Case Reports sulle Malattie Infiammatorie Croniche

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ISSN 0392 - 4203
Vol. 78 - Quaderno 3 / 2007
PUBLISHED QUARTERLY BY MATTIOLI 1885
ACTA BIO MEDICA
Atenei parmensis
founded 1887
O F F I C I A L J O U R N A L O F T H E S O C I E T Y O F M E D I C I N E A N D N AT U R A L S C I E N C E S O F PA R M A
-
FINITO DI STAMPARE NEL MAGGIO 2007
QUADERNI
POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN A. P. - D.L. 353/2003 (CONV IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 1, DCB PARMA
9:38
Cod. 902973
5-09-2007
DEPOSITO AIFA: 23-5-2007
00-Cop. Quad. 3-2007
Gastroenterologia:
Case Reports sulle
Malattie Infiammatorie
Croniche Intestinali VI parte
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ACTA BIO MEDICA
Atenei parmensis
founded 1887
O F F I C I A L J O U R N A L O F T H E S O C I E T Y O F M E D I C I N E A N D N AT U R A L S C I E N C E S O F PA R M A
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Giorgio Cocconi
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Enrico Cabassi
Patrizia Santi
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QUADERNI
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P E R
G L I
A U T O R I
A C TA B I O M E D I C A - G A S T R O E N T E R O L O G I A
U Z I O N I
DI
Acta Bio Medica è la rivista ufficiale della Società di Medicina e Scienze
Naturali di Parma.
I Quaderni di Acta Bio Medica dedicati alla Gastroenterologia pubblicano principalmente case-reports, saranno inserite occasionalmente reviews
e lavori originali dedicati a quest’area della Medicina.
I dattiloscritti devono essere accompagnati da una richiesta di pubblicazione e da una dichiarazione firmata degli autori che l’articolo non è stato
inviato ad alcuna altra rivista, né che è stato accettato altrove per la pubblicazione. Tutti i lavori sono soggetti a revisione e si esortano gli autori ad
essere concisi. I manoscritti dovranno essere inviati a:
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Quaderni Acta Bio Medica - Gastroenterologia
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• Nome e indirizzo dell’autore a cui deve essere inviata la corrispondenza
relativa al manoscritto. Deve essere indicato inoltre numero di telefono,
fax ed indirizzo e-mail
• Un running title di non più di 40 caratteri
COME SCRIVERE UN CASE REPORT
La caratteristica chiave del case report è quella di aiutare il lettore a riconoscere e a trattare un problema simile, se mai dovesse ripresentarsi. Utilizzare un linguaggio chiaro e senza ambiguità, per presentare il materiale in
modo che il lettore abbia una chiara visione di:
-cosa è successo al paziente
-la cronologia di questi eventi
-perché il trattamento è stato eseguito in base a quei determinati concetti.
Cosa descrivere?
Osservare e pensare alla pratica clinica, vi sono molti casi rari o insoliti che
possono meritare una descrizione. La rarità non è però di per se stessa motivo sufficiente di pubblicazione, il caso deve essere speciale e avere un
“messaggio” per il lettore; può servire a fornire la consapevolezza della condizione in modo tale che la diagnosi possa essere più facile in futuro o come una linea di trattamento possa essere più adatta di un’altra.
Il ruolo dei case report è di stabilire un specie di “precedente giudiziario” per
malattie relativamente rare.
Un altro gruppo è quello dei casi associati a condizioni inusuali, anche sconosciute, che possono avere priorità diverse nel loro trattamento.
Come descrivere?
Titolo: Il titolo dovrebbe essere corto, descrittivo e capace di attirare l’attenzione. Se il titolo di un case report contiene troppi dati il lettore potrebbe avere la sensazione che esso abbia spiegato tutto quello che c’è da
sapere.
Introduzione: Solitamente si tende a scrivere una breve storia della malattia, ma questo materiale può essere inserito nella discussione. Il report può
cominciare semplicemente con la descrizione del caso.
Descrizione del caso: Il report deve essere cronologico e descrivere adeguatamente la presentazione, i risultati dell’esame clinico e quelli degli accertamenti prima di andare avanti e descrivere l’evoluzione del paziente.
La descrizione deve essere completa, accentuare le caratteristiche positive senza oscurarle in una massa di rilievi negativi. Considerare quali domande potrebbe fare un collega e assicurarsi che vi siano risposte chiare
all’interno del report. Le illustrazioni possono essere utili.
Discussione del caso: Lo scopo principale della discussione è di spiegare come e perché sono state prese le decisioni e quale insegnamento è stato recepito da questa esperienza. Possono essere necessari alcuni riferimenti bibliografici ad altri casi, bisogna evitare tuttavia di produrre una review.
Lo scopo deve essere di definire e dettagliare il messaggio per il lettore.
Il case report renderà chiaro come un caso analogo dovrebbe essere trattato in futuro.
REVIEWS- LAVORI ORIGINALI
Articoli originali: comprendono lavori che offrono un contributo nuovo o
frutto di una consistente esperienza, anche se non del tutto originale, in un
determinato settore. Devono essere completi di Riassunto e suddivisi nelle seguenti parti: Introduzione, Obiettivi, Materiale e Metodi, Risultati,
Discussione e Conclusioni. Nella sezione Obiettivo deve essere sintetizzato con chiarezza l’obiettivo del lavoro, vale a dire l’ipotesi che si è inteso verificare; nei Metodi va riportato il contesto in cui si è svolto lo studio
(Ospedale, Centro Specialistico…), il numero e il tipo di soggetti analizzati, il disegno dello studio (randomizzato, in doppio cieco…), il tipo di
trattamento e il tipo di analisi statistica impiegata. Nella sezione Risultati
vanno riportati i risultati dello studio e dell’analisi statistica. Nella sezione
Conclusioni va riportato il significato dei risultati soprattutto in funzione
delle implicazioni cliniche.
Review: devono essere inerenti ad uno specifico argomento e permettere al
lettore uno sguardo approfondito sul tema, offrendo una panoramica nazionale ed internazionale delle ultime novità in merito. L’autore deve offrire un punto di vista personale basato su dati di letteratura ufficiali. Dovrà essere suddiviso in Introduzione, Discussione e Conclusione e completo di Riassunto. La bibliografia citata dovrà essere particolarmente ricca.
ILLUSTRAZIONI. È responsabilità dell’autore ottenere il permesso
(dall’autore e dal possessore dei diritti di copyright) di riprodurre illustrazioni, tabelle, ecc, da altre pubblicazioni. Stampe o radiografie devono essere chiare.
Le TABELLE dovranno essere numerate consecutivamente con numeri
romani contraddistinte da un titolo.
Le VOCI BIBLIOGRAFICHE dovranno essere numerate secondo l’ordine di citazione nel testo; quelle citate solamente nelle tabelle o nelle legende delle figure saranno numerate in accordo con la sequenza stabilita
dalla loro prima identificazione nel testo. La lista delle voci bibliografiche
deve riportare il cognome e l’iniziale del nome degli Autori (saranno indicati tutti gli autori se presenti 6 o meno; quando presenti 7 nomi o più, indicare solo i primi 3 e aggiungere “et al.”), il titolo del lavoro, il nome della rivista abbreviato in conformità dell’Index Medicus, l’anno di pubblicazione, il volume e la prima e l’ultima pagina dell’articolo, Esempio: Fraioli P., Montemurro L., Castrignano L., Rizzato G.: Retroperitoneal Involvement in Sarcoidosis. Sarcoidosis 1990; 7: 101-105. Nel caso di un libro, si indicheranno nel medesimo modo il nome degli Autori, il titolo, il numero
dell’edizione, il nome dell’Editore, il luogo di pubblicazione, il numero del
volume e la pagina. Nessun addebito verrà effettuato per foto in bianco e
nero. Comunicazioni personali non dovrebbero essere incluse in bibliografia ma possono essere citate nel testo tra parentesi.
COPYRIGHT
© 2007 ACTA BIO MEDICA SOCIETÀ DI MEDICINA E SCIENZE NATURALI
DI PARMA. La rivista è protetta da Copyright. I lavori pubblicati rimangono
di proprietà della Rivista e possono essere riprodotti solo previa autorizzazione dell’Editore citandone la fonte.
Direttore Responsabile: M. Vanelli
Registrazione del Tribunale di Parma n° 253 del 21/7/1955
Finito di stampare: Maggio 2007
La banca dati viene conservata presso l’editore, che ne è titolare. La rivista viene spedita in abbonamento; l’indirizzo in nostro possesso verrà utilizzato per l’invio di questa o di altre
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INDEX
Quaderno 3/2007
Gastroenterologia: Case reports sulle Malattie Infiammatorie
Croniche Intestinali – VI parte
Mattioli 1885
4
Foreword
spa - via Coduro 1/b
43036 Fidenza (Parma)
tel 0524/84547
fax 0524/84751
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Case report
R. Cantore
Complicanza emorragica della diverticolite del colon
DIREZIONE EDITORIALE
11
Direttore Scientifico
Federico Cioni
Editing Staff
Valeria Ceci
Natalie Cerioli
Cecilia Mutti
Anna Scotti
MARKETING E PUBBLICITÀ
Direttore Marketing e Sviluppo
Massimo Enrico Radaelli
Marketing Manager
Luca Ranzato
Segreteria Marketing
Martine Brusini
Direttore Distribuzione
Massimiliano Franzoni
Responsabile Area ECM
Simone Agnello
14
18
G. Imperiali
Ascesso pelvico in corso di malattia di Crohn ileale
Review
S. Scabini, E. Rimini, E. Romairone, R. Scordamaglia,
R. Boaretto, V. Ferrando
Le lesioni anali e perianali nella malattia di Crohn
Case report
D. Mazzucco, S .Grosso, P. Gastaldi, V. Marci, R. Suriani
Colite simil Crohn associata a malassorbimento cronico
multifattoriale in una paziente affetta da Immunodeficienza
Comune Variabile (ICV)
23
A. Bozzani, A. Lorenzetti, F. Gelosa, G. Idèo
Pancolite ulcerosa acuta nel paziente anziano
26
P. Lecis, E. Galliani, B. Germanà
Un caso di colite indeterminata con rapida evoluzione verso la
displasia
31
F. Mocciaro, A. Orlando, M. Cottone
Un caso di diarrea resistente alla dieta priva di glutine in un
paziente affetto da malattia celiaca
Inserto centrale staccabile “Il Punto...in breve”
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ACTA BIOMED 2007; 78; Quaderno 3: 4
© Mattioli 1885
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O R E W O R D
Le malattie infiammatorie croniche intestinali
La collana di Quaderni di Gastroeneterologia di
Acta biomedica dedicata alle Malattie Infiammatorie
Croniche Intestinali (IBD) è ormai giunta al suo sesto
appuntamento.
Il successo crescente che i lettori hanno tributato
al nostro lavoro è per tutti noi motivo di soddisfazione oltre che sprone a proseguire con rinnovato impegno in questa avventura, iniziata due anni fa quasi per
scommessa.
plicanza del Morbo di Crohn, fino alla descrizione di
un caso di colite simil Crohn associata a malassorbimento cronico multifattoriale in una paziente affetta
da immuodeficienza comune variabile.
Completano il fascicolo la descrizione di una
pancolite ulcerosa in paziente anziano, di un caso di
colite indeterminata con rapida evoluzione verso la displasia e di una diarrea resistente alla dieta priva di
glutine in un paziente affetto da malattia celiaca.
Corre l’obbligo a questo punto di ringraziare il
Board di Acta Biomedica che ha accettato di ospitare
questo nostro progetto e continua a farlo con dimostrazione di grandissima disponibilità, e Chiesi Farmaceutici il cui appoggio istituzionale resta indispensabile per sostenere finanziariamente la pubblicazione.
Con l’augurio di essere riusciti a mantenere vivo
il Vostro interesse, Vi auguriamo buona lettura e Vi
diamo fin d’ora appuntamento al settimo Quaderno,
previsto per il prossimo autunno.
