pianoforte dei primi sistemi Yamaha denominati proprio Piano Craft.
torna al sommario
video
574,00la
€b
Yamaha MCR-N560 DAB
PRESTAZIONI ALL’ALTEZZA DELLE ASPETTATIVE
La prova del sistema Yamaha ha dato ottimi risultati anche con i diffusori in dotazione, con tutte le sorgenti tradizionali e via web: la resa
sonora è piuttosto equilibrata, senza eccessi in gamma bassa e con sufficiente dettaglio in gamma acuta, superiore alla media dei diffusori
forniti con sistemi audio di questa categoria. Magari si poteva prevedere una sensibilità maggiore, visto che la potenza erogata dall’amplificatore non è certo esuberante. Ma se potete, l’utilizzo di diffusori migliori porta molto in alto le prestazioni di questo sistema ed esalta il
rapporto qualità/prezzo della sola parte elettronica, che non ha nulla da invidiare ai pochi concorrenti con prestazioni operative simili. L’app
creata da Yamaha è ottima per grafica e funzionalità. Peccato manchi l’accesso Wi-Fi alla rete e il Bluetooth per il collegamento rapido agli
smartphone, ma comunque il sistema 560 di Yamaha è promosso e degno della massima attenzione da parte degli interessati.
8.2
Qualità
9
Longevità
8
- Versatilità sorgenti e app
COSA CI PIACE - Qualità sonora
- Rapporto qualità/prezzo
Design
8
Simplicità
7
COSA NON CI PIACE
Tante funzioni utili, ma preferisce Apple
Con questo sistema compatto si può fare praticamente tutto in tema musicale, sia per l’ascolto di
sorgenti tradizionali, sia per l’accesso a tutto il mondo internet o per chi ha archiviato la propria musica
su un server casalingo o sul computer. Privilegiate
le sorgenti Apple che possono sfruttare il collegamento diretto via cavo tramite la presa USB frontale
oppure direttamente senza fili, tramite AirPlay.
Per il controllo della risposta in frequenza è disponibile un equalizzatore su tre bande – alti, medi e
bassi – oltre a un Music Enhancer da utilizzare solo
con brani MP3 di scarsa qualità.
Tra tante possibilità operative purtroppo ci sono
D-Factor
7
Prezzo
8
- Mancanza wi-fi e Bluetooth
due mancanze piuttosto gravi: manca il Bluetooth e
manca la connessione Wi-Fi alla rete, un bel problema nelle abitazioni italiane, che raramente hanno
una cablatura di rete interna in tutte le stanze.
Il telecomando in dotazione è realizzato abbastanza bene e diviso per zone operative, magari si potevano evidenziare meglio i tasti per il volume e quelli
per le funzioni meccaniche - avvio riproduzione e
apertura del cassetto - che risultano mimetizzati tra
altri molto meno importanti. Ma comunque appena
installata l’app Yamaha il telecomando potrà anche
finire in un cassetto.
segue a pagina 36 
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MAGAZINE
TEST
Yamaha MCR-N560D
segue Da pagina 35 
Versatilità al di sopra di ogni sospetto
Tutte le sorgenti fondamentali sono già comprese
nel sistema Yamaha, ma se ci fosse bisogno di collegare ulteriori apparecchi la strada è aperta. Sul retro
infatti troviamo due ingressi digitali, ottico e coassiale, per collegare il televisore e il lettore Blu-ray, ma
ci sono anche due ingressi analogici, pin rca e minijack, per qualsiasi altra sorgente. Sempre sul retro
troviamo la presa di rete e la presa di alimentazione
per eventuali accessori. Di ottima fattura le uscite
per i diffusori, in grado di accogliere cavi di ben altro
spessore rispetto a quello in dotazione. Disponibile
anche un’uscita di linea per l’improbabile utilizzo di
un subwoofer attivo.
Un’applicazione completa e ben fatta
L’applicazione studiata da Yamaha per questo sistema
si chiama Network Player Controller e adotta la stessa grafica curata dell’app Yamaha usata nel campo
home theater. Si tratta di uno dei migliori esempi in
materia e rende disponibili tutti i contenuti musicali di
pc e server, oltre all’accesso rapido a Spotify e alle
radio web. Il controllo è molto semplice anche per le
sorgenti tradizionali già integrate. Per esempio per il
DAB+ compaiono anche tutti i dati tecnici di trasmissione, mentre per le radio web c’è la consueta ricerca
delle stazioni per nazione e genere, con la possibilità
di memorizzare le stazioni preferite. Non immediato
nei controlli l’accesso ai servizi di Spotify, aggiunto di
recente in una nuova versione del firmware. In pratica
è molto più semplice gestire il sistema tramite l’app
piuttosto che con il telecomando, magari si poteva
evidenziare meglio il controllo del volume che è nascosto nella parte inferiore delle schermate.
Buona musica da tutte le sorgenti
La messa in funzione del sistema è molto semplice,
come si conviene a un compatto di questo tipo. Collegando la presa di rete si avvia subito un aggiornamento firmware, così come selezionando la radio
DAB parte subito la ricerca automatica delle stazioni.
Il display è molto ampio, con testo scorrevole e luminosità regolabile, manopole e pulsanti offrono una
buona sensazione di solidità. Per i diffusori scegliamo
un posizionamento su supporti, ben separati tra loro.
Iniziamo l’ascolto dalla radio DAB, che pur essendo
assai poco considerata nel nostro Paese offre prestazioni musicali di buon livello. Lo Yamaha mostra eccellente sensibilità e già con la semplice antenna a filo in
dotazione si sintonizzano tutte le stazioni disponibili
con il massimo dell’intensità. Con la modalità DAB+
già prevista dallo Yamaha si possono ascoltare una
quarantina di stazioni dei consorzio EuroDAB, Club
DAB e RAI: quest’ultima ha aggiunto ulteriori tre canali (Web 6,7 e 8) finora ascoltabili solo via internet.
