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n.106 / 15
23 febbraio 2015
Come si cambia
per non morire
Kazuo Hirai, numero uno di Sony, ha messo
mano con decisione alla correzione di rotta della
strategia: dopo l’alienazione della divisione VAIO,
ha messo in moto lo spin-off (probabilmente per
una vendita futura) delle attività dell’audio-video,
dei TV e della telefonia, attualmente in perdita;
Sony conta di concentrarsi per i prossimi anni
sulla progettazione e produzione di sensori CCD
e CMOS, sul gaming, e sulle attività di Sony Music
e Sony Picture, per tornare al profitto intorno a
2017. Una strada dalla quale Philips è già passata:
prima spin-off e poi vendita della divisione TV a
TPV; stessa sorte per la divisione audio, passata al
gruppo Gibson. Il tutto con buona pace dei “nostalgici” che ancora oggi ricordano i tempi in cui a
Eindhoven si scriveva il futuro di TV e Hi-Fi.
E la scelta, vista a qualche anno di distanza, non è
certo stata sbagliata: le tre aree di business della
Philips di oggi, il consumer lifestyle (piccoli elettrodomestici e altri prodotti consumer), l’illuminazione
e l’healthcare professionale, danno soddisfazioni
agli azionisti. Sony, quindi, fa bene a mettersi nelle
condizioni di valutare delle offerte per alienare
alcune divisioni, anche se si tratta di quelle che più
di altre hanno fatto la storia del marchio.
Resta da chiedersi perché nel mondo dell’elettronica di consumo sembri un destino ineluttabile
quello che i leader di mercato non possano
rimanere in sella per troppo tempo, come se il potere li logorasse. Tornando indietro nel tempo, di
molti marchi che hanno fatto la storia quasi non ci
ricordiamo più: le tedesche Grundig e Telefunken,
sinonimo di affidabilità; grandi giapponesi dell’hi-fi,
come Aiwa, Akai e la stessa Technics, resuscitata
dopo anni di “frigorifero”; i marchi del video
come RCA, Hitachi e soprattutto Pioneer, che pur
operando ancora ha abbandonato i TV e gli ormai
mitici Kuro. E potremmo andare avanti per molto:
nel mondo dell’elettronica di consumo non si resta
in sella per molto, soprattutto se si vuole esercitare
il controllo della leva produttiva.
Apple non molti anni fa era tecnicamente fallita:
l’Estremo Oriente, con i taiwanesi sugli scudi, sembrava in quel momento essere l’unica culla possibile per l’informatica consumer. La “pazza idea” di
Steve Jobs, la più innovativa di tutte, è stata quella
di credere che fosse possibile avere successo
con un marchio americano di pura progettazione
senza fabbriche proprie; e questo in anni in cui i
produttori OEM si comperavano i marchi per cui
lavoravano (come Acer che acquisì i PC di Texas
Instruments e Lenovo che fece lo stesso con IBM).
Il sogno di Jobs è diventato realtà, spostando il
punto di forza dalla leva produttiva alla pervasività
di un ecosistema software. HP – tanto per fare
un esempio – insegue ancora il vecchio modello
produttivo, anche nel mercato consumer, e fatica
molto, alternando piani di vendita della divisione
PC a timidi progetti di rilancio.
Samsung è il più grande produttore al mondo
ma inizia a soffrire proprio perché troppo legata
all’andamento delle vendite e alla produzione, non
potendo contare su un ecosistema trasversale che
le assicuri ritorni anche dai prodotti già venduti.
Non è un caso che Sony voglia continuare a
concentrarsi sul gaming, ambito in cui ha di fatto
un ecosistema seppur verticale ben affermato; non
è un caso che voglia puntare su musica e film, che
non sono fatti di silicio ma di creatività pura; non ci
stupisce che voglia mantenere la leva produttiva
dei sensori, componentistica critica per tutto il
mondo dell’imaging (che va molto oltre le sole
fotocamere). Ma la lezione è che oggi produrre e
vendere al consumatore tanti “pezzi di ferro” non
garantisce una crescita costante e potenzialmente
infinita: quando l’azienda diventa molto grande,
l’inerzia organizzativa diventa troppo forte per
riuscire a rispondere ai cicli di vita evidentemente
troppo corti rispetto ai tempi della produzione.
Insomma, chi è refrattario al cambiamento è
meglio che se ne stia lontano da questo mercato.
Gianfranco GIardina
MAGAZINE
Fastweb annuncia
fibra a 500 Mbit/s
dal 2016
03
Tre diversi standard Tutti i segreti della
nuova gamma
per il Blu-ray
11
10 di TV Sony
Ultra HD
Black-out, sbalzi elettrici
e danni agli apparecchi
Come tutelarsi?
21
Una guida su come difendere, fin dove
si riesce, i propri diritti di consumatore
Navigare con lo smartphone
Che operatore scegliere
se 2 GB di dati non bastano?
in prova
27
Abbiamo esplorato la giungla delle “opzioni”
offerte da Tim, Tre, Vodafone e Wind
alla ricerca del pacchetto più conveniente
Samsung Note Edge
Il lato curvo convince
06
31
03
TIDAL lancia anche in Italia lo
streaming Hi-Fi, la nostra prova
Microsoft Lumia 435
Offre audio con vera qualità CD, la differenza Costa poco e fa tutto
c’è e si sente, ma basta per giustificare un
abbonamento che costa il doppio?
36
13
33
Jabra Sport Pulse
Un must per lo sportivo
n.106 / 15
23 febbraio 2015
MAGAZINE
mercato L’on. Quintarelli propone di stabilire piattaforme informatiche comuni per la PA
L’emendamento Quintarelli passa all’unanimità
Il Governo in commissione dà parere negativo, ma alla fine l’emendamento passa
di Gianfranco giardina
l buon senso digitale e tecnologico
entra – anzi potremmo dire irrompe
- a Palazzo. Lo fa – inaspettatamente
– la scorsa notte alla Camera dei Deputati, durante la lunga discussione
per la riforma costituzionale e i tanti
emendamenti presentati. Sono passate le 22 e arriva in discussione l’emendamento Quintarelli, che proprio da
Stefano Quitnarelli prende il nome,
onorevole eletto con Scelta Civica e
grande personalità di Internet in Italia.
L’emendamento Quintarelli propone di
riportare allo Stato non solo la competenza sul formato dei dati che la Pubblica Amministrazione deve adottare,
ma anche sui “processi e delle relative
infrastrutture e piattaforme informatiche”. Una cosa di una ragionevolezza
assoluta: che senso ha parcellizzare a
livello regionale le piattaforme della
pubblica amministrazione? Chiunque
abbia un minimo di buon senso digitale, capisce che il valore di una piattaforma comune è inestimabile, sia per il
risparmio che ne consegue, sia per la
velocità di interscambio e incrocio dei
dati, che è sempre più indispensabile
per rendere la burocrazia dello Stato
meno ingessata. Una cosa così ragionevole che riceve il parere negativo
del Governo e di tutta la commissione
che l’ha valutata. Stefano Quintarelli
– quindi – pur sostenendo ancora la
necessità dell’emendamento, ne annuncia in aula il ritiro per rispetto del
Governo.
E qui accade l’inatteso: prende la parola l’on. Palmieri di Forza Italia che
I
L’On. Quintarelli ritira
il proprio emendamento

Discussione dell’emendamento
Quintarelli
torna al sommario
Gino Paoli
indagato per
evasione fiscale
Predica bene
e razzola male?
Il presidente della SIAE
sarebbe coinvolto in un
giro di soldi nascosti al
fisco e portati in Svizzera
La “casa di vetro”
si appanna...
annuncia, in opposizione al ritiro del- di piattaforme informatiche comuni tra
l’emendamento, di voler sostenere, tutti gli enti della Pubblica Amministracon tutto il proprio gruppo parlamenta- zione, quello che è successo ieri sera
re, il provvedimento del collega Quin- ha una sua portata “storica”: la tectarelli argomentandone la sensatezza. nologia è una cosa più legata ai fatti
E così a cascata interviene la Lega (che che alle opinioni e agli schieramenti
i più avrebbero creduto fermamente politici e, per una volta, la sensatezcontrari alla centralizzazione di una de- za digitale ha sbriciolato gli schemi e
cisione, seppur di ordine tecnico) e gli ha riunito l’intero parlamento attorno
altri gruppi parlamentari:
tutti fanno proprio proprio l’emendamento,
come se la votazione
in commissione non ci
fosse mai stata, come
se l’avessero preso in
esame sono il quel momento. A quel punto si
mettono in moto anche
i banchi del Governo:
ci si rende conto che
L’on. Stefano Quintarelli
non è possibile predicare a mo’ di slogan
l’agenda digitale e la
rapida digitalizzazione del Paese e a un emendamento che - ironia della
poi inciampare su un emendamento sorte - aveva avuto solo bocciature in
di totale buon senso. E quindi, via, in commissione. Il Parlamento torna soretromarcia all’impazzata: il Governo, vrano e lo fa con un tema tecnologico,
per bocca del Ministro Boschi, annun- anche se c’è chi dice che l’elemento
cia il cambiamento del proprio parere chiave è stato il paragone calcistico
sull’emendamento Quintarelli, sconfes- fatto da Quintarelli nel suo breve insando tutto quanto detto fino a prima. tervento. Un Parlamento che, pur salFinisce con un plebiscito: l’emenda- vandosi in corner (tanto per restare sul
mento Quintarelli, che Quintarelli si tema), ha dimostrato ancora una volta
era rassegnato a ritirare, viene invece di essere troppo ignorante sui temi
posto ai voti per acclamazione e ap- tecnologici. Grazie a Stefano Quintaprovato all’unanimità. Qui sotto il video relli, quindi, per aver dimostrato che
della discussione e del voto, molto in- la luce in fondo al tunnel c’è, anche
teressante da vedere.
se toccherà ancora correre molto per
Al di là dell’importante portata del- portare fuori dalle sabbie mobili la pal’emendamento, che scrive in Costitu- chidermica macchina della Pubblica
zione la necessità dell’identificazione Amministrazione.
di Gianfranco GIARDINA
Gino Paoli, presidente della SIAE,
è indagato per evasione fiscale:
avrebbe nascosto al fisco 2 milioni
di euro, trasferiti illegalmente in
un conto svizzero. La Guardia di
Finanza avrebbe perquisito l’abitazione del cantautore e gli uffici
di una società che cura i suoi interessi. Ovviamente le accuse, che
nascono dalle intercettazioni telefoniche legate al caso Berneschi e
Carige, dovranno essere verificate
e confermate. Ma se così fosse, sarebbe un duro colpo alla credibilità
di Paoli, soprattutto nella sua veste
di presidente di un ente che svolge una funzione pubblica come la
SIAE. Il “corso Paoli” nella gestione
della SIAE è stato all’insegna della
discontinuità con una certa opacità del passato: “La Siae vive una
stagione oggettivamente nuova
– ha affermato Paoli -, la mia Siae
è una casa di vetro”. Lo stesso
Paoli, durante il dibattito legato alla
ridefinizione del compenso per copia privata è stato indicato da molti
sostenitori degli aumenti come un
importante “ruolo di garanzia”: con
lui alla guida di SIAE – hanno detto
in tanti – non abbiamo dubbi sulla
corretta ridistribuzione dei proventi. In questi mesi, poi, lo stesso Paoli
ha ripetutamente tuonato contro le
multinazionali estere “che non pagano le tasse in Italia” e si eretto
a paladino della creatività italiana e
dell’industria della cultura che crea
lavoro e paga le imposte nel nostro
Paese. Sarà difficile per il Maestro
Paoli sostenere ancora tesi di questo tipo se le accuse verranno dimostrate: la strada delle dimissioni,
in una “casa di vetro” sempre più
appannata sembra oggettivamente già imboccata...
n.106 / 15
23 febbraio 2015
MAGAZINE
mercato Annunciato il nuovo piano di espansione della rete in fibra ottica di Fastweb
Fastweb
annuncia
fibra
a
500
Mbit/s
dal
2016
Connettività fino a 500 Mbit/s dal 2016 e linee a 100 Mbit/s al 30% della popolazione italiana
di Paolo centofanti
astweb ha annunciato oggi a Milano un piano di investimenti pari a
100 milioni di euro per il potenziamento della propria rete in fibra ottica.
A partire dal 2016, Fastweb aggiornerà gli armadi della rete FTTC (Fiber to
the Cabinet) con le tecnologie G.fast
e VDSL Enhanced, portando la velocità di connessione oltre i 100 Mbit/s e
potenzialmente fino a oltre 500 Mbit/s.
Questa operazione di aggiornamento
tecnologico consentirà a Fastweb, secondo l’amministratore delegato Alberto Calcagno, di centrare entro il 2020
gli obiettivi dell’Agenda Digitale, garantendo una connettività di almeno 100
Mbit/s per tutti gli utenti raggiunti dalla
propria rete, vale a dire il 30% della popolazione italiana.
La notizia principale però emersa dall’incontro di oggi, è che Fastweb ha ormai eletto l’architettura di rete in fibra
ottica FTTC come soluzione di sistema
e a lungo termine per lo sviluppo della banda ultra larga in Italia. Secondo
quanto dichiarato oggi da Calcagno,
infatti, alla luce dei nuovi risultati prestazionali ottenuti, sia sul campo con
tecnologia G.fast, che in laboratorio
con ulteriori evoluzioni della tecnologia (si parla di oltre 1 Gbit/s su doppino), e dei ben noti vantaggi in termini
di investimenti necessari rispetto alla
realizzazione di reti FTTH (fiber to the
home), l’FTTC è la strada da seguire
per l’intero paese. Per questo Fastweb
auspica che il Governo decida di investire i fondi per lo sviluppo della banda
ultra larga proprio sulla realizzazione
di reti di questo tipo. Fastweb ha pre-
F

sentato oggi insieme ad
Alcatel-Lucent,
partner
tecnologico per lo sviluppo della rete in fibra, i
risultati di una sperimentazione sul campo della
tecnologia G.fast eseguita
a partire da ottobre. In uno
scenario con circa 1000
utenze attive, Fastweb ha
registrato velocità medie
di 200 Mbit/s per l’80% degli utenti e superiori ai 500
Mbit/s per il 20% delle abitazioni raggiunte dai test.
La differenza nelle prestazioni è dovuta dalla distanza dell’apparato dell’utente dall’armadio di strada.
In Italia la distanza media
è di circa 250 metri, una
delle più basse d’Europa,
e sotto i 150 metri le nuove
tecniche di trasmissione
consentono di superare la barriera dei
300 Mbit/s. Questo tipo di approccio
però non è privo di problemi. Il primo, e più ovvio, è
la qualità della rete in rame
nell’ultimo tratto che arriva
a casa dell’utente, specie
nei fabbricati più vecchi,
dove gli interventi sono
tutt’altro che semplici. Il
secondo, più subdolo e che
rende più critica l’architettura FTTC a livello nazionale,
specie sul lungo periodo,
è legato alla tecnologia di
Alberto Calcagno, amministratore delegato di
Vectoring, il fattore “abiliFastweb illustra i vantaggi della copertura FTTC.
tante” al raggiungimento
Basterebbero 3,5 miliardi di euro per arrivare
di capacità di trasmissione
all’85% della popolazione, il 70% in meno rispetdell’ordine delle centinaia
to alla rete FTTH.
di megabit al secondo. Il
torna al sommario
Telecom
diventa TIM
con un’offerta
semplificata
Entro il 2016 TIM sarà
l’unico brand per la
telefonia fissa e mobile
di Telecom. In arrivo
gli abbonamenti a
pacchetto e, da luglio, la
bolletta mensile
di Roberto pezzali
Vectoring, infatti, è una tecnologia di
cancellazione del rumore molto efficace, ma al momento incompatibile con
l’unbundling fisico dell’ultimo miglio in
uno scenario multi-gestore. Affinché il
Vectoring funzioni in modo ottimale, i
doppini in rame di un armadio dovrebbero essere tutti collegati all’apparato
DSLAM di uno stesso operatore, ma
cosa succederà tra 5 o 10 anni quando,
si spera, la concorrenza sulla banda ultra larga si allargherà e più gestori si
contenderanno i doppini degli utenti?
In questo caso, solo accessi in bitstream permetterebbero di sfruttare le
nuove tecnologie e ottenere le velocità
promesse. Insomma, se probabilmente
l’FTTC è la strada più veloce per arrivare ai 100 Mbit/s, c’è il rischio che poi
ci si fermi li.
Telecom si veste di nuovo: è iniziata la fase di rebranding che farà
convogliare sotto l’unico marchio
commerciale TIM tutte le attività di
telefonia fissa e mobile. Il piano fa
parte del nuovo corso di Telecom
che spingerà su qualità del servizio, prezzi e semplificazione tariffaria. “Abbiamo superato in maniera
significativa i target annuali previsti nel piano industriale 2014-2016
- ha detto l’AD Patuano - e ad oggi
con il 4G sono stati coperti più di
3.500 comuni pari ad oltre l’80%
della popolazione, mentre con la
fibra ottica abbiamo raggiunto
circa il 30% del territorio nazionale
e lanciato i servizi ultrabroadband
in oltre 130 città. Stiamo facendo
molto per dotare il Paese di reti
di nuova generazione e continueremo a farlo sempre di più”.
Riguardo all’offerta Telecom Fibra,
tra poco,partirà anche l’offerta con
Sky per accedere via rete all’intera
offerta in HD. TIM preparerà per il
fisso tariffe flat a pacchetto, come
per le tariffe mobile: il canone non
sarà più visibile come “canone Telecom” ma come canone mensile
fisso in un’unica voce di spesa. La
prima offerta, “Tutto Voce”, a 29
euro al mese, offrirà chiamate illimitate verso tutti i telefoni fissi e i
cellulari nazionali; chi vorrà anche
l’ADSL avrà “Tutto”, 44.90 euro al
mese per ADSL e chiamate illimitate verso fissi e cellulari. Novità
anche per i clienti Telecom: gli abbonati da più di 10 anni potranno
usufruire gratis per un anno del
servizio ADSL “flat”, mentre chi ha
già l’ADSL potrà passare alla fibra
ottica mantenendo lo stesso prezzo. Infine, a partire da luglio la bolletta diventerà mensile.
n.106 / 15
23 febbraio 2015
MAGAZINE
mercato La scheda italiana per maker è al centro di un piccolo giallo: nascono due siti, con gli stessi loghi e prodotti e team differenti
Giallo Arduino: due società, due CEO, ma stesso logo e stessi prodotti
L’arrivo del nuovo Amministratore Delegato, che vorrebbe dare una svolta business, è stata smentita dal fondatore
A
di Roberto Pezzali
rduino è una delle poche eccellenze
italiane nel mondo della tecnologia:
la scheda di prototipazione usata da
artigiani digitali di tutto il mondo per dar
vita ai propri progetti è nelle ultime ore al
centro di un vero e proprio “giallo”: molti
organi di stampa riportano infatti l’arrivo,
come nuovo amministratore delegato,
di Federico Musto. Musto prenderebbe
la poltrona del più noto fondatore di Arduino, Massimo Banzi, uno dei cinque
ideatori del progetto originale. Il condizionale è d’obbligo, anche perché lo stesso
Banzi sembra aver smentito tutto assicurando di restare saldamente alla guida di
Arduino. Un bel pasticcio, soprattutto per
chi non è così esperto e si trova di fronte
a due siti, Arduino.cc e Arduino.org, che
usano gli stessi loghi e che sembrano far
capo alle stesse persone. Difficile capire
quello che sta succedendo, ma l’ipotesi
più accreditata è quella di una scissione
o di una spaccatura all’interno del team
originale dovuta ad una visione di vedute
differente: da una parte Banzi vuole tenere il progetto legato al mondo dei maker
senza stravolgimenti, dall’altra invece
c’è chi pensa di dover dare una svolta
“corporate” ad Arduino incentivando le
collaborazioni con le grandi aziende e
arrivando, in qualche anno, allo sbarco in
borsa. “Da oggi la realtà industriale che
era il gruppo Arduino cambia - ha spiegato all’ANSA l’amministratore delegato
di Arduino.org Federico Musto - perché
il mercato dei ‘makers’ non è più quello
che era ai tempi del bar di Ivrea e sulla
scena ci sono in gioco oggi player importanti come Intel e altri colossi internazionali. Noi rimaniamo fedeli a ciò che siamo
stati sin dall’inizio, una società che pro-
duce software e hardware open source,
ma è necessario avere una dimensione
internazionale che sia in grado interagire
con questi gruppi. L’accordo di Intel ha
avuto un effetto domino, dandoci visibilità e attirando su di noi l’attenzione di altri
gruppi che ci hanno contattato per realizzare dispositivi con la nostra tecnologia,
come per esempio Bosch. Questo ci ha
fatto capire che ci serviva una marcia in
più. Oggi la produzione di Arduino continua ad essere italiana ma abbiamo aperto filiali a Shanghai, in Giappone e negli
Usa e quei mercati ci permettono di poter
crescere nonostante la stagnazione e la
crisi europea”. L’altra faccia di Arduino,
quella storica e riconosciuta da tutti, non
la pensa però allo stesso modo: in una
nota infatti Banzi spiega che Arduino Srl
non ha nulla a che fare con Arduino e che
questa società, conosciuta prima come
Smart Projects con sede a Strambino,
provincia di Torino, ha cambiato da pochi
mesi il proprio nome in Arduino Srl senza
averne l’autorizzazione.
Dietro la nuova società ci sarebbe tuttavia Gianluca Martino, uno dei cinque
fondatori insieme a Banzi della stessa
Arduino, e questo spiega il motivo per il
quale anche la nuova società usa senza
alcun problema il logo ufficiale.
Capire ora cosa succederà è difficile:
Banzi è da sempre riconosciuto come la
figura simbolo di Arduino, colui che mette
la faccia a convegni, partecipa alle fiere
di makers e porta avanti il progetto con
passione. I makers si identificano il lui e
identificano in lui Arduino, ma è chiaro
che il possibile giro d’affari della scheda,
con un fatturato che potrebbe arrivare a
50 milioni di euro nei prossimi anni spingendo sulle collaborazioni con le grandi
aziende, fa gola a molti.
mercato L’OLED avanza, nonostante Samsung venda meno smartphone hi-end di un tempo
Samsung investe 3,6 miliardi di dollari sull’OLED
Samsung punta sui display OLED per il mercato mobile, proprio mentre LG scommette sui TV
N
di Massimiliano zocchi

onostante un mercato mobile che
non dà più all’azienda le stesse
soddisfazioni di un tempo, Samsung è decisa ad aumentare la produzione dei suoi pannelli OLED dedicati al
mercato mobile. Infatti troviamo display
Samsung oltre che nei modelli di punta
torna al sommario
prodotti in casa, anche su altri terminali
di aziende terze. Per far questo è pronto
un investimento da 3.6 miliardi di dollari
per allestire una nuova linea di produzione, che sarà operativa molto presto.
In sostanza Samsung punta a tornare ai
fasti del passato non solo mediante una
nuova linea di smartphone (l’azienda
presenterà a breve Galaxy S6 e Galaxy
Edge), ma anche rafforzando il suo ruolo
di fornitore per aziende terze. E in questo senso l’Amoled offre effettivamente
il miglior compromesso tra qualità d’immagine e costi da sostenere. Samsung
non crede ancora negli OLED utilizzati
nei grandi schermi, per cui si concentrerà sulla produzione di unità dal taglio
più piccolo, per smartphone e tablet.
Di tutt’altro avviso è invece LG, che
notoriamente sta scommettendo molto
sulla sua gamma di TV OLED, con una
schiera di nuovi modelli in arrivo. E anche in questo caso ci sarà una nuova
iniezione di capitali per far crescere la
produzione e la presenza sul mercato.
La cifra per LG è inferiore, si parla di 1
miliardo di dollari, investimento che andrà ad aggiungersi a quelli recentemente approntati. Sembra che il 2015 sarà
l’anno della svolta per il mercato degli
OLED.
MAGAZINE
Estratto dal quotidiano online
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23 febbraio 2015
MAGAZINE
mercato Per tornare agli utili Sony crea una divisione a parte per gestire l’audio-video
Sony scorpora anche la parte audio-video
TV e smartphone potrebbero finire sul mercato; si punta su PS4, Sony Pictures e sensori
di Roberto PEZZALI
a vecchia Sony, quella fondata
da Akio Morita, non esiste più.
Walkman, TV, audio e digital imaging non rientrano più nei piani dell’azienda che ha deciso di creare una
divisione a parte per gestire tutto il business audio video. L’annuncio, che era
nell’aria, è stato dato da Kazuo Hirai ed
è l’ultimo tassello della strategia commerciale con la quale Sony spera di
tornare agli utili nel prossimo triennio.
Il concetto di One Sony, una company
unica con prodotti che dialogano tra
loro e divisioni perfettamente sinergiche, è tramontato definitivamente, il
tutto a poco più di un anno dall’annuncio: la nuova Sony sarà PS4, Sony Pictures e sensori per gli iPhone. Tutto il
resto, dall’audio ai Blu-ray, sarà relegato in una divisione a parte, uno spin off
che assomiglia molto ad un pacchetto
da vendere al miglior offerente. Kazuo
Hirai ha idee ben precise anche per
la divisione TV e smartphone: come
successo ai Vaio, prima scorporati e
poi venduti, smartphone e TV sono
L
I dati di IDC sul mercato
cinese eleggono Xiaomi
primo produttore
di smartphone del 2014
con crescita a tripla
cifra, quasi interamente
ai danni di Samsung
di Paolo CENTOFANTI
da considerarsi sul mercato in attesa
di acquirenti, e non è escluso che una
sorte simile possa toccare anche alle
altre divisione audio e video.
Sony ha deciso di puntare sugli unici
tre segmenti al momento in attivo: la
PlayStation 4, che sta facendo indubbiamente bene, Sony Pictures, che
nonostante i problemi avuto con il recente attacco hacker resta una azienda in attivo e i sensori per smartphone
e fotocamere, un business però legato
quasi esclusivamente alle forniture per
Apple e Nikon. Se una di queste due
aziende dovesse decidere di cambiare fornitore, magari creandosi i sensori
in casa, per Sony la situazione sarebbe ancora più buia. Per gli amanti del
brand Sony, coloro che sono nati e cresciuti con il mito della migliore azienda
d’elettronica giapponese, con walkman in tasca e TV Trinitron a casa, è
un giorno molto triste. La vecchia Sony
non esiste più.
mercato WitsView ha pubblicato la classifica delle aziende che hanno venduto più TV nel 2014
Samsung, LG e Sony sul podio dei TV più venduti
Al quarto posto c’è TCL, Hisense è quinta; spariscono dalla top ten Panasonic e TPVision
di Roberto PEZZALI
ono i coreani a dominare ancora
una volta il mercato TV: Samsung, con il 22.8%, si conferma
ancora una volta la regina del televisore incrementando addirittura le quote
del 2013 che la vedevano al 21%. Dif-

