17/3/2015 - Studio Ducoli

QUADERN
/ MARTEDÌ, 17 MARZO 2015
ILCASODELGIORNO
PRIMOPIANO
Dichiarazione
sommaria per le
merci in entrata
nell’Ue
Nelle nuove false comunicazioni
sociali, valutazioni senza valenza
penale
/ Francesco D'ALFONSO
Ogni introduzione di merce da
un Paese extra Ue deve essere
preceduta e, poi, accompagnata,
all’atto dell’ingresso, da una ENS
(Entry summary declaration o “dichiarazione di pre-arrivo”), ossia
da una dichiarazione sommaria
di entrata.
Per evitare l’introduzione nel territorio doganale comunitario di
merci che possano costituire una
minaccia per la sicurezza
dell’Unione europea, per la salute
pubblica, per l’ambiente e per i
consumatori, nell’ambito del progetto Import Control System è
stato introdotto il concetto di gestione dei rischi ai fini della sicurezza, ossia la valutazione da
parte delle autorità doganali di
una serie di dati relativi alle merci destinate all’introduzione nel
territorio doganale dell’Ue.
A tale scopo, per le merci in arrivo da Paesi extra [...]
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L’emendamento del Governo al Ddl. anticorruzione sul falso in
bilancio differenzia anche la rilevanza dei fatti materiali a seconda del
tipo di società
/ Maurizio MEOLI
Il Viceministro per la Giustizia Enrico Costa ha
depositato ieri l’emendamento del Governo al
Ddl. anticorruzione (AS 19), recante disposizioni in materia di corruzione, voto di scambio, falso in bilancio e riciclaggio, all’esame della Commissione Giustizia del Senato. Diverse le novità
contenute nel testo circolato ieri.
Tra queste, la più rilevante è che per l’integrazione delle nuove fattispecie di false comunicazioni sociali occorrerà la consapevole esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero, con
un’apparente esclusione della valenza penale
delle false valutazioni e con una differenziazione in ordine alla rilevanza dei fatti materiali, a
seconda del tipo di società in cui il falso è perpetrato. In talune ipotesi di false comunicazioni sociali in società non quotate, inoltre, torna la perseguibilità a querela di parte, mentre nella non
punibilità per particolare tenuità il giudice è
tenuto a valutare, in modo prevalente, l’entità
del danno cagionato alla società, ai soci e ai creditori sociali.
In base al futuro art. 2621 c.c., in tema di false
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INEVIDENZA
CONTABILITÀ
Validità del DURC nei lavori edili privati di nuovo
ridotta a 90 giorni
Le obbligazioni emesse da Cassa depositi e prestiti
pagano l’imposta di successione
Sospensione per querela di falso solo nel ricorso
contro l’accertamento
Prescrizione interrotta solo con regolare notifica di
citazione per gli enti
ALTRENOTIZIE
comunicazioni sociali in società non quotate,
saranno puniti con la reclusione da uno a
cinque anni gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei
documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, al fine di conseguire per sé o
per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla
legge, consapevolmente espongono “fatti
materiali rilevanti” non rispondenti al vero
ovvero omettono “fatti materiali rilevanti” la
cui comunicazione è imposta dalla legge sulla
situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la
stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore. La stessa pena
si applica anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla
società per conto di terzi.
La novità ripropone la formula già utilizzata
nelle vigenti fattispecie (“fatti materiali”),
ma accompagnata dalla [...]
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Iscrizione immediata
delle perdite probabili
sulle commesse
/ Fabrizio BAVA e Alain DEVALLE
Le perdite probabili su commesse devono
essere immediatamente portate a decremento
dei lavori in corso su ordinazione, mentre non
è più prevista l’alternativa di iscrivere un apposito fondo rischi ed oneri. È questa una delle principali novità del nuovo OIC 23.
L’impresa può trovarsi, talvolta, nella situazione in cui il margine di commessa diventi
negativo durante il periodo di costruzione.
Si determina tale fattispecie allorquando l’impresa effettua varianti, i cui [...]
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ancora
IL CASO DEL GIORNO
Dichiarazione sommaria per le merci in
entrata nell’Ue
La finalità è quella di evitare l’ingresso di merci nel caso in cui la spedizione in entrata
venga considerata ad alto rischio
/ Francesco D'ALFONSO
Ogni introduzione di merce da un Paese extra Ue deve essere preceduta e, poi, accompagnata, all’atto dell’ingresso,
da una ENS (Entry summary declaration o “dichiarazione di
pre-arrivo”), ossia da una dichiarazione sommaria di entrata.
Per evitare l’introduzione nel territorio doganale comunitario di merci che possano costituire una minaccia per la sicurezza dell’Unione europea, per la salute pubblica, per l’ambiente e per i consumatori, nell’ambito del progetto Import
Control System è stato introdotto il concetto di gestione dei
rischi ai fini della sicurezza, ossia la valutazione da parte
delle autorità doganali di una serie di dati relativi alle merci
destinate all’introduzione nel territorio doganale dell’Ue.
A tale scopo, per le merci in arrivo da Paesi extra Ue, gli importatori devono fornire all’ufficio di primo ingresso nel territorio doganale della Ue talune informazioni precedentemente all’arrivo dei beni movimentati. Più esattamente,
nella dichiarazione sommaria di entrata – si vedano gli artt.
da 36 a 36-quater del reg. CEE 2913/1992 (CDC) e da 181ter a 184-octies del reg. CEE 2454/93 (DAC) – devono essere indicati alcuni dati essenziali per identificare le caratteristiche della spedizione ed accelerare le operazioni di analisi dei rischi in dogana, indicati nell’allegato 30-bis delle
DAC. Ciò consente alle autorità doganali degli Stati membri
della Ue di eseguire analisi dei rischi in anticipo rispetto
all’arrivo delle merci nel territorio doganale della stessa,
con la possibilità di bloccarne il caricamento al punto di
imbarco se la spedizione viene considerata ad alto rischio.