In questo numero abbiamo raccolto sette Case
Reports che spaziano da un caso di complicanza
emorragica di diverticolite del colon a due casi di com-
Dr. Riccardo Ranzato
Primario Divisione Chirurgia
Azienda Ospedaliera
Chioggia, Venezia
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ACTA BIOMED 2007; 78; Quaderno 3: 5-10
© Mattioli 1885
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A S E
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E P O R T
Complicanza emorragica della diverticolosi del colon
Roberto Cantore
Servizio Dipartimentale di Endoscopia Digestiva Diagnostica ed Operativa, Struttura Complessa di Chirurgia Generale e
d’Urgenza, P.O. Policor, ASL n. 5 Montalbano J (MT)
Introduzione
Il caso clinico riportato riguarda il complesso capitolo delle emorragie digestive che spesso pongono
seri problemi di diagnosi circa la provenienza e la localizzazione della e/o delle lesioni e, nondimeno, la decisione di un tempestivo intervento terapeutico medico
e/o chirurgico e/o chirurgico-mininvasivo. Ancor di
più se il paziente non proviene da un reparto di degenza ma si presenta come un comune paziente ambulatoriale, e quindi carente di una storia clinica che già indirizza, e carente dei basilari esami ematochimici e strumentali che possono precedere un esame endoscopico.
Il sintomo che più lo preoccupa è l’astenia.
Riferisce che la rettorragia non ha alcun rapporto
con l’evacuazione e che anzi questa è contestualmente
divenuta irregolare e preceduta da algie addominali
crampiformi. L’alvo comunque non è mai stato regolare e, infatti, tiene a precisare che è portatore di “colite spastica”.
Circa la qualità e la quantità delle perdite ematiche il pz non ha dubbi a precisare che si alternano
emissioni di discrete quantità di sangue rosso vivo ad
emissioni di coaguli anche di discrete dimensioni.
Quadro clinico
Note anamnestiche
Paziente sig. S.U. di anni 73, pensionato, regolarmente prenotato dal CUP per l’esecuzione di una colonscopia, come richiesto dal proprio medico di base.
Il motivo è rappresentato da una franca rettorragia occorsa 5 giorni addietro attribuita ad emorroidi
note. Nei giorni successivi l’episodio emorragico si è
ripetuto con più frequenza nell’arco delle 24 ore ma
con intensità ridotta rispetto al primo.
Il paziente è un iperteso di vecchia data in trattamento con calcioantagonisti e diuretici e da circa un
anno assume cardioaspirina da 100 mg. Non fa uso di
farmaci dicumarolici. Racconta di convivere con una
BCO che sovente si riacutizza (fumatore a tutt’oggi).
Nega malattie epatiche.
Il pz non presenta sintomi obiettivi di anemia. Il
polso è valido e ritmico. L’addome è fondamentalmente trattabile su tutti i quadranti con lieve dolenza ai
quadranti di sx ( fianco e fossa iliaca ) in assenza di segni di tensione e/o contrattura della parete soprastante.
La pressione arteriosa e 150/85 millimetri di
mercurio.
Prima dell’esame viene richiesto un emocromo
che mostra HB 11.5 Gr 3.900.000 GB 12.000 HcT
39% VCM 80 PLT 220.000.
Si procede quindi all’esame Endoscopico. All’E.O. ed ispettivo della regione ano-perianale non si
evidenziano ragadi e/o tramiti fistolosi; all’esplorazione
rettale si apprezzano gavoccioli emorroidari, non si apprezzano lesioni produttive fin dove arriva il dito esploratore che comunque si sporca di sangue rosso vivo.
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R. Cantore
L’introduzione dello strumento è del tutto agevole e
subito si conferma la presenza di emorroidi non sanguinanti. In ampolla si apprezzano coaguli ematici
mentre le pareti sono verniciate irregolarmente da sangue rosso vivo proveniente dai segmenti colici superiori. Tale aspetto è costante fino a circa 8 cm al di sopra
della giunzione R-S ove cominciano a comparire diverticoli sempre più numerosi fino a tutto il discendente, fin quasi a ridosso della flessura splenica che, insieme alla prima porzione del traverso, appare del tutto
normale e pertanto si decide di non procedere oltre.
Molti diverticoli, alcuni di cospicue dimensioni,
presentano il colletto fortemente iperemico e congesto, facilmente sanguinante al toccamento , mentre dal
fondo di essi si assiste a gemizio ematico; altri diverticoli sono ripieni di sangue per semplice accumulo. La
mucosa tra i diverticoli è fortemente congesta tanto
che in alcuni tratti assume colorito che va dal rosso-vinaccia a sfumature bluastre: l’edema produce un aspetto di substenosi in altri tratti ancora.
Dopo ripetuti lavaggi ed aspirazioni si individuano
due diverticoli più profusamente sanguinanti e pertanto si procede all’infiltrazione periferica di adrenalina
1:10.000 con buon successo emostatico (Fig. 1 a-h).
Lo strumento viene ritirato e il paziente invitato
al ricovero .
Trattamento
Il paziente viene ricoverato presso la nostra U.O.
a)
Figura 1 a-b. Esame endoscopico pre-trattamento
di Chirurgia Generale e d’Urgenza: si incannula la
succlavia per la NPT e si decide si somministrare Ciproxin f 750 mg e.v. (1 al dì), Ac.tranexamico (3 f x 2
al dì); metronidazolo f (1 x 3 al dì) e mesalazina cp 800
mg (1 cp x 3 al dì); si decide inoltre di intervenire anche con mesalazina clismi da 4 mg + beclometasone
dipropionato clismi da 3 mg, alternando le applicazioni mattina-sera.
Il giorno successivo il pz viene sottoposto a Tacaddome con riscontro di lieve dilatazione del tratto discendente-sigma, ispessimento edematoso delle pareti
ed accentuazione delle austrature in assenza di immagini riferibili ad ascesso paracolico; accenno a minimi
livelli idroaerei; assenza di aria libera nel cavo peritoneale.
Nei giorni successivi si assiste ad un progressivo,
sensibile miglioramento della sintomatologia soggettiva (scomparsa pressocchè totale della sintomatologia
algica crampiforme addominale) ed obiettiva (riduzione fino alla scomparsa delle perdite ematiche, completa trattabilità alla palpazione dei quadranti addominali; GB 10000).
In sesta giornata di ricovero si procede a controllo endoscopico con riscontro di assenza di segni di
emorragia, ripresa del normale colorito della mucosa e
lieve iperemia del colletto di molti diverticoli nel cui
fondo non c’è più traccia si sangue né da perdita né da
semplice accumulo (Fig. 2 a-f ). Si decide di sospendere l’infusione di ac.tranexamico e della NPT riprendendo l’alimentazione di primo livello.
b)
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Complicanza emorragica della diverticolosi del colon
c)
d)
e)
f)
g)
h)
Figura 1 c-d. Esame endoscopico pre-trattamento
Il giorno successivo si sospende la terapia endovenosa con metronidazolo, subentrando con rifaximina cp nella misura di 2 x 2 al dì.
Due giorni dopo ancora il paziente viene dimesso con la seguente terapia domiciliare :
- rifaximina cp (2 x 2 al dì x 10 gg al mese);
- mesalazina cp 400 mg (1 cp x 2 al dì x 20 gg);
- mesalazina clismi 2 gr (1 al dì x 20 gg);
- beclometasone dipropionato clismi 3 mg (1 la
sera per 20 gg);
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R. Cantore
- probiotici e prebiotici.
In caso di ricomparsa della sintomatologia algica
crampiforme si consiglia un modulatore della motilità
intestinale come la mebeverina cloridrata cp (1 cp x 3
al dì x 10 gg al mese per tre mesi)
Il paziente viene programmato per ulteriore con-
a)
b)
c)
d)
e)
f)
Figura 2 a-f. Esame endoscopico dopo 6 giorni di trattamento
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Complicanza emorragica della diverticolosi del colon
trollo endoscopico dopo 1 mese: si esegue questa volta pancoloscopia e il quadro di riscontro è semplice-
mente riconducibile a semplice diverticolosi del discendente-sigma (Fig. 3 ).
a)
b)
c)
d)
e)
f)
Figura 3 a-f. Esame endoscopico dopo 1 mese
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Discussione
È indubbio che il pz soffrisse di Malattia Diverticolare da anni, evidentemente sottostimata e comunque
mai documentata; l’affermazione anamnestica “soffro
da sempre di colite spastica” è più che eloquente.
Probabilmente in passato era anche stato colto da
qualche episodio di complicanza infiammatoria, magari di lieve entità e a risoluzione spontanea.
La cronica condizione di “irregolarità dell’alvo”
evidentemente non l’aveva mai preoccupato e forse
anche per questo nessuno gli aveva mai consigliato
una R.S.O. nelle feci anche al fine di uno screening
del K colo-rettale, come l’età avrebbe imposto già da
anni.
Storia troppo comune a tantissimi pazienti a cui
inconsapevolmente viene fatta vivere una “vita spericolata”, all’insegna del rischio, con la soddisfazione di
essere portatori di colpevoli emorroidi che di tanto in
tanto sanguinano.
La complicanza infiammatoria e quella emorragica della Malattia Diverticolare molto spesso viaggiano
su strade separate, ognuna con un quadro clinico ben
definito.
Nella fattispecie l’orientamento o, meglio, la convinzione che ci siamo fatti è che i due quadri, quello
“diverticolitico” e quello “emorragico” coesistessero, e
non è escluso che il maggior coinvolgimento infiammatorio di alcuni diverticoli abbiano dato esito all’emorragia.
Infatti il quadro endoscopico iniziale depone per
le due complicazioni: moltissimi diverticoli fortemente iperemici al fragile colletto e pochi francamente
sanguinanti. Inoltre il lungo tratto di discendente-sigma interessato e il coinvolgimento anche importante
della mucosa infradiverticolare poteva anche far pen-
R. Cantore
sare ad una “colite ischemica segmentaria” anche se in
assenza di altre lesioni di tipo erosivo-ulcerativo con
presenza di essudato fibrinoso, tuttavia non sempre
costanti.
La decisione di prospettare il ricovero e di mettere a riposo l’intestino con la NPT si è rivelata una scelta non prescindibile.
La nostra esperienza in casi di diverticolite con
ciprofloxacina e metronidazolo ci ha indotto a riproporre lo schema.
Molto più giovane è l’esperienza in tali casi, ma
anche in casi meno complicati, con mesalazina sia per
os che per via topica : giovane ma consistente e soddisfacente.
L’uso topico in questo caso come in altri di beclometasone dipropionato ha reso sicuramente il risultato più brillante.
Il paziente è stato rivisto a cadenza regolare nei
primi 6 mesi e le condizioni cliniche si sono mantenute sempre buone anche perché si è rigidamente attenuto alle prescrizioni terapeutiche. Inoltre, nel corso
dei controlli, quando ha lamentato la comparsa di algie crampiformi e una certa dolorabilità ai quadranti
di sx, abbiamo ritenuto necessario intervenire, anche
se con cicli brevi, nuovamente prescrivendo mesalazina con beneficio a breve termine.
Riteniamo pertanto che il campo delle applicazioni terapeutiche della mesalazina ed del beclometasone dipropionato, non foss’altro che per la potente
azione mirata antinfiammatoria, debba essere sempre
più esteso alla Malattia Diverticolare e alle sue complicanze, insieme agli altri presidi terapeutici a al rispetto delle note norme igienico-alimentari che nell’insieme possono prevenire le complicanze medesime
allungando i periodi intercritici e migliorando la sensibilmente la qualità della vita di questi pazienti.
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ACTA BIOMED 2007; 78; Quaderno 3: 11-13
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Ascesso pelvico in corso di malattia di Crohn ileale
Gianni Imperiali
UO di Gastroenterologia Ospedale Valduce – Como
Caso clinico
Il caso clinico si riferisce a una paziente di 25 anni, nubile e senza figli con anamnesi familiare non significativa. Non potus, non fumo; anamnesi farmacologia negativa.
Nulla in anamnesi patologica remota.
Nell’ottobre 2005 la paziente viene ricoverata
presso altra sede ospedaliera per la comparsa di importante dolore in fossa iliaca destra; la paziente lamentava un rialzo termico presente da circa 1 mese,
astenia e un calo ponderale di 5 Kg. Obiettivamente
era presente dolore alla palpazione in fossa iliaca destra . I dati bioumorali mostravano un incremento degli indici di flogosi. Veniva eseguita una ecografia addominale con riscontro di ispessimento dell’ultima ansa ileale.
Persistendo il dolore addominale la paziente veniva sottoposta a intervento laparotomico urgente nel
sospetto di appendicite acuta. Durante l’atto chirurgico riscontro di normalità dell’appendice e diagnosi intraoperatoria di ileite di Crohn. Si decideva di non
procedere a resezione ileale né ad appendicectomia.
Dopo pochi giorni la paziente veniva dimessa con instaurata terapia antibiotica e steroidea sistemica.
Problema 1: come è possibile distinguere preoperatoriamente un episodio di appendicite acuta da una
ileite terminale all’esordio?