S
torna al sommario
Xiaomi conquista
il mercato cinese
In un anno
crescita del 180%
ficile che lo schermo curvo abbia spostato gli equilibri, più probabile che
siano stati i TV di fascia medio bassa
e i paesi emergenti. Al secondo posto
arriva LG: anche lei dal 13.7% del 2013
si è portata al 14.9% dimostrando comunque un notevole incremento di
vendite. Terza Sony, che si scambia
di posto con TCL, mentre resta stabile Hisense al quinto posto che registra comunque un piccolo guadagno
in percentuale. Philips, Panasonic e
Toshiba spariscono: in questo caso si
pagano le scarse vendite nel mercato americano, dove Vizio continua a
ricoprire una quota importante e altri
brand stanno prendendo il loro posto.
In salita anche altri cinesi emergenti,
come ChangHong: presente al CES
allo stesso posto che storicamente
apparteneva a Microsoft, l’azienda
sembra avere la tecnologia e i prodotti giusti per crescere come TCL e
Hisense. Ricordiamo che i dati di WitsView si riferiscono agli “shipments”,
ovvero ai TV spediti dalle fabbriche
alle filiali per la vendita nei negozi e
quindi sono più allineati al sell-in che
al sell-out, ovvero dai TV poi effettivamente acquistati dai consumatori.
Dai nuovi dati rilasciati il 17 febbraio
da IDC arriva un’ulteriore conferma
della crescita esplosiva di Xiaomi,
giovane brand cinese che in patria
sta letteralmente sbaragliando la
concorrenza. Secondo le stime di
IDC, Xiaomi è stato il produttore
di smartphone di maggiore successo del 2014, con una crescita
anno su anno in termini di prodotti
spediti pari al +186%, passando da
una quota di mercato del 5,3% nel
2013 al 12,5% di oggi.
A farne le spese è stata principalmente Samsung, che ha perso
il controllo del mercato cinese,
passando dalla fetta del 18,7%
del 2013 al 12,1% nel 2014, appena sotto a Xiaomi. Il tracollo di
Samsung è ancora più marcato nei
dati dell’ultimo trimestre del 2014,
dove il produttore coreano è scivolato al quinto posto, non avendo
nuovi prodotti sul mercato, in un
periodo che ha visto anche il lancio sul mercato cinese dei nuovi
smartphone Apple. Nell’ultimo trimestre il produttore californiano si
è aggiudicato il secondo posto in
Cina, appena dietro a Xiaomi.
Difficile dire se il successo di
Xiaomi è replicabile al di fuori del
mercato cinese, ma comunque
resta il fatto che guardando questi numeri i maggiori produttori di
smartphone hanno sicuramente di
che preoccuparsi.
n.106 / 15
23 febbraio 2015
MAGAZINE
mercato Quando lo smartphone viene usato in modo intensivo i “classici” 1 o 2 GB di traffico dati finiscono velocemente
Navigare da smartphone: quale tariffa conviene
quando i soliti 2 GB di traffico dati non bastano?
Per aumentare il traffico dati bisogna entrare nella giungla delle “opzioni” offerte da Tim, Tre, Vodafone e Wind
A quanto si può arrivare? E soprattutto, tra le moltissime offerte a disposizione quale risulta la più conveniente?
C
di Emanuele VILLA
on l’anno nuovo pare che gli operatori mobili
abbiano deciso di allentare le maglie della navigazione Internet, offrendo ai clienti piani e opzioni dati decisamente più capienti rispetto a quelli del
passato. Ciò si tramuta in un vantaggio non indifferente
per gli utilizzatori, che tra WhatsApp, Facebook, condivisione di foto, backup, streaming e navigazione, si
ritrovano a esaurire il plafond mensile al 10 del mese
e a dover pagare per il consumo extra. O a subire forti
limitazioni sulla velocità di navigazione, al punto da poter semplicemente consultare la mail e poco altro. Gli
operatori, dal canto loro, hanno sempre rivolto questa
esigenza a proprio vantaggio: mentre i piani per la comunicazione vocale e gli SMS sono diventati poco per
volta illimitati (e lo saranno sempre di più), gli operatori
hanno deciso di ridurre il più possibile il plafond dati
dei propri piani consumer, che dai 10, 20 GB di qualche anno fa sono passati a 2 GB, 1 GB, magari 1 GB
frazionato in tagli settimanali o addirittura quotidiani e
non cumulabili.
Peccato che, tra app sempre più pesanti, comunicazione via IP serrata, condivisione di elementi multimediali
quali foto e video, streaming audio sempre più diffuso
e backup cloud, 1 e 2 GB non sono davvero sufficienti
per chi fa un uso intensivo del telefono. Dal canto loro,
gli operatori hanno più di un motivo per non offrire Internet Mobile illimitato a poco prezzo: devono evitare
di congestionare la propria rete sulla quale convergono
smartphone, tablet e chiavette, gestire in modo saggio
il “problema” del tethering e, ovviamente, massimizzare il profitto. In quest’ottica si comprende non solo la
limitazione dei profili base a pochi GB di plafond, ma
anche il blocco del tethering (gratuito) effettuato da
qualche operatore e, nel caso di profili a tempo e non a
consumo (cosa che accade soprattutto nelle chiavette),
l’abbattimento della banda sopra un certo quantitativo
di traffico. Ciò premesso, e limitando il discorso alla
navigazione via smartphone (potremo dedicare a PC e
tablet un appuntamento successivo), è da tempo possibile alzare il proprio piano dati mediante opzioni ad
hoc, da attivare contestualmente alla sottoscrizione di
un piano tariffario o anche un secondo momento. Vediamo fin dove si spingono Tim, Vodafone, Tre e Wind
quando si parla unicamente di navigazione mobile da
smartphone.
ci ha creato qualche grattacapo sulle opzioni avanzate, rendendo necessaria una telefonata al call center (comunque risolutiva).
Parlando di profili ricaricabili, i punti di partenza sono
due: TIM special, che offre quattro profili più o meno
per tutte le esigenze, e TIM Young per chi ha meno
di 30 anni. Prendendo in considerazione la prima
ipotesi, il plafond di dati è molto basso, siamo su 500
MB o 1 GB, al di sotto delle nostre esigenze a meno
che non si vada sull’opzione Unlimited con voce ed
SMS illimitati, opzione che porta con sè 3 GB di dati
ma è anche piuttosto costosa (49 euro/mese). In tutti
questi profili è garantita la navigazione su rete 4G
(cosa non scontata, come vedremo), con prezzi che
vanno da 15 a 49 euro/mese. Volendo massimizzare i GB a nostra disposizione, abbiamo due strade:
acquistare un TIM Special tra quelli proposti e somsegue a pagina 07 
In tabella i costi del profilo Tim Special, a cui abbiamo aggiunto l’opzione 2 GB (10 euro/mese).
Con TIM fino a 20 GB “consumer”
Ma i prezzi sono elevati

Partiamo da TIM e cerchiamo di costruire un’offerta
consumer interessante ai fini della massimizzazione
del traffico dati. A dire il vero il sito dell’operatore,
molto semplice da consultare nelle opzioni di base,
torna al sommario
Qui sopra, invece, abbiamo Tim Special con l’aggiunta di 10 GB (20GB per i clienti Telecom Italia).
n.106 / 15
23 febbraio 2015
MAGAZINE
mercato
Navigare da Smartphone
Che operatore conviene?
segue Da pagina 06 
marvi un’opzione ad hoc da 2 GB extra (10 euro in più)
oppure acquistare lo stesso TIM Special e sommarci
un’opzione generica Internet che vale per tutti i profili ricaricabili (Tim Special è compatibile, ci dice il Call
Center) e permette di aggiungervi 2, 5 o 10 GB, che
diventano 4, 10 o 20 GB se si ha un contratto in essere con Telecom Italia. A tutto ciò si aggiungono alcuni
plus interessanti, quali primo mese gratis, attivazione
gratuita, chiamate illimitate verso TIM, ricariche doppie
e altro ancora, da verificare sul sito dell’operatore.
La seconda ipotesi è quella di associare un profilo Tim
Special di cui sopra (da 15 a 49 euro/mese, da 500
MB a 3 GB) con un’opzione Internet Ogni Mese, che è
prevista nei tagli da 2, 5 e 10 GB, che diventano 4, 10
e 20 GB qualora si abbia un contratto residenziale con
Telecom Italia. Il Call Center ci ha infatti confermato
che l’opzione Internet ogni mese è compatibile con i
profili Tim Special, cui vanno sommati 10 euro per il taglio da 2 GB (3G), 20 euro per quello da 5 GB (3G) e 30
euro per quello da 10 GB (LTE). L’opzione in questione
diventa molto interessante qualora, come nel nostro
caso, si vogliano tanti GB ma si possano trascurare
i minuti di conversazione e gli SMS. Se poi si ha un
contratto con Telecom Italia il tutto diventa ancor più
interessante, poichè potremmo partire dalla Limited
Edition per nuovi clienti (15 euro/mese) e sommarvi 20
GB di dati LTE pagando 45 euro in tutto: 200 min/200
SMS/20 GB LTE.
Tre é molto conveniente
15 euro per 4 GB, voce ed SMS illimitati

Esaminando l’offerta consumer di Tre si notano alcuni elementi molto interessanti: qualora si opti per
un abbonamento (Unlimited SIM), l’operatore punta
a rendere attraente la propria offerta da 7 GB (Top
Unlimited Plus), proponendola a 25 euro mensili con
traffico voce illimitato anche all’estero e SMS illimitati. Difficile per un Power User valutare l’opzione
Top Unlimited (non Plus), che a fronte di un risparmio
di 10 euro al mese propone 1 solo GB di Internet LTE.
I profili ricaricabili senza smartphone (All-In) puntano
invece alla massima convenienza ma, al tempo stesso, vincolano fortemente la banda dati concessa: il
profilo più recente è All-In One Special 2015, che
offre chiamate illimitate e SMS illimitati ma solo 1 GB
di dati da frazionare in 250 MB a settimana, troppo
poco per le esigenze di chi usa il telefono per più
che consultare la posta o navigare su due siti.
E gli altri profili All-In, pur molto economici, non ci
risolvono il problema poichè, nella migliore delle
ipotesi, abbiamo 2 GB frazionato in settimane (non
cumulabili) da 500 MB. Il problema lo risolve un’opzione extra introdotta di recente e chiamata Super
Internet per Smartphone, attivabile sia su profili ad
abbonamento (che però nel caso della nostra simulazione ne avrebbero meno bisogno e in più sono
vincolati al limite di 100 MB al giorno), sia su quelli
ricaricabili. In pratica, esso dà al profilo ricaricabile 3
GB al mese a 5 euro, e tra l’altro senza alcuna segna-
torna al sommario
Ecco alcune ipotesi di piani tariffari proposti da Tre, per superare i 5GB occorre scegliere l’abbonamento.
lazione a proposito di vincoli quotidiani o settimanali.
Ciò significa, in sostanza, portare a 4-5 GB i profili
da 1-2 GB, tutta un’altra vita ai nostri fini. Andando
a indagare nelle note non si legge nulla di strano
o particolare, se non il “solito” rinnovo automatico,
un costo di attivazione di 9 euro per i già clienti e
l’incompatibilità con alcuni piani tariffari non più attivabili e opzioni passate. E questo ci conferma che
All-in One Special 2015 è uno dei piani tariffari più
convenienti in assoluto, ma attenzione all’impegno
contrattuale di 30 mesi, ben segnalato nelle note:
sommandolo all’opzione ricaricabile Super Internet
si ottengono minuti illimitati, SMS illimitati e 4 GB
(quota già interessante per il power user) a 15 euro
al mese, tutto compreso ad eccezione dell’LTE, che
costa in promozione 1 euro/mese.
L’altra possibilità è quella di portare a 5 GB (sempre
via Super Internet per smartphone) i profili All-in
da 2 GB: l’opzione più economica è All-in 200, che
costerebbe in tutto 14 euro, ma con limitazioni importanti a livello di traffico voce e SMS. Tutto sommato, l’All in One Special 2015 + Super Internet è in
assoluto l’ipotesi dal miglior rapporto qualità/prezzo
dell’operatore. Attenzione però: oltre al vincolo dei
30 mesi, l’LTE si paga extra, costa 9 euro di attivazione (per chi è già cliente Tre), 1 euro al mese fino
al 30 giugno 2015 e poi 9 euro al mese. A meno che
non intervengano nuovi sconti o proroghe, il prezzo
del 4G andrebbe a incidere fortemente sulla spesa
mensile finale. Chi vuole superare la soglia dei 5 GB
deve rivolgersi a un abbonamento, con preferenza
per l’Unlimited Top che costa 25 euro/mese e offre
7 GB di LTE, o meglio ancora va ai titolari di Partita
IVA, che possono accedere ai profili MyBusiness con
Internet fino a 20 GB a circa 30 euro al mese.
Vodafone è ultra-versatile, abbastanza
costosa ma ha molti servizi inclusi
biliti su cui aggiungere opzioni specifiche, Vofafone
permette - per il ramo ricaricabile - di costruire la propria offerta con la massima flessibilità. Si parte da un
profilo di base da 500 minuti verso tutti (+100 MB di
dati) e si aggiungono le opzioni preferite a seconda
delle reali necessità. Si parte da 10 euro e si possono aggiungere 1 GB LTE (5 euro/mese), 2 GB LTE (10
euro/mese) o 5 GB LTE (19 euro/mese).
Vista la finalità di questo servizio, nel nostro caso
aggiungiamo 5 GB e il taglio minimo di SMS, trovandoci con 500 minuti, 100 SMS e 5 GB per 31 euro. Il
costo è circa il doppio rispetto a quello di Tre, ma ci
sono dei servizi extra da valutare, oltre al fatto che
vanno messi in contro eventuali vincoli temporali, la
tecnologia impiegata (3G/4G), e la qualità del servizio, che non si può misurare con tariffe e dati vari: i 5
GB extra, che da soli costano 19 euro, comprendono
6 mesi di Spotify Premium (9,9 euro/mese), Infinity
(6,9 euro/mese) e Vodafone Calcio (6,9 euro/mese).
Visto che parliamo di smartphone, l’idea è ottima per
chi ha già un abbonamento a un servizio di musica
in streaming, poichè permette di disattivarlo e risparmiare circa 10 euro al mese, che vanno sottratti alla
tariffa applicata da Vodafone.
Situazione migliore partendo dal profilo Unlimited
(200 minuti e 2 GB), cui aggiungiamo 2 GB LTE e
100 SMS andando a pagare in tutto 24 euro al mese
(+3 euro di attivazione) per 4 GB. Purtroppo però il
piano Unlimited può essere sottoscritto solo sotto i
30 anni di età.
Chi opta per un abbonamento e vuole una quantità
di dati corposa può agire scegliendo un profilo esistente (Relax Mini, Relax o Relax Completo) ed eventualmente aggiungervi 1GB, 2GB o 5GB di Internet
4G in più. Considerando che Relax Completo offre
già 5 GB inclusi, si possono raggiungere anche i 10
GB ma a costi decisamente superiori rispetto all’offerta ricaricabile. Al momento in cui si scrive, l’ipotesi
L’attuale offerta di Vodafone ci ha stupito in termini
di versatilità: anzichè ricadere nei soliti profili presta-
segue a pagina 08 
Vodafone ricaricabile, alcune ipotesi ottenute partendo dal profilo base aggiungendo diverse opzioni dati.
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23 febbraio 2015
mercato
Navigare da Smartphone
Che operatore conviene?
segue Da pagina 07 
migliore a livello di qualità/prezzo (anche perchè al
momento è in offerta) è Relax, che offre minuti ed
SMS illimitati + Internet 2 GB 4G a 29 euro/mese:
troppo poco considerando le nostre finalità, per cui
occorre aggiungervi 5 GB per 15 euro, andando a
pagare 44 euro/mese. Valgono le considerazioni di
cui sopra sui diversi servizi inclusi.
Con Wind fino a 12 GB da condividere
Grazie a un sito web molto chiaro, l’offerta Wind per
smartphone è piuttosto semplice da “interpretare”.
Partendo con i profili ricaricabili abbiamo svariati profili
che costano da 9 a 16 euro/mese e offrono la solita
dotazione crescente di minuti/SMS e traffico web, che
però (come al solito) non supera i 2 GB quindi, nel nostro caso, va integrato con qualche opzione ad hoc.
Nella fattispecie, a tutti i profili citati possiamo aggiungere 1 o 2 GB di dati, andando a un massimo di 4 GB
al mese. Ai nostri fini, ci piace la All Inclusive Music,
poichè per 22 euro al mese (passando però a Wind,
altrimenti sono 2 euro in più) si hanno 4 GB e in più
un abbonamento illimitato allo streaming musicale di
MAGAZINE
Napster. Lo streaming non è a tempo, quindi la durata
dell’offerta è a tempo indeterminato a seconda degli
accordi tra Wind e Napster: il traffico consumato incide però sul piano dati. Chi dovesse avere in questo
momento un contratto in essere con Spotify, Deezer o
un altro fornitore, passando a Wind risparmierebbe i
10 euro mensili attualmente pagati, rendendo l’offerta
“arancione” quanto mai interessante. Ovviamente la
possibilità di avere molti GB di Internet riguarda anche
gli abbonamenti consumer, che partono tutti da 2 GB
ma possono essere portati a 5 GB con 5 euro in più.
Ma in realtà la soluzione alla “fame di GB” sta altrove,
e precisamente nei profili Open Internet, che sono attivabili su tutte le SIM ricaricabili Wind (quindi anche con
i profili di base di cui sopra) e con cui si va ben oltre i 45 GB previsti nei casi precedenti. Open Internet è inoltre l’opzione da considerare qualora si voglia condividere il piano dati con altre sim Wind ricaricabili, fino a
un massimo di 4. Da ricordare, poi, che tutte le opzioni
Internet di Wind permettono di navigare alla massima
velocità possibile, quindi in LTE senza maggiorazioni
di prezzo. l taglio più basso è da 3 GB (9 euro/mese),
ma ci sono anche le versioni da 6 GB (14 euro/mese) e
da 12 GB (19 euro/mese) per chi ha bisogno di grandi
quantità di dati o di condivisione con tanti utenti di sim
Wind ricaricabili. Proviamo allora a fare una simulazione partendo da un profilo voce di base (Noi Tutti, 200
minuti, 6 euro/mese), aggiungendovi il taglio minimo
I profili Wind ricaricaribili con l’aggiunta di 2 GB dati extra.
I profili Wind in abbonamento, con l’aggiunta di 3 GB dati extra.

Wind, la simulazione di un profilo tariffario base con l’aggiunta di 100 SMS e 12 GB di Open Internet.
torna al sommario
di SMS (100, 1 euro/mese) e una Open Internet da 12
GB: otteniamo 26 euro al mese, davvero niente male
considerando il traffico dati incluso.
Tiriamo le somme
Convenienza o GB infiniti?
Quanto sopra non vuole essere un trattato esaustivo
delle possibili offerte e combinazioni proposte dagli
operatori italiani (ci vorrebbe un’enciclopedia per
considerare e valutare tutti i casi), ma semplicemente
la dimostrazione di alcuni punti importanti: innanzitutto che gli operatori tendono a mantenere molto basso
il plafond dati dei propri profili di base, solitamente
nell’ordine dei 500 MB, 1 GB o 2 GB, con rare eccezioni. La concorrenza è fortissima nella fascia degli
utenti casual e non è assolutamente raro trovare opzioni comprensive di voce, SMS e dati a 10 o pochi più
euro. Trascurando ipotesi particolari e profili limitati a
una certa fascia d’età, Tre e Wind partono addirittura
da 9 euro/mese, mentre bisogna spendere qualcosa
di più per Tim e Vodafone (circa 15 euro/mese), ma
l’offerta è anche più ampia. Altro punto fermo che
emerge dal nostro confronto è che salire di GB è
sempre possibile, ma il concetto di Flat vero e proprio
(come quello di casa) non esiste: è facile aggiungere
1 GB, 2 GB, o 5 GB, ma - eccezioni escluse - superare la soglia dei 10 GB costringe a spese mensili non
indifferenti. A livello di mera convenienza, l’opzione
di Tre All in One Special 2015 + Super Internet da 3
GB ci sembra quasi imbattibile al momento: 14 euro
per 4 GB di dati (non LTE, però), illimitati SMS e minuti
di conversazione ci sembra una tariffa notevole, anche se - come già detto più sopra - bisogna informarsi
bene sui vincoli, costi accessori e su varie incompatibilità, per i quali il sito Tre è molto esaustivo.
Ci è piaciuto molto il discorso dell’Open Internet di
Wind, che oltre al fatto di estendere in modo importante il plafond dati mensili e permettere la condivisione su più SIM, è anche relativamente economico.
Se con Tre portiamo a casa 4 GB (vedi ipotesi precedente) al mese con 15 euro, qui con 10 euro in più
ne abbiamo a disposizione 12 e tutti LTE. Poi dipende
logicamente dalla configurazione scelta da ognuno,
ma di per sè Wind permette di arrivare a grossi quantitativi di dati contenendo di molto la spesa. Se poi
si associa l’Open Internet a un profilo come l’All Inclusive Music, che consta di abbonamento Premium a
Napster a tempo indeterminato, si può ascoltare musica tutto il giorno, ovunque, dimenticandosi del proprio plafond dati. Tim e Vodafone sono in media più
care rispetto a Wind e Tre, presumibilmente puntando
su una maggior copertura per quanto concerne il 4G,
che al momento viene offerto (gratuitamente o come
opzione extra) da tutti i big four. Di Tim abbiamo apprezzato la possibilità di raggiungere, anche nel ramo
consumer (quello che ci interessa) 20 e più GB di LTE,
un’ipotesi piuttosto “estrema” ma che ben si coniuga
con le finalità di questo servizio e che non tutti gli altri
operatori permettono. Certo, per averli occorre pagare più di 40 euro al mese, ma il prezzo comunque non
è fuori mercato, considerando la mole di dati. Anche
Vodafone è più costosa di Tre e Wind come offerte di
base, ma qui abbiamo apprezzato molto la versatilità nella configurazione e soprattutto i bundle: avere
Spotify Premium e Infinity compreso nel prezzo per
6 mesi non è cosa di poco conto.
n.106 / 15
23 febbraio 2015
MAGAZINE
tv e video Per proteggere i video in 4K arriva l’HDCP 2.2, penalizza tutti tranne i pirati
Con l’Ultra HD ritorna l’incubo dell’HDCP
L’HDCP 2.2 non è retrocompatibile: chi ha già comprato un device 4K rischia problemi
T
di Roberto Pezzali

