vitaospedaliera vitaospedaliera - Provincia Romana Fatebenefratelli

VO n° 03 marzo 2014_Marzo 2014 25/03/14 14.52 Pagina 1
VITAOSPEDALIERA
Rivista mensile dei Fatebenefratelli della Provincia Romana
POSTE ITALIANE S.p.A. - SPED. IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 N° 46) Art. 1, Comma 2 - DCB ROMA
ANNO LXIX - N° 03
MARZO 2014
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EDITORIALE
S O M M A R I O
RUBRICHE
4
San Raffaele:
l’angelo accompagnatore del malato
5
Le biobanche:
problemi bioetici
6
XXIII rapporto immigrazione 2013
tra crisi e diritti umani
7
Quaresima,
sinonimo di povertà evangelica
8
Partecipazione e negoziazione
nell’assistenza al bambino
9
Le fratture da osteoporosi: il polso
10
La medicina abbandona
la Trascendenza che l’aveva permeata nel
Medioevo, per aprirsi all’Immanenza
XLI – L’Illuminismo, salute pubblica e “medico
condotto”, nascita della psichiatria
11
Schegge Giandidiane N. 40c
Fra Orsenigo grazie ai massoni
è rimasto famoso a Nettuno
14
Schegge Giandidiane N. 44
Fra Gioacchino D’Arcos Doria
bravo infermiere e buon pittore
15
Un dilettante niente male
16
Traumatologia urologica
17
Incontro St. John of God
Fundraising Alliance - Roma
S. GIOVANNI DI DIO
MORÌ IN GINOCCHIO
N
ella copertina di questo mese, ricorrendo la festa di san Giovanni di Dio, figura un quadro del
1923 in cui un nostro confratello pittore, fra
Gioacchino D’Arcos, ha raffigurato la morte del Santo,
che avvenne all’alba dell’8 marzo 1550. Poco prima, coloro che erano restati a vegliarlo nella stanza accanto,
udirono il Santo esclamare “Gesù, Gesù, m’affido nelle
tue mani”. Seguì un lungo silenzio, per cui decisero
d’entrare e s’avvidero che il Santo aveva lasciato il suo
letto, aveva indossato l’abito religioso e s’era posto in
ginocchio, stringendo in mano un crocifisso: in quel gesto era spirato, ma il suo corpo, invece di afflosciarsi al
suolo, era incredibilmente rimasto fissato in quell’estremo atteggiamento di amore e di preghiera. La notizia
della sua morte volò e accorsero in tanti a rendergli l’ultimo omaggio, mirando con stupore l’inspiegabile rigidità della salma. Quando però giunsero dalla vicina Cancelleria gli Alcaldi del Crimine, Lebrija e Sereño, diedero ordine di forzarne le articolazioni per poter sistemare la salma nella bara.
DALLE NOSTRE CASE
18-20
Ospedale San Pietro - Roma
La via di Francesco... le riflessioni di un percorso
Perché farò l’infermiere
21
Ospedale Buon Consiglio - Napoli
Donare la vita
22
Ospedale Buccheri La Ferla - Palermo
8 Marzo San Giovanni di Dio
23
Newsletter - Filippine
VITA OSPEDALIERA
Rivista mensile dei Fatebenefratelli della Provincia Romana
ANNO LXIX
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Finito di stampare: marzo 2014
In copertina: La morte di san Giovanni di Dio, (quadro di fra Gioacchino D'Arcos, dipinto nel 1923
a Roma e conservato all’Ospedale San Pietro)
La scena del quadro m’è tornata vividissima alla mente durante la meditazione del
mattino. Stavo cercando ispirazione nel recente documento di Papa Francesco, la
“Evangelii gaudium” e, soffermandomi nel capoverso n. 264, mi sembrò di scorgere
in quel testo non solo una preziosa guida per assicurare consistenza e ardore alla nostra fede, ma anche una perfetta descrizione dell’epopea vissuta dal nostro fondatore
san Giovanni di Dio e sintetizzata in quel prodigio finale di restare in ginocchio perfino da morto. La sua vita, infatti, ebbe una svolta decisiva all’udire una predica di san
Giovanni d’Avila – oggi venerato come Dottore della Chiesa – che gli fece intuire l’amore sconfinato che Gesù ha per noi, fino al punto da patire e morire in croce pur di
redimerci dai nostri peccati. A motivo di quell’intuizione, egli avvertì il rimorso cocente d’aver sprecato quasi mezzo secolo di vita, senza ricambiare a fondo l’amore di
Gesù e perciò, stringendo un crocifisso e mirandolo in lagrime, prese a gridare di sentirsi terribilmente peccatore. Nella pagina che leggevo, il Papa inizia appunto col dire
che è “l’esperienza di essere salvati da Gesù che ci spinge ad amarlo sempre di più”
e aggiunge poi che “abbiamo bisogno d’implorare ogni giorno, di chiedere la sua grazia perché apra il nostro cuore freddo e scuota la nostra vita tiepida e superficiale.
Che dolce è stare davanti a un crocifisso! Quanto bene ci fa, lasciare che Egli torni a
toccare la nostra esistenza e ci lanci a comunicare la sua nuova vita!”
Fu proprio questa l’esperienza di san Giovanni di Dio, che per tutta la vita portò con
sé un crocifisso, rimirandolo di frequente per rinnovare il suo grato amore a Cristo e
da Lui trarre ispirazione e capacità di vedere ogni persona con lo stesso sguardo compassionevole e premuroso di Lui, fino al punto di rivolgersi a tutti in convinta sincerità con l’appellativo di “fratello (o sorella) in Gesù Cristo”. Egli cercò di convincere
anche gli altri a far frequente memoria di ciò che Cristo soffrì per noi sul legno della
Croce, affinché ne fossero stimolati a ricambiare almeno con qualche palpito d’amore
quello incommensurabile di Lui per noi. Di questo suo instancabile zelo per diffondere la devozione alla Croce, troviamo frequente eco nel suo epistolario, per lo più col
sintetico invito “pensate sempre alla Passione di Cristo”, ma talora in modo più dettagliato, come nell’esortazione formulata quasi morente alla duchessa di Sessa, sua benefattrice: “Abbiate in mente il prezioso sangue che nostro Signore Gesù Cristo sparse per tutto il genere umano e la sua sacratissima Passione, poiché non v’è più alta
contemplazione di quella della Passione di Gesù Cristo”. Forse un buon modo di vivere questo tempo quaresimale potrebbe essere di volgere di tanto in tanto uno sguardo al Crocifisso!
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CHIESA E SALUTE
SAN RAFFAELE: L’ANGELO
ACCOMPAGNATORE DEL MALATO
Fra Elia Tripaldi sac. o.h.
L
a funzione degli angeli nella vita
umana è riconosciuta dalla Chiesa
Cattolica, a differenza di quella riformata, che invoca la loro protezione con
una venerazione testimoniata ininterrottamente dalla pietà popolare sia attraverso la
liturgia ufficiale che mediante la religiosità
popolare e le preghiere che a essi i fedeli rivolgono per ottenere da Dio la salute, la
guarigione e la protezione. Nella Sacra
Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) il
termine “angelo” (inviato) corrisponde a un
essere reale, ma spirituale, creato e rivelato da Dio e, quindi, oggetto di fede. La sua
figura vuole essere innanzitutto rassicurazione, protezione, guida, illuminazione,
aiuto, intercessione dall’infanzia fino al termine della vita umana. L’esistenza degli angeli si rivela in tutta la storia della salvezza
della quale vogliamo evidenziare quella di
Tobia, uomo pio e giusto al quale si manifesta l’aiuto di Dio mediante l’arcangelo
Raffaele.
Il Libro di Tobia, racconto popolare scritto con scopo didattico, edificante e sapienziale, narra le vicende di una famiglia israelita, composta dal padre Tobi, dalla madre
Anna e dal figlio Tobia, deportata in esilio
a Ninive, in Assiria, nel 722 a. C., dove il
pio padre Tobi diverrà cieco. Raffaele, angelo buono è la figura angelica che domina
tutto il libro di Tobia e che solo nei testi non
biblici è detto “arcangelo”. Egli, oltre a essere incaricato di portare le preghiere al cospetto di Dio, secondo l’etimologia Rapha’el (= medicina di Dio), è legato all’azione di guarire e impersona la bontà, la misericordia di Dio e la sua capacità di sanare. Asmodeo è invece l’angelo cattivo che
uccide i sette mariti di Sara: l’uno guarisce,
l’altro distrugge. Raffaele, con un’azione
che sembra quasi un esorcismo, relega
Asmodeo nel deserto dell’alto Egitto che,
secondo una credenza popolare derivante
dalla tradizione assiro-babilonese, era abitato da animali fantastici e da demoni1. Raffaele è, quindi, metafora di chi si pone all’accompagnamento pastorale del malato e
4
del sofferente, nonché di coloro che, incaricati dalla Chiesa, si occupano di satanismo e di occultismo per liberare l’uomo attraverso la preghiera e l’esorcismo. È bene
ricordare che sia il diavolo che l’angelo sono creature capaci di esercitare un influsso
relativamente malefico o benefico sulle
creature umane, ma sempre nella misura in
cui Dio lo permette. L’esorcismo del ragazzo epilettico operato da Gesù nel Vangelo di Matteo e che i discepoli non sono
riusciti a guarirlo, è indicativo per noi: “Gesù lo minacciò e il demonio uscì da lui, e da
quel momento il ragazzo fu guarito” (Mt
17, 18). Negli Atti degli Apostoli (At 8, 2639) si parla del diacono Filippo come icona di accompagnamento pastorale che, su
comando di un angelo (“alzati e va”), si
mette in cammino per raggiungere l’Etiope, funzionario della regina Candace intento a leggere il passo della profezia messianica del profeta Isaia senza peraltro capirne il significato. Egli è ovviamente figura
simbolica dell’arcangelo Raffaele, accompagnatore di Tobia e quindi di ogni persona che si trova in necessità o in situazione
di sofferenza.
Una particolare menzione merita la figura dell’angelo custode, anche perché l’arcangelo Raffaele ne è il simbolo perfetto
che, nella liturgia latina e nella devozione
popolare gode di particolare rilievo. La
missione di Raffaele, a differenza dell’angelo custode, è temporanea e scompare dopo essersi fatto compagno di viaggio di Tobia alla ricerca di Sara liberandola dal demonio e curando e guarendo Tobi dalla cecità. La coppia cristiana che vive il matrimonio nella “cattiva e buona sorte”, “nella
salute e nella malattia” trova aiuto in questo compagno di viaggio che il Signore gli
ha dato.
Sottolineare quanto sia importante il mondo degli angeli in relazione a quello degli
uomini, in particolare occorre delineare la
“fisionomia” di un arcangelo, san Raffaele
quale “genio” di Dio nel proteggerci dai pe-
Attribuito a Ricardo Acevedo Bernal Sec. XIX:
Dono dal cielo
ricoli della vita ed aiutarci a trovare il rimedio, il farmaco per guarire da quelle malattie del corpo e dello spirito che oggi la
scienza medica e teologica sono impegnate a debellare e a interpretare, nonché nell’assistenza spirituale non sempre facile da
proporre nel cammino di prevenzione, cura e riabilitazione della persona malata.
Di fronte all’angelo nessun potere demoniaco può far sussistere una situazione di ingiustizia, di violenza e di sofferenza. Egli
dà speranza, procura liberazione, illumina
e converte alla fede quando l’azione dell’angelo si concretizza in quella di un accompagnatore, di un operatore pastorale
che aiuta a “incatenare”, a rimuovere tutto
ciò che di “demoniaco” esiste nella situazione dell’uomo.
Ogni uomo può riscoprire la figura dell’angelo che è presente in sé quando, come
persona sensibile e premurosa, si affianca a
ogni suo simile nei momenti difficile della
vita e lo porta a maturare nella sua esperienza l’immagine di un Dio che non l’abbandona, ma con gradualità lo conduce nella via della salute e della salvezza.
_________________
La tradizione cristiana ricorda la Tebaide,
ossia la regione dell’alto Egitto, luogo pieno di serpenti e bestie velenose, in seguito
abitato da eremiti, come sant’Antonio, ripetutamente tentato dal demonio.
1
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BIOETICA
LE BIOBANCHE:
PROBLEMI BIOETICI
Raffaele Sinno
P
er biobanche si deve intendere una
struttura deputata alla raccolta e alla conservazione di un materiale
biologico utilizzato per la diagnosi, per
studi sulla biodiversità e per la ricerca in
campo biotecnologico. La definizione data dalla Raccomandazione del Consiglio
d’Europa, emanata nel marzo del 2006
cosi recita: “È una struttura con un’organizzazione non profit che deve essere riconosciuta dalle autorità sanitarie competenti degli Stati membri e deve garantire
il trattamento, la conservazione e la distribuzione del materiale biologico”1. Per
comprendere a pieno il dibattito etico –
scientifico sulle biobanche, e la loro importanza nella ricerca biotecnologica, come nel settore delle cellule staminali, anche di quelle derivate dalla donazione di
cordone ombelicale, oppure per le malattie genetiche, è fondamentale chiarire il
termine di materiale biologico, spesso
non ben delineato, che lascia aperte diverse interpretazioni tra loro contrastanti.
