MatematicaClassePrima

Parte I
CLASSE PRIMA
0
Capitolo 1
Logica
1.1
Teoria matematica
Una teoria esprime per mezzo di un linguaggio preciso concetti e loro proprietà. Ogni termine, ogni
proposizione di una teoria ha un significato univoco. Una teoria è composta da alcuni termini primitivi,
per esempio nella geometria la retta. Di questi termini non è data una definizione.
Con i termini primitivi, mediante le definizioni, si definiscono altri termini che a loro volta possono
essere utilizzati per definirne altri: per esempio il segmento.
Con i termini si costruiscono alcune proposizioni dette postulati o assiomi che sono verità assunte a
priori.
Con i termini si costruiscono altre proposizioni dette teoremi che si devono dimostrare.
In un teorema si distingue un’ipotesi e una tesi. L’ipotesi è formata da proposizioni vere da cui,
attraverso la dimostrazione, deve scaturire la verità della tesi, utilizzando gli assiomi e i teoremi già
dimostrati.
Consideriamo la teoria delle proposizioni detta anche logica.
1.2
Proposizioni
Alla base della logica ci sono le proposizioni.
Definizione 1.2.1 (Proposizione).
Si dice proposizione un’affermazione vera o falsa.
I concetti di vero e falso li assumiamo come primitivi, cioè li useremo senza definirli.
Esempio 1.2.1.
• “Il sole è una stella” è una proposizione vera
• “Il sole è un pianeta” è una proposizione falsa
• “2 + 3 = 5” è una proposizione vera
• “Domani pioverà” non è una proposizione perché non si può dire se è vera o falsa
Per rappresentare le proposizioni uilizzeremo le lettere minuscole p, q, r, . . ..
Per indicare che una proposizione è vera utilizzeremo il simbolo V , per indicare che una proposizione
è falsa utilizzeremo il simbolo F .
Con le proposizioni e con i valori che possono assumere si costruiscono delle tabelle che si chiamano
tavole di verità.
Esempio 1.2.2.
Un esempio di tavola di verità è
p
V
F
1
CAPITOLO 1. LOGICA
Per determinare tutti i casi possibili nelle tavole di verità si procede nel seguente modo:
• con una sola proposizione i valori possibili sono V e F ;
• con due proposizioni nella colonna della prima si scrivono due V e due F , nella colonna della
seconda si scrive in modo alternato V , F .
• con tre proposizioni, nella colonna della prima si scrivono quattro V e quattro F , nella colonna
della seconda si scrivono in modo alternato due V e due F , nella colonna della terza si scrive in
modo alternato V , F .
1.3
Connettivi
Le proposizioni che abbiamo visto sono dette proposizioni elementari perché non sono scomponibili in
altre proposizioni. Le proposizioni elementari, legate insieme con delle particelle chiamate connettivi,
formano le proposizioni composte. I connettivi più importanti sono: non, e, o.
Nella lingua italiana i connettivi possono avere diversi significati. Nella frase “per andare a Torino
prendi la macchina o il pulman” la o è esclusiva: o la macchina o il pulman, non entrambi. Nella
frase “rimani in casa se piove o se tira il vento” la o è inclusiva, può anche piovere e tirare vento
contemporaneamente. Nella logica i connettivi devono avere un significato non ambiguo; per questo a
ogni connettivo è associata una legge che si chiama operazione logica o funzione di verità schematizzata
generalmente con le tavole di verità.
Analizziamo ora i vari connettivi.
1.3.1
Connettivo non
Il connettivo non si può anche trovare nella forma inglese not. Il simbolo è ¬ davanti alla proposizione,
l’operazione logica associata è la negazione.
Definizione 1.3.1 (Negazione).
Si dice negazione di una proposizione p quella proposizione che è vera se p è falsa, falsa se p è vera.
La negazione di p si indica con ¬p
La tavola di verità della negazione è:
p
¬p
V
F
F
V
Esempio 1.3.1.
Data la proposizione
p: “oggi è martedì”
la sua negazione è
¬p : “oggi non è martedì”
1.3.2
Connettivo e
Il connettivo e si può anche trovare nella forma inglese and o nella forma latina et. Il simbolo è ∧.
L’operazione logica associata è la congiunzione
Definizione 1.3.2 (Congiunzione).
Si dice congiunzione di due proposizioni p e q quella proposizione che è vera se sono entrambe vere,
falsa negli altri casi. La congiunzione di p e q si indica con p ∧ q
2
1.4. ESPRESSIONI LOGICHE
La tavola di verità della congiunzione è:
p
q
p∧q
V
V
F
F
V
F
V
F
V
F
F
F
Esempio 1.3.2.
Date le proposizioni
p: “oggi è sabato”
q: “oggi c’è il sole”
la congiunzione delle due proposizioni è
p ∧ q: “oggi è sabato e c’è il sole”
1.3.3
Connettivo o
Il connettivo o si può anche trovare nella forma inglese or o nella forma latina vel. Il simbolo è ∨.
L’operazione logica associata è la disgiunzione.
Definizione 1.3.3 (Disgiunzione).
Si dice disgiunzione di due proposizioni p e q quella proposizione che è vera se almeno una delle due
proposizioni è vera, falsa negli altri casi. La disgiunzione di p e q si indica con p ∨ q
La tavola di verità della disgiunzione è:
p
q
p∨q
V
V
F
F
V
F
V
F
V
V
V
F
Esempio 1.3.3.
Date le proposizioni
p: “oggi è sabato”
q: “oggi c’è il sole”
la disgiunzione dalle due proposizioni è
p ∧ q: “oggi è sabato o c’è il sole”
Il connettivo ∨ rappresenta il significato inclusivo della o della lingua italiana.
1.4
Espressioni logiche
I connettivi visti possono essere applicati, oltre che a proposizioni elementari, anche a proposizioni
composte e ottenere le espressioni logiche. Come nelle espressioni algebriche, anche nelle espressioni
logiche si possono utilizzare le parentesi per indicare l’ordine con cui si devono effettuare le operazioni.
In assenza di parentesi i connettivi hanno il seguente ordine di precedenza:
¬, ∧, ∨
Esempio 1.4.1.
Un esempio di espressione logica è
(p ∧ q) ∨ (¬p ∨ q)
Anche per le espressioni logiche si può scrivere la tavola di verità considerando tutte le proposizioni
semplici e composte che formano l’espressione considerata.
3
CAPITOLO 1. LOGICA
Esempio 1.4.2.
La tavola di verità dell’espressione
(p ∧ q) ∨ p
è:
p
q
V
V
F
F
V
F
V
F
1.4.1
p ∧ q (p ∧ q) ∨ p
V
F
F
F
V
V
F
F
Tautologie e contraddizioni
Definizione 1.4.1 (Tautologia).
Si dice tautologia un’espressione logica vera per qualsiasi valore delle variabili che la compongono.
Esempio 1.4.3.
Data l’espressione logica
p ∨ ¬p
la sua tavola di verità è
p
¬p p ∨ ¬p
V
F
F
V
V
V
Quindi p ∨ ¬p è una tautologia. L’affermazione “piove o non piove” è sempre vera.
Definizione 1.4.2 (Contraddizione).
Si dice contraddizione un’espressione logica falsa per qualsiasi valore delle variabili che la compongono.
Esempio 1.4.4.
Data l’espressione logica
p ∧ ¬p
la sua tavola di verità è
p
¬p p ∧ ¬p
V
F
F
V
F
F
Quindi p ∧ ¬p è una contraddizione. L’affermazione “piove e non piove” è sempre falsa.
Una tautologia la indicheremo con T e una contraddizione con C.
1.4.2
Espressioni equivalenti
Definizione 1.4.3 (Espressioni equivalenti).
Due espressioni logiche si dicono equivalenti se e solo se hanno tavole di verità uguali.
Per indicare l’equivalenza utilizzeremo il simbolo ⇔.
Esempio 1.4.5.
Verifichiamo che
¬¬p ⇔ p
4
1.5. PROPRIETÀ DELLE OPERAZIONI LOGICHE
La tavola di verità di
¬¬p
è
p
¬p ¬¬p
V
F
F
V
V
F
Poiché la colonna p e la colonna ¬¬p sono uguali si ha
¬¬p ⇔ p
Cioè se neghiamo due volte una proposizione otteniamo la proposizione stessa
1.5
Proprietà delle operazioni logiche
Vediamo ora alcune proprietà delle operazioni logiche.
La dimostrazione di queste proprietà si può effettuare costruendo le tavole di verità e vedendo l’equivalenza delle espressioni.
Siano p e q e r delle proposizioni. Valgono le seguenti proprietà:
1. proprietà commutativa:
p∧q ⇔q∧p
p∨q ⇔q∨p
2. proprietà associativa:
p ∧ (q ∧ r) ⇔ (p ∧ q) ∧ r
p ∨ (q ∨ r) ⇔ (p ∨ q) ∨ r
3. proprietà di idempotenza:
p∧p⇔p
p∨p⇔p
4. proprietà distributiva:
p ∧ (q ∨ r) ⇔ (p ∧ q) ∨ (p ∧ r)
p ∨ (q ∧ r) ⇔ (p ∨ q) ∧ (p ∨ r)
5. proprietà di assorbimento:
p ∧ (p ∨ q) ⇔ p
p ∨ (p ∧ q) ⇔ p
6. leggi di De Morgan:
¬(p ∧ q) ⇔ ¬p ∨ ¬q
¬(p ∨ q) ⇔ ¬p ∧ ¬q
5
CAPITOLO 1. LOGICA
7. proprietà con tautologie e contraddizioni
p∧T ⇔p
p∧C ⇔C
p∨T ⇔T
p∨C ⇔p
p ∧ ¬p ⇔ C
p ∨ ¬p ⇔ T
Dimostriamo alcune proprietà
Esempio 1.5.1.
• Verifichiamo che
p ∨ (p ∧ q) ⇔ p
La tavola di verità di
p ∨ (p ∧ q)
è
p
q
V
V
F
F
V
F
V
F
p ∧ q p ∨ (p ∧ q)
V
F
F
F
V
V
F
F
Poiché la colonna p e la colonna (p ∧ q) ∨ p sono uguali si ha
(p ∧ q) ∨ p ⇔ p
• Verifichiamo che
¬(p ∧ q) ⇔ ¬p ∨ ¬q
La tavola di verità di
¬(p ∧ q)
è
p
q
V
V
F
F
V
F
V
F
p ∧ q ¬(p ∧ q)
V
F
F
F
F
V
V
V
La tavola di verità di
¬p ∨ ¬q
è
p
q
¬p ¬q ¬p ∨ ¬q
V
V
F
F
V
F
V
F
F
F
V
V
F
V
F
V
F
V
V
V
Poiché le due tavole di verità sono uguali si ha
¬(p ∧ q) ⇔ ¬p ∨ ¬q
6
1.6. PROPOSIZIONI APERTE E QUANTIFICATORI
• Verifichiamo che
¬(p ∨ q) ⇔ ¬p ∧ ¬q
La tavola di verità di
¬(p ∨ q)
è
p
q
V
V
F
F
V
F
V
F
p ∨ q ¬(p ∨ q)
V
V
V
F
F
F
F
V
La tavola di verità di
¬p ∧ ¬q
è
p
q
¬p ¬q ¬p ∧ ¬q
V
V
F
F
V
F
V
F
F
F
V
V
F
V
F
V
F
F
F
V
Poiché le due tavole di verità sono uguali si ha
¬(p ∨ q) ⇔ ¬p ∧ ¬q
1.6
Proposizioni aperte e quantificatori
Per introdurre i concetti di proposizione aperta e quantificatore ci serve il concetto di insieme
1.6.1
Insiemi e elementi
Il concetto di insieme lo assumiamo come primitivo, cioè lo useremo senza definirlo. Gli oggetti che
fanno parte di un insieme si chiamano elementi e si dice che appartengono all’insieme.
Dato un insieme, di ogni oggetto si deve poter dire se appartiene o no all’insieme.
Gli insiemi in genere si indicano con le lettere maiuscole, gli elementi con le lettere minuscole. La
proposizione: “l’elemento a appartiene all’insieme A” verrà scritta in simboli nel seguente modo: a ∈ A
dove ∈ è il simbolo di appartenenza.