utti conoscono l’HDMI, ormai diventata la connessione tipica
per segnali digitali tra sorgenti e
display, meno noto è invece l’HDCP,
High Bandwith Copy Protection: il sistema che protegge i dati trasmessi sulla
connessione HDMI. L’HDCP impedisce
ai malintenzionati di inserire un cavo
HDMI in un videoregistratore digitale e
registrare il contenuto. Va detto comunque che i prodotti capaci di registrare
dall’HDMI in alta definizione oggi sono
davvero pochi e legati al mondo broadcast, ma questo probabilmente sfugge
a chi ha pensato bene di mettere l’ennesimo (inutile) blocco. L’HDCP funziona
con uno scambio di codici di sicurezza,
dette chiavi: la sorgente invia una chiave, il display verifica se questa chiave è
valida e visualizza il contenuto. Al giorno d’oggi tutti i TV e tutti i display sono
compatibili HDCP: questa protezione è
quindi totalmente trasparente per l’utente e non crea più alcun disagio, anche
se alcuni anni fa, quando l’HDMI iniziò
a diffondersi, ci furono svariati problemi,
soprattutto con i decoder di Sky e alcuni
TV con porte DVI prive di HDCP.
Dieci anni dopo, tanti ne sono passati,
torna l’incubo dell’HDCP: l’arrivo dell’Ultra HD ha infatti spinto le aziende a
aggiornare la piattaforma di protezione
spingendo i produttori all’adozione del
nuovo HDCP 2.2, una versione rivista e
più sicura del sistema di protezione precedente che è stato più volte bucato.
Una scelta che come sempre penalizza
i consumatori e non tocca assolutamente chi ha davvero intenzione di copiare
i contenuti. L’HDCP 2.2, infatti, non solo
non è retrocompatibile con la versione
precedente (non avrebbe senso) ma ri-
torna al sommario
chiede che tutta la catena, dal display
alla sorgente per arrivare a sound bar e
amplificatori, sia HDCP 2.2 per dare l’ok
alla visione.
Tutte le sorgenti in grado di riprodurre contenuti Ultra HD come decoder
satellitari o DVB-T, player esterni o un
eventuale Blu-ray 4K, avranno un’uscita HDMI 2.0 protetta con HDCP 2.2 e
richiederanno nella catena audio video
dispositivi con questo livello di protezione: in caso contrario niente audio e
niente video.
Per capire se un televisore Ultra HD è
pronto basta cercare il nuovo logo Ultra
HD: questo logo certifica che almeno
uno dei connettori HDMI 2.0 è compatibile con HDCP 2.2.
Il logo tuttavia è presente sui TV di
quest’anno per i cinque produttori
principali, Samsung, Sony, LG, Panasonic e Philips, per tutti gli altri resta una
incognita così come resta l’incognita
per eventuali monitor da PC. Il dubbio
resta anche per i TV venduti negli ultimi
anni: la primissima generazione sicuramente non è HDCP 2.2, ma anche i TV
dello scorso anno, nonostante l’HDMI
Questo logo
identificherà
i TV Ultra HD
LG, Panasonic, Sony
Philips e Samsung
confermano che da
quest’anno inizieranno
a utilizzare il logo scelto
da DigitalEurope
per l’Ultra HD
Servirebbe a difendere
i consumatori, ma forse
le specifiche non sono
così stringenti
di Roberto Pezzali
2.0, potrebbero non essere compatibili
con il sistema di protezione. La prova
è data da tutti gli amplificatori e i preamplificatori home cinema venduti negli ultimi mesi: Yamaha, Denon, Onkyp,
Pioneer hanno a catalogo prodotti dotati di HDMI 2.0 ma privi di HDCP 2.2,
compatibili quindi con flussi 4K ma non
con eventuali contenuti protetti 4K. Solo
per alcuni modelli, come ad esempio
l’Onkyo TX-NR636, il produttore specifica che le porte HDMI supportano il
nuovo sistema di protezione.
Va chiarito, e questo è importante, che
l’HDCP 2.2 si attiva solo con un contenuto 4K: se si utilizza un contenuto HD
viene usato il vecchio sistema di protezione. Il solito pasticcio insomma, con
protezioni inutili che non fanno altro
che aumentare la confusione spingendo i consumatori a cambiare elementi
della propria catena senza che ce ne
sia la reale necessità. Chi scarica film
in Ultra HD dal web non ha problemi di
alcun tipo, può passare i file liberamente sugli hard disk, copiarli e riprodurli
senza problemi. Chi invece preferisce
la legalità in futuro potrebbe scoprire
che l’amplificatore che ha acquistato
o il TV non vanno più bene, e sono da
cambiare: una tegola per un acquirente
appassionato che ha avuto la “colpa” di
essere tra i primi a dare fiducia all’Ultra HD comprando i primi prodotti lanciati sul mercato.
I cinque maggiori produttori di TV
hanno scelto di adottare il logo
di Digital Europe per l’Ultra HD:
l’ente, che ha già realizzato i
vecchi loghi Full HD, HD Ready
e HDTV, sta anche cercando di
spingere tutti gli altri produttori di
TV ad adottare il logo per creare
meno confusione sui punti vendita. Il problema, e ci teniamo a
sottolinearlo, sono le specifiche
minime che un TV deve rispettare per poter utilizzare il logo:
risoluzione 3840x2160, pannello a 8 bit e Rec.709, capacità di
elaborare un segnale 4K, un ingresso HDMI 2.0 con HDCP 2.2
e audio stereo.
Nessun riferimento, come si può
vedere, alla presenza di HEVC
integrato o ad esempio alla necessità di gestire anche lo spazio colore Rec.2020, e questo è
un chiaro limite di questa certificazione a maglie davvero troppo
larghe. Nelle condizioni attuali la
maggior parte dei TV si può fregiare del logo, tuttavia sono pochi quelle che saranno davvero
“future proof”. In America, e forse si doveva prendere esempio,
sono state create due classi di
certificazione per il logo: una di
base e una con decoder HEVC
integrato.
n.106 / 15
23 febbraio 2015
MAGAZINE
tv e video La Blu-ray Disc Association potrebbe adottare tre proposte di standard per l’HDR
Tre standard HDR per l’Ultra HD Blu-ray
Nelle specifiche Dolby Vision, Philips, Technicolor/MPEG. Confermati wide gamut e Rec.2020
di Paolo CENTOFANTI
I
l nuovo standard che la Blu-ray Disc
Alliance sta definendo per il disco ottico di nuova generazione offrirà molto
di più che un semplice upgrade della risoluzione delle immagini. Una delle principali caratteristiche del nuovo formato
sarà infatti il supporto per il video HDR
o High Dynamic Range, cioè con una
maggiore gamma dinamica rispetto agli
attuali standard video utilizzati in ambito
consumer, capace di sfruttare al massimo la maggiore luminosità dei moderni
televisori. Il problema è che non c’è un
modo univoco di implementare l’HDR,
con diverse proposte sul tavolo provenienti da diversi attori del mercato. Ben
sapendo che le possibilità di successo
commerciale dell’Ultra HD Blu-ray sono
appese a un filo, per non correre rischi,
la BDA avrebbe deciso di integrare nelle
specifiche del nuovo formato ben tre diversi HDR: Dolby Vision, quello proposto
da Philips e un’ulteriore proposta portata
avanti da Technicolor con gli enti SMPTE
ed MPEG. La bozza dello standard do-
vrebbe venire approvata entro l’estate,
con l’obiettivo di arrivare al lancio dei
primi lettori e titoli entro la fine dell’anno.
Sarebbe inoltre confermato il supporto
per lo standard Rec.2020, che definisce uno spazio colore estremamente
più esteso di quello attualmente in uso,
capace cioè di codificare primari molto
più saturi e quindi un maggiore numero
di sfumature di colore. Un primo prototipo di lettore Ultra HD Blu-ray era stato
mostrato al CES 2015 da Las Vegas da
Panasonic. Ricordiamo che, parallelamente, un’altra associazione di aziende
del settore capitanata da Samsung, la
Ultra HD Alliance, è al lavoro per definire
in modo simile delle specifiche declinate
però alla distribuzione digitale dell’home
video, streaming e download, piattaforme che daranno filo da torcere al nuovo disco ottico, in un’era in cui il video
“liquido” sta velocemente sostituendo i
classici supporti nelle abitudini di utilizzo
degli utenti di tutto il mondo.
eNTERTAINMENT Su Xbox one arriva un’altra app video, lo streaming è il futuro della TV
L’applicazione di La7 sbarca su Xbox One Italia
Gli utilizzatori della console potranno accedere ai video in streaming dalla dashboard
di Paolo CENTOFANTI
X

box One guadagna un’altra app
video italiana: La7 si aggiunge a SkyOnline, a Infinity e a
Premium Play. La nuova applicazione
consentirà agli utenti Xbox One l’accesso al palinsesto del canale LA7 in qualsiasi momento si voglia e senza costi
aggiuntivi: si potrà creare o personalizzare un palinsesto scegliendo i contenuti desiderati, dall’informazione del Tg
diretto da Enrico Mentana ai contenitori
del mattino Omnibus, Coffee Break e
L’Aria che Tira, dai prime time di Corrado Formigli con Piazzapulita, Lilli Gruber
con Otto e Mezzo, Giovanni Floris con di
Martedì, Michele Santoro con Servizio
Pubblico,Gianluigi Paragone con La Gabbia, fino alle Invasioni Barbariche di Daria
Bignardi e alla satira di Maurizio Crozza.
Con RivediLA7 sarà possibile poi rivivere
in modalità gratuita la programmazione
settimanale dei canali La7 e La7d.
torna al sommario
“Siamo molto soddisfatti della collaborazione con Microsoft
– ha dichiarato Marco
Ghigliani, Amministratore Delegato di LA7
- LA7 è stata il primo
broadcaster a lanciare la catch-up tv sul
web nel 2009 e oggi
siamo la prima televisione free a fornire
gratuitamente i propri programmi su
Xbox One, una delle migliori console
presenti sul mercato mondiale. Questo
accordo ci consente di proseguire con
grande efficacia, sul cammino dell’evoluzione e dello sviluppo distributivo dei
nostri contenuti, offrendo ai nostri telespettatori e ad un pubblico ancora più
vasto, un modo nuovo di accedere alla
nostra offerta”.
Il futuro della TV tradizionale lineare non
è molto roseo: i servizi di streaming, so-
prattutto delle pay TV (SkyGo), iniziano
a far registrare numeri importanti. L’idea
del palinsesto personalizzato, del poter
vedere cosa si vuole quando si vuole e
di poter accedere ad un intero archivio
di contenuti sta cambiando il modo di
guardare la TV. Con un vantaggio enorme: lo streaming, in quanto adattivo, può
davvero offrire l’alta definizione a tutti
coloro che hanno banda a sufficienza
senza però tagliare fuori chi ha una connessione più lenta.
Il proiettore
Epson LASER 4K
arriverà in Italia
Epson lancia un
videoproiettore 4K
basato su tecnologia
3LCD ma con doppia
sorgente LASER
al posto della normale
lampada. Wide Gamut
e nero “assoluto” le
caratteristiche di punta
In Italia in primavera
di Paolo CENTOFANTI
Epson conferma l’arrivo anche in
Italia del suo nuovo proiettore Home
Theater top di gamma EH-LS10000,
presentato lo scorso settembre al
CEDIA Expo negli Stati Uniti. È il primo proiettore Epson in grado di visualizzare contenuti 4K ed è basato
su un nuovo engine ottico a doppio
LASER. Innanzitutto non si tratta letteralmente di un vero 4K, visto che
il proiettore utilizza il classico sistema 3LCD con matrici da 0,74 pollici
con risoluzione full HD, ma ottiene
un raddoppio della risoluzione nelle
due direzioni attraverso un meccanismo che sposta in diagonale le
matrici di mezzo pixel. L’elemento di
novità è però proprio la sostituzione
della classica lampada con due sorgenti LASER, una dedicata ai colori
verde e rosso, la seconda al blu.
Questa configurazione consente di
avere secondo Epson neri perfetti,
un ampio spazio colore (addirittura
DCI e Adobe RGB con l’apposito Cinema Filter), una vita delle “lampade” di 30.000 ore, un flusso luminoso di ben 1500 lumen e accensione
e spegnimento quasi istantanei. Il
videoproiettore arriverà in Italia in
primavera, tra marzo ed aprile, a un
prezzo ancora da annunciare, che
con ogni probabilità si aggirerà intorno agli 8000 euro come ordine
di grandezza.
n.106 / 15
23 febbraio 2015
MAGAZINE
tv e video Sony punta su tre fondamentali pilastri: design, user experience e un’elevata qualità sia audio che video
Tutti i segreti della nuova gamma TV Sony 2015
La gamma Android TV Sony 2015 potrà contare su nuovi e potenti processori ma anche sull’arrivo dell’hi-res audio
di Roberto Pezzali
S

ony con la gamma TV 2015 sposa Google con
il nuovo Android TV, sforna il TV LED più sottile
al mondo e presenta anche in Italia una gamma
super completa che unisce ottimo design e dettagli
curati ad un’attenta ricerca della migliore qualità video
possibile. Qualità dell’immagine, design e esperienza
utente sono i tre pilastri attorno a cui Sony ha costruito
la gamma, continuando un percorso iniziato nel 2012.
Tre anni fa, infatti, Sony debuttò con il processore XReality Pro per spingere al massimo il microdettaglio
delle immagini. L’anno successivo, con Triluminous,
cercò di ampliare il gamut dei display per proseguire
poi il lavoro sul contrasto, nel 2014, con l’Extended Dynamic Range e il local dimming. Un lavoro che viene
ora ampliato con l’adozione del nuovo processore X1,
che non solo racchiude le tre precedenti tecnologie ma
aggiunge anche un set di novità interessanti.
La prima è il riconoscimento del tipo di segnale utilizzando un database campione di immagini memorizzato nel chip: il TV analizza il segnale in ingresso e
lo confronta con circa cinquecento diverse situazioni
per trovare la migliore curva di elaborazione per quel
singolo segnale. In questo modo broadcasting, sport,
streaming, contenuti ripresi con uno smartphone 4K e
foto vengono gestiti nel miglior modo possibile, e lo
stesso processo vale per i contenuti in Full HD che vengono upscalati a 4K: anche per loro c’è un database di
scene che suggerisce al processore il modo migliore
per applicare l’upscaling e regolare parametri come
nitidezza e riduzione del rumore.
Sony ha migliorato anche i suoi singoli algoritmi di
elaborazione del segnale: la riduzione del rumore ora
lavora a zone e separa quelle piatte, come il cielo, dalle zone ricche di dettaglio. In questo modo si evita di
abbassare troppo il dettaglio degli elementi più fini e
si lavora esclusivamente nelle zone dove davvero serve ridurre il rumore perché visibile. Migliorato anche
l’algoritmo di upscaling: Sony non si limita a ricampionare i pixel, perché nel caso di linee molto fini cerca
di mantenere lo stesso spessore anche nell’immagine
“scalata”. Una soluzione intelligente in molti casi, dove
l’upscaling crea inevitabilmente artefatti e aliasing su
elementi davvero minuti quali cavi d’acciaio o tralicci.
Nuovo anche il filtro di riduzione del rumore: da una
parte i macroblocchi della compressione vengono distrutti e distribuiti per renderli meno visibili, dall’altra
torna al sommario
sono stati inseriti filtri dedicati a AVC, HEVC e VP9 per
eliminare il rumore dagli streaming HD e 4K.
Sul fronte qualità migliora globalmente anche la resa
cromatica e il contrasto: il processore X1, molto più potente del precedente, riesce a gestire il local dimming
non solo spegnendo le zone dove l’immagine è scura
ma aumentando la luminosità di picco per le zone dove
serve luce. Sony avrà due versioni di XDR, ovvero di
Xtended Dynamic Range: i modelli top avranno la Pro,
con una luminosità di picco maggiore, gli altri avranno
la versione standard. L’XDR non va comunque confuso
con l’HDR Video che la Ultra HD Alliance sta spingendo: quello di Sony è una sorta di HDR, ma lavora su tutte le immagini a prescindere da come è stato codificato
il contenuto. Passando al design, il prodotto più interessante è l’ultra sottile X90C: 4.9 millimetri di spessore
per un TV creato con tecnologia Edge LED. Impossibile
sapere come Sony abbia raggiunto questo risultato:
l’unica cosa che ci hanno detto è che l’illuminazione
è singola nella zona inferiore e che pannello e unità
di retroilluminazione sono stati fusi in un unico blocco.
Sony vuole mantenere questo segreto produttivo, ma
onestamente non ne capiamo il motivo: un competitor non ci mette molto a comprare un TV e smontarlo
per vedere come è stato fatto, e sicuramente spiegare come Sony, unica al mondo, è riuscita a fare un TV
LCD spesso meno di 5 mm avrebbe messo in luce le
capacità di Sony di innovare in questo settore. Tipica
timidezza giapponese: riescono a battere quello che
sembrava un limite invalicabile e non si danno molto
da fare per raccontarlo in giro. L’avesse fatto Samsung
un TV simile probabilmente ora lo saprebbero tutti.
L’X90C è davvero un bel vedere, e Sony ha pensato
davvero a tutto: la ventilazione forzata lavora in senso
verticale per permettere a chi acquista il TV il montaggio a parete senza spazio tra muro e retro
del televisore. La staffa per appenderlo, una
U, è in dotazione. Sony ha rivisto anche la
sua gamma di TV curvi, presentando un
nuovo modello decisamente più elegante
di quello dello scorso anno e probabilmente meno costoso. Sony non sembra comunque puntare sul pannello curvo: in gamma
c’è perché qualcuno lo chiede, ma l’X90C
sarà il TV su cui puntare quando si parla di
bellezza e design.
Infine, e l’abbiamo lasciata apposta in fondo, la Android
TV. Il sistema operativo non è ancora completo al 100%
e Sony non ci ha permesso di scattare fotografie all’interfaccia. Il lavoro fatto per personalizzare l’interfaccia
vista anche sul Nexus Player è notevole, con Android
che non è una semplice interfaccia caricata on top sul
sistema operativo del TV ma è totalmente integrato e
gestisce ogni funzione del TV stesso, anche il setup.
Un’integrazione che va oltre a quella che offre Google di base, ovvero la ricerca vocale e Google Cast
(Chromecast già integrato): Sony installerà su Android
una serie di app personalizzate e modificherà l’interfaccia per permettere di accedervi facilmente anche
durante la visione del TV. In ambito televisivo non mancherà la possibilità di registrare con il PVR ma non ci
saranno MHP e quindi certificazioni come Tivuon: con
lo store e le app da scaricare, l’interattività MHP è inutile oltre che difficile da implementare.
Al momento non possiamo raccontare molto: il lavoro
da fare sul sistema operativo è ancora lungo ma Sony
assicura che tra qualche settimana, quando i TV arriveranno sul mercato, tutto sarà pronto. Non è escluso comunque un corposo aggiornamento alla prima accensione. L’unico dato che siamo riusciti ad avere, legato ai
TV, è la presenza di 16 GB di memoria flash all’interno
per scaricare le app: non sappiamo se sarà possibile
espandere questa memoria con chiavette esterne e la
stessa Sony non ci ha saputo dire se l’interfaccia definitiva sarà Full HD o 4K.
Un’ultima nota relativa all’audio: i modelli X94C e X93C
oltre al woofer e al tweeter integreranno anche in subwoofer ai lati del pannello, e grazie alla certificazione
Hi-Res Audio potranno riprodurre file (anche Flac) da
USB o DLNA. Qui le caratteristiche dettagliate della
gamma completa.
Concert for one
Cuffia P3. Un mix di alta qualità sonora e comfort di lusso, frutto della fusione calcolata e calibrata tra materiali pregiati e tecnologie raffinate. Nata dalla penna di Morten Warren, lo stesso creatore dello Zeppelin Air iPod Speaker, la P3, disponibile in 4 colori, nero, bianco, rosso e blu, ne conserva la personalità, il talento sonoro e la frequentazione privilegiata, ovvero l’iPod e l’iPhone dai quali estrapola il meglio dei conte-
nuti sonori, ne integra la funzionalità e la cosmetica. P3 è infatti dotata di un cavo con comando per iPod/iPhone con microfono e controllo volume/salto-traccia, utilissimo per tutti gli
amanti dei player firmati dalla mela argentata. Ma –ovviamenteP3 è "anche" una cuffia Hi Fi tradizionale di elevatissimo livello,
da poter collegare a qualsiasi sorgente standard, tramite il
cavo a corredo intercambiabile con quello per player Apple.
Zeppelin e Zeppelin Air sono marchi registrati di B&W Group Ltd. AirPlay, iPod, iPhone e iPad sono marchi di Apple Inc. registrati negli Stati Uniti e in altri paesi.
www.audiogamma.it
n.106 / 15
23 febbraio 2015
MAGAZINE
MOBILE L’1 marzo si avvicina e crescono i rumor sulle caratteristiche dello smartphone Samsung
Nuove indiscrezioni su Samsung Galaxy S6
Fuoco manuale, RAW e 20 Megapixel per la super-camera, in più integrerà app Microsoft
di E. VILLA e P. CENTOFANTI
I Galaxy S6 è davvero dietro l’angolo. Questa volta il rumor, riportato da
SamMobile e proveniente da fonti
interne all’azienda, riguarda specificamente il modulo fotografico, sul quale
l’azienda punta moltissimo.
Per lanciare la nuova generazione e,
soprattutto, ottenere il successo sperato, Samsung pensa di affidarsi a un
modulo principale “fatto in casa” da 20
mpixel, che è in fase di test da parte
di alcuni dipendenti dell’azienda. Ma la
stessa Samsung non è così certa del
suo impiego sul Galaxy S6, principalmente per questioni di disponibilità e
costo: essendo S6 un prodotto di punta ad alta diffusione (si spera, quanto
meno), Samsung potrebbe decidere
di usare la fotocamera da 20 mpixel
solo su Galaxy Edge, che sicuramente
avrà una diffusione minore e non sarà,
almeno all’inizio, disponibile su tutti i
mercati locali.
La fotocamera da 20 mpixel è dotata
di stabilizzazione ottica e si associa
alla medesima fotocamera frontale da
5 mpixel trovata nella serie Galaxy A.
Grosse novità anche a livello software:
Samsung sta infatti utilizzando le API di
Android Lollipop per offrire una modalità fotografica “pro” molto simile a quella offerta da app dedicate. Si vocifera
che saranno disponibili tre modalità di
fuoco, tra cui una completamente manuale, oltre alla possibilità di scattare
in RAW e di regolare la velocità dell’otturatore allungando e diminuendo i
tempi di posa.
Samsung presenta
al mondo il suo
processore più evoluto
l’Exynos 7 realizzato
con processo da 14nm
FinFET. Si vocifera
che la variante 7420
alimenterà il Galaxy S6
I
App Microsoft per il
Galaxy S6, Office compreso

A partire dall’imminente Galaxy S6,
Samsung ridurrà il suo cosiddetto
“bloatware”, cioè quell’insieme di app
preinstallate che usualmente il produttore inserisce sui suoi smartphone per
rafforzare l’identità del suo brand. Ora,
grazie al “solito” SamMobile, emergono ulteriori dettagli relativamente
a questa nuova direzione. Sul Galaxy
S6, infatti, gli utenti troveranno appena
lo accenderanno un bel po’ di app Microsoft al posto di quelle Samsung: in
particolare ci saranno OneDrive, OneNote, Skype e la suite Office Mobile,
compreso un abbonamento promozionale a Office 365. Qualcuno ricorderà
torna al sommario
Samsung
ufficializza
il processore
Exynos 7
di Emanuele VILLA
che giusto poco tempo fa Microsoft e
Samsung hanno rilasciato un comunicato in cui annunciavano il raggiungimento di un accordo sulla controversia
legale nata la scorsa estate. Non è da
escludere quindi che l’inclusione delle
app Microsoft sul Galaxy S6 sia il risultato di questa “pace”, i cui termini
ufficialmente non sono stati rivelati.
Le app Samsung comunque non spariranno del tutto, visto che potranno
comunque essere scaricate in un secondo tempo dall’utente. Al momento
non è ancora chiaro esattamente quali,
dei vari software che nel tempo Samsung ha aggiunto alla sua TouchWiz,
verranno eliminati dalla configurazione
di default.
MOBILE Un “memo” svela il possibile lancio degli smartphone
Il Galaxy S6 uscirà il 22 marzo
Galaxy Edge arriverà ad aprile
P
di Emanuele VILLA
ur senza alcuna conferma ufficiale (che mai arriverà), una cosa è certa: Samsung presenterà Galaxy S6 e Galaxy Edge il 1 marzo a Barcellona. Maggiore
incertezza c’è invece sulla data di lancio sul mercato, che si suppone comunque
ravvicinata conoscendo le dinamiche del mercato mobile. Phone Arena ci dice che
potremo acquistare (si fa riferimento al mercato americano, ma non ci sono impedimenti a un’estensione europea) il Galaxy S6 a partire dal 22 marzo e il Galaxy Edge
il 19 aprile. Il che avrebbe senso considerando sia la storia recente, sia i tempi tecnici
di distribuzione del prodotto. Motivo? Samsung ha diffuso un memo interno in cui
annuncia un Time Off Blackout, ovvero un periodo in cui i dipendenti non sono autorizzati a prendere ferie: dal 22 marzo al 30 marzo e dal 19 aprile al 27 aprile. Considerando che questo si rivolge soprattutto al personale dei Samsung Store e che di solito
riguarda i momenti di massima pressione, è chiaro che si verificherà qualcosa di grosso. Inoltre, se si considera
il peso del settore mobile
sui conti dell’azienda e
quanto la stessa punta su
Galaxy S6 per tornare ai fasti del passato, i commentatori non hanno dubbi: il
22 marzo esce il nuovo
Galaxy. Per la conferma
dovremo però attendere il
Mobile World Congress.
Nonostante il mondo dia per certa
la presenza di un processore Exynos 7420 nel prossimo telefono
Samsung top di gamma, la conferma da parte dalla casa madre
deve ancora arrivare. Ma stando
alla notizia che di fatto ufficializza la serie Exynos 7 di processori
Samsung, siamo a un passo dalla
conferma definitiva. Samsung ha,
infatti, annunciato l’avvio della
produzione di massa dei SoC Exynos 7 pochi giorni prima del Mobile World Congress. Il comunicato
stampa ufficiale non dice molto
circa il nuovo processore, se non
che è stato realizzato con processo produttivo a 14nm e struttura di
transistor FinFET, che - secondo il
produttore - è “la tecnologia produttiva più avanzata nel settore”.
Sempre secondo Samsung, qualora venga comparato a un processore della precedente generazione (20nm), il nuovo Exynos 7 è
in grado di garantire velocità del
20% superiori, 35% di consumi in
meno e una produttività del 30%
superiore proprio grazie all’uso
della tecnologia 3D FinFET per i
transistor.
Exynos 7 è quindi il primo processore Octa Core 64 bit a 14nm,
processo produttivo che l’azienda
intende estendere ad altre soluzioni (presumibilmente più basse
in gamma) durante il 2015.
n.106 / 15
23 febbraio 2015
MAGAZINE
MOBILE Esteticamente bello, compatto e giovanile; sarà disponibile anche in versione dual SIM
Sony Xperia E4, il primo della next-gen
Spunta un terminale di fascia media che inaugura un nuovo design. Si chiama Xperia E4
T
di Emanuele VILLA
ra pochi giorni aprirà i battenti la
fiera più importante del mondo
“mobile”, ovvero il Mobile World
Congress di Barcellona, e uno dei protagonisti dovrebbe essere il nuovo top
di gamma Sony, Xperia Z4. Nonostante
non sia ancora sicura la sua presentazione in quel di Barcellona, è invece
certo l’arrivo del primo terminale della
serie “4”, ovvero lo smartphone di fascia media Xperia E4.
Al di là delle caratteristiche tecniche,
che come anticipato non fanno di sicuro gridare al miracolo (il terminale
punta a massimizzare il rapporto qualità/prezzo), E4 colpisce per un design
diverso dal solito, molto morbido e ondulato al punto da sembrare più vicino
a modelli di competitor Sony piuttosto
che ad altri telefoni dello stesso produttore.
Bello da vedere, compatto il giusto e
Disponibile anche in
Italia la chiavetta da
collegare al TV via
HDMI che aggiunge la
funzionalità di mirroring
dello schermo da PC,
tablet e smartphone
compatibili con Miracast
di Paolo CENTOFANTi
giovanile, specie se verrà proposto
(come si vocifera) anche in diversi colori oltre ai classici bianco e nero.
A livello di caratteristiche tecniche,
Sony Xperia E4 ha un display da 5 pollici con risoluzione 960x540, è previsto in versione a singola o Dual SIM e
si basa sul sistema operativo Android
4.4.4 e processore MediaTek quadcore (non meglio precisato), oltre a una
fotocamera principale da 8 Megapixel
e una frontale da 5 Megapixel dedicata ai selfie. Allo stato attuale non è
ancora annunciato un prezzo di listino
nemmeno quali saranno i mercati di riferimento.
MOBILE Una buona idea per creare un certo interesse; il prezzo di partenza è 139 euro
Honor Holly, quando il prezzo del prodotto è social
Saranno gli utenti, manifestando interesse per lo smartphone, ad abbassare il prezzo di vendita
H
di Roberto Pezzali