Per materiale biologico si deve intendere:
- Materiale derivato da interventi diagnostici compresi quelli di screening;
- Materiale specificatamente donato
per un progetto di ricerca e conservato per un successivo uso;
- Materiale donato per trapianto e non
utilizzato;
- Materiale proveniente da persone
decedute e sottoposte ad autopsia.2
La riflessione etica e bioetica sulle biobanche indaga le definizioni enunciate,
nei diversi documenti ufficiali, e fa emergere che il fine di tale struttura sia prevalentemente quello di una donazione libera e gratuita del materiale, in riferimento
al principio etico della sussidiarietà sociale. È noto, in realtà, che in molti paesi
esistono biobanche pubbliche, affiancate
da quelle private, le quali si regolano invece sul principio dell’autoconservazio-
ne, ossia che il materiale donato possa servire nel futuro per un impianto autologo,
oppure esteso ai familiari prossimi. La
discussione scientifica, oltre che etica, ha
dimostrato che l’effettiva riutilizzazione
del materiale da parte del donatore si attesta su percentuali molto basse, nell’ordine dello 0,05%. In Italia le biobanche
private sono vietate, e attualmente esistono 17 banche pubbliche che devono rispondere a precisi criteri di accreditamento e di verifica, in ottemperanza del
Decreto legislativo ministeriale emanato
il 19 aprile 2006, il quale conferma le direttive europee dei FACT (Foundation for
the Accreditation of cellular Therapy). La
questione etica e bioetica tra biobanche
pubbliche e quelle private attiene oltre alle questioni di principio, ossia se considerarle strutture integrate nel sistema del
Common, oppure dei veri e propri Caveau, soprattutto sul ruolo che si debba attribuire alla ricerca pubblica rispetto a
quella privata. Nella precisazione di Elinor Ostrom, premio Nobel per l’economia nel 2009, per Common si devono intendere quei beni comuni sociali condivisibili che generano “interrogativi, controversie, dispute”.3 Oltre ciò, un’ulteriore
questione è quella che riguarda il consenso che il soggetto è tenuto a effettuare per
tale atto, pertanto vi sono diversi modelli
e procedure. In tal senso si devono distinguere i seguenti modelli di consenso:
- Consenso specifico, consente l’uso
dei campioni solo per una ricerca immediata e finalizzata.
Il dibattito etico scientifico si sofferma
inoltre sugli obiettivi di ricerca delle biobanche genetiche, la loro integrazione con
le biobanche di popolazione, in modo particolare sui costi elevati di gestione, sulle
finalità metodologiche e applicative. In
conclusione, queste strutture rappresentano una possibilità fondamentale per il futuro della ricerca, tuttavia persistono delle importanti questioni che sono:
- Codificare percorsi condivisi in modo da impedire che proliferi via internet un marketing delle biobanche senza controllo sovrastatale;
- Consentire una ricerca possibile, con
linee di progettazione ben documentate;
- Attenersi alle direttive che tutelano
la privacy dei donatori, proteggendoli da qualsiasi discriminazione;
- Programmare un’informazione scientifica che inplementi la fiducia e non il
sospetto nel benefit della ricerca.4
_________________
Recommendation REC (2006)4 of the
Committee of Minister to members states
on research on biological materials on human origin
2
Www. malatirati.it, Le biobanche
3
ELINOR OSTROM, Understanding Knowledge as a Commons: From Theory to
Practice, MIT PRESS, Cambridge, Massachusetts 2006
4
Luciana Caenazzo, Le Biobanche. Importanza, implicazioni, e opportunità per
la società, Libreria universitaria edizioni,
Padova, 2012, p.88
1
- Consenso ampio, permette l’uso di
campioni e dei dati loro associati in ricerche presenti e future di ogni tipo;
- Consenso parzialmente ristretto,
permette l’uso di campioni, e dei loro
dati associati, per una ricerca immediata specifica, e investigazioni future legate esclusivamente a tale scelta;
- Consenso multi opzione, è una forma che prevede e spiega le diverse
modalità di ricerca immediata e futura del campione prelevato;
5
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SOLIDARIETÀ TRA I POPOLI
XXIII RAPPORTO
IMMIGRAZIONE 2013
TRA CRISI E DIRITTI UMANI
Franco Piredda
N
ell’annuale rapporto sull’immigrazione la Caritas e la Fondazione Migrantes hanno voluto far
emergere l’ordinaria presenza degli immigrati in Italia attraverso il tema specifico
che dà il titolo alla pubblicazione.
La crisi economica rischia di indebolire
l’uguaglianza, la giustizia sociale, la tutela della dignità e dei diritti, le pari opportunità, per questo ora più che mai le comunità cristiane debbono accrescere il loro impegno sociale e vivere le migrazioni
nel rispetto della dignità delle persone, e
nei valori dell’accoglienza e dell’ospitalità. I dati del rapporto mettono in evidenza
come non abbiano senso la paura, la discriminazione, l’esclusione, lo sfruttamento perché gli immigrati sono nelle nostre
città, nelle nostre scuole, nei posti di lavoro, contribuiscono a finanziare la spesa sociale, soprattutto fanno parte della nostra
cultura. Mentre nel mondo e in Europa le
migrazioni sono aumentate, in Italia la crescita dei migranti è dovuta soprattutto alle
nascite, oltre 334.000 nel 2013. Inoltre si
sta riscontrando una continua crescita delle donne, il 53% degli oltre 4 milioni e 330
mila stranieri residenti in Italia. La provenienza è in larga misura dai paesi comunitari, 3 immigrati su 10, e la principale collettività è quella romena con circa un milione di residenti. Purtroppo la crisi economica ha comportato l’indebolimento della
tutela dei diritti umani: quanto è successo
a Prato ne è una conferma ma ci sono situazioni di sfruttamento di lavoro al Nord
come al Sud e in misura significativa nel
lavoro domestico.
Circa la metà delle famiglie dei migranti
si sono trovate a rischio di povertà considerando che reddito medio è il 56% di
quello degli italiani. Un’altra differenza
che le penalizza è che mentre il fenomeno
della deprivazione nelle famiglie italiane
6
colpisce soprattutto i più giovani che restano comunque nel nucleo famigliare di
origine, nelle famiglie straniere colpisce i
genitori/capifamiglia.
L’occupazione per i lavoratori stranieri è
diminuita nell’industria e nell’edilizia, è
aumentata nei servizi alla persona. Il degrado occupazionale degli immigrati è dovuto anche al modello di sviluppo in atto
che punta più alla riduzione dei costi del lavoro che sull’aumento della produttività.
La situazione abitativa va distinta tra la
componete irregolare della popolazione
immigrata e quella regolare. La prima vive in alloggi che non si possono considerare abitazioni (baracche, container, soffitte, cantine. A causa della Bossi-Fini tale situazione riguarda anche regolari che per la
perdita del lavoro vengono a trovarsi temporaneamente in situazione di irregolarità.
Per contenere le spese e usufruire del sostegno reciproco, le famiglie di immigrati
regolari vivono in abitazioni di scarsa qualità e con problemi di sovraffollamento.
Per quanto riguarda l’acquisizione della
cittadinanza c’è stato un incremento che
resta limitato per l’arretrato sistema presente in Italia legato a elevato numero di
anni permanenza che scoraggia gli stranieri. C’è anche la situazione dei minori che
seppur nati in Italia, possono richiedere la
cittadinanza soltanto dopo 18 anni di residenza legale e continuativa. I minori “stranieri” hanno il diritto all’istruzione con le
stesse modalità previste per i figli di cittadini italiani. La presenza nelle scuole è stata di 786.630 studenti, 30.000 in più rispetto all’anno precedente. Circa la metà
sono alunni con cittadinanza straniera, nati in Italia e che spesso neppure conoscono
il paese di origine. Uno su due è straniero
solo per la burocrazia. Dopo la scuola primaria l’orientamento è verso una forma-
zione tecnica e professionale. Altra realtà
che riguarda i minori è quella dei “minori
non accompagnati”, bambini che arrivano
in Italia senza i genitori, o perché li hanno
perduti durante il viaggio o perché sono
stati i genitori stessi ad allontanarli da situazioni di povertà o di guerra. Il problema
è che i luoghi in cui vengono sistemati per
tempi troppo lunghi non sono idonei alla
loro accoglienza.
Il rapporto affronta anche la situazione
della criminalità rispondendo alle domande
circa l’incidenza degli stranieri e il tipo di
reati. Si viene a conoscenza che gli stranieri occupano prevalentemente posizioni di
manovalanza commettendo reati meno remunerativi ma più visibili. Per lo più la devianza va ricollegata alla precarietà delle
condizioni di vita e la maggior parte delle
azioni criminose avviene in strada, in luoghi pubblici. Il fatto che gli stranieri siano
sottoposti a un maggior controllo delle forze dell’ordine porta ad aumentare la loro incidenza sul numero di persone denunciate.
Alla luce di quanto riportato nel Rapporto possiamo condivider le parole di Papa
Francesco:“se da una parte le migrazioni
denunciano spesso carenze e lacune degli
Stati e della Comunità internazionale, dall’altra rivelano anche l’aspirazione dell’umanità a vivere l’unità nel rispetto delle differenze, l’accoglienza e l’ospitalità che permettano l’equa condivisione dei beni della
terra, la tutela e la promozione della dignità e la centralità di ogni essere umano”.
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ANIMAZIONE GIOVANILE
QUARESIMA, SINONIMO DI
POVERTÀ EVANGELICA
Fra Massimo Scribano, o.h.
D
a poco è iniziato il periodo quaresimale, che ha avuto inizio con
il mercoledì delle Ceneri, dove la
Chiesa ci accompagna verso un itinerario
austero e semplice per arrivare alla Pasqua di Risurrezione di Cristo Gesù.
Questo tempo è un tempo di grazia, di riflessione per essere veri discepoli e dare testimonianza al Signore che è morto e risorto per noi, poiché “da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà” (2 Cor 8,9).
Papa Francesco nel suo messaggio ci
sprona e ci incoraggia ad assumere uno
stile di vita povero e semplice. Ma cosa
vuol dire essere poveri al giorno d’oggi?
Il Sommo Pontefice indica una traccia per
poter seguire questo itinerario.
La prima riguarda la grazia di Dio. Il Padre si rivela al mondo con mezzi umili e
poveri, non come quelli che la mondanità
propone. Dio si fa povero per arricchirci
della sua povertà.
Si è totalmente spogliato da donare se
stesso per noi. Simile a noi fuorché nel
peccato, ha dato la vita per Amore, un
amore incondizionato, perché Dio ama
per amore. Lo scopo del farsi povero di
Gesù non è la povertà in se stessa, ma –
dice san Paolo – «...perché voi diventaste
ricchi per mezzo della sua povertà». Non
si tratta di un gioco di parole, di un’espressione a effetto! È invece una sintesi
della logica di Dio, la logica dell’amore,
la logica dell’Incarnazione e della Croce.
[…] Quando Gesù scende nelle acque del
Giordano e si fa battezzare da Giovanni il
Battista, non lo fa perché ha bisogno di
penitenza, di conversione; lo fa per mettersi in mezzo alla gente, bisognosa di
perdono, in mezzo a noi peccatori, e caricarsi del peso dei nostri peccati. È questa
la via che ha scelto per consolarci, salvarci, liberarci dalla nostra miseria (dal
Messaggio della Quaresima 2014 di Papa
Francesco).
In questo periodo, cerchiamo di scavare
dentro di noi, per poter stabilire un con-
tatto con Dio, che ci attende, come un padre amoroso che tende la propria mano al
figlio che è incappato nelle vicende ingarbugliate dell’esistenza umana. La nostra povertà vera è quando ci vogliamo
distaccare dalla fonte dell’Amore. Predisporre il proprio cuore a una conversione
è la vera ricchezza per un essere umano
che ha scelto di realizzare la vera esistenza con Dio Padre al nostro fianco. Dio ci
ama e non permette mai che cadiamo nel
baratro del peccato. Se guardiamo la storia della salvezza dell’Antico Testamento,
possiamo evidenziare la cura che il Padre
Celeste ha avuto nei confronti dei suoi figli, una cura incondizionata che si riversa
ancora oggi in noi.
Naturalmente per esseri veri testimoni di
Cristo, bisogna dare la nostra personale
testimonianza che è la base fondamentale
per una efficace evangelizzazione. Il
mondo ha bisogno di testimoni che abbiano la consapevolezza di percepire
l’importanza della sequela, comprendendo che questo comporta la sofferenza della Croce, che diventa Albero della Vita.
