La lingua della fiction italiana

La lingua della fiction italiana
Debora de Fazio
[Questo intervento è la rielaborazione della prima parte dell‟omonimo saggio
pubblicato in La serialità televisiva. Lingua e linguaggio nella fiction italiana e
straniera, Galatina, Congedo, a cura di Marcello Aprile e Debora de Fazio, pp. 51163]
1. Premessa
Nella lingua della serialità televisiva trasmessa dalle reti italiane si è stabilizzato da
tempo un quadro in cui il parallelismo tra la lingua del cinema e quella della fiction
è pressoché completo e «si delineano sempre più due opposti filoni: da un lato
l‟italiano senza accento dei film stranieri doppiati (salvo eccezioni come i […] film
di ambientazione italoamericana e in particolar modo quelli di mafia), dall‟altro
l‟italiano regionale della produzione nostrana, che raramente rinuncia a inscenare
almeno un personaggio diatopicamente connotato» (Rossi 2006: 346). Eccezioni
comprese (I Soprano, serie di mafia di ambientazione, appunto, italoamericana), si
tratta della medesima situazione della fiction: quella straniera si presenta in
doppiaggese, quella italiana con uno spazio considerevole per la regionalità.
Non affronteremo in questo intervento la lingua delle fiction doppiate, che merita
una trattazione a parte, e ci concentreremo su una panoramica per forza di cose
sommaria e senza pretesa di esaustività sulle fiction di produzione nostrana, che,
come accade nelle commedie all‟italiana (lasciamo ancora la parola a Rossi 2006:
346),
sfruttano certi chichés linguistici (corrispondenza tra dialetto e mestiere, carattere o attore) destinati
a grande fortuna, spesso ancora oggi (si pensi ai personaggi borghesi interpretati dai caratteristi
milanesi Massimo Boldi o Jerry Calà, per esempio). Tali stereotipi sono in parte frutto del luogo
comune e del pregiudizio, in parte mediati dal teatro della tradizione (dalla commedia
cinquecentesca a quella goldoniana e all‟opera buffa) e dalla Commedia dell‟Arte: il sessuomane e
il poliziotto hanno l‟accento siciliano, l‟ingenuo quello bergamasco, veneto o ciociaro, il cocciuto il
sardo, l‟arrivista senza scrupoli il milanese, la domestica il veneto o l‟abruzzese, l‟imbroglione il
napoletano, la prostituta il bolognese. Buono per tutti gli usi filmici, anche decontestualizzato, è poi
il romanesco più o meno ibridato.
Nonostante la scelta per forza di cose ristretta rispetto al corpus disponibile,
contiamo comunque, attraverso le poco meno di quaranta fiction analizzate
(suddivise tra nove generi diversi), di fornire un quadro di una certa ampiezza e
rappresentatività.
L‟italiano regionale (e, al suo interno, poche subvarietà urbane standardizzate,
come siciliano, napoletano, milanese, bolognese, torinese e naturalmente
romanesco, o meglio italiano de Roma, secondo una felice formula che si deve a
1
Vignuzzi 1994: 29) e l‟italiano dell‟uso medio sono quindi le varietà della fiction
italiana, con qualche eccezione tendente verso l‟alto; sembra mancare quasi del
tutto l‟italiano popolare, varietà che pure nel cinema del Neorealismo (si veda
l‟indimenticabile duetto della lettera dettata da Totò a Peppino) e nella commedia
all‟italiana di taglio popolare (Fantozzi, innanzitutto) è autorevolmente
rappresentato. Qualche limitatissimo inserto è nei personaggi affidati di volta in
volta a determinati attori come Nino Frassica (per es. «hanno trovato un cadavere
morto» in Butta la luna 2,1). L‟onnipresenza della regionalità nella fiction italiana
è resa ancora più evidente dall‟assenza nei temi da essa trattati di interi generi a cui
nel cinema è rigorosamente riservato l‟italiano: la fantascienza, lo spionaggio, il
western. Parallelamente, anche le puntate verso l‟alto sembrano essere assai
limitate. Per motivi altrettanto ovvi, prevale invece la pronuncia standard (quella
del doppiaggese) in casi specifici, come il “due puntate” Karol Wojtyla. Un uomo
diventato papa, ambientato per intero in Polonia, in cui l‟ambientazione regionale
italiana non avrebbe avuto senso.
Se il rapporto cinema straniero doppiato / italiano è sovrapponibile senza difficoltà
a quello fiction straniera doppiata / fiction italiana, va invece rilevato il fatto che è
più sfumata da noi una certa differenziazione “funzionale” tra attori della serialità
televisiva e attori del cinema che è attuata invece in modo relativamente rigido
negli Stati Uniti, dove è difficile che un attore di Hollywood si cimenti in un serial
tv, e viceversa. Le eccezioni come Robin Williams, George Clooney o Jennifer
Aniston, passati da Mork e Mindy, ER e Friends al grande schermo, sono piuttosto
evidenti: di solito si tratta di circuiti che rimangono relativamente estranei (nelle
comparse o nelle figure di sfondo la separazione è meno rigida). Sarà quindi
difficile vedere Matthew Fox, il magnetico protagonista di Lost, competere per
l‟Oscar. La fiction italiana trabocca invece di attori cinematografici, da Lino Banfi
a Margherita Buy, fino ai mostri sacri come Nino Manfredi e Gigi Proietti,
compensando così in parte un certo deficit recitativo, spesso criticamente
riscontrato nei prodotti nostrani, che può arrivare a livelli grotteschi quando ci si
affida a volti noti dello spettacolo o dello sport per una sorta di effetto traino sul
pubblico, come nel caso di Butta la luna con Fiona May, grande saltatrice in lungo
nella vita quanto imbarazzante nella recitazione. Il percorso è però a senso unico e
non pare prevedere la via contraria: non sembra, per ora, che ci siano casi di attori
“da fiction” che abbiano poi recitato con ruoli importanti nel cinema.
Esaminare la lingua della fiction significa innanzitutto studiare il parlato, come dice
una definizione ormai classica, formulata da M. Gregory e ripresa da Lavinio 1986:
19 e da Rossi 2006: 12, «scritto per essere detto come se non fosse scritto». Non
bisogna pertanto analizzarla solo o prevalentemente con l‟obiettivo di leggere in
controluce i processi del parlato spontaneo o il complesso equilibrio dinamico tra
varietà diatopicamente connotate e varietà nazionale – ciò rappresenta semmai un
esito secondario –; la fondamentale distinzione tra italiano scritto, italiano parlato
(nella comunicazione faccia a faccia) e italiano trasmesso, introdotta da Francesco
Sabatini «per rendere più riconoscibile questa specificità comunicativa che
sembrava ancora confondersi, nell‟opinione di molti, con il parlato in genere»1,
1
La citazione è tratta da Sabatini 1997: 11; cfr. anche Sabatini 1985: 154-184; 1990: 103-127.
2
vale senz‟altro anche in questo caso e rappresenta anzi una delle linee guida nella
stesura di questo lavoro.
La lingua della fiction è strutturata secondo gli obiettivi comunicativi degli autori e
non appare pertanto come una rappresentazione necessariamente realistica
dell‟italiano parlato nella società contemporanea. Appare pertanto fondamentale
analizzare la fiction italiana:
(a) in relazione ai modelli sociali e linguistici che genera o che può generare, in
consonanza con la funzione modellizzante da tempo individuata nella letteratura
sociologica per la tv, che costruisce rappresentazioni semplificate della realtà;
(b) in relazione all‟obiettivo comunicativo, cioè alle differenze tra i generi della
fiction e alla distanza linguistica tra un genere e l‟altro e, all‟interno dei generi, tra
un‟opera e l‟altra.
Nella fiction italiana contemporanea vanno intanto rilevati due fatti generali che la
differenziano rispetto a quella del passato:
(a) in rapporto agli sceneggiati della paleotelevisione, fondati sulla riduzione di
grandi opere letterarie con riconoscimento esplicito di un primato culturale del
teatro rispetto al mezzo televisivo: oggi qualunque vicenda, dalla vita di un santo
alla cronaca nera, dall‟indagine poliziesca alla storia ambientata nel passato e in
costume può essere oggetto di fiction. In definitiva, rispetto alla fiction della
paleotelevisione, abbiamo così una certa moltiplicazione dei generi;
(b) conseguenza della moltiplicazione al punto precedente è una commistione
piuttosto forte tra essi2; e se il fenomeno è coerente con quello in atto in tutto il
mondo occidentale, in Italia assume sue proprie peculiarità, in qualche caso anche
negative. Ne soffrono per es. i generi di tipo professionale, in primo luogo
medical e polizieschi, continuamente attenuati da ibridazioni con la commedia,
con il melodramma e con tentativi variamente realizzati di approfondimento degli
aspetti psicologici e delle vicende private dei protagonisti.
Tra i fattori di continuità della fiction paleo- e neotelevisiva rileviamo invece, a
dispetto delle apparenze, la tendenza pedagogico-educativa, solo più esplicita nei
vecchi sceneggiati, ma presente in dosi più massicce di quanto non si pensi anche
in quelli di oggi3. Ovviamente la società è cambiata e di conseguenza sono mutati
gli endoxa, ma quel che importa è il principio: la narrazione seriale americana
rappresenta, di solito impietosamente, contraddizioni, mentre quella italiana tende
spesso, forse troppo spesso, a “lanciare messaggi”.
Come si diceva appena sopra, continua ad essere scarsa, nella produzione italiana,
l‟attenzione alle professionalità (Natale 1998: 76), escludendo eccezioni forse
proprio perciò evidenti come RIS Delitti imperfetti. Tale scarsa propensione
all‟ambientazione professionale può giustificarsi in parte, come osserva Rossi
2006: 402-403, con «la necessità di salvaguardare una piana comprensione» da
parte del pubblico; tuttavia nella serialità straniera, in primo luogo americana,
2
Il fenomeno è più generale e non riguarda solo i confini tra i generi della fiction, ma è uno degli
aspetti fondanti della neotelevisione (cfr. almeno Colombo 1998, Sorice 2002 e 2004).
3
Il neopedagogismo della narrazione televisiva è lamentato già da Aldo Grasso, Corriere della
Sera, 14 dicembre 2003, p. 38. Cfr. anche Grasso 2007: 6, e, sui rischi di conformismo, anche Vox
1999: 59 e 60.
3
l‟attenzione alla terminologia ha precisi scopi comunicativi che non sembrano
disturbare il pubblico locale (e neppure il nostro).
Riflessi linguistici immediati di tale scarsa attenzione si riscontrano soprattutto nel
lessico, ma anche, come conseguenza secondaria, nell‟uso delle varietà
dell‟italiano. Sembra di poter affermare che in generale quanto più un personaggio
si caratterizza professionalmente tanto più esclude l‟italiano regionale dal proprio
ventaglio linguistico, e viceversa. Anche in questo caso spiccano le eccezioni,
come Il commissario Montalbano.
Una differenza fondamentale rispetto alla fiction americana consiste poi nella
redistribuzione dei generi e ha condizionato anche la nostra scansione. In Italia
manca quasi del tutto, per esempio, il legal, e in generale la presenza di avvocati
nelle fiction italiane è largamente sottodimensionata, innanzitutto per motivi di
scenario sociale e istituzionale: nel sistema accusatorio classico (anglosassone)
anche il pubblico ministero, il rappresentante dell‟accusa, è un avvocato, non un
magistrato come in Italia, e ciò riduce di almeno la metà i possibili spunti narrativi.
A parziale compensazione aumenta lo spazio per i magistrati, soprattutto per i
pubblici ministeri: negli anni Novanta, per es., possiamo citare Un cane sciolto, Il
giudice istruttore (basato sulle vicende reali di Ferdinando Imposimato), Il
magistrato. Nonostante ciò le aule di tribunale sono considerate come un soggetto
poco adatto alla fiction italiana.
Per motivi sociali analoghi mancano quasi del tutto fiction basate su figure di
giornalisti d‟inchiesta, che «non hanno nella tradizione italiana la stessa funzione
eroica che hanno invece spesso acquisito nel mondo anglosassone» (Sorice 2004:
59). La fiction Giornalisti (Canale 5, aprile 2000) viene addirittura spostata al
pomeriggio sulla base del fatto che, come osserva crudamente Maurizio Costanzo,
«il pubblico non si è affezionato, del resto le storie d‟amore sono troppo legate alla
vita di redazione: molti telespettatori si sentono tagliati fuori. Io l‟avevo detto che i
giornalisti non interessano alla gente, ma secondo un test del marketing non era
così» (dichiarazione a Maria Volpe, Corriere della Sera, 21 aprile 2000, p. 37).
Va poi quasi da sé che in Italia manca la fantascienza. Il primo e probabilmente
ultimo esperimento del genere è uno sceneggiato risalente al 1972 che si chiama A
come Andromeda (regia di Vittorio Cottafavi). Neanche una traccia si ha delle
storie di spionaggio: se alla CIA e all‟FBI sono state dedicate, nel bene e nel male,
decine di storie, la difficoltà di mettere in scena il SISDE o il SISMI dev‟essere
apparsa insormontabile. In più, e diversamente rispetto alla narrazione seriale
americana, abbondano i sacerdoti, tanto che le fiction che li contano come
protagonisti, da Don Matteo a Un prete tra noi, sono incluse da Sorice 2004: 58
nella categoria di quelle “professionali”. Ovviamente, da un punto di vista
puramente lessicale, il sacerdote non fa un mestiere o una professione, ma dal
punto di vista dei generi è come se fosse così.
Questo studio presenta, rinviando alle singole schede considerazioni particolari, un
panorama generale sulle strategie linguistiche poste in atto dagli sceneggiatori per
scrivere le miniserie (il formato più diffuso) e le serie televisive prodotte in Italia,
con ambientazione e scenari territoriali italiani.
Non si farà riferimento alla modalità fondamentale del formato della fiction,
tradizionalmente piuttosto breve nella tv italiana delle miniserie anche se non
4
mancano tentativi di tipo diverso, dalla serie a episodi alla serie all’italiana, o
semplicemente italiana, come si tende a dire in alternativa per motivi di correttezza
politica (cfr. su questo anche Rossi 2006: 345 n 1). L‟ipotesi di partenza è che il
genere, più che il formato, condizioni l‟italiano degli sceneggiatori.