I dati di letteratura confortano il fatto che già la
clinica possa e debba essere spesso dirimente il quesito (1) – e nel caso in questione le caratteristiche della
sintomatologia (e in particolare la lunga durata dei
sintomi associata al calo ponderale) dovevano fare
pensare a possibili diagnosi differenziali. Inoltre le tecniche di imaging attualmente disponibili supportano
adeguatamente il clinico nei casi dubbi. In particolare
ecografia e CT consentono una diagnosi preoperatoria
nella quasi totalità dei casi (2). Evitare l’intervento
chirurgico è importante perché in alcune serie la percentuale di complicanze postoperatorie arriva fino al
30% (1)
Problema 2: cosa fare una volta riscontrata laparotomicamente l’integrità dell’appendice e la patologia
dell’ultima ansa ileale? I dati della letteratura confortano ormai l’opzione astensionista (non appendicectomia, non resezione) applicata anche in questo caso.
La paziente giunge alla nostra osservazione un
mese dopo l’intervento sopra descritto per la persistenza di febbricola e di dolore ai quadranti addominali inferiori. A un controllo ecografico e CT vengono riscontrate piccole raccolte (diametro massimo di 2
cm) in contiguità con l’ileo terminale e un ascesso pelvico delle dimensioni di circa 7 cm. Le stesse indagini
dimostrano una doppia lunga localizzazione ileale di
malattia (a carico dell’ ultima ansa e dell’ileo prossimale). Il colon appare endoscopicamente normale.
Problema 3: esistono fattori di rischio per la comparsa di raccolte asessuali intraaddominali? La com-
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parsa di ascessi è complicanza possibile nel decorso
clinico della malattia di Crohn; la terapia steroidea
pregressa o in corso è il fattore di rischio associato alla complicanza con la più elevata significatività statistica (3).
Problema 4: quale sono le opzioni terapeutiche in
presenza di raccolte intraaddominali in pazienti con
malattia di Crohn? Le opzioni possibili sono quella
chirurgia, il drenaggio percutaneo e la terapia conservativa.
Tradizionalmente la chirurgia che associa il drenaggio delle raccolte alla resezione dei tratti intestinali patologici e delle fistole correlate è l’intervento di
scelta (4-5): nel nostro caso si è preferito differire la
chirurgia tenendo conto del fatto che l’intervento sarebbe stato eseguito in corso di flare della malattia e
avrebbe comportato una resezione significativa dell’ileo vista la lunghezza dei tratti intestinali interessati
dalla malattia ; l’associato decorso non aggressivo della complicanza (paziente paucisintomatica, rialzo termico non importante, non compromissione dello stato generale) ci consentivano un approccio più conservativo.
Il drenaggio percutaneo sotto guida ecografia o
CT è un’altra possibilità ben supportata dai dati della
letteratura per il drenaggio delle ascessuali anche nella malattia di Crohn. La tecnica ha percentuali di successo in acuto che arrivano fino al 90% dei casi con
una percentuale di recidive un mese dopo la riduzione
del catetere che nelle serie peggiori non arriva al 50%
(5-8).
Allo stato attuale il drenaggio percutaneo può essere considerato valida alternativa alla chirurgia per la
risoluzione del problema in questione.
La revisione imaging del nostro caso dimostrava
però che l’accesso ottimale alla raccolta pelvica avrebbe necessitato che il catetere dovesse raggiungere la
raccolta stessa per via transvaginale con il rischio di
una fistolizzazione residua e con qualche difficoltà
psicologica per la nostra paziente, virgo).
Terza opzione è quella di un approccio conservativo che associ alla antibioticoterapia una nutrizione
parenterale e enterale con dieta elementare (9-12).
Le varie opzioni terapeutiche venivano discusse
G. Imperiali
con la paziente. Si decideva di iniziare terapia conservativa con nutrizione parenterale totale (NPT) associata ad antibioticoterapia (imipenem, metronidazolo).
Nel giro di pochi giorni si assisteva a completa risoluzione della sintomatologia soggettiva; un controllo imaging ravvicinato dimostrava un regressione parziale delle raccolte ascessuali. La paziente veniva dimessa dopo dieci giorni sostituendo la NPT con una
dieta elementare somministrata attraverso sondino nasogastrico associata ad antibioticoterapia per os e programmando controlli ambulatoriali ravvicinati
Dopo quindici giorni la paziente si presentava del
tutto asintomatica (in particolare non presentava febbre, dolore addominale né ematochezia; l’alvo era regolare) con un incremento ponderale di 4 Kg e la normalizzazione degli indici di flogosi. Il controllo CT
dimostrava una completa regressione delle raccolte
ascessuali.
Problema 5: chirurgia in elezione?
Nella grande maggioranza dei casi le raccolte intraddominali in corso di malattia di Crohn sono secondarie a tramiti fistolosi che partono a monte di stenosi intestinali; anche nel nostro caso poteva essere
quindi indicata una chirurgia in elezione che risolvesse radicalmente il problema. In realtà un controllo attraverso Rx clisma del tenue confermava la presenza
della doppia localizzazione ileale, ma non dimostrava
la presenza di stenosi critiche e neppure di tramiti fistolosi.
Si decideva quindi di iniziare terapia immunosoppressiva con azatioprina.
Nel successivo follow up – che ormai raggiunge i
12 mesi – la paziente si è mantenuta in completa remissione clinica, bioumorale ed imaging.
Discussione
L’esordio della malattia di Crohn simulante una
appendicite acuta è evenienza non rara, ma ogni sforzo dovrebbe essere fatto per ottenere una diagnosi
preoperatoria sia valutando con attenzione i dati clinici – spesso dirimenti – che avvalendosi dell’apporto
dell’imaging attualmente disponibile.
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Ascesso pelvico in corso di malattia di Crohn ileale
La comparsa di raccolte intraaddominali in corso
di malattia di Crohn è complicanza severa che in genere richiede in genere il drenaggio della raccolta che
può essere ottenuto chirurgicamente o attraverso radiologia interventistica. In casi selezionati - come
quello sopra descritto - una terapia conservativa (NPT
e antibioticoterapia prima, dieta elementare ed immunosoppressione poi), associata a uno stretto controllo
clinico ed imaging ha portato a una risoluzione del
quadro in acuto e ha garantito alla paziente un follow
up di dodici mesi senza ripresa di malattia né necessità
di ricorso alla chirurgia.
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Le lesioni anali e perianali nella malattia di crohn
Stefano Scabini, E. Rimini, E. Romairone, R. Scordamaglia, R. Boaretto, V. Ferrando
U.O. Chirurgia Oncologica e dei Sistemi Impiantabili, A.O.U. S. Martino – Genova - Italia
Le lesioni anali della Malattia di Crohn sono state paradossalmente descritte prima della malattia stessa; infatti nel 1922 Gabriel pubblicò una casistica
comprendente un elevato numero di pazienti con fistole anali il cui esame istologico evidenziava la presenza di granulomi a cellule giganti da corpo estraneo;
cosa, questa, rivoluzionaria in quanto all’epoca tutte le
fistole perianali venivano considerate di origine tubercolare. Nel 1932 Crohn, assieme ai suoi collaboratori,
Ginzburg ed Oppenheimer, isolò l’ileite terminale infiammatoria, che da allora porta il suo nome, ma
escluse categoricamente che le lesioni perianali potessero avere una relazione con la malattia intestinale.
Nel 1934 e nel 1938 rispettivamente Bissel e Penner
avanzarono l’ipotesi di una connessione etiologica ma
fu solo nel 1965 che Lockhart-Mummery e Gray dimostrarono che una lesione anale potesse esprimere,
addirittura anticipandola di anni, la sintomatologia
clinica della Malattia di Crohn.
Le manifestazioni patologiche anali e perianali
nelle IBD sono oramai unanimemente accettate e dettagliatamente descritte e, talora, i relativi sintomi clinici possono assumere caratteristica di invalidità superiore alle concomitanti lesioni intestinali. L’incidenza
percentuale di manifestazioni perianali nelle IBD è
molto variabile nelle diverse casistiche e può dipendere dalla attività della malattia, dalla corretta identificazione delle lesioni, dalla disponibilità del paziente alla
partecipazione al follow-up. E’ accertato essere relativamente bassa nella Rettocolite Ulcerosa, intorno al
5%, mentre è altamente variabile nei pazienti affetti da
Malattia di Crohn, dal 14 all’80% circa: questa notevole variazione di incidenza è spiegabile col fatto che
le lesioni anali e perianali sono più frequenti nei pazienti con malattia localizzata al colon piuttosto che al
tenue. Molto frequentemente, comunque, la complicanza si manifesta senza che la patologia primaria a livello del colon o del tenue abbia dato segni della sua
presenza e, pertanto, le lesioni anali e perianali segnano l’esordio della malattia che anticipa di mesi, addirittura di anni, l’interessamento intestinale: la loro diagnosi è quindi fondamentale per sottoporre il paziente ad un precoce ed idoneo trattamento terapeutico,
anche perché in tal modo si evita un aggravamento,
consistente nel coinvolgimento dell’apparato sfinteriale, e ci consente di meglio sorvegliare la possibile evoluzione carcinomatosa della malattia.
Quadri clinici
Per quel che concerne l’aspetto clinico delle manifestazioni anali e perianali nella MdC, queste possono assumere la peculiarità di essere asintomatiche,
tanto da rappresentare un reperto occasionale all’atto
dell’esame clinico; la loro comparsa in genere è subdola, con una varietà di sintomi elevata e condizionata
dal tratto di intestino interessato dal processo infiammatorio, potendo precedere le manifestazioni intestinali con una frequenza che va dal 4 al 12,5 % dei casi,
fino ad arrivare al 19% secondo le più recenti casistiche.
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Le lesioni anali e perianali nella malattia di crohn
Lesioni perianali.
Ascesso perianale: inizialmente simile ad un
ascesso perianale semplice, rispetto ad esso non raggiunge mai notevoli dimensioni, non ha il caratteristico aspetto fluttuante, può non essere accompagnato da
rialzo termico significativo e, soprattutto, la sua incisione determina la fuoriuscita di scarso siero-pus e
mostra una cavità con fondo sanioso, granulomatoso,
ricoperto da abbondante fibrina.
Eczema cutaneo: origina più frequentemente
per le scariche diarroiche e/o per le secrezioni provenienti da un orifizio fistoloso e può essere aggravato
dal grattamento. Polimorfo sul piano clinico, pruriginoso, altamente recidivante, rappresenta un’evenienza
estremamente frequente, manifestandosi con alternanza di aree biancastre ad aree arrossate, desquamate
ed infiltrate per il continuo grattamento e con scarse
vescicolazioni, talora con piccole fissurazioni lineari.
Marische cutanee: definite anche col termine
di pliche cutanee ipertrofiche o con quello anglosassone di skin-tags, sono delle tasche cutanee semplici, più
frequentemente localizzate al polo posteriore e a quello anteriore del margine anale, più di rado negli altri
quadranti perianali. Asintomatiche, talora possono indurre sensazione di fastidio e prurito; frequentemente
sono però la manifestazione di una lesione ulcerativa
del canale anale e allora appaiono tumefatte, infiltrate,
fortemente dolenti e dolorabili, facile recesso per una
ascessualizzazione.
Lesioni del canale anale
Fissurazioni: a direzione radiale estendenti verso il margine anale, più frequentemente multiple, sono
per lo più localizzate nei quadranti laterali del canale
anale; superficiali, con bordi non ispessiti, non sono
particolarmente dolorose per l’assenza di contrattura
sfinterica.
Ulcerazione: generalmente unica, ampia, a bordi ispessiti, localizzata più frequentemente al polo anteriore del canale anale, è quasi sempre accompagnata
da una marisca edematosa; facile sede di ascessualizza-
zione, è fortemente dolente e dolorabile, sia per la
spiccata contrattura sfinterica che per l’esposizione
dello sfintere interno, può talora estendersi oltre il canale anale dirigendosi sia verso la regione perineale
che verso l’ampolla rettale.
Stenosi anale: evenienza non molto frequente,
è in genere localizzata a 2 cm. dal margine anale ed è
la conseguenza di molteplici fattori quali l’inerzia muscolare, l’emissione di feci non formate, la cicatrizzazione di ulcerazioni o fissurazioni, l’esito di processi
suppurativi cronici.