Dobbiamo essere come Cristo per la realizzazione del Regno di Dio sulla terra, un
Regno di amore, giustizia e lealtà, valori
che il cristianesimo ha assunto come primari per rispondere al mandato di Gesù.
In questo tempo privilegiato di grazia
chiediamo al Signore la conversione del
cuore per poter essere pronti a condividere in pienezza la vera vita in Cristo che ci
dona libertà e speranza.
Cambiare direzione in un tempo dove
l’umanità è dirottata verso ideali falsi e illusori, è di vitale importanza, poiché Cristo che è morto per noi e si è fatto povero
per noi, ci ha ridato la dignità di figli di
Dio, e la speranza di essere persone felici
e realizzate nel progetto che Dio ha disegnato per noi. Seguiamo Cristo, vera gioia
per essere persone amate per amare!
Per qualsiasi informazione sull’Esperienze di Servizio, su discernimento vocazionale contattateci al seguente indirizzo:
[email protected].
Buon cammino Quaresimale!
7
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SANITÀ
PARTECIPAZIONE
E NEGOZIAZIONE
NELL’ASSISTENZA AL BAMBINO
Il bambino e la famiglia hanno diritto alla partecipazione.
(Carta dei Diritti del Bambino in Ospedale)
Mariangela Roccu
I
concetto di famiglia è carico di valori ed è variato nel tempo come risposta ai cambiamenti avvenuti all’interno di ideologie, valori e tendenze sociali
predominanti.
La struttura della famiglia include le informazioni su: composizione del nucleo
familiare, cultura, origine etnica, credo
religioso, condizione economica, stile di
vita, comportamenti sanitari, grado di sviluppo, struttura del potere e del ruolo al
suo interno, come essa comunica e come
può essere contattata. I dati ambientali
esplorano il tipo e le caratteristiche della
casa, così come le caratteristiche della comunità, l’accesso all’assistenza sanitaria,
alla ricreazione, alla scuola e ai rischi ambientali. La forza della famiglia identifica i suoi valori fondamentali, i meccanismi di risposta, le strategie di problem solving, le risorse e le capacità, ma soprattutto le credenze sulla salute. Le famiglie
sono influenzate quando uno o più membri hanno avuto esperienza di problemi di
salute ed è un fattore significativo nel benessere degli individui, poiché i comportamenti di malattia e di salute si apprendono all’interno del contesto familiare.
Fin dagli esordi della loro professione,
gli infermieri hanno identificato in modo
costante l’importanza della famiglia in re-
8
lazione alla salute, pertanto, porre l’attenzione sulla famiglia è una componente integrale della pratica infermieristica, nella
promozione e nel mantenimento della salute dei membri, come pure nel fornire
supporto fisico ed emotivo.
In campo pediatrico l’assistenza centrata sulla famiglia prevede l’erogazione di
assistenza infermieristica al bambino,
mantenendolo nel contesto familiare, riconoscendogli il ruolo centrale, poiché il
suo benessere è inestricabilmente legato a
quello della sua famiglia e della comunità in cui vive.
I supporti familiari rappresentano un’altra area che è valutata dagli infermieri,
poiché è necessario esaminare i tipi di sostegno richiesti durante gli eventi psicosociali stressanti attesi o inattesi, nonché
i problemi come le preoccupazioni, le vulnerabilità, i bisogni informativi e il grado
di coinvolgimento che la famiglia desidera avere nel fornire assistenza e nei processi decisionali.
Il concreto contributo della professione
infermieristica in ambito pediatrico si sviluppa quindi, nella partecipazione all’identificazione dei bisogni di salute del
bambino/famiglia, nella realizzazione di
un’assistenza infermieristica efficace,
nella valutazione degli interventi assistenziali sulla base
delle evidenze scientifiche
disponibili; prosegue nella
realizzazione di processi assistenziali integrati, nella
promozione di interventi
educativi, di prevenzione, di
sostegno psicologico, perché soprattutto quando la
malattia o il trauma colpisce un bambino,
l’intero nucleo familiare ne è coinvolto e
diventa estremamente fragile. Nel valutare una famiglia è importante ricordarsi
che essa è unica e che il processo di valutazione è un percorso di raccolta dati in
continua evoluzione, poiché i bisogni della famiglia cambiano e l’équipe di cura infermieristica deve finalizzare gli interventi volti a individuare risposte concrete ed efficaci per soddisfare i bisogni del
bambino e per ridurre il disagio dei genitori.
L’obiettivo perseguito dall’intera professione infermieristica è pertanto, quello
di mantenere alta la sensibilità ai diritti e
all’attenzione del bambino, affinché
l’ambiente in cui viene accolto e curato rispetti le sue peculiari esigenze: gli affetti, il gioco, la scuola, l’attenzione. Deve
assumere un ruolo di facilitatore nella
partecipazione dei genitori al processo assistenziale dei loro figli, creando un contesto idoneo alla partecipazione, identificando gli ostacoli e le ricadute sul processo di assistenza.
In questo processo la teoria della “Family Centered care”, sviluppata a partire
dagli anni 50, rileva la modalità di pratica assistenziale che riconosce la centralità della famiglia nella vita del bambino
con problemi di salute e l’inclusione del
contributo e del coinvolgimento della famiglia nel piano assistenziale.
Porre il focus sulla famiglia, sulla sua
capacità e sulla promozione dei comportamenti che ne facilitano la crescita, contrasta con un più tradizionale approccio
all’assistenza infermieristica. Concettualizzare il rapporto fra infermiere e famiglia come una condivisione reciproca della responsabilità e della soluzione dei problemi, richiede un cambiamento sostanziale delle modalità con cui i professionisti interagiscono con le famiglie. Per usare il percorso di continuità assistenziale,
l’infermiere nell’erogare l’assistenza al
bambino, deve possedere un bagaglio di
capacità relazionali ed esperenziali atto a
potenziare quelle della famiglia, per metterla in grado di interfacciarsi con i diversi ambienti terapeutici.
VO n° 03 marzo 2014_Marzo 2014 25/03/14 14.52 Pagina 9
LE FRATTURE DA OSTEOPOROSI:
IL POLSO
A. Piscopo, S. D’Auria
D
opo una certa età, una perdita minerale dall’osso è normale, anzi
si può dire che fa parte delle modificazioni che il nostro organismo subisce con l’invecchiamento. Se questa perdita è eccessiva e la massa ossea va al di
sotto di determinati livelli, si arriva alla
osteoporosi.
Il momento critico per le donne arriva
con la menopausa. Si calcola che, in assenza di terapia, una donna di 70 anni ha
perso, senza accorgersene, il 30% della
sua massa ossea. Se consideriamo che la
donna ha di base una massa ossea minore
rispetto a un uomo, aggiungiamoci la menopausa e la maggior durata di vita, ed ecco spiegato il perché l’osteoporosi colpisce una donna su 4 contro un uomo su 12.
In una situazione simile è evidente che la
possibilità di fratturarsi non è rara. I distretti maggiormente colpiti sono: collo
femorale, vertebre e polso.
Tra le diverse lesioni traumatiche, quella dell’estremità distale di radio è sicuramente la più frequente, rappresentando il
20% della totalità delle fratture, il 50%
delle quali interessa la radio-carpica e la
radio –ulnare. Molto è stato detto e fatto
su questo argomento, ma due principi rimangono comunque invariati:
1° l’osservazione, non infrequente, di
fratture consolidate con grosse deformità, ma del tutto asintomatiche,
esclusive dell’anziano;
2° l’instaurarsi di una condizione preartrosica, soprattutto nel giovane, che
determina gioco forza l’orientamento
verso la scelta chirurgica.
Ancora oggi non è chiaro quale sia il
trattamento ottimale, ma un dato è certo:
l’incidenza dei cattivi risultati non è legato solamente alla qualità della riduzione e
alla consolidazione, ma alla presenza di
lesioni associate che riguardano il com-
plesso legamentoso interosseo e fibrocartilagineo della radio-ulnare distale.
Tali lesioni sono oggi evidenziabili grazie allo sviluppo delle tecniche radiodiagnostiche (RMN o TC-3D) e artroscopiche.
È fuori discussione che in determinate
condizioni, frattura riducibile e stabile,
l’apparecchio gessato rappresenta la scelta, ma, in presenza di comminuzione e
spostamento dei frammenti, quindi in presenza di instabilità, la terapia chirurgica è
il gold-standard. Le tecniche sono molteplici, si va dalla riduzione e stabilizzazione a cielo chiuso (F.E. -frattura sterna-, fili di Kirschner, ecc.) alla sintesi con placche dedicate + innesti ossei, tecniche queste praticabili mediante una o due vie chirurgiche combinate.
scomposizione), ai rimanenti associamo
una doppia tecnica:
in narcosi riduciamo la frattura per ligamento-taxis (pollice e indice in tiradito + trazione sul braccio da 5 Kg).
Attendiamo in scopia, aiutandoci con
delle manovre, l’allineamento anatomico dei frammenti, quindi con 3-5 fili di Kirschner percutanei, stabilizziamo la frattura. Associamo una valva
gessata x 3 settimane. Spesso, invece,
preferiamo applicare un F.E. in distrazione, che ci consente di scaricare il
carpo e la radio carpica, a 3 settimane
rimuoviamo il fissatore, a 45 giorni i
fili di Kirschner. Prescriviamo al paziente un tutore che lo accompagna durante la fisiochinesiterapia che deve
comprendere esercizi per il polso, il
gomito, la mano e soprattutto la chela.
Riteniamo comunque che il trattamento
di una frattura di polso, ma in generale di
ogni frattura, vada effettuato con la tecnica a ognuno più familiare avendo però
esperienza sia con l’apparecchio gessato,
il FE, mezzi di sintesi interna o con metodo percutaneo.
Nella nostra esperienza, abbiamo avuto modo di constatare che
spesso, fratture apparentemente
stabili e riducibili, a distanza di alcuni giorni, si scompone in gesso,
costringendoci al trattamento chirurgico differito; inoltre, spesso,
in relazione a patologie concomitanti con l’uso di farmaci antidepressivi o più ampiamente neurologici, si instaura una S. algodistrofica (Sudek dell’arto superiore) che rende tardiva e insidiosa la
guarigione, con postumi spesso
irreversibili e fortemente invalidanti.
Selezionando solo casi scelti,
che trattiamo con il semplice apparecchio gessato brachio-metacarpale x 30-40 giorni i rimanenti pazienti vengono indirizzati all’intervento chirurgico (60-70%); di questi una parte (10-15%) sono trattati con
placca a stabilità angolare a cui spesso associamo innesti ossei e cellule staminali
(paziente con grave comminuzione e
Ricostruzione radiografica di caso clinico: (in alto) frattura pluriframmentaria
scomposta di polso;
trattata con sintesi percutanea e F.E. (in
basso)
9
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IL CAMMINO DELLA MEDICINA
LA MEDICINA ABBANDONA LA
TRASCENDENZA CHE L’AVEVA
PERMEATA NEL MEDIOEVO,
PER APRIRSI ALL’IMMANENZA
XLI – L’Illuminismo, salute pubblica e “medico condotto”,
nascita della psichiatria
Fabio Liguori
A
l consolidarsi della scienza sperimentale, grazie all’introduzione nel XVII sec. di rivoluzionari
strumenti d’osservazione e alla contemporanea sconfessione del “dogmatismo medioevale”, si aprono in Europa gli orizzonti all’affermazione (XVIII sec.) di un
movimento culturale e filosofico sviluppatosi tra la rivoluzione industriale inglese (1688) e la rivoluzione francese (1789).
Una corrente di pensiero che, finalizzata a risolvere i nuovi e complessi problemi socio-politici scaturenti dall’industrializzazione, si appella ai “lumi” della ragione (donde il termine Illuminismo) e alla libertà di giudizio del singolo, che non
deve più ricorrere a Rivelazione e Tradizioni.
Necessitava che l’uomo uscisse da uno
stato di “minorità imputabile a se stesso:
la mancanza di determinazione e coraggio
nell’uso del proprio intelletto” (“Critica
della ragion pura”, Kant 1781). Supportata dalla scienza, la critica della ragione
avrebbe finalmente “aperto” una mente
ottenebrata da ignoranza, superstizione,
14 luglio 1789: presa della Bastiglia
10
pregiudizi religiosi e incrollabile autoritarismo dei secoli precedenti: elementi culturali e sociali, tutti, che impedivano la libertà d’accesso alla conoscenza.