onor lancia Holly, il nuovo smartphone di fascia medio/bassa destinato a un pubblico giovane e, a
detta della stessa azienda, “coraggioso”.
Holly è uno smartphone particolare, non
tanto nel design e nelle caratteristiche
che non sono nulla di eccezionale ma
nel sistema di vendita. Il prezzo, infatti,
sarà deciso dagli utenti che potranno
torna al sommario
Microsoft lancia
la chiavetta
Miracast
Wireless Display
Adapter
dimostrare il loro interesse nel prodotto aderendo a una campagna online.
Più persone lo vogliono, insomma, più
il prezzo scende, con una base di partenza che sarà di circa 130 euro. Una
buona idea per creare interesse attorno
a un prodotto che è comunque ben fatto
ma che non emerge certo per le feature.
Lo schermo, infatti, è un IPS HD da 5” e
1280 x 720 di risoluzione, il processore
è il classico quad core Kirim di Huawei
(Honor è, infatti, una costola di Huawei)
e la RAM ammonta a un solo gigabyte.
Interessante il reparto fotocamera: la
frontale è da 2 Megapixel, la posteriore
da 8 Megapixel con sensore BSI, macro 4 cm e obiettivo f/2, e per salvare
le foto ci sono ben 16 GB di memoria
flash condivisa, ovviamente, con le app
e il sistema operativo espandibili tramite
microSD. Il sistema operativo integrato,
in attesa di update, è Android KitKat.
Microsoft lancia la sua chiavetta
pensata appositamente per lo
streaming video su TV. Spazziamo via subito ogni dubbio: non
si tratta di una vera e propria alternativa a Google Chromecast,
ma di un più “tradizionale” adattatore per aggiungere la compatibilità con lo standard Miracast
al proprio televisore. Microsoft
Wireless Display Adapter, questo il nome completo del dispositivo, si collega da una parte a
una porta USB libera del TV per
l’alimentazione e dall’altra a un
ingresso HDMI ed è compatibile con tutti i dispositivi certificati
Miracast, siano essi Android o
basati su Windows o Windows
Phone. Microsoft dichiara una
copertura ottimale fino a 7 metri
di distanza, il che dovrebbe essere sufficiente per la maggior
parte degli scenari di utilizzo.
Ricordiamo che Miracast offre
la funzionalità di mirroring dello schermo, cioè la riproduzione della replica esatta sul TV
di quello che visualizziamo sul
display dello smartphone o del
tablet, per cui non funziona da
lettore multimediale indipendente. Microsoft Wireless Display
Adapter è disponibile a un prezzo di listino di 69,90 euro.
n.106 / 15
23 febbraio 2015
MAGAZINE
MOBILE Secondo Tim Cook possedere un Apple Watch sarà un’esperienza rivoluzionaria
Apple Watch ti cambierà la vita. Lo dice Cook
Il CEO di Apple spiega perché Watch può aver successo dove tutti gli altri hanno fallito
di Emanuele VILLA
prile si avvicina e gli appassionati di tecnologia non possono che
associare l’inizio della primavera 2015 con l’arrivo di Watch, il primo
smartwatch dell’azienda di Cupertino. Il
compito di Watch è senza dubbio arduo,
considerando che gli smartwatch sono
già in commercio da parte di azienda
importanti quali Samsung, LG e Motorola, ma nessuno di essi è stato realmente
in grado di uscire da una nicchia per appassionati. Quindi la domanda che tutti
si pongono è: ce la farà Watch dove gli
altri hanno fallito? L’amministratore delegato dell’azienda deve essere il primo
a crederci; per questo Tim Cook, alla
Technology and Internet Conference
di Goldman Sachs a San Francisco, è
intervenuto sul tema spiegando perché
Watch sarà rivoluzionario nonostante
un mercato già ricco di soluzioni. Cook
ha comparato il mercato degli smartwatch a quello dell’MP3 sostenendo che
Apple non è entrata con iPod in un mercato totalmente sprovvisto di soluzioni,
e lo stesso ha fatto con iPhone e iPad,
ma ha proposto un’esperienza d’uso
più semplice, diretta, facile e, soprattutto, capace di cambiare (in meglio) la
vita della gente. Secondo Cook, ci sono
diversi apparecchi sul mercato che vengono chiamati smartwatch, ma nessuno
di essi è stato in grado di rivoluzionare l’esistenza di chi lo indossa. Watch
A

ce la può fare. Estendendo il discorso,
e dopo aver rimarcato l’attenzione al
design, Cook ha parlato di modalità di
comunicazione (con l’orologio) che non
sono mai state sfruttate prima, riferendosi evidentemente a una comunicazione vocale tramite Siri. Inoltre, pare
che Watch riconosca autonomamente
torna al sommario
Wiko rinnova
la gamma media
con Ridge 4G
Wiko propone per
il mercato italiano due
nuovi modelli, Ridge
4G, e la sua versione
più grande, Ridge Fab.
Buone caratteristiche
e prezzo in fascia media
sono le sue armi
di Massimiliano ZOCCHi
quando l’utente lo sta fissando, e si accende/spegne di conseguenza di modo
tale da non dover premere nessun tasto per accenderlo. Secondo il CEO di
Apple, Watch diventerà indispensabile
nella routine quotidiana non solo per
le notifiche e le app di terze parti, ma
anche per i benefici sulla salute: l’orologio ci avviserà quando siamo seduti
da troppo tempo, e poi ci sono diverse
applicazioni già in cantiere come quella
che prevede il monitoraggio dei livelli
di glucosio, oltre ai soliti contapassi, fitness tracker e via dicendo.
MOBILE Lo smartphone serve a controllare la nostra posizione
Visa Mobile Location Confirmation
Sei tu ad usare la carta di credito?
A
di Paolo CENTOFANTi
chi viaggia spesso sarà capitato almeno una volta di vedersi rifiutare una transazione con la carta di credito e di dover contattare la propria banca per farsi
sbloccare gli acquisti fuori dall’Italia. Si tratta di una protezione anti-frode che
scatta automaticamente quando l’istituto che gestisce la carta di credito registra
acquisiti ravvicinati nel tempo, ma effettuati a grande distanza tra loro. Per migliorare questo tipo di controlli di sicurezza, Visa ha annunciato un nuovo sistema che
sfrutterà il fatto che ormai abbiamo sempre uno smartphone con noi. Il Visa Mobile
Location Confirmation si basa sulla comunicazione con un’app installata sul nostro
smartphone, per verificare che la nostra posizione coincida effettivamente con
quella del luogo dove vengono effettuati gli acquisti. Il sistema verrà implementato
in accordo con la banca che emette la carta e l’idea è quella di integrare la funzionalità direttamente nell’app mobile della banca stessa, per cui non sarà necessario installare un’applicazione apposita. Il sistema traccerà la posizione a intervalli quando
lo smartphone è connesso a una rete (cellulare o Wi-Fi), per cui non deve essere necessariamente acceso per effettuare un acquisto o sempre connesso. Analizzando
in modo automatico la nostra posizione, il sistema sarà in grado di evidenziare con
migliore precisione eventuali anomalie. Gli utenti
potranno scegliere se attivare questo tipo di protezione oppure disattivarla a
piacere in ogni momento.
Questa tecnologia verrà
introdotta a cominciare
dagli Stati Uniti a partire da
aprile 2015.
Wiko presenta, anche per il mercato italiano, i nuovi smartphone
Ridge 4G, e la sua controparte
phablet, ovvero Ridge Fab. Per
la prima volta troviamo un Soc
Qualcomm in uno smartphone
del produttore francese, più precisamente uno Snapdragon 410
quad core da 1.2 GHz.
Il nome stesso lascia facilmente
intendere la presenza della connessione LTE. Completano le caratteristiche 2 GB di RAM, 16 GB
per lo storage interno, espandibile tramite MicroSD, fotocamera
con ottica Sony da 13 Megapixel
più una discreta front camera da
5 Megapixel. Il display è da 5”,
IPS LCD con risoluzione 1280 x
720, protetto da Gorilla Glass 3.
Infine, la versione di Android che
troviamo a bordo è la 4.4.4 con
autonomia garantita dalla batteria da 2.400 mAh.
Le caratteristiche su cui Wiko
punta molto sono leggerezza e
solidità: Ridge 4G pesa solo 125
grammi con cornice laterale di
alluminio, ed è proposto in 4 colorazioni.
Wiko non ha dimenticato chi apprezza display dalle dimensioni
più generose, e Ridge Fab è rivolto proprio a questa fascia di
utenti. Completamente identico
al fratello minore, differisce solo
per la diagonale dello schermo
che in questo caso è di 5.5”, e la
batteria ovviamente più capiente,
da 2.820 mAh. I prezzi di listino
sono di 229 euro per Ridge 4G
e 249 euro per Ridge Fab. Wiko,
molto diffusa in Francia, può ormai vantare un’ottima distribuzione anche in Italia, tramite le principali catene di vendita.
n.106 / 15
23 febbraio 2015
MAGAZINE
MOBILE La notizia è ancora da verificare, ma da UpLeaks.info arrivano le prime indiscrezioni
Lo smartwatch HTC strizza l’occhio a iOS
Secondo voci, HTC potrebbe presentare a breve un indossabile non basato su Android Wear
Integrerà sistema operativo proprietario e crossplatform per abbracciare anche gli utenti iOS
L
di Massimiliano ZOCCHI
e immagini che proponiamo in
questo articolo sono solo delle
mere speculazioni, poiché immagini reali ancora non esistono, e a dire
il vero la notizia stessa è ancora da
verificare. Ma i ragazzi di UpLeaks.info
sono molto sicuri della loro fonte vicina
ad HTC, la quale riferisce che è prossimo al lancio un wearable da parte
dell’azienda taiwanese. Nulla di strano
considerando che tutti i più grandi pro-
duttori si stanno buttando in questo nuovo
mercato, se non fosse
che PETRA, questo
il nome in codice del
progetto, pare non
sarà equipaggiato con
Android Wear. Prima
d’ora solo Samsung
ha percorso questa
strada utilizzando Tizen per diversi modelli Galaxy Gear. Le
voci di corridoio non si fermano qui. Il
nuovo device avrebbe un sistema operativo proprietario chiamato RTOS, un
processore Intel Core-M3 e un display
PMOLED da 1.8” flessibile, Bluetooth,
GPS, certificazione IP57 e batteria
che assicura tre giorni di autonomia.
Un aspetto interessante è che oltre
a snobbare Android Wear, lo smar-
MOBILE
Le app iOS
arrivano a 4 GB

Le applicazioni per iPhone e iPad
potranno raggiungere i 4GB di dimensione: Apple ha infatti raddoppiato
la dimensione massima per una app
scaricabile sull’App Store. Una scelta
dovuta in parte all’arrivo di nuovi
schermi, come quello dell’iPhone 6
Plus, che hanno costretto anche ad aumentare il numero di assets e elementi
che uno sviluppatore deve includere
nell’app per poter ottimizzare la resa su
dispositivi di risoluzione e dimensione
differente. 4 GB sono praticamente
la metà della memoria disponibile su
un iPhone 5C da 8 GB, anche meno
se si considera la memoria al netto di
iOS. Un paradosso: bastano due giochi
per riempire un iPhone entry level,
3 giochi per riempire un iPad. Sarebbe
a questo punto opportuno, per Apple,
raddoppiare la memoria dei prossimi
dispositivi garantendo, soprattutto su
iPad, i 32 GB come taglio minimo. Oppure, si potrebbero gestire i download
delle app in modo intelligente: quando
si scarica un’app per iPad 2 Air si
scaricano solo gli assets e gli elementi
per quel dispositivo, senza quindi effettuare il download di elementi inutili
che non verranno poi usati.
torna al sommario
twatch HTC sarebbe compatibile con
device Android 4.4 o successivi, ma
anche con iOS 7 o più recenti. Questo
andrebbe a confermare un nuovo approccio di HTC, cioè offrire la propria
esperienza d’uso a più utenti possibile,
e un device indossabile così concepito
sarebbe il primo della sua categoria
prodotto da un’azienda di primo piano.
Stay tuned...
Android 5.1
arriverà
il mese prossimo
La prossima versione di Android arriverà a quanto pare a marzo, magari
con un annuncio in proposito in prossimità del Mobile World Congress.
Lo rivela indirettamente HTC, con un
tweet di un dirigente che, in risposta
a una richiesta di aggiornamenti per
l’HTC One, fa sapere che il prossimo
rilascio di stabilità è legato all’uscita
della nuova major release di Android
che arriverà per l’appunto a marzo.
Con ogni probabilità il riferimento
è ad Android 5.1, versione che è già
stata rilasciata da Google su alcuni
terminali del programma Android
One lanciati in Tailandia. Si dovrebbe
trattare di una release incentrata soprattutto sulla stabilità, ottimizzazione ed eliminazione di bug individuati
in Lollipop, ma al momento non sono
disponibili ulteriori informazioni su
nuove funzionalità che potrebbero
essere incluse nell’aggiornamento.
MOBILE LG anticipa il Mobile World Congress di Barcellona presentando Watch Urbane
Watch Urbane è l’orologio di lusso di LG
È una versione raffinata del G Watch R, andrà a completare la gamma degli smartwatch LG
di Emanuele VILLA
a tendenza a presentare prodotti
importanti prima delle fiere è viva
più che mai, e LG è uno dei principali promotori. Questa volta l’azienda
coreana presenta al pubblico il suo
nuovo smartwatch, Watch Urbane, che
mostrerà per la prima volta al Mobile
World Congress di Barcellona.
Il nuovo smartwatch non è pensato
come successore del G Watch R ma
come completamento della gamma,
ovvero come smartwatch tecnicamente analogo agli altri ma di categoria
superiore a livello estetico e di design.
Mentre G Watch R è infatti un prodotto
più casual e sportivo, Watch Urban punta a un pubblico più raffinato, formale,
sofisticato. La cassa è completamente
metallica e disponibile in silver e gold,
mentre il profilo è leggermente più sottile rispetto a G Watch R, cosa che gli
dà un tocco di classe in più. Per il resto la situazione è analoga a G Watch
R, con display rotondo da 1.3’’ P-OLED,
Android Wear come sistema operativo
L
e sensore di battito cardiaco integrato
nella cassa. Il processore è lo snapdragon 400 da 1.2 GHz, assistito da 4GB di
memoria di storage e 512 MB di RAM, il
tutto con una batteria di livello leggermente superiore (410 mAh) rispetto a
quella della generazione precedente,
ma che non rappresenta nessuna rivoluzione.
LG Watch Urbane, potrebbe avere un
prezzo “abbastanza ufficiale”: entram-
be le versioni in acciaio e finitura gold
sono infatti disponibili in preorder su
Expansys, noto rivenditore britannico
con sedi operative in molti Paesi europei, a 299£, che al cambio con la moneta unica ammonterebbero a 390 euro.
Troppi? Troppo pochi? Difficile dirlo,
perché non sono ancora cifre confermate ed in seconda battuta perché il
grande rivale made in Cupertino non ha
ancora un prezzo confermato in euro.
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23 febbraio 2015
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gadget Tra le caratteristiche, display monocromatico, peso di soli 77 g e fotocamera da 3 MP
Gli occhiali Smart di Sony in Italia a marzo
Gli SmartEyeglass di Sony, in versione Developer Edition, diventano ora una realtà
È possibile preordinarli in UK e Germania e da marzo saranno in Italia. 670 euro il costo
S
di Emanuele villa
ony ha rilasciato un comunicato stampa in cui annuncia l’avvio della commercializzazione
dei suoi Smart Glass, nome in codice
SmartEyeglass, in versione di sviluppo
a partire dal 1° marzo in dieci Paesi.
Sicuramente il modello in questione
arriverà anche in Europa, visto che fin
da subito è possibile preordinarlo in
UK e Germania. Stesso discorso per
l’SDK ufficiale, disponibile da qualche
giorno per permettere agli sviluppatori
di creare ogni genere di applicazioni
per gli occhiali “smart”. La caratteristica
di base di Sony SmartEyeglass sono le
due lenti semitrasparenti da 3 mm che
permettono la sovrapposizione di informazioni senza specchi che ostruiscono
la visione. Il display è monocromatico
e offre una luminosità fino a 1.000 cd/
m2 con scarso consumo di batteria. Gli
occhiali pesano 77 grammi e includono
una fotocamera da 3 MP comprensiva
di accelerometro, giroscopio e bussola
elettronica, mentre a un modulo esterno (collegato via filo, il che li rende
ben poco “fashion”) viene demandata
la gestione della batteria, microfono,
speaker, sensori touch di controllo e
NFC. Clicca qui per il video.
Sony SmartEyeglass sarà disponibile
in vendita da marzo in Giappone, USA,
UK, Germania, Francia, Italia, Spagna,
Belgio, Olanda e Svezia. Il preorder
in UK e Germania è stato avviato a
670 euro.
Mattel View Master, realtà virtuale per i più piccoli
Vi ricordate il vecchio View Master, il visore con dischi 3D che esiste fin dal lontano 1939?
Mattel e Google adattano il concetto a un visore di realtà virtuale basato su Cardboard
I
di Emanuele villa

torna al sommario
Panasonic ha mostrato
a Tokyo un prototipo
di visore per la realtà
virtuale. Utilizza display
OLED ma ha una
montatura più “leggera”
rispetto alle soluzioni di
Oculus e Sony
di Paolo centofanti
gadget Sarà disponibile dal prossimo autunno negli USA al prezzo interessante di 30 dollari
l progetto di visore di Mattel, oltre ad
essere realizzato in partnership con
Google, è economico, sfrutta un concept con più di 70 anni di vita ed è dedicato ai più piccoli, con un chiaro intento
educativo. Il visore Mattel si chiama View
Master esattamente come quei dischi
con immagini 3D e visore stereoscopico
che i non più giovanissimi ricorderanno
senz’altro; uscì nel lontano 1939 e fece
la fortuna dell’azienda, che vanta vendite per più di 100 milioni di esemplari e
miliardi di dischi con immagini statiche
tridimensionali. Oggi, Mattel e Google
uniscono le forze ma mantengono
inalterato il concept originale applicandolo ai progressi della tecnica: il View
Master del 2015 è un visore basato su
Google Cardboard, quindi economico
per definizione, nel quale possono essere inseriti diversi telefoni Android che
fungono da sorgente per i mondi virtuali che Mattel proporrà poco per volta ai
propri utenti. Sono previsti scenari da
Anche Panasonic
è al lavoro sulla
realtà virtuale
esplorare e contributi interattivi come
video e immagini, anche (e soprattutto,
visto il target molto giovane) a scopo
educativo. Nonostante il funzionamento
preveda semplicemente l’uso di visore,
smartphone e app, i dischi sono ancora
in gioco e serviranno per segnalare al
visore il contenuto da mostrare. L’idea
di Mattel e Google è realizzare non solo
qualcosa di tecnologicamente evoluto
ed educativo, ma anche di collezionabi-
le, con tanti dischi - ognuno dedicato a
un particolare scenario - che usciranno
nel corso dei mesi.
Peccato per due cose: View Master
uscirà solo il prossimo autunno e per
il momento negli USA. Non si esclude
però una possibile commercializzazione nel Vecchio Continente, magari con
contenuti ad hoc. Molto interessante il
prezzo: 30 dollari.
Clicca qui per il video.
Dopo Sony e il suo Project
Morpheus e Samsung con il
Gear VR, anche Panasonic decide di investire sulla realtà virtuale. A un evento per la stampa in
Giappone, infatti, Panasonic ha
mostrato un prototipo di visore
per la realtà virtuale. Il progetto
dell’azienda giapponese sembra
essere più vicino come filosofia
a quello di Sony piuttosto che a
quello di Samsung, nel senso che
è un dispositivo autonomo e che
non si appoggia per lo schermo a
uno smartphone come il Gear VR.
Il visore utilizza un display OLED
in grado di visualizzare immagini a 75 fotogrammi al secondo e
offre un angolo di visione di 90
gradi. Interessante il design del
prototipo che appare decisamente più snello e leggero rispetto
all’Oculus Rift o a project Morpheus. Panasonic ha mostrato
anche un sistema di ripresa che
utilizza sette videocamere per
catturare immagini a 360 gradi,
tecnologia che Panasonic starebbe investigando per le Olimpiadi
di Tokyo del 2020.
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23 febbraio 2015
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social media e web Annunciata la chiusura della standardizzazione del protocollo HTTP 2.0
L’HTTP/2 è realtà: il web diventa più sicuro
Il protocollo è basato in larga parte su SPDY, tecnologia sviluppata inizialmente da Google
S
di Paolo CENTOFANTI
e l’HTML è il linguaggio che
descrive una pagina web come
quella che state leggendo in
questo momento, l’HTTP o HyperText
Transfer Protocol è ciò che ha permesso al vostro browser di raggiungerla e
caricarla. Insieme all’HTML, l’HTTP
è una delle tecnologie fondanti del
world wide web e sta per vivere il suo
più grande aggiornamento dal 1999.
Mark Nottingham, la persona a capo
dello sviluppo del nuovo protocollo
all’interno della Internet Engineering
Task Force, ha infatti ufficialmente annunciato la chiusura dei lavori di definizione della versione 2.0 o HTTP/2.
Il nuovo protocollo è basato in larga
parte su SPDY, tecnologia sviluppata
inizialmente da Google, e promette
una maggiore velocità nello scambio
di dati tra browser e webserver grazie
al multiplexing delle chiamate; HTP/2,
inoltre, introduce un maggiore ricor-
so alla crittografia TLS, oggi invocata
esclusivamente con il protocollo HTTPS. Teoricamente la IETF ha deciso
di lasciare opzionale la crittografia,
ma di fatto i principali browser che
hanno già iniziato a integrare il nuovo
protocollo, Firefox e Chrome, utilizzano HTTP/2 unicamente su una comunicazione criptata, per cui si ritiene
che la cifratura diventerà una pratica
scontata.
In pratica, con il nuovo standard il web
diventerà più veloce e sicuro. Ora che
lo standard è stato definito, manca
solo il passaggio formale della pubblicazione della relativa RFC, i documenti tecnici che di fatto rappresentano la
bibbia degli standard web.
app world Videolan ha elencato tutte le funzionalità dell’imminente release 3.0 di VLC
La nuova versione di VLC supporterà Chromecast
Ora gli utenti iOS attendono il grande ritorno su App Store, dopo quasi 6 mesi di assenza
di Michele LEPORI
V

ideoLan gioca a carte scoperte e
rilascia un changelog sul proprio
sito dove elenca tutte, ma proprio
tutte le nuove funzionalità dell’imminente release della versione 3.0 di VLC, il
popolare lettore video multimediale disponibile sia in programma per Windows
e OS X ma anche in versione mobile per
iOS e Android. Fra i tanti supporti video
per codec ed affini, la parte del leone
la fa la compatibilità con Chromecast,
cosicché i possessori della popolare
chiavetta TV di Mountain View possano
inviare in streaming i propri filmati.
Una feature di cui gli utenti iOS in possesso di una Apple TV possono godere dall’esistenza di AirPlay, ammesso e
non concesso che abbiano avuto l’accortezza di trasferire l’app di VLC negli
acquisti di iTunes: rimossa a sorpresa lo
scorso settembre dopo la release mondiale di iOS 8, ad oggi è ancora una grave assenza dell’App Store, ma secondo
torna al sommario
quanto riporta lo stesso documento di
log rilasciato da VideoLan, il ritorno del
famoso cilindro a strisce sarebbe imminente.
Talmente imminente che - curioso davvero - l’aggiornamento 3.0 sarà implementato in prima istanza per iOS ed OS
X a spese del Play Store e degli utenti
Windows…
Testamento
Facebook: scegli
chi gestirà il tuo
account quando
non ci sarai più
Facebook introdurrà
nei profili una sorta
di testamento digitale
Sarà possibile
designare una persona
che prenderà possesso
dell’account nel caso
di triste evenienza per
scegliere se chiudere
il profilo o se gestire la
pagina come memoriale
di Roberto Pezzali
Facebook è eterno, l’essere umano no. Il social network ha annunciato di aver implementato una
sorta di testamento digitale, una
voce nel profilo di ogni iscritto
che permetterà all’utente di designare un “gestore” del proprio
account nel caso di passaggio a
miglior vita. Facebook permetterà
agli utenti di scegliere in realtà diversi profili di gestione: la pagina
potrà essere cancellata una volta provato il decesso dell’utente
oppure utilizzata dall’erede designato come memoriale. La persona che prenderà in gestione il
profilo potrà vedere le foto e post
ma non leggere chat e messaggi.
Una scelta, quella di Facebook,
necessaria dopo una serie di tristi vicissitudini che hanno colpito
alcuni utenti a fine anno: messaggi di condiglianze infatti sono
stati inseriti, a causa dei numerosi
commenti, nell’elenco degli eventi memorabili dell’anno e qualche
utente non l’ha presa bene.
L’aggiornamento è già partito e
interesserà in un primo momento
gli utenti americani, quindi la nuova feature raggiungerà i profili di
tutto il mondo.
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23 febbraio 2015
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pc Sony Vaio Z e Z Canvas segnano il rientro del brand Vaio sul mercato, per ora solo giapponese
I Vaio dell’era post-Sony sono convertibili
Prodotti completi, potenti e con due modalità d’uso distinte. Stile e prestazioni sembrano al top
N
di Emanuele villa
onostante sia sparito dal mercato italiano e non sia più legato a
Sony, il brand Vaio fa nuovamente
parlare di sè. Il suo nuovo proprietario,
ovvero il fondo d’investimento Japan
Industrial Partner, ha deciso di lanciare
due nuovi prodotti sul mercato interno,
due portatili che segnano di fatto il ritorno del brand sotto i riflettori; peccato
che al momento non ci siano piani per
un’estensione americana o europea, ma
potrebbero venire comunicati in un secondo momento.
I due prodotti sono contraddistinti dalla
serie Z: Vaio Z è l’ultrabook “convertibile” e Vaio Z Canvas è il tablet con tastiera
separata. Vaio Z costerà l’equivalente di
1.500 euro e sarà un ultrabook dal design molto curato e con capacità di trasformarsi, grazie alla particolare struttura
dello chassis, da notebook a tablet e viceversa. Il display è un Full HD da 13,3’’ e
verrà dotato di processori i5 e i7 di ultima
generazione, a seconda della configurazione selezionata; rigorosa la presenza
dell’SSD per un accesso
da 0.3 secondi e notevoli i
dati sui consumi, visto che
secondo il produttore l’autonomia di Vaio Z è di circa
15,5 ore di utilizzo. Vaio Z
Canvas è invece il tablet
di dimensioni “over-sized”
da 12,3’’, con processore i7,
16GB di RAM e SSD da 256 GB
integrato. Un PC fatto e finito, per di più
di alto livello, ma presentato sotto forma
di tablet con tastiera separata. La finalità
resta quindi la stessa, ovvero quella di
offrire un prodotto completo, potente e
capace di offrire due modalità d’uso distinte. È anche presente un pennino con
tanto di digitalizzatore attivo. Arriverà sul
mercato a maggio, insieme al Vaio Z.
Se c’è un virus negli hard disk, forse lo ha messo l’NSA
Un virus sarebbe nascosto all’interno degli hard disk consumer: rilevarlo è quasi impossibile
F
di Roberto Pezzali