Si evidenzia, infine, che, una volta che le merci sono giunte
all’ufficio di primo ingresso nel territorio dell’Unione europea, gli operatori devono presentare anche una notifica
d’arrivo (in Italia viene utilizzato come notifica di arrivo il
manifesto delle merci in arrivo). Al riguardo, si rileva che,
laddove, entro un periodo di 200 giorni dalla data di
presentazione della dichiarazione sommaria di entrata, a una
ENS non segua una notifica di arrivo del mezzo di trasporto
alla dogana o le merci non vengano presentate presso
quest’ultima, la dichiarazione sommaria si considera come
non presentata.
Sono escluse da tale obbligo le merci che attraversano per
via aerea o marittima il territorio doganale della Ue senza
scalo nello stesso oppure prima dell’uscita dal medesimo,
nonché taluni specifici beni, elencati all’art. 181-quater delle DAC. Tra gli altri, le merci contenute nei bagagli personali dei viaggiatori, quelle trasportate a bordo di navi che ef/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 17 MARZO 2015
fettuano servizio di linea regolare debitamente autorizzate,
nonché le merci trasportate in conformità alle disposizioni
della convenzione dell’Unione postale universale. La ENS
non è richiesta, inoltre, per le merci provenienti dall’Isola di
Helgoland, dalla Repubblica di San Marino e dallo Stato della Città del Vaticano e nei casi previsti negli accordi internazionali conclusi dalla Ue con Paesi terzi, nel settore della
sicurezza relativamente agli scambi di merci con questi Stati. Attualmente, tali accordi esistono con la Norvegia, la
Svizzera (comprendendo il Liechtenstein). Tuttavia, in alcuni casi particolari, ordinariamente esclusi dall’obbligo, una
dichiarazione sommaria di entrata è richiesta se le merci devono essere poste in custodia temporanea.
Per quanto concerne il nostro Paese, la dichiarazione sommaria di entrata va presentata per via elettronica, nell’ambito del sistema automatico di esportazione e importazione
(AES e AIS). Per inviare la ENS, è necessario essere autorizzati dal Servizio Telematico Doganale per l’invio delle dichiarazioni doganali (al quale, quindi, occorre essere registrati) in qualità di soggetto richiedente o di rappresentante indiretto; i soggetti esteri sono, invece, identificati tramite il loro proprio codice EORI.
Laddove, poi, non sia possibile inviare telematicamente la
dichiarazione sommaria, i dati richiesti possono essere presentati, entro i termini prescritti, su supporto informatico,
attraverso rappresentanti abilitati o mediante mezzi alternativi al servizio telematico doganale.
Infine, se il sistema informatizzato delle autorità doganali
non funziona o se è l’applicazione informatica del soggetto
che presenta la dichiarazione sommaria a non funzionare, è
ammessa, previa approvazione da parte delle autorità doganali, la presentazione della dichiarazione sommaria di entrata in forma cartacea.
Deve, in particolare, inviare la ENS chi introduce le merci
nel territorio doganale comunitario o assume la responsabilità del trasporto (c.d. “trasportatore”), nonché, ferma restando la responsabilità di quest’ultimo, colui per conto del quale agisce il trasportatore, il soggetto che presenta le merci alla dogana o un rappresentante di tali soggetti, previo
consenso del vettore (circ. n. 19/D/2010). Infatti, anche in
presenza di un soggetto terzo, il responsabile della
presentazione della ENS rimane sempre il trasportatore.
Una volta inviata, la ENS può essere successivamente modificata dal soggetto che la presenta, sempre che l’autorità doganale non abbia stabilito che le indicazioni fornite non so/ 02
ancora
no corrette, la persona che ha presentato la ENS non sia stata informata dall’autorità doganale di voler esaminare i beni
o non sia stato concesso lo svincolo delle merci. Tuttavia,
non possono essere mai oggetto di modifica le informazioni concernenti il soggetto che presenta la ENS, i dati relativi al rappresentante, nonché le informazioni relative all’Ufficio doganale di entrata dichiarato.
I termini per l’invio della ENS sono differenziati in relazione al mezzo di trasporto su cui viaggiano le merci (cfr.
art. 184-bis delle DAC). Ciò allo scopo di permettere all’ufficio che ha ricevuto la dichiarazione doganale di effettuare
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l’analisi dei rischi e i relativi controlli prima che i beni entrino nel territorio dell’Ue. L’ufficio doganale di entrata può,
tuttavia, dispensare l’interessato dalla presentazione di una
dichiarazione sommaria in relazione alle merci per le quali
sia stata presentata in dogana, entro i termini previsti dalla
normativa, una dichiarazione doganale contenente almeno i
dati necessari per una dichiarazione sommaria. Laddove,
infine, la dichiarazione sommaria di entrata non venga presentata, l’operatore interessato, oltre a subire notevoli ritardi nella fase di sdoganamento, sarà sottoposto a sanzioni di
natura pecuniaria.
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ancora
IMPRESA
Nelle nuove false comunicazioni sociali,
valutazioni senza valenza penale
L’emendamento del Governo al Ddl. anticorruzione sul falso in bilancio differenzia
anche la rilevanza dei fatti materiali a seconda del tipo di società
/ Maurizio MEOLI
Il Viceministro per la Giustizia Enrico Costa ha depositato
ieri l’emendamento del Governo al Ddl. anticorruzione (AS
19), recante disposizioni in materia di corruzione, voto di
scambio, falso in bilancio e riciclaggio, all’esame della
Commissione Giustizia del Senato. Diverse le novità
contenute nel testo circolato ieri.
Tra queste, la più rilevante è che per l’integrazione delle
nuove fattispecie di false comunicazioni sociali occorrerà la
consapevole esposizione di fatti materiali non rispondenti al
vero, con un’apparente esclusione della valenza penale
delle false valutazioni e con una differenziazione in ordine
alla rilevanza dei fatti materiali, a seconda del tipo di società in cui il falso è perpetrato. In talune ipotesi di false comunicazioni sociali in società non quotate, inoltre, torna la perseguibilità a querela di parte, mentre nella non punibilità
per particolare tenuità il giudice è tenuto a valutare, in modo prevalente, l’entità del danno cagionato alla società, ai
soci e ai creditori sociali.