La radio FM non sfigura per sensibilità e selettività
anche in aree affollate, difficile cogliere fruscio sulle
stazioni principali e rare le sovrapposizioni tra stazioni
vicine. Il lettore CD è molto silenzioso nella meccanica e permette di ascoltare nel migliore dei modi i
dischi digitali, è senza dubbio un altro punto di forza
di questo sistema. Eccellente la resa di musica Flac
da una chiavetta USB, che consente di raggiungere
una qualità di ascolto molto elevata dai file a 96 kHz;
più complesso l’accesso ai contenuti musicali di un
PC, dove si privilegiano i soliti sistemi di riproduzione
Microsoft. I diffusori sono probabilmente migliorabili,
come dimostra un breve ascolto del sistema con i nostri diffusori di riferimento, ma non sono una palla al
piede del sistema.
HI-FI E HOME CINEMA Dolby annuncia i Blu-ray e i servizi di streaming con codifica Dolby Atmos
ÈL’hardware
Dolbyè pronto,
Atmos
mania:
l’assurdità
in
salotto
ma gli utenti sono pronti a installare 4 nuovi diffusori in salotto?
B

www.DDAY.it
di Roberto FAGGIANO
rett Crockett, direttore Sound
Research di Dolby, ha annunciato
che dal prossimo autunno saranno disponibili i primi Blu-ray con film codificati in Dolby Atmos: il sistema creato
nel 2012 per le sale cinematografiche
ma già predisposto per l’utilizzo nelle
case. Secondo Crockett, il Dolby Atmos
è già compatibile con le specifiche
Blu-ray e non necessita di nuovi lettori.
Negli Stati Uniti anche i maggiori servizi di streaming video sarebbero pronti
per l’autunno o entro i primi mesi del
2015 per inviare agli abbonati i film con
codifica Dolby Atmos. Onkyo, Denon,
Pioneer e Yamaha hanno confermato
la compatibilità con il Dolby Atmos per
i loro sintoamplificatori home theater
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MAGAZINE
Estratto dal quotidiano online
Registrazione Tribunale di Milano
n. 416 del 28 settembre 2009
direttore responsabile
Gianfranco Giardina
editing
Claudio Stellari, Maria Chiara Candiago,
Alessandra Lojacono, Simona Zucca,
Greta Genellini
top di gamma, con modelli nuovi o con
aggiornamento firmware di apparecchi
già esistenti. Tanto entusiasmo da parte di Dolby è comprensibile, facile anche per i costruttori implementare una
nuova decodifica sui potenti processori
DSP utilizzati nei modelli top di gamma,
ma gli utenti saranno altrettanto disponibili a installare quattro nuovi diffusori
a casa per godere dei benefici della
nuova codifica? Ricordiamo, infatti, che
il Dolby Atmos casalingo prevede un sistema con 9.1 diffusori (alcuni lo hanno
cambiato in 5.1.4) per meglio ricostruire
gli effetti di avvolgimento dal retro e
soprattutto dall’alto. Nelle sale cinematografiche il Dolby Atmos può pilotare
fino a 64 diffusori e il maggiore beneficio alla resa sonora viene proprio dai
diffusori installati a soffitto.
Editore
Scripta Manent Servizi Editoriali srl
via Gallarate, 76 - 20151 Milano
P.I. 11967100154
Per informazioni
[email protected]
Per la pubblicità
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Innovative Curve
A smartphone
designed to fit you
Now It’s All Possible
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7 LUGLIO 2014
MAGAZINE
TEST Legria Mini X è la prima selfie camera di Canon, una videocamera Full HD per riprese in soggettiva e video tutorial
Legria Mini X: in prova la selfie camera Canon
Questa piccola Canon ha un form factor particolare, con monitor orientabile e ottica fissa grandangolare. L’abbiamo provata
di Roberto PEZZALI
l mondo della ripresa video soffre: la videocamera
tradizionale è stata sostituita dagli smartphone e solo
i nuovi segmenti come quello delle sport-cam e la ripresa prosumer sembrano tenere il passo. Canon, che
con la gamma Legria è da sempre uno dei player nel
mondo delle videocamere insieme a Sony e Panasonic,
ha cercato di allargare la gamma proponendo qualcosa
di diverso dal solito. Ed ecco Legria Mini X, una videocamera particolare che, sfruttando una logica simile a
quella delle sportcam, quindi con grande ottica fissa
grandangolare, si pone come la perfetta selfie camera,
ovvero una videocamera da utilizzare per riprendersi o
comunque per realizzare video diversi dal solito. Che
Legria Mini X non sia la classica videocamera lo si capisce subito dal form factor, tuttavia non è un giocattolo: nel corso della prova abbiamo apprezzato non solo
la qualità d’immagine che fa parte del dna Canon, ma
anche una serie di regolazioni fini che permettono di
intervenire su quello che spesso è un aspetto sottovalutato, ovvero l’audio. Legria Mini X non può sostituire una
videocamera classica, ma può tranquillamente sostituire
uno smartphone in moltissime situazioni, avendo in comune con lo smartphone un’ottica priva di zoom e dimensioni compatte. Le applicazioni della piccola Canon
sono moltissime, dalla ripresa di spettacoli e concerti
all’autoripresa, mentre si cucina ad esempio o mentre
si svolge qualche attività, per finire con riprese da angoli particolari sfruttando l’ampia lente grandangolare.