L’Illuminismo si diffonderà in tutta Europa e, di là da scoperte scientifiche, il
XVIII sarà il secolo di nuove filosofie e
nuovi indirizzi politico-sociali. Montesquieu (1689-1755) sostiene che all’interno di uno Stato esistono tre diversi poteri: il legislativo, l’esecutivo e il potere giudiziario che, a evitare arbitrii e soprusi,
devono restare divisi. Voltaire (16941778) sarà paladino della tolleranza, mentre Rousseau (1712-1778) affermerà che
ogni Stato deve fondarsi su un patto fra
cittadini con uguali diritti ed eguali doveri. Gli istituti tradizionali (feudalesimo,
assolutismo monarchico, chiesa, sistemi
giuridici, scolastici ed economici) vengono tutti sottoposti a implacabile revisione
critica: il che costituirà l’antecedente
ideologico, premessa al rinnovamento
che esploderà sul finire del secolo con
l’abbattimento cruento delle vecchie istituzioni (Rivoluzione Francese).
Influenzata da questa forma di
pensiero, anche la medicina abbandona l’alone di trascendenza
che l’aveva permeata nel medioevo, reminiscenza di remote medicine teurgica e sacerdotale (essere, cioè, la malattia causata da
“possessione diabolica” o “castigo
divino”). E si rifugia sotto le ali
dell’immanenza, vale a dire: conta solo quanto è nella natura e nelle capacità dell’uomo, e null’altro
al di fuori di ciò.
Critica della ragion pura (Kant, 1781)
Frattanto, massive migrazioni e l’inurbamento seguente alla rivoluzione industriale sono alla base di pesanti ripercussioni socio-economiche: insalubrità, deficit alimentari, caratteristiche infermità
(infezioni, tbc, pellagra, rachitismo, scorbuto). La scienza si sostituisce alla fede
nel tentativo di alleviare la sofferenza e
prolungare la vita, e la medicina tende a
proteggere le categorie più a rischio (operai, minatori, contadini, gestanti, minori):
è l’inizio del concetto di salute pubblica.
Ai grandi medici che curavano solo persone facoltose e d’alto lignaggio si contrappone ora la figura del medico condotto, il cui compito di “curare pauperes et
miserabiles sine mercede” ne esce esaltato. Si gettano in tal modo le basi premessa alla futura medicina sociale: un’etica
medica che avrà un primo successo
(1796) con le vaccinazioni di Jenner.
Alla luce dei concetti di uguaglianza di
tutti gli uomini vengono anche spezzate le
catene agli alienati mentali, liberando il folle dalla condizione di reprobo e consacrandolo come malato. Nasce così una nuova
branca della medicina, la psichiatria, e vengono concepiti i primi “asili per matti”: dai
quali deriveranno manicomi (o ospedali
psichiatrici) in cui l’elevata concentrazione
di pazienti favorirà l’osservazione e la classificazione delle malattie mentali.
VO n° 03 marzo 2014_Marzo 2014 25/03/14 14.52 Pagina 11
Schegge Giandidiane N. 40c
Fra Orsenigo grazie ai massoni
è rimasto famoso a Nettuno
Prima che iniziasse il Convegno,
già dal 26 febbraio era stata aperta, nelle Sale del Camino e delle
Armi del cinquecentesco Forte
Sangallo, una mostra documentativa sul tema del Convegno, arricchita da ingrandimenti di antiche
foto dell’Ospedale fondato da fra
Orsenigo, messe a disposizione dai
due primi relatori del Convegno.
Ha aperto il Convegno il saluto
del Vice Sindaco Giuseppe Combi, che si è compiaciuto dell’o-
Gli oratori a Nettuno: dr. Sulpizi, dr. Monti, prof. Titti, dr. La Barbera e fra Giuseppe
maggio voluto rendere a fra Orsenigo, che è uno dei personaggi più
benemeriti di Nettuno e il cui nome resta famoso ancor oggi, ma del
quale i giovani sanno quasi nulla,
sicché ben meriterebbe che l’Associazione, che a lui ha voluto intitolarsi, promuovesse iniziative
per farlo conoscere nelle Scuole.
In risposta, il prof. Giuseppe Titti,
quale Presidente dell’Associazione,
ha assicurato che si studierà d’accogliere quanto prima l’appello e la
dott. Zyna La Barbera, quale Direttore Artistico dell’Associazione, ha
da parte sua confermato quanto tale appello sia giustificato, poiché
parlando con la gente di Nettuno
ha notato come per molti il cognome di fra Orsenigo è noto solo perché continua a figurare nell’insegna
della Farmacia che egli aprì in
Ospedale e che poi, anche se con
diversa gestione e trasferita in Piazza Cavalieri di Vittorio Veneto, ha
serbato l’antico nome.
La prima relazione del Convegno
l’ha tenuta il dott. Alberto Sulpizi, che ha descritto la Nettuno dei
tempi di fra Orsenigo, un piccolo
borgo che andò rapidamente sviluppandosi dopo l’inaugurazione il
24 marzo 1884 del collegamento
ferroviario con Roma, il che l’aiutò a diventare una delle mete preferite di villeggiatura della popolazione della capitale, senza poi dire
della massa di pendolari che per
motivi di lavoro prese a far la spola tra le due località. Tra i primi più
illustri pendolari ci fu fra Orsenigo, che non poteva abbandonare
F.G.M. : Schegge Giandidiane. N. 40c – Fra Orsenigo grazie ai massoni è rimasto famoso a Nettuno
la Villa Borghese, ceduto per
38.000 lire dalla Società delle Ferrovie Secondarie Romane e su cui
sorse un imponente edificio ospedaliero, sul cui fianco corre la strada che il Comune volle poi giustamente intitolare a lui e su cui affaccia la Tenda del Perdono, ossia
la Cappella in cui è stata trasformata la saletta di degenza dove spirò Santa Maria Goretti.
213
S
ono passati giusto 150 anni
da quando fra Giovanni Battista Orsenigo ricevette l’abito dei Fatebenefratelli e il posto
dove il suo cognome è rimasto più
famoso è di sicuro Nettuno, tanto
che nel 2006 v’è sorta un’Associazione Culturale a lui intitolata e
che questo primo marzo ha organizzato un ben riuscito Convegno
nella storica Sala dei Sigilli del
Forte Sangallo sul tema “Fra Orsenigo e l’antico ospedale di Nettuno”,
per così celebrare sia i 150 anni
della sua presa d’abito nell’Ordine
Ospedaliero dei Fatebenefratelli,
sia i 125 anni del primo avvio che
egli dette all’ospedale di Nettuno
con la firma l’11 giugno 1889 di
una convenzione stipulata col Comune e con la Congregazione di
Carità per costruire un nuovo
ospedale e col formalizzare, già subito il giorno seguente, l’acquisto
di un terreno, sito lungo la strada
per Anzio, esattamente prima del-
VO n° 03 marzo 2014_Marzo 2014 25/03/14 14.52 Pagina 12
L’Ospedale visto dal mare. Nel riquadro, il villino adibito a Reparto Femminile
214
F.G.M. : Schegge Giandidiane. N. 40c – Fra Orsenigo grazie ai massoni è rimasto famoso a Nettuno
l’Ambulatorio dell’Isola Tiberina,
dove accorreva letteralmente tutta l’Urbe, ma egli immancabilmente ogni fine settimana veniva
a Nettuno per seguire crescita e
funzionamento del suo Ospedale.
E tra i pendolari illustri di oggi ci
si è incluso lo stesso oratore, che da
ben 36 anni va e viene da Roma.
L’estendersi della rete ferroviaria
in tutto il continente rese velocissimo il servizio postale e favorì il
turismo di massa; come conseguenza delle due cose si diffuse il
vezzo delle cartoline per mandar
saluti a chi restava a casa e queste
cartoline ci hanno serbato una
stante e ancora più maestoso, che
dava accesso alla Chiesa, ma ci mostra anche, chiuso in una cornice
circolare, il villino al margine della proprietà, usato in quel tempo
come Padiglione per Signore. Va
detto che fra Orsenigo il 9 marzo
1903 aveva a suo nome ottenuto
dalla Prefettura l’autorizzazione al
ricovero dei convalescenti, per cui
era divenuta ufficiale la denominazione di Sanatorio Orsenigo, che nel
disegno, anche se parzialmente coperta dallo sbuffo della locomotiva,
figura perciò sul fronte mare dell’edificio. La frase nell’angolo, elogiante la salubrità di Nettuno, è
preziosa serie di vedute fotografiche della Nettuno dei tempi di fra
Orsenigo e perfino del suo Ospedale. Tra queste ultime, riproduco
quattro cartoline tra le molte
proiettate sia dal dr. Sulpizi, sia dal
dr. Vincenzo Monti, che ha svolto
la seconda relazione del Convegno, in cui ha descritto l’evoluzione dell’Assistenza Sanitaria a Nettuno alla fine del XIX secolo.
La cartolina più bella, perché disegnata a colori, è del 1906 e mostra allo stesso tempo l’edificio
ospedaliero, visto dal mare e con
ben in evidenza il portone d’accesso alle Degenze e quello, più di-
Quadro di San Giovanni di Dio che era
nella Chiesa dell’Ospedale
tolta dal libro “Nettuno e il suo clima”, pubblicato nel 1899 dal dott.
Norberto Perotti, che nel 1902 sarà uno dei tre chirurghi che operarono Santa Maria Goretti.
L’Ospedale dal lato incompiuto, terminante col villino del Reparto Femminile
La seconda cartolina è una foto
presa dal lato del centro cittadino e
in cui si scorge l’ala incompiuta dell’edificio, di cui fu costruito solamente l’interrato. Al termine di tale ala incompiuta, in cui si era ipotizzato di collocare il Noviziato e la
Curia Generalizia dei Fatebenefratelli, si vede il villino del Reparto di
VO n° 03 marzo 2014_Marzo 2014 25/03/14 14.52 Pagina 13
omaggio a fra Orsenigo, anche se il
cognome è mal trascritto.
Una cartolina del 1903 con ben visibile l’insegna della Farmacia Orsenigo
La quarta cartolina fu stampata
invece poco dopo che i frati lasciarono nel 1921 l’edificio ed esso fu preso in gestione dalle Piccole Suore Missionarie della Carità;
un particolare interessante è che la
didascalia della cartolina indica la
nuova denominazione di Casa della Divina Provvidenza, ma vi affianca quella di Pensione Orsenico, in
Quadro di San Raffaele Arcangelo che era
nella Chiesa dell’Ospedale
Lasciato nel 1921 dai frati, l’edificio passò in gestione alle Piccole Suore Missionarie
della Carità, ma nelle cartoline figurò ancora il cognome Orsenigo, pur se scritto male
fiscò ogni loro proprietà, ma tolse
loro la personalità giuridica, sicché
era vietato comprare o costruire
edifici a nome dell’Istituto Religioso e si dovette aspettare fino ai
Patti Lateranensi del 1929, prima
che il Governo Italiano annullasse
tale divieto. Quando perciò i Fatebenefratelli decisero di utilizzare
per la costruzione di un Ospedale a
Nettuno le offerte che molti pazienti lasciavano a fra Orsenigo,
l’acquisto del suolo e ogni licenza
fu chiesta a suo titolo personale e
quindi la Farmacia non s’intitolò
“Fatebenefratelli”, ma “Orsenigo”.
F.G.M. : Schegge Giandidiane. N. 40c – Fra Orsenigo grazie ai massoni è rimasto famoso a Nettuno
La terza cartolina risale al 1903 e
vi si legge la parte finale della scritta che da quell’anno campeggiava
sull’edificio nella facciata prospiciente il lungomare, ossia “SANATORIO E FARMACIA ORSENIGO”: la prima parola è rimasta nascosta da un gabbiotto della
linea ferroviaria, ma in compenso
è proprio l'unica parola che si legge bene nella cartolina a colori.
215
degenza per le Donne. Questa è l’unica cartolina dell’Ospedale in cui
si fa un accenno esplicito ai frati e
vien da pensare che circolasse solo
all’interno dell’Ordine.
L’ultima relazione del Convegno
è stata affidata a me perché sintetizzassi, con l’aiuto d’alcune diapositive, la vita di fra Orsenigo e i motivi che lo resero celebre dapprima
a Roma e poi anche a Nettuno.