torna al sommario
Corsair. Secondo la Reuters dietro questo virus ci sarebbe l’NSA, che ha trovato
il modo di accedere ai firmware originali
dei produttori di hard disk: Western Digital avrebbe comunque assicurato che
non ha mai deliberatamente fornito accesso al suo codice, mentre al momento
Google è pronta
a lanciare una
applicazione per
YouTube destinata ai
bambini: avrà solo
contenuti selezionati
e un’interfaccia
semplice da utilizzare.
Al momento è prevista
in uscita il 23 febbraio
solo per tablet Android
di Roberto pezzali
pc I Karspersky Lab hanno scoperto un gruppo di hacker vicino alle agenzie governative USA
orse qualcuno sta nascondendo un
virus nei firmware degli hard disk
consumer permettendo così l’accesso a tutti i dati, anche se l’hard disk è protetto da crittografia. Sembra fantascienza ma un report dei Karspersky Lab ha
evidenziato come questa tecnica sia già
usata da un noto gruppo di hacker denominati Equation, in grado di riscrivere
i firmware di hard disk consumer Samsung, Western Digital, Maxtor e Seagate.
Il virus, nascosto nel firmware, non solo è
quasi impossibile da rilevare ma è pure
impossibile da rimuovere: la formattazione infatti non può nulla contro un virus
inserito nel controller. Il virus si attiva nel
momento in cui il computer viene acceso
e, sempre secondo Karspersky, ne esisterebbe anche una variante in grado di
riprogrammare i firmware degli hard disk
di altri produttori inclusi Toshiba, OCZ e
YouTube, arriva
un’app pensata
per i bambini
gli altri produttori hanno preferito non
commentare.
Si pensa, comunque, che l’NSA possa
aver infiltrato programmatori nelle varie
aziende proprio per aver accesso al codice e capire così come e dove nascondere il “payload”.
YouTube avrà un’app per bambini fatta direttamente da
Google: interfaccia semplificata e controllo dei contenuti
saranno i due elementi chiave
per YouTube Kids, prevista il 23
febbraio su tablet Android. Google ha lavorato insieme ad una
serie di partner per fornire contenuti controllati, e allo stesso
tempo filtrerà anche una serie
di contenuti già disponibili su
YouTube classico organizzandoli in otto categorie, raggiungibili
con grossi riquadri colorati.
Tra le funzionalità dedicate ai
più piccoli, oltre alla classica
ricerca vocale utile per chi ancora non sa leggere e scrivere
anche il timer: un genitore può
impostare il numero di video da
visualizzare e il tempo di visione, al termine del quale servirà
una password per proseguire.
Una bella novità rispetto all’app
classica: chi ha un bambino sa
bene che, utilizzando i video
consigliati nella colonna di destra dell’applicazione classica,
ci vogliono davvero pochi passaggi per finire da Peppa Pig
ad un video poco adatto ad un
pubblico giovane.
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23 febbraio 2015
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smarthome I nuovi elettrodomestici Whirlpool offrono tecnologie avanzate al giusto prezzo
Incasso Whirlpool, tecnologie al top per tutti
In arrivo anche un nuovo prodotto che ancora non esiste sul mercato che, pare, sorprenderà
di Simona ZUCCA
ome ogni anno in questo periodo, Whirlpool ha presentato alla
stampa le sue novità nel settore
incasso, ma quest’anno gli argomenti
su cui soffermarsi sono stati più numerosi (e forse interessanti) del previsto,
a partire da una nuova linea di prodotti
fino alle ipotesi sulle conseguenze
dell’imminente acquisizione di Indesit
da parte dell’azienda e all’annuncio di
un nuovissimo prodotto in arrivo per
maggio.
Cominciamo dai prodotti: la vera novità è sicuramente l’introduzione di una
nuova linea chiamata Urban che si inserisce in una fascia media di mercato
(anche per il posizionamento di prezzo)
ma che è capace di offrire tecnologie
e caratteristiche finora appannaggio
di fasce più alte. L’intento dell’azienda
è quello di rendere l’innovazione fruibile per più persone possibile e così,
ad esempio, il nuovo forno AKZ 7890
IX sfrutta tutti i vantaggi della nota
tecnologia 6° Senso e mette a disposizione un menù che propone cotture
preimpostate a seconda della tipologia di prodotto (carne, pizza, ecc.). Si
aggiungono la cottura multilivello, una
funzione per la pulizia della cavità con
vapore a 90 °C, la classe energetica
A+, la possibilità di scegliere una capa-
C

Forno e microonde a incasso
della linea Urban.
torna al sommario
Philips
AirFryer XL
La friggitrice
ad aria è ancora
più capiente
Con AirFryer XL Philips
rinnova uno dei suoi
prodotti più interessanti
Ora è ancora più
capiente e ha uno
schermo touch digitale
di Simona ZUCCA
cità da 65 o 73 litri sempre nelle stesse dimensioni e una predominanza del
vetro piuttosto che dell’acciaio. Il forno Urban sarà disponibile da maggio.
Della linea fanno parte anche piano
cottura a gas, lavello e un microonde
a incasso AMW 731/IX anch’esso con
tecnologia 6° Senso e in più funzione
Crisp e capienza di 31 litri.
Whirlpool sottolinea poi i punti di forza delle altre sue linee di prodotti a
incasso come ad esempio Fusion e
Ambient, caratterizzate da un design
che accomuna i diversi elementi della
cucina. Se l’uso dell’acciaio iXelium
e della tecnologia 6° Senso contraddistinguono la linea Fusion, che si arricchisce di due nuovi colori, Black e
White Luxury, è uno stile semplice ma
al contempo funzionale a diversificare
la Ambient.
Per quanto riguarda il mondo della refrigerazione, l’azienda continua
a puntare sull’esclusiva tecnologia
StopFrost, che grazie a un elemento
metallico inserito nel freezer riduce la
formazione del ghiaccio e aumenta lo
spazio a disposizione per la conservazione. Sempre in fatto di prodotti,
l’Amministratore Delegato Lorenzo
Paolini ha anticipato che nei prossimi
mesi, probabilmente a maggio, è in
arrivo da Whirlpool Italia una grande
novità, un prodotto “che ancora non
esiste sul mercato, legato al mondo
della cucina”. Niente di più è dato sapere al momento. L’altro grande tema
di cui molto si è discusso è quello dell’imminente acquisizione di Indesit da
parte di Whirlpool. Non ci sono ancora
dettagli ufficiali sulle conseguenze di
questa fusione, il mese prossimo dovrebbero essere nominate le nuove
leadership nei vari Paesi ma Paolini,
convinto del successo di questa operazione, ritiene probabile che in Italia
rimarranno due reti commerciali separate nonostante la leadership unica.
Questo per le identità molto distinte
che le due aziende hanno nel nostro
Paese, diverse per posizionamento e
rivolte a consumatori finali diversi.
Il pannello dei comandi del forno Urban con al centro il selettore 6° Senso.
A distanza di qualche tempo dall’uscita di AirFryer (leggi qui il nostro test), Philips rinnova la sua
gamma con AirFryer XL migliorandone capacità, potenza e controlli.
AirFryer XL conserva ovviamente
tutti i vantaggi del modello precedente, ed è quindi capace di restituire un fritto leggero utilizzando
solo un cucchiaio di olio grazie
alla tecnologia brevettata Rapid
Air, che combina la circolazione
di aria calda e un elemento grill.
Philips ha, però, migliorato alcune
specifiche aumentando la capacità da 2.2 a 3 litri, cioè circa 1.2 kg
(nella nostra prova uno dei punti
di debolezza era risultata proprio
la ridotta capacità), la potenza che
passa dai 1425 W ai 2100 W, il timer
che è regolabile fino a 60 minuti e
i controlli, per cui ora l’apparecchio
si gestisce facilmente tramite un
touch screen digitale e un display
su cui visualizzare ad esempio la
temperatura. AirFryer XL dispone
inoltre di un tasto che memorizza le impostazioni preferite ed è
capace di sfornare patatine fritte
ma anche di arrostire, cuocere al
forno e grigliare. Invariato invece
il tempo di riscaldamento, 3 minuti
per raggiungere i 200 °C, e il filtro
dell’aria integrato che limita il fastidioso odore di fritto nell’ambiente.
Cambia, però, il prezzo: il modello
precedente costava circa 199, questa nuovo XL è disponibile al prezzo consigliato di 299.99 euro.
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23 febbraio 2015
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smarthome Abbiamo realizzato una guida su come difendere, fin dove è possibile, i propri diritti di utente e consumatore
Black-out, sbalzi elettrici e danni agli apparecchi
Vi spieghiamo cosa si può fare e come difendersi
Dopo un black-out alcuni apparecchi digitali possono riportare dei danni, non solo per la sospensione dell’alimentazione
ma anche per gli sbalzi di tensione correlati ai tentativi di ristabilire il servizio. Ecco come difendere i nostri diritti di utente
di Gianfranco GIARDINA
E
di colpo salta l’energia elettrica: il classico blackout breve, che magari riguarda solo un isolato.
Quel tipo di black-out di cui non si saprà mai nulla,
che non appare sui giornali, perché dura poco e riguarda un numero limitato di persone. Quando poi la corrente ritorna, però, si contano i morti e feriti tra gli apparecchi elettronici. Infatti, i device digitali sono molto
sensibili agli sbalzi di tensione che spesso si verificano
nel momento dello sgancio improvviso o durante i tentativi di ristabilire il servizio. E questo checché ne dicano i gestori, sull’impossibilità di eventi di questo tipo:
spesso gli apparecchi digitali, che sono sicuramente
più delicati degli apparecchi elettromeccanici, accusano il colpo e non certo perché sono difettosi.
I danni tipici: alimentatori guasti
o divenuti inaffidabili
Ma quali sono i problemi tipici che si manifestano dopo
questi black-out? Al di là dell’eventuale perdita di dati
nei computer in funzione e al danneggiamento possibile negli hark disk in scrittura al momento del black-out, il
guasto tipico riguarda gli alimentatori e i caricabatterie.
Questi apparecchi sono infatti assai sensibili agli sbalzi
di tensione e spesso al ritorno della corrente elettrica
non resta che constatarne la “morte”: vanno sostituiti. Più subdoli – e di conseguenza anche più fastidiosi
– i problemi agli alimentatori dei PC desktop: la “botta”
spesso viene assorbita dall’alimentatore che continua
a funzionare, ma diventa meno affidabile. In pratica
l’alimentatore si dimostra meno valido nel garantire
le sue tensioni di uscita in maniera stabile, soprattutto
quando è freddo: questa condizione di leggera instabilità si manifesta generalmente con un “blocco” totale
del computer dopo un paio di minuti dall’accensione o
anche meno; in molti casi, una volta che l’alimentatore
si scalda diventa più stabile e meno vulnerabile, ma il
danno è comunque fatto.
E dei danni chi risponde?

Il buon senso lascerebbe pensare che l’azienda che
distribuisce la corrente elettrica possa essere ritenuta
responsabile, almeno in parte, per il danneggiamento
di apparecchi a causa di sbalzi di tensione. In realtà le
società fornitrici, più o meno lecitamente, si sono ampiamente tutelate da questo punto di vista, inserendo
apposite clausole nelle microscopiche e lunghissime
“condizioni generali di fornitura” che vengono sottoscritte al momento dell’attivazione del servizio (e che
nessuno ovviamente ha mai letto nel dettaglio). La situazione è poi ulteriormente complicata dal fatto che
le condizioni generali di fornitura che fanno fede sono
quelle sottoscritte all’attivazione del contratto, ma que-
torna al sommario
ste negli anni sono state ripetutamente aggiornate. Di
conseguenza, quelle attuali che a volte si trovano sui
siti probabilmente non fanno fede per il singolo contratto, le cui condizioni vanno verificate di caso in caso.
Restando sulle condizioni attuali, tanto per fare un
esempio, Enel ha previsto il seguente articolo:
12.3 In particolare, il Fornitore non risponde dei danni
conseguenti a problemi tecnici concernenti la
consegna dell’energia elettrica o del gas quali, a titolo
esemplificativo e non esaustivo, variazioni della
tensione o frequenza, della forma d’onda, interruzioni
della continuità della fornitura o del servizio di
trasporto del gas o di trasmissione e distribuzione
dell’energia elettrica, riduzioni della fornitura di gas o
gas non conforme alle specifiche di qualità e di
pressione, microinterruzioni, buchi di tensione e, in
generale, anomalie derivanti dalla gestione della
connessione degli impianti del Cliente alla rete
elettrica.
Appare quindi chiaro come Enel, almeno formalmente,
si “sfili” da qualsiasi responsabilità per gli sbalzi in arrivo sulla rete elettrica.
A2A ha termini assolutamente analoghi all’interno delle
proprie condizioni d’uso, che abbiamo tratto da quelle
in possesso della nostra amministrazione, non essendo riusciti noi a reperire sul sito della società di un documento attuale di Condizioni generali di fornitura:
dichiara non responsabile, praticamente tutti i casi di
interruzione tranne il sabotaggio cosciente. La questione sembrerebbe quindi facilmente chiusa qui: se ci
sono danni a valle del contatore dipendenti da qualsiasi evento accidentale sulla rete, il consumatore se li
tiene e il distributore è libero da ogni onere.
Non resta che farsi fare giustizia da Schwarzenegger...
Si può fare reclamo, ma via fax!
Laddove il consumatore ritenga che il nesso tra interruzione della corrente e relativo sbalzo e guasto dei propri apparecchi sia assolutamente certo, può comunque
fare reclamo. I siti dei gestori offrono generalmente la
modulistica online per procedere all’invio di un reclamo. Ma mentre si possono inviare con apposite form
richieste di informazioni commerciali o in alcuni casi
addirittura sottoscrivere nuovi servizi, il reclamo va
compilato in carta e inviato via fax (o peggio ancora per
posta). Si tratta dell’ennesimo caso di asimmetria per
la quale le modalità di interazione tra il consumatore e
l’azienda cambiano a seconda del tipo di comunicazione: se si tratta di un’opportunità commerciale ci sono
tutte le facilitazioni offerte dagli strumenti telematici,
come si può vedere nella schermata qui sotto, tratta
dal sito Enel, che offre una form per inserire i propri dati
ed essere contattato.
A2A non risponde dei danni causati dall’energia
elettrica a valle del punto di consegna (gruppo di
misura). Le variazioni di frequenza o tensione dovute
a cause accidentali, le interruzioni o le limitazioni della
fornitura dovute a cause accidentali, a scioperi, a
esigenze di servizio non modificabili né condizionabili
dal Fornitore perché derivanti da attività del
Distributore non danno diritto a riduzioni del
corrispettivo, a risarcimento di danni, a risoluzione del
contratto.
Praticamente sono citati, tra i casi in cui il gestore si
segue a pagina 22 
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MAGAZINE
smarthome
Black-out, ecco come difendersi
segue Da pagina 21 
Se però si tratta di inviare un reclamo si ritorna alla posta cartacea o peggio ancora al fax: di certo, nel 2015,
non è lo strumento di comunicazione più diffuso fra le
famiglie italiane.
Nel caso di ENEL, poi, addirittura il link arancione al modulo di reclamo della schermata qui riportata, conduceva a una pagina completamente bianca: sicuramente
un errore di costruzione del sito, rimediato dopo la
nostra segnalazione.
Sul sito di ACEA invece il modulo di reclamo è disponibile ma l’unica opzione di invio disponibile è quella
postale.
Trovare il modulo di invio reclamo sul sito di Edison è
invece una vera impresa: non ci siamo riusciti dai comuni menù del sito e ci siamo arrivati solo inserendo
“reclamo” nel campo di ricerca: il modulo che se ne ricava non fa riferimento ad altre modalità di invio se non
quella postale. In realtà, sul sito Edison è invece facilmente recuperabile il modulo per attivare la procedura
di Conciliazione (che invece può essere anche inviata
via mail) ma che richiede come prerequisito che già si
sia compiuto l’iter dell’invio del reclamo (per posta) e
dell’ottenimento della relativa risposta. Insomma, tutto
molto difficile per il povero consumatore.
40 giorni per ottenere la risposta
A valle del reclamo, il fornitore di energia elettrica ha
40 giorni per rispondere, anche sulla base dei dati
custoditi nel registro delle interruzioni di servizio, reso
obbligatorio dall’Autorità per l’Energia. Nella risposta,
infatti, il gestore citerà le interruzioni effettivamente
verificatosi sull’utenza in questione e le motivazioni
delle stesse. Ma qualsiasi sia la causa, nella stragrande
maggioranza dei casi, la risposta del fornitore richiamerà ai già citati articoli delle condizioni generali d’uso,
rinviando al mittente ogni richiesta di rimborso, anche
parziale, dei danni.
A2A, per bocca di un proprio responsabile, ci conferma
che danni “puntuali” non vengono normalmente riconosciuti in forza delle condizioni contrattuali e soprattutto del fatto che il consumatore non è generalmente
in condizione di provare il nesso tra l’interruzione di
corrente e il danno. Cosa diversa è – ci dice il responsabile di A2A – se l’azienda è al corrente di un errore
di un proprio addetto, per esempio in un collegamento,
che abbia comportato un importante sbalzo di corrente: in tal caso l’azienda – che è assicurata contro questi rischi – risponde rifondendo i danni causati a valle
del contatore. “Si tratta di eventi molto rari – ci dice
il rappresentante di A2A – e che, quando accadono,
creano danni in tutte le utenze coinvolte. Cosa diversa
è se il reclamo ci arriva da un solo utente in tutta la
zona interessata dall’interruzione: più facile pensare
che si tratti di un apparecchio o di un alimentatore
non a norma, ovverosia non in grado di resistere alle
normali piccole fluttuazioni di tensione previste dalle
normative”. In altre parole, il problema non starebbe
nell’eventuale sbalzo sulla rete quanto nella vulnerabilità di un apparecchio difettoso. Può anche essere, ma
di certo è difficilissimo per il consumatore dimostrare
il contrario, non disponendo di apparecchi di misura costantemente collegati alla rete elettrica né della
possibilità di dimostrare con misure di laboratorio che
l’apparecchio in questione fosse, prima del guasto,
assolutamente rispondente alle normative. A questo
punto non resta che spargere la voce nel condominio
e negli stabili adiacenti per capire se a qualcun altro si
sono verificati eventi simili: in questo caso l’unione fa
davvero la forza.
Il reclamo “pilota” di DDAY.it
Per capire meglio come funzionasse la questione e
sulla base delle interruzioni che hanno riguardato la redazione di DDAY.it (invero assai frequenti) nel mese di
dicembre 2014 abbiamo presentato regolare reclamo
ad A2A ottenendo entro i 40 giorni previsti una risposta di diniego rispetto a qualsiasi ipotesi di rimborso
danni a causa del fatto che in tutti i casi si sarebbe trattato di “fatto accidentale imprevedibile”; per questo
motivo – viene scritto nella lettera – “non ci riteniamo
responsabili dei danni da Voi lamentati”. Nella risposta
erano elencate le tre interruzioni occorse nel trimestre
precedente e la causa, sempre indipendente dalla volontà di A2A (e ci mancherebbe). Ma nel frattempo, nelle ultime settimane l’erogazione è stata interrotta altre
due volte, tra l’altro con qualche danneggiamento ad
apparecchi: avremmo quindi dovuto inoltrare ulteriore
reclamo per avere indicazioni anche su queste interruzioni e ottenere presumibilmente risposta analoga.
Resta il fatto che ben tre apparecchi si sono guastati
durante l’ultima interruzione (l’alimentatore di un NAS,
la logica di un hard disk esterno alimentato e una ventola di un bagno cieco) ed è davvero difficile pensare a
una combinazione così incredibile da far coincidere tre
guasti occasionali e indipendenti proprio con il salto di
alimentazione: tutti apparecchi difettosi?
Libero mercato o maggior tutela?
Una ulteriore complicazione nasce dalla liberalizzazione del mercato dell’energia: gli utenti possono restare
nel servizio di “maggior tutela”, con il gestore di zona
e con le tariffe stabilite dall’Authority, oppure accettare
un’offerta di un venditore terzo e passare al cosiddetto
“libero mercato”. In questo scenario, per gli utenti passati al libero mercato, le figure coinvolte sono due: il
venditore dell’energia, ovverosia la società con la quale si è fatto il contratto per la fornitura, e il distributore,

segue a pagina 23 
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n.106 / 15
23 febbraio 2015
smarthome
Black-out, ecco come difendersi
segue Da pagina 22 
cioè il gestore della rete nella zona e proprietario, per
esempio, del contatore e delle stazioni di distribuzione
dell’energia, da cui ovviamente dipende l’eventuale
interruzione. A questo punto, in caso di black-out con
danni a chi ci si deve rivolgere? Insomma, chi è responsabile, Il distributore o il fornitore?
La domanda è lecita: la logica lascerebbe pensare che
il reclamo vada comunque inoltrato al proprio venditore con cui si intrattiene il rapporto contrattuale; andando invece sui siti degli operatori in libero mercato, si
arguisce che per motivi di guasti sulla rete ci si debba
rivolgere direttamente al gestore locale della fornitura,
con il quale però non si intrattiene alcun rapporto contrattuale diretto.
Qui la questione – che dovrebbe essere chiarissima
– è invece dibattuta: l’Autorità per l’Energia ci ha detto
letteralmente che “in caso di reclamo il cliente deve
prima rivolgersi al venditore”; Eni (che opera sull’energia elettrica in regime di libero mercato) ci ha invece
risposto che “Il cliente in questi casi dovrebbe preferibilmente rivolgersi direttamente al distributore locale
proprietario anche del contatore”. Abbiamo obiettato che il cliente in regime di libero mercato in realtà
non pare intrattenere alcun rapporto contrattuale con
il distributore locale: ha senso inoltrare ad esso un
reclamo? “Certo – ci ha risposto Eni -. Il cliente ha
in corso un rapporto contrattuale instaurato tramite
il fornitore di energia, al quale aveva dato mandato,
in fase di sottoscrizione della fornitura di energia, per
sottoscrivere il contratto di connessione alla rete del
distributore”. A2A, che gestisce per esempio tutta la
rete di Milano, invece è del parere opposto: bisogna
rivolgersi al rivenditore (che a sua volta contatterà il
distributore per avere le informazioni sui guasti della
rete). Di certo si tratta di un punto non chiaro e che
invece dovrebbe essere meglio esplicitato per mettere in condizione i clienti che si riforniscono sul libero
mercato di sapere come comportarsi, invece di essere rimbalzati da una figura all’altra.
Si può sempre ricorrere all’Authority
MAGAZINE
e chiede lumi al gestore coinvolto. Va ricordato che il
prerequisito per poter accedere allo Sportello per il
consumatore è quello di aver già provveduto a inoltrare reclamo al fornitore: in caso di mancata risposta
entro 40 giorni o di risposta ritenuta insoddisfacente si può quindi chiedere l’intervento dell’Autorità. In
ogni caso, è molto interessante l’Altante dei diritti dei
consumatori di energia, una sezione divulgativa del
sito dell’Autorità per l’energia che dà molte delucidazioni senza esprimersi in “burocratichese”: da leggere
in ogni caso.
Atlante per i diritti del consumatore
Come difendersi
L’assicurazione è una soluzione?
Visti le limitate speranze di vedersi riconosciuto un
risarcimento dal proprio gestore, una scelta di serenità potrebbe essere quella di una polizza assicurativa.
Addirittura in molti casi si tratta di un servizio offerto
dallo stesso fornitore dell’energia elettrica: l’assicurazione sui rischi elettrici di solito prevede anche i guasti agli apparecchi dovuti alla rete elettrica; nel caso
di Eni, per esempio, i clienti che ne fanno richiesta
possono avere una copertura assicurativa senza costi aggiuntivi che, pur con alcune franchigie, copre da
guasti ai grandi elettrodomestici fuori garanzia. Non ci
pare una vera soluzione, visto che il danno può avvenire anche ad apparecchi in garanzia (e relativamente
ai quali potrebbe essere non così scontato ottenere
riparazione gratuita dal centro di assistenza) e soprattutto riguarda più frequentemente i piccoli apparecchi
digitali e non lavatrice e lavastoviglie. Da considerare,
in ogni caso, visto che il TV, apparecchio affetto da
problemi in caso di sbalzo grave, è comunque coperto dalla polizza Eni. Nulla vieta ovviamente di sottoscrivere altre polizze sui rischi domestici che offrano
una copertura più estesa o dotare gli apparecchi, in
fase di acquisto, delle classiche estensioni di garanzia
(che di fatto sono delle assicurazioni).
Come difendersi: i gruppi di continuità
e i limitatori di tensione?