Canon però non si è fermata alla sola ripresa: grazie al
Wi-Fi e all’applicazione per smartphone, Legria Mini X
può fare streaming anche in remoto, funzionando come
camera di videosorveglianza. Purtroppo la parte “connected” rappresenta uno dei punti deboli di questo modello, non tanto per il funzionamento quanto per la difficoltà di setup e messa a punto, non sempre intuitiva.
I
Qualità Canon
ma senza un corpo splash proof
Canon ha guardato essenzialmente a due elementi: l’inserimento di uno stand per poter appoggiare la
camera senza bisogno di un treppiedi e uno schermo
orientabile sia per le riprese standard sia per le riprese
Look schiacciato per una videocamera proprio da
taschino. I microfoni stereo sono ai lati dell’ottica
video
lab
Canon LEGRIA mini X
399,00 €
OTTIMA SOLUZIONE, MA NON PER TUTTI
Canon con la Legria Mini X cerca di fornire la soluzione ad alcuni problemi di ripresa proponendo una camera che antepone la qualità di ripresa alle pure funzionalità. Perfetta per alcuni tipo di ripresa, come ad esempio i video creativi, la moda o la cucina, la nuova Canon ha qualche
difetto dovuto alla novità del progetto ancora da limare: l’assenza di funzione Live Streaming su web e l’assenza di trattamento waterproof
impediscono di usare la videocamera per alcune attività, anche se in quel campo ci sono competitor con maggiore esperienza e più agguerriti.
Il prezzo poi è alto, non tanto per il prodotto che è ben costruito quanto per il mercato.
7.3
Qualità
8
Longevità
7
Design
8
- Buona qualità video
COSA
CI PIACE - Molteplici possibilità di configurazione audio
- Supporto integrato
in soggettiva. La qualità costruttiva non delude: anche a
fronte di un peso non indifferente, Canon ha irrobustito
tutte le giunture, usato plastiche di qualità e fissato tutto
con solide viti piuttosto che con incastri, come si usa
solitamente fare. Il risultato è una videocamera solida
e robusta, e solo un eventuale trattamento waterproof
o dustproof avrebbe permesso a Canon di guadagnare
qualche punto in più. La forma è comunque particolare:
non ci si aspetti di trovare un’impugnatura comoda per
la ripresa, perché Legria Mini X è fatta soprattutto per
essere appoggiata. L’ottica, con parapolvere meccanico, è affiancata dalla coppia di microfoni stereo, mentre
la parte superiore è occupata quasi esclusivamente dal
display orientabile. Qui Canon poteva impegnarsi di più:
il display è touch ma la risoluzione (2.7”, 230.000 punti)
non è certo eccelsa e soprattutto il display è di tipo TN,
ovvero angolo di visione decisamente ridotto soprattutto sul piano verticale. Visto il costo dei display LCD, un
piccolo sacrificio qui si poteva fare, anche se è vero che
la possibilità di orientare il display in parte compensa
questa problematica. Sul lato, oltre all’interruttore per
l’accensione, troviamo ingresso per microfono esterno,
uscita cuffie e regolatore di livello del microfono manuale. USB, HDMI e presa di registrazione sono sull’altro
lato, mentre sul retro, nascoste sotto uno sportellino,
Simplicità
7
D-Factor
7
Prezzo
6
- Definizione dello schermo troppo bassa
COSA
NON CI PIACE - Setup della parte wireless complesso
- Prezzo elevato
troviamo la batteria removibile e lo slot per card SD. La
presa di alimentazione purtroppo richiede il suo caricabatteria e la ricarica tramite USB non funziona.
Riprendere un concerto
alla massima qualità
Legria Mini X è costruita attorno al sistema ottico di una
videocamera compatta: il sensore è un CMOS da 1/2.3
da 12,8 Megapixel accoppiato ad un processore Digic
DV4 e a un’ottica grandangolare fissa. Canon, conside-

segue a pagina 39 
torna al sommario
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7 LUGLIO 2014
MAGAZINE
GADGET Il nuovo progetto di Google sembra un’interfaccia low-cost per la realtà virtuale. Scherzo o prodigio della tecnica?
Progetto Cardboard, la realtà virtuale secondo Google
Il visore è costruito in casa con cartone, velcro e due lenti a sferiche da 40 mm e si interfaccia con gli smartphone via app
S
te in luce il vero valore finanziario dietro
a questo tipo di progetti e fa venire più
di un capello bianco a Facebook & Co.
e agli ingenti capitali investiti in un progetto che ha sicuramente fascino, ma che
nasconde ancora insidie a livello di realizzazione e distribuzione, sia di hardware
che di contenuti. Basteranno materiali artigianali per ottenere lo stesso risultato di
visori OLED ad altissima risoluzione?