In base al futuro art. 2621 c.c., in tema di false comunicazioni sociali in società non quotate, saranno puniti con la reclusione da uno a cinque anni gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti
contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, al fine di
conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci,
nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai
soci o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente
espongono “fatti materiali rilevanti” non rispondenti al vero ovvero omettono “fatti materiali rilevanti” la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica,
patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale
la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore. La stessa pena si applica anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati
dalla società per conto di terzi.
La novità ripropone la formula già utilizzata nelle vigenti
fattispecie (“fatti materiali”), ma accompagnata dalla precisazione “ancorché oggetto di valutazione”. Il mancato utilizzo anche di quest’ultima specificazione fa pensare a una
contrazione dello spazio di rilevanza penale, con
esclusione delle false valutazioni di bilancio.
La condotta, poi, è solo parzialmente coincidente nell’ambito del futuro delitto di false comunicazioni sociali nell’ambito di società quotate (art. 2622 c.c.) punito con la reclusione da tre ad otto anni. L’esposizione di fatti materiali non rispondenti al vero, infatti, non richiede che i medesimi siano
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anche “rilevanti”. Ciò – precisa la relazione illustrativa –
trova giustificazione nel fatto che le società quotate in borsa
richiedono una disciplina più rigorosa di formazione del
bilancio, per la dimensione pubblica che le stesse rivestono.
In relazione alla sola fattispecie di false comunicazioni sociali in società non quotate, poi, si ribadisce (nuovo art.
2621-bis c.c.) che, salvo che costituiscano più grave reato, la
pena da applicare va da sei mesi a tre anni di reclusione se i
fatti sono di lieve entità, tenuto conto di natura e dimensioni della società e delle modalità o degli effetti della condotta.
Successivamente, però, si precisa che, sempre salvo che costituiscano più grave reato, la pena della reclusione da sei
mesi a tre anni si applica anche quando i fatti riguardano società che non superano i limiti indicati nell’art. 1 comma 2
del RD 267/42 (in base a cui non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino il possesso
congiunto dei seguenti requisiti: aver avuto, nei tre esercizi
antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o
dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore a
300.000 euro; aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei
tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore a 200.000 euro; avere un ammontare di debiti anche non
scaduti non superiore a 500.000 euro). In tal caso il delitto
è procedibile a querela della società, dei soci, dei creditori o
degli altri destinatari della comunicazione sociale.
In relazione alla “non punibilità per particolare tenuità”
sulla base del nuovo art. 131-bis c.p. (futuro art. 2621-ter
c.c.), poi, viene precisato che il giudice deve valutare, in modo prevalente, l’entità del danno cagionato alla società, ai
soci e ai creditori sociali. Confermato, inoltre, il maggior rigore delle sanzioni amministrative ex DLgs. 231/2001 in
ipotesi di false comunicazioni sociali commesse nell’interesse della società. Infatti, in caso di false comunicazioni sociali in società non quotate si passerà a una sanzione pecuniaria da 200 a 400 quote, mentre nel caso di false comunicazioni sociali in quotate si passerà a una sanzione pecuniaria da 400 a 600 quote. L’importo di ciascuna quota, si ricorda, va da un minimo di 258 a un massimo di 1.549 euro.
Per la fattispecie di false comunicazioni sociali di lieve entità nelle non quotate (art. 2621-bis c.c.), infine, la sanzione
pecuniaria in capo alla società andrà da 100 a 200 quote.
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LAVORO & PREVIDENZA
Validità del DURC nei lavori edili privati di
nuovo ridotta a 90 giorni
L’estensione a 120 giorni fissata dal DL 69/2013 è “scaduta” il 31 dicembre 2014
/ Francesca TOSCO
Con la nota n. 3899/2015, il Ministero del Lavoro ha confermato che, dal 1° gennaio di quest’anno, la validità temporale del DURC relativo ai lavori edili per soggetti privati torna ad essere di 90 giorni, avendo l’estensione a 120 giorni
della stessa, disposta dall’art. 31 del DL 69/2013, operato
solo fino al 31 dicembre 2014. Viene, quindi, nuovamente
meno, sotto questo aspetto, l’omogeneità di disciplina tra
appalti pubblici e appalti privati in edilizia.
In quest’ultimo ambito, il DURC è ricompreso tra la documentazione necessaria:
- per la verifica, prima dell’inizio di lavori soggetti a permesso di costruire o denuncia di inizio attività, della regolarità contributiva degli operatori economici coinvolti, al
fine della concessione del titolo abilitativo edilizio da parte
dell’Amministrazione Pubblica competente (art. 90, comma
9, lett. c) del DLgs. 81/2008). In queste ipotesi, l’estensione
anche all’edilizia privata dell’obbligo di acquisizione d’ufficio da parte delle P.A., ex art. 14 del DL 5/2012, ha fatto sì
che il DURC non possa più essere trasmesso all’Amministrazione concedente dal privato (nella specie, il committente o il responsabile dei lavori, previa ricezione dello stesso
da parte delle imprese e dei lavoratori autonomi interessati,
su cui incombeva, quindi, l’onere di richiedere il proprio documento di regolarità contributiva agli Istituti
previdenziali/Casse edili), ma sia la stessa Amministrazione a dover richiedere agli Enti preposti il DURC delle
imprese e dei lavoratori impiegati dal committente privato;
- in ogni caso (ossia anche in caso di lavori edili non soggetti a permesso di costruire o DIA), per la verifica dell’idoneità tecnico-professionale delle imprese affidatarie, delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi impiegati, da parte
del committente o del responsabile dei lavori (art. 90, comma 9, lett. a) e b) del DLgs. 81/2008). Si tratta delle ipotesi
residuali in cui il DURC – riportante sul punto, a pena di
nullità, una specifica dicitura – può ancora essere richiesto
agli Enti abilitati al rilascio direttamente dal privato (imprese affidatarie, imprese esecutrici e lavoratori autonomi),
ai fini della consegna ad un altro soggetto privato (committente privato o al responsabile dei lavori), in modo da consentire allo stesso di assolvere ai predetti adempimenti
(penalmente presidiati) di verifica dell’idoneità tecnicoprofessionale.