2. Stato degli studi e base di partenza metodologica dell’analisi
Fino a qualche anno fa, i principali studi sulla testualità del prodotto televisivo
erano focalizzati soprattutto, se non esclusivamente, sugli aspetti sociologici e
semiotici del fenomeno. Certo, riferimenti alla testualità televisiva come prodotto
linguistico non sono mancati a partire dagli anni Sessanta, ma, a parte i pionieristici
studi sul ruolo della televisione come “scuola di lingua” vista all‟interno del
processo di italianizzazione del nostro paese e sul suo statuto di lingua mista
caratterizzata dalla compresenza di tipologie molto differenziate di parlato (tra gli
altri: Medici 1961; De Mauro 1963 e 1968; Sobrero 1971), più tardi sulla sua
funzione di specchio delle varietà linguistiche dell‟italiano (Simone 1987), sul
cambiamento di impostazione subentrato con la nascita delle reti private e poi con
l‟affermarsi del duopolio Rai-Mediaset (Raffaelli 1994), sulle caratteristiche di
questa lingua come varietà trasmessa, peculiare rispetto a quella scritta ma anche a
quella parlata (Sabatini 1990 e 1997), anche con un approccio più generale
(Diadori 1994; Nacci 2003; Antonelli 2007), o su alcuni aspetti complessivi
(Sorella 1981; Cortelazzo 1988; Renzi 2000), vari lavori con considerazioni e
osservazioni critiche diverse (Beccaria 2002; Dardano 2002; Masini 2003; Petralli
2003), o più generalmente dedicati all‟informazione (Bonomi 2005 e Loporcaro
2006), mancava, fino a qualche anno fa, la disponibilità di dati quantitativi su cui
basare una descrizione esauriente dei fenomeni che caratterizzano questa lingua. Se
si fa eccezione per il Lessico di frequenza dell’italiano parlato (De MauroMancini-Vedovelli-Voghera 1993), che comprende una sezione di testi trasmessi
(radiofonici e televisivi) e di vari e importanti studi sul parlato4, non esistevano,
fino al nuovo millennio, progetti sistematici di studio sul parlato televisivo. Con i
lavori di Sardo-Centorrino-Cavieziel 2004 e Baldi-Savoia 2005 sulla tv per ragazzi
e di Alfieri 2005 e Alfieri-Rapisarda 2007 il panorama è cominciato a cambiare.
Un salto di qualità si è avuto con il volume miscellaneo curato da Alfieri-Bonomi
(2008) sugli italiani televisivi, nella considerazione che «l‟italiano televisivo si
differenzi in modo anche radicale al suo interno» (Alfieri-Bonomi 2008: 7). Il libro
prende in analisi diverse tipologie di prodotti, dall‟informazione alla divulgazione
scientifico-culturale, dall‟intrattenimento allo sport, dalla tv per ragazzi alla fiction.
Il presente lavoro intende inserirsi in questa trafila di studi, incentrando la sua
attenzione solo su una tipologia di parlato televisivo, quello della fiction.
Nell‟ambito del trasmesso televisivo, già sistema intermedio tra lingua scritta e
lingua parlata (Sabatini 1990), il parlato trasmesso recitato, o “calcolato” (secondo
la definizione di Alfieri 2006: 171), si configura come lingua artificiale, che si pone
necessariamente in bilico tra il parlato-scritto della sceneggiatura e la necessità di
mimesi del parlato. Possiamo quindi senz‟altro ascrivere la lingua della fiction alla
4
Cfr. almeno il panorama tracciato da E. Burr (2005) nell‟introduzione al volume Tradizione &
Innovazione.
5
categoria di “parlato-simulato” che, oltretutto, considerate le (tendenzialmente)
infinite situazioni linguistiche che essa può trovarsi nella situazione di riprodurre,
tende a inglobare molte delle tipologie (anche qui, tendenzialmente tutte) pertinenti
ai generi più definiti5, caratterizzandosi quindi come una «tipologia trasversale»
(Alfieri-Motta-Rapisarda 2008: 259) di parlato teletrasmesso. Anche per questi
motivi e, senza trascurare il fatto che il testo, nel passaggio fondamentale dalla
pagina scritta del copione alla recitazione degli attori6, viene, come ultimo step, “riparlato”, il parlato della fiction si qualifica come più prossimo a quello reale7. In tal
senso possiamo dire che il parlato trasmesso recitato della fiction neotelevisiva
«senza rispecchiare fedelmente la realtà, e senza propriamente deformarla»
(Buonanno 2002: 40) riproduce il parlato italiano contemporaneo.
Da una parte, infatti, c‟è la necessità, dettata dalla ricerca di realismo e dalla
volontà di mimesi, di attingere a tutto il repertorio sociolinguistico dell‟italiano
contemporaneo, lingua «scarsamente standardizzata», come afferma Dardano
(1994: 385), e perciò molto ricca di sfaccettature e variabili interne, dall‟altra si
attesta la tendenza – ma anche l‟esigenza, legata alle numerose e diverse situazioni
finzionali e alla ricerca del contatto col pubblico, mediante il tentativo di riprodurre
una lingua che, sotto i diversi piani (intonazionale, lessicale, fraseologico o
morfosintattico) richiami quella reale – a simulare tutti i possibili stili di parlato,
con risultati più o meno felici, come vedremo caso per caso.
L‟esemplificazione di questo paragrafo è tratta dai diversi episodi delle fiction che
costituiscono il corpus8, utilizzati liberamente e senza eccessiva rigidità per
dettagliare volta per volta i numerosi elementi linguistici qui esaminati. Questo
paragrafo punta a tracciare una fisionomia generale della lingua della fiction sulla
scorta dei prodotti analizzati nella seconda parte del lavoro, con un‟ottica di tipo
prevalentemente contrastivo, poiché delle caratteristiche specifiche di ogni fiction
oggetto d‟analisi si dà conto più avanti. Ciò che qui interessa è provare a delineare
qualche tendenza, individuare le direttrici preferite dalla fiction italiana, quali e
quanti tipi di registri linguistici risultano coinvolti nella produzione di questo
genere, a quali e a quante realtà sociolinguistiche si fa riferimento, quali tipi di
italiano risultano essere più coinvolti nell‟esperienza finzionale.
5
E quindi il parlato dell‟informazione, quello della divulgazione, il parlato più colloquiale dei quiz,
dei programmi di intrattenimento e dei talk show, il parlato trascurato dei reality, ecc.
6
Cfr. Diadori 1994, Nacci 2003 e Alfieri-Motta-Rapisarda 2008.
7
Anche rispetto al parlato teatrale, cfr. Alfieri-Motta-Rapisarda 2008: 259.
8
Con l‟eccezione degli sceneggiati, che costituiscono, come si vedrà, un‟esperienza differente. Ecco
il regesto delle sigle usate in questa sezione: AM = Amiche mie, CC = Camera café, CGM = Le
cinque giornate di Milano, CM = Il Commissario Manara, CSB = Il cielo è sempre più blu, CV =
Centovetrine, DdP = Distretto di polizia, EdR = Elisa di Rivombrosa, GeP = Guerra e pace, IC =
L’ispettore Coliandro, K = Karol, L = I liceali, LB = Love bugs, LS = La squadra, MG = Medicina
generale, MiF = Un medico in famiglia, MR = Il Maresciallo Rocca, NS = La nuova squadra, PB =
Il papa buono, PeL = Pane e libertà, RIS = RIS Delitti imperfetti, RC = Romanzo criminale, RdC =
Rita da Cascia, RMF = Rivoglio i miei figli, SFM = Sei forte maestro, TP = Tutti pazzi per amore,
TU = Terapia d’urgenza, V = I viceré.
6
3. Cenni sulla fonetica
Nel parlato, specie nella conversazione spontanea, la comunicazione verbale è
sempre coniugata con quella non verbale e gestuale. Quanto detto vale ovviamente
anche per il linguaggio della fiction, ma le occasioni in cui la gestualità è
particolarmente accentuata non sono moltissime. Segnaliamo solo qualche caso9:
[CC] quindi devi aspettarla qui / dov‟è che tu resti normale? / qui tu quindi devi aspettarla qui!
[con vigorosi gesti con l‟indice]
[CC] ma allora Luca non ha letto il libro / è questo il gioco infinito del titolo / Quando Ugo
impazzisce è un acronimo // basta prendere le iniziali di ogni parola per avere la soluzione //
quando Ugo impazzisce q-u-i // qui // l‟appuntamento era qui [con vigorosi gesti con l‟indice]
[MiF] anche se questa cosa che non si può laureare / qua mi sta [vigorosi gesti in direzione dello
stomaco].
Oltre ai suoni del linguaggio articolato, il parlato può inoltre servirsi di elementi
ulteriori, come risate, colpi di tosse, ecc. L‟impiego della voce permette poi di
veicolare il significato del messaggio anche grazie al volume, al tono,
all‟intonazione, al ritmo, che, nel parlato più spontaneo e colloquiale, è spesso
realizzato mediante una pronuncia veloce e trascurata, e con fenomeni di
“allegro”10, che sono però presenti (e con diversa densità) solo nelle fiction più
indirizzate verso una lingua media, e mancano nei biopic e nelle trasposizioni da
opere letterarie. Tra questi segnaliamo l‟aferesi vocalica, specie prima di un nesso
nasale + consonante, che si presenta però piuttosto raramente e in situazioni
colloquiali molto informali, come in questa battuta tra due amici che stanno per
vedere una partita:
[CC] spetta spetta / cj ho delle olive dei mondiali
ma la soluzione standard è quella che prevale, anche in contesti diafasicamente
simili, come in questo scambio di battute tra marito e moglie:
[AM] - ti chiamo perché ho una proposta da farti
- aspetta aspetta / che proposta // un indizio!
oppure di una intera sillaba nel caso dell‟aggettivo questo, che è sicuramente, tra i
fenomeni di “allegro”, uno dei tratti più diffusi:
[CC] Luca vediamo di far qualcosa per ‟sto freddo / eh?
[DdP] anche se poi c‟è qualcuno che sta cercando di rovinarglielo / ‟sto giorno
[LB] ‟sti camerieri messicani / coi baffoni
[MiF] ma chi è ‟sta Cheope
[MR] ‟sta setta chi l‟ha fatta?
Un altro fenomeno di “allegro” è rappresentato dai legamenti (con o senza
raddoppiamento):
[PeL] sennò resti ammazzato
9
Altri due casi sono commentati più avanti, quando parleremo di deissi iconica.
Cfr. Berretta 1994: 266 e D‟Achille 2006: 178.
10
7
[RMF] alzati sennò ti do il resto
[RMF] sennò te ne resti a casa
[SFM] viaggiare è informativo /sì / formativo / vabbè formativo.
Quanto a tratti più connotati in diatopia, la parte del leone è per Roma; si rinvia per
la trattazione dei fenomeni ai paragrafi di volta in volta interessati. Basti ricordare
qui che abbiamo un continuum che vede una presenza trasversale, in molte fiction,
di fenomeni diffusissimi, come il troncamento dell‟ultima sillaba negli infiniti, e
fenomeni caratterizzati come più bassi (e nel contempo con una caratterizzazione
più localistica), documentati solo in determinate serie (Romanzo criminale è
l‟esempio paradigmatico).
4. Aspetti di morfologia
Nell‟àmbito della morfologia, la lingua parlata realizza una notevole
semplificazione11 rispetto ai paradigmi dello standard, nel senso che «in alcuni
sottosistemi […] l‟uso orale include solo un sottoinsieme delle possibilità previste
dal sistema» (Berretta 1994: 258).
Nel settore del sistema verbale tale ridimensionamento sarebbe, stando agli studi
sull‟argomento12, piuttosto evidente. Nel nostro spoglio non si notano eccessive
semplificazioni o assenze, a parte alcuni settori in cui la presenza di tratti forti
caratterizzanti il parlato è evidente. Ciò va detto soprattutto “in negativo”, per
l‟assenza del passato remoto, o per la mancanza dell‟opposizione tra la diatesi
passiva e quella attiva, a cui sono preferiti altri tipi di costruzioni, come la
dislocazione a sinistra13 o l‟uso della terza persona plurale generica14.
Per quanto riguarda il presente indicativo, la sua funzione è sovraestesa. Esso
risulta utilizzato, oltre che con le sue normali funzioni (deittico, abituale e
atemporale, come nello scritto), anche per il futuro in quasi tutti i casi possibili. Si
tratta di uno dei tratti di media formalità15 che presentano oggi maggiore
diffusione. Nella lingua colloquiale, infatti, «la nozione di futuro è spesso affidata
ad elementi esterni al verbo» (Bertinetto 1986: 356-357), perlopiù avverbi o
espressioni di tempo che rendono l‟idea del futuro; pertanto l‟azione in questi casi
può essere espressa con il presente. Questa sostituzione si verifica quasi solo in
frasi che si riferiscono ad azioni collocate in un futuro molto prossimo (qualche
ora, nel corso della giornata, il giorno successivo o dopo pochi giorni):
[AM] ma non te la cavi così / eh?
[AM] Marta / così finisci su tutti i tg
[CV] se mi combini qualche casino.
11
Come è noto, nell‟italiano parlato e nello scritto di media formalità si ha una semplificazione dei
tempi verbali italiani: presente in luogo del futuro, espansione dell‟imperfetto, riduzione dell‟uso
del passato remoto in favore del passato prossimo, e del gerundio composto in favore del gerundio
semplice, cfr. Bruni 1986: 173; Dardano 1994: 417, Mengaldo 1994: 122-123.
12
Cfr. almeno Berretta 1994; Dardano 1994; Sabatini 1985.
13
Cfr. Berretta 1994; 260.
14
Cfr. Sabatini 1985: 166.
15
Cfr. almeno Berruto 1987: 70, Berretta 1988: 765, Berretta 1994: 258.
8
L‟incidenza del presente aumenta in presenza di avverbi che indicano la vicinanza
temporale dello svolgimento dell‟azione:
[AM] sai cosa faccio oggi?
[AM] domani / domani ci sono i colloqui per il posto
[CC] dormiamo insieme domani / che lo chiedo alla mamma
[PB] ma ora che te ne vai come faccio
Non mancano situazioni in cui si utilizzando entrambe le soluzioni:
[PB] adesso che vai alla scuola dei grandi ti serviranno
[PB] non ti preoccupare che poi torno / così dirò messa con don Rebuzzini.