La negazione della proposizione precedente: “a non appartiene all’insieme A” verrà scritta in simboli
nel seguente modo: a ∈ A dove ∈ è il simbolo di non appartenenza.
Esempio 1.6.1.
Indicando con N l’insieme dei numeri naturali si ha:
• 2∈N
• −3 ∈ N
7
CAPITOLO 1. LOGICA
1.6.2
Proposizioni aperte
Definizione 1.6.1 (Proposizione aperta).
Si dice proposizione aperta una proposizione con una o più variabili
Osservazione
Il valore di verità di una proposizione aperta dipende dai valori che assumono le variabili.
Esempio 1.6.2.
• x > 8 è una proposizione aperta
• “x è capitale di y” è una proposizione aperta
Le proposizioni aperte in simboli le indicheremo con p(x), q(x, y), . . ..
Se alle variabili si sostituiscono dei valori la proposizione aperta diventa una proposizione.
I valori che si possono sostituire devono appartenere a un particolare insieme chiamato dominio.
Definizione 1.6.2 (Dominio).
Si dice dominio di una proposizione aperta e si indica con D l’insieme dal quale si possono prendere i
valori da sostituire alle variabili
Esempio 1.6.3.
• Nella proposizione aperta “x > 8”, la variabile x deve essere un numero, il dominio della
proposizione aperta è l’insieme dei numeri reali.
• Nella proposizione aperta “x è la capitale di y”, la variabile x deve essere un nome di città e
la variabile y un nome di nazione, il dominio della proposizione aperta è l’insieme delle coppie
formate da una citta e una nazione.
Alcuni valori del dominio rendono vera la proposizione aperta, altri la rendono falsa.
Definizione 1.6.3 (Insieme di verità).
Si dice insieme di verità della proposizione aperta p(x) l’insieme dei valori del dominio che la rendono
vera
Esempio 1.6.4.
• L’insieme di verità della proposizione aperta “x > 8” è l’insieme di tutti i numeri reali maggiori
di 8
• L’insieme di verità della proposizione aperta “x è la capitale di y” è l’insieme delle coppie formate
da una città capitale e dalla nazione di cui è capitale la città: (Roma,Italia), (Parigi,Francia),
ect.
1.6.3
Quantificatori
Abbiamo visto che per ottenere una proposizione da una proposizione aperta si sostituiscono dei valori
alle variabili.
Un altro modo per ottenere una proposizione da una proposizione aperta è utilizzare i quantificatori.
Esistono due quantificatori, il quantificatore esistenziale, indicato con il simbolo ∃ che significa “esiste
almeno un” e il quantificatore universale indicato con il simbolo ∀ che significa “tutti” o “per ogni”.
La proposizione ∃x ∈ D/p(x) si legge “esiste almeno un elemento x appartenente a D tale che p(x)”.
La proposizione ∀x ∈ D, p(x) si legge “per ogni elemento x appartenente a D, p(x)”.
Esempio 1.6.5.
Consideriamo come dominio D l’insieme dei corpi celesti.
Utilizziamo i quantificatori per trasformare la proposizione aperta “x è un pianeta” in una proposizione.
• “∃x ∈ D/x è un pianeta” (esiste almeno un x appartenente a D tale che x è un pianeta) è una
proposizione vera.
8
1.7. IMPLICAZIONE LOGICA
• “∀x ∈ D, x è un pianeta” (per ogni x appartenente a D, x è un pianeta) è una proposizione falsa
Teorema 1.6.1 (Leggi di De Morgan).
¬(∀x ∈ D, p(x)) ⇔ ∃x ∈ D/¬p(x)
¬(∃x ∈ D/p(x)) ⇔ ∀x ∈ D, ¬p(x)
Le leggi di De Morgan dicono rispettivamente che
• “non è vero che tutti gli x godono p(x)” è equivalente a “esiste almeno un x che non gode p(x)”
• “non è vero che esiste almeno un x che gode p(x)” è equivalente a “tutti gli x non godono p(x)”
Esempio 1.6.6.
• La negazione della proposizione “tutti i cavalli sono bianchi” è “esiste almeno un cavallo che non
è bianco”
• La negazione della proposizione “esiste un cavallo bianco” è “ogni cavallo non è bianco”
1.7
Implicazione logica
Definizione 1.7.1 (Implicazione logica).
Date due proposizioni aperte I(x) e T (x) con x ∈ D, se ogni valore di x che renda verà I(x) rende
vera anche T (x) si dice che I(x) implica logicamente T (x) e si scrive I(x) ⇒ T (x)
Osservazioni
1. I( x) si chiama ipotesi, T (x) si chiama tesi.
2. I(x) ⇒ T (x) si può anche leggere “se I(x) allora T (x)”.
3. I(x) si chiama condizione sufficiente per T (x) e T (x) si chiama condizione necessaria per I(x).
Esempio 1.7.1.
x è divisibile per 4 ⇒ x è divisibile per 2 (se x è divisibile per 4 allora è divisibile per 2)
Osservazione
La definizione data vale anche per proposizioni con più variabili.
Esempio 1.7.2.
x > 0 ∧ y > 0 ∧ x > y ⇒ x2 > y 2
Osservazione
In seguito l’implicazione logica verrà chiamata semplicemente implicazione.
1.8
Equivalenza logica o biimplicazione logica
Date le proposizione aperte A(x) e B(x), se A(x) ⇒ B(x) non è detto che B(x) ⇒ A(x)
Esempio 1.8.1.
x è divisibile per 4 ⇒ x è divisibile per 2 ma x è divisibile per 2 non implica x è divisibile per 2
Definizione 1.8.1 (Biimplicazione logica).
Date due proposizioni aperte A(x) e B(x), se per ogni x ∈ D assumono lo stesso valore di verità
si dice che A(x) biimplica logicamente B(x) oppure A(x) equivale logicamente a B(x) e si scrive
A(x) ⇔ B(x)
Osservazioni
1. A(x) ⇔ B(x) si può anche leggere “A(x) se e solo se B(x)” .
9
CAPITOLO 1. LOGICA
2. A(x) si chiama condizione necessaria e sufficiente per B(x) e B(x) si chiama condizione necessaria
e sufficiente per A(x).
3. Dire che A(x) ⇔ B(x) è come dire A(x) ⇒ B(x) e B(x) ⇒ A(x)
Esempio 1.8.2.
x è un numero pari ⇔ x è divisibile per 2
1.9
Dimostrazione per assurdo
All’inizio del capitolo abbiamo introdotto i concetti di teorema specificando che la dimostrazione
permette di arrivare dall’ipotesi alla tesi.
Esiste un altro tipo di dimostrazione, detta per assurdo che consiste nel negare la tesi e arrivare ad
una contraddizione. Infatti
(I(x) ⇒ T (x)) ⇔ (¬T (x) ⇒ ¬I(x))
Esempio 1.9.1.
x è divisibile per 4 ⇒ x è divisibile per 2
è equivalente a
x è non è divisibile per 2 implica x è non è divisibile per 4
10
Capitolo 2
Insiemi
2.1
Rappresentazione degli insiemi
Gli insiemi si possono rappresentare in vari modi:
1. elencando gli elementi racchiusi tra parentesi graffe:
A = {1, 2, 3, 4, 5}
2. con i diagrammi di Eulero-Venn: gli elementi sono racchiusi da delle linee chiuse.
A
2
1
3
4
5
Figura 2.1: diagrammi di Eulero-Venn
3. tramite la proprietà caratteristica, cioè una proprietà che è vera per tutti e soli gli elementi
dell’insieme:
A = {x ∈ N0 /x < 6}
2.2
Uguaglianza
Definizione 2.2.1 (Uguaglianza).
Si dice che l’insieme A è uguale all’insieme B se e solo se A e B hanno gli stessi elementi e si scrive
A=B
Esempio 2.2.1.
{1, 2, 3, 4, 5} = {x ∈ N0 /x < 6}
Osservazione
Negli insiemi non contano l’ordine o le ripetizioni, l’insieme
{1, 2, 3, 4, 5} = {2, 1, 4, 3, 5} = {1, 1, 1, 2, 3, 4, 5}
11
CAPITOLO 2. INSIEMI
2.3
Insiemi particolari
Vediamo ora alcuni insiemi particolari:
1. insieme unitario: insieme con un solo elemento: {a}
2. insieme vuoto: insieme con nessun elemento, si indica con ∅ o {}
2.4
Inclusione
Definizione 2.4.1 (Inclusione).
Si dice che l’insieme A è incluso nell’insieme B se e solo se ogni elemento di A appartiene a B e si
scrive A ⊆ B
Osservazione
Se A è incluso in B si dice che A è un sottoinsieme di B.
Esempio 2.4.1.
{1, 2} ⊆ {1, 2, 3}
Osservazioni
1. L ’insieme vuoto è incluso in qualsiasi insieme e ogni insieme è incluso in se stesso.
2. Dato un insieme A, l’insieme vuoto e A si dicono sottoinsiemi impropri di A, gli altri sottoinsiemi
di A si dicono propri.
3. A = B ⇔ A ⊆ B ∧ B ⊆ A
4. Se A non è incluso in B, si scrive A
B
5. A ⊇ B ⇔ B ⊆ A
Definizione 2.4.2 (Inclusione stretta).
Si dice che l’insieme A è incluso strettamente nell’insieme B se e solo se A ⊆ B ∧ A = B e si scrive
A⊂B
Esempio 2.4.2.
{1, 2} ⊂ {1, 2, 3}
Osservazioni
1. Se A non è incluso strettamente in B, si scrive A ⊂ B
2. A ⊃ B ⇔ B ⊂ A
2.5
Insieme delle parti
Definizione 2.5.1 (Insieme delle parti).
Si dice insieme delle parti di un insieme A l’insieme costituito da tutti i sottoinsiemi di A e si indica
con P (A)
Esempio 2.5.1.
• Dato
A=∅
si ha
P (A) = {∅}
12
2.6. OPERAZIONI TRA INSIEMI
• Dato
A = {a}
si ha
P (A) = {∅, {a}}
• Dato
A = {a, b}
si ha
P (A) = {∅, {a}, {b}, {a, b}}
Osservazione
Se A ha n elementi allora P (A) ha 2n elementi
2.6
2.6.1
Operazioni tra insiemi
Unione
Definizione 2.6.1 (Unione).
Si dice unione di due insiemi A e B l’insieme costituito dagli elementi che appartengono ad A o a B
e si scrive A ∪ B
La proprietà caratteristica dell’insieme A ∪ B è la disgiunzione delle proprietà caratteristiche di A e
B, in simboli:
A ∪ B = {x/x ∈ A ∨ x ∈ B}
Esempio 2.6.1.
Dati
A = {1, 2, 3, 4, 5}
B = {4, 5, 6, 7}
si ha
A ∪ B = {1, 2, 3, 4, 5, 6, 7}
Osservazioni
1. Se A ⊆ B allora A ∪ B = B
2. A ∪ A = A
3. A ∪ ∅ = A
2.6.2
Intersezione
Definizione 2.6.2 (Intersezione).
Si dice Intersezione di due insiemi A e B l’insieme costituito dagli elementi comuni ad A e B e si
scrive A ∩ B
La proprietà caratteristica dell’insieme A ∩ B è la congiunzione delle proprietà caratteristiche di A e
B, in simboli:
A ∩ B = {x/x ∈ A ∧ x ∈ B}
13
CAPITOLO 2. INSIEMI
Esempio 2.6.2.
Dati
A = {1, 2, 3, 4, 5}
B = {4, 5, 6, 7}
si ha
A ∩ B = {4, 5}
Osservazioni
1. Se A ⊆ B allora A ∩ B = A
2. A ∩ A = A
3. A ∩ ∅ = ∅
Definizione 2.6.3 (Insiemi disgiunti).
Due insiemi si dicono disgiunti se la loro intersezione è l’insieme vuoto, cioè se non hanno elementi in
comune
Esempio 2.6.3.
Gli insiemi
A = {1, 2, 3, 4, 5}
B = {6, 7}
sono disgiunti poiché
A∩B =∅
2.6.3
Differenza
Definizione 2.6.4 (Differenza).