Nel caso in cui si ritenga la risposta del fornitore di
energia elettrica non soddisfacente, ci si può rivolgere all’Autorità Garante per l’Energia, che ha allestito
uno “Sportello per il consumatore”: la form con il reclamo in questo caso, oltre che per posta o per fax,
può essere inviata anche via email, a dimostrazione
che questo canale potrebbe essere utilizzato anche
dai gestori. Che sia la Pubblica Amministrazione ad
offrire canali di comunicazione più evoluti rispetto ai
gestori privati è di certo un fatto notevole.
A valle del reclamo all’Authority - come ci ha spiegato
un rappresentante – è l’ente che inquadra il problema
torna al sommario
Alcuni gestori ci hanno dato una risposta che per
certi versi lascia interdetti: se gli apparecchi digitali
sono così delicati – ci hanno detto – deve essere cura
dell’utente anteporre ad essi uno stabilizzatore o un
gruppo di continuità. Di certo, in questo modo, l’apparecchio è protetto ma a spese del consumatore per
disservizi di certo non dipendenti dalla sua volontà né
da negligenza. Al di là dei gruppi di continuità, che
al massimo possono essere presi in considerazione
per gli apparecchi assolutamente “vitali” per il buon
funzionamento della casa (come computer critici, impianti di sicurezza, centralini, e così via) una soluzione
da prendere in considerazione, seppur costosa, potrebbe comunque essere un limitatore di tensione: si
tratta di apparecchi installabili facilmente nel quadro
elettrico di casa da un elettricista che si occupano di
assorbire anche i picchi di tensione in arrivo sulla rete.
Dispongono generalmente di una cartuccia che “assorbe” gli eccessi di tensione e che, dopo un certo
numero di eventi, va cambiata per garantire la massima efficienza dell’apparecchio. Ovviamente non
si tratta di uno “scudo” inviolabile, ma di una buona
protezione: leggiamo dalle note tecniche di Gewiss,
per esempio:
È dimostrato che le scariche elettriche derivanti da
fulminazioni e anche gli impercettibili picchi di
corrente generati dalla linea elettrica esterna alla
propria abitazione, anche se di entità inferiore rispetto
ai fulmini, rappresentano la principale causa di guasto
dei dispositivi elettronici. Installato nel centralino, lo
scaricatore riduce il rischio di guasti ai dispositivi
elettrici collegati all’impianto. Si consideri che il 70%
dei guasti alle apparecchiature elettroniche di casa è
causato da sovratensioni di origine atmosferica o di
manovra effettuate dall’ente erogatore.
Di certo il consiglio è quello di orientarsi verso limitatori di tensione di tipo 1-2, validi sia per eventi atmosferici (come i fulmini) che per sovratensioni in arrivo
dalla rete elettrica.
Se il black-out è lungo il consumatore
ha diritto a un rimborso
Se l’interruzione di erogazione dell’energia elettrica
ha una durata di almeno 8 ore, come per esempio nei
gravi disservizi occorsi con una delle ultime nevicate
in Emilia, scattano (o dovrebbero scattare) automaticamente una serie di rimborsi in bolletta per gli utenti
coinvolti. In particolare, la durata dell’interruzione che
fa scattare i rimborsi dipende da quanto è inurbata
l’area coinvolta. Tanto per fare un esempio, nelle città,
quando la sospensione raggiunge le 8 ore si ha diritto
a un rimborso di 30 euro aumentati di ulteriori 15 euro
per ogni 4 ore aggiuntive, fino a un massimo di 300
euro ad evento. Non è chiaro se effettivamente i gestori effettivamente inseriscano i rimborsi in bolletta
autonomamente a tutte le utenze coinvolte dal blackout o se questo trattamento viene riservato solo agli
utenti che, inviando un reclamo, ne facciano richiesta:
su questo tema abbiamo avuto dagli interlocutori sentiti, pareri contrastanti.
n.106 / 15
23 febbraio 2015
MAGAZINE
smarthome Elon Musk, CEO di Tesla, annuncia l’arrivo una batteria per alimentare la casa
Pronta la batteria per la casa: parola di Tesla
L’idea alla base è mutuata dalla Model-S, il progetto potrebbe divenire realtà in pochi mesi
T
di Michele LEPORI
esla sta per esportare la sua idea
di batterie al di fuori della scocca
di Model-S per rivoluzionare un
altro settore, quello della smarthome:
Elon Musk non fa pre-tattica e annuncia al mondo che il suo nuovo progetto è praticamente terminato (sulla
carta) e che l’inizio della produzione è
solo questione di mesi.
Musk è un visionario, uno che anticipa i tempi ma l’idea che sta portando
avanti è già una mezza realtà in casa
Toyota che sulla sua Mirai (futuro, in
giapponese) utilizza una cella a idrogeno rimovibile e utilizzabile anche in
casa per alimentare i dispositivi elettrici: il progetto di Tesla è a più ampio
respiro, ma lo “spunto” potrebbe non
essere tutta farina dei laboratori di
San Carlos. L’idea di realizzare accumulatori per la casa ad altissima efficienza, evidentemente da coordinare
con gli impianti fotovoltaici, potrebbe
rappresentare un passo avanti non
indifferente anche al fine di testare
tecnologie da impiegare in un secondo momento a bordo delle auto
elettriche. Foto rubate, stranamente,
non ce ne sono, ma ad una recente
conference call con gli azionisti Musk
ha fornito qualche idea più precisa:
“L’idea di design che sta alla base
della batteria è mutuata dal progetto
Model-S: è qualcosa di sottile, poco
più di 5” di sporgenza dalla parete
compreso l’aggancio, una scocca
splendida ed un inverter bidirezionale
plug&play”.
Le vendite della loro supercar saranno
anche leggermente sotto le aspettative, ma questo nuovo progetto ha le
carte in regola per interessare tutti.
Scienza e futuro Un ricercatore svedese ha creato le prime lenti a contatto con lo zoom
Lenti a contatto con lo zoom per sembrare un cyborg
Ingrandiscono gli oggetti con un fattore di 3x e si possono attivare sbattendo le palpebre
L
di Roberto PEZZALI

e lenti a contatto con lo zoom
sono realtà: il ricercatore svedese
Eric Tremblay è infatti riuscito a
creare il primo prototipo funzionante
di lenti a contatto dotate di un piccolo
telescopio integrato. Lo spessore della
lente è di soli 1.55 mm, può essere indossata in modo simile alle lenti attuali
senza causare troppa fatica di visione,
grazie ad un sistema di ossigenazione
creato con piccoli tunnel microscopici.
La lente a contatto, che può ingrandire
oggetti fino a 3 volte (2.8x), è il frutto di
un duro lavoro iniziato tre anni fa per
poter risolvere problemi di vista che
sorgevano con l’età: finanziato dalla
DARPA, l’agenzia per la ricerca dell’esercito americano, il ricercatore è riuscito a risolvere i problemi di gioventù e
a eliminare quasi tutti gli inconvenienti
del primo prototipo, inclusa la necessità
di levarsi le lenti per disattivare l’effetto
zoom. Il nuovo modello, presentato nei
giorni scorsi, può infatti essere accop-
torna al sommario
piato a particolari occhiali che rilevano il battito delle palpebre e attivano
o disattivano lo zoom semplicemente
strizzando o l’occhio sinistro o l’occhio
destro. Le lenti possono essere indossate senza problema per un giorno intero e funzionano con un micro array di
specchi che intercettano la luce prima
del contatto con l’occhio. Ad oggi non
è stata annunciata una possibile data
di commercializzazione “consumer”,
ma in teoria il prodotto sarebbe pronto:
la DARPA, che ha finanziato il progetto,
potrebbe però sfruttare prima le lenti
con zoom in ambito militare.
Samsung pensa
a droni
realtà virtuale
e stampa 3D
Samsung annuncia
il nuovo corso
della divisione mobile
in cerca di gloria dopo
le batoste finanziarie
recenti. Parola d’ordine
realtà virtuale, droni e
stampa 3D per un team
che sarà indipendente
ma non troppo
di Michele LEPORI
Samsung Mobile ha bisogno di
rilanciarsi: il mercato ha usato il
bastone e ora Samsung vuole
guadagnarsi la carota rimettendo
in discussione l’idea stessa di divisione mobile allargandone il raggio d’azione a qualcosa di più del
mondo Galaxy.
Il neonato team di ingegneri,
progettisti e designer sarà infatti
chiamato a lavorare su realtà virtuale, droni, stampa 3D e qualsiasi
altro progetto si possa integrare
al concetto di mobilità oltre l’idea
di Galaxy S6. “Data l’importanza
che ricoprirà questo team, chi ne
farà parte godrà di una maggiore
indipendenza e il parere che si
troverà a esprimere sarà più autorevole poiché lo scopo principale
della squadra non sarà la creazione immediata di qualche tipo
di dispositivo, bensì lo sviluppo di
soluzioni che viaggino in parallelo
con la capacità di produzione che
possiede Samsung”.
Queste le parole di un portavoce
che chiarisce il ruolo-nel-ruolo che
ricoprirà questo team senza nome
all’interno della divisione mobile.
Interessante l’idea di voler lavorare
nell’ottica di creazione di un ecosistema funzionale e funzionante
come già altri competitor stanno
portando avanti da anni, anche se
ci risulta difficile credere che sia
stata data carta bianca al team,
sia in termini di tempistiche che di
traduzione del lavoro in qualcosa
di concreto e vendibile: Samsung
Gear VR, in fondo, è già bell’e
pronto...
n.106 / 15
23 febbraio 2015
MAGAZINE
automotive Il gruppo Volkswagen alla ricerca di nuove soluzioni motoristiche “pulite”
Audi scommette sull’idrogeno Fuel Cell
Acquisiti brevetti per il valore di 50 milioni di dollari, ne trarrà giovamento tutto il gruppo VW
A
di Massimiliano ZOCCHI
l Los Angeles Auto Show, Audi ha
presentato la A7 h-Tron Quattro,
vettura basata sulla A7 ma con motore a celle a combustibile, dimostrando
interesse per questa tecnologia propulsiva. Ora aggiunge un altro tassello
acquisendo diversi brevetti relativi allo
sfruttamento dell’idrogeno come combustibile. L’accordo è stato portato a
termine con la Ballard Power Systems e
prevede l’acquisizione da parte di Audi
di brevetti per un valore di circa 50 milioni di dollari e il prolungamento fino al
2019 della partnership tra le due aziende per la realizzazione di nuovi prototipi.
Questa seconda parte dell’accordo si
stima abbia un valore tra 24 e 40 milioni di dollari, portando quindi il valore
complessivo dell’operazione a un cifra
intorno ai 100 milioni di dollari. Ulrich
Kackenberg, responsabile dello sviluppo tecnico di Audi ha commentato così:
“L’accordo testimonia il crescente legame tra l’auto e le Fuel Cell; da esso
deriverà un ulteriore progresso del
programma Volkswagen per l’auto con
questa tecnologia”.
Infatti Audi fa parte del gruppo Volkswagen che gestisce diversi brand automotive, e molto probabilmente i brevetti acquisiti potranno essere sfruttati da tutto
il gruppo, coinvolgendo marchi come
Porsche, Lamborghini, Bentley, o le più
diffuse SEAT e Skoda, oltre che ovviamente le auto VW.
Sembra quindi che il monopolio di Toyota nelle vetture a idrogeno (con la sua
Mirai) sia destinato a finire, e l’interesse
di un gruppo europeo potrebbe innescare la realizzazione di stazioni di rifornimento anche nel vecchio continente.
Emerge Project Titan, l’auto elettrica firmata Apple
Su Titan, questo il nome del progetto, sarebbero al lavoro anche diversi ingegneri ex Tesla
S

econdo diverse indiscrezioni, Apple sarebbe al lavoro da tempo
su un progetto di auto elettrica. In
particolare sia il Wall Street Journal che
Reuters sono usciti con articoli con informazioni ottenute da fonti che sarebbero
al corrente di quello che si chiamerebbe
torna al sommario
Partecipazione al 2% in
una startup giapponese
che sviluppa tecnologie
per la guida autonoma
Obiettivo: diventare
il fornitore numero 1
di fotocamere
per l’automotive
di Paolo CENTOFANTI
automotive Apple starebbe sviluppando una vettura elettrica, forse con guida autonoma
di Massimiliano ZOCCHI
Anche Sony
investe sul futuro
dell’automobile
Project Titan. Tim Cook avrebbe infatti
dato il via libera da almeno un anno alla
creazione di un team di circa 1000 persone per lo sviluppo di un’automobile
elettrica e, potenzialmente, con guida
autonoma. A capo del progetto di ricerca e sviluppo ci sarebbe Steve Zadesky,
ex dirigente Ford, che avrebbe avuto
l’autorizzazione ad assumere personale
esperto nel settore automotive, particolare questo che coincide con le indiscrezioni che vorrebbero Apple aver già fatto
suoi diversi ex ingegneri Tesla.
Una fonte aveva rivelato che l’azienda
era al lavoro su un progetto in grado di
dare filo da torcere a Tesla, dopo che
erano circolate immagini di misteriose
monovolume intestate ad Apple, dotate
di altrettanto curiosi sistemi di rilevamento stradale. Per quanto incredibili, tutte
queste rivelazioni sembrano andare tutte nella stessa direzione: Apple starebbe
lavorando per entrare nel mercato delle
auto. Va detto che, trattandosi ancora di
un progetto di pura ricerca e sviluppo,
potrebbero volerci ancora diversi anni
prima che qualcosa di concreto veda la
luce, sempre che poi l’azienda non decida di cambiare idea. Con la montagna di
liquidità che si ritrova, oltre 150 miliardi
di euro, e la capitalizzazione da record,
Apple può fare un po’ tutto quello che
vuole del resto.
Secondo quanto riportato dal
Financial Times, Sony ha investito
100 milioni di Yen (circa 740.000
euro) nella startup giapponese
ZMP, azienda specializzata in
veicoli a guida autonoma con il
brand RoboCar. La partecipazione di Sony è pari a circa il 2% del
capitale di ZMP e prevede una
collaborazione sul fronte dei sensori di immagine che Sony intende sviluppare come componenti
per il sistema di guida automatica
delle auto del futuro. La divisione
dedicata ai sensori di immagine è
una di quelle che genera i maggiori profitti all’interno del gruppo
Sony, soprattutto grazie alla fornitura di componenti per smartphone, dove l’azienda giapponese
detiene una quota di mercato del
40%. Ora l’azienda vuole mettere
a frutto l’esperienza acquisita in
questo campo, per agganciare
il treno dello sviluppo del futuro
business delle vetture autonome
che, secondo il general manager
della divisione sensori di Sony, per
il 2020 potrebbe diventare una
realtà commerciale. Di certo, man
mano che le auto diventeranno
più connesse e dotate di sistemi
di visione, crescerà il mercato dei
sensori di immagine per il settore
automotive e Sony vuole assicurarsi un ruolo da protagonista. Per
quanto riguarda questo settore, la
quota di Sony è al momento ferma
al 5%, per cui la strada da fare è
ancora molta.
IL PIÙ SEMPLICE
IL PIÙ SMART
*LG G2 vincitore del premio Best Phone 2013 di Cellulare Magazine.
Now It’s All Possible
Cosa c’è di meglio di LG G2, eletto migliore smartphone del 2013*?
La sua sorprendente evoluzione.
Nuovo LG G3. Il più semplice, il più smart.
n.106 / 15
23 febbraio 2015
MAGAZINE
tEST Specifiche tecniche e prestazioni davvero buone in quanto a potenza, praticità, produttività, batteria e fotocamera
Samsung Galaxy Note Edge con schermo curvo
Phablet con una marcia in più, ma non è per tutti
Sotto la maschera, il Galaxy Note Edge è un Galaxy Note 4 ma l’anomalo schermo curvo su un lato lo rende diverso
Nonostante qualche inevitabile pregiudizio, la scelta di estendere il display ha senso. Il prezzo, tuttavia, è elevato
di Vittorio Romano barassi
È
stato presentato all’IFA 2014 di Berlino dove
lo abbiamo testato per la prima volta, è stato
lanciato sul mercato internazionale a novembre ma è arrivato in Italia solo a Natale; parliamo
di Galaxy Note Edge, gemello diverso di Galaxy
Note 4 (qui il link alla nostra prova completa), dispositivo con cui Samsung ha deciso di stupire il
mondo grazie a un design unico nel suo genere.
Note Edge è un device interessante sotto moltissimi
aspetti, è potentissimo ed è costruito davvero bene,
ma è inutile girarci troppo intorno: il 90% dell’effetto
WOW è generato dal display.
Con Note Edge, Samsung ha voluto mostrare a tutti come sia in grado di curvare i display di piccolo
taglio, una sorta di risposta al G Flex di LG (che al
CES 2015 ha presentato la seconda generazione),
ma con un significato anche funzionale. Insomma,
design al servizio della praticità e non solo della
spettacolarità.
Galaxy Note Edge, in ogni caso, cattura l’attenzione: l’occhio viene subito colpito dalla decisa curvatura laterale del display, ma anche il tatto finisce
per consegnare un’impressione alquanto positiva
su solidità e finiture. Samsung Note Edge, come del
resto Note 4, è un phablet ben costruito: la cover
posteriore rimovibile è sempre in plastica e con
effetto simil-pelle, ma la scocca metallica rifinita in
alluminio dona quella sensazione Premium che tutti
coloro che sono disposti a spendere quasi 900 euro
dovrebbero dare per scontata. Anche qui abbiamo
trovato il piccolo gap tra schermo e cornice, ma non
è nulla di preoccupante.
Il peso di 174 grammi si fa sentire tutto ma è ben di-
video
Samsung Galaxy Note Edge
8.7
Qualità
9
Longevità
9
Design
10
Design e display unico nel suo genere
Cosa ci piace Prestazioni mostruose
Costruzione esemplare
S-Pen è un valore aggiunto
stribuito sui 151.3 x 82.4 x 8.3 mm del corpo; il phablet
entra più o meno in tutte le tasche ma c’è sempre il
rischio di vederlo strabordare da quelle più piccole e
metterlo in quelle posteriori dei jeans non è proprio
consigliato. Come per il Galaxy Note 4, ci troviamo
dinanzi a un telefono resistente con display a prova
di graffio, ma il corpo non è waterproof; Galaxy S5,
sotto questo aspetto, resta una spanna sopra. Non
manca la porta IR per l’utilizzo da telecomando.
L’essenza di Note Edge la ritroviamo tutta nel
display, un pannello molto valido che Samsung ha
realizzato appositamente per questo dispositivo. È
un Super AMOLED come quello di Note 4 ma ha una
diagonale inferiore (5,6 pollici contro i 5,7 pollici) e,
soprattutto, una curvatura più che accentuata nella
porzione destra che aggiunge 160 pixel al lato corto
del display. Il risultato finale è un pannello Quad HD+

lab
Galaxy Note Edge è essenzialmente un Galaxy Note 4 dotato di schermo curvo. È dunque un dispositivo potente, pratico, produttivo e
ottimizzato; il pennino S-Pen è eccellente, l’interfaccia utente non delude e la fotocamera non ha nulla da invidiare agli altri flagship presenti
sul mercato. La batteria poi, seppur più “piccola” rispetto a Note 4, è in grado di portare ogni tipologia di utente fino a sera. A tutto questo
si aggiunge il display, un pannello da 5,6 pollici SuperAMOLED con porzione laterale curva che è davvero una gioia per gli occhi; la curvatura,
poi, non è solo una particolarità estetica: è un qualcosa che Samsung ha saputo integrare molto bene a livello di sistema e che potrebbe
rendere ancor di più se gli sviluppatori di app crederanno in questa miglioria (cosa al momento difficile vista l’unicità del progetto). Galaxy
Note Edge, però, ha un limite e questo è rappresentato dal prezzo: 869 euro, 100 in più per un Galaxy Note 4 “particolare” sono davvero tanti.
Samsung non punta a venderne milioni, ma viste le cifre in ballo il rischio è quello di attrarre solo gli affezionati della serie Note. Un vero
peccato perché un gioiellino come questo meriterebbe tutt’altro tipo di successo.
Display Super AMOLED da primo
della classe, con 160 pixel in più
torna al sommario
869,00 €
IL MIGLIOR PHABLET? SÌ, MA COSTA DAVVERO TROPPO
Semplicità
8
D-Factor
10
Prezzo
7
Prezzo
Cosa NON ci piace Fotocamera frontale migliorabile
Sensore impronte digitali non
praticissimo
da 2560x1600 pixel unico nel suo genere, splendido
da ogni angolazione e tipicamente OLED con colori
molto vivi, spesso fin troppo, che però nulla tolgono
alla bellezza del display.
Come su Galaxy Note 4, tramite l’opzione Schermo
Regolabile, è possibile selezionare tra diversi preset
di impostazioni cromatiche e anche stavolta abbiamo trovato giusta l’impostazione base; i neri sono
sempre eccezionali grazie alla tecnologia OLED,
i chiarissimi molto brillanti anche se permane una
tendenza “azzurrina” se si esagera con l’angolo di
visione, e la luminosità generale è più che buona: lo
schermo di Note Edge si vede bene anche sotto la
forte luce del sole.
Sono i 160 pixel in più nella curva a fare la differenza,
pixel che Samsung ha piegato in modo deciso ma
piacevole, riuscendo ad ottenere un risultato visivo
- e non solo - invidiabile. Nonostante la curvatura,
segue a pagina 28 
n.106 / 15
23 febbraio 2015
MAGAZINE
tEST
Samsung Galaxy Note Edge
segue Da pagina 27 
Galaxy Note Edge è un phablet che si impugna anche abbastanza bene; i destrimani sono certamente
privilegiati ma non abbiamo trovato nessun mancino
che si lamentasse di qualcosa in particolare, anche
perché, volendo, tutto può ruotare di 180 gradi (ma
quando si telefona bisogna ri-ruotare il tutto). Le
lamentele, semmai, sono arrivate considerando le
dimensioni del dispositivo: Note Edge è un device
grande e bisogna farci un po’ la mano, soprattutto se
si è abituati a utilizzare smartphone più piccoli. Dopo
qualche giorno di pratica, però, si riesce a fare più o
meno tutto, ma resta comunque impossibile raggiungere col pollice ogni porzione del display, aspetto
comunque trascurabile se si considera la natura del
dispositivo (è un phablet e l’uso a due mani non è
così surreale).
Lo schermo curvo ha un suo perché
Andiamo ora ad analizzare più nel dettaglio i 160
pixel in più che caratterizzano in larghezza il display
di Galaxy Note Edge. Sin dall’inizio, in molti hanno
pensato che quella di inserire una porzione curva
potesse essere una mera scelta di stile, ma in realtà
lo schermo curvo è stato ottimamente implementato e ben si intona con le funzionalità principali del
phablet.
Il primo dettaglio che balza all’occhio è la scomparsa
della classica dock inferiore e l’inserimento di una
barra laterale occupante proprio la porzione curva
del pannello: spariscono dunque le grandi cinque
icone in basso della TouchWiz e rimangono, in piccolo, solo il tasto per la chiamata e quello per accedere
all’app Drawer, tra i quali vi è solo l’indicatore della
schermata in cui ci si trova.