Questi esempi presuppongono un‟idea di immediatezza (di futuro molto prossimo)
associata anche alla certezza16. Ma il presente pro futuro si ha anche nei casi in cui
il verbo si riferisce ad un futuro piuttosto lontano:
[AM] sappi che quando io faccio 40 anni non voglio tornare a casa e trovare mezza Milano che
mi grida in faccia quanto sono diventata vecchia / eh?
Ovviamente queste possibilità sono realizzabili anche nello scritto, ma nel parlato
la frequenza d‟uso è maggiore. Non mancano però casi di conservazione del futuro,
specie in situazioni in cui il fatto si presenti «enfatizzato, marcato, caricato di un
certo senso di importanza, o di volontà, di promessa, di impegno» (Bonomi 1993:
190; Bazzanella 1994):
[AM] come farete quando io non ci sarò più…
[AM] abitanti di questa casa / forza! // anche oggi andrò a combattere per voi!
[CV] Riccardo ti userà / e quando non avrà più bisogno di te ti getterà via
[EdR] farò entrambe le cose
anche in contesti in cui la nozione di posteriorità assume particolari valori o
sfumature17, come il valore suppositivo quando si vuole presentare un avvenimento
in forma incerta, ipotetica:
[AM] appena la Francy arriverà che cosa farai?
[CV] rimanere chiusa in casa a ripensare ai tuoi problemi non ti aiuterà a risolverli
nonché nelle fiction che preferiscono soluzioni linguistiche più elevate (soprattutto
i biopic e gli adattamenti storici e letterari):
[CV] Riccardo non lo incontrerai / è partito
[EdR] la prossima volta stabiliremo regole più certe
[EdR] quando tornerà in Piemonte
[PB] voglio che sia tu a chiudermi gli occhi quando verrà il momento
[V] domani mio marito partirà insieme a vostro fratello.
16
Il presente pro futuro sembra possibile solo quando presupponga «la certezza, quanto meno
soggettiva, dell‟occorrimento» (Bertinetto 1986: 337).
17
Cfr. Serianni 1988: 399-400.
9
È in espansione18 la forma perifrastica stare + gerundio con valore progressivo, per
esprimere la duratività dell‟azione, caratterizzando più nettamente il presente
deittico rispetto a quello atemporale
[AM] dai / un aiutino / sto cercando di dimenticare Paolo
[AM] no / stiamo cercando qualcuno che possa sostituirmi.
[EdR] insomma / amico mio / mi sto annoiando
[GeP] è da un po‟ ormai che vi state frequentando
[PB] ma di che cosa state parlando?
Notevole anche la frequenza della perifrasi stare a + infinito, che costituisce
un‟alternativa regionale a stare + gerundio, diffusa specialmente a Roma e nel
Lazio. Si tratta quindi di una coincidenza di fattori diatopici (ma anche diastratici),
come si può leggere negli esempi che seguono, dove peraltro l‟infinito viene anche
(come spesso succede19) apocopato:
[L] digli de investì sugli americani
[MR] tu non te sta a preoccupà
[RC] è mezz‟ora che te stamo a aspettà
Il passato prossimo, com‟è noto, ha ormai soppiantato il passato remoto20
(morfologicamente più complesso), per eventi passati sia recenti, sia lontani nel
tempo, «sia geograficamente sia per tipi d‟uso» (Berretta 1994: 259): di fatto, il
passato remoto nella conversazione spontanea non emerge mai (Berretta 1994:
258). Il riscontro sui testi non fa che confermare questa situazione, seppur con
qualche rara eccezione rappresentata soprattutto, si diceva sopra, dalle fiction di
genere biopic e dagli adattamenti letterari e storici:
[GeP] le truppe francesi iniziarono a dirigersi verso oriente
[RMF] ci venimmo la prima volta che ci vedemmo
e, come ne I Viceré, con intenti mimetici dell‟uso siciliano e meridionale estremo,
qui anche in relazione ad azioni molto vicine:
[V] uscì stamattina / e ancora non tornò.
Analizzando l‟alternanza dei due passati in relazione alle due categorie del tempo e
dell‟aspetto21, ossia considerando la maggiore o minore lontananza dell‟azione
rispetto al momento dell‟enunciazione e rispetto ad un effetto perdurante del fatto o
della sua avvenuta conclusione, possiamo osservare che il passato prossimo prevale
sia in relazione a fatti lontani nel tempo e azioni concluse:
[AM] qui sono nati Mario / Mattia …
[AM] un pensierino? // Le hai tentate tutte
18
Anche per influsso dell‟inglese, cfr. D‟Achille 2006: 132.
Cfr. D‟Achille 2006: 123.
20
Per l‟alternanza tra i due tempi si vedano in particolare Bertinetto 1986; Serianni 1988; Sorella
1984. Cfr. anche Sornicola 2005: 31.
21
Cfr. Bertinetto 1986, Serianni 1988 e Sorella 1984.
19
10
[CV] tu mi hai puntata per entrare nel mondo della finanza
sia per fatti lontani nel tempo ma per i quali si abbia la persistenza del risultato o la
presenza di una prospettiva psicologica che avvicina il fatto al presente:
[AM] io mi sono veramente rotta le palle di parlare con la tua segreteria // e comunque ci siamo
lasciati da 4 mesi
[CV] Riccardo ti userà / e quando non avrà più bisogno di te ti getterà via / proprio come ha fatto
con me
[MiF] per te ho fatto cose che non ho mai fatto in vita mia
oltre che, come è ovvio, per fatti relativamente vicini:
[AM] dottore / hanno chiamato da Canale 5…
[AM] cos‟altro ha combinato Paolo?
[EdR] ho avuto un terribile incubo / mi sono destata e il respiro mi mancava
[GeP] perché sei cambiato così ultimamente che cosa ti ho fatto
[SFM] ieri ho avuto uno scontro con l‟abominevole.
Nel parlato, per indicare azioni collocate nel passato si utilizza anche l‟imperfetto
indicativo, sia secondo le stesse regole che valgono per lo scritto, come in
[AM] dunque // lui era Giacomo / e io oggi ho lasciato mio marito
[EdR] mi ero illusa che l‟amore potesse / superare ogni barriera
[SFM] io all‟inizio nemmeno ero molto convinta,
sia in sovraestensione, come nelle ipotetiche dell‟irrealtà, sia ancora in usi esclusivi
di questo mezzo diamesico, come in espressioni attenuative in cui l‟imperfetto
perde del tutto il valore di passato22:
[AM] io speravo proprio de chiamarla signora / un giorno
Per quanto riguarda l‟uso dell‟indicativo al posto del congiuntivo 23, si tratta di uno
dei casi in cui si può rilevare una significativa dicotomia, nell‟impiego dei due
modi verbali, tra scritto e parlato24: non a caso il fenomeno acquisisce notevole
peso nella caratterizzazione dei testi che imitano quest‟ultimo. Nella lingua della
fiction non sono però molti i casi significativi di scambio, e il congiuntivo registra
una notevole tenuta, salvo nelle situazioni in cui si vuole realizzare un maggiore
realismo e in discussioni più concitate in cui l‟indicativo prevale senz‟altro:
[CV] credi davvero che io sono più forte?
[DdP] la cosa importante è che prendete quel bastardo
[MiF] no no / è meglio che la tieni tu,
22
Berretta 1994: 259.
Un elenco essenziale dei casi di tendenza all‟abbandono del congiuntivo è dato da Sabatini 1985:
166-167.
24
«La sostituzione del congiuntivo con l‟indicativo, invano contestata dai puristi, segna un netto
spartiacque tra il parlato informale e lo scritto o parlato conformista» (Durante 1981: 272-273). Lo
studioso osserva anche che in dipendenza da verbi di opinione l‟indicativo assume il carattere della
certezza mentre il congiuntivo esprime un‟idea di dubbio.
23
11
anche in espressioni pronunciate da personaggi che di solito presentano un italiano
molto sorvegliato, come nella battuta che segue, pronunciata da Enrica25:
[MiF] io sono convinta che ci sono dei problemi con Guido
La donna infatti utilizza il modo standard anche in situazioni informali, come
questa:
[MiF] ma tu pensi che per una cosa così stupida / io ti voglia meno bene?
L‟indicativo prevale, ancora, nella varietà del parlato dei bambini già in età scolare:
[PB] papà / io voglio farmi prete / è l‟unica cosa che voglio
[SFM] vuoi che dico di mia sorella?
o, ancora, in contesti diafasicamente connotati, come i dialoghi in famiglia:
[RdC] mi dispiace che non vieni con noi
[RdC] è meglio che te ne vai
o tra amici, a realizzare una stile più “sportivo”:
[CC] andiamo via prima che ci chiudono dentro
[CC] non ci conviene che Silvano esce con una donna
[CC] e come credi che l‟ho avuto il posto?
come è anche, in parte, il caso che segue, in cui l‟impiego voluto dell‟indicativo
nella relativa limitativa a testimoniare la certezza di quanto affermato dal
personaggio è anche un espediente comico:
[CC] io sono l‟unico che lo ha letto.
Per il resto, le interrogative indirette sono di solito realizzate col congiuntivo26;
qualche eccezione si ha per le oggettive27 rette da un verbo d‟opinione:
[AM] guarda che io penso che le vacanze separate fanno bene alla coppia
[K] sono felice che sei partita
[PB] pensavo che forse per te è più facile riuscire ad avvicinarlo
o in presenza di principali prive del valore frasale originario (Berretta 1994: 260):
[AM] eh / dicono che lei fa ascolto
25
Cfr. la scheda di Un medico in famiglia.
Per l‟alternanza dei due modi nelle interrogative indirette cfr. Serianni 1988: 482-483. Ma cfr. i
dati sul parlato in Lombardi Vallauri 2003: 609-634.
27
L‟alternanza tra i due modi non riflette rigidamente l‟opposizione tra certezza e incertezza,
oggettività e soggettività; molto spesso essa dipende solo o prevalentemente da scelte stilistiche (cfr.
Serianni 1988: 468).
26
12
o ancora, più raramente, nelle relative limitative: si veda il caso seguente, in cui il
mancato uso del congiuntivo contrasta con il tono piuttosto sostenuto del monologo
in cui ricorre:
[AM] ma è l‟unico che mi è rimasto.
Nella maggior parte dei prodotti analizzati prevale senza dubbio il congiuntivo, con
pochissime eccezioni, come ne Il Papa Buono, Karol, Centovetrine, Le cinque
giornate di Milano, I Viceré, Elisa di Rivombrosa che presentano una sola
occorrenza dell‟indicativo o occorrenza zero della variante non standard. Il
discorso non cambia per quelle fiction che presentano normalmente una maggiore
consistenza di tratti dell‟italiano dell‟uso medio, come Sei forte maestro, Il
Maresciallo Rocca, Camera Café, Un medico in famiglia, che esibiscono il
congiuntivo anche nei casi considerati più “a rischio”, come con i verba putandi:
[CC] tutti quelli che non leggevano pensavo che fossero delle nullità
[MiF] pensi che per una cosa così stupida io ti voglia meno bene?
[MR] si dice che la direttrice l‟abbia vista che cercava di scassinare
[SFM] io credo che sia bene parlare delle cose / no?
per le oggettive rette da verbi di volizione, aspettativa, desiderio, ecc.:
[MR] voglio che lei sappia che questo per me è un caso particolare
[MR] voglio pure che tu mi prometta
[MR] spero che la cosa le si risolva rapidamente
[SFM] voglio che sappiate che non ce l‟ho con voi
nelle soggettive:
[MR] si dice che la direttrice l‟abbia vista che cercava di scassinare
[SFM] a volte sembra che la verità sia più incredibile delle bugie
in dipendenza da verbo negativo:
[MR] non voglio che si sparga la voce
anche se alcuni esempi presentano l‟omissione della congiunzione che anche al di
fuori dei casi canonici28, dovuta probabilmente ad un processo di semplificazione e
di snellimento del corpo della frase29. Il fenomeno compare soprattutto con i verbi
d‟opinione:
[LB] pensavo fosse il mio
[SFM] la finestra non si chiude / immagino sia difettosa.
Il sistema dei pronomi personali subisce anch‟esso, nell‟oralità, un processo di
ristrutturazione. Innanzitutto nel parlato l‟italiano attenua le sue caratteristiche di
lingua pro-drop, in quanto i pronomi sono in media molto più usati di quanto non
28
29
Per un quadro della norma cfr. Serianni 1988: 474-475.
Cfr. Mengaldo 1994.
13
lo siano nello scritto30, per diversi motivi che vanno dal maggiore legame con la
situazione alla necessità di enfasi, evidenti soprattutto nel frequente uso del
pronome di prima persona (talvolta abusato), come in:
[AM] io l‟ho trovato / in extremis sì / ma l‟ho trovato
[CC] io sono l‟unico che lo ha letto
[CV] io avrei piacere di vederti
[EdR] ma non passa giorno senza che io speri di vederlo entrare nella mia stanza
[MR] non posso mica continuà a dormire dentro l‟ufficio col cane / io
soprattutto in posizione marcata dopo il verbo:
[CC] ti conviene parlare subito con De Marinis / altrimenti mi estinguo io / ma dalla tua vita
[LB] sai che cosa ti dico io / che neanche io sono pazza / ok?
[RdC] lascialo stare / a mio fratello ci penso io
[GeP] vorrei che tu fossi felice come lo sono io
spesso anche nella struttura della frase scissa:
[EdR] no / sono io che ho scritto a lui
[GeP] sono stata io a insistere che rientrasse
[RdC] così hai detto a tutti che sono io che l‟ho ucciso.
All‟interno della medesima casistica si può collocare anche l‟uso degli altri
pronomi personali:
[CV] Riccardo non è innamorato di lei / e se proprio lo vuoi sapere è stato lui a decidere di non
frequentarla più
[LB] non posso fermarmi per strada a parlare con un'amica / a fare due chiacchiere / che lei non
arriva
[RdC] loro sono più forti di te / di me / di tutti // Sono loro / i padroni di Cascia
[RdC] i nemici si uccidono / Francesco // se li lasci liberi di vivere / un giorno saranno loro ad
ammazzarti
[SFM] loro mi aggiustano la porta e io mi mangio le lasagne.