Fistola anale: La fistola anale è una suppurazione acuta o cronica dell’ano il cui punto di partenza
è situato nel canale anale, sulla linea delle cripte a livello di una ghiandola di Hermann e Desfosses: una
fistola, quindi, non è anale se non ha origine da una
cripta e, parimenti, un ascesso anale che non ha una
origine criptica non è una fistola anale. Le fistole del
paziente affetto da MdC si differenziano da quelle
propriamente dette per le caratteristiche dell’ascesso
che si diffonde nel tessuto cellulo-areolare in tempi
più rapidi per una minore resistenza dei tessuti, utilizzando gli spazi di scivolamento che incontra nella sua
evoluzione. Le fistole anali nella MdC sono per lo più
transfinteriche: la cute perianale è subcianotica, brunastra, con orifizi esterni multipli, secernenti, poco
dolenti alla palpazione, con bottoni di granulazione
soprastanti.
Fistola ano-vulvare: è la conseguenza di un
processo suppurativo a partenza da una cripta di Morgagni situata al polo anteriore del canale anale con un
orifizio esterno che si apre nella regione prevulvare.
Lesioni rettali
Stenosi rettale: rara, è la conseguenza di una
ampia ulcerazione rettale o di un processo suppurativo
cronico.
Fistola Rettale: complicanza molto frequente
e particolarmente destruente; generalmente multiple,
hanno origine nel retto inferiore e/o medio, con orifizio interno alla base di una lesione ulcerativa ed orifi-
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S. Scabini, E. Rimini, E. Romairone, et al.
zio esterno alla cute perianale, anche molto distante
dall’ano. Hanno decorso rettilineo, secernenti, periodicamente ascessualizzantesi, moderatamente dolorabili, possono comparire in qualsiasi momento della
storia naturale della malattia. La presenza di una o più
fistole rettali pone sempre due considerazioni: a) i pazienti portatori di fistole rettali presentano un decorso
della malattia più grave rispetto ai pazienti senza fistole; b) la comparsa di una fistola è segno di peggioramento della malattia e la sua ricomparsa è segno di
recidiva della malattia.
Fistola retto-vaginale: Origina da una lacerazione situata oltre i 3 cm. dal margine anale, sulla
parete anteriore del retto, e, a seconda della localizzazione possono essere suddivise in:
- fistole rettovaginali alte.
- fistole rettovaginali medie.
- fistole rettovaginali basse.
Talvolta la fistola bassa si associa ad una distruzione dell’apparato sfinterico, per cui assistiamo alla
perdita di feci dalla vagina associata all’incontinenza
fecale. Molto più raramente compaiono ulteriori diffusioni del processo suppurativo che coinvolgono altre
strutture anatomiche: le fistole retto-vescico-vaginali,
retto-uretero-vaginali, retto-vescico-uterine, rettouretro-vaginali, retto-cervico-vaginali e retto-vescicocutanee, sono fortunatamente rare e quasi mai segnalate come primitive, conseguenza per lo più di interventi ginecologici.
Frequenza delle lesioni
La frequenza di queste lesioni varia notevolmente, in considerazione della tecnologia diagnostica disponibile, delle caratteristiche della popolazione stu-
diata e della raccolta dei dati dei pazienti provenienti
da strutture ospedaliere o ambulatoriali.
Nella Tabella I riportiamo le casistiche di vari
Autori.
Decorso
Per quel che concerne il decorso, la peculiarità
della MdC è quella di essere caratterizzata da fasi di
riacutizzazione e remissione difficilmente prevedibili,
che conferiscono alla malattia carattere di cronicità: la
comparsa per la prima volta di manifestazioni perianali o il loro riacutizzarsi, è un indice di cronicizzazione
della malattia.
E’ stato calcolato che almeno il 55% dei pazienti
con MdC ha una riacutizzazione all’anno ed il 99%
nell’arco di 10 anni. E’ possibile allora assistere ad un
aggravamento della situazione locale allorché una fissurazione od una ulcerazione diano origine ad una stenosi, anale o rettale, o siano il punto di partenza di un
processo suppurativo che evolva in ascesso perianale e,
quindi, in fistola; se poi la diffusione del processo flogistico avviene anche nel grasso perirettale e nelle fosse ischiorettali e pelvirettali, e se viene minata l’integrità dell’apparato sfinteriale, i danni arrecati possono
essere gravi ed esitare in una incontinenza anale.
Terapia medica locale
Un’accurata igiene locale è il principio basilare per
una corretta detersione delle lesioni perianali: l’utilizzo
di prodotti contenenti ipoclorito di sodio o polivinilpirrolidone o merbromina è consigliabile nella fase acuta,
prodotti di origine vegetale (zea mays, centella asiatica,
aesculus hippocastanum, hamamelis virginiana, malva
Table 1. Percentuale (%) di incidenza delle varie affezioni.
Autore
Buchmann
Lockhart
Palder
Platell
Solomon
Ascessi
Marische
Fissurazioni e/o
ulcerazioni
Fistole anali e/o
fistole rettali
Fistole anovulvari e/o
retto-vaginali
3,2
13
29,5
13,8
68
8,7
35
5,2
-
72
28,4
51
27,6
12,1
33
10,3
15
26,7
10
13,1
1,6
5,2
21,9
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Le lesioni anali e perianali nella malattia di crohn
sylvestris, ruscus aculeatus) o di sintesi (cocamidopropyl
hydroxysultaine, cocamidopropyl betaine, disodium cocoamphodiacetate, stearamido-mea-stearate) sono consigliati nella fase cronica.
Gli aminosalicilati per uso topico, sotto forma di
clisteri o di supposte di mesalazina, si sono rivelati utili nel trattamento della malattia in fase acuta e nel
mantenimento della remissione.
Gli steroidi topici, l’idrocortisone ed il prednisolone, somministrati per clistere, anche in combinazione con la mesalazina, benché efficaci, lamentano molti degli effetti collaterali sistemici associati alla terapia
orale; un ruolo importante potrebbe essere assunto da
una nuova generazione di corticosteroidi, il beclometasone clipropionato, molto efficace in assenza di effetti collaterali.
Nell’ottica della stimolazione della cicatrizzazione di ragadi, fissurazioni, ulcerazioni, ritengo possa ritenersi importante l’azione svolta dal PoliDesossiRiboNucleotide (PDRN).
Terapia chirurgica
La terapia chirurgica deve essere l’ultimo atto da
eseguire solo nel caso di fallimento di tutti i trattamenti medici possibili. E’ raro dover ricorrere alla chirurgia per il trattamento di una fissurazione o di una
ulcerazione per la loro notevole responsività alla terapia medica; non è in genere necessario escidere le marische, anche se multiple, così come per le stenosi possono essere sufficienti cicli ripetuti, anche se per lungo tempo, di dilatazioni strumentali. Questo atteggiamento prudente è dettato dalla necessità di preservare
il più possibile da danni l’apparato sfinteriale e dalla
consapevolezza che nel paziente con malattia infiammatoria intestinale cronica le ferite chirurgiche cicatrizzano molto lentamente e, a volte, in modo permanentemente incompleto.
Non esiste un vero e proprio “protocollo di trattamento” per tutti i pazienti: la terapia va infatti definita
caso per caso. Per cercare di ottenere ottimi risultati, le
strategie terapeutiche devono includere terapie mediche
adeguate, accuratezza nella valutazione dei dettagli e
una dose di buon senso. Così mentre ottimi risultati li
verifichiamo nelle lesioni più semplici (eczemi, fissurazioni, ulcerazioni), in quelle più complesse (fistole rettali, rettovaginali) prima di eseguire interventi chirurgici, specie se destruenti, è necessario rivolgere la nostra
attenzione a tutti i più moderni trattamenti medici.
Va comunque ricordato che la grande attenzione
che va posta nel trattare il paziente affetto da MdC è legata all’alta frequenza di recidive post-chirurgiche: nella
MdC, come nella RCU, è importante riconoscere tutti i
problemi sociali, lavorativi, affettivi, sessuali, psicologici,
che possono scaturire dal subire uno o più interventi chirurgici. La qualità della vita è un importante obiettivo di
valutazione nell’indicazione chirurgica, compatibile con
le esigenze e le preferenze espresse dal paziente: recenti
studi hanno dimostrato che molto spesso il paziente
non è soddisfatto del momento in cui è stato eseguito
l’intervento chirurgico, motivato dalla gravità dei sintomi preoperatori, dallo stato di benessere, dalla possibilità
di sospendere la terapia medica, dalla capacità di riprendere una vita di relazione normale o, comunque, soddisfacente.
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ACTA BIOMED 2007; 78; Quaderno 3: 18-22
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A S E
R
E P O R T
Colite simil Crohn associata a malassorbimento cronico
multifattoriale in una paziente affetta da Immunodeficienza
Comune Variabile (ICV)
D. Mazzucco, S. Grosso, P. Gastaldi, V. Marci1, R. Suriani
Struttura complessa di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, Ospedale Civile di Rivoli, (Torino)
1
Servizio di Anatomia Patologica , ASO S. Luigi, Orbassano (Torino)
Descrizione del caso
C.I., 58 anni, di sesso femminile, affetta da Immunodeficienza Comune Variabile (ICV).
Tale diagnosi risale al 1992 a seguito di riscontro
di severa panipogammaglobulinemia e lieve linfopenia
con inversione del rapporto CD4/CD8. Da allora è in
trattamento con IVIg (150 mg/kg al mese).
Note anamnestiche: ileotifo in età infantile, colecistectomia nel 1983, polmonite da Haemophilus I nel
1994. Nel 1998 trattamento antitubercolare a seguito
di positività su escreato per Bacillo di Kock in assenza
di addensamenti parenchimali. Da allora ripetuti controlli di ricerca BK risultati negativi.
Nel maggio 2001 giungeva alla nostra osservazione per comparsa da almeno 6 mesi di sindrome diarroica (sino a 15 scariche al dì) con ematochezia e calo
ponderale (da 48 Kg a 42 Kg nell’arco di 6 mesi).
La colonscopia (Fig. 1) metteva un evidenza un
quadro di M.di Crohn segmentario del colon sx con
ulcere, erosioni e substenosi infiammatoria della flessura splenica. All’esame istologico (Fig. 2) veniva evidenziato un processo infiammatorio cronico produttivo granulomatoso con ulcere penetranti a fessura suggestivo per M. di Crohn, unica differenza la scarsa
presenza di plasmacellule nell’infiltrato infiammatorio. La ricerca nelle biopsie intestinali di CMV, miceti, ameba, mycobacterium avium e tuberculosis era risultata negativa.
All’EGDScopia (Fig. 4) si osservava un quadro di
atrofia della mucosa duodenale con scomparsa delle
pliche come da celiachia ma con negatività del test alla transglutaminasi. L’Rx transito tenue non metteva
in evidenza alterazioni patologiche.
Agli esami ematochimici si evidenziava moderata
anemia sideropenica + trait B-talassemico, normale
enzimologia epatica, ipoalbuminemia (2,5 g/ml), ipogammaglobulinemia (7.8%) con IgA 13 mg/dL, IgG
242 mg/dL e IgM indosabili, indici di flogosi modicamente aumentati. La ricerca fecale della tossina del
clostridium difficilis e della Giardia L. era risultata negativa.
La paziente era dimessa con mesalazina per os e
topica, dieta aglutinata, metronidazolo.
Un mese dopo era rivalutata e aggiunto in terapia
metilprednisolone per la persistenza di alvo diarroico,
ma il quadro clinico peggiorava con ulteriore calo
ponderale (39 Kg), persistenza di diarrea con ematochezia. Alla colonscopia di controllo (Fig. 3A) si evidenziavano ulcere estese, serpiginose localizzate al retto, al colon sx ed all’ileo distale con mucosa circostante discretamente conservata. Le biopsie risultano positive per CMV (Fig. 3B). Il test per HIV era negativo.
Pertanto veniva intrapreso trattamento con ganciclovir
e sospeso progressivamente lo steroide con risoluzione
temporanea del quadro clinico.
Nel periodo 2002 - 2006 il decorso clinico è stato caratterizzato da riattivazioni ricorrenti (2-3 episodi all’anno) di malattia infiammatoria cronica sempre
con localizzazione colica e dalla comparsa di lieve
ipertransaminasemia. La terapia si è avvalsa di cicli di
metronidazolo e ciprofloxacina associati, mesalazina
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Colite simil Crohn associata a malassorbimento cronico multifattoriale in una paziente affetta da ICV
19
per os e topica, polivitaminici, cicli di probiotici. La
dieta aglutinata veniva sospesa dopo 6 mesi perchè
“non responder”. Ai controlli TC ed RM dell’addome
non erano evidenziati linfoadenomegalie sospette per
linfoma, ne alterazioni a carico del parenchima epatico, delle vie biliari e della milza.
Nel 2004 la paziente eseguiva consulenza immuno-ematologica presso il Policlinico di Modena per
Figure 2. Analisi istologica.