Si dice differenza di due insiemi A e B l’insieme costituito dagli elementi di A che non appartengo a
B e si scrive A − B
La proprietà caratteristica dell’insieme A − B è la congiunzione tra la proprietà caratteristica di A e
la negazione della proprietà caratteristica di B, in simboli:
A − B = {x/x ∈ A ∧ x ∈ B}
Esempio 2.6.4.
Dati
A = {1, 2, 3, 4, 5}
B = {4, 5, 6, 7}
si ha
A − B = {1, 2, 3}
Osservazioni
1. Se A ⊆ B allora A − B = ∅
2. Se A ∩ B = ∅ allora A − B = A
3. A − A = ∅
4. A − ∅ = A
14
2.6. OPERAZIONI TRA INSIEMI
2.6.4
Insieme complementare
Definizione 2.6.5 (Insieme complementare).
Si dice insieme complementare di un insieme A ⊆ B rispetto a B, l’insieme B − A e si scrive CB (A)
La proprietà caratteristica dell’insieme CB (A) è la congiunzione tra la proprietà caratteristica di B e
la negazione della proprietà caratteristica di A, in simboli:
CB (A) = {x/x ∈ B ∧ x ∈ A}
Esempio 2.6.5.
Dati
B = {1, 2, 3, 4, 5}
A = {4, 5}
si ha
CB (A) = {1, 2, 3}
Osservazioni
1. CA (A) = ∅
2. CA (∅) = A
2.6.5
Proprietà delle operazioni tra insiemi
Vediamo ora alcune proprietà delle operazioni tra insiemi.
La dimostrazione di queste proprietà si può effettuare utilizzando le proprietà delle operazioni logiche
che compaiono nella proprietà caratteristica.
Siano A, B, C degli insiemi inclusi nell’insieme U .
Valgono le seguenti proprietà:
1. proprietà commutativa:
A∪B =B∪A
A∩B =B∩A
2. proprietà associativa:
A ∪ (B ∪ C) = (A ∪ B) ∪ C
A ∩ (B ∩ C) = (A ∩ B) ∩ C
3. proprietà di idempotenza:
A∪A=A
A∩A=A
4. proprietà distributiva:
A ∪ (B ∩ C) = (A ∪ B) ∩ (A ∪ C)
A ∩ (B ∪ C) = (A ∩ B) ∪ (A ∩ C)
5. proprietà di assorbimento:
A ∪ (A ∩ B) = A
A ∩ (A ∪ B) = A
6. leggi di De Morgan:
CU (A ∪ B) = CU (A) ∩ CU (B)
CU (A ∩ B) = CU (A) ∪ CU (B)
15
CAPITOLO 2. INSIEMI
2.7
Partizione di un insieme
Definizione 2.7.1 (Partizione).
Si dice partizione di un insieme A non vuoto un insieme di sottoinsiemi di A tale che
1. nessun sottoinsieme è vuoto
2. i sottoinsiemi sono disgiunti a due a due
3. l’unione di tutti i sottoinsiemi è uguale all’insieme A
Esempio 2.7.1.
Dato l’insieme
A = {1, 2, 3, 4, 5}
• {{1}, {2, 4}.{3, 5}} è una partizione di A
• {{1, 2}, {2, 4}.{3, 5}} non è una partizione di A perché gli insiemi {1, 2} e {2, 4} non sono
disgiunti.
• {{1}, {2, 4}.{3}} non è una partizione di A perché l’unione di tutti i sottoinsiemi è diversa da
A.
• P(A) non è una partizione perché contiene l’insieme vuoto.
2.8
Prodotto cartesiano
Il prodotto cartesiano tra due insiemi si definisce utilizzando il concetto di coppia ordinata. Una coppia ordinata è formata da due elementi a e b disposti in un certo ordine e si indica con (a, b): a è il
primo elemento e b il secondo.
{a, b} = {b, a}
ma
(a, b) = (b, a)
Definizione 2.8.1 (Prodotto cartesiano).
Si dice prodotto cartesiano di due insiemi A e B l’insieme costituito dalle coppie ordinate con il primo
elemento appartenente ad A e il secondo appartenente a B e si scrive A × B
In simboli:
A × B = {(a, b)/a ∈ A ∧ b ∈ B}
Esempio 2.8.1.
Dati gli insiemi
A = {a, b, c}
B = {1, 2}
si ha
A × B = {(a, 1), (a, 2), (b, 1), (b, 2), (c, 1), (c, 2)}
Osservazioni
1. Se uno dei due insiemi è vuoto, il prodotto cartesiano è l’insieme vuoto:
A×∅=∅×A=∅×∅=∅
16
2.8. PRODOTTO CARTESIANO
2. Nel prodotto cartesiano i due insiemi possono anche coincidere; in questo caso A×A viene anche
indicato con A2 .
3. Se A ha m elementi e B ha n elementi, allora A × B ha m · n elementi.
Definizione 2.8.2 (Diagonale principale).
Dato un insieme A si dice diagonale principale e si indica con ∆ il sottoinsieme di A × A costituito
dalle coppie ordinate con i due elementi uguali
In simboli:
∆ = {(a, a)/a ∈ A}
Esempio 2.8.2.
Dato
A = {a, b, c}
si ha
∆ = {(a, a), (b, b), (c, c)}
2.8.1
Rappresentazione grafica del prodotto cartesiano
Il prodotto cartesiano A × B si può rappresentare graficamente in due modi
1. utilizzando i diagrammi sagittali: dopo aver rappresentato gli insiemi A e B con i diagrammi
di Eulero-Venn si disegnano delle frecce che congiungono tutti gli elementi di A con tutti gli
elementi di B.
2. utilizzando i diagrammi cartesiani: si disegnano una retta orizzontale rA e una retta verticale
rB ; gli elementi di A si rappresentano con dei punti su rA , gli elementi di B si rappresentano
con punti dei punti su rB . La coppia (a, b) è rappresentata dal punto P intersezione tra la retta
verticale passante per a e la retta orizzontale passante per b
Esempio 2.8.3.
• Rappresentiamo con i diagrammi sagittali
A × B = {(a, 1), (a, 2), (b, 1), (b, 2), (c, 1), (c, 2)}
1
(a, 1)
a
(b, 1)
(a, 2)
(b, 2)
b
2
(c, 1)
c
(c, 2)
Figura 2.2: diagramma sagittale
17
CAPITOLO 2. INSIEMI
• Rappresentiamo con i diagrammi cartesiani
A × B = {(a, 1), (a, 2), (b, 1), (b, 2), (c, 1), (c, 2)}
rB
2
(a,2)
(b,2)
1
(a,1)
(b,1)
a
b
(c,2)
(c,1)
c
rA
Figura 2.3: diagramma cartesiano
2.8.2
Prodotto cartesiano di più insiemi
La definizione di prodotto cartesiano si può estendere a più di due insiemi.
Nel caso di tre insiemi A, B, C, gli elementi di A × B × C sono delle triple ordinate il cui primo
elemento appartiene ad A, il secondo a B e il terzo a C.
Il prodotto cartesiano di n insiemi uguali ad A si dice potenza n-esima cartesiana di A, si indica con
An ed è formato dalle ennuple ordinate di elementi di A.
Per determinare tutte le ennuple di un prodotto cartesiano si può utilizzare un diagramma ad albero.
L’albero si costriusce dall’alto verso il basso.
Dal primo nodo si disegna un ramo per ogni elemento del primo insieme; dai nodi ottenuti si disegna
un ramo per ogni elemento del secondo insieme e così via.
Per determinare le ennuple è sufficiente seguire i rami.
Esempio 2.8.4.
Dati
A = {a, b, c}
B = {T, C}
C = {1, 2}
Determinare
A×B×C
Costruiamo il diagramma ad albero:
18
2.8. PRODOTTO CARTESIANO
a
T
C
T
1
2
c
b
1
2
1
T
C
2
1
2
1
C
2 1
Figura 2.4: diagramma a albero
Quindi
A × B × C = {(a, T, 1), (a, T, 2), (a, C, 1), (a, C, 2), (b, T, 1), (b, T, 2), (b, C, 1),
(b, C, 2), (c, T, 1), (c, T, 2), (c, C, 1), (c, C, 2)
19
2
Capitolo 3
Relazioni tra due insiemi
3.1
Introduzione
Definizione 3.1.1 (Relazione).
Si dice relazione dall’insieme A nell’insieme B una proposizione aperta in due variabili che ad elementi
di A associa elementi di B.
Esempio 3.1.1.
Dati gli insiemi
A = {Roma, Parigi, Vienna}, B = {Francia, Italia}
“x è capitale di y” è una proposizione aperta in due variabili che associa a elementi di A elementi di
B: a Roma associa Italia e a Parigi associa Francia. In questo modo si ottiene una relazione da A in
B.
Una relazione la indichiamo con R.
L’insieme A si chiama insieme di partenza, l’insieme B si chiama insieme di arrivo.
Se in una relazione R, x ∈ A è in relazione con y ∈ B, si dice che y è immagine di x, x è controimmagine
di y e si scrive xRy.
L’insieme degli elementi di A che hanno almeno un’immagine in B si dice dominio e si indica con D.
L’insieme degli elementi di B che hanno almeno una controimmagine in A si dice codominio e si indica
con C.
Osservazione
Il codominio di una relazione è l’insieme delle immagini degli elementi del dominio.
3.2
Grafo
Definizione 3.2.1 (Grafo).
Data una relazione R da A in B si dice grafo e si indica con G il sottoinsieme del prodotto cartesiano
A × B formato da tutte e sole le coppie di elementi in relazione tra di loro, in simboli:
G = {(x, y) ∈ A × B/xRy} ⊆ A × B
Poiché la relazione è la proprietà caratteristica del grafo, grafo e relazione si possono identificare,
quindi la relazione si può anche definire nel seguente modo:
Definizione 3.2.2 (Relazione).
Si dice relazione dall’insieme A nell’insieme B un sottoinsieme del prodotto cartesiano A × B
Esempio 3.2.1.
• Dati gli insiemi
A = {1, 2, 3, 4}, B = {2, 4, 8, 10}
20
3.3. RAPPRENTAZIONE GRAFICA DI UNA RELAZIONE
e la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è la metà di y” con x ∈ A e
y ∈ B si ha:
1R2, 2R4, 4R8
G = {(1, 2), (2, 4), (4, 8)}
D = {1, 2, 4}
C = {2, 4, 8}
• Dati gli insiemi
A = {Roma, Parigi, Londra}B = {Tevere, Senna, Danubio}
e la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è bagnato da y” con x ∈ A e
y ∈ B si ha
RomaRTevere, ParigiRSenna
G = {(Roma,Tevere), (Parigi,Senna)}
D = {Roma, Parigi}
C = {Tevere, Senna}
3.3
Rapprentazione grafica di una relazione
Poichè una relazione è un sottoinsieme del prodotto cartesiano possiamo rappresentarla graficamente
con i metodi visti per il prodotto cartesiano:
1. utilizzando i diagrammi sagittali
2. utilizzando i diagrammi cartesiani
Esempio 3.3.1.
Dati gli insiemi
A = {2, 3}, B = {1, 2, 3, 4}
e la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è un divisore di y” con x ∈ A e
y ∈ B si ha:
2R2, 2R4, 3R3
G = {(2, 2), (2, 4), (3, 3)}
D = {2, 3} = A
C = {2, 3, 4}
La rappresentazione con i diagrammi sagittali é
1
2
2
3
4
3
Figura 3.1: diagramma sagittale
21
CAPITOLO 3. RELAZIONI TRA DUE INSIEMI
La rappresentazione con i diagrammi cartesiani é
rB
4
3
2
1
rA
2
3
Figura 3.2: diagramma cartesiano
3.4
Relazione inversa
Definizione 3.4.1 (Relazione inversa).
Data la relazione R da A in B, si dice relazione inversa di R e si indica con R −1 la relazione da B in
A definita nel seguente modo:
yR −1 x ⇔ xRy
∀x ∈ A, ∀ y ∈ B
Il grafo della relazione inversa si ottiene invertendo gli elementi di ogni coppia del grafo della relazione
data.
Il diagramma sagittale della relazione inversa si ottiene invertendo la direzione di ogni freccia del
diagramma sagittale della relazione data.
Il diagramma cartesiano della relazione inversa si ottiene invertendo gli assi del diagramma cartesiano
della relazione data.
Esempio 3.4.1.
