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Mondo del lavoro
za verticale, focalizzati sul business e
soprattutto sul ritorno a breve, sacrificando quindi molte competenze
trasversali, quali la gestione e lo sviluppo interno dei collaboratori.
Alcune funzioni aziendali in particolare hanno vissuto cambiamenti di
peso strategico rilevanti. Basti pensare a quella di hr, che sempre più
spesso riveste ormai un ruolo di mera gestione e/o di presidio della riduzione dei costi. Alcuni paesi però
sono usciti dalla recessione ed è interessante osservare che, in tutti i
casi in cui l’economia sta ripartendo, la chiave è stata quella di puntare sulle persone!
TALENT MOBILITY
PER AVERE SUCCESSO
Riccardo Carreri e Giovanni Pedone
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OTTOBRE 2014
ltimamente non si parla d’altro. Frasi del tipo “non comanda più il budget, comanda la cassa”, “gli asset finanziari prevalgono rispetto a quelli industriali”,
“la politica del rigore frena lo sviluppo” sono diventate ritornelli costanti che hanno contribuito a caratterizzare, in molti casi, anche le principali strategie aziendali.
Dopo Lehman Brothers, e soprattutto dopo l’ultima pesante recessione economica, in tutto il mondo
industrializzato c’è stato un radicale incremento dell’attenzione sugli
aspetti finanziari a cui ha fatto seguito una diminuita capacità di sostentamento dello sviluppo.
La conseguenza diretta è stata quella di ricercare manager di competen-
U
Investire
sul capitale umano ripaga
Le persone fanno la differenza e investire su di loro ripaga. Lo sanno
bene le aziende che, in controtendenza, sanno pianificare lo sviluppo
dei propri collaboratori attraverso
programmi che prevedono il coinvolgimento di tutto il management
con il supporto della funzione hr.
La corretta gestione della circolazione dei talenti è l’approccio che oggi
sta dando più risultati ed è quello a
cui si ispirano le organizzazioni aziendali più evolute, ovvero quelle più attente alla misurazione economica sul
ritorno dei propri investimenti.
Negli Usa e in Europa questo approccio è definito talent mobility.
Talent mobility è un termine difficile
da tradurre in italiano e forse saremo
costretti, come per altri vocaboli, a
mantenerne la versione inglese.
Circolazione, mobilitazione, mobilizzazione, movimentazione, meno
che mai mobilità, con i suoi echi
legati all’ammortizzatore sociale.
Nessun termine rende il concetto dell’“agilità” organizzativa, resa possibile da strumenti e processi hr che
permettono alle persone di trovare
la loro giusta collocazione all’interno – e a volte all’esterno – dell’azienda.
Valorizzare i talenti
Anche la lettura superficiale del termine inglese “talent” ci pone un interrogativo non di poco conto: singolare o plurale? “Il talento” o “i talenti”? Non per populismo, ma il
concetto di talent mobility si estende a tutti, per valorizzare la parte talentuosa presente in ciascuno, con
forme di intervento naturalmente
differenziate per coloro i quali fanno parte di particolari piani dell’azienda o che devono assumere
più alte responsabilità e/o sfide di
maggiore complessità.
La talent mobility è più che la semplice somma dei processi hr – dalla valutazione del potenziale allo sviluppo
attraverso coaching e formazione, ai
piani di successione e al redeployment – è invece un approccio e una
scelta strategica che vede la combinazione di tali strumenti in una virtuosa integrazione fondata sull’abilità di un’azienda di comprendere, sviluppare e muovere all’interno dell’organizzazione i propri talenti.
A supporto di tale tema, un excursus delle varie teorie di management che hanno influenzato la
creazione di modelli e processi organizzativi in ambito hr sarebbe
lungo e ripetitivo, anche se sempre
illuminanti sono le lezioni – a volte
dimenticate – del passato.
Un salto nel passato
È negli anni Sessanta che Herzberg
– il primo a coniare il termine di job
enrichment – desume dalla sua ricerca sul campo che tra i fattori
“igienici” (quelli che non possono
mancare ma che portano a una
prestazione lavorativa da minimo
sindacale) c’è il rapporto con il proprio capo.
Si dice infatti comunemente che
“le persone lasciano i propri capi,
non le aziende”. Lo stesso psicologo del lavoro americano evidenzia
poi come tra i fattori “motivanti”
(quelli che portano a una prestazione extra) c’è il tipo di lavoro in
sé, in linea con le aspirazioni e le
inclinazioni della persona.
Solo più tardi si è cominciato a parlare tecnicamente di “total reward”, ad esempio – uno fra gli altri – con il modello multidimensionale di Armstrong e Brown che vede associare motivazione personale a ricompense/riconoscimenti
aziendali di natura finanziaria e
non. Prassi e nozioni di sicuro meglio articolate dei contributi di studiosi e tecnici precedenti, ma nel
lavoro dei quali affondano in ogni
caso le proprie radici. Estremizzando: nulla di nuovo (o almeno non
molto) sotto il sole dopo Platone,
Aristotele e Socrate. Il monito
evangelico Non in pane solo vivet
homo, adattato alla circostanza, è
un po’ una conferma di tale tesi.
Numerosi se non innumerevoli sono quindi i contributi teorici e le ricerche che hanno contribuito a
creare lo stato dell’arte a cui oggi
può fare riferimento l’azienda evoluta che intende sviluppare a fondo
il potenziale umano che ha a disposizione attraverso la talent mobility.
Risultati e persone: binomio
imprescindibile
La talent mobility deve però essere
vista come un sistema compiuto da
adottare non più solo per fede
astratta ma perché questa ha un impatto tangibile sui risultati dell’azienda, oltre che sul benessere
personale e sul clima interno. Una
recente ricerca condotta negli Usa
(Talent mobility, 2013, Human Capital Institute in collaborazione con
Lee Hecht Harrison) dimostra infatti che le aziende che hanno adottato sistemi integrati di talent mobility hanno avuto il 12% in più di raggiungimento del successo anche in
campo finanziario.
Investimenti, quindi, che ripagano
ma che devono essere condotti con
coerenza e lungimiranza, abbandonando modalità episodiche o la moda del momento e integrandoli invece nella strategia aziendale di business.
Occorre una forte sponsorship da
parte del top management, un’esecuzione efficace da parte dei manager di linea nell’applicazione dei
processi e la regia di chi in azienda
deve essere il reale agente del cambiamento: la funzione hr.
Per questo la talent mobility, soprattutto in un momento di forte trasformazione come quello che stiamo vivendo, rappresenta l’occasione per ritrovare il senso profondo e
il significato della propria missione
nel tenere in equilibrio risultati e
persone, un binomio solo apparentemente contraddittorio.
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