di Michele LEPORI
i aggiunge un posto al tavolo dei
partecipanti a vario titolo su progetti
legati all’utilizzo della realtà virtuale,
e stavolta pare proprio che a riempirsi
sarà il posto del capotavola: dal palco della Google I/O, Mountain View annuncia
che i progetti Oculus Rift e dei visori made
in Sony e (forse) Samsung dovranno fare
i conti con Cardboard, il visore “fatto in
casa”. Se il progetto fosse verosimile, i
buoni propositi di Zuckenberg di rilasciare Oculus Rift a prezzi accessibilissimi per
ottenere guadagni dai contenuti rischiano
di arenarsi prima di iniziare, perché Cardboard permette agli utenti di fruire del-
la realtà virtuale con un visore costruito
in casa con materiali comuni. Scherzo o
prodigio della tecnica? I dubbi rimangono,
con la speranza che tutto questo sia vero
e non un pesce d’aprile fuori stagione in
salsa Art Attack: cartone, velcro, e due
TEST
Canon Legria Mini X
segue Da pagina 38 

rando anche il posizionamento fisso della Legria Mini X,
ha scelto di non stabilizzare l’obiettivo otticamente, ma
per aumentare le possibilità operative ha dotato Legria
Mini X di una doppia inquadratura, quella tradizionale a
170° e quella 35mm più tradizionale. Canon per realizzare questa inquadratura utilizza nel secondo caso solo
la parte centrale del sensore, una sorta di crop, mentre
per l’inquadratura globale usa circa 8 Megapixel ricampionando poi l’immagine in Full HD. L’area di ripresa non
è fissa: se per una foto l’angolo è di 170°, per i filmati si
riduce a circa 160°. Legria Mini X è abbastanza flessibile
in fatto di formati di registrazione: supporta AVCHD e
MP4 a diversi bitrate, con un massimo di 24 Mbps per
entrambi. Il formato MP4 è leggermente più flessibile, non tanto per
l’editing, quanto
per le possibilità
offerte: permette
infatti slow motion
e fast motion, oltre
ad altre modalità
di ripresa. Tra le
funzionalità di Legria X, oltre al programma automatico e P, troviamo
anche una serie
di scene preimpostate come Moda
La app Camera Access Plus,
e
Cucina, Sport e
che gestisce la riproduzione
In Auto. Ai profili
del flusso video e la registrazione su smartphone e tablet. d’immagine possono essere associati
torna al sommario
lenti a sferiche da 40 mm permetteranno
di creare il Google Cardboard che, con
l’applicazione omonima, permetterà di
fruire i contenuti di Google Earth, del rullino fotografico e di tutte le app compatibili
col progetto. La proposta di Google met-
anche profili audio, e a “parlato”, “musica”, “festival” si
affianca anche un utile profilo per la soppressione del
rumore. Non mancano infine le funzioni creative: oltre
alla registrazione Time Lapse si possono anche applicare filtri video alle immagini.
Connettività da sviluppare,
almeno per la registrazione
Legria Mini X nasce anche come streaming cam, con la
possibilità di gestire la riproduzione del flusso video e
la registrazione su smartphone e tablet. Per farlo bisogna passare tramite l’app Camera Access Plus di Pixela
Corporation, azienda giapponese che molti ricorderanno per aver prodotto e sviluppato alcuni dei peggiori
software di editing video mai visti. L’applicazione, purtroppo, non fa eccezione e non è facile da gestire e da
configurare, soprattutto in modalità “visione fuori casa”
dove si può richiamare lo streaming sfruttando un DNS
pubblico, utilizzando quindi Legria Mini X come camera
di sorveglianza. Legria Mini X è poco flessibile in questo
ambito, la gestione è possibile solo con connessione
diretta tra camera e smartphone (iPhone o Android) e
non si può ad esempio inviare lo stream su un servizio
“live” come YouTube, uStream o Livestream. Più completa la sezione riproduzione, dove si possono caricare
immagini e video sul cloud Canon Image Gateway, su
altri servizi esterni (ma tramite un’app) oppure configurare Legria per funzionare come server DLNA sulla rete
domestica. Anche in questo caso, comunque, fatta eccezione per la parte DLNA, la configurazione e la messa
a punto dei vari servizi sono macchinose: Canon dovrà
sicuramente investire sull’interfaccia utente per mettere
a punto qualcosa di più semplice e immediato.
Resa video eccellente, audio ottimo
La scelta “ottica” di Canon è molto particolare: un grandangolo spintissimo che usa tutto il sensore, oppure
un crop tradizionale che usa solo la parte centrale, con
una minore sensibilità e un maggior rischio di rumore.
Tendenzialmente si potrebbe pensare che l’uso standard sia quello “wide”, tuttavia la Legria Mini X non è la
classica sportcam che necessita di panoramiche apertissime, ma una videocamera nata più per self-shooting
e video creativi, cosa che potrebbe portare ad un uso
considerevole della modalità crop. Anche la ripresa di
un concerto, di una ricetta o di un backstage richiede la
modalità più stretta, mentre il wide può essere utile per
qualche trick di skateboard, per alcuni video creativi
e per riprese all’aperto. Abbiamo ovviamente provato
entrambe le modalità e la Canon ha mostrato un’eccellente pulizia d’immagine, con un’ottica che sembra
tenere bene anche come dettaglio ai bordi, nonostante
il wide spinto. Nella foto, estratta da un fotogramma a
risoluzione piena, si può apprezzare la nitidezza dell’immagine. La resa è simile anche in altre situazioni,
con un’ottima tenuta sul dettaglio e sul bilanciamento delle luci. Nonostante la compattezza, la Mini X ha
una qualità video notevole, anche se a tratti si sente
l’assenza di stabilizzazione soprattutto nei panning
orizzontali. Abbiamo ripreso una breve clip di pochi
secondi per mostrare immagini in movimento e soprattutto la differenza, nella parte finale, tra la visione wide
e quella crop, che mantiene comunque una qualità più
che buona senza il temuto rumore dovuto all’uso della
sola zona centrale del CMOS. La qualità è sicuramente
superiore a quella di molte sportcam, anche se ormai
è davvero difficile gestire differenze minime tra svariati
modelli. Dove il processore e il sensore Canon fanno
la differenza è la ripresa con poca luce: abbiamo ripreso qualche secondo nel corso della presentazione
dei nuovi mini-drone Parrot e, come si può vedere nel
video qui sopra, la Mini X regge tranquillamente un’illuminazione non certo ottimale. Qualcuno potrebbe osservare che uno smartphone ormai fa video simili, ed è
vero se consideriamo i top di gamma, ma la Mini X ha
sicuramente un’autonomia di ripresa maggiore (come
capacità più che come durata della batteria) e un’ottica
che uno smartphone non potrà mai adottare.