Dati gli insiemi
A = {1, 2, 3, 4, 5}, B = {2, 4, 6, 8, 10}
e la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è la metà di y” con x ∈ A e y ∈ B
si ha:
G = {(1, 2), (2, 4), (3, 6), (4, 8), (5, 10)}
La relazione inversa R −1 va da B in A ed è definita nel seguente modo xR −1 y ⇔ “x è il doppio di y”
con x ∈ B e y ∈ A il suo grafo è:
G−1 = {(2, 1), (4, 2), (6, 3), (8, 4), (10, 5)}
La rappresentazione con i diagrammi sagittali é
22
3.4. RELAZIONE INVERSA
B
A
2
4
1
2
6
8
3
10
4
5
B
A
2
4
1
2
6
8
3
10
4
5
La rappresentazione con i diagrammi cartesiani é
rB
10
8
6
4
2
rA
1
2
3
23
4
5
CAPITOLO 3. RELAZIONI TRA DUE INSIEMI
rA
5
4
3
2
1
rB
2
3.5
4
6
8
10
Tipi di relazioni
3.5.1
Relazioni ovunque definite
Definizione 3.5.1 (Relazione ovunque definita).
Una relazione R da A in B si dice ovunque definita se e solo se ogni elemento di A ha almeno
un’immagine
Osservazioni
1. In una relazione ovunque definita il dominio coincide con l’insieme di partenza
2. Una relazione rappresentata con i diagrammi sagittali è ovunque definita se da ogni elemento di
A parte almeno una freccia
3. Una relazione rappresentata con i diagrammi cartesiani è ovunque definita se su ogni retta
verticale passante per un elemento di A, c’è almeno un punto.
Esempio 3.5.1.
• Dati gli insiemi
A = {1, 2, 4, 5}, B = {2, 4, 8, 10, 12}
la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è la metà di y” con x ∈ A e
y ∈ B è ovunque definita poiché ogni elemento di A ha almeno un’immagine
• Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma sagittale
1
2
2
3
3
4
Figura 3.3: relazione ovunque definita
è ovunque definita poiché da ogni elemento di A esce almeno una freccia.
• Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma cartesiano
24
3.5. TIPI DI RELAZIONI
rB
4
3
2
1
rA
2
3
Figura 3.4: relazione ovunque definita
è ovunque definita poiché su ogni retta verticale passante per un elemento di A c’è almeno un
punto.
3.5.2
Relazioni funzionali
Definizione 3.5.2 (Relazione funzionale).
Una relazione R da A in B si dice funzionale se e solo se ogni elemento di A ha al più un’immagine
Osservazioni
1. Una relazione rappresentata con i diagrammi sagittali è funzionale se da ogni elemento di A
parte al più una freccia.
2. Una relazione rappresentata con i diagrammi cartesiani è funzionale se su ogni retta verticale
passante per un elemento di A, c’è al più un punto.
Esempio 3.5.2.
• Dati gli insiemi
A = {1, 2, 4, 5}, B = {2, 4, 8, 10, 12}
la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è la metà di y” con x ∈ A e
y ∈ B è funzionale poiché ogni elemento di A ha al più un’immagine.
• Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma sagittale
1
2
2
3
3
4
Figura 3.5: relazione funzionale
è funzionale poiché da ogni elemento di A esce al più una freccia.
• Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma cartesiano
25
CAPITOLO 3. RELAZIONI TRA DUE INSIEMI
4
rB
3
2
1
rA
2
3
Figura 3.6: relazione funzionale
è funzionale poiché su ogni semiretta verticale uscente da un elemento di A c’è al più un punto
3.5.3
Relazioni suriettive
Definizione 3.5.3 (Relazione suriettiva).
Una relazione R da A in B si dice suriettiva se e solo se ogni elemento di B ha almeno una
controimmagine
Osservazioni
1. In una relazione suriettiva il codominio coincide con l’insieme di arrivo
2. Una relazione rappresentata con i diagrammi sagittali è suriettiva se a ogni elemento di B arriva
almeno una freccia
3. Una relazione rappresentata con i diagrammi cartesiani è suriettiva se su ogni retta orizzontale
passante per un elemento di B c’è almeno un punto
Esempio 3.5.3.
• Dati gli insiemi
A = {1, 2, 4, 5}, B = {2, 4, 8}
la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è la metà di y” con x ∈ A e
y ∈ B è suriettiva poiché ogni elemento di B ha almeno una controimmagine.
• Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma sagittale
1
2
2
3
4
3
Figura 3.7: relazione suriettiva
è suriettiva poiché a ogni elemento di B arriva almeno una freccia.
• Dati gli insiemi A, B la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma cartesiano
26
3.5. TIPI DI RELAZIONI
rB
4
3
2
1
rA
2
3
Figura 3.8: relazione suriettiva
è suriettiva poiché su ogni retta orizzontale passante per un elemento di B c’è almeno un punto.
3.5.4
Relazioni iniettive
Definizione 3.5.4 (Relazione iniettiva).
Una relazione R da A in B si dice iniettiva se e solo se ogni elemento di B ha al più una controimmagine
Osservazioni
1. Una relazione rappresentata con i diagrammi sagittali è iniettiva se a ogni elemento di B arriva
al più una freccia
2. Una relazione rappresentata con i diagrammi cartesiani è iniettiva se su ogni retta orizzontale
passante per une lemento di B c’è al più un punto
Esempio 3.5.4.
• Dati gli insiemi
A = {1, 2, 4, 5}, B = {2, 4, 8, 10, 12}
la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è la metà di y” con x ∈ A e
y ∈ B è iniettiva poiché ogni elemento di B ha al più una controimmagine
• Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma sagittale
1
2
3
2
3
4
Figura 3.9: relazione iniettiva
è iniettiva poiché a ogni elemento di B arriva al più una freccia
• Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma cartesiano
27
CAPITOLO 3. RELAZIONI TRA DUE INSIEMI
4
rB
3
2
1
rA
3
2
Figura 3.10: relazione iniettiva
è iniettiva poiché su ogni retta orizzontale passante per un elemento di B c’è al più un punto.
3.6
Funzioni
Definizione 3.6.1 (Funzione).
Una relazione R da A in B si dice funzione se e solo se è ovunque definita e funzionale.
Osservazioni
1. In una funzione il dominio coincide con l’insieme di partenza.
2. Una relazione R da A in B è una funzione se e solo se ogni elemento di A ha una sola immagine.
3. Una relazione rappresentata con i diagrammi sagittali è una funzione se da ogni elemento di A
parte una sola freccia.
4. Una relazione rappresentata con i diagrammi cartesiani è una funzione se su ogni retta verticale
passante per un elemento di A, c’è un solo punto.
Esempio 3.6.1.
• Dati gli insiemi
A = {1, 2, 4, 5}, B = {2, 4, 8, 10, 12}
la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è la metà di y” con x ∈ A e
y ∈ B è una funzione poiché ogni elemento di A ha una sola immagine
• Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma sagittale
1
2
2
3
3
4
Figura 3.11: funzione
è una funzione poiché da ogni elemento di A parte una sola freccia
• Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma cartesiano
28
3.6. FUNZIONI
4
rB
3
2
1
rA
2
3
Figura 3.12: funzione
è una funzione poiché su ogni retta verticale passante per un elemento di A c’è un solo punto.
Osservazioni
1. Le funzioni invece che con R normalmente si indicano con f ,g,h.
2. Per indicare che una funzione f va da A in B si scrive
f :A→B
3. Nelle funzioni il dominio si indica con D e il codominio si indica con f (D).
4. Se x ∈ A è in relazione con y ∈ B si scrive y = f (x), x si dice variabile indipendente e y variabile
dipendente.
5. Se, data la funzione f : A → B, A ed B sono sottoinsiemi dei numeri reali, allora essa è detta
funzione reale di variabile reale. In una funzione reale di variabile reale, il dominio può essere
dato a priori oppure si considera il dominio massimale; anche l’insieme di arrivo può essere dato
a priori oppure si considera R.
6. In una funzione f reale di variabile reale f (x) è l’espressione analitica,
y = f (x) è l’equazione cartesiana della funzione.
Esempio 3.6.2.
Data la funzione
f :R→R
f (x) = 3x + 2 (espressione analitica)
la sua equazione cartesiana è
y = 3x + 2
il suo dominio è
D=R
il suo codominio è
f (D) = R
29
CAPITOLO 3. RELAZIONI TRA DUE INSIEMI
3.6.1
Biiezioni
Definizione 3.6.2 (Biiezione).
Una funzione f : A → B si dice funzione biiettiva o biiezione se e solo se è iniettiva e suriettiva.
Osservazioni
1. Una funzione f : A → B è biettiva se ogni elemento di B ha una sola controimmagine.
2. Una biiezione è anche detta corrispondenza biunivoca.
3. Una funzione rappresentata con i diagrammi sagittali è una biiezione se a ogni elemento di B
arriva una sola freccia.
4. Una funzione rappresentata con i diagrammi cartesiani è una biiezione se su ogni retta orizzontale
passante per un elemento di B, c’è un solo punto.
Esempio 3.6.3.
• Dati gli insiemi
A = {1, 2, 4, 5}, B = {2, 4, 8, 10}
la relazione R da A in B definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è la metà di y” con x ∈ A e
y ∈ B è una biiezione poiché ogni elemento di A ha una sola immagine e ogni elemento di B ha
una sola controimmagine.
• Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma sagittale
2
2
4
3
Figura 3.13: biiezione
è una biiezione poiché da ogni elemento di A parte una sola freccia e a ogni elemento di B arriva
una sola freccia.
• Dati gli insiemi A, B, la relazione R da A in B rappresentata dal seguente diagramma cartesiano
rB
10
8
6
4
2
rA
1
2
3
4
Figura 3.14: biiezione
30
5
3.6. FUNZIONI
è una biiezione poiché su ogni retta verticale passante per un elemento di A e su ogni retta
orizzontale passante per un elemento di B c’è un solo punto.
Insiemi finiti e infiniti
Definizione 3.6.3 (Insieme infinito).
Un insieme si dice infinito se esiste una biezione tra esso e un suo sottoinsieme proprio.
Esempio 3.6.4.
Dato l’insieme N dei numeri naturali consideriamo l’insieme P dei numeri pari e la funzione
f :N→P
definita nel seguente modo
f (x) = 2x
Poiché f è una biiezione e P è un sottoinsieme proprio di N, l’insieme dei numeri naturali è infinito
Definizione 3.6.4 (Insieme finito).
Un insieme si dice finito se non esiste una biezione tra esso e qualsiasi suo sottoinsieme proprio.
Esempio 3.6.5.
L’insieme A = {1, 2, 3} è finito perché non esiste alcuna biiezione tra esso e un qualunque suo
sottoinsieme proprio
3.6.2
Funzione inversa
Definizione 3.6.5 (Funzione inversa).
Data la funzione f : A → B, se esiste la funzione f −1 : B → A definita nel seguente modo:
x = f −1 (y) ⇔ y = f (x) , ∀x ∈ A, ∀y ∈ B
f è invertibile e f −1 è la funzione inversa.
Osservazione
Una funzione è invertibile, se e solo se è biiettiva; la funzione inversa è ancora biiettiva.
Esempio 3.6.6.
• Dati gli insiemi
A = {1, 2, 3, 4, 5}, B = {2, 4, 6, 8, 10}
la funzione
f :A→B
definita nel seguente modo
f (x) = 2x
è invertibile perche è una biezione.
La funzione inversa è
f −1 : B → A
definita nel seguente modo
f −1 (x) =
x
2
La rappresentazione con i diagrammi sagittali é
31
CAPITOLO 3. RELAZIONI TRA DUE INSIEMI
B
A
2
4
1
2
6
8
3
10
4
5
B
A
2
4
1
2
6
8
3
10
4
5
La rappresentazione con i diagrammi cartesiani é
rB
rA
10
5
8
4
6
3
4
2
2
1
rB
rA
1
2
3
4
5
• Dati gli insiemi
A = {−2, −1, 0, 1, 2}, B = {0, 1, 2, 3, 4}
la funzione
f :A→B
definita nel seguente modo
f (x) = x2
32
2
4
6
8
10
3.6. FUNZIONI
non è invertibile perche non è una biezione.
