Intervento del Cons. Sergio Auriemma

CONSIGLIO DI PRESIDENZA
POLITICHE DI CONTRASTO ALLA CORRUZIONE: IL RUOLO DELLA
CORTE DEI CONTI TRA PREVENZIONE E REPRESSIONE
Roma 2-3 luglio 2014
Sergio Auriemma
Il Piano Triennale per la prevenzione della corruzione (P.T.P.C.) 2014-2016
e il Piano Triennale per la trasparenza e l’integrità (P.T.T.I.) 2014-2016
approvati dall’A.N.A.C. il 31 gennaio 2014
SOMMARIO : 1. Riflessioni in premessa: un “Sistema” per il contrasto alle illegalità 2. La “rete normativa” di riferimento - 3. Il Piano Triennale per la prevenzione
della corruzione (P.T.P.C.) - 4. Il Piano Triennale per la trasparenza e l’integrità
(P.T.T.I.) - 5. I collegamenti con il Sistema di valutazione della performance - 6.
La logica della Compliance - 7. La Corte dei conti : controlli e giurisdizione di
responsabilità - 8. Prospettive in tema di incidenza dei deficit organizzativi
1. Riflessioni in premessa : un “Sistema” per il contrasto alle illegalità.
Analisi
e
studi
incentivati
anche
dalle
crisi
recessive
che
hanno
progressivamente coinvolto le economie industriali più avanzate, nonché regolazioni
convenzionali di livello internazionale alle quali ha aderito l’Italia
1
, hanno rafforzato
la consapevolezza dell’indispensabilità di approcci olistici al tema della lotta alla
corruzione.
1
Con legge 3 agosto 2009, n. 116, entrata in vigore il 15 agosto 2009, l’Italia ha ratificato la Convenzione delle
Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall'Assemblea Generale con la Risoluzione n. 58/4 del 31 ottobre
2003 e aperta alla firma a Merida dal 9 all'11 dicembre 2003. Il Preambolo della Convenzione enuncia che la
corruzione costituisce “una minaccia per la stabilità e la sicurezza delle società”, che essa “mina le istituzioni
ed i valori democratici, i valori etici e la giustizia e compromette lo sviluppo sostenibile e lo Stato di diritto”. Il
Preambolo evidenzia i nessi esistenti tra la corruzione ed altre forme di criminalità, in particolare la criminalità
organizzata e la criminalità economica, compreso il riciclaggio di denaro; che la corruzione “non è più una
questione locale, ma un fenomeno transnazionale che colpisce tutte le società e tutte le economie, rendendo la
cooperazione internazionale essenziale per prevenirla e stroncarla”; che “è necessario un approccio globale e
multidisciplinare per prevenire e combattere efficacemente la corruzione”. La legge n. 116/2009 ha designato
quale Autorità nazionale (ai sensi dell'articolo 6 della Convenzione) il soggetto al quale sono state trasferite le
funzioni dell'Alto Commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito
all'interno della pubblica amministrazione, ai sensi dell'articolo 68, comma 6-bis, del decreto-legge 25 giugno
2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, cui sono assicurate autonomia ed
indipendenza nell'attività, nonché quale Autorità centrale (ai sensi dell'articolo 46, paragrafo 13, della
Convenzione) il Ministro della giustizia.
1
La sollecita ratifica delle Convenzioni internazionali, la pronta esecuzione
attuativa di norme comunitarie poste a tutela della libera concorrenza di mercato, la
definizione di una disciplina normativa penale meglio idonea al contrasto di
comportamenti delittuosi, l’introduzione nel settore delle pubbliche amministrazioni di
disposizioni meglio calibrate sulla formazione del personale dipendente, sulla
rotazione negli incarichi delle figure professionali e operative più esposte al rischio di
corruzione, sulla maggiore trasparenza delle posizioni patrimoniali soggettive, su
regole più stringenti in tema di conferimento e assolvimento di incarichi
extraistituzionali anche da parte di magistrati, su di un più incisivo sistema di
responsabilità disciplinare costituiscono soltanto alcuni dei tratti poliedrici che hanno
dato un “corpo materiale” all’idea della globalità di approccio.
Il fenomeno della corruzione, sia nella sua dimensione quantitativa, sia nella
percezione che si condensa presso le collettività e che talvolta, quasi per paradosso,
fa sedimentare effetti non desiderati di assuefazione o di calo di attenzione, se non di
vera e propria emulazione, è oggetto di indagini statistiche periodicamente messe a
disposizione di autorità e soggetti che affrontano il tema.
La dinamica delle infiltrazioni criminogene nella realtà politico-amministrativa ed
economica, interna e internazionale, che ne alterano l’ordinato funzionamento in
osservanza della legge e con libero innesco delle
“sane” regole di mercato, è
multiforme.
Risultano perpetrati illeciti nell’area del rischio di impresa o degli apparati
organizzativi delle persone giuridiche (es. reati contro l’ambiente, la sicurezza sul
lavoro, ecc.), che creano situazioni di indebito vantaggio concorrenziale sul fronte di
costi inferiori, quindi più vantaggiosi, da sostenere per la produzione e lo scambio
imprenditoriale e commerciale.
Si sviluppano comportamenti delittuosi volti alla ricerca di profitti indebiti, che
direttamente distorcono i meccanismi della concorrenza, ad esempio con l’accesso a
percezione indebita di contributi e di risorse finanziarie collettive.
A fronte di ciò, persino i malfunzionamenti giustiziali
(anche quelli puramente
applicativi od interpretativi, nonché quelli che possono verificarsi nel contrasto
giudiziale alla corruzione) fanno deflettere la propensione ad investire, disincentivano
la crescita dimensionale delle imprese, ostacolano l’andamento dei mercati finanziari,
possono alterare o distorcere le scelte di finanziamento.
Tutto questo non riguarda soltanto la giustizia civile ed il cd. enforcement
giudiziario (cioè il funzionamento del processo esecutivo, con la tempestiva
2
riscuotibilità di pagamenti e crediti), ma interessa e investe la tutela giustiziale in
tutte le sue molteplici espressioni (comprese quella penale e contabile), sempre che
si condivida il convincimento che l’effettiva tutela della legalità è uno dei presupposti
essenziali per preservare il bene collettivo e non è un ostacolo od un intralcio allo
sviluppo del Paese. 2
Vi è, inoltre, da considerare che la “tutela della concorrenza”, secondo la
ritessitura esegetica compiuta dalla Corte costituzionale alla luce della riforma del
Titolo V della Costituzione e di quanto oggi statuisce l’art. 117, secondo comma,
lettera e), è materia che
–
nella dimensione dell’intervento statuale
macroeconomico, non escludente quindi interventi di carattere localistico o
microsettoriale a valenza marginalmente pro-competitiva -
va intesa non in
un’unica accezione tra tutte le sue possibili declinazioni di significato.
L’avere la riforma costituzionale del 2001 accorpato, nel medesimo titolo di
competenza, la moneta, la tutela del risparmio e dei mercati finanziari, il sistema
valutario, i sistemi tributario e contabile dello Stato, la perequazione delle risorse
finanziarie e la tutela della concorrenza “…rende palese che quest’ultima costituisce
una delle leve della politica economica statale e pertanto non può essere intesa
soltanto in senso statico, come garanzia di interventi di regolazione e ripristino di un
equilibrio perduto, ma anche in quell’accezione dinamica, ben nota al diritto
comunitario, che giustifica misure pubbliche volte a ridurre squilibri, a favorire le
condizioni di un sufficiente sviluppo del mercato o ad instaurare assetti
concorrenziali”.
3
Da tutto questo è quasi banale desumere che una strategia che intenda
indirizzarsi a perseguire, con reale efficacia, l’obiettivo di una lotta “integrata” ai
fenomeni corruttivi debba poter contare anche sull’allestimento di misure
prevenzionali, indipendenti dall’esercizio dell’azione penale o dell’azione di
responsabilità amministrativo-contabile.
Alle azioni giustiziali l’Ordinamento, invero, assegna un compito importante di
presidio nel Sistema della legalità: accertare e reprimere condotte individuali illecite
o dannose quando le violazioni siano state fattivamente consumate.
Tuttavia, l’utilità sostanziale e finale che davvero si aspetta il Paese
- sia
nel suo essere promotore dell’imprenditorialità privata, sia nel suo essere erogatore
2
In tema v. Bianco, M. e Giacomelli S., Efficienza della giustizia e imprenditorialità: il caso italiano, in Economia
e Politica industriale, 2004; Marchesi D., L'inefficienza della giustizia civile fra domanda e offerta, in il Mulino, n. 5
2008, pp. 854 ss. - Stella P., L’enforcement nei mercati finanziari, Giuffrè, Milano, 2008.
3
Si vedano, tra molte, le sentenze della Corte costituzionale n. 14 del 2004, n. 401 del 2007, n. 430 del 2007,
n. 288 del 2010.
3
di denaro pubblico nelle realtà territoriali, sia infine nel suo essere membro
dell’Unione Europea e, perciò, partecipe nella contribuzione a fondi comunitari che
parzialmente rifluiscono a finanziare iniziative di sviluppo industriale o sociale da
attuarsi nei territori italiani – risiede nel fatto che “a monte” non si verifichi l’illecita
dispersione di risorse, piuttosto che solo ex post ed “a valle” si individuino e si
puniscano gli agenti dissipatori.
I detrimenti lesivi che i fenomeni corruttivi iniettano nel tessuto-Paese hanno
effetti innegabili in termini di competitività, sia interna, sia internazionale.
Si innesca un meccanismo latamente assimilabile alla tendenza, nota alla storia
del monetarismo, che va sotto il nome di “legge di Gresham”, quando negli antichi
sistemi bimetallici la moneta “debole” o “cattiva” sapeva progressivamente scacciare
dal mercato la moneta “forte” o buona”, trovando gli operatori più inclini a fondere
moneta aurea per ricavarne materia prima di valore economico più apprezzato.
Con disperante similitudine e in un contesto come quello odierno, sovraesposto
ai fenomeni corruttivi, l’agire amministrativo o imprenditoriale illecito, ogniqualvolta
raggiunge il suo scopo e resta immune da conseguenze penalizzanti, tende a svilire
e soppiantare l’agire virtuoso e corretto, perché lucra esternalità utilitaristiche
vantaggiose e accattivanti (arricchimenti personali imponenti, disponibilità di ingenti
somme per investimenti, elusioni ed evasioni fiscali, aggiramento di norme
contributive, favoritismi nei reclutamenti di personale, lavoro nero, ecc.).
La corruzione, in tal maniera, può sostanziarsi in una infiltrazione tentacolare
nei meccanismi dell’agire pubblico e dell’economia legale, rendendo molto più
difficile qualsiasi intervento per la sua escissione.
Di recente, è stato osservato che “la corruzione oggi pare ancora più radicata,
diffusa, subdola, orientata al micro interesse personale o di gruppi ristretti, e perciò
forse ancora più sfuggente rispetto al passato”. 4
4
Ne ha parlato il Presidente dell’A.N.A.C. nel corso della riunione del gruppo di lavoro anticorruzione ACWG G20
e della Conferenza G20/OCSE sull’anticorruzione svoltasi a Roma dal 9 al 12 giugno. In detta occasione è stato
osservato che la “dazione” è costituita prevalentemente da incarichi e servizi fittizi o concessi senza che ce ne
sia necessità, da artifici di finanza creativa, dall’agire di cosiddetti “comitati di affari” in grado di controllare e
condizionare in modo seriale e intrecciato una molteplicità di appalti, contratti, investimenti. Se ne è desunto che
le politiche per la prevenzione, il contrasto e la repressione della corruzione non possono essere mosse da
“logiche emergenziali”, che non serve una “attenzione intermittente”, ma occorre presidiare costantemente il
tema, intercettandone i cambiamenti per capirli e contrastarli, che la lotta ai fenomeni corruttivi non può passare
solo attraverso azioni di contrasto “reattive” e secondo logiche di intervento occasionale connesse alla casualità
dell’emersione. Anche la “trasparenza” deve mutare volto, poiché deve essere vera e fruibile e non fatta di una
“bulimia di informazioni inintelligibili”.
4
Nel primo Report che la Commissione UE ha dedicato allo stato dell’arte in
tema di anti-corruzione nei 28 Paesi Membri
5
, dopo aver dato atto che la legge n.
190/2012 delinea uno spartiacque ("un cambio di mentalità") rispetto alla politica
normativa nazionale che, in precedenza, affidava la strategia del contrasto al solo
strumento repressivo dell'azione penale e che oggi, invece, insiste sul principio di
responsabilità della PA (accountability), si è constatato che “nonostante il profondo
impegno profuso dalla Corte dei conti, dagli organi di contrasto, dalle procure e dai
giudici, la corruzione in Italia rimane un problema serio. La nuova ondata di scandali
di corruzione, che hanno coinvolto una serie di cariche elettive regionali, ha fatto luce
sul finanziamento illecito dei partiti politici e delle campagne elettorali e ha rivelato
infiltrazioni mafiose, anche se sono tuttora rari i casi in cui sanzioni dissuasive
vengono realmente comminate a pubblici ufficiali di alto rango. Il regime restrittivo
della prescrizione continua a ostacolare l’accertamento nel merito dei casi di
corruzione. La disciplina sul conflitto di interessi e sui finanziamenti ai partiti politici è
sotto certi aspetti insoddisfacente. Gli appalti pubblici e il settore privato continuano a
essere settori a rischio, malgrado le misure fin qui adottate. In generale occorrono
ulteriori sforzi per garantire un’applicazione e un monitoraggio efficaci del quadro
legislativo anticorruzione, compresi i decreti legislativi, in modo da garantire un
impatto sostenibile sul campo”.
Da qui
- e nella prospettiva di un’evoluzione futura - i suggerimenti delineati
dalla Commissione UE sono nel senso di una maggiore attenzione da dedicare:

al rafforzamento del regime di integrità per le cariche elettive e di governo
nazionali, regionali e locali, anche con codici di comportamento completi, strumenti
adeguati di rendicontazione e sanzioni dissuasive in caso di violazione

al superamento delle lacune della disciplina della prescrizione, come richiesto
dalle raccomandazioni rivolte all’Italia a luglio 2013 nel quadro del semestre europeo

all’allestimento di un quadro uniforme per i controlli interni, all’affidamento della
revisione contabile della spesa pubblica a controllori esterni indipendenti a livello
regionale e locale, soprattutto in materia di appalti pubblici, nonché alla creazione di
un sistema uniforme, indipendente e sistematico di verifica del conflitto di interessi e
delle dichiarazioni patrimoniali dei pubblici ufficiali, con relative sanzioni deterrenti

al potenziamento della trasparenza degli appalti pubblici, prima e dopo
l’aggiudicazione, come richiesto dalle raccomandazioni rivolte all’Italia a luglio 2013
5
V. Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo - Relazione dell’Unione sulla lotta alla
corruzione, Bruxelles, 3 febbraio 2014.
5
nel quadro del semestre europeo, ponendo l’obbligo per tutte le strutture
amministrative di pubblicare on-line conti e bilanci annuali, insieme alla ripartizione
dei costi per i contratti pubblici di opere, forniture e servizi, in linea con la normativa
anticorruzione, considerando di conferire alla Corte dei conti il potere di effettuare
controlli senza preavviso, nonché garantendo il pieno recepimento e l’attuazione
della decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio relativa alla lotta contro la
corruzione nel settore privato.
In sintesi, nell’ambito della strategia orientata anche sul versante prevenzionale,
che da qualche anno ha positivamente conquistato spazi di condivisione, un accento
nuovo e più specifico può essere colto nella sottolineatura del principio della
maggiore e reale “effettività” degli strumenti che l’Amministrazione deve mettere in
campo per assicurare l'efficienza e la trasparenza del suo agire.
Del resto,
solo l’effettività
dei meccanismi di monitoraggio e di
controllo,
interni ed anche esterni alla pubblica amministrazione, a livello sia centrale che
locale, nel dare conto di risultati concreti raggiunti (e non soltanto programmati),
potrà attestare il “successo” delle logiche prevenzionali organiche rispetto agli esiti,
indubbiamente più puntiformi e meno soddisfacenti in chiave e dimensione sistemica,
del contrasto repressivo e deterrente offerto dalle azioni penali o di responsabilità
amministrativa, le quali puniscono gli autori, ma non affrontano in radice i fenomeni.
2. La “rete normativa” di riferimento.
Il tema affidatomi, pur se nominalmente ben circoscritto agli strumenti di
pianificazione che devono allestire le pubbliche amministrazioni per avversare in via
programmatica le illegalità e la corruzione, in realtà si imbatte in un sottostante
impianto normativo estremamente articolato, frastagliato, complesso.
Gli elementi descrittori e regolatori da prendere a riferimento per l’analisi si
desumono, principalmente, dai seguenti atti :

la legge 4 marzo 2009, n. 15 e succ. modificazioni, recante “Delega al Governo
finalizzata all'ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e
trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative delle
funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro e alla Corte dei
conti”
6

il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 e succ. modificazioni, recante
“Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della
produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche
amministrazioni”

la legge 6 novembre 2012, n. 190 e succ. modificazioni, recante "Disposizioni per
la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica
amministrazione"

il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 e succ. modificazioni, recante
"Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e
diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni"

il decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39 e succ. modificazioni, recante
"Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le
pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma
dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190"
Al reticolo delle norme primarie si affianca un insieme di atti di indirizzo politico
amministrativo o comunque di disciplina che riguardano:

il Piano Nazionale Anticorruzione (PNA)

le tecniche di redazione dei Piani triennali per la prevenzione della corruzione
(PTPC)

le tecniche di redazione dei Piani triennali per la trasparenza e l’integrità (PTTI)

le tecniche di redazione dei Piani per la valutazione della performance (PP)