Notevole è infine l‟impiego delle forme pronominali quando si vuole stabilire
un‟opposizione con altri pronomi:
[MiF] ma tu pensi che per una cosa così stupida io ti voglia meno bene?
[PB] perdonatemi / io non sono che un prete / siete voi che avete il potere di salvare qualcuno
[PB] sappiate che io vi aiuterò / così come voi avete fatto con me.
Per la seconda persona singolare segnaliamo l‟uso di te „tu‟, considerato frequente
nella varietà colloquiali basse in diastratia o diafasia nel Centro-Nord31. Negli
esempi il pronome ricorre nell‟italiano regionale di livello diastratico alto nel primo
caso, e nell‟italiano regionale romanesco basso nel secondo:
[AM] dello champagne ti occupi te
30
31
Cfr. Berretta 1985a.
Cfr. Berretta 1994: 262.
14
[RC] appena è uscito / te ci chiami.
Per le terze persone l‟uso delle forme oblique è, e non ci si aspetterebbe
diversamente, assoluto. L‟opposizione tra forma soggetto e forma complemento è
infatti del tutto neutralizzata, in quanto lui e lei sostituiscono sistematicamente egli
ed ella; anche nel plurale il pronome indiretto loro è l‟unica forma usata, pur
permanendo, naturalmente, la possibilità del grado zero, di cui gli sceneggiatori si
avvalgono spesso.
Gli scambi di paradigma tra pronomi dimostrativi e personali32 risultano
scarsamente esemplificati nel nostro corpus; sono pochi infatti i casi in cui i
dimostrativi sono usati per le persone come forme marcate e le occorrenze sono
attestate in fiction caratterizzate da un forte grado di colloquialità e nelle battute
pronunciate da personaggi di livello sociale medio, ma tendenti, almeno nei primi
due casi (soprattutto in quello caratterizzato dalla commutazione di codice) a scelte
linguistiche piuttosto informali:
[L] questo non cj ha vojia de fare un cazzo
[MiF] questa non dura molto qui / eh?
[MR] che fa questo / ricomincia a mandà indovinelli
[CM] mi sta sulle scatole questo da morire
[SFM] una volta ho incontrato un medico di medici senza frontiere // questo era uno che di soldi
ne aveva.
Si noti che nei primi quattro casi la scarsa o nulla empatia33 per il referente è
evidente; nel quinto invece il pronome non connota negativamente la persona in
questione.
Per quanto riguarda i pronomi personali complemento, la lingua della fiction
riprende la tendenza del parlato ad estendere la forma maschile gli generalizzata sia
per il femminile (ma in maniera sporadica):
[LB] gli tira il pesce
[MiF] ma vedrai che gli passa
[MR] adesso gli parlo
[SFM] quello quando guarda una donna gli fa la radiografia
sia, molto più frequentemente, per il plurale:
[EdR] avrai fatto felici quei poveri contadini! / Gli hai distrutto mezzo campo
[GeP] quella è gente che ha bisogno di qualcuno che gli dica cosa fare
[K] i nazisti / quando li vedono / gli sparano addosso
[K] i bambini tedeschi camminano / quelli ebrei no // non gli insegnerete mai / a sorridere e a
camminare
[RMF] ma se io non gli ho mai fatto perdere un giorno di scuola
[RMF] gli hai portato i regali // ora puoi anche andartene
anche in posizione proclitica:
32
33
Cfr. Berretta 1994: 262.
Cfr. Duranti 1984.
15
[CV] non possiamo dargli ascolto
[RMF] fagli fare un bel bagno.
Le attestazioni della forma sovraestesa per il femminile risultano attestate in fiction
caratterizzate da un parlato meno sorvegliato, e sono oltretutto numericamente
inferiori rispetto alle occorrenze della forma standard:
[EdR] non è detto che le resti molto tempo
[EdR] è una bravissima ragazza / e le voglio molto bene // e non voglio che le accada nulla di
male
[CC] beh / di cosa parla // lei non lo ha letto // è inutile che le dica di cosa parla / non avrebbe
senso
[MR] spero che la cosa le si risolva rapidamente
mentre l‟uso di gli al posto dello pseudoclitico loro è più trasversale, ricorrendo
anche in prodotti di natura linguistica più conservativa (i biopic, per es.).
Il nostro corpus presenta una sola occorrenza della forma ci, tipica di varietà
diastratiche basse, soprattutto centro-meridionali34, qui con valore dativale
femminile e utilizzato da un personaggio il cui parlato è caratterizzato da frequenti
ricorsi al dialetto o ad un italiano infarcito di tratti substandard35:
[MiF] ma ci voleva bene quel sultano a sua moglie.
Per quanto concerne il comportamento dei clitici36, al di là di una scontata
riduzione del ventaglio di tipi (per es. vi locativo), notiamo, nella collocazione
rispetto al verbo, una preferenza per la risalita nei complessi verbali37, così come
un aumento dei verbi reggenti che consentono la risalita (in numero sicuramente
maggiore rispetto allo scritto). Gli studi sul parlato e, in parte, sulle varietà “medie”
dell‟italiano hanno infatti messo in evidenza che in presenza di un verbo servile il
pronome clitico tende a risalire, cioè «a passare da enclitico del verbo
semanticamente più importante (ma dipendente) a proclitico del verbo servile (che
è reggente)» (Sabatini 1985: 163). Il fenomeno, comunque, non è generalizzato, ma
ci sono alcune «condizioni che favoriscono la risalita» (Berretta 1986: 71) o, al
contrario, l‟enclisi del pronome atono. Nel nostro corpus prevale in ogni caso
l‟enclisi, a testimonianza della natura “simulata” del parlato finzionale così come,
con molta probabilità, anche dell‟incidenza della sceneggiatura sulla costruzione
dei dialogo.
Tra le condizioni che più frequentemente permettono la risalita del clitico va
considerata innanzitutto la sua collocazione in una frase subordinata38, come in:
34
Cfr. Berretta 1994: 262-263.
La presenza di tratti substandard è segnalato anche in altri tipi di parlato televisivo, per es. quello
pubblicitario, da Benucci 2003.
36
Si vedano almeno Berretta 1985a e 1985b; Berretta 1986; Berretta 1994; Nocentini 2003.
37
Cfr. innanzitutto Sabatini 1985, Berretta 1985a e 1986.
38
Berretta 1986: 75 tende a spiegare questo fattore come «una forma di semplificazione sintattica»
del periodo, oltre che come una maggiore tendenza delle frasi subordinate alle riprese anaforiche ed
è quindi «favorita la posizione anteposta, più tematica del clitico» e come una minore
«enfatizzazione del verbo modale» nelle subordinate.
35
16
[AM] ti ho detto che mi devi rispondere
[CGM] abbiano smesso di credere che si possano ottenere concessioni da questo governo
così come la collocazione del clitico in una frase negativa:
[CGM] la Teresa non mi vuole più vedere
[AM] io non ci posso credere
[RdC] tu certe cose non le devi dire!
L‟enclisi è invece particolarmente favorita se il modale è in qualche modo
enfatizzato, anche in presenza di enunciati interrogativi, o con formule più
attenuate all‟imperfetto, al condizionale e all‟imperativo:
[CGM] non ho dubbi che se dovesse venirle in mente qualcosa non esiterà a collaborare
[EdR] lui solo può occuparsi di tutto questo e non c‟è
[PB] papà / io voglio farmi prete / è l‟unica cosa che voglio
[RdC] devi fidarti di me
[V] libertà significa anche / che ora che l‟Italia è fatta / dobbiamo farci gli affari nostri.
I clitici, oramai avviati, soprattutto nella dimensione parlata, a perdere, o
quantomeno ad attenuare, il loro statuto pronominale per assumere altre funzioni,
grammaticali o lessicali, tendono ad essere quindi più frequenti nel parlato che
nello scritto, per la concomitanza di diversi fattori, come per es. il loro impiego in
presenza di verbi transitivi con uso pronominale:
[PB] le scarpe quando me le metto?
[SFM] loro mi aggiustano la porta e io mi mangio le lasagne
e, soprattutto, in presenza di fenomeni sintattici come la dislocazione a sinistra che
portano alla realizzazione di enunciati ridondanti come quelli che seguono:
[GeP] no / a questo ci pensano le donne / è affar loro
[IC] anzi / vi porto in questura a tutti / è chiaro?
[MR] voi non lo sapete che gli fanno a quelli che stanno dentro per violenza
[PB] mia madre dice che Gesù a noi non ci ascolta
[PB] io non ci rinuncio al mio colletto
[RdC] lascialo stare / a mio fratello ci penso io
anche con la sequenza dei pronomi a me mi:
[CC] a me lui mi vede già qua tutti i giorni
[MR] a me non mi viene in mente
[SFM] a me quei ragazzi non mi sembravano quei terribili delinquenti.
Un discorso a parte merita il clitico ci, soprattutto in considerazione del suo largo
impiego nell‟italiano parlato. Si tratta di una particella ad «alta polisemicità» 39, che
presenta numerosi valori solo in parte documentati dalle grammatiche tradizionali;
molti infatti sono stati o del tutto ignorati o, al massimo, sbrigativamente inseriti
39
Cfr. Berretta 1985a.
17
nell‟uso pleonastico40. Dalla funzione originaria, e comunque tuttora presente, di
particella locativa, il ci si è evoluto sino a diventare un semplice «rinforzo
semantico e fonico»41 di altre forme verbali. Più specificamente, Berretta42 sostiene
che «la tendenza di evoluzione di ci nel parlato sarebbe […] di perdere il suo valore
avverbiale – pronominale locativo, fissandosi ad alcuni verbi o classi di verbi»; il
clitico, quindi, si limiterebbe a rappresentare «una valenza assimilabile ad un
oggetto indiretto». Frequentissimo è poi l‟uso del ci con vari verbi, innanzitutto
essere e avere non ausiliari, con funzione attualizzante. Con essere sono tipiche del
parlato espressioni come quelle che seguono43 in cui il significato è rispettivamente
„siamo riusciti a raggiungere il risultato che ci si aspettava‟ e „hai capito?‟ che, in
una situazione come quella della conversazione telefonica, rappresenta una
richiesta di attenzione da parte di uno dei due interlocutori:
[AM] Betti / questa volta ci siamo // sei incinta
[SFM] papà ci sei?
Se con il verbo essere il ci mantiene una sfumatura di avverbio di luogo, anche nel
caso in cui manchi un esplicito riferimento spaziale; con avere44 il clitico si è del
tutto desemantizzato, come negli esempi (numerosi), tutti in fiction che utilizzano
una lingua poco sorvegliata o più aperta all‟uso medio:
[AM] ha lasciato quel figo del marito / per uno strafigo che cj ha quindici anni di meno
[CC] no / cj ho l‟orologio col termometro
[CC] spetta spetta / cj ho delle olive dei mondiali
[MiF] ma che cj hai / amore?
[SFM] andiamo a mangiare / cj ho fame.
Il ci ricorre anche con altri verbi procomplementari45, a cui conferisce significati
particolari, visto che il suo valore avverbiale o di complemento appare sempre più
sbiadito o del tutto assente. Si tratta di volerci, tenerci, entrarci, ecc.:
[EdR] e questo che cosa c‟entra?
[PB] se ci tieni al posto che ti ho trovato in curia stai lontano da lui
[SFM] un po‟ di carne nei punti giusti ci vuole
[SFM] io ci tengo alla salute
[SFM] che ci vuole a dare un‟occhiata?
ma non mancano altri verbi al di fuori di queste categorie:
[MR] ma quando ci torniamo a casa nostra?
[PB] ma che ci faccio?
[RdC] e alla strada di Paolo / non ci hai pensato?
40
D‟Achille 1990: 262, al quale si rimanda per una prospettiva storica del fenomeno, osserva che
già l‟uso di questo aggettivo sottintende una sfumatura di condanna.
41
Sabatini 1985: 160.
42
Cfr. Berretta 1985a: 202.
43
Cfr. D‟Achille 2006: 122.
44
Questa tipologia stenta ad entrare nello scritto per la difficoltà nella resa grafica della pronuncia
palatale della c isolata (cfr. Sabatini 1985: 161).
45
Cfr. D‟Achille 2006: 122 e 189.
18
[SFM] e certo che ci vanno // se li pagano bene.
Nel settore dei relativi, notiamo innanzitutto una rarefazione del paradigma di il
quale, che ricorre nel nostro corpus solo in due contesti. Nel primo si tratta di un
passo particolarmente lento, quasi teatrale, e la battuta risulta pronunciata dallo zar
Alessandro all‟interno di un discorso molto denso, ricercato e ricco di espedienti
retorici:
[GeP] penso che le condizioni per una pace duratura ci siano / finché sarà rispettato il confine
sul quale ci troviamo.
La seconda occorrenza è inserita invece in un contesto dal tono quasi didascalico:
[LB] Fabio / volevo ricordarti che un‟amica / con la quale vai a letto / si chiama amante
Nel parlato colloquiale si preferiscono le altre due soluzioni, ossia che non flesso
per tutti i casi (anche nella soluzione in cui esso è seguito da pronome atono) e il
paradigma con di cui, per cui, a cui, ecc. (che può essere anch‟esso seguito da
pronome atono)46. Ovviamente quest‟ultimo, ossia quello standard, è il tipo
prevalente nel corpus, sia nelle forme flesse:
[CV] non hai nulla di cui preoccuparti
[EdR] no / non c‟era nessuno / quell‟uomo di cui parlate non esiste
[GeP] siamo in retroguardia / quando ci raggiungeranno i francesi saremo i primi a cui
spareranno
[K] c‟è una ragione per cui questa deve diventare la tua scrivania?
[SFM] i dottori di cui parla Martina fanno parte di un‟associazione,
sia come che semplice, soluzione che ricorre, come c‟era da aspettarsi, con
maggiore frequenza:
[AM] non voglio tornare a casa e trovare mezza Milano che mi grida in faccia quanto sono
diventata vecchia
[CC] tutti quelli che non leggevano pensavo che fossero delle nullità
[CV] questi sono trucchetti che funzionano con la gente comune / non cascarci anche tu
[MiF] Cettina / io ti devo dire una cosa molto importante // una decisione che ho preso
[MR] è uno che fa i conti su tutto.