A differenza di quanto stabilito per i contratti pubblici, nei
quali il DURC è correlato alle diverse fasi che caratterizzano detti contratti, negli appalti di lavori privati in edilizia
esso è, invece, comunque connesso esclusivamente alla fase
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 17 MARZO 2015
antecedente l’inizio dei lavori, con la possibilità – affermata dalla prassi amministrativa (circ. Min. Lavoro n. 35/2010
e circ. INPS n. 145/2010) – di utilizzare uno stesso DURC,
nell’ambito dell’intero periodo di validità, ai fini dell’inizio
di più lavori.
Circa l’individuazione di tale periodo, il sopra richiamato
DL 69/2013 ha avuto il merito di provvedere ad una uniformizzazione. A fronte di una situazione caratterizzata da una
forte disomogeneità delle fonti di disciplina e, quindi, da
notevole incertezza, detto DL, infatti, all’art. 31 – dopo aver
definitivamente chiarito che il DURC rilasciato per i contratti pubblici di lavori, servizi e forniture ha “una validità di
120 giorni dalla data del rilascio” – ha esteso tale previsione anche ai DURC necessari:
- ai fini della fruizione dei benefici normativi e contributivi in materia di lavoro e legislazione sociale, in relazione ai
quali le regole precedenti prevedevano una validità mensile;
- ai fini dell’accesso a finanziamenti e sussidi previsti dalla
normativa europea, statale o regionale e dell’ammissione ad
agevolazioni oggetto di cofinanziamento europeo finalizzate alla realizzazione di investimenti produttivi;
- nonché, per quanto qui interessa, ai fini dell’esecuzione di
lavori edili per soggetti privati, in relazione ai quali era stabilita (art. 39-septies del DL 273/2005 e art. 7 del DM 24
ottobre 2007) una validità trimestrale.
La suddetta estensione a 120 giorni anche della validità dei
DURC per lavori edili privati ha, però, avuto effetto, per
espressa disposizione di legge, solo fino al 31 dicembre
2014.
Ecco, quindi, che, non essendo, nel frattempo, intervenuta
alcuna disposizione di proroga, la validità dei Documenti di
cui si tratta, se rilasciati dal 1° gennaio 2015, deve intendersi nuovamente ridotta a 90 giorni (un trimestre ai sensi dei
citati artt. 39-septies del DL 273/2005 e 7 del DM 24 ottobre
2007). E ciò anche qualora i certificati (aggiornati alla luce
delle novità introdotte dal DL 69/2013) rechino ancora il
riferimento ai 120 giorni.
La situazione cambierà di nuovo una volta che sarà finalmente emanato il DM sulla “smaterializzazione” del Documento di cui all’art. 4 del DL 34/2014, che renderà possibile
la verifica, in tempo reale, della regolarità contributiva di
un operatore mediante un’unica interrogazione nei confronti di INPS, INAIL e Casse edili, il cui esito avrà validità di
120 giorni e sostituirà “ad ogni effetto” il DURC, salvo le
eccezioni che saranno individuate.
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ancora
CONTABILITÀ
Iscrizione immediata delle perdite probabili
sulle commesse
Il nuovo OIC 23 non prevede più la possibilità di scrivere le perdite in un fondo rischi e
oneri
/ Fabrizio BAVA e Alain DEVALLE
Le perdite probabili su commesse devono essere immediatamente portate a decremento dei lavori in corso su ordinazione, mentre non è più prevista l’alternativa di iscrivere un
apposito fondo rischi ed oneri. È questa una delle principali
novità del nuovo OIC 23.
L’impresa può trovarsi, talvolta, nella situazione in cui il
margine di commessa diventi negativo durante il periodo di
costruzione.
Si determina tale fattispecie allorquando l’impresa effettua
varianti, i cui costi non sono accettati dalla controparte, poiché non previsti contrattualmente. In altri casi, invece, è
l’impresa stessa che acquisisce commesse in perdita fin
dall’inizio.
In tali circostanze, in base al principio della prudenza, indipendentemente dal criterio di valutazione adottato, ovvero il
criterio della percentuale di completamento o il criterio della commessa completata, qualora si preveda che, per il completamento di una commessa, si debba sostenere una perdita, tale perdita deve essere riconosciuta nella sua interezza
nell’esercizio in cui si prevede che la commessa determinerà una perdita, riducendo il valore delle rimanenze finali.
Tale perdita deve quindi essere rilevata nell’esercizio in cui
essa viene prevista sulla base di una obiettiva e ragionevole
valutazione delle circostanze di fatto esistenti.
L’OIC 23 stabilisce che le perdite così accertate devono essere riconosciute indipendentemente dallo stato di avanzamento delle commesse stesse e non è possibile compensare
tali perdite con margini positivi previsti su altre commesse:
al fine del riconoscimento delle perdite, le commesse vanno
quindi prese in esame individualmente.
Per quanto detto, non è più consentito lo stanziamento di un
fondo per perdite probabili su commesse, tra i fondi per rischi ed oneri, con l’eccezione del caso in cui la perdita pro-
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babile abbia annullato interamente il valore del magazzino.
Si ipotizzi, ad esempio, un valore finale del magazzino pari a
100.000 euro, in una situazione in cui si prevede una perdita probabile di 150.000 euro.
In questo caso, occorre dapprima azzerare il valore delle rimanenze e poi iscrivere in un fondo rischi ed oneri la restante parte di 50.000.
L’OIC 23 elimina, inoltre, la possibilità di iscrivere i costi
pre-operativi tra le immobilizzazioni immateriali.
Si tratta di quei costi sostenuti dopo l’acquisizione del contratto, ma prima dell’inizio dell’attività di costruzione o del
processo produttivo.
L’iscrizione dei costi pre-operativi dipende dal tipo di
criterio adottato
L’OIC 23 riporta i seguenti esempi di costi pre-operativi:
- i costi di progettazione e quelli per studi specifici per la
commessa, sostenuti dopo l’acquisizione del contratto;
- i costi di organizzazione e di avvio della produzione (per
lavorazioni in stabilimento);
- i costi per l’impianto e l’organizzazione del cantiere, cioè
quelli per l’approntamento delle installazioni di cantiere, per
il trasporto in cantiere del macchinario, per gli allacciamenti.