le numerose deliberazioni in proposito emanate dalla Civit (ora ANAC)
Occorre, peraltro, notare che la disciplina anticorruzione ha molteplici punti di
contatto o di intersezione anche solo logico-giuridica con quelle concernenti la
trasparenza, la responsabilità delle persone giuridiche ex d.lgs. 231/2001, la tutela
dei dati personali.
Ciò risalta sol che si osservi come la “trasparenza” sia aspetto propedeutico
ad un'efficace azione anticorruttiva, il Piano anticorruzione sia costruibile sulla base
di un archetipo similare al
“modello di gestione e controllo” delineato nel citato
decreto 231 e, infine, l’attuazione di una politica anticrimine nelle organizzazioni
debba necessariamente tenere in considerazione anche i principi e le regole sulla
tutela dei dati personali utilizzati per tali finalità.
Va aggiunto e considerato un ulteriore dato storico.
Nell’ultimo quinquennio, numerosi altri complessi normativi sono intervenuti a
delineare un reinnesco dei sistemi di controllo interni, una ridefinizione (parzialmente
7
riespansiva) dei controlli di legittimità e di regolarità affidati alla Corte dei conti ed alle
Ragionerie dello Stato, il rafforzamento dei controlli successivi sulla gestione
finanziaria anche nei confronti delle Autonomie territoriali. 6
Tutto questo è stato certamente indotto da necessità di contenimento delle
spese, imposte dalla persistente e sfavorevole congiuntura economica nazionale ed
internazionale.
Non sembra, però, essere rimasto estraneo alle finalità di legge l’intensificarsi,
in Italia, di vicende anche gravi di abuso di risorse e di danaro pubblico, tanto da
spingere il legislatore a rafforzare gli obblighi di informazione, di verifica
dell’attendibilità dei bilanci pubblici, di rimozione delle irregolarità gestionali, di
previsione ed irrogazione di nuove sanzioni.
Le sinergie e gli intrecci, talvolta problematici, tra le discipline normative in tal
modo costruite e l’influenza e l’impatto che, nel loro insieme, le stesse potrebbero
avere sull’azione di contrasto alle illegalità ed alla corruzione esulano, in ogni caso,
dai confini tematici della presente trattazione e saranno, pertanto, ratione materiae
meglio analizzate dagli altri relatori.
3. Il Piano Triennale per la prevenzione della corruzione (PTPC)
Il Piano Nazionale Anticorruzione (PNA), predisposto dal Dipartimento della
funzione pubblica e sottoposto all'approvazione della CIVIT sulla base delle linee
guida
del
Comitato
interministeriale,
contiene
indicazioni
per
procedere
all'elaborazione dei Piani triennali di prevenzione (PTPC) da parte delle singole
amministrazioni, la cui adozione è prevista dall'art. 1, comma 8, della legge n. 190.
Tale disposizione stabilisce che l'organo di indirizzo politico, su proposta del
responsabile, adotta il PTPC curandone la trasmissione al Dipartimento della
funzione pubblica.
6
V. principalmente: D.L. n. 78/2009 recante “Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini”; D.L. n.
225/2010 recante “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria
e di sostegno alle imprese e alle famiglie”; L. n. 266/2005 recante “Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006)”; L. n. 196/2009 (Legge di contabilità e finanza
pubblica); D.Lgs. n. 123/2011 recante “Riforma dei controlli di regolarità amministrativa e contabile e
potenziamento dell'attività di analisi e valutazione della spesa, a norma dell'articolo 49 della legge 31 dicembre
2009, n. 196”; D.L. 174/2012 recante “Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti
territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012”; D.L. 91/2014 recante
“Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l'efficientamento energetico dell'edilizia
scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe
elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea”.
8
In fase di prima applicazione, il termine di adozione del PTPC è stato differito. 7
Per quanto riguarda il campo di azione della legge, in assenza di una
definizione esplicita, ai fini della redazione del Piano viene dato per presupposto un
concetto di “corruzione” da intendersi in senso lato.
La concezione “allargata”
- da tempo in uso e nota in ambito internazionale
ed anche europeo - racchiude in sé varie situazioni in cui, nel corso dell'attività
amministrativa, si riscontri l'abuso da parte di un soggetto del potere a lui affidato al
fine di ottenere vantaggi privati.
Le situazioni rilevanti
ai fini della legge 190, pertanto, sono ben più ampie
delle fattispecie incriminatrici di cui agli artt. 318, 319 e 319 ter del codice penale e
sono tali da comprendere non solo l'intera gamma dei delitti contro la pubblica
amministrazione disciplinati nel Titolo II, Capo I, del codice, ma anche altre situazioni
in cui - a prescindere dalla rilevanza penale - venga in evidenza un
malfunzionamento dell'amministrazione a causa dell'uso a fini privati delle funzioni
attribuite.
8
Una puntuale conferma di questo allargamento concettuale la si rinviene in
quella parte del PNA in cui, a proposito degli enti pubblici economici e degli enti di
diritto privato in controllo pubblico, di livello nazionale o regionale/locale, si precisa
che essi
“…sono tenuti ad introdurre e ad implementare adeguate misure
organizzative e gestionali. Per evitare inutili ridondanze qualora questi enti adottino
già modelli di organizzazione e gestione del rischio sulla base del d.lgs. n. 231 del
2001 nella propria azione di prevenzione della corruzione possono fare perno su
essi, ma estendendone l'ambito di applicazione non solo ai reati contro la pubblica
amministrazione previsti dalla l. n. 231 del 2001 ma anche a tutti quelli considerati
nella l. n. 190 del 2012 , dal lato attivo e passivo, anche in relazione al tipo di attività
svolto dall'ente (società strumentali/società di interesse generale). Tali parti dei
modelli di organizzazione e gestione, integrate ai sensi della l. n. 190 del 2012 e
denominate Piani di prevenzione della corruzione, debbono essere trasmessi alle
amministrazioni pubbliche vigilanti ed essere pubblicati sul sito istituzionale”..
In sostanza, il PNA riconosce la validità dei modelli di organizzazione e
gestione di cui all'art. 6 del d.lgs. 231/2001 ed evita inutili ridondanze degli oneri di
conformità, ma impone un percorso di "integrazione" che giunga fino a comprendere
non soltanto i reati presenti nel catalogo dei “reati presupposti” di cui agli articoli da
7
V. art. 34 bis, comma 4, d.l. 18.10.2012, n. 179, convertito con modif. da L. 17.12.2012, n. 221.
V. circolare PCM 25.01.2013, n. 1: Legge n. 190 del 2012 - Disposizioni per la prevenzione e la repressione
della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione (pubbl. in G.U. 26.04.2013, n. 97).
8
9
24 a 26 del d.lgs. n. 231/2001, ma anche a tutti quelli considerati nella legge n. 190
del 2012 “…dal lato attivo e passivo, anche in relazione al tipo di attività svolto
dall'ente (società strumentali/società di interesse generale)”.
La legge 190 (art. 1, comma 12) prevede una generale forma di responsabilità
dirigenziale (ex art. 21 d. lgs. n. 165/2001), disciplinare ed amministrativa a carico
del Responsabile della prevenzione della corruzione (RPC), oltre che (ed
eventualmente) per il danno erariale e all'immagine della pubblica amministrazione.
La responsabilità può configurarsi in caso di condanna in via definitiva
all'interno dell'amministrazione per un reato di corruzione (nel senso lato anzidetto),
a meno che il RPC non provi tutte le seguenti circostanze (cumulative, quindi, e non
alternative):
a) di avere predisposto, prima della commissione del fatto, il piano, osservando
le prescrizioni di cui ai commi 9 e 10 del presente articolo;
b) di aver vigilato sul funzionamento e sull'osservanza del piano
Il successivo comma 13 stabilisce che la sanzione disciplinare irrogabile al
RCP non può essere inferiore alla sospensione dal servizio con privazione della
retribuzione da un minimo di un mese ad un massimo di sei mesi.
Il comma 14 disciplina, infine, un'ulteriore fattispecie di illecito per responsabilità
dirigenziale, che sussiste "in caso di ripetute violazioni del piano", nonché, in
presenza delle medesime circostanze, una fattispecie di illecito disciplinare
"per
omesso controllo".
E’ appena il caso di notare
- ma l’analisi sul punto meriterebbe una più
estesa trattazione ermeneutica -
come la responsabilità amministrativa-erariale
eventualmente imputabile al RCP ai sensi del citato comma 12, qualora all’interno
dell’amministrazione sia commesso e sanzionato un reato di
“corruzione”,
non
deriva certo da una “partecipazione diretta” alla commissione del reato tipico di
corruzione.
Siffatta partecipazione, infatti, configurerebbe un’ipotesi di concorso nel reato
ai sensi dell’art. 110 c.p. e, pertanto, il RPC ne risponderebbe, più semplicemente, in
quanto agente concorrente, senza potersi neppure avvalere delle esimenti indicate
nella legge 190.
Piuttosto, è proprio l’accezione in senso lato del vocabolo “corruzione” che
aiuta a comprendere come la responsabilità erariale (per danno patrimoniale od
anche all’immagine) a carico del RPC possa restare integrata a fronte della
commissione, da parti di altro soggetto, di un qualsiasi delitto contro la PA
(si
10
pensi, ad esempio, ad un reato di abuso d'ufficio ex art. 323 c.p. o di rifiuto di atti
d'ufficio od omissione ex art. 328 c.p.) rispetto al quale la regolare attivazione, il
regolare funzionamento ed il monitoraggio sull’osservanza del Piano/Modello
organizzativo avrebbero potuto interporre specifiche misure prevenzionali.
Naturalmente il cuore della problematica giudiziale dell’accertamento circa una
responsabilità erariale imputabile al RPC
- di non facile ricostruzione -
sarà
quello concernente il nesso di causalità.
Trattandosi di causalità cosiddetta omissiva (o normativa, o ipotetica) il giudice,
in forza di un ragionamento controfattuale e partendo dalla condotta del (presunto)
responsabile connotata dalla colposa inadempienza, dovrà svolgere una inferenza
probabilistica (che rappresenta indubbiamente una complicazione nella formulazione
del giudizio causale, ma) che non può essere pretermessa, formulando un giudizio
che pervenga - senza affrettate approssimazioni e senza salti logici - alla
conclusione, positiva o negativa, della sussistenza di un legame causale tra la
condotta esaminata e l’evento (per questo concetto si veda quanto si avrà modo di
segnalare di qui a poco) che si è verificato all’interno dell’amministrazione.
Servirà, dunque, che il pubblico ministero contabile attore, prima di formulare
una ipotesi di addebito di responsabilità a carico del RPC, accerti nel dettaglio gli
elementi che integrano la “prova liberatoria” di cui all’art. 1, comma 12, della legge
n. 190/2012
(-
avere il RPC predisposto, prima della commissione del fatto, il
piano secondo le regole di redazione; - avere il RCP vigilato sul funzionamento e
sull'osservanza del piano).
Passando ai contenuti dell’attività di pianificazione, è essenziale tenere presenti
alcuni concetti fondamentali, illustrati o comunque enunciati nel PNA.
Per “rischio”, va inteso l’effetto dell’incertezza sul corretto perseguimento
dell’interesse pubblico e, quindi, sull’obiettivo istituzionale dell’ente, dovuto alla
possibilità che si verifichi un dato evento.
Per
“evento” , si intende il verificarsi o il modificarsi di un insieme di
circostanze che si frappongono o si oppongono al perseguimento dell’obiettivo
istituzionale dell’ente.
Per
“gestione del rischio” , si intendono le strategie necessarie per
individuare, stimarne i livelli e governare in maniera proattiva e tramite apposite
misure correttive e di miglioramento i rischi cui sono esposte le varie attività
procedurali svolte nell’ambito della specifica struttura amministrativa organizzata che
redige il Piano.
11
Quanto ai contenuti ed alle indicazioni sulla gestione del rischio, lo stesso PNA
precisa che sono stati tenuti presenti i principi e linee guida “Gestione del rischio”
UNI ISO 31000 2010 (edizione italiana della norma internazionale ISO 31000),
riconsiderati in maniera semplificata.
9
La legge n. 190 ha direttamente individuato alcune
aree di rischio comuni
a tutte le amministrazioni. Dette aree sono elencate nell’art. 1, comma 16, della
legge e si riferiscono ai procedimenti di:
a) autorizzazione o concessione;
b) scelta del contraente per l'affidamento di lavori, forniture e servizi, anche con
riferimento alla modalità di selezione prescelta ai sensi del codice dei contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al d.lgs. n. 163 del 2006;
c) concessione ed erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari,
nonché attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti
pubblici e privati;
d) concorsi e prove selettive per l'assunzione del personale e progressioni di carriera
(articolo 24 del citato decreto legislativo n. 150 del 2009.
Ciascun PTPC,
oltre ad analizzare e declinare nel dettaglio i contenuti dei
rischi afferenti le anzidette aree e le correlate misure di prevenzione, dovrà
analizzare e declinare i contenuti di cd.
aree di rischio ulteriori,
le quali
rispecchiano le specificità funzionali e di contesto.
L’analisi dei rischi va effettuata per ciascuna area (generale o ulteriore) con
riferimento a tutti i processi lavorativi che nella stessa di realizzano. Per ciascun
processo lavorativo, quindi, dovranno essere verificati la
nonché
l’impatto
o
gli
effetti
che
lo
stesso
probabilità dell’evento,
potrebbe
avere
all’interno
dell’organizzazione.
Sarà poi necessaria la misurazione/ponderazione dei rischi, che comporta
la necessità di valutare l’intensità del singolo rischio, anche comparandola con altri
rischi ed individuando le priorità.
Infine, vanno elaborate le misure di prevenzione dei rischi, cioè tutte le
azioni o gli interventi che si intende mettere in opera ( e che nel concreto vengono
messe in opera) per neutralizzare oppure per ridurre la probabilità che i rischi si
verifichino.
Le misure di prevenzione, da esplicitare per ciascuna area di rischio, sono state
fondamentalmente classificate in due tipologie :
9
V. All. n. 6 al PNA.
12

misure obbligatorie, la cui applicazione discende obbligatoriamente dalla legge
o da altre fonti normative. Tra le stesse si annoverano le cd. misure di carattere
trasversale quali la trasparenza, l’informatizzazione dei processi, l’accesso
telematico a dati, documenti e procedimenti e il riutilizzo dei dati, documenti e
procedimenti, il monitoraggio sul rispetto dei termini procedimentali

misure ulteriori che, pur non essendo obbligatorie per legge, vengono rese
obbligatorie dal loro stesso inserimento nel PTPC. 10
Infine, per ciascuna misura dovrà essere individuato il responsabile ed il
termine per la sua attuazione, stabilendosi in tal maniera il collegamento con il ciclo
delle performance e con il PP.
4. Il Piano Triennale per la trasparenza e l’integrità (PTTI)
Il programma triennale per la trasparenza e l’Integrità (PTTI), come previsto
dall’art. 10, comma 2, del d.lgs. n. 33/2013
11
, costituisce una sezione del Piano di
prevenzione della corruzione (PTPC).
Il collegamento fra il Piano triennale di prevenzione della corruzione e il
Programma triennale per la trasparenza e l'integrità viene assicurato dal
Responsabile della trasparenza le cui funzioni, secondo quanto previsto dall'art. 43,
c. 1, del d.lgs. n. 33/2013, sono svolte, di norma, dal Responsabile per la
prevenzione della corruzione, di cui all'art. 1, c. 7, della legge n. 190/2012.
Il PTTI indica le iniziative previste per garantire:
a) un adeguato livello di trasparenza, anche sulla base delle linee guida
elaborate dalla Commissione di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 27 ottobre
2009, n. 150;
b) la legalità e lo sviluppo della cultura dell'integrità.
Lo stesso decreto legislativo 33 sancisce espressamente che :

gli obiettivi indicati nel Programma sono da formulare in collegamento con la
programmazione strategica e operativa dell'amministrazione, definita in via generale
nel Piano della performance e negli analoghi strumenti di programmazione previsti
negli enti locali
10
V. in particolare l’ All. 4 al PNA approvato il 31 gennaio 2014, rubricato “Elenco esemplificativo delle misure
ulteriori”, che contiene un’elencazione esemplificativa di misure ulteriori.
11
Decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 e succ. modificazioni, recante "Riordino della disciplina riguardante
gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni"
13

