Henny Pennies

Global Central Bank Focus
Aprile 2014
Tony Crescenzi
Your Global Investment Authority
Henny Pennies
Casca il cielo nel mercato
obbligazionario? Le
turbolenze estive dell’anno
passato hanno indotto
molti operatori a ritenere
imminente tale evento
e gli annuvolamenti
dello scorso mese hanno
rinnovato i timori, che
si sono tuttavia rivelati
ancora una volta infondati.
Mike Amey
Managing Director
Portfolio Manager
Tadashi Kakuchi
Executive Vice President
Portfolio Manager
Ben Emons
Senior Vice President
Portfolio Manager
Gli investitori hanno completamente annullato i rialzi dei tassi d’interesse
scontati nelle quotazioni di mercato dopo l’ultima riunione della Federal
Reserve il 19 marzo, quando è sembrato che il presidente dell’istituto Janet
Yellen indicasse la possibilità di un inasprimento prima del previsto, forse
già all’inizio del secondo trimestre 2015. Da allora, i funzionari della Fed
sono in parte tornati sui propri passi, facendo il possibile per tranquillizzare i
mercati e indicando chiaramente che l’istituto sarà paziente nel
ridimensionamento nonché nell’eventuale abbandono della politica
accomodante. In risposta a questo passo indietro, i tassi d’interesse sono
scesi e le quotazioni azionarie sono complessivamente salite.
La recente volatilità di mercato seguita ai comunicati della banca centrale
statunitense ricorda agli investitori le sfide che la Fed si trova ad affrontare
nel passaggio dalla cosiddetta forward guidance quantitativa a una guidance
qualitativa più sfumata e di difficile interpretazione. Oggi è ad esempio più
difficile stabilire se la Fed, dopo l’eliminazione della soglia di disoccupazione
del 6,5%, abbia compiuto o meno progressi verso il proprio obiettivo di
migliorare le condizioni del mercato del lavoro. Altrettanto arduo oggi è
prevedere i tempi di futuri interventi di politica monetaria rispetto all’epoca
in cui la guidance della Fed si basava su un calendario preciso.
Sebbene le incertezze sulle prospettive della politica monetaria siano
aumentate da quando la banca centrale statunitense ha introdotto una
guidance qualitativa più sfumata, questo non comporta necessariamente
un aumento duraturo della volatilità di mercato. Indubbiamente la volatilità
potrebbe tendere ad aumentare nel momento in cui la pubblicazione di dati
economici rilevanti per la Fed e l’andamento dei mercati lasciassero
prevedere potenziali variazioni dell’orientamento
monetario. È tuttavia difficile che ciò accada grazie
all’azione contenitrice di forze a breve e lungo termine
molto potenti legate alle prospettive economiche.
L’elemento a breve termine si riferisce alla persistente
assenza di pressioni salariali e ai bassi livelli di inflazione.
Quali sono le probabilità che l’anno prossimo, dopo sei
anni di crescita salariale debole, pari ad appena il 2%,
Janet Yellen e la Fed dicano agli americani: “Ora basta!
Dopo sei anni di crescita sottotono, i salari hanno avuto sei
mesi per recuperare terreno, per cui abbiamo deciso di
porre fine agli aumenti”? Un tale scenario è altamente
improbabile. È molto più verosimile che la Fed proceda con
cautela consentendo un parziale recupero.