Come accennato in apertura di
Convegno, pochi nettunesi sanno
oggi qualcosa di lui al di fuori del
nome, ma se almeno esso è tuttora
famoso, lo si deve ai massoni, che
nell’Italia sabauda promossero la
legislazione che non solo soppresse tutti gli Istituti Religiosi e con-
VO n° 03 marzo 2014_Marzo 2014 25/03/14 14.52 Pagina 14
Schegge Giandidiane N. 44
Fra Gioacchino D’Arcos Doria
bravo infer miere e buon pittore
216
F.G.M. : Schegge Giandidiane. N. 44 – Fra Gioacchino D’Arcos Doria, bravo infermiere e buon pittore
R
icorre il 29 marzo il 75°
della morte del fatebenefratello fra Gioacchino
D’Arcos, di cui si scrisse nei Necrologi della Provincia Romana:
“Decano d’anni 86 di età e 56 di
Professione, fu più volte Priore in
diverse Case. Ottimo infermiere e
pittore di valore, ha eseguito ritratti
di nostri Padri Generali e quadri di
Santi, firmati e datati e che si trovano in gran parte a Roma. Aveva
frequentato a Napoli l’Accademia
di Belle Arti”. Da due lettere, che
nel maggio 1881 l’allora ventottenne Vincenzo scrisse al Superiore Generale, padre Giovanni
Maria Alfieri, per essere accettato nel nostro Ordine a “servizio di
Dio e bene del prossimo”, risulta
che: era nato a Napoli il 24 agosto 1853 e che già all’indomani
aveva ricevuto nella Parrocchia
del Duomo il battesimo e poi, il
15 agosto 1854, anche la Cresima
e che tuttora era assiduo in tale
Parrocchia, sovente accostandovisi ai Sacramenti; aveva frequentato fino ai 15 anni un Istituto di Lettere e vi aveva appreso anche il latino; era stato esentato dal servizio militare, essendo
figlio unico; i suoi genitori, Luigi
D’Arcos ed Elisabetta Doria, erano morti e non aveva parenti che
avessero bisogno di lui; non aveva debiti e si guadagnava la vita
come pittore di paesaggi e di ritratti e in più lavorava come aiutante in un Banco Lotto; già da
vari anni usava andare nel tempo
libero ad assistere come volontario i poveri infermi dell’Ospedale
degli Incurabili.
Dettaglio dell’autoritratto di fra Gioacchino
Fu accolto il 5 luglio 1881 nel nostro Ospedale di Benevento, dove ricevette il 2 ottobre l’abito da Oblato e gli fu dato da religioso il nuovo
nome di fra Gioacchino. Grazie al
voto unanime della Comunità, egli
fu ammesso in Noviziato il 16 luglio
1882 e ottenne d’emettere i Voti
Semplici il 15 agosto 1883. Prima
della cerimonia canonica, celebrata
pubblicamente nella Chiesa dell’Ospedale, egli in modo privato firmò
dinanzi al Priore e due testimoni
l’impegno a osservare assoluta Povertà e perfetta Vita Comune, così
come era richiesto nella Regola di S.
Agostino e non secondo la pratica
tollerata negli ultimi tempi. Bisogna, infatti, sapere che l’Alfieri, obbedendo alle direttive di Riforma
degli Istituti Religiosi date da Pio IX,
aveva deciso di avviarla sia invitando i frati ad aderirvi con il citato impegno privato, sia aprendo Case di
Riforma, come lo erano in Italia le
due di Brescia e quella di Benevento, dove fra Gioacchino trascorse i
suoi primi tre lustri di Vita Religiosa
e dove l’8 settembre 1886 emise i
Voti Solenni.
Lasciato infine Benevento, fu il
3 novembre 1897 inviato a Tivoli
con la qualifica di Vicario Priore e
Direttore Amministrativo: ne divenne effettivo Priore nel Capitolo Generale del 1899 e al termine
del triennio tornò ancora a Benevento, finché il 21 aprile 1903 fu
inviato a Roma. Di lì il 17 marzo
1905 andò quale Vicario Priore a
Corneto Tarquinia e ne divenne
effettivo Priore nel Capitolo Generale del 1905. Nel luglio 1908
fu inviato a Perugia e di lì il 15
aprile 1909 a Roma, dove fu eletto Secondo Revisore della Contabilità della Comunità.
Da Roma non si muoverà più e
svolgerà a lungo l’incarico di computista. Partecipò agli Incontri di
Comunità fino al 1° marzo 1931,
poi non più, per gli acciacchi dell’età. Nel 1933, già ottantenne, festeggiò il 50° di Voti e li rinnovò
con una commovente formula.
Morì nel 1939, dopo 58 anni di
Vita Religiosa, nella quale rifulsero i talenti che aveva all’ingresso:
grazie agli studi e all’esperienza lavorativa, poté, infatti, espletare
vari incarichi di comando e di amministrazione, senza però mai rinunciare al contatto diretto con
gli ammalati, perfino alternandosi nei turni di guardia notturni; e
neppure abbandonò del tutto i
pennelli, ma in qualche ritaglio di
tempo dipinse un bel numero di ritratti di religiosi e di quadri sacri,
ai quali la dott.ssa Zyna La Barbera ha dedicato un articolo nella
pagina qui accanto.
VO n° 03 marzo 2014_Marzo 2014 25/03/14 14.52 Pagina 15
“I L M E L O G R A N O ”
UN DILETTANTE NIENTE MALE
Zyna La Barbera
P
rima d’entrare nell’Ordine dei Fatebenefratelli, fra Gioacchino D’Arcos Doria (1853-1939) visse d’arte,
vendendo su committenza ritratti e paesaggi che eseguiva con una discreta valentia, perfezionata frequentando nella natia Napoli l’Accademia di Belle Arti. Entrato in Convento, si dedicò a tempo pieno all’attività ospedaliera, però, nei ritagli
di tempo, continuò talora a usare i pennelli per esaudire le richieste dei confratelli
che gli richiedevano dei quadri sacri oppure dei ritratti di personaggi ecclesiastici. Girando per i Conventi della Provincia
Romana dei Fatebenefratelli, s’incontrano
ancora molti suoi quadri, eseguiti a olio su
tela e quasi sempre firmati e datati.
L’espressione pittorica di fra Gioacchino
evidenzia una rivisitazione di alcune pitture di maestri dell’800 dai quali ha attinto utili insegnamenti. Nei suoi dipinti c’è
un’atmosfera statica e a volte le forme sono un po’ rigide: le sue pennellate, anche
se a tratti indecise, sono però spesso ampie e di buon livello. L’elemento cromatico costituisce la base della sua rigorosa ricerca che si sviluppa attorno a temi sacri
ricorrenti. Sul piano estetico il risultato è
equilibrato e, oltre la buona tecnica, emerge una sensibilità protesa a confermare la
sua grande fede.
Finora solamente due dei suoi quadri sono stati pubblicati nel 1997 da Salvino
Card. Marchetti Selvaggiani
Leone nel volume che dedicò a Napoli nella serie “Storia dei Fatebenefratelli nella
Provincia Romana”. Di queste due tele
una è un suo Autoritratto, di originale ispirazione, dove il pittore, già anziano, si ritrae con l’abito da frate e con tavolozza e
pennelli; l’altra è una raffigurazione devozionale della Madonna dell’olivo, firmata “F. G. D’Arcos 1915” e ispirata a
quella che l’artista ligure Nicolò Barabino
(1832-1891) dipinse nel 1888 a Sampierdarena (Genova) per la Chiesa di Santa
Maria della Cella. Il 1915 era l’anno dell’entrata in guerra dell’Italia, ed è ovvio
l’auspicio di pace dei rami d’ulivo e delle
melagrane che decorano la scena.
Nella copertina di questo mese e anche
nella pagina dell’Editoriale figura invece
forse il suo quadro più bello, altra tela sicuramente tra le poche di autonoma ispirazione, intitolato “Transito di S. Giovanni di
Dio” e firmato “F. G. D’Arcos Doria
1923”. In questa tela, il Santo inginocchiato, è illuminato da un fascio di luce sacra che identifica la fonte del Bene e simbolo di Dio che sembra sceso ad accogliere la sua anima nel momento del trapasso.
Molti quadri di fra Gioacchino sono chiare riproduzioni, come le due tele che riguardano il martirio di Sant’Alessandro
(1910 a scena piena e 1925 col solo dettaglio centrale), replica di un quadro di Ponziano Loverini del 1887 ora nei Musei Vaticani o come le tele di San Raffaele Ar-
Ven. Francesco Camacho
Madonna del Buon Consiglio
cangelo (1922 e 1931), replica di un quadro del Giaquinto. Anche il San Gioacchino (1923) ritratto insieme alla Madonna,
quand’era ancora bambina, è una replica,
con poche varianti, di un santino dell’epoca. Il ritratto del Venerabile Francesco Camacho (1930) è ispirato invece ad un’antica incisione (in possesso dei Fatebenefratelli), ma abbastanza ben personalizzato,
con risultati migliori rispetto ad altri artisti
che anche si sono cimentati. Palese replica
di quello che fra Orsenigo aveva fatto fare
per l’Isola Tiberina è anche la Mater Boni
Consilii (1929). Anche eseguì i ritratti dei
Padri Generali fra Agostino Koch (1914),
fra Celestino Castelletti (1920), fra Raffaele Meyer (1922), fra Faustino Calvo
(1928) e fra Narciso Durchschein (1934);
del Papa Benedetto XV (1915) e del card.
Francesco Marchetti Selvaggiani (1932).
Sacro Cuore di Gesù
Papa Benedetto XV
15
VO n° 03 marzo 2014_Marzo 2014 25/03/14 14.52 Pagina 16
PA G I N E D I M E D I C I N A
TRAUMATOLOGIA UROLOGICA
Franco Luigi Spampinato
I
Traumi Renali sono, nella maggior
parte dei casi, di tipo contusivo chiuso e sono generalmente associati ad altre lesioni, sia di tipo osteomuscolare sia
poliviscerale. Sono provocati da eventi
traumatici legati a incidenti stradali, cadute accidentali, sport, eventi bellici. La gestione complessiva del Paziente con Trauma Renale rientra in quella del Paziente
Politraumatizzato, con priorità assoluta
nei confronti dei Trattamenti Rianimatori
Cardiorespiratori e quindi, se del caso, riparazione chirurgica delle lesioni traumatiche. Per quanto riguarda lo studio e la gestione del Trauma Renale in particolare, le
Linee Guida, correntemente seguite dal
1995, definiscono le Lesioni Renali in 5 livelli di gravità, che a loro volta ne condizionano il trattamento. Il livello di gravità
è crescente, dal grado 1 dove esiste una lieve contusione renale con limitato ematoma sottocapsulare con capsula renale integra, al grado 5 dove esiste una lacerazione dell’ilo renale con lesioni vascolari
e/o pluriframmentazione dell’organo. La
terapia di tali lesioni deve ovviamente tenere conto delle condizioni cliniche del
Politraumatizzato e dei danni subiti dagli
altri organi. In linea di massima, le Linee
Guida prevedono che nei primi due gradi,
dove non sono presenti lesioni della Via
Escretrice, il trattamento può essere conservativo, con terapia medica, riposo e
stretto monitoraggio clinico. Negli altri tre
gradi è indicato un trattamento chirurgico,
che dovrà essere stabilito in base alla tipologia del danno. La sintomatologia, oltre a quella del Politraumatismo, è caratterizzata quasi sempre da Ematuria di variabile entità. Tuttavia è bene tenere presente che spesso l’entità dell’Ematuria
non è direttamente proporzionale alla gravità delle lesioni. L’Ecografia in prima
istanza, e sempre in urgenza l’Angiotac,
permettono un adeguato studio diagnostico. Al contrario dei Traumi Chiusi, i Traumi Penetranti, di qualsiasi natura, impongono quasi sempre un intervento chirurgico d’urgenza per la possibile discrepanza
tra la gravità della lesione cutanea e quel-
16
la della lesione viscerale e per il possibile
coinvolgimento di altri organi.
Le Lesioni Ureterali da Trauma Chiuso
sono spesso coesistenti con Lesioni Renali e anche gli Ureteri possono essere interessati da Traumi Penetranti. L’Uretere
tuttavia presenta una vasta possibilità di
Lesioni Iatrogene che possono verificarsi
accidentalmente soprattutto nel corso di
Interventi Endourologici o di Chirurgia
Maggiore Addominopelvica. Qualora le
Lesione non venga riconosciuta in corso
di intervento, l’Ecografia e l’Angiotac
permettono un’ottima accuratezza diagnostica. Il trattamento migliore è quello
attuato nel caso la lesione venga subito accertata nel corso dell’intervento. Nella
maggior parte dei casi, tranne nel caso di
lesioni molto estese, fortunatamente rare
nella pratica clinica, la loro riparazione
chirurgica non presenta particolari difficoltà, con ottimi risultati a distanza. Solo
nel caso di coinvolgimento di tutto l’uretere, dovranno essere effettuate complesse sostituzioni del viscere con anse intestinali isolate, i cui risultati non sono tuttavia altrettanto buoni.
Dopo il Rene, la Vescica è l’organo più
interessato dai Traumi Urologici. Le lesioni da Trauma Chiuso possono comportare
la rottura parziale o totale della parete del
viscere. Se la rottura è intraperitoneale oppure se è extraperitoneale ma estesa, l’unica riparazione possibile è chirurgica. Nel
caso di limitate lesioni extraperitoneali,
come può accadere nel caso di interventi di
Chirurgia Endoscopica, la terapia, se non
coesiste un’importante ematuria, può essere conservativa, con posizionamento a dimora di catetere uretrovescicale e attento
monitoraggio clinico.