B
A
0
-2
1
-1
2
3
0
1
4
2
Figura 3.15: f (x) = x2
Osservazione
Una funzione f non invertibile, si può rendere invertibile restringendo opportunamente il dominio e
l’insieme di arrivo.
Esempio 3.6.7.
Dati gli insiemi
A = {−2, −1, 0, 1, 2}, B = {0, 1, 2, 3, 4}
la funzione
f :A→B
definita nel seguente modo
f (x) = x2
non è invertibile perche non è una biezione.
Se restringiamo B ottenendo
B1 = {0, 1, 4}
la funzione
f : A → B1
definita nel seguente modo
f (x) = x2
è suriettiva.
A
B
0
-2
1
-1
0
1
4
2
Figura 3.16: f (x) = x2
33
CAPITOLO 3. RELAZIONI TRA DUE INSIEMI
Se restringiamo A ottenendo
A1 = {0, 1, 2}
la funzione
f : A1 → B1
definita nel seguente modo
f (x) = x2
è una biezione e quindi è invertibile.
B
A
0
0
1
1
2
4
Figura 3.17: f (x) = x2
La funzione inversa è
f −1 : B1 → A1
definita nel seguente modo
√
f −1 (x) = x
3.6.3
Composizione di funzioni
Definizione 3.6.6 (Funzione composta).
Siano f : A → B e g : C → D due funzioni tali che il codominio di f sia incluso nel dominio di g.
Si dice funzione composta di f e g la funzione g ◦ f : A → D (g composto f ) definita nel seguente
modo:
(g ◦ f ) (x) = g (f (x)) , ∀x ∈ A
Esempio 3.6.8.
• Dati gli insiemi
A = {−2, −1, 0, 1, 2}, B = {0, 1, 2, 3, 4}, C = {0, 1, 2, 3, 4, 5}
e le funzioni
f :A→B
definita nel seguente modo
f (x) = x2
g:B→C
34
3.6. FUNZIONI
definita nel seguente modo
g(x) = x + 1
Determiniamo
g◦f
-2
0
1
2
g◦f
-1
3
4
0
1
5
2
g
f
0
1
2
3
4
Figura 3.18: g ◦ f
Il codominio di f è incluso nel dominio di g.
g◦f :A→C
Ä
ä
(g ◦ f ) (x) = g (f (x)) = g x2 = x2 + 1
• Date le funzioni
f :R→R
f (x) = 2x
g:R→R
g (x) = x + 2
determiniamo
g◦f
Il codominio di f è incluso nel dominio di g.
g◦f :R→R
(g ◦ f ) (x) = g (f (x)) = g (2x) = 2x + 2
La composizione di funzioni non è commutativa. Infatti, date le due funzioni precedenti, poiché
il codominio di g è incluso nel dominio di f , si può determinare f ◦ g:
f ◦g :R→R
(f ◦ g) (x) = f (g (x)) = f (x + 2) = 2 (x + 2) = 2x + 4
Pertanto g ◦ f = f ◦ g.
35
Capitolo 4
Relazioni in un insieme
4.1
Introduzione
Se gli insiemi A e B tra cui è definita una relazione coincidono, si ha una relazione che va da A in A;
essa si può anche interpretare come relazione tra gli elementi di A e in questo caso si dice relazione in
A.
Esempio 4.1.1.
Dato l’insieme
A = {padre, madre, figlio, figlia}
e la relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è genitore di y” con x, y ∈ A consideriamo la
sua rappresentiamola con i diagrammi sagittali, prima con due insiemi e poi con un insieme.
A
A
padre
madre
figlio
figlia
padre
madre
figlio
figlia
Figura 4.1: diagramma sagittale con due insiemi
A
padre
figlio
madre
figlia
Figura 4.2: diagramma sagittale con un insieme
4.2
Proprietà delle relazioni in un insieme
Una relazione in un insieme può godere delle seguenti proprietà:
• riflessiva
36
4.2. PROPRIETÀ DELLE RELAZIONI IN UN INSIEME
• antiriflessiva
• simmetrica
• antisimmetrica
• transitiva
4.2.1
Proprietà riflessiva
Definizione 4.2.1 (Riflessiva).
Una relazione R in un insieme A gode della proprietà riflessiva se e solo se
∀x ∈ A xRx
cioè ogni elemento è in relazione con se stesso.
La relazione R in A, rappresentata per elencazione, gode della proprietà riflessiva se per ogni elemento
x di A il grafo contiene la coppia (x, x).
La relazione R in A, rappresentata con i diagrammi sagittali, gode della proprietà riflessiva se ogni
elemento ha un cappio, cioè un arco che entra e esce dallo stesso punto.
La relazione R in A, rappresentata con i diagrammi cartesiani, gode della proprietà riflessiva se sono
presenti tutti i punti della diagonale principale.
Esempio 4.2.1.
Dato l’insieme
A = {2, 3, 4}
e la relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x
proprietà riflessiva.
Il grafo di R è:
y con x, y ∈ A, verifichiamo se gode della
G = {(2, 2), (2, 3), (2, 4), (3, 3), (3, 4), (4, 4)}
Poiché il grafo contiene le coppie (2, 2), (3, 3), (4, 4), R gode della proprietà riflessiva.
La rappresentazione con i diagrammi sagittali di R è:
A
3
2
4
Figura 4.3: diagramma sagittale di x
y
Poiché nella rappresentazione con i diagrammi sagittali ogni elemento ha un cappio, R gode della
proprietà riflessiva.
La rappresentazione con i diagrammi cartesiani di R è:
37
CAPITOLO 4. RELAZIONI IN UN INSIEME
rA
4
3
2
rA
2
3
4
Figura 4.4: diagramma cartesiano di x
y
Poiché nella rappresentazione con i diagrammi cartesiani sono presenti tutti i punti della diagonale
principale, R gode della proprietà riflessiva.
4.2.2
Proprietà antiriflessiva
Definizione 4.2.2 (Antiriflessiva).
Una relazione R in un insieme A gode della proprietà antiriflessiva se e solo se
✚x
R
∀x ∈ A x✚
cioè ogni elemento non è in relazione con se stesso.
La relazione R in A, rappresentata per elencazione, gode della proprietà antiriflessiva se per ogni
elemento x di A il grafo non contiene la coppia (x, x).
La relazione R in A, rappresentata con i diagrammi sagittali, gode della proprietà antiriflessiva se
nessun elemento ha un cappio.
La relazione R in A, rappresentata con i diagrammi cartesiani, gode della proprietà antiriflessiva se
non sono presenti punti sulla diagonale principale.
Esempio 4.2.2.
Dato l’insieme
A = {2, 3, 4}
e la relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x < y con x, y ∈ A, verifichiamo se gode della
proprietà antiriflessiva.
Il grafo di R è:
G = {(2, 3), (2, 4), (3, 4)}
Poiché il grafo non contiene le coppie (2, 2), (3, 3), (4, 4), R gode della proprietà antiriflessiva.
La rappresentazione con i diagrammi sagittali di R è:
A
2
3
4
Figura 4.5: diagramma sagittale di x < y
38
4.2. PROPRIETÀ DELLE RELAZIONI IN UN INSIEME
Poiché nella rappresentazione con i diagrammi sagittali non ci sono cappi, R gode della proprietà
antiriflessiva.
La rappresentazione con i diagrammi cartesiani di R è:
rA
4
3
2
rA
2
3
4
Figura 4.6: diagramma cartesiano di x < y
Poiché nella rappresentazione con i diagrammi cartesiani non ci sono i punti sulla diagonale principale,
R gode della proprietà antiriflessiva.
4.2.3
Proprietà simmetrica
Definizione 4.2.3 (Simmetrica).
Una relazione R in un insieme A gode della proprietà simmetrica se e solo se
∀x, y ∈ A xRy ⇒ yRx
cioè se un elemento x è in relazione con un elemento y allora y deve essere in relazione con x
La relazione R in A, rappresentata per elencazione, gode della proprietà simmetrica se per ogni coppia
(x, y) esiste anche la coppia (y, x).
La relazione R in A, rappresentata con i diagrammi sagittali, gode della proprietà simmetrica se per
ogni freccia da x a y esiste la freccia da y a x.
La relazione R in A, rappresentata con i diagrammi cartesiani, gode della proprietà simmetrica se il
diagramma cartesiano è simmetrico rispetto alla diagonale principale.
Esempio 4.2.3.
Dato l’insieme
A = {2, 3, 4, 6}
e la relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x · y = 12 con x, y ∈ A, verifichiamo se gode
della proprietà simmetrica.
Il grafo di R è:
G = {(2, 6), (6, 2), (3, 4), (4, 3)}
Poiché il grafo contiene le coppie (2, 6), (6, 2) e le coppie (3, 4), (4, 3), R gode della proprietà simmetrica.
La rappresentazione con i diagrammi sagittali di R è:
39
CAPITOLO 4. RELAZIONI IN UN INSIEME
3
2
A
6
4
Figura 4.7: diagramma sagittale di x · y = 12
Poiché nella rappresentazione con i diagrammi sagittali per ogni freccia da x a y c’è una freccia da y
a x, R gode della proprietà simmetrica.
La rappresentazione con i diagrammi cartesiani di R è:
rA
6
4
3
2
rA
2
3
4
6
Figura 4.8: diagramma cartesiano di x · y = 12
Poiché il diagramma cartesiano è simmetrico rispetto alla diagonale principale, R gode della proprietà
simmetrica.
4.2.4
Proprietà antisimmetrica
Definizione 4.2.4 (Antisimmetrica).
Una relazione R in un insieme A gode della proprietà antisimmetrica se e solo se
✚x
∀x, y ∈ A x = y ∧ xRy ⇒ y✚
R
cioè se un elemento x è in relazione con un elemento y = x allora y non deve essere in relazione con x
La relazione R in A, rappresentata per elencazione, gode della proprietà antisimmetrica se per ogni
coppia (x, y) con x = y non esiste la coppia (y, x).
La relazione R in A, rappresentata con i diagrammi sagittali, gode della proprietà antisimmetrica se
per ogni freccia da x a y = x non esiste la freccia da y a x.
La relazione R in A, rappresentata con i diagrammi cartesiani, gode della proprietà antisimmetrica
se ogni punto non appartenente alla diagonale principale non ha il simmetrico rispetto alla diagonale
principale.
Esempio 4.2.4.
Dato l’insieme
A = {2, 3, 4}
40
4.2. PROPRIETÀ DELLE RELAZIONI IN UN INSIEME
e la relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x < y con x, y ∈ A, verifichiamo se gode della
proprietà antisimmetrica.
Il grafo di R è:
G = {(2, 3), (2, 4), (3, 4)}
Poiché il grafo contiene: la coppia (2, 3) ma non la coppia (3, 2), la coppia (2, 4) ma non la coppia
(4, 2), la coppia (3, 4) ma non la coppia (4, 3), R gode della proprietà antisimmetrica.
La rappresentazione con i diagrammi sagittali di R è:
2
A
3
4
Figura 4.9: diagramma sagittale di x < y
Poiché nella rappresentazione con i diagrammi sagittali per ogni freccia non c’è la freccia di ritorno,
R gode della proprietà antisimmetrica.
La rappresentazione con i diagrammi cartesiani di R è:
rA
4
3
2
rA
2
3
4
Figura 4.10: diagramma cartesiano di x < y
Poiché nella rappresentazione con i diagrammi cartesiani ogni punto non ha il simmetrico rispetto alla
diagonale principale R gode della proprietà antisimmetrica.
Esiste una definizione equivalente di proprietà antisimmetrica che può essere utile nelle dimostrazioni:
Definizione 4.2.5 (Antisimmetrica).
Una relazione R in un insieme A gode della proprietà antisimmetrica se e solo se
∀x, y ∈ A xRy ∧ yRx ⇒ x = y
cioè se un elemento x è in relazione con un elemento y e y è in relazione con x allora gli elementi sono
uguali
41
CAPITOLO 4. RELAZIONI IN UN INSIEME
4.2.5
Proprietà transitiva
Definizione 4.2.6 (Transitiva).