Il livello di lungo periodo del tasso ufficiale della Fed
dipende da diversi fattori, cinque dei quali sono descritti
nei verbali della riunione del FOMC del 19 marzo:
1. Maggiori risparmi cautelativi dei nuclei familiari
statunitensi
2. Tassi di risparmio globali più elevati
3. Mutamenti demografici
4. Crescita più lenta della produzione potenziale
5. Aumento contenuto della creazione di credito (Figura 1)
FIGURA 1: PRESTITI E LEASING CORRETTI PER LE
DISCONTINUITÀ NEL CREDITO BANCARIO: TUTTE LE
BANCHE COMMERCIALI
15
Percentuale (%)
10
5
0
-5
Variazione % anno su anno (dato destagionalizzato)
-10
-15
Gen
‘95
Gen
‘97
Gen
‘99
Gen
‘01
Gen
‘03
Gen
‘05
Gen
‘07
Gen
‘09
Fonte: Federal Reserve Board / Haver Analytics al 31 gennaio 2014
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APRILE 2014 | GLOBAL CENTRAL BANK FOCUS
Gen
‘11
Gen
‘13
Ognuno di questi fattori costituisce un ottimo motivo per
ritenere che il tasso di crescita di lungo periodo
dell’economia USA sia sceso rispetto agli ultimi decenni, a
indicazione del fatto che il livello finale di tasso fissato dalla
Fed è probabilmente più basso ora che non in passato. È ad
esempio ragionevole ritenere che, se i prestiti bancari
crescono più lentamente di prima, l’entità dell’inasprimento
monetario necessario per contenere l’espansione del
credito sarà inferiore al passato semplicemente perché la
crescita da contenere sarà inferiore.
Anche i fattori demografici costituiscono un’ottima base
per formulare previsioni sui tassi. Con l’invecchiamento
della popolazione americana la fascia demografica attiva
rappresenterà una percentuale sempre minore della
popolazione totale. Il numero crescente di americani che va
in pensione e si dedica al golf, alla famiglia o ai viaggi
intorno al mondo piuttosto che passare il proprio tempo in
fabbrica determina un calo della produzione nazionale e un
rallentamento della crescita, che rende quindi meno
necessario il ricorso al rialzo dei tassi come strumento per
contenere l’espansione economica.
Quanto detto finora vuole essere un’esortazione agli
investitori a non reagire come Henny Penny ai comunicati
della Fed. Nella favola esopica, Henny, Chicken Little e i
loro amici piumati finiscono nei guai quando cominciano a
preoccuparsi ritenendo che “il cielo stia cascando”. Alla
fine Henny e i suoi pavidi compagni, messisi in cammino
per avvisare il mondo dell’imminente pericolo, si ritrovano
nella tana di un lupo.
Anche gli investitori meno esperti potrebbero trovarsi nei
guai se dovessero preoccuparsi troppo, in questo caso delle
mosse della Fed; suggeriamo pertanto di tenere presente la
lista di motivi forniti dalla Fed per spiegare perché sia
improbabile che il prossimo ciclo di rialzi veda il tasso
ufficiale, e dunque i tassi d’interesse del mercato, salire
nella stessa misura in cui ciò è avvenuto in cicli passati.
Scommettete contro tassi d’interesse di mercato elevati e
attendetevi che la volatilità dei tassi d’interesse rimanga
relativamente bassa. Sfruttate le occasionali ondate di
panico. Non fate come Henny Penny!
L’inflazione contenuta fermerà la mano della Bank of
England? – Mike Amey
Il quadro che emerge dai flussi di dati provenienti dal
Regno Unito è quanto di meglio si possa attualmente
sperare. Il PIL cresce a un tasso annualizzato prossimo al
3% (secondo l’Office for National Statistics), l’occupazione
aumenta, gli investimenti aziendali mostrano segni di vita e
l’inflazione attualmente si colloca, e probabilmente rimarrà,
al di sotto del target del 2%. A fronte di una crescita
robusta e di livelli di inflazione contenuti, può la Bank of
England (BOE) permettere che la ripresa segua il suo corso,
senza che incomba lo spettro di futuri aumenti dei tassi?
Questo potrebbe essere possibile per la Federal Reserve, ma
nel caso della Bank of England le nostre previsioni sono
purtroppo di diverso tenore.