Nei Traumi Addominopelvici con frattura del bacino, oltre alla Vescica, frequentemente è coinvolta l’Uretra Posteriore. Se
la lesione è limitata all’Uretra e non esiste
importante Ematuria ma solo Uretrorragia
(perdita di sangue dall’Uretra al di fuori
della minzione), l’unica manovra da fare
è posizionare un Drenaggio Vescicale Cistostomico per Via Sovrapubica, assicurando cosi un regolare deflusso d’urina all’esterno, e, se del caso rimandando le procedure di riparazione uretrale a quando sarà possibile eseguirle con maggiore sicurezza.. È buona regola non eseguire mai
cateterismi uretrovescicali alla cieca in un
Paziente Politraumatizzato con uretrorragia se prima non si è eseguita d’urgenza
una Uretrocistografia per accertare le caratteristiche della lesione uretrale. Nel
dubbio, è sempre meglio in ogni caso non
eseguire manipolazioni endouretrali senza visione delle lesioni.
Le Lesioni dei Genitali esterni possono
interessare la Cute, le Tonache dei Corpi
Cavernosi del Pene, l’Uretra Peniena e i
Testicoli. Un capitolo a parte deve essere
riservato alle Lesioni Iatrogene dell’Uretra, determinate per lo più da Manovre di
Cateterismo Uretrovescicale Traumatico.
Sono particolarmente importanti, perché
se relativamente facili da risolvere in urgenza posizionando un catetere di protezione, aumentano la Morbilità del Paziente, con esiti a distanza costituiti da restringimenti cicatriziali del Canale Uretrale,
peraltro di difficile trattamento. Bisogna
sempre ricordare quello che dicevano i Padri dell’Urologia Moderna. “Nel corso del
Cateterismo Uretrovescicale non è il catetere che attraversa l’Uretra ma è l’Uretra
che si lascia attraversare dal Catetere“. Le
lesioni dei Corpi Cavernosi del Pene hanno quasi sempre indicazione a riparazione
chirurgica.
Le Lesioni Scrotali possono essere trattate conservativamente solo nel caso di
ematomi limitati alla Cute e ai Tessuti Sottocutanei. Nel caso di lesioni testicolari
con rottura dell’organo, è indicata la terapia chirurgica.
Per concludere è bene sempre ricordare
che la maggior parte della Traumatologia
Urologica rientra nel quadro complesso
della Politraumatologia, dove l’Urologo
agirà sinergicamente all’Anestesista Rianimatore, al Radiologo, al Chirurgo e all’Ortopedico per un adeguato trattamento
di queste complesse patologie.
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A.F.MA.L .
INCONTRO ST. JOHN OF GOD
FUNDRAISING ALLIANCE - ROMA
Monica Angeletti
enerdì 21 febbraio nella Sala
Conferenze del nostro Centro
Direzionale si sono riuniti tutti i
membri della St. John of God Fundraising
Alliance per il consueto appuntamento semestrale.
V
le ONG (Organizzazione non governativa), Fondazione e associazione hanno
esposto il proprio operato del semestre illustrando i progetti sia portati avanti autonomamente che in collaborazione con
le ONG dell’Ordine.
Alla riunione hanno preso parte i rappresentanti dell’AFMaL, che hanno ospitato l’incontro, della UMICOI Curia Generalizia FBF, della Fundaçao São João
de Deus per il Portogallo, della Juan Ciudad ONGD per la Spagna, della St.John
of God Development Company per l’Irlanda. Inoltre erano presenti all’incontro
anche i rappresentanti dei Little Brothers
of the Good Shepherd (Canada) e dell’Association Pour l’Aide Aux Jeunes Infirmes et Aux Personnes Handicapées
(Francia).
Sono stati presi in considerazione anche
proposte di gemellaggi, diverse metodologie di aiuti e nuovi formulari per la presentazione di progetti, anche in virtù di
ciò che dettano gli Statuti dell’Ordine e la
Programmazione del Sessennio scaturita
dal LXVIII Capitolo Generale (2012).
Il direttore dell’UMICOI fra Moisés
Martin Boscá o.h. ha aperto l’incontro
con una preghiera al termine della quale ha passato la parola a fra Pietro Cicinelli o.h. superiore provinciale della
Provincia Romana per i
saluti di benvenuto e per
una sintetica ma esauriente esposizione delle
iniziative portate avanti
dall’AFMaL, di cui è
Presidente.
Sono state valutate
successivamente le vecchie proposte di aiuto
che erano state di volta
in volta rinviate per impossibilità di fondi, dato soprattutto dal periodo di crisi economica
che i Paesi intervenuti
alla riunione stanno ancora passando. A turno
ogni rappresentante del-
È stata illustrata ampiamente da parte di
fra Gerardo D’Auria o.h. la campagna
“EMERGENZA FILIPPINE” intrapresa
dalla Provincia Romana subito dopo la
devastazione del tifone Haiyan e appoggiata caldamente dalla Curia Generalizia
con la diffusione tramite Web a tutte le
Provincie dell’Ordine. È intervenuta a tal
proposito anche la dr.ssa Sara Rotunno,
geriatra presso l’Ospedale San Pietro,
dando testimonianza della sua personale
esperienza della missione svolta dal 9 al
19 gennaio nelle Filippine, sia a Manila
che nell’isola di Palawan, unitamente ai
medici otorinolaringoiatri Clarici e Iembo, alla dr.ssa Galli allergologa pediatrica
e guidata da fra Gerardo D’Auria o.h.
Prima di concludere fra Moisés Martin
Boscá o.h. ha reso noto che per il 2015 secondo il programma dell’UMICOI è in
preparazione un incontro a livello internazionale dell’Ordine dal tema: “ELEMOSINA – Impegno sociale, Missione
Carismatica, Valore Evangelico”. È stata
composta una commissione ad hoc per organizzare tale evento. Inoltre ha dato ampia informazione di quanto portato avanti dall’UMICOI e ha presentata la proposta di nuova campagna per l’anno 2014
per il Sudamerica: Entre todos se puede.
Per il prossimo anno invece si prevede indirizzarla verso le realtà dell’Asia.
Al termine dell’incontro è stato rivolto
un saluto ai convenuti e un arrivederci a
ottobre in Spagna per il prossimo meeting.
Partecipanti all’incontro
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OSPEDALE SAN PIETRO - ROMA
LA VIA DI FRANCESCO... LE
RIFLESSIONI DI UN PERCORSO
Carlo Dalia
“I
l Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a far penitenza così: quando ero nei peccati, mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia.
...E allontanandomi da loro, ciò che mi
sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di anima e di corpo. E in seguito,
stetti un poco e uscii dal secolo ”(dal testamento di san Francesco”).
Queste parole, meravigliosa dimostrazione di gioia e di fede, testimonianza nei
secoli dell’insegnamento di san Francesco, sono il riassunto fedele della giornata che l’Ospedale di san Pietro ha vissuto
il 17 febbraio u.s.
Circa un anno fa, come Consiglio Pastorale, decidemmo di approfondire la vita, la
storia e il percorso di fede di san Francesco, l’eroe della chiesa. Ci eravamo posti
questo obiettivo perché volevamo capire il
Suo “essere carismaticamente umile”.
Se alla fine del percorso possiamo dire
di aver compreso la forte spiritualità del
santo Patrono degli italiani molto del me-
rito lo dobbiamo al padre Raniero Cantalamessa OFM Capp., colui che via etere
ha “trasmesso” la parola del Signore a intere generazioni di cristiani. Stare davanti a una persona che ha animato gli esercizi spirituali a 3 Papi, vedere la sua dolcezza, la sua gioia e la sua semplicità è stato il giusto viatico per capire la forza, vorrei dire, “la potenza devastante” dell’umiltà di san Francesco.
Il 17 febbraio il Padre francescano ha intrattenuto tutti noi con un’approfondita relazione fatta di parole, pensieri, testimonianze, aneddoti e soprattutto di esempi.
Ognuno dei partecipanti ha fotografato e
probabilmente porterà sempre con se momenti indimenticabili su san Francesco e
io mi vorrei soffermare su almeno tre
istantanee, vere e proprie lezioni di vita.
La prima riguarda la serenità del giusto.
In un mondo edonista come il nostro, dove, anche grazie alla facile accessibilità ai
mass media, i modelli sono taluni personaggi del mondo dello spettacolo e dello
sport, ci ha spiazzato la serenità, la gioia
di questo uomo di ottanta anni che anco-
ra oggi, ogni volta che parla di Dio, esprime quella serenità, quella pace interiore a
cui tutti gli uomini di spirito ambiscono.
La seconda riguarda l’importanza della
Parola di Dio e di come noi dobbiamo darle il giusto valore. Con la sua serenità, padre Raniero, avendo visto nella platea
qualche viso distratto e qualche insofferenza, ci ha dato un’altra grande e importante lezione di vita. Lo ha fatto a modo
suo, usando una iperbole, un avvenimento a lui veramente accaduto.
“Alla mia prima predicazione, era un Venerdì Santo nella basilica di san Pietro, ero
davanti a papa Giovanni Paolo II e, vista
la cattiva acustica, decisi di parlare molto
più lentamente. Questo comportò un ritardo sulla tabella della celebrazione che fece agitare il Cerimoniere, che nervosamente continuava a controllare il suo orologio. Il Santo Padre, per tutta risposta, vedendo l’ansia del suo collaboratore, mi
sorrise e rivolgendosi al Cerimoniere disse: Quando si ascolta la Parola di Dio non
esiste il tempo e non si guarda l’orologio”.
La terza riguarda l’umiltà del cristiano,
virtù che spesso dimentichiamo, soprattutto chi scrive.
Finita la conferenza, che ha visto il Padre francescano al centro della chiesa, seduto su una poltrona color porpora, e se
non avessi paura di essere blasfemo direi
che con il suo essere al centro della ribalta sembrava un attore consumato mentre
recita una pièce teatrale, si è compiuto “il
miracolo di Francesco“. Infatti il Francescano invece di godersi l’applauso e il
consenso dei convenuti, come avrebbero
fatto tutti, si è alzato ed è andato ad ascoltare il coro, in mezzo ai malati e agli operatori sanitari. Volutamente anonimo, volutamente “uno dei tanti”.
Questo gesto, nella sua semplicità, ci ha
fatto capire che per quanto siamo fieri e
orgogliosi davanti al Signore, siamo tutti
suoi “servitori” e soprattutto tutti amati
nello stesso modo.
Padre Cantalamessa con “Le note del Melograno”
18
Ma la serata ovviamente non è stata solo emozioni, lezioni, è stato anche e so-
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prattutto “Parola”. Alcune spiegazioni ci
hanno fatto capire la forza di Francesco.
Innanzitutto abbiamo scoperto, contrariamente a quello che molti di noi pensavamo come la natura altruistica del Santo
non fosse spirito di solidarietà ma solo
amore verso Dio e quindi verso coloro che
il Signore più ama. Questa riflessione che
in apparenza sembra un sofisma di carattere clericale è invece fondamentale per
comprendere l’essenza stessa della nostra
religione. Dedicarsi ai poveri, agli emarginati ci fa uomini retti ma non ci fa cristiani. Viceversa amare Dio e attraverso
lui, amare coloro che Lui più ama ci fa cristiani. La forza di Francesco, la sua santità va ricercata non nella sua “umanità”
ma nella sua smisurata fede in Cristo.
Un altro interessante spunto di riflessione riguarda l’idea, oramai consolidata nell’immaginario collettivo, che san Francesco con il suo operato abbia rivoluzionato la Chiesa facendola ritornare alla sua
origine fideistica, realizzando un progetto, una strategia mirata. Insomma san
Francesco, è il vero ideologo della restaurazione dei costumi del popolo di Cristo.
Nulla di tutto questo!
Come giustamente ha spiegato padre
Cantalamessa, san Francesco agisce per
ispirazione dello Spirito, che non ha un disegno preordinato e né visioni politiche,
La comunità religiosa con padre Raniero
ma semplicemente vive come vero cristiano spinto dall’amore per Gesù Cristo.
La forza della sua rivoluzione sta nella sua
santità, nel fare, nel vivere quotidiano e
non nella politica.
E in questo quante similitudini vi sono
con san Giovanni di Dio!
Un ultimo ricordo in questo taccuino di
annotazioni e riflessioni, è la visione francescana della penitenza.
Francesco “rivoluziona” anche il modo
di donarsi a Dio.
Per Francesco la sofferenza non è l’unica via della espiazione, concetto che ha invaso intere generazioni di cristiani nei secoli. Chiedere la grazia divina, sottoponendosi a vere e proprie privazioni fisiche
e mentali, non è quello che Gesù Cristo
vuole.
Padre Raniero Cantalamessa
Le parole del suo testamento spirituale
“Il Signore dette a me, frate Francesco, di
incominciare a far penitenza”, come ci ha
spiegato padre Raniero, esortano tutti a
non avere paura di Dio ma di essere pronti a ricevere Cristo con gioia e serenità. Il
Cristianesimo, a differenze delle altre
grandi religioni regola il patto tra la divinità e i fedeli non nel modo di comportarsi, nell’eseguire i precetti della religione,
ma nell’accettazione dell’amore e del sacrificio di Cristo. Le regole i comandamenti servono per darci dei riferimenti nel
percorso ma non ci indicano la via.