L’iscrizione dei costi pre-operativi dipende dal tipo di criterio adottato e, in particolare, nel caso di utilizzo del criterio
della commessa completata, essi devono essere rilevati con
gli stessi criteri con cui si rilevano i costi sostenuti per l’esecuzione delle opere, mentre, nel caso di utilizzo del criterio
della percentuale di avanzamento, i costi pre-operativi sono considerati costi di commessa e partecipano, quindi, al
margine di commessa in funzione dell’avanzamento dei
lavori.
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ancora
FISCO
Le obbligazioni emesse da Cassa depositi e
prestiti pagano l’imposta di successione
Sono invece soggette a imposizione sostitutiva del 12,50%
/ Anita MAURO e Mario BONO
Il tema dell’esclusione dalla base imponibile dell’imposta di
successione dei titoli “equiparati” a quelli di Stato fornisce
interessanti spunti di riflessione.
L’art. 12, comma 1, lett. i del DLgs. 346/90, come di recente modificato dall’art. 8 del DL 161/2014 (si veda “Successioni: esenzione per i titoli di Stato esteri” del 28 ottobre
2014), dispone che “non concorrono a formare l’attivo ereditario”, tra il resto, “gli altri titoli di Stato, garantiti dallo
Stato o equiparati, ivi compresi i titoli di Stato e gli altri titoli ad essi equiparati emessi dagli Stati appartenenti all’Unione europea e dagli Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio
economico europeo”.
La norma esclude, quindi, dalla base imponibile dell’imposta di successione:
- i titoli di Stato diversi da titoli del debito pubblico, diversi
dai BOT e dai CCT (indicati nella lettera h della medesima
norma);
- i titoli garantiti dallo Stato;
- i titoli equiparati a quelli dello Stato;
- i titoli di Stato emessi da Stati appartenenti all’Ue o allo
See;
- i titoli equiparati a quelli emessi da Stati appartenenti
all’Ue o allo See.
La categoria dei titoli “equiparati” a quelli dello Stato, tuttavia, non è così semplice da delineare.
In passato, l’Amministrazione finanziaria aveva affermato
(cfr. la R.M. 13 luglio 1999 n. 115), che “nel termine «equiparati» andavano ricompresi tutti i titoli assimilati, sul piano strettamente fiscale, a quelli di Stato e cioè tutti i titoli
riconosciuti esenti da ogni imposta”. In questa risoluzione,
l’Amministrazione concludeva, pertanto, escludendo l’applicazione dell’imposta di successione ai buoni fruttiferi postali.
Sulla base di tale impostazione, ci si potrebbe domandare
quale sia il regime fiscale applicabile, dal punto di vista
dell’imposta di successione, alle obbligazioni recentemente
emesse da Cassa depositi e prestiti.
Per quanto concerne le imposte dirette, infatti, con un’apposita disposizione (art. 22-quinquies comma 1 lett. a) del DL
24 giugno 2014), il legislatore ha fatto in modo che tali obbligazioni godessero di un regime fiscale di favore, disponendo l’applicazione dell’imposta sostitutiva del 12,50%.
Tuttavia, la norma suddetta non ha assimilato “in toto” il re-
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 17 MARZO 2015
gime fiscale delle obbligazioni emesse da Cassa depositi e
prestiti a quello dei titoli di Stato, ma ha solo previsto che
“gli interessi e gli altri proventi” dei buoni fruttiferi postali e
degli altri titoli emessi da Cassa depositi e prestiti “sono
soggetti al regime dell’imposta sostitutiva delle imposte sui
redditi nella misura applicabile ai titoli” di cui all’art. 31
del DPR 601/73 (ovvero, i titoli del debito pubblico italiano
ed equiparati).
Ne deriva che, dal punto di vista dell’imposta sulle successioni, tali obbligazioni scontano il regime ordinario (non
essendo neppure “garantite” dallo Stato, come, invece, i
buoni fruttiferi postali).
Altra questione è, poi, quella dei titoli emessi da enti o organismi internazionali, che è stata oggetto di un recente question time (interrogazione n. 5-04999) in Commissione Finanze alla Camera, nel quale veniva chiesto se siano oggetto
di prelievo successorio le obbligazioni emesse dal Fondo
Salva Stati Europeo (European Financial Stability
Facility).
È bene precisare, a tale proposito, che l’art. 12 comma 13bis del DLgs. 461/97 dispone che “i titoli emessi da enti e
organismi internazionali costituiti in base ad accordi internazionali resi esecutivi in Italia sono equiparati a tutti gli effetti fiscali ai titoli dello Stato italiano”. La citata norma consente, quindi, di stabilire quali titoli, emessi da enti e organismi internazionali, possano considerarsi “equiparati” ai titoli
di Stato e, di conseguenza, esclusi dall’imposta di successione a norma dell’art. 12 comma 1 lett. i del DLgs. 346/90.
Sulla base di tali principi, ad esempio, è possibile affermare
l’esclusione dall’imposta di successione dei titoli emessi
dalla BEI (Banca europea per gli investimenti, costituita con
accordo ratificato dalla L. 31 ottobre 1961 n. 1231) o dalla
CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio, costituita con accordo ratificato con L. 3 maggio 1966 n. 437).
Stupisce, pertanto, che, nel rispondere al quesito, venga
omessa la verifica della ratifica dell’accordo con cui è stato
costituito il FESF (Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria)
ed, invece, si escluda l’esenzione ragionando sul campo di
applicazione delle nuove esenzioni introdotte dal DL
161/2014 (per i titoli emessi da Stati esteri), che, però, si
fondano su un altro e diverso criterio di esenzione e non
escludono quello della possibile “equiparazione” coi titoli
dello Stato Italiano.