Figure 3a. Esame colonscopico che dimostra livello del sigma
estesa e profonda lesione ulcerosa.
Figure 1. Esame colonscopco che dimostra la presenza di ulcere estese del sigma (A) e circonferenziali della flessura splenica
substenotica (B).
Figure 3b. All’indagine IIC (B) si evidenzia positività nucleare per antigeni di CMV ( ).
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valutazione trapianto midollo osseo, ma tale ipotesi
veniva scartata.
Nell’ottobre 2006 ennesima riaccensione di malattia con diarrea sino a 12-15 scariche die, dimagrimento e quadro di malassorbimento generalizzato con
BMI<20, albuminemia 2,69, colesterolemia 115
mg/dl ed iposideremia. Alla EGDScopia primo riscontro di varici esofagee (Grado 1) coerente con possibile quadro di epatopatia cronica non virale non alcolica, verosimilmente simil autoimmune o CSP asso-
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ciata all’IBD. Inoltre veniva eseguito controllo colonscopico che evidenziava stenosi infiammatoria al retto
ed al discendente che venivano sottoposte a dilatazioni per endoscopiche . All’ETG addome viene segnalata lieve splenomegalia.
Con l’associazione di metronidazolo e ciprofloxacina si è ottenuto un discreto miglioramento del quadro infiammatorio. Nel frattempo la paziente è stata
posta in regime nutrizionale parenterale domiciliare.
Discussione
Figure 4a. EGDscopia che evidenzia appiattimento delle pliche duodenali.
Figure 4b. All’esame istologico quadro di atrofia villosa severa.
È stato presentato un caso di Immunodeficienza
Comune Variabile (ICV) che ha sviluppato una patologia intestinale simile al M. di Crohn associata ad un
quadro di grave malassorbimento in parte secondario
anche ad atrofia villosa simil celiachia.
La ICV è un eterogeneo e poliforme gruppo di
anomalie dei B e T linfociti con ridotta produzione di
immunoglobuline IgG, IgA e IgM, infezioni ricorrenti specie del tratto sino polmonare, ed una aumentata
incidenza di malattie neoplastiche e disordini autoimmuni e del tratto gastrointestinale. È la seconda alterazione immunodeficitaria per frequenza dopo il deficit selettivo di IgA (1) e l’incidenza varia da 1 su
10000 ab. a 1 su 50000 ab. negli Stati Uniti ed in Europa (2).
Il tratto gastroenterico è il più grande produttore
di IgA dell’organismo, è in un costante stato di infiammazione fisiologica a causa della continua esposizione ad antigeni ingeriti, ne consegue che difetti del
sistema immune possano esitare in disordini gastrointestinali simili a IBD, celiachia, colite linfocitica, iperplasia nodulare linfoide, enteropatia autoimmune (1).
La prevalenza di IBD nella ICV, in uno studio retrospettivo spagnolo, era del 3,2% (3), mentre saliva al
6% in uno studio prospettico statunitense (4). Nella
patogenesi della malattia infiammatoria probabilmente T-cell mediata, potrebbe contribuire una persistente attivazione del sistema del TNF.(5).
Endoscopicamente le lesioni sono identiche, e la
differenziazione tra IBD idiopatica e IBD associata a
ICV può essere evidenziata istologicamente mediante
l’assenza o la scarsa presenza di plasmacellule nell’infiltrato infiammatorio (1).
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Colite simil Crohn associata a malassorbimento cronico multifattoriale in una paziente affetta da ICV
Nel caso in esame le alterazioni endoscopiche (ulcere, erosioni e stenosi infiammatorie con ulcere circonferenziali) evidenziate sia all’esordio della malattia
infiammatoria intestinale sia ai controlli successivi
erano suggestivi di M. di Crohn e l’istologia descriveva un processo produttivo granulomatoso con scarsa
presenza di plasmacellule in accordo con la diagnosi di
M. di Crohn associato a ICV. Il quadro cronico di malassorbimento non era solo causato dalla malattia infiammatoria intestinale ma anche da grave atrofia villosa.
Circa il 50% dei pazienti affetti da ICV con coinvolgimento gastrointestinale presenta diarrea e malassorbimento a causa di atrofia villosa simil celiachia o
di infezione da Giardia Lamblia o di overgrowth batterico. Nella ICV, poichè gli anticorpi antigliadina e
anti endomisio non vengono prodotti, la causa dell’atrofia villosa simil celiachia è probabilmente T- mediata (1). In letteratura sono riportati diversi case report sul rapporto fra deficit di IgA , ICV e sprue celiaco (6). In un altro studio circa il 2,5% di pazienti affetti da celiachia presentava un difetto selettivo di IgA
ed uno di questi era affetto da ICV (7).
Sino al 30% dei pazienti con ICV sviluppa infezione da G. Lamblia che spesso ha un andamento cronico e può provocare un quadro di atrofia villosa da
lieve a severo, mimando anch’essa la malattia celiaca
(1).
Nel caso in esame l’infezione da G. Lamblia veniva esclusa attraverso la ricerca di trofozoiti o cisti
nelle feci e nelle biopsie duodenali. La ripetuta negatività dell’infezione era dovuta probabilmente anche al
frequente uso in terapia di metronidazolo.
Il trattamento regolare con Ig per via parenterale
non ha comportato un miglioramento delle alterazioni gastrointestinali.
Ciò sarebbe correlato al fatto che le IgG intravenose non raggiungono il lume intestinale e le preparazioni intravenose non contengono IgA o IgM che sono importanti per la difesa della mucosa intestinale (1).
La terapia steroidea prescritta alla nostra paziente aveva lo scopo di controllare la risposta infiammatoria intestinale. Tale scelta terapeutica che si avvale di
un farmaco immunospressivo in un soggetto immunodeficiente può sembrare paradossale ma in letteratu-
21
ra tale prescrizione viene consigliata in combinazione
con il trattamento concomitante di Ig intravenose (8).
Tale terapia specie se prolungata è però gravata da
complicanze infettive anche gravi. Cunningham
Rundles ha riportato un caso di polmonite da Pneumocystis carinii, un caso di ascesso cerebrale da Nocardia, una leucoencefalopatia progressiva multifocale in
un terzo ed un severa infezione della gamba da anaerobi in un quarto paziente in uno studio prospettico su
248 pazienti affetti da ICV.(4)
Nel nostro caso dopo l’aggiunta in terapia di metilprednisolone si è assistito ad un peggioramento del
quadro clinico generale con aggravamento della diarrea con ricomparsa di ematochezia a causa di una sovrainfezione da CMV riscontrato sulle biopsie coliche
e non evidenziato prima dell’inizio della terapia.
Questa infezione non rappresenta una tipica
complicanza della ICV (9), ma la terapia immunosoppressiva può contribuire alla suscettibilità all’infezione.
Pertanto, considerato il grave decorso clinico da
superinfezione di CMV risoltosi dopo un ciclo di tre
settimane di ganciclovir intravenoso non è stato successivamente più aggiunto in terapia alcun farmaco
steroideo.
La stessa precauzione è stata presa per l’eventuale uso di altri farmaci immunosoppressivi come le tioguanine e il methotrexate. Sempre nello studio della
Cunningham Rundles (4) sono segnalati due casi di
ICV con malattia autoimmune in trattamento con
methotrexate che hanno sviluppato rispettivamente
una patologia neoplastica ed una ricorrenza di malattia autoimmune. In un case report statunitense è segnalata la comparsa di polmonite da Pneumocystis carinii dopo trattamento combinato di 6-mercaptopurina
(50 mg) e prednisone (60 mg) (10).
È stato dimostrato che una persistente attivazione del sistema del TNF potrebbe contribuire alla patogenesi della malattia almeno in un sottogruppo di
pazienti affetti da ICV (5). Gli inibitori del TNF alfa
come l’infliximab hanno dimostrato una efficacia considerevole nel trattamento del M.di Crohn gravati
però da una aumentata suscettibilità ad infezioni batteriche intracellulari e riattivazioni di infezioni virali e
micosi. È riportata in letteratura solo una pubblicazione relativa al trattamento di due pazienti affetti da
ICV e M. di Crohn refrattario con infliximab (11) con
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risultati incoraggianti (una remissione completa ad un
anno dall’ultima somministrazione ed una remissione
parziale). Anche tale trattamento non è stato preso in
considerazione nel nostro caso per il rischio di infezione e sulla scorta dei precedenti specifici polmonari
della paziente.
Pertanto la terapia della paziente si avvale ancora
di mesalazina topica e per os, di cicli di antibiotici, di
polivitaminici, e di un programma di integrazione nutrizionale parenterale che effettuerà a breve al proprio
domicilio.
Il caso descritto evidenzia le difficoltà sia diagnostiche che terapeutiche nell’Immunodeficienza
Comune Variabile.
Nella nostra esperienza l’unica terapia possibile è
quella sostitutiva nutrizionale e con gammaglobuline
per via endovenosa.
Si segnala infine l’importanza della diagnosi differenziale con l’IBD idiopatica che può comportare
l’uso di farmaci come gli steroidi nel nostro caso potenzialmente dannosi.
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Pancolite ulcerosa acuta nel paziente anziano
Angelo Bozzani, Aldo Lorenzetti, F. Gelosa, G. Idèo
U.O Gastroenterrologia, H. San Giuseppe – Milano
Introduzione
Come noto da tempo la rettocolite ulcerosa che
generalmente insorge in una fascia d’età compresa tra
i 20 ed i 40 anni, può presentarsi anche più raramente
oltre i 70 anni di età.
È tuttora dibattuto se l’esordio nel paziente anziano sia rappresentato da una malattia con diverse
caratteristiche cliniche e prognosi (1-9).
Noi riportiamo il caso di una paziente di 70 anni
con iniziale risposta alla terapia steroidea ad alte dosi
e successiva terapia chirurgica per insorgenza di megacolon.
Caso Clinico
Una donna di 70 anni viene ricoverata presso il
nostro Reparto di Gastroenterologia nei primi di dicembre del 2005 per comparsa da circa 20 giorni di
diarrea (> 6 scariche die) senza sangue, febbricola, anoressia ed astenia. A domicilio la paziente aveva ricevuto terapia empirica con Loperamide senza beneficio.
Anamnesi ed esame obiettivo
La paziente dichiarava ipertensione arteriosa in
terapia combinata con sartanici e diuretici e stipsi cronica con uso frequente di bisacodile. Non venivano dichiarate altre patologie di importanza internistica.
All’ingresso in reparto la paziente si presentava in
soprappeso (BMI 26), con mucose lievemente disidratate e pallide e con addome globoso per adipe e discretamente meteorico senza punti elettivi di dolenza
né segni di difesa addominale.
La peristalsi era udibile ma torpida.
Alla esplorazione rettale, presenza di residui fecali liquidi normocromici.
Accertamenti diagnostici
Gli esami ematochimici all’ingresso mostravano
PCR 25.37, GB 18800 (N 86% L 7% M 7% E 0% B
0%), Hb 11 (MCV 90.4), PLT 571000, NA 140, K
2.8 funzione epatica e renale nella norma.
Un RX addome mostrava sovradistensione di anse mesenteriali sia di tipo meccanico che paretico con
evidenti livelli idro-aerei. Estremamente disomogenea
la colonna aerea del colon trasverso lievemente sovradistesa. Non aria libera sottodiaframmatica. Piccolo
versamento alla base polmonare di dx.
L’esame endoscopico eseguito senza preparazione
e sino a 60 cm per evitare peggioramento del meteorismo intestinale, evidenziava mucosa cosparsa di erosioni multiple serpiginose con aspetto ad acciottolato
e lesione polipoide grossolana a 20 cm dall’ano con
diametro superiore a 4 cm.
La diagnosi istopatologica indicava reperto compatibile con IBD (RCU) ed adenoma tubulo villoso
con displasia moderata.
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Terapia
Discussione
Inizialmente la paziente veniva trattata con alte
dosi di metilprednisolone (1 mg pro kilo ev) e mesalazina 3 gr p.o. associate ad infusioni nutrizionali e di
supporto e ad una dieta senza scorie.
Tale regime terapeutico ha determinato un miglioramento dell’alvo con addome trattabile, apiressia
e laboratoristicamente una netta riduzione dei globuli bianchi ( 10200 ) e della PCR (3.5).
Tuttavia persisteva un basso valore di emoglobina
(Hb 8.4) e di albumina (2.3) associati a comparsa di
candidosi orofaringea.