n.93 / 14
7 LUGLIO 2014
MAGAZINE
VIDEO CREATIVO Completissima di accessori e con custodia subacquea, la Nilox F-60 è tra le SportCam più interessanti
Nilox F60, la SportCam italiana che sfida GoPro
In condizioni di luce ottimali la Nilox F-60 si comporta bene, quando invece la luce scarseggia la videocamera soffre
S
di Roberto PEZZALI
i vendono solo loro: hanno una lente grandangolare, possono essere montate in tantissimi modi
diversi grazie agli accessori e sono estremamente
portatili. Stiamo parlando delle SportCam (o ActionCam),
la nuova categoria di videocamere creata da GoPro e
seguita praticamente da tutti i produttori.
Scegliere una SportCam oggi è abbastanza semplice,
e se si chiede a qualcuno, il consiglio, è quasi sempre
quello di puntare sulla GoPro. Ed è un buon consiglio,
fermo restando che GoPro è piuttosto cara e che sul
mercato ci sono tantissime valide soluzioni e imitazioni.
Una di queste è la Nilox F60, una SportCam italiana che
viene venduta ad un prezzo simile a quello della GoPro
(349 euro) ma è già completissima di accessori, dal cabinet subacqueo al display LCD che funge da monitor. La
Nilox F60 non è costruita in Italia, ma una camera prodot-
video
lab
diverse opzioni, come la risoluzione di scatto o ripresa, il grandangolo, che può essere
ridotto fino a raggiungere un’inquadratura
standard, la misurazione esposimetrica e
gli ISO. A dire il vero, risoluzione e bitrare a
parte, non sono molti i parametri su cui intervenire e questo forse è un bene.
Dotazione di lusso
ta da AEE con un sensore da 16 Megapixel e una lente in
vetro con grandangolo a 175°: le particolarità sono, oltre
alla dotazione, un piccolo laser che aiuta a puntare la
camera e la possibilità di arrivare fino a 60 metri sott’acqua, oltre alla ripresa a 1080@50i o 25p.
Costruzione ok, peso nella norma

Con 92 grammi di peso la F-60 è leggermente più pesante della GoPro (e anche più grande) ma non abbiamo avuto alcun problema di posizionamento. La camera è solida, resistente e ben costruita: la facilità d’uso è
legata come sempre ai tasto accensione, foto, ripresa e
stop, ed essendo il monitor LCD opzionale Nilox ha pensato di inserire anche un piccolo LCD superiore come riferimento. Quando non si usa il monitor, per inquadrare,
si può far affidamento sul piccolo laser di puntamento.
Sul lato della videocamera trovano spazio lo slot per
la microSD, l’ingresso microfonico che funziona anche
come uscita AV, il mini USB e l’uscita HDMI. Connessioni utili per certi aspetti, ma forse il solo microSD sarebbe stato sufficiente. Il microfono, mono, è ricavato nella
parte alta mentre sul retro c’è un vano che nasconde la
batteria removibile da 1000 mAh. L’autonomia è discreta: l’abbiamo usata per circa 75 minuti senza problemi,
anche se la casa dichiara un’autonomia più elevata.
Collegando il monitor, oltre ad avere una visuale diretta
di quello che si sta riprendendo, si possono configurare
torna al sommario
Rispetto a una GoPro, che viene venduta
“liscia”, Nilox F-60 ha una dotazione accessoria davvero buona. Il componente plus è
la custodia subacquea che protegge fino a
60 metri (non siamo andati sotto però così tanto), custodia che viene dotata di doppio vetro per usare la
camera con e senza monitor. A questa si aggiungono
un telecomando per il comando a distanza e una serie
di supporti a vite per aggancio con adesivi e superfici piane o curve. Nilox sul suo sito offre tantissimi altri accessori, e forse qualcuno potrebbe chiedersi se
non sia meglio spendere meno per una videocamera
“liscia” comprando poi solo quello di cui si ha bisogno
oppure se acquistare una camera già accessoriata.
Tanti gli accessori in dotazione per la Nilox f60:
un telecomando, una serie di supporti a vite per
aggancio con adesivi e superfici piane o curve.
Noi propendiamo per
la prima soluzione, più
che altro perché nel corso
della prova abbiamo avuto la
necessità di montare la F-60 su una tavola da kitesurf
e non abbiamo trovato l’accessorio giusto tra quelli in
dotazione. L’assortimento di accessori per la GoPro,
comunque, è decisamente superiore rispetto a quello
offerto da Nilox soprattutto per sport di nicchia: se invece si parla di moto, automobili o bici allora anche la
F-60 può dire la sua.
Sott’acqua non ci siamo
Il miglior modo per giudicare una sport camera è la qualità delle riprese. Nilox ha fatto un buon lavoro: le immagini sono compresse il giusto e abbastanza “croccanti”
come definizione. Una scelta probabilmente cercata,
con una maschera di contrasto e nitidezza aumentata
di proposito per far sembrare le sequenze più taglienti.
Se la luce aiuta, la F-60 si comporta bene: le scene in
esterni godono di un buon bilanciamento cromatico e
di una buona resa colorimetrica. Clicca qui per il video
della Nilox F-60 ripreso in piena luce.
Dove invece la camera soffre è sott’acqua: anche inserendo nella custodia stagna un inserto anti-condensa la
camera perde di definizione. Una situazione ben visibile in queste sequenze particolari, dove la tartaruga e la
manta sono totalmente prive di dettaglio e fuori fuoco.