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ancora
FISCO
Sospensione per querela di falso solo nel
ricorso contro l’accertamento
La Regionale di Milano dà un rilievo all’autonomia dei due provvedimenti impositivi
/ Alfio CISSELLO
L’art. 39 del DLgs. 546/92 prevede che il processo tributario deve essere sospeso quando “è presentata querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale una questione
sullo stato o la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio”, e la sospensione dura sino al
passaggio in giudicato della sentenza sulla predetta querela.
Può essere l’ipotesi in cui il contribuente ritiene che, in merito alla notificazione dell’atto, la relata di notifica o l’avviso
di ricevimento siano stati falsificati dall’agente notificatore
o da altro soggetto, essendo indifferente che si tratti di falsità materiale o ideologica.
Nella menzionata fattispecie, trattasi di atti pubblici, la cui
veridicità, in merito ai fatti attestati dal pubblico ufficiale (si
pensi all’apposizione della data) sono assistiti da pubblica
fede, per cui “intaccabili” solo con querela di falso dinanzi al
giudice civile (ove, peraltro, è ammessa senza problemi la
prova testimoniale).
In primo luogo, rammentiamo che il giudice tributario non
ha, sempre e comunque, l’obbligo di sospendere il processo quando è stata presentata, in sede civile, la querela di falso, in quanto deve verificare la rilevanza del documento (oggetto di querela) ai fini della decisione (Cass. nn. 4003 del
2009 e 8046 del 2013).
Potrebbe succedere che la querela di falso sia stata presentata in merito alla relata di notifica concernente l’atto “presupposto” (avviso di accertamento) e che il contribuente, ottenuta la sospensione del processo contro tale atto, intenda
sollecitare la sospensione ai sensi dell’art. 39 del DLgs.
546/92 anche nel processo contro l’atto consequenziale (ruolo, avviso di liquidazione, intimazione ad adempiere).
Della questione si è occupata la Commissione tributaria regionale di Milano sezione di Brescia (sentenza n. 697 del
2015), ove i giudici hanno fornito una risposta negativa, in
quanto “la querela di falso non è afferente un atto del presente procedimento, ma si riferisce alla notificazione degli
avvisi di rettifica oggetto di altro giudizio”.
Si dà rilievo, quindi, all’autonomia dei due atti
(accertamento e cartella di pagamento, oppure, volendo
riferirsi al caso oggetto della sentenza, accertamento e
avviso di liquidazione), che, siccome distinti, godono di vita
propria.
La Corte di Cassazione, in effetti, ha diverse volte affermato
che il processo instaurato contro l’atto susseguente non può
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 17 MARZO 2015
essere automaticamente sospeso per la pendenza del ricorso contro l’atto presupposto (Cass. nn. 17937 del 2004 e
28542 del 2011), stante l’autonomia dei due giudizi.
Detta tesi, sul lato strettamente tecnico, può ritenersi corretta, a livello di principio. Nel momento in cui si ricorre contro l’accertamento, l’atto di riscossione ha “vita propria” sino a quando l’accertamento non è annullato dal giudice.
Non a caso, la riscossione prosegue legittimamente nella misura in cui la legge lo consenta, e ciò, come sappiamo, dipende dal tipo di tributo in considerazione.
Ma questa conclusione davvero può essere accettata
nell’ipotesi della querela di falso, sebbene, tecnicamente, potrebbe risultare corretta?
Sospensione non dovuta ma quanto meno opportuna
Entrano in gioco anche i tempi della giustizia civile, che non
sono biblici solo nel grado di legittimità come nel contenzioso tributario, ma in tutti i gradi del giudizio.
Se il contribuente presenta querela di falso, il processo contro l’accertamento deve, ex art. 39 del DLgs. 546/92, essere
sospeso, e magari sta sospeso per più di vent’anni, se le sentenze di merito vengono impugnate (tant’è che, con una decisione poi chiaramente cassata dalla Suprema Corte, è successo che un giudice tributario abbia dopo anni “riattivato”
il processo perché quello civile “non finiva più”, si veda la
fattispecie esaminata dalla sentenza della Cassazione n. 9389
del 2007).
Detto tanto, siamo davvero sicuri che il giudice investito del
ricorso contro l’avviso di liquidazione o la cartella di pagamento non possa sospendere il processo?
Non sembrano sussistere profili di illegittimità nell’eventuale ordinanza di sospensione, sol perché accertamento e atto
esattivo sono provvedimenti distinti.
Del resto, il processo sull’atto presupposto dipende dalla decisione del giudice civile sulla querela di falso, la quale, a
parte i tecnicismi sull’autonomia dei due atti, per forza di cose finisce con il ripercuotersi sull’atto esattivo.
È indubbio che se il giudice civile dice che nella relata di notifica o nell’avviso di ricevimento postale è apposta una data
o una firma falsa, e per questo l’accertamento viene dichiarato inesistente in quanto non notificato, viene meno anche
l’atto susseguente.
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IMPRESA
Prescrizione interrotta solo con regolare
notifica di citazione per gli enti
La natura degli atti interruttivi della prescrizione si riflette sulla natura della
responsabilità degli enti
/ Maria Francesca ARTUSI
Un caso recentemente portato all’attenzione del Tribunale di
Brescia (sentenza del 20 febbraio 2015) permette un approfondimento sul tema della prescrizione nel caso di responsabilità da reato ascritta agli enti. Una società a responsabilità limitata veniva citata a giudizio per rispondere dell’illecito di cui all’art. 25-septies del DLgs. 231/2001 a seguito
della commissione del reato presupposto di lesioni personali colpose connesse alla violazione della disciplina per la
prevenzione di infortuni sul lavoro (art. 590 comma 3 c.p.).
L’ente chiedeva, tuttavia, che fosse pronunciata sentenza di
non doversi procedere per intervenuta prescrizione dell’illecito, essendo decorsi cinque anni tra la data del commesso
reato e la data della notifica del decreto di citazione a giudizio.
La questione controversa riguarda la natura della disciplina
in materia di prescrizione come prevista dal DLgs. 231/2001
(con particolare riguardo agli artt. 22 e 59) che, se riportata
nell’ambito delle norme civilistiche/amministrative, richiederebbe di fare riferimento non alla semplice emissione del
decreto, bensì alla sua regolare notificazione all’ente. L’art.