È ancora dibattuto in letteratura se il quadro rettocolitico che insorge nell’anziano (> 65 anni) abbia la
stessa patogenesi delle forme giovanili oppure rappresenti una complicanza ischemica del quadro infiammatorio (1-9).
Le forme ad insorgenza nell’anziano sono caratterizzate generalmente da una prognosi peggiore per
la severità dell’attacco iniziale (Tabella 1) (4, 7).
L’indicazione più comune per la scelta chirurgica
è rappresentata dalla resistenza al trattamento medico
(1, 10).
I fattori prognostici negativi nelle coliti ad insorgenza nell’anziano sono rappresentati dal sesso maschile (peraltro non statisticamente significativo), dai
livelli di albumina inferiori a 2.8 gr% e dal ricorso alla
chirurgia d’urgenza (Tabella 2) (1, 2, 5, 7, 8 )
Quest’ultima è gravata da una mortalità post operatoria elevata (circa il 12%) che non si verifica quando si fa ricorso alla procedura elettivamente.
Non sembrano invece fattori prognosticamente
negativi l’età al momento dell’intervento chirurgico, il
sesso e l’estensione dell’interessamento del colon.
Il caso descritto dimostra che, pur in presenza di
un miglioramento degli indici infiammatori (PCR e
numero dei globuli bianchi), la persistenza nel corso
della degenza di una ipoalbuminemia sierica espressione di una “protein loosing enteropathy” è il fattore
prognosticamente più importante per la prognosi della malattia infiammatoria del colon.
Decorso successivo
Il decorsi clinico della settimana successiva mostrava un quadro clinico sostanzialmente stazionario
con Hb 11, GB 8300, PLT 165000 ma persistenza di
ipoalbuminemia (2.8 gr%) associati a un reperto rettosigmoidoscopico caratterizzato da mucosa di aspetto e
colorito normale soltanto lievemente edematosa.
Il chirurgo interpellato propendeva per una risoluzione medica della colite infiammatoria ed una exeresi successiva del polipo in elezione.
Dal punto di vista terapeutico si era deciso di scalare lentamente la terapia steroidea mantenendo il
supporto nutrizionale soprattutto aminoacidico per
favorire la ripresa della crasi proteica ed il miglioramento della manifestazione candidosica espressione di
ipoergia.
Dopo una ulteriore settimana, si verificava la
comparsa di addome globoso con peristalsi assente,
peggioramento degli indici infiammatori (PCR 13.98)
e della crasi proteica (albumina 2.5).
L’RX addome in bianco descriveva la presenza di
estesa falda di aria libera in sede sottofrenica destra e
distensione meteorica del colon (in particolare il trasverso).
Per questo motivo, la paziente veniva sottoposta
ad intervento chirurgico in urgenza di proctocolectomia con confezionamento di pouch ileale a J ed
anastomosi ileo-anale L-T meccanica per via transanale. Confezionamento di ileostomia di protezione
in FD.
Tabella 1. Caratteristiche della RCU nel paziente anziano. Da:
(7)
– Non significativa predominanza maschile
– Attacco iniziale severo
– Alto tasso di mortalità con attacchi severi
– Patologia più frequentemente distale
– Minor rischio di cancro del colon-retto
Tabella 2. Indicatori prognostici negativi nella RCU dell’anziano
– Sesso maschile
– Albuminemia < 2.8 gr/dl
– Chirurgia d’urgenza
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Pancolite ulcerosa acuta nel paziente anziano
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ACTA BIOMED 2007; 78; Quaderno 3: 26-30
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Un caso di colite indeterminata con rapida evoluzione verso
la displasia
Pierenrico Lecis, Ermenegildo Galliani, Bastianello Germanà
Unità Operativa Complessa di Gastroenterologia, Ospedale San Martino, Belluno
Introduzione
La diagnosi di colite indeterminata è spesso una
diagnosi incompleta e provvisoria fino al momento in
cui non si riescono ad avere informazioni sufficienti
tali da permettere una diagnosi differenziale fra Colite Ulcerosa e Malattia di Crohn. Se dopo la storia clinica e gli accertamenti eseguiti la diagnosi di colite indeterminata persiste nonostante tutto, questo può avere delle importanti implicazioni relative al tipo di intervento qualora vi sia l’indicazione anche in elezione
all’intervento chirurgico (1).
Sebbene la percentuale di complicanze possa essere più elevata nei pazienti sottoposti a proctocolectomia totale con ileo-ano anastomosi con pouch ileale, affetti da colite indeterminata rispetto ai soggetti
affetti da Colite Ulcerosa, la percentuale di fallimento
della pouch sembra simile. Al contrario, circa metà dei
pazienti affetti da Malattia di Crohn e sottoposti a
proctocolectomia totale con pouch vanno incontro alla rimozione della pouch. La malattia di Crohn resta
pertanto una controindicazione relativa alla proctocolectomia totale con ileo-anoanastomosi mentre sembra una valida alternativa nei pazienti affetti da colite
indeterminata (2).
Caso clinico
A.S. maschio, del 1970, giunse alla nostra osservazione nel giugno del 2000 all’età di 30 aa, dopo una
serie di accertamenti eseguiti in altra sede, con diagnosi di Malattia Infiammatoria Cronica Intestinale
non ancora determinata se Rettocolite Ulcerosa o Malattia di Crohn.
La malattia esordì nel novembre 1993, all’età di
23 anni, con episodi ricorrenti di ematochezia e successivamente di rettorragia, senza altre alterazioni dell’alvo, e venne etichettata inizialmente come malattia
emorroidaria. Una colonscopia eseguita nel marzo del
1994 evidenziò un quadro di Rettocolite Ulcerosa
estesa a tutto il colon in fase di attività moderata con
un quadro istologico suggestivo per pancolite ulcerosa
(flogosi cronica follicolare, ascessi criptici, distorsione
ghiandolare, deplezione delle cellule mucipare). In
quella occasione non venne esplorato endoscopicamente l’ileo terminale. Iniziò pertanto terapia con
Mesalazina 3 g per os a rilascio progressivo e terapia
topica con Mesalazina clismi da 4 g con beneficio.
Nell’Ottobre 1995 in seguito ad una importante
riacutizzazione con diarrea, calo ponderale e dolori addominali venne ricoverato c/o la Divisione Medica dell’Ospedale della sua città e trattato con steroidi ev (1
mg/Kg prednisolone) con un iniziale beneficio. A distanza di 6 mesi, nel Giugno 1996, persistendo, tuttavia, un quadro importante di attività di malattia, con
diarrea mucoematica, interessamento articolare, calo
ponderale il paziente venne trasferito per valutazione
in un Centro Universitario di Gastroenterologia dove
venne sottoposto ad ulteriori accertamenti. Un test di
permeabilità intestinale dimostrò una alterazione della
permeabilità intestinale. Un Rx clisma del tenue ese-
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Un caso di colite indeterminata con rapida evoluzione verso la displasia
guito nell’aprile del 1999 risultò totalmente negativo.
Una Gastroscopia (EGDS)(maggio 1999) evidenziò
un ernia hiatale e delle rilevatezze antrali, istologicamente comunque non suggestive per una localizzazione gastrica o duodenale di malattia infiammatoria cronica intestinale. Una colonscopia (novembre 1999) evidenziò una malattia infiammatoria cronica intestinale
in fase di attività moderata, con un quadro che istologicamente deponeva per una forma di Malattia Infiammatoria Cronica Intestinale idiopatica con caratteri intermedi tra Crohn e colite ulcerosa. Nel frattempo iniziò terapia con immunosoppressori (Azatioprina
125 mg/die) che prolungò per 3 anni fino al febbraio
del 2000 senza che la malattia andasse mai in remissione completa e che vennero sospesi per incremento degli indici di citolisi epatica. La malattia rispondeva, comunque, a ripetuti cicli di terapia steroidea sia ev che
per os, con un netto miglioramento del quadro clinico
e con ripresa di attività di malattia alla sospensione della terapia steroidea, configurando così un quadro di colite steroido-dipendente. Fra Novembre 1999 e gennaio 2000 venne quindi sottoposto ad un ciclo di terapia con AntiTNF (Infliximab 5 mg/Kg) a 0, 2 e 4 settimane senza evidenti miglioramenti clinici.
Nel giugno del 2000 il paziente giunse infine alla
nostra osservazione. Le condizioni generali risultavano lievemente compromesse con alvo diarroico, 10
sc/die, con sangue e muco, dolori addominali, astenia
marcata ed un lieve stato di malnutrizione (62 Kg peso, 180 cm di altezza, BMI 19). Continuò pertanto terapia con Mesalazina 2,4 g/die oltre che con fermenti
lattici Yovis 3b/die, ed iniziò terapia antibiotica con
Ciprofloxacina 500 mg x 2/die e steroidea con beclometasone diproprionato 5 mg 2 c/die per os e topica
con beclometasone clismi 3 mg alla sera.
Vi fu quindi un progressivo miglioramento del
quadro clinico. A gennaio 2001 si registrò un aumento del peso corporeo (67 Kg, BMI 21), con una riduzione delle scariche a 5-6/die, con tracce di sangue
senza muco, persistenza del tenesmo ed una riduzione
dei dolori addominali. Gli esami bioumorali evidenziavano degli indici di flogosi nella norma (VES e
PCR), lieve incremento di ALT (51), GGT (57), Fosfatasi alcalina (232). Il paziente venne quindi messo
in terapia di mantenimento con Beclometasone diproprionato per os 5 mg e Mesalazina 2,4 g per os.
27
Nel giugno 2002 venne quindi sottoposto ad Colonscopia ed EGDS di controllo. La colonscopia venne condotta fino ad esplorare l’ultima ansa ileale che
appareva indenne mentre tutto il colon presentava una
mucosa con aspetto diffusamente ad acciottolato con
numerosi polipi alcuni dei quali rimossi con ansa diatermica e recuperati per esame istologico. All’esame
istologico risultò in tutti i segmenti, ileo compreso, un
quadro di marcata infiltrazione flogistica cronica
linfoplasmacellulare e granulocitaria neutrofila, eosinofila e granulomatosa epitelioidea della tonaca propria estesa anche alla muscolaris mucosae con criptite e
distorsione ghiandolare e numerosi pseudopolipi infiammatori. Reperto compatibile con Malattia di
Crohn. Un quadro analogo venne evidenziato in corso
di EGDS, negativa endoscopicamente, ma con distorsione ghiandolare, marcata infiltrazione flogistica cronica linfoplasmacellulare, granulocitaria neutrofila ed
eosinofila e granulomatosa epitelioidea della tonaca
propria estesa alla muscolaris mucosae all’esame istologico della seconda porzione duodenale: reperto compatibile con localizzazione duodenale di Crohn.
Il quadro sembrò definirsi come quello di una
malattia infiammatoria cronica intestinale, probabilmente malattia di Crohn, a localizzazione colica, ileale e duodenale. Una ricerca degli ac. ASCA e pANCA
risultò negativa.
A questo punto vennero fatte 3 ipotesi 1) Una
trasformazione da una Colite Ulcerosa ad una Malattia di Crohn?. 2) Una colite indeterminata con le caratteristiche intermedie fra una Colite Ulcerosa ed una
Malattia di Crohn? 3) Una errata diagnosi iniziale di
Rettocolite Ulcerosa?
Le condizioni del paziente nel frattempo miglioravano progressivamente con recupero del peso (71,5
Kg, BMI 22), riduzione del numero delle scariche 23/die, con saltuaria presenza di sangue e muco, scomparsa dei dolori addominali e dei dolori articolari,
mentre persistevano il tenesmo e “l’urgency”. Alcuni
tentativi terapeutici con acidi grassi a catena corta e
con antibiotici per via topica (metronidazolo) non
modificarono il quadro clinico per cui il paziente proseguì con terapia di mantenimento a base di Beclometasone diproprionato 5 mg/die e Mesalazina 2.4 g/die
per os e Beclometasone 3 mg per via topica a dì alterni alternato con Mesalazina supposte 500 mg. Gli esa-
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mi bioumorali di controllo risultavano sempre nella
norma (emocromo, VES, PCR, Protidogramma, sideremia).
Nel marzo 2003, per un peggioramento dei disturbi distali (tenesmo ed “urgency”) con accentuazione delle scariche diarroiche venne introdotta terapia
con fibre di psyllium nel tentativo di ridurre lo stimolo a livello dell’ampolla rettale. Peraltro l’aggiunta di
Colestiramina e di fermenti lattici non modificò i sintomi. Una manometria anorettale confermò la presenza di una ridotta “compliance” rettale con un massimo
volume tollerabile di 50 ml.