Una relazione R in un insieme A gode della proprietà transitiva se e solo se
∀x, y, z ∈ A xRy ∧ yRz ⇒ xRz
cioè se un elemento x è in relazione con un elemento y e y è in relazione con un elemento z allora x è
in relazione con z
La relazione R in A, rappresentata per elencazione, gode della proprietà transitiva se, quando esistono
le coppie (x, y), (y, z), esiste la coppia (x, z).
La relazione R in A, rappresentata con i diagrammi sagittali, gode della proprietà transitiva se quando
esistono le frecce da x a y e da y a z, esiste la freccia da x a z.
La rappresentazione con i diagrammi cartesiani non evidenzia la proprietà transitiva.
Esempio 4.2.5.
Dato l’insieme
A = {2, 3, 4}
e la relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x < y con x, y ∈ A, verifichiamo se gode della
proprietà transitiva.
Il grafo di R è:
G = {(2, 3), (2, 4), (3, 4)}
Poiché il grafo contiene: le coppie (2, 3), (3, 4) e la coppia (2, 4), R gode della proprietà transitiva.
La rappresentazione con i diagrammi sagittali di R è:
A
2
3
4
Figura 4.11: diagramma sagittale di x < y
Poiché nella rappresentazione con i diagrammi sagittali ci sono le frecce che vanno da 2 a 3 e da 3 a
4 e la freccia che va da 2 a 4, R gode della proprietà transitiva.
4.3
Relazione d’ordine
Definizione 4.3.1 (Relazione d’ordine).
Una relazione in un insieme si dice d’ordine se e solo se gode delle proprietà riflessiva, antisimmetrica,
transitiva.
Esempio 4.3.1.
La relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x y con x, y ∈ N gode delle proprietà riflessiva,
antisimmetrica e transitiva e quindi è una relazione d’ordine.
Definizione 4.3.2 (Relazione d’ordine stretto).
Una relazione in un insieme si dice d’ordine stretto se e solo se gode delle proprietà antiriflessiva,
antisimmetrica, transitiva.
42
4.3. RELAZIONE D’ORDINE
Esempio 4.3.2.
La relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x < y con x, y ∈ N gode delle proprietà
antiriflessiva, antisimmetrica e transitiva e quindi è una relazione d’ordine stretto.
Definizione 4.3.3 (Elementi confrontabili).
Data una relazione d’ordine R in un insieme A, due elementi x, y ∈ A con x = y si dicono confrontabili
se e solo se xRy ∨ yRx
Esempio 4.3.3.
• Sia R la relazione d’ordine definita nel seguente modo xRy ⇔ “x
5 e 3 sono confrontabili perché
3
y con x, y ∈ N, gli elementi
5
• Dato l’insieme A = {1, 2} e la relazione d’ordine R definita nel seguente modo XRY ⇔ “X ⊆ Y
con X, Y ∈ P(A), gli elementi {1} e {1, 2} sono confrontabili perché
{1} ⊆ {1, 2}
gli elementi {1} e {2} non sono confrontabili perché
{1} ⊆ {2} ∧ {2} ⊆ {1}
Definizione 4.3.4 (Relazione d’ordine totale).
Una relazione d’ordine R in un insieme A si dice totale se e solo se tutti gli elementi sono confrontabili,
in simboli
∀x, y ∈ A, con x = y
xRy ∨ yRx
Esempio 4.3.4.
La relazione d’ordine R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x
d’ordine totale
y con x, y ∈ N, è una relazione
Definizione 4.3.5 (Relazione d’ordine parziale).
Una relazione d’ordine R in un insieme A si dice parziale se e solo se non è totale
Esempio 4.3.5.
La relazione d’ordine R definita nel seguente modo XRY ⇔ “X ⊆ Y con X, Y ∈ P(A), è una
relazione d’ordine parziale
Osservazione
Le definizioni date valgono anche per le relazioni di ordine stretto.
4.3.1
Massimo e minimo di un insieme
Dati un insieme non vuoto A e una relazione d’ordine R in A, si hanno le seguenti definizioni:
Definizione 4.3.6 (Massimo).
Si dice che M ∈ A è il massimo di A, se e solo se ∀x ∈ A xRM e si indica con max (A).
Se il massimo esiste, è unico.
Esempio 4.3.6.
• Dati
A = {3, 4}
xRy ⇔ “x
y” con x, y ∈ A
si ha
max (A) = 4
43
CAPITOLO 4. RELAZIONI IN UN INSIEME
• Dati
A = R−
xRy ⇔ “x
y” con x, y ∈ A
il massimo non esiste
Definizione 4.3.7 (Minimo).
Si dice che m ∈ A è il minimo di A, se e solo se ∀x ∈ A mRx e si indica con min (A).
Se il minimo esiste, è unico.
Esempio 4.3.7.
• Dati
A = {3, 4}
xRy ⇔ “x
y” con x, y ∈ A
si ha
min (A) = 3
• Dati
A = R+
xRy ⇔ “x
y” con x, y ∈ A
il minimo non esiste
Osservazioni
1. Per determinare il minimo di un insieme A è sufficiente rispondere alla domanda: qual’è l’elemento di A “relazione” di tutti?
2. Per determinare il massimo di un insieme A è sufficiente rispondere alla domanda: tutti gli
elementi di A sono “relazione” di?
Esempio 4.3.8.
Dati
A = {2, 4, 8}
xRy ⇔ “x è multiplo di y” con x, y ∈ A
Qual’è l’elemento di A multiplo di tutti? 8, quindi
min (A) = 8
Tutti gli elementi di A sono multipli di? 2, quindi
max (A) = 2
44
4.4. RELAZIONE DI EQUIVALENZA
4.4
Relazione di equivalenza
Definizione 4.4.1 (Relazione di equivalenza).
Una relazione in un insieme si dice relazione di equivalenza se e solo se gode delle proprietà riflessiva,
simmetrica, transitiva.
Esempio 4.4.1.
Dato l’insieme
A = allievi del Pascal
La relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x frequenta la stessa classe di y” con x, y ∈ A
gode delle proprietà riflessiva, simmetrica e transitiva e quindi è una relazione di equivalenza
Definizione 4.4.2 (Classe di equivalenza).
Dati una relazione di equivalenza R in un insieme A e x ∈ A, si dice classe di equivalenza di rappresentante x l’insieme di tutti gli elementi di A che sono in relazione con x e si indica con [x], in
simboli:
[x] = {y ∈ A/yRx}
Osservazione
Ogni classe di equivalenza è un sottoinsieme dell’insieme A.
Esempio 4.4.2.
Dato l’insieme
A = allievi della classe
La relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x ha lo stesso sesso di y” con x, y ∈ A è una
relazione di equivalenza.
Si hanno due classi di equivalenza
[Davide] = {Davide,Luca, Alberto, Matteo, . . .}
[Manuela] = {Manuela, Francesca, Chiara, Giulia, . . .}
Come rappresentante della classe possiamo prendere un qualsiasi elemento della classe
[Davide] = [Luca]
Si può anche dare un nome alla classe: classe maschi e classe femmine:
maschi = {Davide,Luca, Alberto, Matteo, . . .}
femmine = {Manuela, Francesca, Chiara, Giulia, . . .}
Teorema 4.4.1 (Classi di equivalenza).
Data una relazione di equivalenza R in un insieme A, le classi di equivalenza che si ottengono
soddisfano le seguenti proprietà
1. nessuna classe di equivalenza è vuota.
2. l’unione delle classi di equivalenza dà A
3. le classi di equivalenza distinte sono disgiunte a due a due.
Dimostrazione
1. ∀a ∈ A consideriamo la classe [a]. Poiché vale la proprietà riflessiva si ha
aRa ⇒ a ∈ [a]
quindi la classe [a] contiene almeno l’elemento a.
45
CAPITOLO 4. RELAZIONI IN UN INSIEME
2. ∀a ∈ A, a ∈ [a] quindi l’unione delle classi di equivalenza dà A
3. Effettuiamo la dimostrazione per assurdo.
Siano [a] e [b] due classi di equivalenza distinte, cioè [a] = [b].
Supponiamo per assurdo che non siano disgiunte, cioè:
[a] ∩ [b] = ∅
quindi esiste c ∈ A tale che
c ∈ [a] ∧ c ∈ [b]
cioè
cRa ∧ cRb
poiché valgono le proprietà simmetrica e transitiva si ha
aRc ∧ cRb
aRb
quindi
[a] = [b]
questo è assurdo perché, per ipotesi,
[a] = [b]
Teorema 4.4.2 (Classi di equivalenza e partizione).
Data una relazione di equivalenza R in un insieme A, le classi di equivalenza che si ottengono formano
una partizione di A
La dimostrazione è ovvia in base alle proprietà appena viste sulle classi di equivalenza.
Definizione 4.4.3 (Insieme quoziente).
Data una relazione di equivalenza R in un insieme A, si dice insieme quoziente di A rispetto a R e si
indica con A/R l’insieme che ha come elementi le classi di equivalenza, in simboli:
A/R = {[a]/a ∈ A}
Esempio 4.4.3.
Dato l’insieme
A = allievi della classe
La relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x ha lo stesso sesso di y con x, y ∈ A individua
le classi di equivalenza: maschi, femmine.
L’insieme quoziente è
A/R = {maschi, femmine}
46
4.4. RELAZIONE DI EQUIVALENZA
4.4.1
Classi di resto
Definizione 4.4.4 (Numeri congrui modulo n).
Si dice che due numeri a, b ∈ Z sono congrui modulo n (con n ∈ N0 ) se e solo se divisi per n danno lo
stesso resto.
Esempio 4.4.4.
I numeri 7 e 4 sono congrui modulo 3, infatti divisi per 3 danno entrambi resto 1.
La relazione R definita nel seguente modo xRy ⇔ “x è congruo modulo n con y” con x, y ∈ Z gode
delle proprietà riflessiva, simmetrica, transitiva e quindi è una relazione di equivalenza.
Le classi di equivalenza, dette classi di resto sono:
[0] formata da tutti i numeri interi che divisi per n danno resto 0,
[1] formata da tutti i numeri interi che divisi per n danno resto 1,
...
[n − 1] formata da tutti i numeri interi che divisi per n danno resto n − 1.
L’insieme quoziente è
Z/R = Zn = {[0], [1], [2], . . . , [n − 1]}
Esempio 4.4.5.
Le classi di resto modulo 3 sono
[0] = {0, ±3, ±6, ±9, . . .}
[1] = {. . . , −8, −5, −2, 1, 4, 7, . . .}
[2] = {. . . , −7, −4, −1, 2, 5, 8, . . .}
L’insieme quoziente è
Z3 = {[0], [1], [2]}
47
Capitolo 5
Numeri naturali
5.1
Introduzione
I numeri naturali hanno origine antica, sono nati per contare per esempio le pecore solo in seguito
diventarono astratti. Se pensate al numero 4 non dovete per forza associarlo a qualcosa come le stagioni,
o come i punti cardinali, il 4 indica qualcosa comune ai due insiemi, il loro numero di elementi.
L’insieme dei numeri naturali è infinito e viene indicato con N.
N = {0, 1, 2, 3, 4, 5, . . .}
Con N0 indichiamo l’insieme dei numeri naturali privati dello 0:
N0 = {1, 2, 3, 4, 5, . . .}
5.2
Addizione e moltiplicazione
Nell’insieme dei numeri naturali sono definite due operazioni: l’addizione e la moltiplicazione.
L’addizione si indica con +: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ N × N viene associato c = a + b ∈ N; a e
b si dicono addendi, c si dice somma.
La moltiplicazione si indica con ·: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ N × N viene associato c = a · b ∈ N;
a e b si dicono fattori, c si dice prodotto.
5.2.1
Proprietà
Vediamo ora alcune proprietà dell’addizione
1. proprietà commutativa:
∀a, b ∈ N a + b = b + a
2. proprietà associativa:
∀a, b, c ∈ N a + (b + c) = (a + b) + c
3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro:
∃0 ∈ N/∀a ∈ N a + 0 = 0 + a = a
Vediamo ora alcune proprietà della moltiplicazione
1. proprietà commutativa:
∀a, b ∈ N a · b = b · a
48
5.2. ADDIZIONE E MOLTIPLICAZIONE
2. proprietà associativa:
∀a, b, c ∈ N a · (b · c) = (a · b) · c
3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro:
∃1 ∈ N/∀a ∈ N a · 1 = 1 · a = a
Vale inoltre la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione:
∀a, b, c ∈ N a · (b + c) = (a · b) + (a · c)
∀a, b, c ∈ N (a + b) · c = (a · c) + (b · c)
Oltre alle proprietà viste la moltiplicazione gode delle seguenti proprietà
1. proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore:
∃0 ∈ N/∀a ∈ N a · 0 = 0 · a = 0
2. legge di annullamento del prodotto
∀a, b ∈ N a · b = 0 ⇔ a = 0 ∨ b = 0
Osservazione
La proprietà associativa ci permette di scrivere la somma o il prodotto di più numeri senza parentesi.