22 del DLgs. 231/2001 stabilisce, innanzitutto, che “le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque
anni dalla data di consumazione del reato”. Pertanto, le disposizioni sulla prescrizione (e dell’interruzione di essa) appaiono autonome e svincolate dal regime ordinario previsto
per il “reato presupposto”. La medesima norma individua al
comma 2, quali cause interruttive, la richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive e la contestazione
dell’illecito amministrativo ai sensi dell’art. 59 del DLgs.
231/2001. Sia l’art. 22 che l’art. 59 fanno riferimento testuale alla “contestazione dell’illecito” all’ente, terminologia che – a parere della sentenza in commento – rimanda necessariamente all’emissione di un atto, il cui contenuto
(l’enunciazione del fatto) deve essere portato a conoscenza
del destinatario.
Da ciò si può desumere la natura recettizia dell’atto di citazione a giudizio nei confronti dell’ente, carattere tipicamente civilistico – stante anche l’identica formulazione dell’art.
2495 c.c. – sconosciuto, invece, alla disciplina della prescrizione del codice penale (art. 160 c.p.) che si limita ad
elencare in modo statico specifici atti processuali la cui efficacia interruttiva è subordinata alla mera emissione. Tali
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 17 MARZO 2015
conclusioni trovano conforto a livello sistematico anche nella disciplina generale in materia di sanzioni amministrative
ove il regime dell’interruzione della prescrizione è regolato
secondo le norme del codice civile, come espressamente
previsto dall’art. 28 della L. 689/1981.
La tesi seguita dal Tribunale bresciano appare avallata anche dalla giurisprudenza di legittimità nelle pronunce in
cui ha precisato che, in applicazione analogica di quanto stabilito dagli artt. 2943 e 2945 c.c., quando la cognizione del
giudice penale sia estesa ad un illecito amministrativo connesso al reato, il processo iniziato a seguito di rapporto regolarmente notificato all’interessato (ex artt. 14 e 24 L. n. 689
del 1981) produce l’effetto di interrompere la prescrizione
anche dell’illecito punito con la sanzione amministrativa,
fino al passaggio in giudicato della sentenza penale (Cass. n.
20060/2013 e Cass. n. 10649/2012). Tale questione si riflette pertanto sulla natura della responsabilità stessa prevista
nei confronti delle persone giuridiche. Come è noto, ampio è
il dibattito sulla reale essenza di tale responsabilità, solo parzialmente risolto dalla pronuncia delle Sezioni Unite nel processo avverso la società Thyssenkrupp che ha configurato
l’esistenza di un tertium genus che reca in sé elementi ibridi del diritto penale e del diritto amministrativo e civile
(SS.UU. n. 38343/2014).
Indubbiamente, esiste una certa autonomia tra l’azione avverso l’autore del reato persona fisica e quella che chiama in
causa la persona giuridica nel cui interesse o vantaggio è
stato commesso l’illecito; autonomia che si riflette anche sul
diverso regime degli atti interruttivi della prescrizione. La
domanda che resta aperta, tuttavia, è quanto sia giustificabile tale disciplina ibrida soprattutto alla luce della normativa
sovranazionale. Proprio a proposito della regolamentazione
della prescrizione va, infatti, ricordato che un rapporto del
Working Group on Bribery (WGB) del maggio 2014, in ambito OCSE, ha rilevato che la disciplina italiana di questo
istituto suscita dei dubbi rispetto all’efficacia dell’azione di
lotta internazionale contro la corruzione anche in virtù del
fatto che il termine previsto per le persone giuridiche è differente rispetto a quello applicabile alle persone fisiche (si
veda “Responsabilità «231» degli enti inficiata dalla brevità
dei termini di prescrizione” del 10 novembre 2014).
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PROFESSIONI
Assicurazione professionale, attesa per il
parere dell’IVASS
Testo già in consultazione all’Agenzia, il via libera dell’Authority dovrebbe arrivare a
giorni
/ Savino GALLO
Dovrebbe arrivare nel giro di un paio di giorni il via libera
dell’IVASS (Istituto di vigilanza sulle assicurazioni)
sull’estensione delle polizze assicurative alle sanzioni inflitte direttamente nei confronti del professionista, in caso di
visto di conformità infedele sui 730 precompilati.
L’Authority per le assicurazioni era stata ufficialmente investita della questione, nel corso dell’incontro tenutosi la scorsa settimana presso la sede centrale delle Entrate, non solo
dai rappresentanti dell’Amministrazione finanziaria e dei
professionisti, ma anche dalle stesse imprese assicuratrici,
che volevano vederci chiaro prima di procedere con
l’estensione della garanzia richiesta dall’art. 6 del DLgs.
175/2014 (si veda “Assicurazione professionale, a breve i
chiarimenti dell’IVASS” del 12 marzo).
Tale provvedimento ha imposto a tutti gli intermediari che
vorranno ricevere l’abilitazione al rilascio dei visti di conformità non solo l’aumento del massimale minimo della polizza (portato a 3 milioni di euro), ma anche l’estensione della
copertura assicurativa all’imposta, le sanzioni e gli interessi che sarebbero stati richiesti al contribuente.
Una previsione che, però, si scontra con l’attuale quadro giuridico, che prevede un vincolo di non assicurabilità per le
sanzioni irrogate direttamente nei confronti del
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 17 MARZO 2015
professionista intermediario.
Di qui, la richiesta di chiarimenti che, come detto, dovrebbero arrivare a stretto giro di posta. Secondo alcune voci di
corridoio, infatti, l’Authority per le assicurazioni avrebbe già
inviato, in via informale, il parere all’Agenzia delle Entrate
e, in un paio di giorni, dovrebbe renderlo noto. Un parere
che, da più parti, si ritiene possa essere favorevole, se non
altro per il grosso investimento del Governo, anche a livello
mediatico, sull’operazione 730 precompilato.
Ottenuto il via libera, si potrà aprire il capitolo prezzi, altro
elemento critico che potrebbe indurre i commercialisti a rinunciare all’abilitazione al rilascio dei visti di conformità.