le misure incluse nel Programma sono collegate, sotto l'indirizzo del
responsabile, con le misure e gli interventi previsti dal Piano di prevenzione della
corruzione
Vale la pena stringatamente e in premessa rammentare che la legge n. 15/2009
ha dettato nuove disposizioni sul principio della trasparenza nelle amministrazioni
pubbliche.
L'art. 4, comma 6, estendendo e rafforzando la previsione già presente nella
legge n. 241/1990, ha stabilito che la trasparenza costituisce livello essenziale delle
prestazioni erogate dalle amministrazioni pubbliche a norma dell’articolo 117,
secondo comma, lettera m), della Costituzione.
Nei successivi commi 7 e 8 è stato precisato che la trasparenza è intesa come
accessibilità totale, anche attraverso lo strumento della pubblicazione sui siti internet
delle pubbliche amministrazioni, delle informazioni concernenti ogni aspetto
dell’organizzazione delle pubbliche amministrazioni, degli indicatori relativi agli
andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni
istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione svolta in proposito
dagli organi competenti, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto
dei princìpi di buon andamento e imparzialità.
Le amministrazioni pubbliche adottano ogni iniziativa utile a promuovere la
massima trasparenza nella propria organizzazione e nella propria attività.
Il concetto della accessibilità totale determina il passaggio, in ulteriore
prospettiva, dal cd. open government al cd. open data, cioè alla messa a
disposizione dei cittadini delle informazioni di interesse generale; ciò in linea con i
moniti provenienti dall’ordinamento europeo e dalle più importanti organizzazioni
globali (Onu, Ocse, Consiglio d’Europa), nella prospettiva di un avvicinamento ai
modelli di trasparenza esistenti in altre realtà nazionali.
Un riepilogo succinto e denso di quasi tutti i concetti sin qui esposti si può
leggere nella sentenza della Corte costituzionale n. 104 del 2006.
In essa si afferma che la pubblicità dell'azione amministrativa ha assunto,
specie dopo l'entrata in vigore della legge n. 241/1990 il valore di un principio
generale, che attua sia i canoni costituzionali di imparzialità e buon andamento
dell'amministrazione (art. 97, primo comma, Cost.), sia la tutela di altri interessi
costituzionalmente protetti, come il diritto di difesa nei confronti dell'amministrazione
(artt. 24 e 113 Cost.).
14
Tra i criteri dell'azione amministrativa, l'art. 1 della legge 241 contempla, infatti,
espressamente (accanto a quelli di economicità, di efficacia e di trasparenza) la
pubblicità, mentre le disposizioni contenute nel capo V della medesima legge ne
disciplinano taluni aspetti applicativi, quale, in primo luogo, l'accesso ai documenti
amministrativi.
Manifestazione fra le più rilevanti della regola di pubblicità è l'obbligo di
comunicazione dei provvedimenti amministrativi, oggi sancito dall'art. 21-bis della
legge n. 241, il quale stabilisce che «il provvedimento limitativo della sfera giuridica
dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la
comunicazione allo stesso effettuata». Questa norma ha reso esplicita una regola
desumibile dal testo originario della citata legge n. 241 del 1990 (l'obbligo di
concludere il procedimento, entro un termine stabilito, con un provvedimento
espresso).
Infine, la pubblicità del procedimento amministrativo è un principio appartenente
al patrimonio costituzionale comune dei Paesi europei; principio stabilito, tra l'altro,
dall'art. 253 del Trattato istitutivo delle Comunità europee, che impone l'obbligo di
motivazione degli atti comunitari (sentenza della Corte di giustizia delle Comunità
europee del 2 aprile 1998 in causa C-367/95).
Riconducibile al principio della trasparenza è anche l'art. 21, comma 1, della
legge
n.
69/2009,
recante
"Disposizioni
per
lo
sviluppo
economico,
la
semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile", che obbliga le
amministrazioni a pubblicare, sui siti Internet di ciascun ente od organismo, i
curricula vitae dei dirigenti, i dati relativi al trattamento economico, oltre alle
informazioni inerenti i tassi di assenza e di presenza del personale di ciascun ufficio
dirigenziale.
Infine, è da ricordare che gli articoli 4 della legge n. 15/2009 ed 11 del decreto
n. 150/2009 hanno ritenuto di ridefinire il principio della trasparenza, già formalmente
enunciato nell’art. 1 della legge n. 241/1990 e succ. mod. sul procedimento
amministrativo e sul diritto di accesso ai documenti amministrativi (quindi riferibile sia
all’organizzazione, sia all’attività), rivisitandolo e riguardandolo anche sotto un altro
profilo, detto della "integrità".
L’integrità costituisce principio di nuova concezione, maturato essenzialmente
in ambito penalistico-aziendale alla luce del decreto legislativo n. 231 del 2001, che
ha disciplinato la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società
e delle associazioni anche prive di personalità giuridica ed ha modificato la
15
previgente regola penalistica in base alla quale “societas delinquere non potest”.
L’innovazione si è mossa nel senso di prevedere una responsabilità, di natura
sostanzialmente penale (anche se denominata "amministrativa"), per gli Enti che non
adottino e facciano effettivamente funzionare al loro interno “modelli” predefiniti (i cd.
compliance programs), sia organizzativi sia di controllo, che siano capaci di
disincentivare ed ostacolare le illegalità e la commissione di reati particolarmente
gravi da parte di propri amministratori e dipendenti.
In somma sintesi, il principio e la cultura della integrità puntano a favorire il
formarsi di un costume “etico” (donde il vocabolo), sia organizzativo sia
comportamentale, che aiuti a contrastare fenomeni di illegalità e di corruzione.
La Commissione CIVIT - in tema di PTTI -
inizialmente ha emanato la
delibera n. 6/2010, recante “Prime linee di intervento per la trasparenza e l’integrità”,
in essa richiamando ed elencando una serie di obblighi che devono essere adempiuti
dalle pubbliche amministrazioni.
Più di recente, con la delibera n. 50/2013 è stato ulteriormente sottolineato che
il Programma triennale è innanzitutto uno strumento rivolto ai cittadini e alle imprese
con cui le amministrazioni rendono noti gli impegni in materia di trasparenza. 12
Ne consegue l'importanza che nella redazione del documento sia privilegiata la
chiarezza espositiva e la comprensibilità dei contenuti anche per chi non è uno
specialista del settore.
Inoltre, viene ricordato che in coerenza con il principio della
“accessibilità
totale” le amministrazioni, nell'esercizio della propria discrezionalità e in relazione
all'attività istituzionale espletata, devono sentirsi impegnate a pubblicare sui propri
siti istituzionali dati “ulteriori” oltre a quelli espressamente indicati e richiesti da
specifiche norme di legge
13
, posto che
il
d.lgs. n. 33/2013, all'art. 1, c. 1,
nell'esplicitare il principio generale di trasparenza e nel fare riferimento alle
informazioni concernenti “l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni,
allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni
istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche” offre un criterio di discrezionalità
12
La delibera CiVIT 04.07.2013, n. 50, recante le Linee guida per l'aggiornamento del Programma triennale per
la trasparenza e l'integrità 2014-2016, rende disponibili, in particolare, Allegati riferiti a : elenco degli obblighi di
pubblicazione attualmente vigenti per le amministrazioni pubbliche con l'individuazione dei rispettivi ambiti
soggettivi di applicazione (allegato 1); nota esplicativa dell'elenco degli obblighi di pubblicazione (allegato 1.1) ;
documento tecnico sui criteri di qualità dei dati da pubblicare (allegato 2); scheda standard per la compilazione
del Programma triennale sul Portale della trasparenza da parte delle amministrazioni statali e degli enti pubblici
non economici nazionali (allegato 3); scheda di monitoraggio dell'OIV sull'avvio ciclo della trasparenza per le
amministrazioni statali e gli enti pubblici non economici nazionali (allegato 4).
13
La pubblicazione di “dati ulteriori” è prevista anche dalla legge n. 190/2012 come contenuto dei Piani
Triennali di prevenzione della corruzione (art. 1, c. 9, lett. f) e dallo stesso d.lgs. n. 33/2013 (art. 4, c. 3).
16
molto ampio, da leggere in una logica di piena apertura dell'amministrazione verso
l'esterno e da declinare in forme che non siamo di mero adempimento burocratico
delle norme sugli obblighi di pubblicazione.
In questa ottica, i
dati ulteriori
sono quelli che ogni amministrazione, in
ragione delle proprie caratteristiche strutturali e funzionali, dovrebbe individuare a
partire dalle richieste di conoscenza dei propri portatori di interesse.
5. I collegamenti con il Sistema di valutazione della performance.
I vari documenti che hanno accompagnato l’elaborazione delle suddescritte
attività di pianificazione da parte delle pubbliche amministrazioni (specie di quelle
centrali) contengono espliciti riferimenti ed indicazioni operative che si soffermano
sui collegamenti od intersezioni tra il Piano anticorruzione (PTPC) ed il Piano (PP)
relativo al cd. “ciclo della valutazione della performance” disciplinato dal d.lgs. n.
150/2009.
14
E’ stato osservato che il decreto 150 del 2009, quanto all’attivazione del “ciclo”
valutativo, ha previsto che questo debba essere sviluppato dalle amministrazioni in
maniera coerente con i contenuti e con il ciclo della programmazione finanziaria e del
bilancio. 15
Le norme hanno offerto un quadro di azione che realizza il passaggio dalla
cultura dei mezzi (input) a quella dei risultati (output e outcome), già auspicato dalle
riforme precedenti.
Il nuovo sistema di valutazione è stato delineato dal d. lgs. n. 150 soltanto nei
suoi tratti generali, dovendo poi essere regolato più analiticamente dai soggetti che
ne sono a vario titolo i gestori.
In particolare, il Governo ha affidato alla Commissione per la valutazione (la
Civit) il compito di indirizzare, di coordinare e di sovrintendere le concrete funzioni di
valutazione degli Organismi indipendenti di valutazione della performance (OIV),
istituiti in seno ad ogni amministrazione per garantire dall’interno la definizione e
l’implementazione dei sistemi di valutazione, nel rispetto dei modelli definiti dalla
Commissione.
14
Il Titolo II del decreto legislativo (articoli da 1 a 16) è interamente dedicato alla “Misurazione, valutazione e
trasparenza della performance”.
15
V. Corte di Cassazione - Ufficio del massimario e del ruolo – Relazione tematica n. 41 del 12 aprile 2010.
17
La strategia fondata sulla valutazione delle performance è stata strettamente
interconnessa con l’adozione del principio meritocratico come criterio gestionale
essenziale.
Il legislatore delegato, infatti, ai risultati della valutazione delle performance
individuali, nonché delle strutture di appartenenza, ha collegato la corresponsione
ai singoli dipendenti, compresi i dirigenti, di quote di retribuzione incentivante e di
premi, stabilendo altresì l’incidenza di tali risultati sulle progressioni economiche e di
carriera, nonché la loro rilevanza in materia disciplinare.
Centralità assoluta in proposito assumono anche le previsioni di legge
in
materia di cd. poteri dirigenziali.
Infatti, tra gli obiettivi del d.lgs. n. 150 del 2009 si colloca il riconoscimento, in
capo al dirigente amministrativo, di una maggiore autonomia nei confronti tanto della
politica quanto del contropotere sindacale ed un rafforzamento delle sue prerogative
manageriali.
Tutto ciò è stato attuato, da un lato, ampliando l’intervento legislativo in tema di
organizzazione e di rapporto di lavoro
a scapito dei contratti e, dall’altro lato,
rinforzando la tutela dei dirigenti nel momento cruciale della nomina e della revoca
dell’incarico.
Le deliberazioni Civit n. 6 del 2013 e n. 50 del 2013
– rispettivamente recanti
le “Linee guida relative al ciclo di gestione della performance per l'annualità 2013” e
le “Linee guida per l'aggiornamento del Programma triennale per la trasparenza e
l'integrità 2014-2016” -
hanno descritto ed evidenziato i punti di interazione o
confluenza tra gli elementi (segnatamente : obiettivi ed indicatori) da includere nei
due diversi documenti di pianificazione (PTPC e PP) .
Il Piano Nazionale Anticorruzione, tramite un apposito Allegato
16
, ha precisato
l’importanza di stabilire collegamenti con il ciclo della performance, da configurare
quali integrazioni “reali” e non meri richiami/rinvii tra i due strumenti di pianificazione
(PTPC e PP).
Il carattere
“integrato” del ciclo della performance previsto per legge esige
infatti che il Piano della Performance (PP) comprenda gli ambiti relativi:

alla performance ed agli standard di qualità dei servizi (articoli 7 e 10 del d.lgs. n.
150 del 2009)

alla trasparenza ed alla integrità
16
V. in particolare l’ All. 1 al PNA approvato il 31 gennaio 2014 - punto B.1.1.4 - rubricato “Individuazione per
ciascuna misura del responsabile e del termine per l’attuazione, stabilendo il collegamento con il ciclo delle
performance”.
18

al piano delle misure in tema di contrasto alla corruzione (PTPC)
Se l’attività rivolta alla prevenzione della corruzione deve assumere una
concreta ed effettiva
rilevanza strategica
all’interno dell’organizzazione e deve
riguardare tutte le risorse professionali nella stessa operanti, è
intuitivamente
indispensabile che l’attività posta in essere per attuare la legge n. 190/2012 sia
inserita nella programmazione strategica ed operativa definita in via generale nel
P.P. (e negli analoghi strumenti di programmazione previsti nell’ambito delle
amministrazioni regionali e locali).
Ciò dovrà avvenire sotto forma di
“obiettivi e di indicatori per la prevenzione
del fenomeno della corruzione” riferiti a tutti i processi ed attività lavorative, specie
quelle “sensibili”.
Detti obiettivi – di tipo strategico e di tipo operativo
- devono
essere
adeguatamente e idoneamente declinati sul duplice versante :


della performance organizzativa (art. 8 d.lgs. n. 150 del 2009)
della performance individuale
(art. 9 d.lgs. n. 150 del 2009)
Gli obiettivi di carattere strategico sono dimensionati su orizzonti temporali
pluriennali e presentano un elevato grado di rilevanza (non risultano, per tale
caratteristica, facilmente modificabili nel breve periodo), richiedendo uno sforzo di
pianificazione per lo meno di medio periodo.
Gli obiettivi di carattere operativo declinano, invece, l’orizzonte strategico per
singoli esercizi (breve periodo).
La performance individuale esprime il contributo fornito da un individuo, in
termini di risultato e di modalità di raggiungimento degli obiettivi.
La performance organizzativa esprime il risultato che l’'intera organizzazione,
con le sue singole articolazioni, consegue ai fini del raggiungimento di determinati
obiettivi e, in ultima istanza, della soddisfazione dei bisogni dei cittadini.
Occorre notare che tra le disposizioni di legge non risulta inclusa una
definizione normativa esplicita e contenutistica della cd. “performance”.
Il vocabolo straniero (il cui significato letterale è: prestazione o esecuzione o
prova), nell’ambito dell’economia aziendale è solitamente adoperato in un’accezione
che tende ad identificare essenzialmente un “processo gestionale”, oppure un
insieme di processi, metodologie, criteri di misurazione e sistemi diretti a valutare e
gestire le prestazioni di un'organizzazione in vista di obiettivi di soddisfazione
dell’utenza.
19
Una definizione enunciata da una parte della dottrina di settore qualifica la
performance come “il contributo (risultato e modalità di raggiungimento dello stesso)
che una entità (individuo, gruppi di individui, unità organizzativa, intero ente,
programma
o
politica
pubblica)
apporta
attraverso
la
propria
azione
al
raggiungimento della finalità e degli obiettivi, ed in ultima istanza alla soddisfazione
dei bisogni per i quali l’organizzazione è stata costituita”.
Se si abbandonano le accezioni solo dottrinarie (che mai sono univoche o
considerabili incontroverse) e si preferisce procedere attraverso l’esegesi delle
norme, non si può fare a meno di notare che:

l’art. 9 del decreto legislativo n. 150/2009 parla di “raggiungimento di specifici
obiettivi di gruppo o individuali” e di “qualità del contributo assicurato alla
performance dell'unità organizzativa di appartenenza, alle competenze dimostrate
ed ai comportamenti professionali e organizzativi”, precisando altresì che “nella
valutazione di performance individuale non sono considerati i periodi di congedo di
maternità, di paternità e parentale”

l’art. 10, comma 1, del decreto parla di “risultati individuali raggiunti rispetto ai
singoli obiettivi programmati ed alle risorse, con rilevazione degli eventuali
scostamenti”
In definitiva, la "performance individuale" sembra sostanziarsi nel grado di
raggiungimento o di scostamento rispetto ad obiettivi programmati (ed ovviamente
esigibili) cui attinge la prestazione professionale del singolo lavoratore, in ragione
delle risorse messe a disposizione.
Circa,
invece,
la
“performance
organizzativa”,
l’analisi
del
significato
contenutistico della locuzione si complica non poco, atteso che:

il concetto è da rapportare alla prestazione di servizio complessiva che l’intera
organizzazione (l’Amministrazione) rende ai cittadini

l’unico dato normativo oggettivamente disponibile in proposito (art. 45 del d.lgs.
n. 165/2001) non fa altro che ripetere l’evidenza lessicale quando afferma che la
performance organizzativa si riferisce “all'amministrazione nel suo complesso e alle
unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola l'amministrazione”.
Meglio comprensibile è la ragione per cui si rende indispensabile la
integrazione tra il Piano anticorruzione (PTPC) e il Piano della performance (PP).
Una volta, infatti, che attraverso il ciclo valutativo della performance sarà stato
misurato
-
da parte del personale dirigenziale, del responsabile della prevenzione
della corruzione, dei dirigenti apicali in base alle attività che svolgono ai sensi dell’art.
20
16, commi 1, lett.l) bis, ter, quater, d.lgs. n. 165 del 2001, dei referenti del
responsabile della corruzione (qualora siano individuati tra il personale con qualifica
dirigenziale) -
l'effettivo grado di attuazione degli obiettivi, nel diligente rispetto
delle fasi e dei tempi previsti (art. 8, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 150 del 2009), i
risultati stessi potranno far rifluire la loro valenza nella pianificazione anticorruttiva.
In altre parole, la Relazione della performance (art. 10, d.lgs. n. 150 del 2009),
che a consuntivo e con riferimento all'anno precedente verifica i risultati organizzativi
ed individuali raggiunti rispetto ai singoli e specifici obiettivi programmati quanto al
contrasto alla corruzione e rileva gli eventuali scostamenti, renderà possibile
l’individuazione delle misure correttive
(obbligatorie o cd. “ulteriori”) destinate a
migliorare e ad implementare il PTPC.
Appaiono doverose, sul tema, almeno due riflessioni.
Da un lato, vi è da dire che poco confortanti sono le risultanze enunciate dalla
CIVIT nella Relazione sulla performance resa ai sensi dell’art. 13, comma 6, lettera
n) del d. lgs. n. 150/2009. 17
Frequenti criticità (65% delle amministrazioni) sono segnalate in ordine alla
non adeguata definizione degli obiettivi, degli indicatori e dei target, alla carenza di
sistemi informativi a supporto della misurazione della performance (42% delle
amministrazioni), alla implementazione del sistema di misurazione ed alla necessità
di un suo adeguamento (33% delle amministrazioni).
Praticamente non disponibili sono i dati relativi ad un collegamento fra la nuova
impostazione normativa delle valutazioni individuali e le forme di incentivo retributivo
ad esse correlabili (il collegamento che è stato dichiarato si riferisce a sistemi di
misurazione e valutazione antecedenti il d.lgs. n. 150/2009).
Dall’altro lato, la situazione di sostanziale inattuazione in cui versa l’intero
sistema premiante-incentivante e di valorizzazione del merito sin dal suo varo
(ipotizzato nel decreto n. 150/2009) riflette un consistente cono d’ombra su quello
che è stato definito essere
“L’asse portante della riforma … dato dal binomio
incentivi/disincentivi, così da premiare i capaci ed i meritevoli, incoraggiare l’impegno
sul lavoro e scoraggiare comportamenti di segno opposto, il tutto valorizzando la
cultura della valutazione alla cui carenza vengono addebitate le attuali criticità delle
amministrazioni pubbliche”. 18
17
18
Relazione sulla performance delle amministrazioni centrali - anno 2012.
Vedi Relazione della Corte di Cassazione citata in nota n. 8.
21
6. La logica della Compliance.
In tutti gli Enti collettivi, di frequente aventi una strutturazione complessa, gli
accadimenti delittuosi che possono riconnettersi a deficienze organizzative interne
comportano talune difficoltà nell’individuazione delle responsabilità soggettive.
Le attività dell’ente, infatti, fanno capo ad un soggetto metaindividuale, né il
preposto o responsabile legale, formalmente intestatario di molti degli obblighi
gravanti sull’ente, è in grado di adempiervi personalmente.
Istituti giuridici come la posizione di garanzia (nelle due figure, di protezione o
di controllo) e la delega di funzioni facilitano, in campo penalistico e non solo,
l’individuazione dei criteri di propagazione della colpevolezza e di imputazione
soggettiva delle responsabilità.
Un istituto normativo che, invece, per la prima volta nell’ordinamento giuridico
italiano ha configurato una responsabilità direttamente imputabile all’Ente (Societas),
in relazione a reati commessi dalle persone fisiche in esso operanti, è quello
introdotto dal decreto legislativo n. 231/2001, concernente la cd. “responsabilità
amministrativa per illecito dipendente da reato”.
La bibliografia sull’argomento è ampia e numerosi sono i contributi scientifici al
riguardo. 19
Naturalmente interessa qui richiamare soltanto alcuni aspetti salienti della
tematica, allo scopo di sollecitare l’attenzione sul fatto che è proprio il decreto
231/2001 ad avere ispirato la
logica pianificatoria
messa oggi a base della
normativa prevenzionale dettata per le pubbliche amministrazioni.
Il decreto n. 231/2001 ha dato attuazione alla legge n. 300/2000, attuativa di
direttiva europea.
Esso ha preso in considerazione, come è dato leggere nella
relazione di accompagnamento del provvedimento, un “ente collettivo inteso quale
19
Per un’esauriente ricostruzione del tema v. : Astrologo A., Brevi note sui requisiti dell'interesse e del
vantaggio nel d. lgs. 231/2001, in La responsabilità amministrativa delle società e degli enti, n. 1/ 2006. D’Arcangelo F., La responsabilità da reato degli enti per gli infortuni sul lavoro, relazione tenuta in occasione
dell’incontro di studio CSM, Roma, 2008 - Epidendio T.E., L’applicazione del decreto legislativo n.231/2001:
esame casi pratici., relazione ad incontro di studio CSM, Roma, 2007 - Fiandaca G. - Musco E., Diritto penaleParte Generale-Quarta Ediz., Zanichelli, 2004, pp. 143 ss. - Giarda A., Azione civile di risarcimento e
responsabilità punitiva degli enti, in Il Corriere del Merito, n. 5/2005, pp. 579 ss. - Giarda A., Mancuso E.M.,
Spangher G., Varraso G., Responsabilità penale delle persone giuridiche, Ipsoa, 2007 - Ielo P., Compliance
Programs: natura e funzione nel sistema della responsabilità degli Enti. Modelli organizzativi e d. lgs. 231/2001, in
La Responsabilità amministrativa delle società e degli enti, n. 1/2006, pp. 99 ss. – Ielo P., Responsabilità delle
persone giuridiche: il bilancio di un’esperienza, relazione tenuta all’incontro di Studio CSM, Catania, 2008 - Marini
L., L’analisi penalistica delle organizzazioni complesse, relazione tenuta all’incontro di studio CSM, Roma, 2007 Paliero C.E., Il d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231: da ora in poi, societas delinquere (et puniri) potest, in Corriere
Giuridico, n. 7/2001, pp. 845 ss. - Paliero C.E., I criteri di imputazione ed i modelli di organizzazione nelle
società, sintesi della relazione del convegno svoltosi il 10 ottobre 2003 a Milano sul tema "Il processo alle società"
- Pulitanò D., La responsabilità da reato degli enti. Problemi di inquadramento e di applicazione, relazione tenuta
all’ incontro di studio CSM, Roma, 2007 - Vignoli F., La responsabilità da reato dell’ente collettivo fra rischio
d’impresa e colpevolezza, in La Responsabilità amministrativa delle società e degli enti, n. 2/2006, pp. 103 ss.
22
autonomo centro di interessi e di rapporti giuridici, punto di riferimento di precetti di
varia natura, e matrice di decisioni e attività dei soggetti che operano in nome, per
conto o comunque nell’interesse dell’ente”.
L’Ente può essere ritenuto responsabile per reati commessi, nel suo interesse
od a suo vantaggio, da un soggetto che abbia funzione di rappresentanza,
amministrazione e direzione, da una persona che eserciti anche di fatto la gestione e
il controllo e da dipendenti in posizione subordinata sottoposti a direzione e vigilanza.
Il legislatore, nel larghissimo bacino delle condotte penalmente rilevanti previste
dall’ordinamento, ha inizialmente enucleato una gamma di fattispecie per le quali
ha ritenuto opportuno ascrivere una responsabilità “personale” all’Ente collettivo,
ulteriore ed autonoma rispetto a quella personale dell’imputato.
Il cd.
catalogo dei reati presupposto (artt. 24 a 26 d. lgs. 231), nominativo e
tassativo (nel rispetto del principio di legalità ribadito dall’art. 2 del decreto 231), è
stato progressivamente ampliato nel corso degli anni successivi.
Un punto di spiccato interesse per le assonanze con il tema in trattazione in
questa sede è quello riguardante l’adozione ed il regolare funzionamento dei
cosiddetti modelli di organizzazione.
Ipotizzati dal decreto n. 231 sulla falsariga del cd. compliance program (in
senso letterale l’anglicismo può essere tradotto in : programma di conformità a
regole prestabilite) conosciuto nell’esperienza nordamericana, si tratta di protocolli di
organizzazione, di gestione e di controllo interno che, attivati e funzionanti in Ente
collettivo, permettono di prevenire o almeno di minimizzare e contrastare il rischio
della reiterazione di commissione di illeciti, sino a farlo rientrare nel cosiddetto
“rischio consentito”, che può esonerare da responsabilità.
Efficacia, effettività di funzionamento, specificità (rispetto al tipo di attività svolte
dall’Ente) e costante attualizzazione del protocollo di organizzazione, i cui contenuti
risultano tratteggiati negli articoli 6 e 7 del decreto n. 231, sono gli elementi giuridici
indispensabili affinché lo stesso possa dirsi esistente e fungere da attenuazione o
esclusione dell’imputazione di responsabilità (rispettivamente per le diverse ipotesi
e soggetti di cui agli articoli 6 e 7 del decreto).
Il contenuto minimo del compliance program è costituito dalla selezione delle
attività maggiormente esposte a rischio-reato (art. 6, comma secondo, lett. a), dalla
regolazione della formazione ed attuazione delle decisioni in tali aree (art. 6, comma
secondo, lett. b), dalla individuazione delle modalità di gestione delle risorse
finanziarie idonee ad impedire la commissione di reati (art. 6, comma secondo, lett.
23
c), dalla trasmissione delle informazioni (art. 6, comma secondo, lett. d), dalla
previsione di un organismo di vigilanza (art. 6, comma primo, lett. b) e di un sistema
disciplinare (art. 6, comma secondo, lett. e).
Al decreto 231 del 2001 ha fatto seguito il DM 26 giugno 2003, il cui articolo 5,
rubricato “Comunicazione dei codici di comportamento”, tenendo conto della varietà
di morfologia degli enti destinatari della normativa, ha disposto che “In attuazione
dell'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo n. 231 del 2001, le associazioni
rappresentative degli enti, comunicano al Ministero della giustizia, presso la
Direzione generale della giustizia penale, Ufficio I, i codici di comportamento
contenenti indicazioni specifiche (e concrete) di settore per l'adozione e per
l'attuazione dei modelli di organizzazione e di gestione previsti dal medesimo articolo
6 del d.lgs.
Al riguardo può essere utile ricordare succintamente che :