Il tipo con relativo flesso e aggiunta del clitico di ripresa compare anch‟esso nel
parlato di persone colte, anche in situazioni più sorvegliate; nel corpus una sola
occorrenza del fenomeno:
[V] e con essa l‟aristocrazia parassitaria / di cui io / pur essendone figlio / mi sono sempre
rifiutato di sentirmene parte
Per quanto riguarda i pronomi dimostrativi, settore in cui sembra esserci un
maggiore differenza tra lingua scritta e lingua parlata47, abbiamo registrato
46
47
Cfr. Berretta 1994: 263.
Cfr. Bonomi 1993: 188 e Serianni 1988: 240.
19
l‟alternanza del pronome neutro ciò con questo e di ciò che con quello che. In
generale possiamo osservare che il pronome standard compare solo nelle fiction
caratterizzate da una lingua piuttosto sostenuta, di fatto solo nei biopic e nelle
trasposizioni filmiche di opere letterarie, mentre è del tutto assente in altri prodotti
più orientati verso la lingua media. Nel primo caso, si registra una buona tenuta di
ciò (il rapporto con questo è di 1 a 2):
[K] se ciò accade non avremo più voce
[PB] finché ciò non avverrà gli operai non ritorneranno a lavorare in fabbrica
mentre la forma neutra (ciò che) perde terreno se è alternata con quello che (il
rapporto è di 1 a 5)48:
[CGM] vede / caro dottore / io / io credo sempre in ciò che è possibile
[CGM] io non voglio sapere nulla di ciò che fate
[GeP] è ciò che è nuovo / che può cambiare il corso della storia / e dare slancio a ciò che è antico
// ma ciò che è antico può offrire una base solida a ciò che è nuovo
[PB] ciò che è veramente cambiato è che non sei più un prete.
Per quanto riguarda i pronomi interrogativi, le tre forme del pronome neutro (che
cosa, cosa, che) risultano distribuite in maniera piuttosto articolata, ma con criteri
che ci sembra possibile individuare49. La variante che cosa risulta attestata con
notevole frequenza soprattutto nei biopic e nelle trasposizioni filmiche di opere
letterarie (sebbene compaia occasionalmente anche in altre tipologie), costituendo,
insieme ad altri fattori, un importante indizio di orientamento verso una lingua
tendenzialmente standard. In prodotti come Elisa di Rivombrosa, Le cinque
giornate di Milano, Guerra e pace, Il papa buono, Karol, il pronome in questione
rappresenta, più che un‟opzione di scelta all‟interno di un ventaglio di soluzioni, la
regola quasi costante, con la quale si alternano le altre due soluzioni:
[CGM] che cosa si sente / contessina?
[EdR] e noi che cosa gli portiamo?
[GeP] perché sei cambiato così ultimamente / che cosa ti ho fatto?
[K] che cosa ha detto?
[PB] ma di che cosa state parlando?
né è possibile individuare differenze legate alla diastratia o alla diafasia. Negli
esempi che seguono, la prima battuta è pronunciata da un popolano, la seconda da
un medico e la terza da un conte:
[CGM] è pieno di austriaci / ma che cosa vogliono?
[CGM] che cosa pensa quando ha queste crisi?
[GeP] a che cosa serve la libertà quando non sai cosa fartene?
48
Sabatini 1985: 158, nell‟ambito di una generale rarefazione di ciò nella lingua parlata, ne rileva
invece la maggiore infrequenza proprio in assenza della relativa.
49
Cfr. Sabatini 1985: 165 e Dardano 1994: 413.
20
mentre i primi due esempi che seguono sono legati a situazioni del tutto informali,
quale sono lo scambio di confidenze tra due amiche e una conversazione tra marito
e moglie; il terzo rappresenta un colloquio tra un cardinale e un gerarca tedesco:
[GeP] e dimmi che cosa si prova?
[GeP] Andrej / che cosa mi hai fatto?
[PB] sapete che cosa dicono di noi?
Mentre che cosa è utilizzato quasi esclusivamente per introdurre le interrogative
indirette, il pronome cosa è più trasversale ed è impiegato per entrambi i tipi di
proposizione:
[AM] Anna / pronto / cosa è successo?
[CC] è inutile che le dica di cosa parla / non avrebbe senso
[CV] sta a noi decidere cosa fare
[EdR] cosa c‟è / vuoi la rivincita?
[SFM] ma cosa c‟entra / io scherzo
Il che interrogativo compare di preferenza nelle interrogative dirette50 e in contesti
piuttosto informali:
[AM] Anna / Anna / ma che stai facendo ?
[CC] ma che c‟entra? // che c‟entra?
[EdR] sentito / Bianca? // su / che fai lì impalata?
[MiF] mi dici che è successo?
[SFM] che ci vuole a dare un‟occhiata?
ed è l‟unico utilizzato in contesti di code mixing e code switching tra italiano e
dialetto:
[MR] che vuol dì che l‟hanno trovata?
[MR] che fa questo? / ricomincia a mandà indovinelli
[MR] che te l‟ho chiesto a ffà?
[RC] che vvoi?
Per quanto riguarda invece gli aggettivi interrogativi, il parlato51, anche quello della
fiction, è decisamente orientato verso l‟uso del che, sia nelle interrogative dirette,
sia in quelle indirette:
[AM] ma che bisogno c‟è di farmi sentire come ti spupazzi la tua ultima fiamma
[CGM] non vedo che vantaggi avrebbe a rifiutare
[EdR] potrebbe arrivare un momento in cui sarai costretto a dover scegliere da che parte stare
[MiF] ma continuo a non capire di che disturbo parli / ma che disturbo cj ho?
[PB] basta / non vedete in che stato è mia moglie?
50
Cfr. Sabatini 1985: 165 che osserva che «la minore fortuna di che interrogativo è dovuta alle
possibili ambiguità nelle interrogative indirette del tipo gli chiesi che facesse e anche a questioni di
ritmo».
51
Cfr. Sabatini 1985: 165 «in funzione di aggettivo interrogativo che è molto più usato di quale».
Serianni 1988: 275 preferisce optare per una divisione di compiti: «la lingua corrente preferisce che
nelle interrogative dirette […] Nelle interrogative indirette […] quale diventa quasi altrettanto
frequente di che».
21
riportiamo l‟unica occorrenza di quale:
[CV] con quale coraggio ti presenti qui da me?
Per gli aggettivi indefiniti appare meno usato di quanto sarebbe possibile niente
con valore aggettivale, che permette di realizzare un tipo di espressione partitivanegativa molto efficace e di largo uso52; riportiamo i pochi esempi rilevati, di cui
l‟ultimo ricorre nel parlato di un lavoratore extracomunitario:
[RMF] niente bioparco
[SFM] per favore / Lili // niente discorsi sulla scuola
[SFM] niente scritto niente impegno
Piuttosto rara nel nostro corpus la presenza di costruzioni a senso, elemento
probabilmente da attribuire alla presenza della sceneggiatura, che fa da argine a
questo genere di fenomeni; riportiamo l‟unico caso di una concordanza a senso
(con il complemento di specificazione) dell‟aggettivo (un gruppo…plagiati) e del
verbo (un gruppo … decidono):
[MR] un gruppo di ex ragazzini dell‟orfanotrofio / particolarmente plagiati dal prof. Aleppi /
decidono di vendicarne la morte
3.1.4. Aspetti di sintassi
La sintassi del periodo che caratterizza il parlato è semplice e scarsamente coesa,
nel senso che, rispetto allo scritto, sono preferiti l‟andamento paratattico e la
giustapposizione di enunciati monoproposizionali. Si tratta di una decisa
semplificazione della struttura del periodo, nel duplice senso sintagmatico
(propensione per le costruzioni di tipo paratattico rispetto a elaborate strutture di
tipo ipotattico) e paradigmatico (raggruppamento della maggioranza degli usi su un
numero limitato di costrutti molto frequenti).
In genere nei testi parlati sono scarsamente presenti le subordinate, soprattutto di
alto grado, e, all‟interno della coordinazione, si ha la ricorrenza delle stesse
strutture piuttosto che un‟ampia varietà di realizzazioni. Nel collegamento tra le
varie frasi abbiamo congiunzioni coordinanti (che svolgono peraltro soprattutto
funzioni di legamenti testuali53) come e, ma, così e, ma con frequenza decisamente
minore, anche però e allora, (e) poi:
[AM] qui sono nati Mario Mattia // e poi vanno a scuola
[CC] prima ti faccio due occhi neri / così il WWF ti trova una compagna / eh?
[CV] come nuovo presidente della holding sarai molto indaffarata / immagino // ma io ti porterò
via solo poco tempo
[MiF] Cettina / io ti devo dire una cosa molto importante // una decisione che ho preso e che è
inderogabile
[SFM] di soldi ne aveva pochi / però era sempre contento
52
53
Soprattutto nelle scritture giornalistiche, cfr. Serianni 1988: 262.
Cfr. Berretta 1994: 252 e D‟Achille 2006: 184.
22
[SFM] se tu vuoi che io resti / allora resterò
anche se prevale la coordinazione di tipo asindetico:
[AM] esci / siamo tutti pronti
[CC] ma che bello / allora conoscerà sicuramente Il gioco infinito di Simone Laudiero / è questo
romanzo di 1400 pagine appena uscito / mi sa che lei qui dentro è l‟unico che potrebbe averlo
letto
[CV] sì // avrei però piacere di vederti da sola / senza i tuoi collaboratori / non hai nulla di cui
preoccuparti
[CGM] il muscolo non è stato toccato / l‟infezione non c‟è
[MG] vengono da fuori / anche dalle periferie // passano di casa in casa / ritirano i thermos che
mogli o madri hanno riempito.
La subordinazione presenta a sua volta alcune particolarità. Prevalgono le
subordinate esplicite su quelle implicite, in quanto esse «specificano l‟attore»54 e
fungono quindi da ulteriore collante testuale. Tra le subordinate implicite più
diffuse segnaliamo quelle costituite con forme verbali già fissatesi come
perifrastiche, come le infinitive rette da andare, venire, riuscire a + infinito,
cercare, vedere di + infinito, e perifrasi aspettuali come stare + gerundio, stare a +
infinito:
[AM] giuro che ti vengo a stanare ovunque tu sia / capito?
[AM] Anna / Anna ma che stai facendo
[EdR] sua maestà ritiene che tagliare la testa a metà dei suoi nobili non sia un bel gesto / anche
se stanno organizzando una congiura contro di lui
[GeP] voglio vedere // cerchiamo di fare qualcosa per ‟sto freddo
[PB] è talmente generoso che a volte andiamo a portare la parola di Dio nei luoghi più sperduti /
non solo nelle parrocchie
i moduli sono tra l‟altro così fissi e intercambiabili che, a distanza di poche battute,
possiamo trovare situazioni di questo tipo:
[CC] cerchiamo di fare qualcosa per ‟sto freddo
[CC] Luca / vediamo di far qualcosa per ‟sto freddo / eh?
In generale, le frasi subordinate tendono ad essere collocate di seguito alla
principale, con l‟eccezione, non sistematica, delle causali e delle ipotetiche.
Un‟altra caratteristica in cui il parlato differisce notevolmente dallo scritto è
costituita dalla semplificazione sintattica evidente nella scelta delle congiunzioni
subordinanti55, ristrette ad una rosa di pochi tipi intensamente sfruttati56.
Anche nel parlato, come nello scritto, la subordinata più diffusa è la frase relativa
introdotta di preferenza dal che57, la quale, però, a differenza di quanto avviene nel
54
Cfr. D‟Achille 2006: 184.
Sabatini 1985: 165 osserva nella lingua parlata «una notevole selezione tra i tipi di congiunzione
causale, finale e interrogativa». Per la ricorrenza del fenomeno in scritture meno sorvegliate e
soprattutto nella prosa giornalistica, cfr. Dardano 1994: 360 e Mengaldo 1994: 123.
56
Voghera 1985 osserva che le congiunzioni di più alta frequenza sono che, perché, quando, se e
come.
57
Cfr. Bernini 1991.
55
23
parlato spontaneo, non presenta usi substandard realizzati col che polivalente58
(tipici del parlato informale e ricorrenti in testi non sorvegliati e quindi con varianti
diafasiche59); sono presenti stilemi del tipo che segue che servono al parlante per
rallentare il ritmo e poter meglio pianificare il discorso:
[CV ] e tu gli credi? / è questo quello che ti ha raccontato?
In particolare, per l‟introduzione delle causali prevale senza dubbio perché
(presente in circa il 99% dei casi), seguito da qualche rara occorrenza di visto che e
di come mai (nullo, nel corpus, l‟impiego di siccome60 e poiché):
[AM] mi chiedo / come mai siamo qua?
[CC] e allora ti faccio il ragionamento / visto che siete due intelligentoni
[CV] ti posso togliere una possibile rivale / visto che Riccardo è ancora innamorato di lei
[GeP] come mai non ha ancora chiesto la tua mano?
Lo stesso discorso vale anche per le proposizioni condizionali, introdotte
esclusivamente da se (mancano qualora e purché) e per le temporali, che
prediligono quando. Le completive (in maggior parte oggettive) sono perlopiù di
forma esplicita; e tra queste sono rarissime quelle introdotte da come che ricorre
solo negli adattamenti letterari e storici, per es. in Guerra e pace:
[GeP] mi chiedo come sia possibile essere così felici.
Le proposizioni finali costituiscono l‟unico caso in cui la forma implicita è più
usata di quella esplicita. La scarsa presenza della forma esplicita dipenderà
soprattutto dalla riduzione61 delle congiunzioni finali. Non è sicuramente un caso il
fatto che le uniche occorrenze delle finali esplicite siano in fiction che presentano
una notevole varietà nella strutturazione del periodo:
[EdR] ho organizzato tutto perché arrivino in leggerissimo ritardo
[K] pregate affinché Dio non abbandoni la terra in mano a chi fa il male
[PB] prego perché il destino mi dia il privilegio di avvicinarti per l‟ultima volta
A fronte di una tale semplificazione e alla evidente preferenza per determinate
strutture, per certi schemi di periodo che vengono costantemente ripetuti e che si
possono introdurre con facilità nei più vari contesti, possiamo però individuare
alcune caratteristiche legate all‟organizzazione interna del periodo che sono più
tipiche di questa varietà diamesica. Ci riferiamo innanzitutto all‟uso del che
polivalente62, presente, certo non in maniera invasiva, con diverse funzioni
58
Per questa tipologia, introdotta dal complementatore invariabile che, cioè «non in grado di
selezionare in maniera univoca l‟antecedente e la sua funzione sintattica», cfr. l‟ottimo studio di
Fiorentino 1999.