Clicca qui per il video della Nilox F-60 ripreso sott’acqua. Non è una questione di appannamento, anche
perché appena si esce dall’acqua la nitidezza torna
subito, ma proprio di un problema di accoppiamento
ottico tra la lente della camera, la custodia e l’acqua
stessa. Una situazione questa che ci impedisce di promuovere la Nilox per le riprese di questo tipo: una camera dedicata è più adatta. Nel complesso comunque
la Nilox F-60 non si comporta affatto male come sport
camera, soprattutto se il target è l’uso all’aperto. In questo caso però forse è conveniente prendere un modello
senza custodia subacquea risparmiando qualcosa.
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7 LUGLIO 2014
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GADGET June è il dispositivo che protegge la pelle aiutando a prevenire le scottature e le insolazioni, secondo le indicazioni dell’OMS
Netatmo June: il regalo perfetto per l’estate al sole
Sembra un gioiello, invece è un sensore UV che si collega all’iPhone tramite Bluetooth 4.0 per monitorare l’abbronzatura
di Roberto PEZZALI
e ti chiamano “mozzarella” questo è il gadget che
potrebbe fare per te. Potrebbe, perché Netatmo,
la casa francese che ha realizzato June, ha pensato purtroppo di creare un “gioiello” smart dedicato al
gentil sesso, tagliando fuori quindi una grossa fetta di
mercato rappresentata da uomini e bambini. June, questo il nome del prodotto, è un elegante braccialetto che
racchiude all’interno un sensore per raggi UV gestito
da una applicazione: lo scopo è gestire l’esposizione
al sole evitando scottature. Un piccolo gadget che arriva puntuale sul mercato quando sembra sia scoppiata
l’estate ad un prezzo di 95 euro. Ma aiuta davvero?
S
video
count ma importa nel profilo il tipo di pelle seguendo la
scala di Fizpatrick. L’applicazione, per determinare il tipo
di pelle su una scala da 1 a 6, pone una serie di domande ed è qui che forse la mancata localizzazione dell’app
crea più problemi a chi non mastica l’inglese: freckles
(lentiggini) e tan (abbronzatura) sono alcune delle parole
da sapere per portare a termine l’impostazione.
Gioiello in tre colori
Netatmo ha lavorato soprattutto sul design per realizzare un oggetto bello da indossare: insieme a June, che
è disponibile nei tre colori oro, platino e canna di fucile,
Netatmo ha previsto anche un elegante braccialetto in
pelle a doppio giro e un bracciale in caucciù più pratico
da indossare anche a bordo piscina o durante la corsa. La presenza di una piccola clip metallica rende June
molto versatile: volendo lo si può attaccare a una maglietta, ai pantaloni o alla visiera del cappellino, cosa che
lo rende adatto anche a un bambino. La scelta di non
realizzare una versione di June per i più piccoli, è motivata dalla raccomandazione dell’OMS di non esporre
i bambini al sole: June è un dispositivo che aiuta a prevenire le scottature e regola l’esposizione seguendo le
indicazioni dell’OMS, e sarebbe stato un paradosso pensare a una versione per i più piccoli. La ricarica del dispositivo avviene con un cavo USB dotato di un aggancio
proprietario alla clip: con una ricarica June dura anche
un mese intero. Non abbiamo potuto verificare la durata dichiara da Netatmo per ovvi motivi, tuttavia in due
giorni l’indicatore di carica non è mai diminuito e questo
lascia ben sperare. La connettività di June è gestita da
un modulo Bluetooth 4.0 Smart e per funzionare ha bisogno di un iPhone dal 4S in su. Android, al momento, è
tagliato fuori: l’applicazione esiste solo per iOS.
Applicazione ben fatta, ma in inglese

Installare June è un gioco da ragazzi: basta scaricare
l’applicazione dall’AppStore e seguire la procedura guidata. L’applicazione al momento è solo in inglese e ci
guida attraverso l’accoppiamento del dispositivo e la
creazione di un profilo personale. Questa fase è molto
importante perché non si limita alla creazione di un ac-
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Connessione “ballerina”
Dalla schermata dell’applicazione possiamo controllare
lo stato del sole: oltre alle previsioni per i prossimi 4 giorni, l’app gestisce lo storico dell’esposizione al sole e la
situazione attuale. Essa è in grado di indicare non solo
l’intensità attuale delle radiazioni solari ma anche per
quanto tempo ancora possiamo rimanere esposti. Non
mancano i consigli: l’uso di una crema (l’app suggerisce
la protezione) allunga ovviamente il tempo di esposizione, così come un cappello e gli occhiali da sole. Attenzione però: June non è uno strumento per abbronzarsi, ma uno strumento per proteggersi. Non esiste un
pannello “obiettivi” e neppure un sistema di calcolo per
raggiungere l’abbronzatura perfetta. Purtroppo June è
molto “legato” allo smartphone: la logica è infatti inserita
all’interno dello smartphone e la notifica di eccesso di
esposizione arriva solo se lo smartphone è collegato,
1
lab
cosa non sempre scontata perché il raggio è abbastanza
ridotto, qualche metro, massimo 4 o 5. La connessione
poi non ci è parsa stabilissima: ogni tanto June la perde
per qualche secondo ma senza creare problemi.