l’esonero della responsabilità penale dell’ente (cd. efficacia liberatoria) passa
attraverso il giudizio di idoneità del sistema interno di organizzazione e controlli
dell’ente stesso, che l’inquirente ed il giudice penale sono chiamati a verificare

l’esistenza del compliance program è anche un criterio di attenuazione delle
conseguenze giuridiche ed economiche conseguenti alla responsabilità dell’ente. Nel
caso di irrogazione di sanzioni pecuniarie, l’adozione e l’efficacia applicativa, post
factum, del modello, determina una riduzione delle medesime in una misura
complessiva tra un terzo e la metà, e nel caso di risarcimento del danno la riduzione
è compresa tra la metà e i due terzi

il sostrato valutativo della validità del modello non è ex post (perché l’avvenuta
consumazione del reato, con tutta evidenza, dimostra che il modello non ne ha
idoneamente contrastato la commissione), ma si snoda secondo la tecnica della
prognosi postuma o ex ante, facendo riferimento al momento in cui è venuto in
essere il fatto e dovendosi tener conto delle circostanze concrete di tempo e di luogo
in cui il reato presupposto è stato commesso

l’adozione delle misure organizzative costituisce per l’ente collettivo solo un onere
e non già un obbligo (non essendo comminabile alcuna sanzione in proposito), ma la
mancata adozione di un modello di organizzazione, gestione e controllo certamente
espone l’ente (e per esso i suoi vertici) alla responsabilità amministrativa da reato,
non consentendo di beneficiare di esimenti e di benefici premiali.
E’ evidente che la responsabilità regolata dal decreto legislativo n. 231 non si
radica nella circostanza data dal fatto di non avere impedito la commissione di un
24
reato (ai sensi dell'art. 40 c.p., comma 2). Né si potrebbe sostenere che, essendo
stato il reato commesso,
allora è certo che il modello organizzativo
costruito
dall’Ente, per definizione, è inadeguato, in tal maniera applicandosi una regola di
giudizio come quella prevista, ad esempio, per il delitto colposo di cui all'art. 57 c.p.
In altri termini, non si tratta di accertare e di imputare ai vertici organizzativi ed
ai funzionari apicali una nuova figura di profilo psicologico improntato a colpa (una
sorta di culpa in vigilando), ma di valutare in concreto la adeguatezza del modello
organizzativo, che deve essere approntato per impedire che determinati soggetti
commettano determinati reati.
Il giudice penale, quando valuta l’idoneità del modello, non è chiamato a
scandagliare una condotta umana, ma solo il "frutto" di tale condotta, vale a dire
l'apparato normativo prodotto in ambito aziendale. Il giudizio, cioè, prescinde da
qualsiasi apprezzamento di atteggiamenti psicologici (peraltro impossibile in
riferimento alla volontà di un ente giuridico), nel mentre si sostanzia in una
valutazione del modello concretamente adottato dall'azienda, in un'ottica di
conformità/adeguatezza dello stesso rispetto agli scopi che esso si proponeva di
raggiungere. 20
Orbene, attraverso le previsioni dapprima recate dalla legge n. 15/2009 e da
ultimo dettate dalla legge n. 190/2012 anche per le pubbliche amministrazioni è ora
prevista l’adozione di un modello organizzativo anticorruzione,
fondata su alcuni
pilastri operativi, quali :

l’adozione di un Codice di comportamento da parte di ciascuna amministrazione
ad integrazione di quello emanato dal Governo per i dipendenti pubblici (approvato
con d.P.R. 16 aprile 2013, n. 62)

la nomina di un Responsabile della prevenzione della corruzione, scelto tra i
dirigenti amministrativi, e di altri Referenti

l'adozione di un Piano triennale di prevenzione (PTPC), da aggiornare secondo
un processo ciclico e nel quale, sulla base di indicazioni presenti nel PNA,
l'amministrazione "effettua l'analisi e valutazione dei rischi specifici di corruzione e
conseguentemente indica gli interventi organizzativi volti a prevenirli"

la definizione di procedure selettive e formative per i dipendenti particolarmente
esposti alla corruzione e per la divulgazione dei codici di comportamento.
20
V. Cass. Sez. 5, sentenza n. 4677 del 2014.
25
L’assetto prevenzionale è completato dalla
disciplina riferibile al conflitto di
interesse ed ai casi di incompatibilità, da regole sulla rotazione del personale, dalla
tutela del soggetto denunciante (whistleblower).
L'art. 1, comma 51, della legge n. 190/2012 ha introdotto, infatti, anche una
forma di tutela nei confronti del dipendente pubblico che segnali illeciti, prevedendo
che "fuori dei casi di responsabilità a titolo di calunnia o diffamazione, ovvero per lo
stesso titolo ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, il pubblico dipendente che
denuncia all'autorità giudiziaria o alla Corte dei conti, ovvero riferisce al proprio
superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del
rapporto di lavoro, non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura
discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi
collegati direttamente o indirettamente alla denuncia".
Segnalazioni e
comunicazioni potranno essere
fatte
pervenire
anche
direttamente al RPC in qualsiasi forma, che ne dovrà assicurare la conservazione
garantendo l’anonimato dei segnalanti
Ciò detto in generale circa la logica di fondo dei modelli di organizzazione, è
naturale che ogniqualvolta si parli di “documenti” di pianificazione o di
programmazione, l’inclusione tra le azioni delle pubbliche amministrazioni della
logica della “compliance”
e della stesura di
protocolli di conformità
possa far
sorgere il timore di un “formalismo” espressivo di scarsa attenzione alla cd.
anticorruzione sostanziale, intesa invece come disciplina regolativa di più intenso
contrasto sanzionatorio interponibile avverso diffusi fenomeni di spreco delle risorse
pubbliche. 21
Non si può affermare che il temuto rischio del formalismo costituisca
un’eventualità assolutamente remota od un’ipotesi solo pessimistica.
Tuttavia, è anche doveroso osservare che l’enunciazione di paventabili
patologie attuative, da parte sua, non offre motivazioni bastevoli per non
21
V. Albo G. - “Anticorruzione Formale e Anticorruzione Sostanziale”, relazione al Convegno su “Controlli,
legalità e trasparenza per una reale riforma della pubblica amministrazione”, Palermo, 23 settembre 2013.
L’autore osserva l’incalzante inclusione, specie nelle annuali manovre finanziarie e di stabilizzazione, di
fattispecie plurime ed eterogenee riferite a condotte descritte quali causative di “danno erariale”, di
“responsabilità erariale“, di “responsabilità a titolo di danno erariale”, attraverso norme anticorruzione
“meramente suggestive”, non applicabili autonomamente e comunque tutte dipendenti dalla ricorrenza dei
presupposti della clausola generale della responsabilità amministrativa. Nella stessa legge 190 del 2012,
nonostante il più intenso radicamento nel tessuto normativo di taluni principi (trasparenza, pubblicità degli atti,
prevenzione delle situazioni procedimentali di conflitto di interesse, controllo serrato di segmenti “sensibili”
dell’azione amministrativa perché più esposti a situazioni di inceppo della legalità), può essere colto qualche
profilo di approccio prevalentemente formale, come ad esempio nel caso della concentrazione legale di
competenze in capo ad un unico dirigente, quale soggetto responsabile, sia della prevenzione della corruzione
(comma 7 art. 1 l.190/2012), sia della trasparenza (art. 43 D.lgs. 33/2013), sia delle incompatibilitàinconferibilità (art. 15 D.lgs. 39/2013).
26
intraprendere la strada di un vaglio più puntuale dell’efficacia dissuasiva che può
esplicare l’adozione di un modello di organizzazione, ove lo stesso sia costruito in
maniera adeguata, congrua ed idonea.
E detto vaglio, a sua volta, non potrà trascurare il fatto che l’emersione di
deficit organizzativi - in sede di accurata verifica istruttoria e giudiziale dell’esistenza
e del regolare funzionamento di modelli organizzativi interni - potrebbe assumere
importanza e rilievo giuridico decisivi,
anche ai fini dell’accertamento di
responsabilità individuali e della comminatoria di conseguenti sanzioni (anche solo
risarcitorie).
7. La Corte dei conti : controlli e giurisdizione di responsabilità.
Le regolazioni convenzionali assunte a livello internazionale alle quali ha aderito
l’Italia, come osservato sub 1. , nel corso del fluire degli anni hanno agevolato la
consapevolezza circa l’indispensabilità dell’approccio globale ai fenomeni di
corruzione.
D’altronde, globale e multiforme nelle sue radici è la stessa dinamica delle
illiceità e delle infiltrazioni criminogene,
che si insinuano nella realtà politico-
amministrativa ed economica alterandone l’ordinato funzionamento.
La filosofia di fondo rintracciabile negli orientamenti normativi più recenti si è
mossa praticando un percorso logico che dà il
giusto
rilievo ad azioni di
prevenzione, senza nel contempo trascurare l’allestimento di misure di contrasto
attivabili nei casi in cui lo sbarramento prevenzionale, come sovente purtroppo
accade nella realtà dei fatti, venga penetrato e travolto dalla callidità che connota le
azioni delittuose e dannose.
Proprio al cospetto di siffatta e più efficiente logica binomiale, che tende a
coniugare tra di loro, nel punto del migliore equilibrio anche democratico e proprio
dei moderni Stati di diritto,
“prevenzione” e “repressione”, si impone e si staglia
una riflessione che riguarda, più da vicino, la Corte dei conti.
Esiste ed è normativamente individuabile, per la Corte dei conti e sin dal varo
della Costituzione repubblicana, un “circuito costituzionale-ordinamentale” costruito
su due funzioni, il controllo e la giurisdizione.
27
Entrambe le funzioni manifestano il ruolo speciale assolto da Organo terzo al
servizio della Repubblica e deputato a garantire il rispetto dell'equilibrio unitario della
finanza pubblica complessiva. 22
Dentro questo anello ordinamentale unitario,
l’azione di responsabilità
promossa dal Pubblico Ministero contabile accerta l’osservanza
agenti pubblici intesi in senso lato -
– da parte degli
dei canoni di correttezza sanciti nell’art. 97
della Costituzione e interviene come rimedio in funzione di contrasto repressivo,
quindi collocato sul punto esterno del perimetro.
L’azione di responsabilità amministrativa svolge il precipuo compito di
sanzionare (in via risarcitoria e talvolta anche sanzionatoria in senso stretto)
condotte individuali dannose.
Nel contempo,
l’azione reimmette
nel
Sistema
prevenzione dissuasiva, atteso che le condanne
valgono anche
ulteriori
impulsi
di
eventualmente pronunciate
come ammonimento indirizzato agli agenti pubblici e volto a
scongiurare il ripetersi delle violazioni, così potendo
reinnestare e favorire
funzionamenti più virtuosi dell’intero circuito.
E’ stato acutamente osservato
23
che “…non è compito della Corte dei Conti
andare a scoprire singoli episodi di corruzione, svolgere il ruolo di poliziotto della
corruzione in concorrenza e in antagonismo con i magistrati penali che hanno il
compito specifico di perseguire singoli episodi di corruzione, quando scoperti”.
Il compito della funzione terza e neutrale prevista in Costituzione, piuttosto, è
quello “…di mettere ordine nel sistema della spesa, di assicurare il controllo
sull’equilibrio tra entrate e uscite e sul modo con cui le entrate, le risorse pubbliche
vengono utilizzate da chi maneggia il denaro pubblico, qualunque sia il suo berretto
(pubblico o privato)”.
L’osservazione ha certamente il pregio di focalizzare l’attenzione sul fatto che
“…la maladministration è un qualcosa che lambisce pericolosamente la corruzione
ed è il terreno di base su cui si innestano gli episodi specifici di essa” , nonché
valorizza ancor più il fatto che la legge n. 190/2012, in linea con elaborazioni
22
Nell’audizione al Parlamento della Corte dei conti sul DDL anticorruzione svoltasi il 27 luglio 2010 viene
ricordato che nel 2009, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, il Presidente Lazzaro evidenziava
come “il primo effetto di ogni attività di controllo della Corte è, e deve essere, l’assicurare trasparenza e chiarezza
dell’azione della Pubblica Amministrazione”. E ciò al fine di evitare quel “cono d’ombra entro il quale trovano
spazio i fatti di corruzione e concussione che determinano l’intervento del giudice penale e che genera, come
effetto non voluto, la creazione di un clima di sospetto, una nebbia mefitica che sembra tutto avvolgere e genera
sfiducia da parte dei cittadini onesti”.
23
Flick G.M. - Politica e amministrazione della spesa pubblica : controlli, trasparenza e lotta alla corruzione Relazione di Sintesi al 59° Convegno di Studi Amministrativi, Varenna, 20 settembre 2013.
28
sopranazionali, abbia inteso occuparsi del fenomeno movendo da una delimitazione
concettuale della corruzione più ampia di quella penalistica in senso stretto.
Ciò naturalmente non trascura, esclude o nega l’autonomo rilievo che assume
la funzione di contrasto realizzata dalla giurisdizione di responsabilità,
chiamata
dall’Ordinamento giuridico a presidiare in maniera incisiva la tutela di beni e valori
quando gli stessi vengano in concreto aggrediti ed ingiustamente lesi o depauperati
da condotte individuali illecite e trasgressive di obblighi di servizio.
8. Prospettive in tema di incidenza dei deficit organizzativi
E’ noto che i disfunzionamenti “interni” segnalanti l’esistenza di anomalie
operanti
sul
piano
dell’organizzazione
amministrativa
hanno
dato
luogo
all’elaborazione di una figura di responsabilità patrimoniale che è stata denominata
“danno da disservizio”.
Per una corretta ricostruzione di questa particolare tipologia di danno erariale
e di responsabilità va osservato che :