In conclusione dobbiamo dire che la
conferenza ci ha molto gratificato, sia nei
contenuti che nella partecipazione. Vedere la chiesa gremita in ogni suo angolo,
ascoltare l’introduzione del dott. Failla,
sentire le riflessioni dell’animatore pastorale locale fra Celestino Fiano ed emozionarsi, il saluto conclusivo di fra Gerardo
che oltre alle belle parole ha abbracciato
calorosamente padre Raniero a nome di
tutta la comunità presente, ci hanno davvero regalato momenti di forte empatia e
ci hanno fatto ritornare indietro nel percorso lungo un anno.
Alla fine ci siamo chiesti: cosa rimarrà
di questa nostra esperienza?
Per quanto mi riguarda posso dire con
molto piacere di aver vissuto intensi momenti di forte spiritualità e di gioia e di
aver “condiviso” con gli altri partecipanti momenti di forte aggregazione e soprattutto di aver capito quanto sia rivoluzionaria e catalizzante la forza dell’amore e del donarsi.
Insomma benvenuto tra noi san Francesco!
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SCUOLA INFERMIERI OSPEDALE SAN PIETRO - ROMA
PERCHÉ FARÒ L’INFERMIERE
Walter Tatangelo
Studente 3° anno - Corso Laurea in Infermieristica
P
er rispondere a una domanda così
densa di significato ci vorrebbero
molte pagine, ma a volte, come
molto spesso accade nella vita, arriva un
momento in cui improvvisamente, senza
volerlo, un fatto, una frase, una parola,
una persona, con una semplicità strabiliante riescono a illuminarci e in un batter
d’occhio a dirimere questioni che, in cuor
nostro sono anni che ci portiamo dentro.
Per farlo vorrei narrarvi un piccolo episodio verificatosi durante il mio ultimo
giorno di tirocinio presso un centro di cure palliative.
Al mattino, insieme a Paolo, il mio tutor,
inizio il giro visite domiciliari e il primo
paziente è il signor Carlo. Dopo un buongiorno caloroso, predisponiamo tutto il
materiale occorrente per effettuare la medicazione. Sin dal primo giorno che conobbi il signor Carlo, intuii la ricchezza
interiore della persona. Ogni sua parola,
ogni suo racconto, ogni suo discorso emanavano, oltre a una grande sapienza, un
profumo di vita. La capacità di non perdere il sorriso, la forza di continuare a parlare di politica, di religione, di calcio, mi
comunicavano questa enorme energia: la
vitalità che permette al signor Carlo di apprezzare ogni secondo della SUA vita come se fosse l’ultimo.
A volte per capire un concetto non bastano decine e decine di libri così come è
Studenti del 3° anno con il manichino
20
vero che a volte per capirlo basta una frase; ebbene, quest’oggi durante la medicazione Carlo mi parlava di un libro, un romanzo ambientato nella preistoria che narrava la vita e le avventure di due giovani;
trattava di evoluzionismo e di creazione.
Questo era il filo conduttore del discorso
che Carlo mi faceva, ma a essere sinceri,
“Carlo, non me ne volere, non è che l’abbia capito molto bene il tuo discorso!” Ma
qualcos’altro ha attivato il mio cervello e
ha ravvivato il mio pensiero.
Subito dopo aver finito la medicazione
il signor Carlo si alza dallo sgabello e con
quel suo passo traballante e affaticato si
reca davanti la libreria e comincia a scrutare in maniera affannosa uno a uno i suoi
libri impolverati; improvvisamente mi
chiama e mi invita a prendere quel libro
con la copertina verde posizionato troppo
in alto per lui. Prendo il libro dalla copertina verde e dice: “si è proprio questo
quello che cercavo, ma vieni pure, avvicinati”. Mi avvicinai a lui e appoggiandosi
al mio braccio mi sussurrò nell’orecchio:
“che rimanga tra noi, questo lo prendi tu,
tanto io devo morire, non ci faccio più
niente”. Mi abbraccia e dopo avermi dato
un bacio sulla testa mi lascia allontanare.
È a quel punto che un tremito interno,
una scossa, un brivido mi parte dal più
profondo del cuore e si irradia in ogni angolo del mio corpo; una sensazione fulminea di fame d’aria, un nodo alla gola,
mi intrappolano il respiro nella gola per
qualche secondo fino a
quando, letteralmente
pietrificato e con lo
sguardo fisso nei suoi
occhi feci la cosa più
semplice e giusta, lo
ringraziai.
Ebbene sì, dopo tre
anni passati a chieder-
mi il perché avessi intrapreso questa strada, dopo tre anni passati a chiedermi se la
mia vita sarebbe stata una vita felice svolgendo questa professione e se questo lavoro sarebbe mai stato gratificante, ritengo di aver ricevuto una risposta.
Non ci sono libri, non ci sono esami, non ci
sono ricerche che possano rispondere a questa domanda o che anche lontanamente possano spiegare chi è e cosa fa l’infermiere.
Ho finalmente compreso quanto l’assistenza infermieristica come disciplina e
come campo distinto di studio si trovi all’interno di una matrice sia umanitaria, sia
scientifica. La prerogativa fondamentale
per svolgere compiutamente questo lavoro è l’amore per il prossimo e la capacità
di saper credere nel valore della vita, anche quando la vita sta finendo.
È vero, i riconoscimenti da parte della società sono pochi; molto spesso il lavoro è
avvolto nell’indifferenza, ma quando si vive un’emozione come quella descritta,
quando si ha la fortuna di regalare un sorriso a una persona che sta soffrendo, quando qualcuno che per 75 anni della sua vita
non ti ha mai visto e poi non soltanto ti accoglie nella sua casa, ma in cambio di un
sorriso, di una parola o di una semplice
medicazione, ti regala un oggetto appartenuto a lui per una vita intera, significa che
forse il nostro lavoro un senso ce l’ha e lo
dobbiamo fare con orgoglio. Se anche le
gratificazioni che raccoglieremo nel corso
della nostra vita professionale saranno poche, quando ci saranno, sprigioneranno
un’emozione e una forza tali da rimanere
impresse nella nostra mente per sempre.
Grazie Carlo
Studenti del Laboratorio Clinico
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OSPEDALE BUON CONSIGLIO - NAPOLI
Firmato a Palazzo San Giacomo il protocollo di intesa tra il
Comune e l’Ospedale Fatebenefratelli per il trasporto del latte
materno
DONARE LA VITA
Il progetto, proposto dall’associazione Germogliare, è stato
realizzato grazie ai fondi dell’asta di beneficenza promossa
dal Cardinale Sepe
Elena Scarici
S
i chiama “Mammanapoli”, il progetto della Banca del latte umano
donato (Blud) che consente ai bimbi prematuri di usufruire del latte offerto da
altre mamme che hanno appena partorito.
Il progetto è stato promosso dall’associazione Germogliare onlus con sede presso
l’Ospedale Fatebenefratelli, già avviato lo
scorso novembre grazie al ricavato dell’asta di beneficenza di dicembre 2012 (cinquantamila euro) e promossa dal cardinale
Sepe, che ha anche benedetto il varo dell’iniziativa lo scorso 15 ottobre.
Il 20 febbraio, presso la sala giunta del
Comune, l’atto finale: la firma del protocollo d’intesa tra il Fatebenefratelli nella
persona di Gennaro Salvia, direttore del reparto di Terapia intensiva neonatale e presidente dell’associazione Germogliare, e il
sindaco Luigi de Magistris. In base all’intesa il comune provvederà alla raccolta e
alla consegna del latte dalle mamme donatrici alla banca del latte presso l’ospedale.
Qui verrà poi somministrato ai bambini
che ne hanno bisogno da personale specializzato. Il servizio di trasporto verrà effettuato da Napoli Sociale. “Questa firma – ha
detto Salvia – rappresenta il completamento della fase organizzativa di
un progetto che ha permesso di reclutare già
venti mamme donatrici e
di aiutare 30 bambini”. Il
latte materno per i piccoli, che in qualche caso
pesano anche 500 grammi, rappresenta il sistema più naturale, meno
invasivo e meno pericoloso per infezioni,
e quindi una probabilità maggiore di sopravvivenza.
Insomma donare il latte come facevano
le “balie” di una volta è donare vita. Lo ha
sottolineato anche l’assessore alle Politiche sociali Roberta Gaeta, intervenuta alla presentazione insieme al responsabile
del servizio Politiche sociali, Vincenzo
Gallotto, al consigliere Carmine Sgambati che ha promosso l’iniziativa, a don Tonino Palmese, vicario per la Caritas della
Diocesi, e al superiore dell’ospedale fra
Alberto Angeletti, rappresentanti della
Quinta Municipalità e dei Lyons che hanno regalato una tiralatte elettrica.
Don Tonino Palmese, in rappresentanza
del Cardinale, ha ricordato come la proposta sia stata sostenuta dalla Diocesi che
ne ha sposato da subito la finalità: “Il cardinale ha avuto l’intuizione di inserire
questo progetto come capitolo primo degli obiettivi dell’asta di beneficenza”. Per
Gallotto si tratta di un’iniziativa dall’alto
valore morale mentre Sgambati ha sottolineato che donare il latte è come donare
un organo a un moribondo.
“È un idea che mi ha trovato subito entusiasta – ha detto il Sindaco – è la dimostrazione che anche tra tanti problemi Napoli è una città solidale e che, lavorare insieme, istituzioni, Chiesa e associazionismo, produce sempre i risultati migliori”.
* Pubblicato da Nuova Stagione, Settimanale Diocesano di Napoli, N. 8 del 2
marzo 2014 pag.11.
Sala della Giunta del comune di Napoli, firma del protocollo
21
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O S P E D A L E B U C C H E R I L A F E R L A - PA L E R M O
8 MARZO
SAN GIOVANNI DI DIO
Cettina Sorrenti
I
n una bella giornata di sole primaverile, l’otto marzo è stata celebrata la
Santa Messa. L’occasione è stata la
solennità di san Giovanni di Dio, fondatore dei Fatebenefratelli, patrono dei malati, operatori sanitari e ospedali. Numerosa è stata la partecipazione da parte del
personale, dei volontari dell’AVULSS,
delle autorità militari e civili della città,
degli abitanti della zona. I pazienti hanno
seguito l’evento dalle stanze di degenza
attraverso i televisori a circuito chiuso. Ha
presieduto la celebrazione, S.E.Rev.ma, il
cardinale Paolo Romeo.
Fra Luigi Gagliardotto, superiore dell’Ospedale, prima dell’inizio della celebrazione nel ringraziare i presenti ha ricordato che “san Giovanni di Dio è stato
un uomo che con la grazia di Dio seppe
trasformare l’amor proprio nel vero amore oblativo. Nel suo cuore ha accolto ogni
fratello che chiedeva nel nome di Gesù
Omelia del card. Romeo
22
Cristo, senza distinzione di
razza, religione e ceto. Non
cessò di fare del bene ogni
volta che gli si è presentata
l’occasione. Ha amato con i
fatti e nella verità. È stato
sempre in periferia con i
prediletti di Gesù. Da uomo
determinato, audace, pieno
di fede, speranza e carità ha
dato origine alla Famiglia
ospedaliera di san Giovanni di Dio, che nei secoli, seguendo l’esempio del proprio Fondatore continua ad
agire come il buon samaritano. La Famiglia ospedaliera Fatebenefratelli dell’Ospedale Buccheri La Ferla, che quest’anno commemora i 50 anni del ritorno nell’Isola, continua il suo servizio d’Ospitalità nell’accoglienza, nella cura corporale e spirituale di tutti i fratelli e sorelle sofferenti e
malati, impegnandosi a offrire un servizio di eccellenza. Nonostante la crisi
che coinvolge il mondo intero si è cercato di mantenere quello già realizzato.
Non sono stati eliminati posti di lavoro e non sono stati ridotti i vari servizi. Andiamo avanti confidando
sempre in Gesù Cristo. Da
diversi anni siamo impegnati nell’accoglienza, nel
servizio rivolto ai poveri,
bisognosi della nostra
amata città distribuendo
viveri a 130 famiglie. Ogni
mercoledì offriamo il servizio docce. Tutto ciò è frutto
della provvidenza e solidarietà dei volontari. Il 7 febbraio con la benedizione
dei lavori abbiamo dato
inizio alla ristrutturazione
della casa accoglienza
Concelebrazione eucaristica
centro “Beato Padre Olallo”. Si prevede
la realizzazione di 12 posti letto. Abbiamo
raccolto la somma per iniziare i lavori ma
attualmente ne mancano più della metà.