Nel maggio 2005 le condizioni del paziente migliorarono ulteriormente con un recupero del peso (76
Kg, BMI 23) , una riduzione delle scariche diarroiche
(5-6/die), del tenesmo e della “urgency” mediante l’utilizzo delle fibre di Psyllium. Gli esami bioumorali
(Emocromo, VES, PCR, Cromogranina, IgE totali,
Ac antitransglutaminasi IgA e IgG, Vit B 12, Ac folico, protidogramma, sideremia) risutarono sempre normali.
Nel settembre 2005 il paziente venne sottoposto
ad EGDS e Colonscopia di controllo. Alla EGDS,
negativa, si evidenziò, all’esame istologico della seconda porzione duodenale, una discreta flogosi cronica attiva a carattere erosivo-ulcerativo della tonaca propria
non patognomonica per localizzazione di Crohn a livello duodenale. La colonscopia evidenziò un ileo normale e la presenza di una mucosa di aspetto ad acciottolato lungo tutto il colon con pseudopolipi e la presenza di ulcere serpiginose al retto e sigma distale. All’istologia, l’ileo risultò perfettamente normale mentre
lungo tutto il colon si evidenziò un quadro di flogosi
cronica attiva della tonaca propria a distribuzione irregolare estesa alla sottomucosa con distorsione ghiandolare e perdita della muciparità con zone di ulcerazione-fissurazione e di focali alterazioni “indefinite
per displasia, probabilmente negative” al retto e sigma
distale.
Visto lo stato di remissione clinica della malattia,
la steroidodipendenza e l’attività di malattia endoscopica ed istologica, nel tentativo di ridurre o sospendere la terapia steroidea il paziente venne sottoposto ad
un ciclo di 5 sedute di leucocitoaferesi superselettiva
(Adacolumn R – Otsuka, Japan) fra il novembre 2005
e gennaio 2006 al termine del quale fu fatto un tenta-
P. Lecis, E. Galliani, B. Germanà
tivo di sospendere la terapia di mantenimento in corso con beclometasone dipropionato per os. Tuttavia, in
breve tempo dalla sospensione i disturbi peggiorarono
con aumento delle scariche, diarrea con sangue, dolori
addominali per cui a marzo 2006 venne ripresa la terapia con beclometasone 5 mg, 2 c per os con miglioramento del quadro clinico. A settembre 2005 venne
sottoposto ad una colonscopia di controllo che confermò l’assenza di lesioni a livello ileale e un quadro
endoscopico ed istologico al colon compatibile con
Malattia Infiammatoria Cronica Intestinale in fase di
attività, probabile Malattia di Crohn con presenza di
displasia di alto grado su mucosa piatta e di lesione “simil-adenomatosa” con displasia di basso grado al retto-sigma. Una successiva colonscopia eseguita a dicembre 2006 confermò il quadro endoscopico ed istologico della precedente con riscontro di lesioni “similadenomatose” con displasia di basso grado al colon
trasverso, discendente e sigma prossimale e di displasia di alto grado al discendente, sigma prossimale, sigma distale e retto. Una conferma della presenza della
displasia di alto grado da parte di altro anatomo patologo in altra sede ci confermò la necessità dell’intervento chirurgico per cui il paziente nel marzo 2006
venne operato di proctocolectomia totale con mucosectomia transanale, J-pouch ileale, anastomosi pouch-anale ed ileostomia di protezione.
Commento
Il presente caso ha sollevato alcuni problemi non
risolti: Il primo è il rischio potenziale di sviluppare il
cancro intestinale in corso di Malattia Infiammatoria
Cronica Intestinale. È noto come questo rischio sia
da 6 a 10 volte superiore nei soggetti affetti da Rettocolite Ulcerosa rispetto alla popolazione generale
nel corso della loro vita (2% a 10 anni) e come nei pazienti affetti da Malattia di Crohn questo rischio diventi significativo nel momento in cui l’estensione
della malattia coinvolga oltre il 30 % del colon stesso
(3, 4). È anche vero che il rischio di insorgenza di displasia e quindi di un adenocarcinoma è correlato alla durata e severità della malattia, all’estensione della
malattia a livello colico ed alla risposta al trattamento medico farmacologico (5) oltre che una durata di
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Un caso di colite indeterminata con rapida evoluzione verso la displasia
malattia superiore ai 10 anni e la giovane età di esordio della malattia. Non c’è dubbio che in questo caso
i presupposti per la comparsa della displasia potevano
esserci tutti, l’esordio in giovane età (23 anni), l’estensione a tutto il colon della malattia fin da subito,
il fatto che la malattia non sia mai andata in remissione e quindi la scarsa risposta alla terapia, (6). Ma
quello che colpisce maggiormente è la rapida trasformazione, in 1 anno, da “displasia indefinita, probabilmente negativa” a “displasia di alto grado multifocale”. Alcuni studi hanno dimostrato, con la determinazione delle mutazione del p53, come le modificazioni della displasia di basso grado abbia un valore predittivo positivo variabile dal 7 al 24% per la trasformazione in cancro e dal 16 al 54% per la trasformazione in displasia di alto grado, ma in 5 anni (7).
Quale ruolo può aver avuto su questa rapida trasformazione una terapia modulante il sistema immunitario come la leucocitoaferesi superselettiva o vi era alla base una alterazione genetica predisponente la
comparsa della displasia (mutazione del K-ras, instabilità dei microsatelliti)?. E’ presumibile che parte
della risposta potrà derivare solo dall’esame approfondito del colon operato. Il nostro paziente non
aveva comunque una storia familiare di cancro del colon che potesse giustificare un aumentato rischio. Fino ad ora non è ancora chiaro se il rischio di sviluppare un cancro colorettale in corso di malattia di
Crohn colica sia inferiore o uguale rispetto alla Rettocolite Ulcerosa a parità di estensione e di storia clinica, sicuramente la localizzazione sembra essere più
frequente al colon destro per la malattia di Crohn rispetto alla rettocolite ulcerosa (8).
In questo caso, fino all’ultimo, è rimasto il dubbio
di una diagnosi differenziale fra malattia di Crohn colica e Rettocolite Ulcerosa. L’estensione non segmentaria dell’infiammazione colica e l’assenza di alterazioni all’ileo terminale potevano suggerire più una diagnosi di Rettocolite Ulcerosa mentre la presenza a livello istologico di alterazioni quali la flogosi estesa fino alla muscolaris mucosae e la presenza di granulomi
epitelioidei depondevano per una malattia di Crohn.
Questa variabilità clinica ed istologica faceva propendere più per una diagnosi di colite indeterminata (9)
anche se non esistono al momento caratteristiche cliniche specifiche per identificare questo sottogruppo di
malattie infiammatorie intestinali (10). Un diagnosi
accurata di Rettocolite Ulcerosa o di Malattia di
Crohn ha sicuramente un ruolo determinante sulla
scelta dell’approccio chirurgico e soprattutto sulla prognosi a lungo termine e questo è soprattutto vero da
quando è iniziata l’era della ileo-ano anastomosi con
“Pouch ileale”. I dati della letteratura sembrano infatti evidenziare un fallimento della Pouch in oltre il 50%
dei pazienti operati affetti da malattia di Crohn (11).
Peraltro, i dati relativi al fallimento della pouch nei pazienti affetti da colite indeterminata sono al momento
ancora molto discordanti e non sembrano comunque
essere superiori rispetto ai soggetti affetti da rettocolite ulcerosa(12). Nella propria esperienza Poggioli et al.
concludevano che la prognosi della pouch nel caso di
coliti indeterminate non sembra essere diversa da
quella della pouch eseguita per rettocolite ulcerosa se
si tratta di una vera colite indeterminata o di una colite indeterminata con caratteristiche simili alla colite
ulcerosa (13. L’aspetto più importante pertanto è un
follow-up prolungato nei pazienti con colite indeterminata operati di proctocolectomia totale con ileoanoanastomosi e pouch ileale.
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ACTA BIOMED 2007; 78; Quaderno 3: 31-34
© Mattioli 1885
C
A S E
R
E P O R T
Un caso di diarrea cronica resistente alla dieta priva di
glutine in un paziente affetto da malattia celiaca
Filippo Mocciaro, Ambrogio Orlando, Mario Cottone
Dipartimento di Pneumologia Medicina e Fisiologia della Nutrizione, divisione di Medicina Interna I; Azienda Ospedaliera
V. Cervello, Palermo
Introduzione
Viene descritto un caso clinico di diarrea cronica
in un paziente affetto da malattia celiaca e psoriasi che
malgrado la dieta priva di glutine mantiene immodificata la sintomatologia intestinale. E’ noto che la gestione clinica di questi pazienti può risultare complessa perché la persistenza della diarrea non sempre è riconducibile ad una non perfetta aderenza alla dieta
priva di glutine o ad una celiachia refrattaria ma ad altre patologie organiche che necessitano di terapie specifiche.
Descrizione del caso
L.G. è un uomo di 69 anni, ex-fumatore (7-8 sigarette/die per circa 15 anni), senza storia di abusi alcolici o familiarità per malattie intestinali.
Diagnosi di psoriasi cutanea nota da oltre 20 anni. Nel 1996 colecistectomia in seguito a episodi di
dolore addominale attribuiti a coliche biliari.
Per la persistenza della sintomatologia dolorosa
addominale e la comparsa di diarrea con 5-6 evacuazioni liquide senza muco né sangue si ricovera in ambiente ospedaliero nell’Ottobre 2002. Durante la degenza evidenza di ipertransaminasemia (AST/ALT
22/187 UI/l), ipoproteinemia (proteine totali 4.1 gr/dl,
albumina 2,6 gr/dl) e lieve incremento della VES alla
I ora (26 mm/h); emocromo, funzionalità renale, elettroliti e funzionalità tiroidea nei limiti della norma.
Coprocoltura ed Hoemocult fecale negativi. Anticorpi
antigliadina, antiendomisio ed antitransglutaminasi
negativi. Nel sospetto di malattia celiaca, malgrado la
sierologia negativa, esegue esofagogastroduodenoscopia con biopsie digiunali. All’esame istologico quadro
riferibile a malattia celiaca: “discreta flogosi cronica
produttiva della mucosa, con accorciamento dei villi
ma senza evidenza di lesioni linfo-epiteliali”. Il dolore
addominale, la diarrea, l’ipoproteinemia e l’ipertransaminasemia vengono attribuiti alla malattia celiaca e
viene consigliata dieta priva di glutine.