Un buon inizio, ma si poteva fare di più
June è uno dei braccialetti smart apparsi sul mercato, ma
dalla sua ha una serie di vantaggi: fa qualcosa che nessun altro braccialetto fa, è davvero bello da indossare
e ha un’ottima autonomia. Netatmo ha scelto purtroppo
di limitare il suo utilizzo: nella testa dei francesi c’era la
protezione come priorità, ma forse per un paese mediterraneo come il nostro, dove impazza la tintarella, June
sarebbe stato più utile se avesse avuto una applicazione
per la gestione dell’abbronzatura perfetta, unendo alla
protezione anche un piano più “estetico”. June è poi per
sole donne, e se per i bambini una giustificazione c’è,
non si capisce perché non sia stato fatto anche un modello maschile. June ha margini di miglioramento anche
sul fronte hardware: si poteva pensare ad esempio alla
protezione waterproof (è solo splash proof) e avviso di
rimettersi la crema solare dopo un bagno. L’idea è buona e June fa davvero quello che promette di fare, anche
se forse le ragazze italiane non sono il target perfetto. A
noi piace abbronzarci, anche a costo di scottarci un po’.
2
3
1. Realizzare un
profilo perfetto
è importante per
un funzionamento corretto
2. Con o senza
crema: l’applicazione si adatta
di conseguenza
3. La misurazione in tempo reale dell’intensità
UV secondo gli
standard dell’Organizzazione
Mondiale della
Sanità
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SMARTHOME Se il giardinaggio non è il nostro forte, la tecnologia ci può aiutare: basta un piccolo sensore, che abbiamo testato
Koubachi Plant Sensor: un aiuto al pollice verde
L’azienda svizzera Koubachi ha creato il WiFi Plant Sensor, che misura alcuni parametri “vitali”: luce, temperatura e umidità
di Paolo CENT0FANTI
e il giardinaggio non è il nostro forte, nemmeno
con le piante d’appartamento, oggi la tecnologia
ci può essere un po’ d’aiuto. Si dice che il pollice
verde o lo si ha o non c’è nulla da fare, ma a Koubachi
- azienda svizzera con sede a Zurigo - la pensano diversamente e così hanno creato il WiFi Plant Sensor,
un sensore da inserire nel vaso delle nostre piantine,
per misurare alcuni parametri “vitali”: luce, temperatura e umidità del terreno. I sensori, uniti a un database
delle piante più diffuse e al servizio cloud di Koubachi
che elabora i dati e offre delle notifiche sui bisogni
dei nostri amici verdi, creano un sistema che aiuta a
prenderci cura delle piante quando e come serve. Vediamo come funziona.
S
Da interno e da esterno
I Plant Sensor di Koubachi sono disponibili in due versioni, da interno e da esterno. Entrambi sono in realtà
impermeabili - d’altra parte le piante vanno bagnate
-, ma quello da esterno è meglio protetto contro la
pioggia. Per il resto i due modelli sono praticamente
identici, anche esteticamente. La forma ricorda quella di una mazza da golf, con l’asta che va infilata nel
vaso o nella terra vicino alle nostre piante. Il grosso
dello spazio della testa è in realtà occupato dalle due
batterie AA fornite in dotazione. Qui sono incorporati
i sensori che misurano la quantità di luce e la temperatura e il modulo Wi-Fi che viene utilizzato per il collegamento a Internet. In fondo all’asta, la parte che va
più in profondità nel terreno, c’è invece il sensore di
umidità del terreno. Da notare che i sensori possono
essere utilizzati anche in vasi o fioriere con più di una
pianta, per cui non è necessario prendere un sensore
per ciascuna specie che abbiamo nella stessa area di
terreno. Sarà poi il servizio cloud di Koubachi a interpretare i dati nel modo corretto per ciascuna pianta.
Si installa da app o da web
Una volta infilati i sensori nei nostri vasi, il primo passo
è quello di creare un account sul sito my.koubachi.
com e quindi di passare all’individuazione delle specie vegetali delle nostre piante. Se già sappiamo la va-
video
rietà della pianta possiamo selezionarla direttamente
nel database, altrimenti c’è anche un tool sull’app per
smartphone che ci può aiutare a identificarla.
‘interfaccia è simile sia via web che sull’app mobile
e ci permette di creare il nostro giardino virtuale con
tutti i nostri vasi. Possiamo aggiungere quante piante vogliamo anche se abbiamo un solo sensore. Nel
caso di un sensore in un vaso con più piante assoceremo lo stesso sensore a più vasetti virtuali.
Per associare un sensore a una pianta, basta cliccare
sul bottone apposta sulla pagina web o l’app per far
partire una procedura completamente guidata, che
ci aiuta passo per passo nella configurazione che in
realtà è molto semplice anche se richiede di passare
prima alla rete WiFi del Plant Sensor per poi tornare
alla nostra. In sostanza dobbiamo istruire i sensori a
connettersi alla nostra rete WiFi - indispensabile per
il funzionamento - e quindi una volta connesso associarlo alla nostra pianta. Sia che procediamo con
la configurazione via web che con l’app il passaggio
da una rete all’altra è completamente guidato e a
prova di errore.
Un po’ meno efficace il Plant Finder, disponibile sull’app mobile - che va detto è ancora in beta - che,
per passaggi successivi, con una serie di domande ci aiuta a identificare le nostre piante. Il punto è
che il database di Koubachi, per quanto ampio, non
è completissimo e spesso mancano i nomi comuni
utilizzati in Italia, per cui dopo anche dieci domande
o più non siamo riusciti a individuare la pianta che
cerchiamo, o perché non è presente nel database
o perché non la riconosciamo.