si tratta di figura delineata in base ad una costruzione concettuale di origine
esclusivamente pretoria;

nella maggior parte dei casi trattati, il giudice contabile ha preso in esame
prospettazioni attoree riguardanti lesioni patrimoniali scaturenti da fatti illeciti
penalmente rilevanti, spesso configurate in aggiunta a poste risarcitorie
per cd.
“danno all’immagine”

la locuzione “disservizio”, che a tutta prima farebbe immaginare un’acclarata ed
imputabile colpevolezza di tipo organizzativo, in realtà è stata dalla giurisprudenza
riferita
unicamente
alle
conseguenze
derivate
dalla
condotta
dell’agente
danneggiatore, piuttosto che agli assetti organizzativi in cui è maturata la condotta
lesiva. In altre parole, il nocumento è stato ritenuto concretizzatosi in uno spreco di
risorse causato dal comportamento illecito del dipendente oppure da prestazioni
lavorative devianti, per quantità o qualità, rispetto ai fini istituzionali perseguiti
dell’amministrazione di appartenenza

nella totalità dei casi esaminati, ogniqualvolta si è pervenuti a condanna, la
quantificazione del nocumento è avvenuta alla stregua di un giudizio di liquidazione
di tipo equitativo (ex art. 1226 c.c.), avendo il giudice ritenuto sempre impossibile o
comunque difficoltoso il raggiungimento di prova certa sul quantum.
29
Il panorama giurisprudenziale riferibile al danno da disservizio, in quanto ampio,
non rende praticabile in questa sede una descrizione minuziosa del paradigma di
responsabilità ipotizzato al riguardo, se non per direttrici di massima.
24
La costruzione della figura, in generale, muove essenzialmente dal principio
che il disservizio indica un servizio esistente solo formalmente, quale servizio
apparente e “desostanziato delle sue caratteristiche essenziali di pubblica utilità”
ovvero “privo dei necessari requisiti essenziali e, quindi, scadente”.
Il fenomeno è stato ragguagliato agli schemi giusprivatistici dell' aliud pro alio,
escludendosi la possibilità di riferire all'Amministrazione l'esercizio “egoistico di
pubbliche funzioni”, con conseguente rottura del rapporto sinallagmatico per ciò che
attiene alla retribuzione corrisposta al dipendente infedele, allorquando la potestà
esercitata si sia piegata “a fini diversi e, come nel caso della corruzione propria,
contrari a quelle ai quali la potestà stessa è funzionalizzata”.
Un siffatto, anomalo esercizio di funzione amministrativa si è ritenuto finisca per
perseguire non più gli interessi generali dell'Amministrazione, ma quelli privati,
particolari e propri del soggetto che ha agito, così che l'attività realizzata dal
medesimo può dirsi
appartenere a quest'ultimo e non all’Amministrazione, che
tuttavia ne ha sopportato i costi, sia con riferimento allo stipendio pagato al
dipendente infedele, sia con riferimento ai mezzi ed ai beni utilizzati nella resa del
servizio pubblico, sia infine avuto riguardo alla retribuzione di chi, incolpevole delle
reali finalità perseguite e degli effettivi interessi soddisfatti, abbia collaborato con
l’agente infedele, con dispendio di energie e di risorse.
Le fattispecie vagliate in sede giudiziale hanno riguardato casi di “disservizio
da illecito esercizio di pubbliche funzioni”, o di “disservizio da mancata resa del
servizio” o di
“disservizio da mancata resa della prestazione dovuta” o di “uso
distorto delle pubbliche funzioni, esercitate per scopi personali ed illeciti, con grave
allontanamento dalle finalità istituzionali, e del conseguente grave dispendio di tempo
e risorse” da dedicare all’espletamento dei compiti d’ufficio, con maggiore utilità per
l’amministrazione.
24
In tema di danno da disservizio si vedano, tra molte altre : Corte dei conti, Sez. I centrale, sent. n. 331 del
2000, sent. n. 2 del 2006, sent. 126 del 2006, sent. n. 149 del 2006, sent. n. 263 del 2008; sentt. n. 76, 187, 253,
390, 406, 641 del 2014; Sez. II centrale, sent. n. 125 del 2000; n. 134 del 2000; n. 338 del 2002, sentt. nn. 5, 7,
38 del 2014; Sez. III centrale, sent. n. 25 del 2008, sent. n. 241 del 2013, sentt. n. 95, 116, 169, 201, 203, 255
del 2014; Sez. Umbria, sent. n. 152 del 1996, sent. n. 1 del 1997, sent. n. 252 del 1998, sent. n. 501 del 1998,
sent. n. 831 del 1998, sent. n. 582 del 1999, sent. n. 27 del 2000, sent. n. 424 del 2000, sent. n. 371 del 2004,
sent. n. 511 del 2001; Sez. Molise, sent. n. 29 del 2000; Sez. Veneto sent. n. 238 del 2002, Sez. Friuli Venezia
Giulia, sent. n. 113 del 2006; Sez. Piemonte, sent. n. 7 del 2013; Sez. Lombardia, sent. n. 120 del 2013; Sez.
Emilia, sent. n. 210 del 2012; Sez. Puglia, sent. n. 952 del 2013.
30
E’ stato affermato che nelle organizzazioni pubbliche, caratterizzate da
investimenti e costi di gestione giustificati dalle attese di utilità dei previsti
corrispondenti benefici, il mancato raggiungimento delle utilità
rapportabili alla
quantità di risorse investite si traduce “in maggiori costi dovuti a spreco di risorse
economiche o nella mancata utilità ritraibile dalle somme spese, a ragione della
disorganizzazione del servizio”.
In definitiva e in sostanza, tratto comune ed unificante delle varie situazioni di
lesione patrimoniale da disservizio è stato giudizialmente individuato in un
dannoso
effetto
causato alla regolarità di organizzazione e di svolgimento dell'attività
amministrativa di una Pubblica Amministrazione - cui il dipendente e l'amministratore
era tenuto in ragione del proprio rapporto di servizio, di ufficio o di lavoro - con
minore produttività dei fattori economici e produttivi attinti dal Bilancio della
medesima Amministrazione.
Il decremento o scadimento della produttività è stato ravvisato sia nel mancato
conseguimento della attesa legalità dell'azione e dell'attività pubblica, sia nella
inefficacia o inefficienza di tale azione ed attività.
Il nocumento è stato colto, quindi, nel mancato conseguimento della legalità,
della efficienza, della efficacia, della economicità e della produttività dell'azione e
della attività della Pubblica Amministrazione, causato dall'amministratore o dal
dipendente pubblico - a ragione della disorganizzazione del servizio - con una
condotta commissiva o omissiva connotata da dolo o da colpa grave.
Al cospetto della surriferita costruzione giurisprudenziale va osservato, sempre
in linea di massima e inevitabilmente prescindendo dalle singole fattispecie
sottoposte al vaglio giudiziale, che il disfunzionamento preso in considerazione ha
sempre assunto
le caratteristiche di un
“effetto”
provocato dalla condotta
dell’agente responsabile, più che quelle di un’accertata difettosità eziologicamente
operante a monte del modello strutturale-organizzativo dentro il quale ha trovato
esplicazione la condotta lesiva, anche in termini di normale e regolare funzionamento
di meccanismi e cautele “di controllo” o “di contrasto” approntate ovvero
efficacemente approntabili nella struttura organizzata.
Nei casi riconducibili a fattispecie aventi un contestuale ed acclarato rilievo
penalistico, lo squilibrio sinallagmatico tra retribuzioni e prestazioni lavorative (in
parte non corrisposte ovvero corrisposte nel perseguimento di fini contrari ai doveri di
ufficio) è risultato evidente e provato. In altri termini, in ragione della corposità
dell'attività illecita posta in essere dall'agente infedele, la mancata realizzazione dei
31
risultati
che,
in
ragione
delle
risorse
umane
e
strumentali
impiegate,
l'Amministrazione si attendeva ragionevolmente di conseguire dall'attività del
responsabile, ha più che palesemente integrato un conseguente spreco di risorse
finanziarie pubbliche.
Qualche perplessità potrebbero, invece, destare quei casi in cui, ferma restando
l’esistenza di nocumento patrimoniale direttamente provocato dalla condotta del
responsabile, ad esso è stata aggiunta una posta di danno ulteriore, individuato in un
generico effetto di “disorganizzazione” non sempre adeguatamente sorretto da
elementi di prova certa addotti in causa.
Si è già avuto modo di segnalare, peraltro, che l’elaborazione giurisprudenziale
della figura non è sinora pervenuta ad identificare parametri oggettivi per procedere a
minuziosa valutazione del cd. “disservizio”. E’ assente, cioè, la costruzione di criteri
capaci
di
misurare,
attraverso
appositi
e
calibrati
indicatori,
l’avvenuto
peggioramento degli standard prestazionali di servizio amministrativo da rendere
agli utenti.
Tutte le sentenze dedicate al tema, più indistintamente, hanno affermato
trattarsi di un pregiudizio economico di difficile valutazione monetaria, che non si
presta per sua natura ad una semplice operazione matematica, perché il danno é
“diffuso”, in quanto inerisce non solo alla non giustificata retribuzione, indennità o
analoghi emolumenti percepiti dal colpevole, ma a tutti i tipi di spese generali di
gestione dello specifico Servizio nel momento storico dato.
Aggiungasi che altre pronunce, pur dichiarando di volersi discostare dal
descritto modello paradigmatico, nel fare riferimento a prestazioni lavorative esplicate
nell’ambito di un servizio pubblico essenziale (in fattispecie: servizio istruzione e
prestazioni lavorative di insegnante ripetutamente assentatosi per motivi di salute) e,
dunque, inserite in un particolare modello organizzativo dell’amministrazione
pubblica
(modello, tra l’altro, ben misurabile, almeno secondo il criterio dei cd.
servizi minimi essenziali), parimenti hanno ipotizzato la configurazione di
un’autonoma voce di responsabilità patrimoniale a carico del dipendente e l’hanno
qualificata come genericamente derivante da “minore qualità del servizio prestato”. 25
Anche in questo caso, pertanto, non risulta adoperato alcun criterio oggettivo di
misurazione dell’asserito scadimento qualitativo ed il computo della posta di danno è
avvenuto unicamente per via equitativa ed in maniera forfetaria.
25
V. Corte dei conti, Sez. Lombardia, sent. n. 209 del 21 marzo 2008.
32
Nella totalità delle decisioni, inoltre, allo scopo di valutare correttamente
l’imputazione soggettiva degli eventuali disservizi non risulta enunciato o affrontato il
tema della distinzione tra atti di macro-organizzazione ed atti di microorganizzazione, tema invece ben scandagliato, sia pure ad altri fini, in altre sedi
giudiziali Va tenuto presente, in proposito, che nell’ambito delle pubbliche
amministrazioni e sulla base della molteplicità di fonti normative regolatrici (talune di
derivazione pattizia, almeno per il personale dipendente cd. privatizzato) è possibile
distinguere tra atti che procedono a fissazione delle linee e dei principi fondamentali
delle organizzazioni degli uffici (aventi natura provvedimentale ed incidenti sul profilo
esterno del servizio pubblico) ed atti assunti con i poteri e le capacità del datore di
lavoro privato, anche se con effetti riflessi sul piano della organizzazione. 26
Quanto alle posizioni dottrinarie manifestatesi a proposito del danno da
disservizio, vi è da dire che appaiono essere differenziate e non coincidenti.
Alcune tesi, pur ritenendo “impeccabile” l’elaborazione pretoria dell’ipotesi in
discorso, ammettono un’oggettiva difficoltà di inquadramento sistematico della figura
di responsabilità, nonché il rischio incombente di fare confusione con le poste di
perdita patrimoniale in primis causalmente e direttamente provocate dalla condotta
attiva od omissiva dell’agente responsabile. 27
Altre tesi, preferiscono procedere lungo i binari di una lettura quasi sociologica,
affermando che il caos organizzativo riversato sui cittadini-utenti del servizio
troverebbe esclusiva scaturigine nella “distorta visione delle funzioni dirigenziali” e
che l’unica matrice di siffatto danno sarebbe rinvenibile in capo a coloro (dirigenza)
che hanno “in mano le leve organizzative”. 28
Si è già fatto diffuso cenno (sub. 6) al meccanismo in base al quale l’attivazione
e il regolare funzionamento dei modelli di organizzazione (compliance program)
serva al giudice penale, nel giudicare sulla responsabilità amministrativa da reato,
per ascrivere od escludere una responsabilità risalente a carico dell’ente collettivo.
All’opposto, nel caso della responsabilità contabile e per come comunemente
operano le prospettazioni attoree ed il giudizio valutativo in sede contabile, l’assenza
oppure l’errato ed inadeguato funzionamento di assetti organizzativi interni
(segnatamente riferibili all’attivazione e funzionamento degli organi di controllo,
all’esercizio di poteri che fungano da efficace contrasto alla commissione di fatti
26
Sul punto si veda Cass. SS. UU. ord. n. 15904 del 13 luglio 2006, nonché Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 3065
del 19 giugno 2008.
27
Tomassini E., Il danno da disservizio, in Rivista della Corte dei conti, n. 3/2005, pp. 334 ss.
28
Ieva L., La responsabilità erariale del dirigente per disorganizzazione amministrativa, in Rivista della Corte dei
conti, n. 3/2006, pp. 334 ss.
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illeciti, all’adozione di modelli prevenzionali) non assumono i caratteri di elementi
fattuali decisivi per una eventuale imputazione soggettiva della responsabilità nei
confronti dei titolari dei poteri organizzativi medesimi (semmai a titolo di concorso
nella seriazione causale del danno), ma normalmente sono visti e vengono fatti
operare come scriminanti o attenuanti della responsabilità individuale, sotto il profilo
soggettivo (cioè ai fini della verifica del non attingimento alla gravità di colpa) oppure
sul piano della quantificazione del nocumento risarcibile addossabile all’agente
responsabile (attraverso la cd. riduzione dell’addebito).
Emblematico, in tal senso, è quanto desumibile dalla una decisione che, a
fronte dell’avvenuta chiamata in giudizio di dirigente responsabile di una società
privata, ritenendolo soggetto “non dotato di strumenti di cogente intervento sul
modulo organizzativo, tipici della struttura delle pubbliche amministrazioni” lo ha
assolto dalla domanda per insussistenza di gravità di colpa.
In definitiva, la logica seguita in casi latamente assimilabili a quelli dei quali ai
sensi del decreto n. 231/2001 si occupano il PM ed il Giudice penale e che sono
annoverabili tra fattispecie di cd. “colpa in organizzazione”, per il momento, non
sembra condurre all’individuazione di un “disordine organizzativo” quale componente
costitutiva della responsabilità apicale, ma all’apprezzamento del disordine
medesimo come fattore esterno alla condotta oggetto del vaglio giudiziale, capace
quindi di attenuare o addirittura di escludere l’imputabilità soggettiva del riscontrato
nocumento erariale.
Con il che tornano in risalto le problematiche concernenti l’avvenuta adozione di
modelli di organizzazione nelle amministrazioni pubbliche ed il rilievo giuridico che il
funzionamento degli stessi assume per il configurarsi di una responsabilità
organizzativa-aziendale.
Notoriamente, nelle amministrazioni pubbliche in senso stretto, i modelli di
organizzazione ricevono una disciplina fondamentalmente dettata per legge
(secondo la riserva relativa di cui all’art. 97. Cost.), nonché una disciplina di dettaglio
rimessa ad atti di organizzazione che, assunti secondo i rispettivi ordinamenti, se non
strettamente attinenti ai rapporti di lavoro (nel qual caso si parla di atti paritetici)
hanno le caratteristiche degli atti amministrativi, al pari degli atti di indirizzo politicoamministrativo (cfr. art. 2, comma 1, decreto legislativo n. 165/2001).
Si tratta di uno schema basato sulla distinzione tra atti di macro-organizzazione
ed atti di micro-organizzazione che, restringendo la riserva di legge di cui all’art. 97,
accosta tra di loro, pur senza assimilarle, l’area organizzativa del “pubblico” e del
34
“privato”, come aveva lucidamente precisato la Corte costituzionale sin dalla
sentenza n. 309 del 1997.
Il giudice delle leggi, con detta pronuncia e nel respingere per la seconda volta,
dopo la sentenza 313 del 1996, il dubbio che la trasformazione del rapporto di lavoro
dei pubblici dipendenti risultasse lesiva dell'art. 97 Cost. per asserita incompatibilità
tra il pubblico impiego, in quanto vòlto al perseguimento di finalità d'interesse
generale, ed il modulo strutturale del lavoro subordinato privato, improntato a logiche
di mercato, aveva infatti legittimato quello che è stato autorevolmente definito il
“passaggio dalla logica della legittimità a quella dell’efficienza”, osservando che il
rapporto di pubblico impiego “privatizzato” sempre più si va configurando nella sua
propria essenza di erogazione di energie lavorative, che, assunta tra le diverse
componenti necessarie dell'organizzazione della pubblica amministrazione, deve
essere funzionalizzata al raggiungimento delle finalità istituzionali di questa.
Dal canto suo, il giudice della nomofilachia, come già detto, ha precisato che in
virtù della previsione normativa di cui all’art. 1 della legge n. 241/1990 i criteri di
efficienza ed efficacia, che costituiscono specificazione del più generale principio
sancito dall'art. 97, primo comma, Cost., hanno acquistato "dignità normativa" ed
hanno assunto la rilevanza di canoni organizzativi operanti sul piano della legittimità
(non della mera opportunità) dell'azione amministrativa.
Ciò comporta l’esperibilità di un sindacato giudiziale che investa anche le scelte
discrezionali in materia organizzativa, ogniqualvolta le stesse manifestino profili di
irragionevolezza oppure, in casi limite, neppure esistano in quanto tali, perché nello
specifico della fattispecie si constata essere inesistente una discrezionalità in senso
proprio ed una facoltà di scelta elettiva fra più comportamenti tutti di pari valore
giuridico, oppure tra più opzioni organizzatorie e procedimentali tutte astrattamente
consentite dalla legge. 29
Orbene, in questi casi, le difettosità o le inadeguatezze del modello
organizzativo, al pari di quanto accade secondo le statuizioni di cui al decreto
legislativo n. 231/2001, dovrebbero rilevare per l’imputazione di una responsabilità e
di una correlata colpa “in organizzazione” .
D’altro canto, sarebbe inspiegabile e resterebbe inspiegato
cosiddetta esclusività
e specialità della giurisdizione contabile
- nonostante la
-
che eclatanti
inadeguatezze organizzative possano rappresentare, nella sede penale, occasione
di addebito per responsabilità amministrativa da reato a carico di una società privata
29
V. Cass. SS.UU. n. 74024 del 28.3.2006.
35
assoggettabile a giurisdizione contabile (con conseguente applicazione di sanzioni
pecuniarie o interdittive) e, di contro e all’opposto, nella sede contabile, le stesse
inadeguatezze non integrino alcun rilievo per il configurarsi di una responsabilità per
danno erariale a carico di amministratori o dipendenti della medesima società
privata, qualora la stessa sia funzionalmente in rapporto con una pubblica
amministrazione e gli amministratori e dipendenti abbiano causato un nocumento
erariale.
In altre parole, si verserebbe al cospetto di due contrapposte tipologie di
“disorganizzazione”, diversamente apprezzate in sede giudiziale:

quella privatistica
(ex decreto n. 231/2007), rimessa alla cd. autonormazione,
ma molto più rigorosa e suscettiva di dare corso ad imputazioni di responsabilità
penali anche nei confronti dei vertici aziendali

quella pubblicistica,
affidata a normative eterodettate e presidiate persino da
canoni costituzionali (art. 97 Cost.) e, ciononostante, molto meno cogente, perché
idonea soltanto a fungere da scriminante oppure da attenuante delle responsabilità
erariali soggettive, come tale capace di condurre a rideterminazioni in diminuzione
della colpevolezza e dell’addebito
La differenza tipologica
potrebbe indurre una dequotazione dell’idea di un
Giudice, come quello contabile, che in quanto professionalmente meglio attrezzato
nel valutare e misurare efficienza ed efficacia degli assetti organizzativi e
procedimentali delle pubbliche amministrazioni, meglio sa giudicare sul detrimento
che la disorganizzazione
- quando presente dentro un apparato funzionalmente
dedito alla resa di un servizio pubblico, in caso di commissione di illeciti e se non
adeguatamente rimossa - di per sé può causare agli interessi della collettività ed
alle pubbliche finanze.
Un’ultima riflessione può essere maturata in proposito, considerando la struttura
penalistica dei fatti corruttivi (bilaterale e chiusa), osservando che l’agente pubblico
non necessariamente si inserisce direttamente nella stessa e, infine, rammentando
la pacifica differenza tra i fenomeni del concorso e della connivenza.
30
Il concorso dell'extraneus è pienamente configurabile nei delitti di corruzione,
a tipica struttura bilaterale, in base agli ordinari criteri di imputazione della
responsabilità concorsuale di cui all'art. 110 cod. pen..
Essa, però, implica uno specifico grado di coinvolgimento nella fase
dell'ideazione (sotto forma di determinazione o suggerimento fornito all'uno o all'altro
30
In tema vedi anche quanto in precedenza esposto al punto sub. 3.
36
dei concorrenti necessari) ovvero della preparazione (si pensi alla classica figura
dell'intermediario) ovvero della realizzazione di una delle condotte tipiche (stipula del
pactum scelerìs tra corrotto e corruttore e ricezione di denaro o altre utilità) od
ancora della successiva attuazione concreta dell'accordo. 31
La condotta esterna al patto, per assumere rilievo giuridico incriminabile deve
rivelarsi tale da avere contribuito alla stipula dell'accordo criminoso finalizzato al
baratto dell'attività funzionale svolta dal pubblico agente ovvero a favorire la
realizzazione dell'accordo medesimo, deve cioè assumere le connotazioni della cd.
incidenza attiva.
Di contro, la mera consapevolezza dell'esistenza del patto criminoso,
quand'anche in forza della stessa l'estraneo abbia tenuto comportamenti
genericamente connessi all’accordo e che non si pongano in un rapporto
strettamente funzionale rispetto alla realizzazione di una delle condotte tipiche del
reato, può dare luogo unicamente alla cd. “connivenza non punibile”, il cui connotato
essenziale è rappresentato da un atteggiamento meramente passivo rispetto al fatto
tipico (Cass. Pen. Sez. 6, n. 1108 del 1996 e n. 579 del 1993).
Roma, 3 luglio 2014
31
V. Cass. Pen. - Sez. 6 - sentenza 13450/20134.
37