59
Cfr. Fiorentino 1999: 121.
60
Invece segnalato come «tipico» del parlato da Berretta 1994: 253.
61
Cfr. Sabatini 1985: 166.
62
Cfr. almeno D‟Achille 1990, Sornicola 1981 (e la bibliografia ivi citata); per l‟uso del che
nell‟italiano popolare, cfr. almeno Cortelazzo 1972 e D‟Achille 1994: 72 (e la relativa bibliografia).
24
sintattiche63. L‟impiego di questa congiunzione subordinante avviene solo in
contesti colloquiali e, perlopiù, diafasicamente connotati in una direzione
informale. Oltretutto la maggior parte delle occorrenze risulta in prodotti più
indirizzati verso uno stile medio. Prevale decisamente il valore causale:
[AM] Fede / sbrigati che è tardi
[AM] stasera torna presto che dobbiamo festeggiare.
[AM] mi fate parlare con mia madre che devo uscire?
[CC] dormiamo insieme domani che lo chiedo alla mamma
[CGM] stia tranquilla che non può succederle nulla
[IC] aria / bella / che se mi gira ti porto in questura
[LB] non guardare che se ci vede ci ammazza
[MiF] nonno / non esagerare / che tanto non ha niente
[MR] papà non venì che è meglio
[PB] non ti preoccupare che poi torno
[SFM] me lo saluti / io devo scappare che cj ho da fare
[V] vieni qua che dobbiamo partire
seguito da quello finale e temporale:
[GeP] sono stata io a insistere che rientrasse
[LB] è una vita che non ci vediamo
[MR] era ‟na vita che aspettavo ‟sto momento
[MR] si dice che la direttrice l‟abbia vista che cercava di scassinare.
Non mancano poi altri valori del che, in cui la congiunzione sostituisce alcuni nessi
relativi più complessi i quali, all‟interno della frase, esprimono un legame
dichiarativo o causale e che sono stati ridotti, con ellissi dell‟elemento nominale64.
Nella maggior parte dei casi il che ha funzione esplicativa in dipendenza da un
sostantivo, oppure sostituisce il sintagma del fatto che, o sul fatto che:
[EdR] mi ero illusa che l‟amore potesse / superare ogni barriera
[CGM] non ho dubbi che se dovesse venirle in mente qualcosa non esiterà a collaborare
[SFM] poi si legge sui giornali che non c‟è dialogo tra padri e figli
Ancora tipica di questa variazione diamesica è l‟introduzione di numerosi tipi di
proposizioni dipendenti per mezzo di locuzioni formate con che, come a parte che,
per il fatto che, basta che, una volta che, adesso che, solo che, ecc.:
[EdR] tanto per il signor Marchese / basta che quando c‟è n‟è bisogno ci sia abbastanza da
arraffare nelle casse
[CC] adesso che l‟ho letto anch‟io possiamo parlarne un po‟
[CC] adesso che tu sei vicino a me mi sento benissimo
[CV] basta che lo chiedi a qualcun altro
[SFM] solo che pensavo tra tre quattro mila mesi.
Tipica della microstruttura del parlato65 e comune a un‟ampia gamma di varietà è la
struttura marcata dei costituenti della frase66. Si tratta di fenomeni presenti in tutto
63
Escludiamo dall‟analisi il che introduttore di una frase scissa che sarà trattato a parte.
Cfr. Sabatini 1985: 165.
65
Cfr. Berretta 1994: 255.
64
25
il ventaglio tipologico del corpus, ma sicuramente più invasivi in situazioni in cui
l‟espressionismo e la mimesi del parlato sono più ricercati. Non è il caso di
insistere troppo67 sui numerosi casi di dislocazione a sinistra68, trattandosi di una
situazione comunicativa in cui l‟orizzonte tematico è largamente condiviso tra tutti
gli interlocutori69: la dislocazione a sinistra concorre a rendere più dinamica la
comunicazione in quanto permette di portare o riportare un tema all‟attenzione
dell‟ascoltatore70. I più frequenti sono ovviamente quelli in cui l‟elemento dislocato
è un complemento oggetto ripreso da un clitico:
[CC] il tempo per leggere un buon libro lo trovo sempre
[CGM] però un consiglio ve lo vorrei dare
[MiF] di quelle cose lì te ne faccio dieci
[RdC] questa la devi portare con il vestito da sposa
o anche una intera proposizione:
[RdC] guarda che l‟abbiamo saputo cosa hai combinato.
Frequentemente ricorre la struttura con esplicitazione del soggetto, in genere in
prima posizione71:
[AM] io… // in realtà un pensierino ce l‟avevo fatto
[CGM] io la mia scelta l‟ho già fatta
[RdC] tu certe cose / non le devi dire!
[RdC] io il mugnaio non lo voglio fare
[RMF] io // queste pillole non le ho mai viste
[RMF] tu i miei figli non li tocchi.
Più rare sono le strutture in cui non è presente la ripresa pronominale:
[AM] dello champagne ti occupi te
così come, sul versante opposto, sono rare strutture marcate anche diatopicamente,
come quella che segue con l‟accusativo preposizionale:
66
Sono “marcate” le frasi «i cui costituenti non occupano le loro posizioni “canoniche”, previste
dalla struttura della lingua, ma sono stati spostati per esprimere un particolare significato, in
aggiunta al contenuto preposizionale della frase stessa» (Benincà-Salvi-Frison 1988: 129).
67
Cfr. Sornicola 2005: 28 secondo cui fenomeni come questi sono «caratteristici di stili di italiano
parlato spontaneo anche di persone con alto grado di istruzione» e pertanto generalizzati.
68
La terminologia relativa a questo argomento si presenta negli studi varia e a volte incerta; si pensi
al termine topicalizzazione usato da alcuni per indicare l‟anteposizione dell‟oggetto senza ripresa
pronominale, da altri (cfr. ad es. Sornicola 1981) per tutti i casi di segmentazione. Per la
terminologia complessiva del fenomeno cfr. Berruto 1985b: 62. Cortelazzo 1972: 134-139 inserisce
questa costruzione sotto il titolo di «La collocazione distintiva» dove si sottolinea che con
l‟anticipazione si costringe l‟ascoltatore «ad una diretta ed intensa partecipazione al centro focale
d‟interesse, che in quel momento ci anima». Per un confronto tra testi scritti (giornali) e parlati, cfr.
Frascarelli 2003.
69
Cfr. Rossi 2005: 312.
70
Cfr. Rossi 1997 e Rossi 1999.
71
Circa la presenza e la posizione del soggetto all‟interno delle dislocazioni a sinistra, cfr. la
complessa fenomenologia delineata da Berruto 1985b.
26
[PeL] a mio figlio lo voglio vedere grande.
Altrettanto normale è la dislocazione a destra72, che risulta piuttosto utilizzata.
D‟altronde, come sostiene giustamente Fabio Rossi73, «testi tendenzialmente
monologici o a turnazione sbilanciata su uno degli interlocutori sono privi o
poveri» di dislocazioni a destra, per cui in prodotti basati essenzialmente sul
dialogo almeno a due voci non stupisce la notevole frequenza di queste strutture, di
preferenza con ripresa pronominale:
[AM] le hai tentate tutte
[LB] non li voglio neanche vedere gli amici
[MiF] adesso la riconosco / Maria
[MiF] tu non sai come l‟hai fatto felice tuo figlio
[RdC] bisogna controllarlo il mugnaio
[V] prendetevela nel preterito la vostra libertà.
Di esse, il 40% circa ricorre in enunciati interrogativi, assolvendo alla funzione,
prettamente dialogica, «di coinvolgere l‟interlocutore»74:
[AM] la tua cognatina non lo merita un regalo?
[CC] e come credi che l‟ho avuto il posto?
[CV] me lo dai o no questo lavoro?
[GeP] lo suoni ancora il pianoforte?
[RMF] come la paghi la parcella del tuo avvocato?
Per quanto riguarda la frase scissa75, essa sembra rispondere all‟esigenza di
semplificare la struttura informativa:
[AM] è l‟unico che mi è rimasto
[MR] era ‟na vita che aspettavo ‟sto momento
[RdC] è Nicola che non mi va di vedere
[RMF] è la ricevuta che fa testo
[SFM] è questo che è importante per me.
In alcuni contesti pare tuttavia utilizzata anche solo per mera enfasi, ed in certi casi
sembra ormai aver dato vita a formule fisse, come nelle interrogative che seguono,
introdotte da un “operatore”76:
[CC] sa cos‟è che mi pesa di più del lavoro?
[CC] quand‟è che me lo presenta?
[CC] dov‟è che tu resti normale?
[GeP] quand‟è che devi partire
72
Cfr. almeno Berruto 1985b e Berretta 1994.
Cfr. Rossi 1999.
74
Cfr. Rossi 1999 e Rossi 2005. Tra l‟altro, lo studio rileva un‟elevatissima presenza del costrutto
anche nel parlato filmico, giustificandolo proprio come un valido ausilio dialogico al
coinvolgimento indiretto dell‟interlocutore implicito (lo spettatore).
75
Cfr. almeno Benincà-Salvi-Frison 1988, Berretta 1994, Berruto 1985b, Sornicola 1982 (e la
bibliografia citata).
76
Cfr. D‟Achille 2006: 182.
73
27
[lS] dov‟è che si è nascosto tuo fratello?
Spesso la struttura è costruita anche mediante la messa in rilievo del pronome
soggetto subito dopo il verso essere:
[AM] ma io è te che voglio
[RdC] sono loro che mi hanno insegnato la parola di Dio
[RdC] siete voi che avete il potere di salvare qualcuno
[RdC] sei tu che l‟hai salvata
nelle esplicative con è che:
[CC] ha ragione è che non trovo mai il tempo // sempre di fretta anche oggi
[PB] ciò che è veramente cambiato è che non sei più un prete
e nelle negative con non è che77:
[LS] non è che Tonino s‟è messo in qualche guaio?
[MR] non è che abbiamo molto per le mani
[SFM] sì ho capito / ma io gli devo ridare la patente / non è che la posso lasciare nelle mani del
primo venuto / no?
Accanto alle strutture dislocate e scisse possiamo annoverare anche la frase
presentativa78, anch‟essa seguito da che pseudorelativo. La struttura è presente in
maniera meno diffusa, perché, a differenza della frase scissa tout court, non può
«servire da ripresa anaforica»79, fattore che invece favorisce il proliferare dell‟altra
struttura:
[CV] se c‟è qualcuno che deve preoccuparsi quello è lui
[DdP] anche se poi c‟è qualcuno che sta cercando di rovinarglielo / ‟sto giorno
[RdC] c‟è un notaio che mi ha richiesto in moglie.
Con una certa frequenza, soprattutto nelle fiction che ricorrono ad una lingua meno
aperta all‟oralità, si incontrano anche le frasi scisse di tipo implicito:
[CV] sei rimasto l‟unico a frequentare ancora Serena Bassani / l‟unico a perorare ancora la sua
causa
[CV] è stato lui a decidere
[RdC] Se li lasci liberi di vivere / un giorno saranno loro ad ammazzarti
[RdC] è stato lui ad ammazzarlo
[RdC] è stato Domenico Tiepoli a tradire
sebbene non manchino esempi del fenomeno anche in prodotti più indirizzati verso
una lingua media:
[MR] è stata la signorina Mariani a fare tutto questo casino.
77
Per l‟abuso di questo modulo, cfr. Castellani Pollidori 1995: 87-101.
Cfr. Berruto 1985a e 1985b, Berretta 1994: 257 e D‟Achille 2006: 155. Per la diffusione di questa
struttura nella lingua giornalistica, cfr. Bonomi 1994: 669.
79
Cfr. Berretta 1994: 257.
78
28
Meno frequenti le frasi pseudoscisse80; di seguito qualche esempio:
[CV] e tu gli credi? / è questo quello che ti ha raccontato?
[PB] ma quello che mi manca ora è il tempo.
È un fenomeno esclusivamente parlato, specie popolare81, la struttura a cornice o
frase foderata82, che consiste nell‟epanalessi del verbo alla fine dell‟enunciato; nel
primo esempio che segue la battuta è pronunciata da un personaggio che usa un
italiano falsamente forbito (la segretaria del dottor G. in Amiche mie); mentre gli
esempi tratti da Un medico in famiglia sono enunciate da Torello, un personaggio
caratterizzato da un uso substandard dell‟italiano:
[AM] io l‟ho trovato / in extremis sì / ma l‟ho trovato
[MiF] te ne faccio dieci te ne faccio
[MiF] ho deciso Cettì / io non torno più indietro / ho deciso
[CSB] cj ho paura / cj ho
Non mancano la ripetizione di altri elementi della frase, forse anche con influsso
della lingua pubblicitaria. Come si può vedere dagli esempi, il fenomeno è
collocato in contesti vistosamente “parlati”, in cui compaiono tratti non standard
come il ci attualizzante, il troncamento dell‟infinito, la deissi accentuata:
[C] cinque anni cinque
[TP] fredda mi serve / fredda
[LB] con quella lì ci leghi il cane / con quella lì
[MR] quaranta giorni devo stà così / quaranta
[V] se continui a farmi arrabbiare al monastero come tuo cugino / al monastero ti mando
sembra avere invece intenti puramente retorici l‟attestazione che segue:
[RdC] nessuno è respinto dall‟amore / e dal perdono // nessuno.
3.1.5. Aspetti di testualità
Le particolarità maggiori del parlato rispetto allo scritto risiedono essenzialmente
nella strutturazione complessiva del testo, nella sua frammentarietà formale e
tematica, e nell‟evidente insufficienza della progettazione testuale, dovuta
all‟articolazione in corso d‟opera «di un discorso non pianificato e privo di
collegamenti» (Dardano 1994: 352). Il parlato della fiction, nella sua natura di
“parlato simulato”, tende a riprodurre una parte di questi stilemi. I testi in questione
saranno esaminati sotto la lente della pragmatica conversazionale applicata alle
modalità di strutturazione del testo, per quanto, come giustamente sostiene Rossi
(2002: 171), anche «un film molto realistico conterrà meno ripetizioni,
sovrapposizioni ed esitazioni di un qualsiasi dialogo informale». Vi troveremo così
80
Cfr. Berretta 1995: 212-217 e D‟Achille 2006: 155.