In base ai dati di marzo, il CPI (Consumer Prices Index,
l’indicatore chiave dell’inflazione britannica) è pari
all’1,6% e potrebbe ancora scendere di qualche decimo
di punto percentuale, rimanendo dunque ben al di sotto
del target del 2%. Questi sviluppi giungono tuttavia dopo
due anni di inflazione superiore al target, un periodo
durante il quale il CPI ha raggiunto il picco del 5,1% e la
BOE ha nondimeno mantenuto il proprio orientamento
fortemente accomodante. Avendo (correttamente)
sostenuto che la brusca impennata inflazionistica sarebbe
stata di breve durata, sarebbe ora difficile per la BOE
affermare che un valore lievemente inferiore al target
costituisce un ottimo motivo per lasciare che la ripresa
segua il suo corso. Secondo i nostri calcoli, negli ultimi tre
anni il CPI core è stato compreso tra l’1,5% e il 2%
(incluso il momento in cui il CPI complessivo ha raggiunto
il 5,1%). Riteniamo che gli analisti della BOE siano di
opinioni analoghe riguardo alle dinamiche inflazionistiche
sottostanti, nel cui caso è altamente probabile che, dopo
aver esaminato i dati più recenti, sottolineino la stabilità
dell’inflazione sottostante (piuttosto che suggerire che un
dato costantemente inferiore al target rappresenti un
rischio). Se gli sviluppi sul fronte dei tassi d’interesse
britannici saranno favorevoli, ciò non sarà dovuto al CPI,
ma alla mancata ripresa della crescita dei salari dall’attuale
tasso nominale dell’1%. La maggior parte dei segnali
indica tuttavia una certa accelerazione.
Questo significa che la Bank of England potrebbe essere la
prima tra le principali banche centrali ad innalzare i tassi
durante questo ciclo, un’ipotesi che sembrava impensabile
12 mesi fa. Da allora, tassi di crescita superiori alle previsioni
e l’abbandono da parte della BOE delle speranze di una
forte ripresa della produttività spingono l’istituto centrale a
prevedere che le capacità inutilizzate saranno esaurite entro
fine anno. Se tali previsioni si realizzeranno, le autorità
monetarie ritengono che alzeranno i tassi entro la primavera
del prossimo anno, ossia - è interessante notare - a ridosso
delle elezioni politiche britanniche, che si terranno a maggio
2015. Sebbene la BOE tenti di minimizzare l’impatto che la
consultazione elettorale avrà sulla politica monetaria, è
difficile immaginare che il primo rialzo possa avvenire in
concomitanza con il voto. Non dobbiamo pertanto
escludere il rischio di un rialzo dei tassi verso la fine del
primo trimestre 2015, prima di quanto attualmente
scontato nelle quotazioni. Siamo se non altro dell’avviso che
il mercato dei tassi d’interesse britannico dovrebbe quanto
meno incorporare un premio di rischio, al momento
assente. In questo contesto, riteniamo che il mercato
obbligazionario britannico sia se possibile da evitarsi.
Bank of Japan: un anno dopo – Tadashi Kakuchi
È passato quasi un anno da quando, nell’aprile 2013, la
BOJ ha adottato una politica monetaria aggressivamente
espansiva (Quantitative and Qualitative monetary Easing
(QQE)) sotto la guida del governatore Haruhiko Kuroda. Da
allora l’economia giapponese ha esibito una crescita
sbalorditiva e a febbraio 2014 il CPI (Consumer Price Index)
core da negativo ha raggiunto l’1,3% (fonte: Statistics
Bureau). Il governatore Kuroda ha inoltre dimostrato il suo
forte impegno a raggiungere il target d’inflazione del 2%
della BOJ. In prospettiva, cosa ci attendiamo dalla BOJ e
come dovremmo posizionare i nostri portafogli
nell’orizzonte ciclico?
Ciò che sappiamo con sicurezza è che l’espansione del
bilancio della BOJ continuerà anche oltre il 2014.
Nell’introdurre il QQE lo scorso anno, l’istituto centrale
giapponese ha dichiarato che l’attuale allentamento
sarebbe proseguito fino al raggiungimento sostenibile del
target d’inflazione del 2%, un obiettivo probabilmente non
GLOBAL CENTRAL BANK FOCUS | APRILE 2014
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raggiungibile prima della seconda metà del 2015, anche
secondo il giudizio economico ottimistico della BOJ. Non ci
attendiamo pertanto che la BOJ rallenti ma che tenga
fermamente premuto il pedale dell’acceleratore. E per
quanto riguarda la probabilità di uno stimolo monetario
aggiuntivo? La BOJ darà ancora più gas?