Esempio 5.2.1.
• 3 + (2 + 5) = 3 + 2 + 5 = 10
• 3 · (2 · 5) = 3 · 2 · 5 = 30
5.2.2
Precedenza delle operazioni
Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza:
1. moltiplicazione
2. addizione
Esempio 5.2.2.
Semplifichiamo l’espressione
5 + 3 · 2 + 4 · (2 + 2 · 7) =
5 + 6 + 4 · (2 + 14) =
11 + 4 · 16 =
11 + 64 = 75
49
CAPITOLO 5. NUMERI NATURALI
5.3
Relazioni nell’insieme dei numeri naturali
5.3.1
Relazioni minore e maggiore
Definizione 5.3.1 (Relazione minore o uguale).
Dati a, b ∈ N si dice che a è minore o uguale di b se e solo se esiste d ∈ N tale che a + d = b, in simboli:
a
b ⇔ ∃d ∈ N/a + d = b con a, b ∈ N
Esempio 5.3.1.
• 3
5
perché
∃2 ∈ N/3 + 2 = 5
• 3
3
perché
∃0 ∈ N/3 + 0 = 3
Teorema 5.3.1 (Relazione minore o uguale).
La relazione minore o uguale in N è d’ordine.
Dimostrazione
1. proprietà riflessiva: ∀x ∈ N x
Poiché
x
∃0 ∈ N/∀x ∈ N x + 0 = x
si ha
∀x ∈ N x
x
2. proprietà antisimmetrica: ∀x, y ∈ N x
x
y∧y
y
si ha
∃d ∈ N/x + d = y
Poiché
y
x
si ha
∃e ∈ N/y + e = x
sostituendo x con y + e in x + d = y si ottiene
(y + e) + d = y
y + (e + d) = y
e+d=0
e=0∧d=0
e quindi
x+0=y
x=y
50
x ⇒ x = y Poiché
5.3. RELAZIONI NELL’INSIEME DEI NUMERI NATURALI
3. proprietà transitiva: ∀x, y, z ∈ N x
Poiché
x
y∧y
z⇒x
z
y
si ha
∃d ∈ N/x + d = y
Poiché
y
z
si ha
∃e ∈ N/y + e = z
sostituendo y con x + d in y + e = z si ottiene
(x + d) + e = z
x + (d + e) = z
ponendo d + e = f si ha
x+f =z
cioè
x
z
Osservazione
Il minimo rispetto alla relazione minore o uguale in N è 0, il massimo non esiste
Definizione 5.3.2 (Relazione minore ).
Dati a, b ∈ N si dice che a è minore di b se e solo se a è minore o uguale di b e a è diverso da b, in
simboli:
a<b⇔a
b ∧ a = b con a, b ∈ N
Esempio 5.3.2.
3<5
perché
3
5∧3=5
Definizione 5.3.3 (Relazione maggiore o uguale).
Dati a, b ∈ N si dice che a è maggiore o uguale di b se e solo se b è minore o uguale di a, in simboli:
a
b⇔b
a con a, b ∈ N
Esempio 5.3.3.
5
3
perché
3
5
51
CAPITOLO 5. NUMERI NATURALI
Definizione 5.3.4 (Relazione maggiore).
Dati a, b ∈ N si dice che a è maggiore di b se e solo se b è minore di a, in simboli:
a > b ⇔ b < a con a, b ∈ N
Esempio 5.3.4.
5>3
perché
3<5
La relazione d’ordine minore o uguale è totale e permette di rappresentare i numeri naturali su una
retta orientata.
0
1
2
3
4
5
6
7
8
Figura 5.1: numeri naturali
Ogni numero naturale ammette successivo: il successivo di n è n + 1
Esempio 5.3.5.
Il successivo di 5 è 6
Compatibilità
La relazione d’ordine minore o uguale è compatibile con le operazioni di addizione e moltiplicazione:
• ∀a, b, c ∈ N a
b⇒a+c
• ∀a, b ∈ N, c ∈ N0 a
b+c
b⇒a·c
b·c
La compatibilità vale anche per le relazioni minore, maggiore o uguale, maggiore, uguale.
5.3.2
Relazioni divisore e multiplo
Definizione 5.3.5 (Relazione divisore).
Dati a, b ∈ N si dice che a è divisore di b se e solo se esiste q ∈ N tale che aq = b, in simboli:
a|b ⇔ ∃q ∈ N/aq = b con a, b ∈ N
Esempio 5.3.6.
• 3|6
perché
∃2 ∈ N/3 · 2 = 6
• 3|3
perché
∃1 ∈ N/3 · 1 = 3
52
5.3. RELAZIONI NELL’INSIEME DEI NUMERI NATURALI
• 3|0
perché
∃0 ∈ N/3 · 0 = 0
• 0|0
perché
∃3 ∈ N/0 · 3 = 0
Teorema 5.3.2 (Relazione divisore).
La relazione divisore in N è d’ordine.
Dimostrazione
1. proprietà riflessiva: ∀x ∈ N x|x
Poiché
∃1 ∈ N/∀x ∈ N x · 1 = x
si ha
∀x ∈ N x|x
2. proprietà antisimmetrica:∀x, y ∈ N x|y ∧ y|x ⇒ x = y
Poiché
x|y
si ha
∃q ∈ N/x · p = y
Poiché
y|x
si ha
∃p ∈ N/y · q = x
sostituendo x con y · q in x · p = y si ottiene
(y · q) · p = y
y · (q · p) = y
q·p=1
q =1∧p=1
e quindi
x·1=y
x=y
53
CAPITOLO 5. NUMERI NATURALI
3. proprietà transitiva: ∀x, y, z ∈ N x|y ∧ y|z ⇒ x|z
Poiché
x|y
si ha
∃p ∈ N/x · p = y
Poiché
y|z
si ha
∃q ∈ N/y · q = z
sostituendo y con x · p in y · q = z si ottiene
(x · p) · q = z
x · (p · q) = z
ponendo p · q = r si ha
x·r =z
cioè
x|z
Osservazioni
1. La relazione divisore in N è di ordine parziale perché per esempio 2 non è in relazione con 3.
2. Il minimo rispetto alla relazione divisore in N è 1, il massimo è 0
Definizione 5.3.6 (Relazione multiplo).
Dati a, b ∈ N si dice che a è multiplo di b se e solo se b è divisore di a, in simboli:
a è multiplo di b ⇔ b|a con a, b ∈ N
Esempio 5.3.7.
• 6 è multiplo di 3
perché
3|6
• 0 è multiplo di 3
perché
3|0
• 0 è multiplo di 0
perché
0|0
54
5.4. SOTTRAZIONE
Definizione 5.3.7 (Numero pari).
Un numero naturale si dice pari se è un multiplo di 2
L’insieme dei numeri pari naturali si indica con P
Definizione 5.3.8 (Numero dispari).
Un numero naturale si dice dispari se non è un multiplo di 2
L’insieme dei numeri dispari naturali si indica con D
Esempio 5.3.8.
• 6 è un numero pari perché è un multiplo di 2
• 0 è un numero pari perché è un multiplo di 2
• 5 è un numero dispari perché è non un multiplo di 2
Osservazione
Un generico numero pari si indica con 2n e un generico numero dispari si indica con 2n + 1 dove n ∈ N
5.4
Sottrazione
La sottrazione è un’operazione che non è sempre possibile effettuare in N.
La sottrazione si indica con − ed è definita nel seguente modo: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ N × N
con a b viene associato d = a − b che è il numero naturale che addizionato a b dà a. In simboli
a − b = d ⇔ a = b + d con a, b, d ∈ N ∧ a
b
a si dice minuendo, b si dice sottraendo, d si dice differenza.
Esempio 5.4.1.
• 3−2=1
perché
1+2=3
• 3−4
non si può effettuare perché 3 < 4
Osservazione
La sottrazione non gode delle proprietà commutativa e associativa
5.4.1
Precedenza delle operazioni
Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza:
1. moltiplicazione
2. addizione, sottrazione
Esempio 5.4.2.
Semplifichiamo l’espressione
(5 · 4 − 2 · 7 + 1) · 2 + 3 − 6 · 2 =
(20 − 14 + 1) · 2 + 3 − 12 =
7 · 2 + 3 − 12 =
14 + 3 − 12 = 17 − 12 = 5
55
CAPITOLO 5. NUMERI NATURALI
5.5
Divisione
La divisione è un’operazione che non è sempre possibile effettuare in N
La divisione si indica con : ed è definita nel seguente modo: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ N × N0
con a multiplo di b viene associato q = a : b che è il numero naturale che moltiplicato per b dà a In
simboli
a : b = q ⇔ a = b · q con a, q ∈ N, b ∈ N0 ∧ a multiplo di b
a si dice dividendo, b si dice divisore, q si dice quoziente
Esempio 5.5.1.
• 6:2=3
perché
3·2=6
• 3:2
non si può effettuare perché 3 non è multiplo di 2
Osservazioni
1. La divisione non gode delle proprietà commutativa e associativa.
2. La divisione gode della proprietà distributiva a destra rispetto all’addizione e alla sottrazione:
∀a, b ∈ N, c ∈ N0 con a, b multipli di c (a + b) : c = (a : c) + (b : c)
∀a, b ∈ N, c ∈ N0 con a, b multipli di c ∧ a
b (a − b) : c = (a : c) − (b : c)
3. Non si può dividere a = 0 per 0, perchè nessun numero naturale moltiplicato per 0 dà a quindi
un numero naturale non nullo diviso 0 è impossibile.
4. 0 : 0 è indeterminato perché qualsiasi numero naturale moltiplicato per 0 dà 0
5. Se a = 0 allora 0 : a = 0
5.5.1
Precedenza delle operazioni
Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza:
1. moltiplicazione, divisione
2. addizione, sottrazione
Esempio 5.5.2.
Semplifichiamo l’espressione
[5 · (10 − 2) + 12 : (10 + 2)] · 2 − 3 · (8 − 2 · 3) =
[5 · 8 + 12 : 12] · 2 − 3 · (8 − 6) =
[40 + 1] · 2 − 3 · 2 =
41 · 2 − 6 = 82 − 6 = 76
56
5.6. POTENZA
5.6
Potenza
Definizione 5.6.1 (Potenza).
Si dice potenza avente per base un numero naturale a ed esponente un numero naturale n > 1 il
prodotto di n fattori uguali ad a. In simboli:
an = a · . . . · a, con an , n ∈ N ∧ n > 1
n
La condizione n > 1 è dovuta al fatto che per effettuare un prodotto occorrono due fattori, perciò,
secondo la definizione data, non si può parlare di potenza con esponente 0 o 1. Si pone per convenzione:
a1 = a
e, per a = 0,
a0 = 1
00 non ha significato
Esempio 5.6.1.
• 23 = 2 · 2 · 2 = 8
• 21 = 2
• 20 = 1
5.6.1
Proprietà delle potenze
Per le potenze valgono le seguenti proprietà:
1. ap · aq = ap+q
2. ap : aq = ap−q con p
q
3. (ap )q = ap·q
4. ap · bp = (a · b)p
5. ap : bp = (a : b)p con a multiplo di b
con a, b ∈ N0 , p, q ∈ N
Esempio 5.6.2.
• 23 · 25 = 28
• 35 : 32 = 33
• 23
4
= 212
• 23 · 43 = 83
• 63 : 23 = 33
57
CAPITOLO 5. NUMERI NATURALI
5.6.2
Precedenza delle operazioni
Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza:
1. potenza
2. moltiplicazione, divisione
3. addizione, sottrazione
Esempio 5.6.3.