Cfr. D‟Achille 1994 e la bibliografia ivi citata.
82
Cfr. D‟Achille 2006: 182.
81
29
alcuni dei «tratti situazionali» del parlato dialogico, e dei relativi «corrispettivi
linguistici», di cui dà conto Bazzanella 2002: 25.
Gli espedienti utilizzati per realizzare l‟”effetto realtà” sono diversi. Innanzitutto la
struttura dei dialoghi, nei quali si cerca di riprodurre il più fedelmente possibile
«situazioni di colloquialità spontanee e scarsamente programmate», ricorrendo a
«modismi tipici dell‟oralità» (Rossi 1999: 100)83. Perciò, tanto più numerosi
saranno i segni evidenti e diffusi di una tale adesione, tanto più sarà giusto parlare
di avvicinamento alle movenze del parlato spontaneo. Oltre all‟ovvia prevalenza di
una sintassi giustappositiva e coordinante che fa sì che «le connessioni logiche non
siano esplicitate bensì siano lasciate alla deduzione dell‟ascoltatore e segnalate solo
mediante giustapposizione»84, e alla presenza di alcuni tratti notevoli in relazione
all‟ordine degli elementi della frase, riscontriamo nel dialogo, per quanto concerne
il livello pragmatico-testuale, diversi aspetti caratteristici del parlato. Innanzitutto
l‟avanzamento per piccoli blocchi, e inoltre pause esitative, riformulazioni e
numerose ripetizioni di singoli elementi, a contatto o a distanza, che cercano di
sottolineare la sostanziale frammentarietà testuale del brano e la scarsa
progettazione d‟insieme85.
Frammentarietà e scarsa progettazione che vengono in un certo qual modo
bilanciate dalla presenza di particelle discorsive che si occupano perlopiù di gestire
i rapporti di interazione tra parlante e interlocutore. Il corpus è particolarmente
ricco di tali dispositivi, tipici della testualità del parlato, ai quali è affidato in molti
casi il compito di realizzare una maggiore coesione testuale. Esemplifichiamo
qualche caso in cui i segnali discorsivi hanno funzione di segnalare l‟inizio (la
presa di turno), la prosecuzione e la fine (conclusione / cessione del turno)86.
Formule tipiche di apertura, che risultano attestate in maniera sistematica nel
corpus, anche in presenza di differenti variabili sociolinguistiche, sono allora:
[AM] allora? // Io non ci posso credere // Non ci hai detto niente
[CGM] allora? // che cosa si sente
[EdR] allora / non mi resta che augurarvi buon viaggio
comunque, che nel passo che segue segna una netta ripresa del filo del discorso87:
[AM] senti / Paolo // io mi sono veramente rotta le palle di parlare con la tua segreteria // e
comunque ci siamo lasciati da quattro mesi // ma che bisogno c‟è di farmi sentire come ti
spupazzi la tua ultima fiamma / eh? // giuro che ti vengo a stanare ovunque tu sia / capito?
[MiF] No / ma vedrai che gli passa // comunque io sono convinta che ci sono dei problemi con
Guido / non me l‟ha mai contata giusta
[SFM] sì comunque me l‟hai detto tu / non ti ricordi?
83
Tratti che, almeno nel parlato filmico, tendono, nei tempi più recenti, ad aumentare notevolmente.
Cfr. Pavesi 2008: 32 e le osservazioni di Cresti 1982 e Raffaelli 1994.
84
Bertuccelli Papi 1993: 155.
85
Cfr. Berruto 1993: 41: «tessuto testuale e il flusso dell‟informazione sono spezzettati, scissi in
blocchi accostati l‟un l‟altro senza essere fusi in un periodo strutturalmente coeso, la progettazione
agisce su segmenti di discorso per lo più brevi e la macrosintassi risulta scollegata».
86
Berretta 1994: 247.
87
Berretta 1994: 246.
30
dunque, che, in genere, «annuncia un intervento di una certa lunghezza e
importanza» (Berretta 1994: 247), come nel caso che segue in cui la protagonista è
“costretta” a spiegare la situazione a cui gli invitati alla sua festa di compleanno
hanno appena assistito (un bacio tra lei ed un uomo che non è suo marito e che
nessuno conosce), in cui la “centralità” dell‟informazione è evidenziata anche
dall‟uso contrastivo dei pronomi personali lui/io, e dalla loro posizione in apertura
dei due enunciati coordinati e perfettamente paralleli nella struttura (soggetto /
verbo / complemento):
[AM] dunque / lui era Giacomo e io oggi ho lasciato mio marito
o come nella battuta successiva in cui è descritta una manovra di guerra:
[GeP] Scenderemo dalle alture di Praz / aggireremo dunque l‟intero esercito di Napoleone a sud
per poi sorprenderlo qui
Notiamo anche elementi non lessicali88, come ah, oh, beh (calco dall‟inglese
well89), numericamente rilevanti soprattutto nelle fiction che simulano con
maggiore evidenza il parlato spontaneo (innanzitutto Amiche Mie, Un medico in
famiglia, Camera Café, Centrovetrine e Sei forte maestro), pur con notevoli
differenze diafasiche e diastratiche. Le battute che seguono sono pronunciate da
personaggi dell‟alta e altissima borghesia (alcuni dei quali presentano anche una
notevole esibizione di autocompiacimento linguistico) come da figure, per es. la
segretaria del dottor G. in Amiche mie, che hanno un parlato decisamente affettato,
dagli impiegati di Camera Café, come, ad un gradino più basso, dalla domestica
Melina in Un medico in famiglia e dal collaboratore scolastico di Sei forte maestro:
[AM] ah beh no no / direi i ballerini in chiesa no
[AM] Eh / dicono che lei fa ascolto
[AM] oh / sei qui?
[CC] beh sì leggo molto
[CC] beh di cosa parla // lei non lo ha letto / è inutile che le dica di cosa parla
[CC] Luca vediamo di far qualcosa per ‟sto freddo / eh?
[CV] beh / non dirmi che ti fa paura
[CV] beh vedi ho molto da fare / credo proprio che oggi non sarà possibile
[MiF] beh ce ne stanno tante di agenzie
[MiF] eh / come no // la tisana per la piccola / il caffè per il ragazzo // qua pare che stiamo in
albergo / però
[MiF] questa non dura molto qui / eh?
[SFM] ma solo qualche volta però / eh
[SFM] scusate direttó / eh non vorrei disturbare ma qua ce sta...
Eccezionalmente questi elementi compaiono anche in fiction molto meno aperte al
parlato spontaneo, come Elisa di Rivombrosa e in Karol, un uomo diventato Papa.
Nel primo caso, però, si tratta di una battuta pronunciata all‟interno di un dialogo
tra due membri della servitù che scherzano tra di loro dopo una gara di corsa:
88
89
Berretta 1994: 246.
Cfr. D‟Achille 2006: 230.
31
[EdR] Ah / bella vittoria! // ahhh / eppure te l‟avevo insegnato a non dire le bugie / eh
mentre nel secondo, all‟interno del lungo monologo pronunciato dal prete polacco
Thomaš, rappresenta solo un piccolo cedimento al parlato in un contesto altamente
drammatico ed enfaticamente costruito:
[K] eh sì // sono davvero bambini degenerati.
Tra le formule di chiusura, indubbiamente la più utilizzata è no?:
[AM] tradurre libri non implica la tua presenza per forza a Milano / no?
[CC] è inutile che le dica di cosa parla / non avrebbe senso / no?
[CGM] eppure lo sai che lavoro faccio / no?
[MiF] sai / in classe mia / sono quasi l‟unica a non avere la scusa / sai / no?
[RC] te l‟avemo tenute in caldo / no?
[SFM] io credo che sia bene parlare delle cose / no?
Una formula di chiusura un po‟ sui generis può essere considerata la seguente, in
cui il personaggio utilizza l‟eufemismo cavolo con il chiaro intento di chiudere la
conversazione:
[AM] cavolo / io sono in ritardo.
Accanto ai connettivi testuali vanno anche segnalate, per affinità di funzione, le
«ripetizioni dialogiche» (Bazzanella 2002)90 in particolare quelle che occorrono fra
un turno e l‟altro della conversazione: con esse il parlante si riaggancia
esplicitamente a quello che è stato appena detto; qualche esempio “trasversale”, i
primi quattro da Amiche mie:
[marito di Grazia] ti chiamo perché ho una proposta da farti.
[Grazia] aspetta aspetta / che proposta // un indizio!
[Marta] io… // in realtà un pensierino ce l‟avevo fatto / tempo fa però / non adesso
[Grazia] un pensierino? / Le hai tentate tutte.
[Anna] è lei.
[Marta] lei chi?
[Anna] quella del fatto del bagno.
[Grazia] quella è mia sorella.
[Anna] tua sorella?
i successivi da Elisa di Rivombrosa:
[Giulio] In ogni caso se continua così…
[Fabrizio] se continua così?...
[Elisa] e questo che cosa c‟entra?
[Domestica] c‟entra / c‟entra moltissimo.
90
Cfr. Bazzanella 2002: 28: «la ripresa uguale anche se parziale di uno o più elementi lessicali
presenti nel turno del parlante precedente da parte del parlante di turno».
32
Frequentemente in Elisa di Rivombrosa ricorre una variazione di questo schema,
che utilizza non la semplice ripetizione di una parola, ma il ricorso ad una struttura
un po‟ più complessa che prevede, per esempio, la ripresa della stessa base
lessicale pur con una differente valenza morfologica, come è nei casi che seguono
in cui c‟è una sorta di poliptoto temporale:
[Fabrizio] senonché io non intendo restare
[Elisa] come sarebbe che non restate?
[Fabrizio] a meno che // non accada qualcosa che mi convinca a rimanere
[Elisa] allora speriamo che questo qualcosa accada
La seconda coppia di esempi è costituita da una frase che da eccettuativa diventa
oggettiva e che, grazie all‟inversione dei componenti, segna, oltre che un semplice
cambio di turno, anche una sorta di schermaglia verbale tra i due protagonisti.
Frequentemente la ripetizione nasconde un finto cambio di turno:
[marito di Grazia] c‟è una novità!
[Grazia] una novità?
oppure la ripetizione può servire, non raramente, a marcare la richiesta di
informazioni all‟interlocutore:
[AM] ci vuoi parlare / che so… // di cosa… // Eh / di cosa?
Tra i segnali di richiesta di attenzione o di presa di turno, abbiamo senti (-a, ecc.),
sai (-a, ecc.), capito, dimmi, (come) vedi. Come abbiamo visto in altri casi, anche in
relazione a questo fenomeno si ha un uso più frequente in fiction più indirizzate
verso una forte mimesi del parlato (Amiche mie, Un medico in famiglia, Sei forte
maestro, Camera café):
[AM] senti / non partiamo / eh? // Lascia che vadano loro
[AM] giuro che ti vengo a stanare ovunque tu sia / capito?
[AM] dimmi tu no? / che cosa c‟è di erotico nel farsi vedere così a gambe all‟aria…
[MiF] sai / in classe mia / sono quasi l‟unica a non avere la scusa / sai / no? / per passare tutta la
mattina in bagno!
così come guarda che seguito dal verbo all‟indicativo con un forte valore fatico:
[AM] No / guardi / il dottore oggi è occupato tutto il giorno.
[CC] guarda che non si scherza su ‟ste cose
[SFM] guarda che le porte sono state inventate perché qualcuno ci bussi
[SFM] guardi che qui non c‟è più niente da fare
[SFM] guardi che è morta stecchita / prima si rassegna e meno tempo perde.
In altre fiction l‟impiego è decisamente ridotto, seppur non assente:
[CGM] sai che non vedo l‟ora che diventi mia moglie?
[GeP] sai com‟è / anche gli orsi ogni tanto escono dalle loro tane / come vedi
33
[PB] guarda quante fascine che ha fatto
[RdC] guarda che l‟abbiamo saputo cosa hai combinato
[RMF] come vedi non sono io che me ne devo andare.
In quest‟ultima tipologia si potrebbe proficuamente considerare anche l‟impiego, in
apertura di battuta, del nome proprio o dell‟appellativo, come nei casi che seguono:
[AM] Anna / Anna / ma che stai facendo / esci / siamo tutti pronti.
Fondamentale, ancora a livello testuale, è ancora il ricorso alla deissi, che funge
soprattutto da strumento di coerenza tematica. Non rappresenta sicuramente un uso
in alcun modo discriminante l‟impiego di deissi intrinseca, vale a dire espressioni
«deittiche in tutte le loro occorrenze indipendentemente dal contesto in cui sono
inserite» (VANELLI, Il meccanismo, p. 300). Ci riferiamo cioè alla deissi
personale91, che assolve il principale compito di «creare un rimando alla situazione
di enunciazione e all‟atto della comunicazione in uno spazio temporale percepibile
come “presente”»92, come nei casi che seguono, in cui i pronomi assumono la
funzione di alludere concretamente alle persone fisicamente o mentalmente
presenti nel contesto in cui avviene l‟atto comunicativo93 (si tratta di una costante,
per cui l‟esemplificazione è minima):
[AM] due sfigati / io e te / eh?
[CV] al contrario / se c‟è qualcuno che ha dimostrato poco lealtà nei confronti di tutti sei tu /
Niccolò
[EdR] ha sentito cose di cui io non ho saputo niente
[MiF] ho deciso Cettì / io non torno più indietro
[RdC] E tu? / Tu credi di essere forte?
o alla presenza di possessivi e vocativi che assolvono alla funzione di
contrassegnare la persona o il ruolo del partecipante94:
[AM] signori / questa è l‟ultima volta che ve lo ripeto / vi voglio tutti in fondo al salone nascosti
e in silenzio!
[EdR] Angelo! / Cosa c‟è / vuoi la rivincita?