Schermata home: sparisce la dock
inferiore per far spazio a quella
laterale.
torna al sommario
La dock sul lato destro, su fondo scuro, è completamente personalizzabile, nel senso che si possono
aggiungere le icone di ogni applicazione installata
sul dispositivo; se si supera il numero di sette, queste saranno visualizzabili facendo un semplice swipe
verso l’alto ed è possibile pure l’organizzazione in
cartelle. La dock è una presenza fissa quando ci si
trova sui vari desktop principali, mentre scompare
- lasciando spazio a una scritta personalizzabile una volta entrati nell’app drawer o in qualsiasi applicazione; per richiamarla è sufficiente effettuare un
semplice swipe verso sinistra sulla porzione curva
del display.
Inutile dire che ogni tanto può capitare di premere
qualche icona inavvertitamente, ma c’è anche da
sottolineare come il dispositivo sia comunque molto
attento a distinguere tra tocchi intenzionali e quelli
non voluti. Tutto ha però un limite e, vuoi per la natura del device, vuoi per le sue dimensioni, qualche
imprevisto può sempre capitare. Dopo un po’, però,
ci si fa la mano e col pollice si controlla tutto alla
perfezione.
Il display laterale, comunque, non è solo una dock
per le applicazioni ma è soprattutto un centro notifiche ben congegnato. Oltre alle notifiche standard
sulla barra di stato superiore, queste appaiono anche sul pannello laterale dando precisa indicazione
dell’evento e lasciando spazio al badge col numero
delle notifiche sull’eventuale icona presente sulla
dock laterale. Facendo uno swipe laterale sulla dock
attiva si accede poi al vero pannello che riassume le
notifiche: su di esso vengono visualizzate chiamate
perse, e-mail e messaggi non letti, anche di applicazioni di terze parti come WhatsApp. Come ogni
pannello laterale, questo è personalizzabile e si può
visualizzare anche temperatura e condizioni meteo.
Comodissima è poi la possibilità di decidere se accettare o rifiutare una chiamata in ingresso quando
Nella porzione curva c’è il sunto
delle notifiche. Chiamate, messaggi, email sempre sotto controllo.
si è dentro un’applicazione (a esempio mentre si
sta visitando un documento o si sta navigando col
browser web): sul display laterale appare il nome di
colui che sta chiamando e i due pulsanti per accettare e deviare la chiamata, tutto senza disturbare la
produttività.
Il display curvo, oltre a fare da dock e fungere da
Le notifiche appaiono live sulla
porzione laterale, sia a schermo
bloccato sia mentre si usa una
applicazione
segue a pagina 29 
Comodissima la possibilità di
rispondere o deviare la chiamata
direttamente dalla barra laterale.
n.106 / 15
23 febbraio 2015
MAGAZINE
tEST
Samsung Galaxy Note Edge
segue Da pagina 28 
vero e proprio centro notifiche (anche live), si integra
perfettamente con diverse applicazioni realizzate da
Samsung stessa. Pensiamo per esempio a S-Note,
app che sfrutta il pennino S-Pen e che in Galaxy
Note Edge visualizza la barra degli strumenti proprio nella porzione curva del display; anche il player
multimediale è realizzato ad hoc, con i vari pulsanti
posizionati in maniera strategica sulla curvatura così
da non disturbare la riproduzione dei filmati.
Altro esempio che ci viene in mente riguarda l’app
fotocamera: in tale ambiente fa molto piacere trovare tutte le impostazioni e soprattutto il pulsante di
scatto (sullo schermo curvo) al punto giusto.
Tra le funzionalità del display curvo ci sono anche un
paio di chicche che abbiamo trovato utili nell’utilizzo
quotidiano. Innanzitutto abbiamo l’orologio notte,
funzionalità personalizzabile che fa sì che il display
laterale di Note Edge resti acceso a bassa luminosità
nell’intervallo orario preimpostato (fino a 12 ore); il
consumo di batteria è davvero irrisorio poiché, come
abbiamo già sottolineato, siamo in presenza di un
display OLED e quindi restano accesi solo i pixel
necessari a visualizzare orario, info meteo ed eventuali notifiche. Se si pensa che poi, spesso, di notte
il dispositivo va sotto carica, il discorso del consumo
della batteria non ha proprio senso.
Seconda chicca è la possibilità di accendere il solo
display laterale anche di giorno; basta effettuare un
paio di swipe in alto e in basso sulla curvatura per
far apparire la stessa schermata orologio descritta
in precedenza e tenere sotto controllo orario e notifiche (che in questo caso scorrono sul display) anche
durante le ore diurne. Difficile comprendere come
mai Samsung abbia impostato un timeout massi-

La barra degli strumenti di
S-Note appare nella porzione
curva del display: massima
comodità e praticità.
torna al sommario
I controlli e la barra di avanzamento della riproduzione sono sempre posizionati sul display curvo: o
in alto o in basso.
mo di accensione a 10 minuti; il limite è comunque
bypassabile dalle opzioni sviluppatore, ma solo a
patto di tenere il dispositivo sotto carica. Con il pannello laterale attivo è inoltre possibile effettuare uno
swipe per accedere alla dock e lanciare le applicazioni presenti su di essa. Tra le cose inutili relative
al display curvo segnaliamo la presenza di diversi
pannelli “opzionali” poco significativi e altrettanto
poco pratici come quelli dedicati a finanza, sport e
obiettivi giornalieri S-Health (e ce ne sono anche altri
scaricabili). Nulla di trascendentale, se ne può fare
tranquillamente a meno. Inutile, ma alla fine con un
minimo di senso, anche il pannello di accessori che
spunta facendo uno swipe dall’alto dal quale si ha
rapido accesso a un righello, al cronometro, al timer,
alla torcia e al registratore vocale.
Anche i controlli della fotocamera vengono sempre posizionati sul display curvo; il tasto di scatto,
così, è al posto giusto. (ma si può scattare anche
utilizzando i pulsanti fisici del volume).
sotto l’elegante abito la stessa componentistica interna di Galaxy Note 4. Il SoC Snapdragon 805 con
CPU quad-core da 2,7 GHz e GPU Adreno 420 fa la
voce grossa in ogni occasione e i 3 GB di memoria
RAM aiutano non poco nelle sessioni di multitasking
“sfrenato” (anche utilizzando la pratica - a volte funzione MultiWindow). È davvero difficile assistere
a rallentamenti di sorta e in quelle rare occasioni
sembra che tutto derivi dalla TouchWiz oppure da
qualche applicazione non perfettamente ottimizzata. Il sistema operativo installato a bordo è Android
segue a pagina 30 
Potenza in quantità, batteria capiente
e… S-Pen
Come abbiamo già avuto modo di sottolineare,
schermo curvo a parte, Galaxy Note Edge nasconde
Facendo uno swipe verso il basso appare la barra degli accessori, righello, cronometro timer,
torcia e registratore vocale.
Oltre alla dock e alla barra delle
notifiche si possono scegliere
altri pannelli. Tutti abbastanza
inutili: chi più, chi meno.
C’è Android 4.4.4 KitKat a bordo ma Samsung ha
già promesso di aggiornare il sistema all’ultima
versione di Android 5.0 Lollipop. Si attendono
notizie in merito.
n.106 / 15
23 febbraio 2015
MAGAZINE
tEST
Samsung Galaxy Note Edge
segue Da pagina 29 
4.4.4 KitKat ma nelle prossime settimane dovrebbe arrivare anche l’aggiornamento ad Android 5.0
Lollipop. Il quantitativo di memoria fisica a bordo 32 GB - garantisce una buona dose di spazio per
archiviare file di ogni tipo ma nel caso ci fosse bisogno di ulteriore quantitativo di memoria si può sempre ricorrere allo slot microSD presente a bordo.
Ricordiamo che Note Edge, che sotto il profilo radio
non manca di moduli WiFi AC e 4G/LTE, è provvisto
di cover posteriore rimovibile che nasconde oltre
al già citato slot per schede di memoria aggiuntive
anche l’alloggiamento per microSIM e la batteria di
sistema (non manca NFC). A differenza del Galaxy
Note 4 che è equipaggiato con un parco da 3.220
mAh, Galaxy Note Edge risulta dotato di una batteria
da 3.000mAh. Difficile fare un paragone diretto con
il fratello gemello, ma a conti fatti anche con Note
Edge siamo riusciti ad arrivare sempre a sera senza mai rimanere con situazioni di carica “critiche”.
Esagerando con i giochi, con il MultiWindow e con
la riproduzione video si corre il rischio di rimanere
appiedati ma sono condizioni che nel normale uso
giornaliero è davvero difficile che si verifichino. Presente anche in questo caso il Fast Charging: 50%
di carica in mezzora e 100%, da zero, in poco meno
di 80 minuti.
Non stiamo qui a tessere le lodi di S-Pen (non perché non ce ne sia bisogno, ma perché lo abbiamo
già fatto nella prova di Galaxy Note 4); il pennino di
Samsung è un vero gioiello che si integra perfettamente con S Note e tutte le applicazioni di disegno/
scrittura. Il feeling con il display è unico (2048 i livelli
di pressione) e una volta che ci si prende gusto si
continuerebbe a scriverci all’infinito.
Qualche parola vogliamo spenderla anche per il
sistema di riconoscimento biometrico scelto da
Samsung per il suo Galaxy Note Edge. Per sbloccare
il device si può selezionare l’opzione che permette
di farlo tramite le impronte digitali: il sistema funzio-
na, ma ci è sembrato meno funzionale rispetto alla
soluzione adoperata da Apple sui suoi ultimi iPhone.
Anche in questo caso però pare essere tutta una
questione di abitudine: dopo decine di sblocchi, difficilmente si perde un colpo.
16 MP di qualità
Il 4K è la ciliegina sulla torta
Anche il comparto fotografico scelto da Samsung
per Galaxy Note Edge rispecchia esattamente quello di Galaxy Note 4: ci troviamo dinanzi a un modulo
principale da ben 16 Megapixel e uno secondario,
frontale, da 3,7 Megapixel.
La fotocamera principale (con obiettivo f/2.2) ha
qualità da vendere, soprattutto in buone condizioni
di luminosità, ma sa difendersi bene anche quando
c’è poca luce; il merito è in gran parte dell’Image
Processor integrato nel SoC Qualcomm, che gestisce sapientemente il processo e fa un gran lavoro
con lo stabilizzatore ottico. L’autofocus, ibrido, è
abbastanza preciso e veloce; abbiamo notato solo
una certa “tendenza” al back-focus in condizioni di
poca luce, ma nulla di allarmante o fastidioso: le fotografie sono sempre nitide e naturali, con un po’ di
distorsione solo agli angoli. La fotocamera frontale
(f/1.9) non stupisce come quella principale e rimane
nella mediocrità: qui Samsung poteva fare meglio,
ma c’è da dire che Galaxy Note Edge non è certamente un selfie-phone.
Sotto l’aspetto della registrazione video, Galaxy Note
Edge garantisce la possibilità di catturare filmati 4K
a 30 frame al secondo di discreta qualità, ma non
compressi in HEVC. La massima qualità, però, la si
raggiunge registrando in FullHD; se non c’è bisogno
di esagerare con la risoluzione, meglio restare sul
1080p. Nessun problema, ovviamente, anche nella
riproduzione dei filmati; Galaxy Note Edge gestisce
alla perfezione anche video impegnativi, magari non
con il player predefinito di sistema (che “pecca” per
la mancanza di qualche codec audio) ma con riproduttori di terze parti scaricabili dal Play Store. Noi
abbiamo testato VLC beta e non siamo incappati in
nessun problema.
Di fianco al flash, Samsung propone anche sul
Galaxy Note Edge gli specifici sensori per la registrazione del battito cardiaco e per l’individuazione
dei raggi UV. Funzionano bene e i risultati sono attendibili; poi, ci pensa S-Health ad organizzare tutti
i dati e anche ad offrire una bella panoramica sulla
salute dell’utente.
Samsung Note Edge: lo abbiamo messo alla prova su foto e video
Video girato in 4K

A sinistra alcune foto scatatte con Samsung
Galaxy Note Edge. Clicca su ciascuna foto per
vedere l’originale.
Sopra un video in 4K girato con il Note Edge.
torna al sommario
n.106 / 15
23 febbraio 2015
MAGAZINE
tEST Abbiamo provato il nuovo entry level della famiglia Microsoft Lumia. Costa poco e fa quasi tutto: dove sta il trucco?
Lumia 435 perfetto per chi vuol spendere poco
Microsoft è abile nel realizzare un prodotto completo che, nonostante il prezzo, non sfigura. Vediamo i pregi e difetti
di Roberto Pezzali
iamo di fronte allo smartphone più piccolo ed
economico dell’intera famiglia Lumia: Windows
8.1, in questa fascia di prezzo, è una garanzia e
non è un caso che Microsoft venda così bene, soprattutto in Italia. Il Lumia 435, che abbiamo provato, non è
molto diverso dagli altri componenti della famiglia Lumia: colorato, solido, con a bordo il completo Windows
8.1 e dotato di tutta la suite software che lo rende di
fatto uno smartphone chiavi in mano, al quale aggiungere il solo Whatsapp. Il target è decisamente ampio:
non è il telefono per chi fa fotografie, non è neppure il
telefono per chi ha troppe pretese, è un prodotto per
tutti coloro che ancora hanno un telefono tradizionale
e per i molti utenti che, comprando uno smartphone
Android da pochi euro, sono rimasti scottati dalle performance non certo eccezionali. Provare uno smartphone che costa così poco, con la consapevolezza
che probabilmente tra un paio di mesi costerà ancora
meno, mette un po’ in difficoltà: il prezzo basso, infatti,
comanda le scelte ed è davvero difficile criticare mancanze o risparmi quando tra le mani abbiamo uno dei
prodotti più economici sul mercato. Lumia 435, in ogni
caso, è ben carrozzato per essere l’entry level: ha uno
schermo da 4”, 1 GB di RAM, un processore dual core,
8 GB di memoria espandibile e una doppia fotocamera.
Sulle singole scelte poi si può tranquillamente dibattere, quel che è certo è che rispetto anche ai modelli
precedenti c’è stato un upgrade a 360°. La mancanza
più evidente è quella del 4G: è vero che in Italia si sta
spingendo molto per le reti next gen, ma è anche vero
che chi sceglie questo smartphone tende a spendere il
meno possibile e non è un utente interessato all’LTE.
S
Design che vince non si cambia
Microsoft prosegue sulla via percorsa da Nokia: scocche colorate e allegre, cover posteriore removibile e
un design che identifica immediatamente la famiglia
Lumia. Potrebbe non piacere la scelta dei colori: oltre
all’arancione in prova ci sono il verde, il nero e il bian-
video
89,00la
€b
Microsoft Lumia 435
COSA C’È DI MEGLIO A 89 EURO?
Gli smartphone che costano poco esistono, ma spesso sono anche prodotti che valgono quello che costano. I negozi sono pieni di prodotti
Android venduti a una cifra simile, ma nessuno di questi “out of the box” promette la completezza, la facilità di aggiornamento e anche la
qualità costruttiva di questo Lumia 435. Che, comunque, è bene dirlo, non è esente da difetti: la fotocamera non è una fotocamera, il display
non è eccezionale e forse lo schermo è troppo piccolo. Un prodotto particolare, l’unico dubbio è capire se vale la pena risparmiare qualche
decina di euro per scegliere proprio l’entry level. Il modello “maggiore” 535, nonostante dei problemi al touch in fase di risoluzione, è un prodotto di gran lunga superiore, con schermo da 5” Gorilla Glass con filtro antiglare, processore quad core, fotocamera con flash da 5 Megapixel
e spessore ridotto, uno smartphone già più completo e comunque dedicato a un pubblico più ampio e attento.
7.7
Qualità
7
Longevità
8
Design
7
Semplicità
8
Prezzo davvero allettante
Cosa ci piace Completezza del sistema operativo Cosa NON ci piace
Prestazioni all’altezza nonostante
il prezzo
co, assenti ma desiderati il ciano e il giallo che fanno
parte del logo Microsoft. La costruzione, nel suo essere “low cost”, è incredibilmente curata e l’utilizzo di
plastiche opache mette al riparo sia dalle ditate sia
dalla sensazione di “plasticaccia” che si percepisce
toccando con mano molti prodotti nella stessa fascia
di prezzo. Le dimensioni del 435, solo 4” di schermo,
rendono lo smartphone maneggevole e pratico, e
proprio le dimensioni ridotte non fanno pesare più di
tanto lo spessore che non è proprio ridotto, anzi, tocca quasi i 12 mm. Poche le connessioni presenti: jack
nella parte superiore e USB nella zona inferiore, con il
solo caricatore in dotazione. Le cuffie, per chi le vuole,
vanno acquistate a parte e questa ci sembra una scelta saggia: meglio risparmiare qualche euro lasciando
la scelta all’acquirente piuttosto che offrire auricolari
di scarso valore facendo salire il prezzo. L’inserimento degli auricolari attiva la radio FM: qualcuno la usa
ancora e Microsoft, al contrario di molti smartphone
più costosi, continua ad offrire questa feature. Buona
la risposta dei due tasti laterali, quello di accensione
e i due del volume, e eccellente anche l’incastro tra la
cover e il corpo dello smartphone. Sotto lo sportellino,
oltre allo slot per la mini SIM, lo speaker monofonico e
D-Factor
7
Prezzo
9
Schermo piccolo e di qualità modesta
Fotocamere non degne del nome
Bastano 30 euro in più per prendere
il Lumia 535
lo slot per card microSD che supporta fino a 128 GB.
Ricordiamo che Microsoft offre anche 30 GB di spazio Cloud One Drive, 15 di base e 15 all’attivazione di
Camera Roll, ma qui vale lo stesso discorso dell’LTE: il
Lumia 435 non è uno smartphone per utenti evoluti e
forse, come per l’LTE, il “cloud” deve essere una cosa
che lavora in background, per salvare contatti o per
fare il backup in automatico.
Quanti miglioramenti in sordina
Il Lumia 435 migliora molti aspetti criticati anche su
altri smartphone delle passate generazioni: prima di
tutto ha 1 GB di RAM, e questo è fondamentale per
il pieno supporto a Windows 10, e in secondo luogo
dispone di sensore per la luminosità e di prossimità.
Può sembrare banale, ma per risparmiare qualcosa
Nokia aveva gestito via software lo spegnimento dello schermo durante le chiamate e in modo manuale la
luminosità: di fianco alla piccola camera frontale, guardando in controluce, si possono vedere i due sensori.
Lo schermo è da 4”, con una risoluzione di 848 x 480:
ci piacerebbe dire che è poco risoluto, che ormai ci
sono display con una risoluzione ben più elevata e

segue a pagina 32 
torna al sommario
n.106 / 15
23 febbraio 2015
MAGAZINE
tEST
Microsoft Lumia 435
segue Da pagina 31 
che è uno schermo vecchio, tuttavia su un 4” 233 ppi
sono un buon compromesso e solo avvicinandosi
molto si percepisce il reticolo dei pixel. Microsoft in
questo caso ha fatto una scelta saggia, consapevole
anche di aver messo nel Lumia una batteria un po’ piccola e che uno schermo più risoluto avrebbe sicuramente avuto un impatto negativo sull’autonomia. Non
si può dire tuttavia che lo schermo sia resistente alle
ditate e che abbia un ottimo rivestimento per la forte
luce incidente: qui il 435 mostra i suoi limiti, con una
luminosità non eccezionale anche al massimo e colori
un po’ deboli sotto forte luce. Inoltre, nonostante il refresh dichiarato da 60 Hz ci sembra che alcune transizioni orizzontali lascino intravedere qualche piccolo
artefatto. Da valutare poi con attenzione, soprattutto
per questo modello, lo schermo da 4”: il Lumia 435
è lo smartphone perfetto per chi ancora non ha uno
smartphone, ma su 4” le scritte e gli elementi sono
davvero piccoli e questo potrebbe causare qualche
problema a chi soffre di presbiopia. Tramite il menù
“accessibilità” è possibile ingrandire la font, ma questo funziona solo su alcune app e su alcuni elementi.
Un fattore comunque da considerare se si pensa di
regalare lo smartphone a una persona di una certa
età. Passando al “cuore” del 435 il processore scelto
è un Qualcomm Snapdragon 200 che con Windows
Phone 8.1 lavora decisamente bene, supportato anche da 1 GB di RAM; per la parte wireless sono previsti Bluetooth 4.0 per connettere smart device, Wi-Fi
802.11 b/g/n con possibilità di fare da hotspot e rete
3G con download massimo a 42 Mbps, più che sufficiente per esigenze di base e per streaming video.
mera da 0.3 Megapixel frontale. Abbiamo realizzato
alcuni scatti che sembrano arrivare da fotocamere di
cellulari parecchio datati. Poco conta se poi sul Lumia
435 c’è installata l’ottima Lumia Camera: i miracoli lasciamoli ai santi.
Windows 8.1 non delude mai
Il Lumia 435 viene venduto con installato Windows
Phone 8.1 e Lumia Denim, l’ultima versione del pacchetto addizionale Lumia per gli smartphone Windows. Non c’è dubbio che Microsoft si stia dando
molto da fare per migliorare il suo sistema operativo,
e con Windows 10 per smartphone vedremo finalmente la conclusione di una strada iniziata qualche anno
fa. Windows 8.1 è già comunque più che promettente:
è veloce, completo e facile da usare oltre ad essere
profondamente personalizzabile. Con questa parola,
La fotocamera è sicuramente il componente più utisia chiaro, non vogliamo paragonare Windows Phone
lizzato, oltre alle app, su uno smartphone, ed è anad Android, che fa della personalizzazione il suo cache uno degli elementi più costosi. Microsoft non può
vallo di battaglia, ma semplicemente
mettere in luce la facilità con cui è
possibile rimuovere gli elementi
da Windows Phone rendendolo
uno smartphone davvero per tutti.
L’esempio che facciamo sempre è
il “face wall”, ovvero una schermata
home composta solo da mattoncini
con le “facce” dei contatti, una configurazione perfetta per un anziano
che identifica subito la persona da
chiamare e non si perde con app
e cose simili. Lumia Denim porta
altre piccole migliorie, anche se
questo specifico modello è interesUn esempio di foto realizzata con Microsoft Lumia 435
sato solo da una parte delle novità,
come ad esempio le “Live Folders”,
ovvero le cartelle per le app nella pagina principale.
fare miracoli e sul Lumia 435 il modulo fotografico
Oltre a questo segnaliamo anche il supporto VPN (ma
principale è da soli 2 Megapixel, senza autofocus e
questo non è comunque uno smartphone business)
senza flash. Una fotocamera priva di grandangolo,
e app corner, per lasciare alcune app disponibili ancon un’ottica fissa f/2.7 e un sensore minuscolo da
che a telefono bloccato. Come abbiamo già detto più
1/5” che registra video a 800 x 448. Onestamente è
volte Windows Phone è completo: ci sono Bing Maps
difficile definire questo elemento “fotocamera”, così
e Here Maps, c’è il navigatore offline gratuito Here
come non ci si può aspettare nulla dalla piccola ca-

Difficile chiamarla fotocamera
torna al sommario
Drive+ e già installati si trovano anche Facebook,
Twitter, Cortana come assistenza virtuale (ma in beta)
e Office. Molte di queste cose non interessano sicuramente l’acquirente del 435, tuttavia chi lo acquista sa
che ha uno smartphone che può essere usato praticamente senza dover scaricare nulla (o quasi) dallo store. Il prezzo da pagare è lo spazio occupato da tutte
le app preinstallate: degli 8 GB a bordo praticamente
ne restano liberi 4.
Batteria nella norma
buone le performance
Spesso quando si prova uno smartphone si parla di
velocità di caricamento delle app, di performance della fotocamera e di autonomia, ma si trascura l’aspetto
fondamentale, ovvero se riceve bene e soprattutto se
la qualità di chiamata è buona. In questo caso il Lumia
435 è nella media: la ricezione è facilitata dal guscio
totalmente in plastica, che non scherma in alcun modo
il segnale, mentre per la qualità di chiamata si sente,
soprattutto per chi riceve la telefonata, l’assenza di un
sistema di riduzione del rumore ambientale realizzato
partendo da più microfoni. Il 435 ha un piccolo microfono nella parte bassa, sensibile e di buona qualità,
ma comunque singolo. L’altoparlante sul retro poi, nel
caso di vivavoce, non è posizionato in modo ottimale e tende ad essere coperto con una mano: la sua
qualità è modesta ma la pressione sonora che riesce
a generare è buona. Una nota, infine, sulla batteria,
per quanto possa valere: se immaginiamo il 435 come
un sostituto del telefono e quindi destinato a persone
che non stanno ogni 15 minuti attaccate allo smartphone a controllare posta o web allora la giornata di
autonomia (e un po’ di più) c’è tutta, se invece si inizia
a giocare, usare la rete in modo intenso e scattare
foto a raffica si deve stare attenti per arrivare a sera.
Sulle prestazioni vale quanto detto per altri entry level
Lumia: non è un fulmine, soprattutto ad aprire le app,
ma non è nemmeno lento nell’uso normale; certo, con
alcuni giochi si fa fatica (Asphalt 8 ad esempio) ma
forse non è lo smartphone adatto per i giochi, anche
perché con i 900 MB richiesti proprio da Asphalt si va
a prosciugare prezioso spazio.
n.106 / 15
23 febbraio 2015
MAGAZINE
tEST Dal 17 febbraio è disponibile anche in Italia il servizio di musica in streaming che offre audio con vera qualità CD
Lo streaming Hi-Fi di TIDAL: la prova in anteprima
Lo abbiamo provato e la differenza c’è e si sente, ma basta per giustificare un abbonamento che costa il doppio?
di Paolo centofanti
a musica in streaming sta velocemente conquistando una larga fetta di utenti, specie in quella
fascia di pubblico che negli anni si era abituata a
scaricare musica dalla rete in modo illegale. Le ragioni
del successo sono da ricercare essenzialmente nella
vastità del catalogo di musica a disposizione e nella
semplicità di utilizzo di questi servizi: tutto è a portata
di un click e la riproduzione parte immediatamente. C’è
però anche a chi tutto questo non basta: la stragrande
maggioranza dei servizi di streaming, infatti, offre musica in formato compresso, nel migliore dei casi paragonabile ad MP3 codificati a 320 Kbit/s. Un formato di
buona qualità per la maggior parte delle persone, ma
inferiore al CD o comunque ai formati non compressi,
e quindi disdegnato da chi ama ascoltare musica su un
buon impianto HiFi. Da adesso però, anche chi tiene a
cuore la qualità audio può contare su un servizio di musica in streaming, TIDAL HiFi, che diventa disponibile
anche in Italia via web, app per desktop, smartphone e
tablet, e che sta venendo via via integrato da un gran
numero di produttori di elettroniche HiFi.
L
Si ascolta ovunque, dallo smartphone
alla sorgente Hi-Fi
A differenza di Deezer Elite, servizio anch’esso di
streaming in qualità lossless, che attualmente è disponibile unicamente solo su prodotti Sonos, TIDAL
funziona esattamente come una delle altre alternative
“tradizionali”. C’è un player web, ma anche un lettore
video
lab
dedicato per PC e Mac da scaricare, oltre alle app per
smartphone e tablet iOS e Android. La maggior parte
del catalogo di TIDAL è disponibile in formato FLAC a
16 bit e 44 KHz con un bitrate di 1411 Kbit/s, nonostante
la compressione possa lavorare senza perdita anche
con la metà di questa banda.
A testimonianza che TIDAL si rivolge soprattutto agli
utenti che tengono a cuore la qualità audio, il servizio
è integrato (o in dirittura di arrivo) sui prodotti di marchi
come Linn, McIntosh, Meridian, Mirage, Wadia
e altri. È disponibile anche sul già citato sistema audio Sonos, però in versione beta
ancora limitata a Stati Uniti, Regno Unito e
Canada.
Per quanto riguarda l’offerta, TIDAL non ha
una versione gratuita con pubblicità, ma ha
un unico piano di abbonamento, del costo di 19.90 euro mensili, che permette di
ascoltare il catalogo su qualunque tipo di
sorgente compatibile. Chiaramente, rispetto ad altri servizi di streaming, TIDAL non è
del tutto sfruttabile al massimo in mobilità:
con un data rate di 1411 Kbit/s, l’ascolto di
due album può azzerare in un attimo un
budget mensile di 1 GB su rete cellulare.
Questo non vuol dire che non sia possibile utilizzare TIDAL su smartphone. L’app
permette naturalmente di salvare quante
tracce si vogliono per l’ascolto offline alla
massima qualità, ma è anche possibile selezionare una qualità audio inferiore per
ascoltare musica in streaming tramite la
rete dati senza consumare troppo. Le opzioni sono tre: standard (AAC+ a 96 Kbit/s),
high (AAC a 320 Kbit/s) e HiFi (FLAC a 1411
Kbit/s). L’impostazione è però unica per
WiFi e rete cellulare, per cui occorre entrare
ogni volta nel menù impostazioni per cambiare il livello
di qualità. Per quanto riguarda le limitazioni, l’ascolto è
possibile da un solo dispositivo online alla volta e fino a
tre dispositivi in modalità offline.
Non solo audio di qualità, la musica
prima di tutto
TIDAL offre le classiche funzionalità di un servizio di
streaming: un catalogo sterminato (25 milioni di brani secondo l’azienda) da sfogliare come si vuole, per
artista, album, genere, oppure lasciandosi guidare dal
team editoriale del servizio, che propone delle playlist
attentamente compilate in base a un certo tema.
Questa sezione, in particolare, si distingue da quella
analoga di Spotify o Deezer, in quanto anzi di offrire
playlist basate su genere musicale/umore/attività, o
ancora un sistema di raccomandazione automatico,
presenta delle vere e proprie guide all’ascolto, con
un taglio molto più simile a quello di Beats Music: retrospettive di un artista o un particolare momento storico, discografie selezionate di un sottogenere, nuove
proposte di un certo paese o scena musicale e così
via. Si tratta questo di un aspetto che a nostro avviso
sarà sicuramente molto apprezzato dagli appassionati
di musica. Man mano che ascoltiamo musica o ne aggiungiamo alla nostra libreria, si affinerà la proposta di
playlist di questo tipo più vicine ai nostri gusti musicali,
nell’apposita sezione “reccomended”.
Naturalmente c’è poi la possibilità di creare le proprie
playlist personali come pare e piace. La gestione della
libreria è simile a quella di Spotify e Deezer. Ogni volta
che ci imbattiamo in qualcosa che ci piace la possiamo aggiungere alla nostra libreria virtuale. Possiamo
aggiungere artisti, album, singole tracce o playlist. Aggiungendo un artista, non compariranno nella nostra
libreria automaticamente anche tutti i suoi album e per