Riteniamo che i catalizzatori di un ulteriore stimolo possano
essere due: le condizioni del mercato degli asset rischiosi e
la diffusione dei dati macroeconomici dopo il rialzo
dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) di questo mese. Per
sua natura, la politica monetaria della BOJ è molto sensibile
alle fluttuazioni del mercato domestico degli asset rischiosi
(in yen e in azioni giapponesi), giacché il canale di
trasmissione della banca centrale opera prevalentemente
tramite i canali delle aspettative. Un forte apprezzamento
dello yen con contestuale calo delle azioni giapponesi
avrebbe serie conseguenze negative per l’economia
nipponica e la BOJ farebbe praticamente di tutto per evitare
che ciò accada, sottoscrivendo di fatto un’opzione call sullo
yen e una put sulle azioni giapponesi.
Anche la pubblicazione dei dati macroeconomici nel
secondo e nel terzo trimestre 2014 potrebbe determinare
un ulteriore allentamento da parte della BOJ. La banca
centrale si attende una netta ripresa dell’economia
giapponese dopo un temporaneo rallentamento ad aprile
2014 dovuto al rialzo dell’IVA e le sue stime sulla crescita
(+1,4% per l’esercizio 2014) sono ben al di sopra delle
aspettative di consenso. Questo scenario di crescita
ottimistico contribuisce a spiegare le previsioni della banca
di un’inflazione al 2% nella seconda metà del 2015 in virtù
di una riduzione dell’output gap. Ci attendiamo tuttavia
che la BOJ sarà delusa dai ritmi della ripresa dell’economia
domestica dopo il rialzo dell’IVA. A seguito della flessione
del reddito reale disponibile, dovuta all’aumento
dell’inflazione e dell’IVA, la domanda privata dovrebbe
divenire meno vivace.
A meno che i mercati finanziari non registrino bruschi cali,
riteniamo che la BOJ attenderà probabilmente la
pubblicazione dei dati macroeconomici effettivi successivi
all’aumento dell’IVA (al più presto verso la fine dell’estate)
e, solo se i dati indicheranno debolezza, avvierà ulteriori
misure espansive.
4
APRILE 2014 | GLOBAL CENTRAL BANK FOCUS
Nel posizionare i nostri portafogli alla luce di quest’analisi
potremmo prendere in considerazione l’apertura di una
posizione short sullo yen data la divergenza di
orientamento tra la Federal Reserve statunitense e la BOJ. A
prescindere dalle probabilità di un ulteriore allentamento,
riteniamo che l’orientamento della BOJ resterà decisamente
accomodante ancora per diverso tempo, in netto contrasto
con la Fed, che ha già avviato una riduzione dello stimolo.
Dato che alcuni operatori continuano ad attendersi
interventi proattivi da parte della banca centrale
giapponese, si potrebbe assistere a ritracciamenti a breve
termine, ma la tendenza di medio periodo dovrebbe essere
quella di un perdurante indebolimento dello yen.
Il terzo mandato – Ben Emons
Negli ultimi anni molte banche centrali globali hanno
inserito la stabilità finanziaria tra i propri obiettivi di
politica monetaria. Soprannominato il “terzo mandato”,
la stabilità finanziaria svolge ora un ruolo più importante
nelle funzioni di reazione (ossia negli adeguamenti della
politica in seguito a variazioni negli sviluppi
macroeconomici) delle banche centrali. Questo terzo
mandato può tuttavia entrare in conflitto con gli altri
mandati, quali disoccupazione e inflazione.
In sistemi finanziari ad alta leva (quindi nella maggior parte
delle principali economie mondiali odierne), stabilità
finanziaria e tassi d’interesse sono strettamente legati. Una
modifica sfavorevole del tasso ufficiale può esporre la
stabilità finanziaria a maggiori rischi e incidere
negativamente sull’economia. Concentrandosi su una più
rigorosa regolamentazione e mantenendo al contempo la
forward guidance sui tassi ufficiali, le banche centrali
tentano di allentare il legame tra stabilità finanziaria e
politica monetaria.