Una volta connessi i sensori, possiamo passare ad
associarli alle piante e quindi configurare il servizio, il che consiste essenzialmente nel scegliere
quando vogliamo essere notificati, quanto spesso
e quale tipo di notifiche vogliamo ricevere. I sensori comunicano con Koubachi ogni 24 ore in modo
automatico, ma è possibile aggiornare i dati in ogni
momento premendo l’apposito tasto sulla testa dei
dispositivi. Le notifiche arriveranno via email oppure in push sullo smartphone tramite l’apposita app
per iOS e Android.
lab
Mai più dimenticarsi di bagnare
Come abbiamo visto i Plant Sensor misurano temperatura, luce e umidità del terreno. Questi dati vengono utilizzati essenzialmente per fornirci indicazioni
sulla disposizione della pianta (ombra o sole, caldo o
freddo), su quanto e quando bagnare, e se e quando
nebulizzare acqua sulle foglie. In più, grazie alle informazioni contenute nella libreria di Koubachi, ci verrà
indicato a seconda del periodo dell’anno quando e
come fertilizzare. Per ogni pianta avremo i dati dell’ultima lettura dei sensori e una sorta di cartella clinica
con lo storico delle rilevazioni. Dopo la prima configurazione del sensore, come prima cosa, Koubachi analizzerà per qualche giorno la velocità di assorbimento
dell’acqua quando innaffiamo, l’esposizione alla luce
e la temperatura.
Dopo questo primo ciclo di lettura ci verranno quindi
date delle indicazioni eventualmente su come aggiu-
Il database di piante di Koubachi contiene tutte le
informazioni per la cura della pianta: area di provenienza, clima ideale, fertilizzante ottimale, periodo di
fioritura e qualche cenno sulle origini.
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segue a pagina 43 
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7 LUGLIO 2014
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PC Qnap presenta il NAS delle meraviglie per gli appassionati di Home Theater: un prodotto super completo che costa 490 euro
QNAP HS-251, il NAS con HDMI senza ventole
Il nuovo HS-251 è senza ventole, fa la transcodifica in tempo reale dei contenuti e integra XBMC con tanto di uscita HDMI
di Roberto PEZZALI
n NAS, Network Attached Storage, è probabilmente uno dei
dispositivi più utili (ma anche più
incompresi) della casa. Qnap cerca di
rompere quella barriera di diffidenza
popolare nei confronti del NAS proponendo il nuovo HS-251, un NAS pensato espressamente per il salotto, privo
di ventole e carico di funzionalità multimediali. Come ogni NAS, Qnap l’HS251 è dotato del sistema operativo
QTS che permette l’accesso a moltissime funzioni, che vanno dal backup dei
dati alla sorveglianza (per questo vi
rimandiamo al sito ufficiale). Tuttavia
questo particolare modello è pensato
espressamente per chi vuole tenere il
NAS esposto come un media center e
usarlo non solo come server per i contenuti ma anche come player. HS-251 è
dotato di un cabinet elegante, è privo
U
di ventole e può ospitare una coppia
di dischi all’interno. La novità è rappresentata dal processore utilizzato,
un Celeron Dual Core da 2.4 GHz che
offre funzionalità multimediali avanzate, come la transcodifica dei contenuti video offline e in real time per
rendere ogni flusso video compatibile
con il dispositivo che lo sta ricevendo.
Oltre a questo, HS-251 offre anche
un’uscita HDMI con player XBMC integrato gestibile da smartphone, tramite
telecomando per Media Center oppure con tastiera e mouse, anche wireless. L’unico neo è rappresentato dal prezzo:
490 euro di listino, per
un piccolo gioiello nel
mondo dei NAS che,
considerando
tutto
quello che può fare, forse non sono neppure
troppi.
TEST
Koubachi Plant Sensor
segue Da pagina 42 
stare l’esposizione delle nostre piante, ad esempio se
è il caso di metterle più al fresco o in una zona dove
prendono più luce. Uno dei principali motivi per cui le
nostre piante possono soffrire, infatti, è proprio costituito dal non corretto posizionamento. Ogni volta che
uno dei cinque parametri vitali (umidità terreno, temperatura, luce, fertilizzazione, nebulizzazione) necessita
un intervento, verremo notificati. Questo è molto utile
soprattutto per quanto riguarda l’innaffiamento visto
che uno degli errori più comuni è quello, non solo di
dimenticarsi di bagnare, ma al contrario anche di bagnare troppo o troppo di frequente!
Qui se vogliamo c’è un limite nel fatto che in automatico la consegna dei dati a Koubachi avviene una volta
ogni 24 ore: può infatti capitare che se nella notte c’è
un temporale che innaffia le piante, ma la lettura viene
effettuata immediatamente prima, la mattina dopo il sistema ci alletterà comunque che la pianta deve essere
innaffiata. Naturalmente ci si accorge subito ugualmente, però forse si poteva dare la possibilità di impostare
con una granularità anche più fine la lettura dei dati.
Molto utile, ma ancora migliorabile
Abbiamo utilizzato due sensori Koubachi per un paio
di mesi e in effetti dobbiamo dire che ci ha aiutati a
curare meglio alcune piante, soprattutto per quanto
riguarda la loro esposizione. I promemoria sono una
manna dal cielo per tutti coloro che hanno difficoltà a
mantenere la giusta costanza nella cura delle proprie
piante. I sensori ci sono parsi ben calibrati (nessuna
delle nostre piante è morta di sete!), mentre a nostro

avviso la parte software può essere sensibilmente
migliorata. Si potrebbero dare più controlli sui tempi
di lettura, migliorare la grafica sia dell’app (che non
visualizza i grafici dei parametri vitali) che dell’interfaccia web e soprattutto occorre ampliare la libreria
delle piante nel database, visto che mancano tantissime piante piuttosto diffuse. Inoltre il prezzo per ogni
sensore non è del tutto indifferente, 119,95 euro di
listino per la versione outdoor.
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