segue a pagina 34 
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n.106 / 15
23 febbraio 2015
MAGAZINE
hi-fi e home cinema Sennheiser rinnova la gamma RS: 4 modelli con trasmissione a 2,4 GHz ed elevata qualità sonora
RS di Sennheiser, quattro nuove cuffie wireless di qualità
I 4 modelli sono disponibili anche con ingresso digitale per segnali PCM fino a 96 kHz. Prezzi a partire da 199 euro
S
di Roberto faggiano
ennheiser rinnova la gamma di
cuffie senza fili RS per l’ascolto
domestico, quattro modelli con
trasmissione a 2,4 GHz per ottenere la
migliore qualità sonora e una maggiore
stabilità di trasmissione. I modelli della
nuova gamma
RS sono quattro.
In comune hanno il trasmettitors195
re digitale con
il caricabatterie
della cuffia, che
assicura un’autonomia di circa
18 ore. Il controllo del volume
e l’inserimento
degli effetti DSP sono
concentrati su un padiglione, la portata del
trasmettitore è fino a
30 metri che salgono a
100 metri in assenza di
ostacoli. ll modello di
partenza della gamma
è la RS 165 (199 euro)
con disegno chiuso
dei padiglioni, ingresso analogico minjack,
bass boost inseribile e peso di 300
grammi. Il modello RS 175 (249 euro) ha
i padiglioni chiusi, un ingresso digitale
ottico (con relativo cavo in dotazione),
effetto surround virtuale e incremento
dei bassi inseribili. Il modello RS 185
(349 euro) aggiunge padiglioni aperti
con un suono più indicato per l’ascol-
euro) ha prestazioni sonore in linea
con le migliori cuffie hi-fi di Sennheiser
e permette di personalizzare l’ascolto
con una serie di equalizzazioni inseribili a seconda dei propri gusti musicali
e del tipo di programma da riprodurre,
musicale o parlato.
rs165
to stereo hi-fi anche ad alta risoluzione,
infatti l’ingresso digitale ottico può
ricevere segnali PCM fino a 96 KHz.
Disponibile anche un ingresso stereo
analogico. Si possono regolare il livello
di ingresso e il bilanciamento sul trasmettitore oppure direttamente dalla
cuffia. Il top di gamma RS 195 (399
tEST
Lo streaming Hi-Fi di TIDAL
segue Da pagina 33 
accedere alla discografia dovremo sempre passare
dalla pagina dell’artista, utilizzando di fatto la sezione
artisti come una sezione bookmarks. Stesso discorso
per gli album: aggiungere un disco alla libreria, non popola automaticamente la sezione brani.
La differenza c’è e si sente

Diciamolo subito: non serve un impianto esoterico per
percepire la differenza di qualità tra TIDAL e uno dei
“normali” concorrenti, basta un decoroso paio di cuffie.
Magari l’orecchio meno allenato impiegherà più tempo
per apprezzare miglioramenti come la ricchezza delle
sfumature nel timbro di una voce, la precisione dei bassi, il dettaglio degli strumenti a corda o dei fiati e così
via, ma sono tutte cose che siamo sicuri diventerebbero evidenti a chiunque nel momento in cui si “torna
indietro” alla musica compressa dopo diverse ore di
ascolto in qualità lossless. La stessa fatica di ascolto,
che per chi scrive è la cosa che più si fa sentire con i
normali servizi di streaming, in questo caso non compare neanche dopo lunghe sessioni di riproduzione.
Se dobbiamo muovere delle critiche al servizio di TIDAL queste sono essenzialmente due. La prima è la
mancanza di riproduzione senza pause: sia che si
ascolti da player web o app mobile o desktop, l’audio
si interrompe nel caricamento da una traccia all’altra,
cosa che nel caso di alcuni album, - soprattutto quelli dal vivo, ma non solo - diventa molto fastidiosa. In
secondo luogo, và detto che siamo incappati in alcuni
album non ancora disponibili in qualità HiFi. Artisti mi-
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nori magari, ma qualche buco c’è. Per quanto riguarda
l’ampiezza del catalogo niente da dire: da quanto abbiamo avuto modo di vedere, anzi ascoltare, la musica
disponibile è pari a quella di Spotify, fatta eccezione
per artisti disponibili in esclusiva sul servizio svedese,
come i Led Zeppelin. Anche la compagine italiana è
adeguatamente rappresentata e non abbiamo riscontrato clamorosi buchi di catalogo nel campione preso
in considerazione durante la nostra prova.
Tutto questo vale 19,90 euro al mese?
In fondo il nocciolo di tutta la questione è qui. TIDAL
costa essenzialmente il doppio di tutti gli altri servizi
di streaming. Per rispondere alla domanda, basta
chiedersi che tipo di ascoltatore siamo. 20 euro non
sono che il costo di due CD al mese se va bene, e qui
stiamo parlando di un catalogo di milioni di brani con
lo stesso livello di qualità. La flessibilità di ascolto alla
fine non è troppo diversa da quella di un file acquistato
in download o un CD: tra app, browser e dispositivi,
si può ascoltare la musica in qualunque modo, anche
offline. Certo è che se per noi l’ascolto avviene principalmente dallo smartphone quando siamo all’aperto o
in viaggio sui mezzi pubblici, tanto vale pagare la metà
e utilizzare un servizio concorrente, visto che difficilmente si riuscirebbero ad apprezzare i benefici della
maggiore qualità audio in queste condizioni. Altro discorso, invece, se si pensa di utilizzare il servizio principalmente in casa, magari con un vero impianto stereo.
In questo caso la spesa, se si ama davvero la musica,
è ampiamente giustificata: è come avere in casa sempre a disposizione letteralmente milioni di CD. Meglio
di uno store di musica in download, visto che nel caso
dei pochi store che offrono musica in qualità lossless i
prezzi sono comunque tutt’altro che bassi. Resta il dub-
bio amletico di fondo: meglio il possesso o l’accesso?
La qualità audio ormai possiamo pure dire che non è
più una discriminate e la bilancia comincia a pendere
sempre di più dalla parte dello streaming.
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tEST Jabra ha sfornato quello che sembra essere l’auricolare dei sogni per gli sportivi e noi lo abbiamo messo alla prova
Jabra Sport Pulse, in prova l’auricolare sportivo
Ottima qualità audio, sensore biometrico integrato e connettività wireless. C’è anche qualche neo, a cominciare dal prezzo
di Roberto pezzali
abra è una azienda che non ha certo bisogno di
presentazioni: da anni produce cuffie e dispositivi
vivavoce di tutti i tipi, sia a cavo che wireless. Tra gli
ultimi prodotti presentati sul mercato ci sono gli Sport
Pulse: Sport perché si tratti di auricolari con la chiara vocazione sportiva, Pulse perché all’interno di uno dei due
auricolari è stato inserito un preciso sensore biometrico
per la rilevazione del battito cardiaco e volendo anche
il massimo livello di ossigeno che si può consumare
durante l’allenamento grazie al test di Rockport. Se a
questo aggiungiamo anche la connessione wireless tramite bluetooth (con accoppiamento NFC per Android)
si capisce che Jabra ha pensato davvero a tutto, realizzando un prodotto che potesse essere perfetto per
chi fa sport e per chi corre anche a determinati livelli,
perché il controllo delle pulsazioni rientra in un “fitness”
particolarmente evoluto e con necessità particolari, che
possono essere l’allenamento in zona cardio oppure la
necessità di restare in zona brucia grassi. Unico “neo”
il prezzo: 199 euro per un paio di auricolari wireless
sono una cifra importante, soprattutto se si considera il
prezzo di una fascia cardio esterna da collegare ad uno
smartphone. Certo, la comodità di avere tutto integrato
e di non avere fili di mezzo, il tutto con una qualità audio
comunque superiore alla media, ha un suo prezzo..
J
Robusti, ben fatti e comodi
Quando si spendono 199 euro per un set di auricolari
si pretende la massima cura nei dettagli, e dobbiamo
dire che Jabra non delude. Nella elegante scatola, oltre
agli auricolari stessi, è presente anche un piccolo box
con cerniera per portarli con noi senza danneggiarli.
Non che ci sia un pericolo in questo senso, anzi: gli au-
video
lab
Jabra Sport Pulse
UN MUST PER LO SPORTIVO, IN ATTESA DELLA LINGUA italiana
199,00 €
Jabra ha fatto un ottimo lavoro unendo a un set di cuffie tecnologicamente molto avanzate una applicazione pratica e ben fatta. Resta il rammarico per la mancanza al momento della lingua italiana, del supporto a HealthKit su iOS e dell’app per Windows Phone, ma sono entrambe
cose alle quali si può porre rimedio con un aggiornamento software. Quel che è certo è che chi solitamente fa sport e ama ascoltare musica o
guardare un film dal tablet mentre corre in palestra non potrà più fare a meno delle proprie cuffie wireless, che ricordiamo funzionano anche
come auricolare vivavoce per le chiamate. Certo, il prezzo è premium, ma per un buon set di auricolari sportivi si può spendere anche le metà
e in molti casi non sono né wireless né biometrici.
8.4
Qualità
8
Longevità
9
Qualità audio
Cosa ci piace Precisione cardiofrequenzimetro
Comodità
Design
9
Simplicità
8
Cosa NON ci piace
ricolari sono certificati IP55 e questo vuol
dire resistenza a sabbia e a spruzzi, e cosa
più importante possibilità di indossarli senza preoccuparsi affatto del sudore durante
una corsa. Oltre alla custodia in dotazione
vengono dati anche quattro set di auricolari
e tre set di EarGel, il supporto in morbida
gomma che serve a incastrare alla perfezione l’auricolare nell’orecchio tenendolo
in posizione. Un elemento importantissimo
per due motivi: rilevazione perfetta del battito cardiaco,
con l’auricolare che deve restare a contatto con la parte
interna dell’orecchio sinistro, e la comodità di non dover
mai toccare o sistemare durante la corsa gli auricolari
stessi. Trattandosi di un prodotto wireless si devono
accettare i pro e i contro che questa soluzione offre: se
da una parte infatti è comodo non avere un filo, dall’altra gli auricolari funzionano solo a batteria e l’autonomia
non è elevatissima, 5 ore dichiarate. Quello che dichiara
la casa è abbastanza veritiero comunque: ad un livello di ascolto moderato e con rilevamento del battito
abbiamo ascoltato musica per circa 4 ore e 40 minuti.
Come le altre cuffie Jabra Wireless anche le Sport Pulse Wireless dispongono di piccolo controllo sul filo per
volume e risposta, microfono e di tasto multifunzionale
D-Factor
9
Prezzo
8
Assenza lingua italiana
Prezzo comunque elevato
Assenza app per Windows Phone
sull’auricolare. La ricarica avviene tramite porta micro
USB, nascosta sotto un EarGel: per ricaricare completamente le cuffie bastano poche ore. Non manca neppure un accelerometro che funziona come contapassi:
Jabra lo ha inserito per gestire le attività indoor come la
corsa o la camminata sul tapis roulant: in esterno l’app
si appoggia al GPS dello smartphone. Ultimo, ma non
meno importante, l’NFC: chi ha Android può facilitare
il pairing appoggiando lo smartphone al tag, ma anche
senza NFC il pairing è immediato e rapido. Da segnalare, e questo è sicuramente un fatto positivo, la velocità
di accoppiamento tra smartphone / tablet e cuffie: basta
accendere le cuffie e in meno di un secondo il pairing
è attivo.

segue a pagina 37 
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23 febbraio 2015
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hi-fi e home cinema Deezer annuncia la disponibilità anche in Europa di Deezer Elite, il piano di streaming in qualità FLAC
Lo streaming lossless di Deezer Elite è ora disponibile in Italia
Da adesso gli utenti già abbonati Premium+ che utilizzano un dispositivo Sonos possono effettuare l’upgrade gratuitamente
di Paolo centofanti
l 12 febbraio, Deezer ha annunciato
l’espansione internazionale di Deezer
Elite, il servizio di streaming in qualità
lossless. Come per la versione statunitense, Deezer Elite è inizialmente disponibile
unicamente su sistemi audio Sonos e la
buona notizia è che per chi è già abbonato
Premium+ e già ascolta Deezer attraverso
un dispositivo Sonos, il passaggio alla
versione FLAC del servizio di streaming
sarà gratuito, a patto di abbonarsi per un
intero anno. Chi è già cliente Sonos e sta
usufruendo di un abbonamento promozionale a Deezer, potrà invece passare a
Deezer Elite al costo di 36 euro, sempre
a condizione di sottoscrivere almeno un
anno di Deezer Premium+. Per quanto
I
riguarda invece i nuovi utenti, questi potranno scegliere di abbonarsi a Deezer
Elite solo a partire dal prossimo 19 marzo,
ad un prezzo però che non è ancora stato stabilito. Secondo l’azienda francese,
il servizio lossless, che utilizza il formato
FLAC a ben 1.4 Mbit/s, ha avuto un buon
riscontro negli Stati Uniti visto che, dati
alla mano, gli utenti Elite ascoltano in media il doppio della musica rispetto a tutti
gli altri. In occasione del lancio globale
di Deezer Elite, il servizio di streaming ha
annunciato anche la disponibilità dell’intero catalogo della band alt rock Placebo,
uno dei gruppi che fino ad oggi ancora
non avevano aderito completamente a
questo tipo di servizi. Chi ha acquistato
un prodotto Sonos durante la recente
promozione natalizia, e che integrava un
tEST
Jabra Sport Pulse
segue Da pagina 36 
Una applicazione davvero ben fatta
Dov’è però l’italiano?

Gli auricolari Jabra Sport Pulse Wireless sono supportati dalle più note app di running e fitness come
torna al sommario
abbonamento promozionale a
Deezer Premium+, potrà passare a Deezer Elite con un sovrapprezzo di 36 euro per un
anno di abbonamento. La possibilità di effettuare l’upgrade a
Deezer Elite verrà comunicata
direttamente agli utenti che
soddisfano i criteri di cui sopra,
tramite un’email con tutte le
istruzioni per accedere all’offerta. Lo comunica Deezer che, su richiesta di chiarimenti, ha rilasciato la seguente nota:
“L’apertura a Deezer Elite è in pieno rollout e nei prossimi giorni gli utenti Sonos/
Deezer riceveranno via email le istruzioni su come passare a Deezer Elite, sia
che abbiano aderito all’offerta natalizia
di Sonos (che prevedeva 12 mesi gratis
Runkeeper: basta aggiungere il sensore cardio nelle impostazioni e il gioco è fatto. Jabra ha realizzato
tuttavia una applicazione decisamente interessante,
Sport Pulse, facile da usare e incredibilmente ben
fatta se non fosse che al momento manca la lingua
italiana. L’applicazione gestisce tutti gli aspetti della
parte corsa, dispone di diversi profili e preleva i dati
dal GPS nel caso di corsa all’esterno. Non mancano
tuttavia profili per tapis roulant e cyclette, in questo
caso non vengono registrati i dati di geolocalizzazione. In base al profilo di allenamento scelto una voce
(in inglese) di comunica di accelerare o rallentare per restare
nella fascia cardio predefinita,
cosa che ci permette di tenere l’app in background ascoltando musica o guardando un
film. L’app di Jabra gestisce
anche l’ascolto: si può tenere
la musica che si vuole oppure
si può decidere di far gestire
playlist e brani all’app Jabra
Sound: la scelta è dell’utente.
Una cosa abbiamo apprezzato: l’auricolare può essere
accoppiato contemporaneamente a più dispositivi, quindi
si può tenere lo smartphone
per chiamate e monitoraggio
e il tablet, con il sonoro, per
la visione. Questa è la configurazione che abbiamo tenuto noi ad esempio sul tapis
roulant, con un film sull’ iPad e
uno smartphone a fianco per
registrare il ritmo, tener traccia dell’allenamento e gestire
di Deezer Premium+), sia che siano in
possesso di un sistema Sonos e abbiano
l’abbonamento Deezer Premium+ attivo
e non collegato all’offerta natalizia. Per
i clienti non attualmente Sonos si dovrà
invece attendere il 19 Marzo per passare
ad Elite. Per eventuali ulteriori informazioni in merito, è possibile inviare una email
a [email protected].”
le chiamate. Da segnalare, almeno per il momento,
l’incompatibilità con Salute: i dati del cardiofrequenzimetro non vengono gestiti ancora da iHealth.
Qualità audio e precisione
Abbiamo valutato tre aspetti delle Jabra Sport Pulse:
la qualità audio, la precisione del sensore cardio e la
comodità. Le cuffie, trattandosi di un modello in-ear,
offrono un buon isolamento passivo anche se non
mascherano totalmente i rumori esterni: chi corre in
strada riuscirà comunque a percepire, seppur con una
buona attenuazione, i rumori esterni. La resa audio è
decisamente ben bilanciata: sin dai brani in streaming
da Spotify si apprezza un equilibrio complessivo degno dei migliori auricolari della categoria con filo, forse
gli acuti sono leggermente privilegiati rispetto ai bassi
più profondi, ma basta impostare l’equalizzatore secondo i gusti personali per risolvere il problema. Con
brani meno compressi si apprezza anche una buona
tridimensionalità, ideale per un ascolto più concentrato al di fuori degli allenamenti. Quindi l’ascolto non è
una funzione secondaria di questo auricolare ma ne è
anzi uno dei punti di forza.
Precisissimo il sensore biometrico: il rilevamento delle pulsazioni all’orecchio è decisamente preciso e
abbiamo provato a fare un confronto sia con la fascia
cardio sia con il classici sensori “elettrici” dei tapis
roulant e la tolleranza è di un paio di battiti al minuto.
Difficile dire qualche sia preciso senza un elettrocardiogramma, ma di certo la misurazione è più che valida per una applicazione di carattere sportivo. Infine
la comodità: le cuffie sono leggere e comodo e dopo
un’ora di corsa non sembra neppure di averle addosso. Durante le svariate sedute di palestra e fitness gli
auricolari, se ben inseriti e soprattutto con EarGel e
padiglioni della giusta misura, non si sono minimamente spostati.
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23 febbraio 2015
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tEST Gli Smarter sono disponibili a 39.90 euro in colore bianco o nero, hanno cavo piatto antigroviglio e microfono integrato
In prova l’auricolare italiano Ubsound Smarter
Buone prestazioni musicali al giusto prezzo
Il nuovo auricolare di Ubsound è più economico del primo modello e offre prestazioni musicali molto interessanti
di Roberto faggiano
rriva sul mercato il secondo auricolare dell’italiana
Ubsound, l’azienda che sfida senza paura i grandi nomi del settore. Il primo modello, il Fighter, ci
era piaciuto, soprattutto per la filosofia che sta dietro
a questi auricolari di progettazione italiana: anziché
inseguire facili successi con prezzi stracciati e suono
“giovane”, hanno preferito offrire al giusto prezzo un
auricolare di qualità non solo nella costruzione ma anche nella resa musicale.
Eccoci quindi molto curiosi davanti al secondo auricolare di casa Ubsound, si chiama Smarter e costa 39,90
euro, è disponibile in colore bianco o nero, ha il cavo
piatto antigroviglio e un semplice tasto universale per
rispondere o riagganciare durante le conversazioni
telefoniche oppure avviare e interrompere la riproduzione musicale; non manca il microfono integrato.
A
Realizzazione accurata
Rispetto al modello più costoso si notano materiali
plastici al posto del metallo, il che alleggerisce il peso,
mentre ritroviamo il cavo asimmetrico tra i due canali
destro e sinistro e la pratica borsetta in tessuto per
il trasporto. I punti deboli di ogni auricolare, le connessioni tra cavo e i due traduttori, appaiono robusti
e pronti a piegarsi senza danno; da lodare la chiarissima indicazione dei canali destro e sinistro, simboli
che sembrano essere l’ultimo interesse dei costruttori e vengono spesso celati come segreti da svelare
solo a chi ha una vista accurata. In dotazione anche i
consueti adattatori gommosi di tre diverse misure per
l’orecchio. Dal punto di vista tecnico, i nuovi Smarter
dichiarano impedenza di 24 ohm, sensibilità di 100 dB
e risposta in frequenza 20 – 20.000 Hz con trasduttori da 10 mm.
Ascolto di qualità
Nelle istruzioni, Ubsound informa che ci vorranno almeno 30 ore di ascolto prima di ottenere le migliori
prestazioni, quindi iniziamo a rodare lo Smarter sul
nostro iPod con musica di ogni genere, lasciando per
video
ultimo l’ascolto di Flac su smartphone e notebook. Gli
Smarter si indossano con facilità e una volta scelto il
giusto adattatore rimangono saldamente al loro posto, va però detto che non sono auricolari fatti per chi
si allena e non sono resistenti al sudore o alla pioggia.
L’isolamento dai rumori esterni è più che sufficiente
in normali situazioni di utilizzo, lasciando comunque
ben percepibili eventuali pericoli esterni; magari chi
viaggia in treno o in metrò preferirebbe un isolamento
maggiore ma comunque il risultato ci sembra un buon
compromesso. Notevole la sensibilità in ingresso, superiore alla media per poter sfruttare meglio la scarsa
potenza di molti smartphone e per avere un sano risparmio della batteria dei vari dispositivi mobili.
Come nell’altro modello di auricolare Ubsound, si apprezza un ascolto molto equilibrato e senza nessuna
strizzata d’occhio agli utenti più giovani: la famigerata
gamma medio bassa non è in primo piano e il dettaglio sugli acuti è molto buono ma rimane più morbido rispetto ai Fighter. Il primo effetto è quello di un
auricolare da usare tranquillamente per molto tempo,
godendosi la musica preferita. Rispetto al Fighter si
nota anche maggiore tolleranza verso gli MP3 più
scadenti, ammorbidendo registrazioni troppo pompate. Ottimo anche l’ascolto in streaming da Spotify, con
un ottimo fuoco sulle voci e soprattutto una tridimensionalità spesso sconosciuta dai concorrenti anche di
lab
prezzo superiore. Passando all’ascolto di brani Flac
fino a 192 kHz, le impressioni di ascolto variano poco,
gli Smarter tendono a smussare gli estremi banda per
migliorare la resa con gli MP3 e lo streaming piuttosto che restituire ogni dettaglio di musica a maggiore
risoluzione ma assai minore diffusione. Tuttavia si apprezza sempre un’ampia tridimensionalità che molti
altri auricolari tendono inesorabilmente a togliere dalla riproduzione. La gamma bassa continua ad essere
piuttosto arretrata, un dettaglio che non piacerà a chi
frequenta le discoteche, ma che rende ascoltabili anche i brani più pompati.
Promossi per un “sano”
ascolto quotidiano

Dobbiamo concludere che lo Smarter non è un auricolare per giovani? No, anzi i più giovani potrebbero
imparare da questi Ubsound come andrebbe ascoltata
la musica, soprattutto per il bene futuro delle proprie
orecchie. Per il resto gli Smarter ci sono sembrati ottimi
auricolari, con un rapporto qualità/prezzo molto elevato
e ideali per l’uso quotidiano con il proprio smartphone.
Non strizzano l’occhio alle mode passeggere ma sono
fatti per durare a lungo.
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