Questo, almeno, il rischio paventato dal Consigliere nazionale del CNDCEC, Luigi Mandolesi, che ha già chiesto “prezzi di mercato accessibili” per i professionisti.
Si parla, infatti, di aumenti considerevoli dei premi e, se
tale ipotesi dovesse essere confermata, i commercialisti
saranno ovviamente costretti a ragionare in termini di
convenienza.
Altrettanto importante, dunque, anche la fase di negoziazione con le compagnie assicurative, che dovrà necessariamente anch’essa aprirsi in tempi molto rapidi, considerato che
l’operazione partirà il prossimo 15 aprile.
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ancora
FISCO
Più ampio il nuovo elenco dei prodotti
oggetto di attività agricole
Il DM 13 febbraio 2015 individua i nuovi beni ex art. 32, comma 2, lettera c) del TUIR
ai fini del reddito agrario, aggiornando la tabella del 2011
/ REDAZIONE
Si allunga l’elenco dei prodotti che possono essere oggetto
delle attività agricole connesse previste dall’art. 32, comma 2, lettera c) del TUIR.
Il decreto del MEF del 13 febbraio 2015, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 62 di ieri, 16 marzo 2015, sostituisce la
tabella del DM 17 giugno 2011 confermandola in tutte le sue
voci ed incrementandola; sono dunque attività produttive di
reddito agrario anche:
- la produzione di paste alimentari fresche e secche;
- la produzione di sciroppi di frutta;
- la manipolazione dei prodotti derivanti dalla silvicoltura,
che comprendono la segagione e la riduzione in tondelli,
tavole, travi ed altri prodotti simili compresi i sottoprodotti, i
semilavorati e gli scarti di segagione delle piante.
Per l’art. 2 del DM 13 febbraio 2015, la nuova tabella ha effetto dal periodo di imposta successivo a quello in corso al
31 dicembre 2013.
Si ricorda che ai sensi dell’art. 32 del TUIR il reddito agrario è costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei
terreni imputabile al capitale d’esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno,
nell’esercizio di attività agricole su di esso.
Ai sensi del comma 2 sono considerate attività agricole:
- le attività dirette alla coltivazione del terreno e alla silvicoltura;
- l’allevamento di animali con mangimi ottenibili per alme-
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 17 MARZO 2015
no un quarto dal terreno e le attività dirette alla produzione
di vegetali tramite l’utilizzo di strutture fisse o mobili, anche provvisorie, se la superficie adibita alla produzione non
eccede il doppio di quella del terreno su cui la produzione
stessa insiste;
- le attività di cui al terzo comma dell’art. 2135 c.c., dirette
alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, ancorché non svolte sul
terreno, di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, con
riferimento ai beni individuati, ogni due anni, con decreto
del Ministro dell’Economia e delle finanze su proposta del
Ministro delle Politiche agricole e forestali.
Il precedente decreto del 17 giugno 2011 aveva portato alcune trasformazioni (si veda “Reddito agrario: aggiornato
l’elenco del 2010” del 2 luglio 2011); in particolare, al posto
di “produzione di prodotti di panetteria freschi” era stata inserita la “produzione di pane”. Venivano così esclusi dal
regime di favore tutti i prodotti “da forno” quali cialde e
pizzette.
Il DM 13 febbraio 2015, invece, accoglie la richiesta del Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali di confermare le attività della tabella allegata al precedente decreto e di inserire ulteriori attività. Le voci sono individuate
sulla base della classificazione delle attività economiche
“ATECO 2007”.
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Elenco delle attività agricole connesse
Produzione di carni e prodotti della loro macellazione (10.11.0 -10.12.0)
Produzione di carne essiccata, salata o affumicata, salsicce e salami (ex 10.13.0)
Lavorazione e conservazione delle patate, escluse le produzioni di purè di patate disidratato, di snack a base di patate, di patatine
fritte e la sbucciatura industriale delle patate (ex 10.31.0)
Produzione di succhi di frutta e di ortaggi (10.32.0)
Lavorazione e conservazione di frutta e di ortaggi (10.39.0)
Produzione di olio di oliva e di semi oleosi (01.26.0 - 10.41.1 -10.41.2)
Produzione di olio di semi di granturco (olio di mais) (ex 10.62.0)
Trattamento igienico del latte e produzione dei derivati del latte (01.41.0 - 01.45.0 - 10.51.1 - 10.51.2)
Lavorazione delle granaglie (da 10.61.1 a 10.61.3)
Produzione di farina o sfarinati di legumi da granella secchi, di radici o tuberi o di frutta in guscio commestibile (ex 10.61.4)
Produzione di pane (ex 10.71.1)
Produzione di paste alimentari fresche e secche (ex 10.73.0)
Produzione di vini (01.21.0 - 11.02.1 - 11.02.2)
Produzione di grappa (ex 11.01.0)
Produzione di aceto (ex 10.84.0)
Produzione di sidro e di altri vini a base di frutta (11.03.0)
Produzione di malto (11.06.0) e birra (11.05.0)
Disidratazione di erba medica (ex 10.91.0)
Lavorazione, raffinazione e confezionamento del miele (ex 10.89.0)
Produzione di sciroppi di frutta (ex 10.81.0)
Produzione e conservazione di pesce, crostacei e molluschi, mediante congelamento, surgelamento, essiccazione, affumicatura,
salatura, immersione in salamoia, inscatolamento, e produzione di filetti di pesce (ex 10.20.0)
Manipolazione dei prodotti derivanti dalle coltivazioni di cui alle classi 01.11, 01.12, 01.13, 01.15, 01.16, 01.19, 01.21, 01.23,
01.24, 01.25, 01.26, 01.27, 01.28 e 01.30, nonché di quelli derivanti dalle attività di cui ai sopraelencati gruppi e classi
Manipolazione dei prodotti derivanti dalla silvicoltura di cui alle classi 02.10.0-02.20.0, comprendenti la segagione e la riduzione in
tondelli, tavole, travi ed altri prodotti similari compresi i sottoprodotti, i semilavorati e gli scarti di segagione delle piante
Direttore Responsabile: Michela DAMASCO
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