Ma noi non ci stanchiamo. Continuiamo
a chiedere con il ritornello di san Giovanni di Dio “Fatebenefratelli per amor
di Dio a voi stessi”.
Anche il Cardinale nell’omelia ha sottolineato l’Opera svolta da san Giovanni di
Dio che “come il buon samaritano, si è accorto che poteva fare molto per gli altri e
si è impegnato a realizzare il bene. Ha costruito la comunione con i fratelli attraverso i gesti, facendosi carico dei bisognosi. Anche noi, seguendo l’esempio di
tanti contemporanei ora beati: Madre Teresa, don Pino Puglisi, Papa Giovanni
Paolo II, abbiamo la possibilità di fare del
bene e di aprire gli occhi e fermarci sperimentando la solidarietà e la fraternità.
Il farci carico degli altri è una vocazione.
Dobbiamo sentire questa responsabilità:
Qualsiasi momento della nostra vita è
buono e propizio”.
Alla fine della Messa i partecipanti si sono riuniti per un brindisi di auguri anche
rivolto alle donne in omaggio alla giornata a loro dedicata.
VO n° 03 marzo 2014_Marzo 2014 25/03/14 14.53 Pagina 23
MISSIONI FILIPPINE
NEWSLETTER
IN MISSIONE TRA I PRIMITIVI
Quando lo scorso gennaio l’AFMAL
effettuò una Missione Medica nell’Isola
di Palawan, si recò solo in luoghi forniti di rete elettrica, avendone bisogno per
le apparecchiature diagnostiche. L’8 e 9
febbraio abbiamo perciò effettuato una
seconda Missione Medica in zone più
impervie e perfino prive di strade, non
portando apparecchiature ma solo una
buona scorta di medicine da dare gratis.
Ha guidato la Missione fra Gianmarco
L. Languez e con lui sono partiti da Manila il dott. Luvin C. Bernas, nostro dentista, con la sua assistente, suor Mariangela Ferraren d.m.l., nonché la volontaria dott.ssa Angela V. Garcia, specialista
in Medicina Generale e in Ortopedia; a
loro si sono uniti sul posto molti volontari locali, sensibilizzati dal presule di
Taytay, mons. Edgardo S. Juanich.
Prima tappa un villaggio montano di
primitivi Tagbanwa, nella frazione di
Old Guinlo, dove sono stati visitati 281
pazienti di Medicina e 160 per i denti,
con l’aiuto di 21 volontari di Taytay, tra
cui un’internista, un’ostetrica, una dentista, 2 infermiere professionali e 10 generiche. All’indomani, seconda tappa
tra i primitivi Cuyonon nella frazione
Magara del Comune di Roxas: son stati visitati 417 pazienti di Medicina e 100
per i denti, con l’aiuto di 41 volontari di
Taytay e di Roxas, tra cui un’internista,
2 dentisti, 3 ostetriche, 2 infermiere professionali e 21 generiche.
YOLANDA
Come narrammo in gennaio, a Manila
abbiamo ospitato 21 persone rimaste
senza casa dopo il terribile tifone dell’8
novembre e anche bisognose di cure
mediche. Superata l’emergenza, ora le
abbiamo aiutate a tornare ai loro paesi e
gli ultimi ospiti hanno lasciato Manila il
10 febbraio, ma prima di congedarle abbiamo dato loro un aiuto economico per
rimetter su casa e rimarremo in contatto sia per aiutarle a riprendere qualche
attività lavorativa, sia per aiutare gli studi dei loro ragazzi.
CERIMONIE CONCLUSIVE
La celebrazione del 25° della presenza
nelle Filippine sia nostra, sia delle Suore Ospedaliere del S. Cuore di Gesù, iniziò il 22 febbraio d’un anno fa, poiché
nel 1988 fu in quel giorno che il card. Sin
ci autorizzò entrambi a insediarci nella
sua Diocesi. Quest’anno, nella medesima data del 22 febbraio, abbiamo concluso la celebrazione con due iniziative.
Alle otto del mattino abbiamo reso
omaggio alla tomba del card. Sin nella
Cattedrale di Manila, poi alle 10 ci siamo recati a Pasig nella Parrocchia di San
Giuda Taddeo, dove il presule, mons.
Mylo Uberto C. Vergara ha presieduto
una Messa di Ringraziamento, cui hanno partecipato sia le Suore Ospedaliere,
che hanno in tale zona la Scuola Angeli
Custodi, sia i loro alunni e famiglie.
Hanno concelebrato con il vescovo il
parroco don Vittorio Virtudazo; il cappellano delle Suore, padre Ronaldo
Eborde p.s.d.p.; fra Eldy L. De Castro,
nostro Delegato Provinciale, e i suoi
compagni di studi sacerdotali, padre
Domenico M. Deniña m.m.h.c. e padre
Randolfo Dayandayan o.s.a. Dopo il Rito c’è stata dalle Suore un agape fraterna, rallegrata da uno spettacolo in cui si
sono esibiti gli alunni, nonché dei frati
delle nostre Comunità di Manila e di
Amadeo e delle suore delle loro Comunità di Pasig e di New Manila. Al termine sono state conferite placche di apprezzamento ad alcuni benefattori più
assidui, tra i quali due del nostro Centro
per Disabili di Amadeo: il sig. Fichte O.
Penaloza e la dott.ssa Jane D. Ricaforte-Campos.
Manila: Fatebenefratelli e Suore Ospedaliere con alunni della loro scuola, in posa attorno ai concelebranti del 22 febbraio
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I FATEBENEFRATELLI
ITALIANI NEL MONDO
I Fatebenefratelli d'ogni lingua sono oggi presenti in 52 nazioni con circa 290 opere.
I Religiosi italiani realizzano il loro apostolato nei seguenti centri:
CURIA GENERALIZIA
www.ohsjd.org
• ROMA
Centro Internazionale Fatebenefratelli
Curia Generale
Via della Nocetta 263 - Cap 00164
Tel 06.6604981 - Fax 06.6637102
E-mail: [email protected]
Ospedale San Giovanni Calibita
Isola Tiberina 39 - Cap 00186
Tel 06.68371 - Fax 06.6834001
E-mail: [email protected]
Sede della Scuola Infermieri
Professionali “Fatebenefratelli”
Fondazione Internazionale Fatebenefratelli
Via della Luce 15 - Cap 00153
Tel 06.5818895 - Fax 06.5818308
E-mail: [email protected]
Ufficio Stampa Fatebenefratelli
Lungotevere de' Cenci, 5 - 00186 Roma
Tel.: 06.6837301 - Fax: 06.68370924
E-mail: [email protected]
• CITTÀ DEL VATICANO
Farmacia Vaticana
Cap 00120
Tel 06.69883422
Fax 06.69885361
• PALERMO
Ospedale Buccheri-La Ferla
Via M. Marine 197 - Cap 90123
Tel 091.479111 - Fax 091.477625
www.ospedalebuccherilaferla.it
• MONGUZZO (CO)
Centro Studi Fatebenefratelli
Cap 22046
Tel 031.650118 - Fax 031.617948
E-mail: [email protected]
• ALGHERO (SS)
Soggiorno San Raffaele
Via Asfodelo 55/b - Cap 07041
• ROMANO D’EZZELINO (VI)
Casa di Riposo San Pio X
Via Cà Cornaro 5 - Cap 36060
Tel 042.433705 - Fax 042.4512153
E-mail: [email protected]
MISSIONI
• FILIPPINE
San Juan de Dios Charity Polyclinic
1126 R. Hidalgo Street - Quiapo 1001 Manila
Tel 0063.2.7362935 - Fax 0063.2.7339918
E-mail: [email protected]
http://ohpinoy.wix.com/phils
Sede dello Scolasticato e Postulantato
della Delegazione Provinciale Filippina
San Ricardo Pampuri Center
26 Bo. Salaban
Amadeo 4119 Cavite
Tel 0063.46.4835191 - Fax 0063.46.4131737
E-mail: [email protected]
http://bahaysanrafael.weebly.com
Sede del Noviziato della Delegazione
PROVINCIA ROMANA
PROVINCIA LOMBARDO-VENETA
www.provinciaromanafbf.it
www.fatebenefratelli.it
• ROMA
Curia Provinciale
Via Cassia 600 - Cap 00189
Tel 06.33553570 - Fax 06.33269794
E-mail: [email protected]
Centro Studi e Scuola Infermieri Professionali “San Giovanni di Dio”
Via Cassia 600 - Cap 00189
Tel 06.33553535 - Fax 06.33553536
E-mail: [email protected]
Sede dello Scolasticato della Provincia
Centro Direzionale
Via Cassia 600 - Cap 00189
Tel 06.3355906 - Fax 06.33253520
Ospedale San Pietro
Via Cassia 600 - Cap 00189
Tel 06.33581 - Fax 06.33251424
www.ospedalesanpietro.it
• GENZANO DI ROMA
Istituto San Giovanni di Dio
Via Fatebenefratelli 3 - Cap 00045
Tel 06.937381 - Fax 06.9390052
www.istitutosangiovannididio.it
E-mail: [email protected]
Sede del Noviziato Interprovinciale
• BRESCIA
Centro San Giovanni di Dio
Via Pilastroni 4 - Cap 25125
Tel 030.35011 - Fax 030.348255
[email protected]
Sede del Centro Pastorale Provinciale
Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico San Giovanni di Dio
Via Pilastroni 4 - Cap 25125
Tel 030.3533511 - Fax 030.3533513
E-mail: [email protected]
Asilo Notturno San Riccardo Pampuri
Fatebenefratelli onlus
Via Corsica 341 - Cap 25123
Tel 030.3501436 - Fax 030.3530386
E-mail: [email protected]
• CERNUSCO SUL NAVIGLIO (MI)
Curia Provinciale
Via Cavour 2 - Cap 20063
Tel 02.92761 - Fax 02.9241285
Sede del Centro Studi e Formazione
Sede Legale
Milano: Via San Vittore 12 - Cap 20123
e-mail: [email protected]
Centro Sant’Ambrogio
Via Cavour 22 - Cap 20063
Tel 02.924161 - Fax 02.92416332
E-mail:a [email protected]
• SAN COLOMBANO AL LAMBRO (MI)
Centro Sacro Cuore di Gesù
Viale San Giovanni di Dio 54 - Cap 20078
Tel 037.12071 - Fax 037.1897384
E-mail: [email protected]
• SAN MAURIZIO CANAVESE (TO)
Beata Vergine della Consolata
Via Fatebenetratelli 70 - Cap 10077
Tel 011.9263811 - Fax 011.9278175
E-mail: [email protected]
Comunità di accoglienza vocazionale
• SOLBIATE (CO)
Residenza Sanitaria Assistenziale
San Carlo Borromeo
Via Como 2 - Cap 22070
Tel 031.802211 - Fax 031.800434
E-mail: [email protected]
Sede dello Scolasticato
• TRIVOLZIO (PV)
Residenza Sanitaria Assistenziale
San Riccardo Pampuri
Via Sesia 23 - Cap 27020
Tel 038.293671 - Fax 038.2920088
E-mail: [email protected]
• VARAZZE (SV)
Casa Religiosa di Ospitalità
Beata Vergine della Guardia
Largo Fatebenefratelli - Cap 17019
Tel 019.93511 - Fax 019.98735
E-mail: [email protected]
• VENEZIA
Ospedale San Raffaele Arcangelo
Madonna dellʼOrto 3458 - Cap 30121
Tel 041.783111 - Fax 041.718063
E-mail: [email protected]
Sede del Postulantato e dello Scolasticato
della Provincia
• CROAZIA
Bolnica Sv. Rafael
Milosrdna Braca Sv. Ivana od Boga
Sumetlica 87 - 35404 Cernik
E-mail: [email protected]
MISSIONI
• NAPOLI
Ospedale Madonna del Buon Consiglio
Via A. Manzoni 220 - Cap 80123
Tel 081.5981111 - Fax 081.5757643
www.ospedalebuonconsiglio.it
• ERBA (CO)
Ospedale Sacra Famiglia
Via Fatebenefratelli 20 - Cap 22036
Tel 031.638111 - Fax 031.640316
E-mail: [email protected]
• ISRAELE - Holy Family Hospital
P.O. Box 8 - 16100 Nazareth
Tel 00972.4.6508900 - Fax 00972.4.6576101
• BENEVENTO
Ospedale Sacro Cuore di Gesù
Viale Principe di Napoli 14/a - Cap 82100
Tel 0824.771111 - Fax 0824.47935
www.ospedalesacrocuore.it
• GORIZIA
Casa di Riposo Villa San Giusto
Corso Italia 244 - Cap 34170
Tel 0481.596911 - Fax 0481.596988
E-mail: [email protected]
• TOGO - Hôpital Saint Jean de Dieu
Afagnan - B.P. 1170 - Lomé
Altri Fatebenefratelli italiani sono presenti in:
• BENIN - Hôpital Saint Jean de Dieu
Tanguiéta - B.P. 7