La deissi temporale è utilizzata soprattutto come forte legame cronologico ed
emotivo tra il momento dell‟enunciazione e il contesto situazionale, come
nell‟esempio:
[AM] no / guardi / il dottore oggi è occupato tutto il giorno.
All‟utilizzazione di oggi e domani come avverbi di tempo effettivamente deittici, in
quanto indicano appunto un momento cronologico preciso, possiamo quindi
91
Cfr. Vanelli-Renzi 1995: 266.
Perugini 1994: 613.
93
Cfr. almeno i classici studi di Durante 1970: 187; Palermo 1997: 425; Beaugrande-Dressler 1990:
220.
94
Cfr. Mazzoleni 1995: 377.
92
34
contrapporre un diverso uso in cui i due avverbi sono “latamente deittici”95, nel
senso che svincolano il testo da una situazione temporale definita, collocandolo in
una sorta di a-temporalità. È, ad esempio, il caso della battuta che segue:
[AM] abitanti di questa casa / forza! // anche oggi andrò a combattere per voi!
Ancora più interessante risulta essere la deissi spaziale, che contribuisce, forse più
delle altre, a determinare un maggior “effetto parlato”, come negli esempi:
[AM] mi chiedo come mai siamo qua
[AM] Marta / ma che fai / vieni giù di lì
[EdR] Oh / Elisa mia / qui tutto va a scatafascio…
[CC] mi sa che lei qui dentro è l‟unico che potrebbe averlo letto
[CGM] io ho la sensazione che molti qui a Milano abbiano smesso di credere
[CV] con quale coraggio ti presenti qui da me?
[GeP] aggireremo dunque l‟intero esercito di Napoleone a sud / per poi sorprenderlo qui
[MiF] ma io di quelle cose lì / te ne faccio dieci
[PB] mi sembra che tu ti muova liberamente qui a Venezia
[SFM] cercavo Emilio / quello che fa il maestro qui.
Interessante anche la deissi iconica, costituita da atteggiamenti del corpo, segnali
paralinguistici di ostensione (l‟indicazione con il dito, con lo sguardo, ecc.), segnali
tipici della comunicazione parlata:
[AM] sai cosa faccio oggi? // Mi prendo una pausa pranzo così [mima con le braccia]
[CC] quanto è grande un libro di 1400 pagine? così così così [mima con le braccia].
Ma spesso il riferimento deittico, di qualunque tipo, viene poi esplicitato
nell‟avanzamento del discorso, all‟interno della stessa battuta:
[AM] senti / non partiamo / eh? // lascia che vadano loro // Pietro ha tutti i suoi amici là / e tua
madre non vede l‟ora di occuparsi di lui
[AM] dimmi tu / no? // che cosa c‟è di erotico nel farsi vedere così / a gambe all’aria.
3.1.6. Cenni sul lessico
Per quanto riguarda il lessico, per la fiction possiamo sicuramente parlare di «bassa
densità» (Rossi 2006: 31). Si tratta dell‟uso di un lessico abbastanza ridotto; chi
parla tende a ripetere più volte le stesse parole, senza sentire la necessità di
ricorrere a sinonimi (come invece si cerca di fare nello scritto), e soprattutto a usare
parole polisemiche, di più ampio e generico significato.
Sono pertanto frequenti parole generiche, sia in riferimento a persone, come uno,
una „un uomo, una donna‟, tipo/a, coso, questo96:
[AM] mi ha fatto sentire mentre si spupazzava una
[AM] dentro c‟era uno // mi si è appiccicato addosso.
95
Alludono cioè «a intervalli di tempo più ampi rispetto a quello rappresentato da un
“giorno”, i cui limiti sono lasciati indefiniti» (Vanelli-Renzi 1995: 287).
96
Per l‟uso di questo, cfr. § 2.2.
35
[TP] non ti piace una dal giubileo!
[LB] che tipo!
[MR] è uno che fa i conti su tutto
[MR] è coso / è Marcello
[SFM] tu sei come quello di una favola che mi piaceva tanto // uno che tutti pensavano che non
era capace di fare nulla / e invece poi salvava la principessa.
In riferimento a cose, ricorre soprattutto cosa:
[EdR] che oggi sia venuta qui con me è già una gran cosa
[EdR] anche se non capisco / perché vergognarsi di una cosa che vi solo onore
[MR] spero che la cosa le si risolva rapidamente
[MR] la cosa è parecchio ingarbugliata
[MiF] anche se questa cosa che non si può laureare qua mi sta
ma ricorrono anche roba e fatto:
[AM] ma guarda che roba
[AM] quella del fatto del bagno
[CC] ma cos‟è ‟sta roba?
[LB] che roba!
[MiF] roba di vita o di morte.
Non pochi, in questa categoria, i verbi che, accompagnati da uno o più clitici,
assumono valori particolari, spesso lontani dal significato proprio del verbo (cfr. §
3.2.2.), o anche l‟impiego di verbi di significato generale: fare, dare, andare,
trovare, venire. Qualche esempio di fare polisemico, che assume i diversi
significati di „compiere (gli anni)‟, „appartenere a una categoria professionale‟,
„spiegare‟, „picchiare‟, „costruire‟,
[AM] quando io faccio 40 anni
[AM] io faccio l‟operatore
[CC] e allora ti faccio il ragionamento
[CC] ti faccio due occhi neri
[MiF] per te io ti faccio una piramide che è alta il doppio di quella di Cheope
Per esigenza espressiva l‟alterazione è molto diffusa; figurano soprattutto i
diminutivi, sia di carattere attenuativo in relazione ad affermazioni o a richieste97:
[AM] dai / un aiutino98 / sto cercando di dimenticare Paolo
[AM] io // in realtà / un pensierino ce l‟avevo fatto
[CV] questi sono trucchetti che funzionano con la gente comune / non cascarci anche tu
[MiF] mo per esempio sto buono buono a fare un riposino in camera sua
[RIS] ti piacciono le stelline? [in baby-talk]
sia affettivo (frequenti soprattutto in Love bugs, a caratterizzare la conversazione e
le manifestazioni d‟affetto dei due protagonisti):
97
Cfr. Berretta 1994: 268.
Aiutino rappresenta senza dubbio una sorta di citazione intertestuale dal linguaggio dei quiz
televisivi recenti.
98
36
[AM] uffa / pistacchietto / con questa segreteria!
[CGM] che cosa si sente contessina
[LB] ma dai / melanzanina
[LB] scemino!
[RdC] vero piccolino?
anche con i nomi propri:
[MiF] Annuccia // vieni un attimo qua
[PB] però è un sacrificio che Angelino vuole fare
sia finto-affettivo o ironico:
[AM] e la tua cognatina non lo merita un regalo?
[EdR] della bella Elisa e del signor contino
[IC] calmino /eh?
[IC] vediamo prima se l‟amichetto risolve il problema.
Pochi gli accrescitivi:
[CC] visto che siete due intelligentoni
[MR] una paurona
[MR] co ‟ste gambone.
Segnaliamo anche alcuni derivati per accorciamento nei nomi propri, tipici delle
abitudini linguistiche giovanili (ma ormai non solo)99:
[AM] Fede / sbrigati che è tardi
[AM] Betti / questa volta ci siamo // sei in cinta
[LB] ciao Cri!
L‟esigenza espressiva si manifesta spesso nell‟uso di superlativi e in varie formule
di accrescimento o enfasi, che vanno dalla ripetizione dell‟avverbio:
[PB] lo sai che il papà di Carla sta male male?
al quantificatore generico un sacco di (+ sostantivo):
[L] digli de investì sugli americani // quelli te li valutano un sacco / e subito
[NS] quello tiene un sacco di clienti
[SFM] perché quando fai il dottore puoi guadagnare un sacco di soldi
[TU] un sacco!
a vari altri espedienti, come il che in espressioni enfatico-esclamative, sia con
aggettivi, sia con nomi:
[AM] che tenerezza!
[CC] ma che bello!
[EdR] Dio che vergogna!
[MG] madonna che caldo!
99
Cfr. Aprile 2008: 147, D‟Achille 2006: 46.
37
[MR] ammazza che posto!
Tradizionalmente esclusa dallo scritto, e invece ammessa nel parlato (e in crescita
negli ultimi anni), è la presenza di termini disfemici, o comunque legati alla sfera
sessuale (prendere per il culo, mandare a cagare – con g eufemistica –, avere culo,
casino, ecc.). Qualche esempio:
[AM] senti Paolo / io mi sono veramente rotta le palle di parlare con la tua segreteria
[IC] vita di mmerda / città di mmerda / mestiere di mmerda
[RMF] a dimostrarti che non cambi mai // sei sempre il solito figlio di puttana bastardo
[RMF] perché te l‟ho scritto io il biglietto / stronzo
[TP] che palle!
ma soprattutto cazzo, in alcune espressioni addirittura grammaticalizzato:
[DdP] cazzi miei / scusi / eh?
[L] questo non cj ha vojia de fare un cazzo
[NS] cazzo / hai un‟ironia / tu
[RC] ma perché nun me dai na mano anziché rompe er cazzo
[RMF] come cazzo fai a saperlo?
anche in deformazioni tabuistiche:
[AM] ma come cavolo devo dirtelo / torna subito a casa
[AM] cavolo / io sono in ritardo
[SFM] oh cavolo / siamo fritti!
a cui aggiungiamo scatole in
[CM] mi sta sulle scatole questo da morire
Segnaliamo anche oddio 100con funzione di correzione di un giudizio precedente,
un‟opinione già espressa, introducendone una versione attenuata:
[AM] oddio / stai a rischio di sfocatura lì.
Componente fondamentale e molto nutrita della lingua parlata di cui la lingua
finzionale fa ampio uso è l‟impiego di modi di dire proverbiali o pseudoproverbiali
e di frasi fatte101, spesso impiegate con intenti ironici e brillanti (più o meno
riusciti), di cui si parlerà diffusamente, in relazione ai diversi prodotti, nella sezione
dedicata ai generi. A bilanciare questa componente intervengono essenzialmente
due fattori. Da una parte l‟impiego di parole di tono più elevato, appartenenti al
registro più alto. Una sorta quindi, per dirla con Nencioni (1976/1983), di “parlato
scritto” che ricorre di preferenza nelle fiction di genere biopic e nelle trasposizioni
da opere letterarie, tutte indistintamente assestate (pur con differenti esiti di
100
Un cambio di progetto più brusco, di recente utilizzato anche nella scrittura giornalistica:
Dardano-Frenguelli-Lauta 2008: 46-47.
101
Sulla problematica legata al grado di variabilità delle metafore e alle loro variazioni contestuali,
cfr. le prime ipotesi di Camugli-Gallardo 2005 e il contributo di Variano 2010.
38
credibilità e di proprietà in relazione al contesto storico e narrativo) su scelte
lessicali ricercate e non banali. Negli altri generi invece l‟impiego di parole
ricercate è fondamentalmente casuale, o limitato a determinati personaggi che
parlano con un linguaggio più forbito di altri, o, ancora, utilizzato in contesti
diafasici e comunicativi perlopiù inadeguati. Facciamo solo qualche esempio. In
Amiche mie, risulta piuttosto ricercato (e anche un po‟ artefatto) il passo in cui un
marito cerca di convincere sua moglie a trasferirsi in un‟altra città, dicendo:
[AM] tradurre libri non implica la tua presenza per forza a Milano / no?
in cui il verbo implicare risulta un po‟ fuori luogo; o, in una situazione informale,
quale è un dialogo tra amiche, compare il verbo imbattersi, non a caso subito
ripreso e quasi glossato dal sinonimo più comune:
[AM] sai in chi si è imbattuta? // La prima persona che ha incontrato?
Ancora in una situazione comunicativa poco formale (un dialogo tra fratelli
piuttosto acceso) il verbo gettare via ricorre al posto del più comune, e quasi
lessicalizzato in contesti di questo tipo, buttare via:
[CV] Riccardo ti userà / e quando non avrà più bisogno di te ti getterà via / proprio come ha fatto
con me.
Altro elemento fondante e che contribuisce a bilanciare espressioni più connotate in
senso parlato è costituito dalla presenza di una vasta gamma di sottocodici,
potenzialmente tutti in grado di essere inclusi nella lingua finzionale102.
Innanzitutto il “poliziese”, variamente presente, con differente densità, nelle fiction
di genere poliziesco, con i suoi tecnicismi collaterali sia strettamente burocratici,
sia legati all‟attività investigativa, per es. nella descrizione della scena del delitto e
della dinamica dell‟omicidio (ampia esemplificazione nel § 3.2.3.), ma non solo (il
caso Aleppi, in prigione per stupro, corpo contundente). Ridotta (e, in alcuni casi
assente) la frequenza della tipica sequenza burocratica cognome-nome nel
pronunciare il nome di imputati e testimoni (Bianca Mazzi, Stefania Banti, Marisa
Melis, Anna Giordano, ecc.).
Il sottocodice e la relativa terminologia scientifica soprattutto di tipo medico103
(spesso, come succede nei telefilm americani, non spiegata allo spettatore) sono
distinguibili a seconda della loro presenza in relazione alla scena di un crimine
(esemplificazione ancora in § 3.2.3.), e quelli usati in ambito più propriamente
medico (e che ricorrono di preferenza nei medical: cfr. § 3.2.2.). Notiamo en
passant che nella fiction Le cinque giornate di Milano, in cui uno dei protagonisti è
un medico l‟impiego del sottocodice è ridotto all‟osso (appena qualche espressione,
perlopiù glossata al paziente: il muscolo non è stato toccato, l’infezione non c’è,
ecc.).
Pochissimi i tecnicismi della psicologia; qualche termine come mitomania
monomaniacale, e qualche espressione eponima, spesso glossata, come complesso
102
103
Cfr. Berretta 1994: 267.
Per il gergo medico, cfr. Braga 2008: 32.
39
di Elettra ricorre nei polizieschi; in Love Bugs sul gergo dello psicologo si
imbastiscono invece garbate ironie. Qualche accenno al sinistrese si ha in Rino
Gaetano; mentre Camera Café offre anche una interessante parodia del sindacalese
e del sottocodice economico (processo di fusione, mappa relazionale, direttrici),
quest‟ultimo piuttosto raro (fatta eccezione per qualche tecnicismo come holding in
Centovetrine) (cfr. § 3.2.9.).
40