Le banche centrali delle maggiori economie, nonché quelle
di Svezia, Nuova Zelanda, Australia e Svizzera, si trovano di
fronte a un grosso problema: innalzando i tassi d’interesse
in risposta all’accelerazione dell’attività economica, questi
paesi potrebbero attrarre maggiori flussi di capitale estero,
rischiando di favorire il surriscaldamento del settore
dell’edilizia residenziale e di altri mercati. Se invece
rispondono con rialzi più graduali o addirittura mantenendo
invariato il costo del denaro, gli investitori potrebbero
continuare a indirizzarsi verso asset a più alto rendimento,
accrescendo i rischi per la stabilità finanziaria.
Ad aggravare la situazione contribuisce il fatto che le
principali economie avanzate soffrono anche di livelli di
inflazione troppo bassi e potrebbero essere costrette a
mantenere interessi persistentemente prossimi allo zero
anche in presenza di tassi di disoccupazione in calo. Per
uscire da questa situazione, è necessario che le quotazioni
delle attività siano elevate e sostenibili nel tempo, in modo
da ridurre l’indebitamento e sostenere la crescita economica.
Per gli investitori questo significa che rialzi aggressivi dei
tassi sono meno probabili in un contesto di bassa inflazione
in cui la stabilità finanziaria va protetta con attenzione. Ci
attendiamo quindi che le banche centrali dei principali paesi
sviluppati inaugureranno un ciclo di inasprimento
monetario meno rigoroso che in passato.
Tutto ciò pone le banche centrali di fronte a un importante
dilemma: accettare bassi tassi d’inflazione o aumentare i
rischi per la stabilità finanziaria. Per quanto riguarda
quest’ultima, le autorità monetarie dovranno valutare se
ricorrere al loro strumento più spuntato: l’aumento dei tassi
d’interesse. Non si tratta di una decisione facile.
Finora, nell’affrontare i rischi di instabilità finanziaria, la
maggior parte delle banche centrali ha optato per altri
approcci, in particolare l’inasprimento della
regolamentazione e una maggiore sorveglianza sui mutui
ipotecari e sul credito a elevata leva finanziaria. I requisiti
patrimoniali delle banche sono stati inoltre resi più
stringenti. Allo stesso tempo le banche centrali hanno
cominciato ad adottare una forward guidance più
qualitativa, al fine di fornire un’idea dei tempi di una futura
uscita dagli attuali regimi di politica monetaria
estremamente accomodante.
Nonostante le aspettative ottimistiche in merito a
un’accelerazione della crescita nella maggior parte delle
economie sviluppate, è difficile che i tassi d’interesse
possano essere impiegati per affrontare le questioni
relative alla stabilità finanziaria. Piuttosto che seguire un
orientamento maggiormente basato sulle regole nel
momento in cui l’inflazione e la disoccupazione sono
prossime a livelli in linea con il mandato, le banche
centrali devono gestire più attentamente le aspettative
sui tassi d’interesse al fine di bilanciare i rischi di
instabilità finanziaria.
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mercato e all’aumento della volatilità dei prezzi. Al momento del rimborso gli investimenti obbligazionari
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condizioni di mercato correnti, che sono soggette a variazioni. Si consiglia agli investitori di rivolgersi al
proprio professionista dell’investimento prima di qualsiasi decisione di investimento.
Il Consumer Price Index (CPI) britannico misura la variazione dei prezzi dei servizi e dei beni al dettaglio,
tra cui beni alimentari e gas. Il CPI è la principale misura dell’inflazione nel Regno Unito ed è utilizzato dalla
Bank of England ai fini dell’adozione delle decisioni sui tassi d’interesse. L’indagine monitora le variazioni dei
prezzi di un paniere di beni e servizi che una tipica famiglia britannica potrebbe acquistare. Un incremento
dell’indice indica che occorrono più sterline per acquistare lo stesso insieme di prodotti di consumo di base.
Non è possibile investire direttamente in un indice non gestito.
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