Dopo un breve benessere di qualche mese ricomparsa della diarrea con le medesime caratteristiche dell’esordio associata a dolore addominale, nausea e progressivo decadimento delle condizioni generali e nutrizionali e nell’Ottobre del 2003 si ricovera nuovamente in ambiente ospedaliero. Nell’ipotesi di una
non completa aderenza alla dieta aglutinata o di una
malattia celiaca refrattaria ripete una esofagogastroduodenoscopia con biopsie digiunali che hanno mostrato una regolare morfologia di villi. Esegue inoltre
indagini di laboratorio risultate nei limiti ad eccezione
dell’incremento della PCR (1.75, v.n. fino a 1) e la
conferma dell’ipoproteinemia: proteine totali 4.7
gr/dl, albumina 3 gr/dl, gammaglobuline 0.5 gr/dl
(IgG 300 mg/dl, v.n. 750-1850 mg/dl). Sulla base di
questi risultati e vista la persistenza della sintomatologia, nell’ipotesi di una patologia organica del colon associata alla malattia celiaca (es. colite microscopica),
esegue una pancolonscopia con campionamento bioptico multiplo. Il quadro endoscopico evidenziava un
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aspetto di iperemia ed iper-riflettenza della mucosa
del colon sinistro; all’esame istologico quadro compatibile con colite linfocitaria: “cospicuo edema e discreta flogosi cronica produttiva con eosinofili, plasmacellule e linfociti della mucosa, con segni di criptite e
d’infiltrazione linfocitaria intraghiandolare; citoarchitettura e muciparità ghiandolari sostanzialmente rispettate, non granulomi, non ascessi criptici; membrane basali di spessore normale”. Radiografia del torace,
clisma del tenue ed ecografia dell’addome negativi. Il
paziente viene dimesso con la diagnosi di colite linfocitaria proteino-disperdente in paziente con malattia
celiaca e trattato con terapia antibiotica (metronidazolo), levosulpiride, longastatina, loperamide al bisogno
ed infusioni periodiche di albumina umana. Da allora
la sintomatologia rimane sostanzialmente stabile con
persistenza della diarrea. Il paziente giunge alla nostra
osservazione nel Dicembre 2004 per una rivalutazione
terapeutica. Alla prima visita il paziente si presenta
astenico con riferiti disturbi dispeptici post-prandiali,
3-4 evacuazioni/die di feci semi-formate senza muco
né sangue, nausea e lieve dimagramento (peso 66 kg);
non febbre. All’esame fisico evidenza di edemi declivi
modesti agli arti inferiori. Esami di laboratorio nei limiti se si esclude la ipoproteinemia con proteine totali 4.7 gr/dl ed albumina 2.9 gr/dl. Si sospende la terapia con levosulpiride, longastatina e viene iniziata terapia con diuretico a basse dosi (100 mg di kanrenoato) e mesalazina (800 mg tre volte al giorno). Il kanreonato viene somministrato per la presenza di lievi
edemi declivi secondari verosimilmente alla ipoproteinemia. Nonostante la terapia con mesalazina persistenza della diarrea per cui inizia con beneficio prednisone al dosaggio di 37,5 mg/die. Ai controlli ambulatoriali successivi il paziente sta bene e la diarrea si è
risolta per cui inizia la progressiva riduzione dello steroide fino alla completa sospensione dopo 3 mesi. A
tale controllo ambulatoriale il paziente è in buone
condizioni generali, il peso corporeo è in aumento (70
kg), l’alvo è regolare e la sintomatologia dispeptica è
risolta; viene consigliata terapia di mantenimento con
la sola mesalazina. Nel Luglio del 2005 ricomparsa
della diarrea con le stesse caratteristiche che il paziente tratta autonomamente e con beneficio con 25
mg/die di prednisone. In considerazione dell’impossibilità a sospendere il prednisone (riacutizzazione alla
F. Mocciaro, A. Orlando, M. Cottone
sospensione) ed il rischio di effetti collaterali legati alla prolungata terapia steroidea inizia terapia con budesonide al dosaggio di 9 mg/die. Dopo una parziale risposta, ripresa della diarrea dopo 15-20 giorni. Visto il
fallimento della terapia con budesonide è stata presa in
considerazione terapia immunosoppressiva con azatioprina che il paziente ha rifiutato, per cui è stato saggiato trattamento con beclometasone dipropionato al
dosaggio di 10 mg/die con immediata e persistente risposta. Nei mesi successivi progressiva riduzione del
dosaggio del beclometasone, dapprima a 5 mg/die e
successivamente e 5 mg a giorni alterni fino alla completa sospensione dopo circa 1 anno mantenendo la
sola terapia con mesalazina (800 mg tre volte al giorno). All’ultimo controllo ambulatoriale del Gennaio
2007 il paziente è in buone condizioni generali e nutrizionali, asintomatico, con alvo regolare ed esami di
laboratorio nella norma.
Discussione del caso
La colite linfocitaria e quella collagenosica, sono
due condizioni cliniche non frequenti che si presentano con diarrea acquosa cronica ed evidenza istologica
di infiammazione cronica mucosale. I due quadri
istologici sono distinti tra di loro ma vengono raggruppati con il termine di coliti microscopiche. La
definizione di colite linfocitaria è stata proposta per la
prima volta nel 1989 da Lazenby (1) come una diagnosi istopatologica specifica per distinguerla dalle
coliti microscopiche in cui predominano altri elementi cellulari come eosinofili, neutrofili e mastociti. Tuttavia non è ancora chiaro se la colite collagenosica e
quella linfocitaria rappresentino due aspetti differenti
di un’unica malattia o due entità clinico-istopatologiche distinte.
Entrambe queste due condizioni colpiscono frequentemente soggetti tra i 50 ed i 70 anni con una
predominanza delle donne e sono spesso associate alla
malattia celiaca o ad altre malattie autoimmunitarie.
L’incidenza della colite linfocitaria è tre volte superiore a quella collagenosica (2), ma questo dato contrasta
con i numerosi reports presenti in letteratura a favore
di quest’ultima. Sebbene l’incidenza è più elevata negli anziani (incidenza media annuale in Spagna delle
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Un caso di diarrea cronica resistente alla dieta priva di glutine
due condizioni è di 4.2/100.000 abitanti) entrambe le
patologie sono state riportate nei bambini e nei giovani adulti.
L’associazione di queste condizioni con le malattie reumatiche ha rafforzato il sospetto della possibile
correlazione tra l’uso dei farmaci antinfiammatori non
steroidei e la comparsa delle alterazioni della mucosa
colica; questa associazione è ancora oggi molto dibattuta e non da tutti accettata (3, 4). Nel caso clinico riportato il paziente non faceva uso abituale di antinfiammatori non steroidei.
In circa 20-30% dei pazienti con malattia celiaca
è stata riportata una diagnosi di colite linfocitaria ipotizzando gli stessi meccanismi patogenetici della malattia di base (5); in uno studio è stata riportata una
frequenza di celiachia del 9% in pazienti con colite
linfociatria (6).
Nella storia clinica di questo paziente la sintomatologia intestinale era stata attribuita in un primo momento alla diagnosi di malattia celiaca e solo dopo la
persistenza della diarrea è stato posto il sospetto di colite microscopica poi confermata all’esame istologico
delle biopsie del colon.
I pazienti con colite microscopica presentano frequentemente nausea, dimagrimento, dolore addominale, diarrea cronica intermittente con esami di laboratorio di routine nella norma anche se possono essere presenti lieve anemia ed ipoalbuminemia. Il paziente descritto in questo report presentava una sintomatologia come quella sopra descritta con ipoalbuminemia marcata ed edemi declivi.
La diagnosi di colite microscopica si basa esclusivamente sull’esito dell’esame istologico delle biopsie
del colon considerato che usualmente il quadro endoscopico risulta nella norma. La colonscopia del paziente descritto presentava lesioni mucosali aspecifiche che comunque sono state descritte nelle coliti microscopiche (7).
Non sono riportati in letteratura ampi studi clinici randomizzati e controllati sul trattamento delle coliti microscopiche (8). Le varie opzioni terapeutiche
utilizzate in queste condizioni si basano principalmente su reports di piccoli gruppi di pazienti e pertanto il
trattamento risulta per lo più empirico. La valutazione
della risposta ai trattamenti risulta difficile soprattutto
in considerazione dell’andamento cronico-ricorrente
33
della malattia.
La prima strategia terapeutica da adottare nei pazienti che assumono antinfiammatori non steroidei è
quella di sospenderli valutando l’andamento dei sintomi nel tempo. Circa un terzo dei pazienti risponde agli
antidiarroici come la loperamide (9). Nei casi non responsivi è possibile saggiare terapia con mesalazina
(10) o budesonide (11-14). Una metaanalisi (15) condotta su soli tre trials riporta un riduzione significativa della diarrea nei pazienti trattati con budesonide vs
placebo (OR 20.1, 95% CI 7.0-57.5) con un buon
profilo di tollerabilità del farmaco.
Altri trattamenti utilizzati sono la colestiramina
(16), il bismuto sub-salicilato (17), il metronidazolo
(9) e l’octreotide (18).
Nei casi più severi e non responsivi ai farmaci sopra elencati può essere presa in considerazione la terapia con steroidi tradizionali (19, 20). Come è noto la
terapia prolungata con steroidi espone i pazienti ai noti effetti collaterali che possono diventare clinicamente rilevanti, per cui la terapia con immunosoppressori
(azatioprina e methotrexate) può rappresentare una
possibile alternativa (21).
L’intervento chirurgico di procto-colectomia con
ileostomia rappresenta l’estrema soluzione nei pazienti severi con grave compromissione delle condizioni
generali che non rispondono al trattamento medico
(22).
L’esperienza qui riportata, rappresenta la prima
segnalazione d’efficacia del beclometasone dipropionato in corso di colite linfocitaria responsiva al solo
prednisone. Il paziente, infatti, non aveva risposto alla
terapia con loperamide, antibiotici, longastatina, mesalazina e budesonide. La diarrea è regredita dopo terapia con prednisone ma recidivava dopo la sua riduzione o sospensione. Il trattamento con immunosoppressori è stato rifiutato dal paziente. Considerati i
possibili effetti collaterali legati alla terapia steroidea
con prednisone e vista la dimostrata efficacia del beclometasone nelle coliti ulcerose ad attività lieve-moderata nonché la sua minore incidenza di effetti collaterali legati al suo basso assorbimento con ridotta interferenza sul sistema ipotalamo-ipofisario (23, 24) è
stato saggiato con successo il beclometasone dipropionato al dosaggio 10 mg/die.
Il beclometasone dipropionato può rappresentare
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un valida alternativa terapeutica nei pazienti non responsivi o che diventano steroido-dipendenti o intolleranti agli immunosoppressori.
Al momento attuale i trattamenti empirici disponibili si basano su reports di piccoli gruppi di pazienti
trattati ed è auspicabile, pur se di difficile realizzazione vista la rarità della malattia, che in futuro vengano
eseguiti trials randomizzati e controllati che prendano
in considerazione anche l’opzione terapeutica del beclometasone come possibile terapia delle coliti microscopiche.
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>
Il unto...
in breve
un caso di diarrea cronica
resistente alla dieta priva di
glutine in un paziente affetto
da malattia celiaca
F. Mocciaro, A. Orlando, M. Cottone
colite microscopica
colite linfocitaria
colite collagenosica
Colpiscono soggetti tra i 50
e i 70 anni,prevalentemente
nel sesso femminile,
frequenza del 9% di
concomitante malattia celiaca
Incidenza 3 volte
superiore alla
colite collagenosica
sintomi
nausea, dolore addominale, diarrea
cronica intermittente con esami di
laboratorio nella norma, lieve
anemia ed ipoalbuminemia
Caratterizzata dalla
deposizione di fibre di
collagene al di sotto
della membrana basale
diagnosi
Esame istologico di frammenti di
mucosa colica prelevati durante
esame endoscopico
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ƒ CASO CLINICO
Uomo, 69 anni, psoriasi e malattia celiaca con sintomi
intestinali resistenti a dieta priva di glutine
1996
Colecistectomia per sospette
e ripetute coliche biliari
2002
Ricovero per dolori addominali e diarrea (5-6
scariche/die); diagnosi accertata di celiachia
2003
Ricovero per diarrea, nausea, vomito e decadimento condizioni generali.
Indagini per sospetta non aderenza alla dieta aglutinata e pancolonscopia
con campionamento bioptico → diagnosi di colite linfocitaria
2004
Astenia, 3-4 scariche/die di diarrea, edemi arti inferiori, ipoproteinemia
“...l’esperienza qui riportata, rappresenta
la prima segnalazione d’efficacia del
BECLOMETASONE DIPROPIONATO ...”
persistenza diarrea
risoluzione
sintomatologia
2005
Ricomparsa sintomi per impossibilità a sospendere prednisone
ricomparsa diarrea
dopo 15-20 gg
immediata e
persistente scomparsa
sintomi
2007
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Paziente asintomatico, buone condizioni fisiche
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“...la terapia prolungata con
steroidi sistemici espone i pazienti
ai noti effetti collaterali che possono
diventare clinicamente rilevanti...”
Terapia antibiotica (metronidazolo) + levosulpiride+
longastatina + loperamide al bisogno + dieta priva
di glutine
Sospensione terapia farmacologica in atto, inizio diuretico
(kanreonato a basse dosi 100 mg) per lievi edemi declivi
secondari verosomilmente alla ipoproteinemia + mesalazina
(800 mg 3 volte/die)
Inizio trattamento prednisone (37,5 mg/die)
Terapia di mantenimento con dieta priva di glutine + mesalazina
(800 mg 3 volte/die)
Terapia con budesonide (9 mg/die)
Sospensione terapia in atto, inizio trattamento con
BECLOMETASONE DIPROPIONATO (10 mg/die)
Progressiva riduzione del dosaggio del beclometasone
dipropionato (5 mg/die → 5 mg/die a giorni alterni)
fino a completa sospensione dopo 1 anno
Terapia di mantenimento con mesalazina (800 mg 3 volte/die)
+ dieta priva di glutine
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“Vista la dimostrata
efficacia del
beclometasone
dipropionato nelle
coliti ulcerose ad attività
lieve-moderata nonché la
sua minore incidenza di
effetti collaterali legati al
suo basso assorbimento
con ridotta interferenza
sul sistema ipotalamoipofisiario è stato
saggiato con successo
il beclometasone
dipropionato dosaggio
10 mg/die.”
“...Il BECLOMETASONE
DIPROPIONATO può
rappresentare una valida
alternativa terapeutica nei
pazienti non responsivi o
che diventano steroidodipendenti o intolleranti
agli immunosoppressori...”
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