Semplifichiamo l’espressione
î
23 + 22 ·
12 − 32 · (15 − 13 + 2) : 62
ó2
: 11 + 26 : 23 − 24 : 6 − 32 =
23 + 22 · [12 − 9 · 4 : 36]2 : 11 + 23 − 24 : 6 − 32 =
¶
¶
©
©
23 + 22 · 112 : 11 + 8 − 16 : 6 − 32 =
23 + 22 · {11 + 8 − 16} : 6 − 32 =
8+4·3:6−9=
8+2−9=1
5.7
Criteri di divisibilità
I criteri di divisibilità ci permottono di stabilire se un numero è divisibile per un altro senza effettuare
la divisione.
1. Un numero naturale è divisibile per 2 se l’ultima cifra è pari
2. Un numero naturale è divisibile per 3 se la somma delle cifre è un multiplo di 3
3. Un numero naturale è divisibile per 5 se l’ultima cifra è 0 o 5
4. Un numero naturale è divisibile per 11 se la differenza tra la somma delle cifre di posto pari e
la somma delle cifre di posto dispari è un multiplo di 11
Esempio 5.7.1.
• 328 è divisibile per 2 perché l’ultima cifra è 2 che è pari
• 324 è divisibile per 3 perché la somma delle cifre è 9 che è un multiplo di 3
• 325 è divisibile per 5 perché l’ultima cifra è 5
• 1221 è divisibile per 11 perché la differenza tra la somma delle cifre di posto pari e la somma
delle cifre di posto dispari è 0 che è un multiplo di 11
5.8
Numeri primi
Definizione 5.8.1 (Numero primo).
Si dice numero primo un numero naturale maggiore di 1 che ha come divisori solo 1 e se stesso
Esempio 5.8.1.
I numeri
2, 3, 5, 7, 11, 13, 17, 19
sono primi
58
5.9. MASSIMO COMUNE DIVISORE E MINIMO COMUNE MULTIPLO
Teorema 5.8.1 (Numeri primi infiniti).
L’insieme dei numeri primi è infinito
Teorema 5.8.2 (Teorema fondamentale dell’aritmetica).
Ogni numero naturale maggiore di 1 si può scrivere come prodotto di fattori primi e tale scomposizione
è unica, a meno dell’ordine dei fattori
Esempio 5.8.2.
Scomponiamo in fattori il numero 328
328
164
82
41
1
2
2
2
41
328 = 23 · 41
5.9
Massimo comune divisore e minimo comune multiplo
Definizione 5.9.1 (Massimo comune divisore).
Si dice massimo comune divisore di due numeri a, b ∈ N0 il maggiore dei divisori comuni ad a e a b e
si indica con MCD(a, b)
Osservazione
MCD(a, b) = MCD(b, a)
Esempio 5.9.1.
Consideriamo i numeri 12 e 18.
I divisori di 12 sono
1, 2, 3, 4, 6, 12
I divisori di 18 sono
1, 2, 3, 6, 9, 18
I divisori comuni di 12 e 18 sono
1, 2, 3, 6
il maggiore dei divisori comuni è
6
Quindi
MCD(12, 18) = 6
Per calcolare il MCD(a, b), con a = 1 ∧ b = 1:
1. si scompongono a e b in fattori primi
2. il massimo comune divisore è il prodotto dei fattori comuni presi una volta sola con il minimo
esponente, 1 se non ci sono fattori comuni
Inoltre
MCD(a, 1) = 1
59
CAPITOLO 5. NUMERI NATURALI
Esempio 5.9.2.
Consideriamo i numeri 12 e 18.
Scomponiamo 12:
12 = 22 · 3
Scomponiamo 18:
18 = 2 · 32
Quindi
MCD(12, 18) = 2 · 3 = 6
Osservazione
Il massimo comune divisore si può estendere a più di due numeri naturali
Esempio 5.9.3.
Calcoliamo il massimo comune divisore di 16, 24, 36.
Scomponiamo 16:
16 = 24
Scomponiamo 24:
24 = 23 · 3
Scomponiamo 36:
36 = 22 · 32
Quindi
MCD(16, 24, 36) = 22 = 4
Definizione 5.9.2 (Numeri primi tra loro).
Due numeri a, b ∈ N0 si dicono primi tra loro se MCD(a, b) = 1
Esempio 5.9.4.
Consideriamo i numeri 15 e 16.
Scomponiamo 15:
15 = 3 · 5
Scomponiamo 16:
16 = 24
MCD(15, 16) = 1
quindi 15 e 16 sono primi tra loro
Osservazione
Due numeri primi tra loro non necessariamente sono primi.
Definizione 5.9.3 (Minimo comune multiplo).
Si dice minimo comune multiplo di due numeri a, b ∈ N0 il minore dei multipli non nulli comuni ad a
e a b e si indica con mcm(a, b)
Osservazione
mcm(a, b) = mcm(b, a)
60
5.9. MASSIMO COMUNE DIVISORE E MINIMO COMUNE MULTIPLO
Esempio 5.9.5.
Consideriamo i numeri 12 e 18.
I multipli di 12 escluso lo 0 sono
12, 24, 36, 48, 60, 72, . . .
I multipli di 18 escluso lo 0 sono
18, 36, 54, 72, . . .
I multipli comuni non nulli di 12 e 18 sono
36, 72, . . .
il minore dei multipli comuni è
36
Quindi
mcm(12, 18) = 36
Per calcolare il mcm(a, b), con a = 1 ∧ b = 1:
1. si scompongono a e b in fattori primi
2. il minimo comune multiplo è il prodotto dei fattori comuni e non comuni presi una volta sola
con il massimo esponente
Inoltre
mcm(a, 1) = a
Esempio 5.9.6.
Consideriamo i numeri 12 e 18.
Scomponiamo 12:
12 = 22 · 3
Scomponiamo 18:
18 = 2 · 32
Quindi
mcm(12, 18) = 22 · 32 = 36
Osservazione
Il minimo comune multiplo si può estendere a più di due numeri naturali
Esempio 5.9.7.
Calcoliamo il minimo comune multiplo di 16, 24, 36.
Scomponiamo 16:
16 = 24
Scomponiamo 24:
24 = 23 · 3
Scomponiamo 36:
36 = 22 · 32
Quindi
mcm(16, 24, 36) = 24 · 32 = 144
61
CAPITOLO 5. NUMERI NATURALI
Teorema 5.9.1 (Massimo comune divisore e minimo comune multiplo).
Il prodotto tra il massimo comune divisore e il minimo comune multiplo di due numeri è uguale al
prodotto dei due numeri. In simboli:
MCD(a, b) · mcm(a, b) = a · b
Esempio 5.9.8.
Consideriamo i numeri 12 e 18
MCD(12, 18) = 6
mcm(12, 18) = 36
12 · 18 = 216
6 · 36 = 216
5.9.1
Algortimo di Euclide
L’algoritmo di Euclide è un metodo alternativo a quello visto per il calcolo del massimo comune
divisore di due numeri.
Teorema 5.9.2.
Dati due numeri naturali non nulli a, b con a > b, se il numero naturale non nullo c è divisore di a e
di b, allora c è divisore di a − b
Dimostrazione
Poiché c è divisore di a
∃h ∈ N0 /a = hc
Poiché c è divisore di b
∃k ∈ N0 /b = kc
Sottraendo membro a membro si ottiene
a − b = hc − kc
Applicando la proprietà distributiva si ha
a − b = c(h − k)
quindi c è divisore di a − b
Teorema 5.9.3.
Dati due numeri naturali non nulli a, b con a > b, si ha
MCD(a, b) = MCD(a − b, b)
Dimostrazione
Se d è il massimo comune di a e b è, per il teorema precedente, divisore di a − b e b. Poiché a − b < a,
d è il massimo comune divisore di a − b e b
L’algoritmo di Euclide si basa sul teorema precedente. Dati a, b ∈ N0 con a > b, per calcolare
MCD(a, b) con l’algoritmo di Euclide:
1. si calcola la differenza tra il maggiore e il minore
2. se la differenza è uguale al minore allora essa è il MCD(a, b), altrimenti si ripete il procedimento
tra la differenza e il minore
62
5.9. MASSIMO COMUNE DIVISORE E MINIMO COMUNE MULTIPLO
Esempio 5.9.9.
Consideriamo i numeri 12 e 18
Calcoliamo
18 − 12 = 6
Consideriamo i numeri 12 e 6, calcoliamo
12 − 6 = 6
Poiché la differenza è uguale al numero minore si ha
MCD(12, 18) = 6
63
Capitolo 6
Numeri interi
6.1
Introduzione
Abbiamo visto che i numeri naturali sono nati per contare gli elementi di un insieme. I numeri naturali
non sono sufficienti per risolvere alcuni problemi pratici come, per esempio, esprimere una temperatura.
Si è quindi ampliato l’insieme dei numeri naturali introducendo l’insieme dei numeri interi.
I numeri interi si esprimono scrivendo i numeri naturali preceduti dal segno − (numeri interi negativi)
o dal segno + (numeri interi positivi). Lo 0 non è preceduto da alcun segno.
L’insieme dei numeri interi è infinito e viene indicato con Z.
Z = {. . . , −5, −4, −3, −2, −1, 0, +1, +2, +3, +4, +5, . . .}
Con Z− indichiamo l’insieme dei numeri interi negativi
Z− = {. . . , −3, −2, −1}
Con Z+ indichiamo l’insieme dei numeri interi positivi
Z+ = {+1, +2, +3, . . .}
Con Z0 indichiamo l’insieme dei numeri interi privati dello 0:
Z0 = {. . . , −5, −4, −3, −2, −1, +1, +2, +3, +4, +5, . . .}
6.2
Numeri interi come classi di equivalenza
Precedentemente abbiamo introdotto i numeri interi in modo intuitivo, vediamo ora una definizione
più formale.
Definizione 6.2.1 (Numeri interi).
Si dice numero intero ciascuna delle classi di equivalenza che si ottengono dalla relazione di equivalenza
R in N × N definita nel seguente modo:
(a, b)R(c, d) ⇔ a + d = b + c con (a, b), (c, d) ∈ N × N
Dimostriamo che R è una relazione di equivalenza.
1. proprietà riflessiva
∀(a, b) ∈ N × N (a, b)R(a, b)
infatti
a+b=b+a
64
6.2. NUMERI INTERI COME CLASSI DI EQUIVALENZA
2. proprietà simmetrica
∀(a, b), (c, d) ∈ N × N (a, b)R(c, d) ⇒ (c, d)R(a, b)
infatti se
(a, b)R(c, d)
allora
a+d=b+c
da cui
c+b=d+a
e quindi
(c, d)R(a, b)
3. proprietà transitiva
∀(a, b), (c, d), (e, f ) ∈ N × N (a, b)R(c, d) ∧ (c, d)R(e, f ) ⇒ (a, b)R(e, f )
infatti se
(a, b)R(c, d) ∧ (c, d)R(e, f )
allora
a+d=b+c∧c+f =d+e
sommando membro a membro si ottiene
a+d+c+f =b+c+d+e
a + f + (c + d) = b + e + (c + d)
cioè
a+f =b+e
e quindi
(a, b)R(e, f )
Esempio 6.2.1.
• [(2, 0)] = {(2, 0), (3, 1), (4, 2), (5, 3), . . .}
• [(3, 0)] = {(3, 0), (4, 1), (5, 2), (6, 3), . . .}
• [(0, 0)] = {(0, 0), (1, 1), (2, 2), (3, 3), . . .}
• [(0, 2)] = {(0, 2), (1, 3), (2, 4), (3, 5), . . .}
L’insieme dei numeri interi Z è l’insieme quoziente:
Z = (N × N)/R
Z = {. . . , [(0, 2)], [(0, 1)], [(0, 0)], [(1, 0)], [(2, 0)], . . .}
Per semplificare la notazione la classe di equivalenza [(2, 0)] viene indicata con +2, la classe di equivalenza [(0, 2)] viene indicata con −2, e la classe di equivalenza [(0, 0)] viene indicata con 0; con la
notazione introdotta si ha
Z = {. . . , −2, −1, 0, +1, +2, . . .}
65
CAPITOLO 6. NUMERI INTERI
6.3
Addizione e moltiplicazione
Nell’insieme dei numeri interi sono definite due operazioni: l’addizione e la moltiplicazione.
L’addizione si indica con +: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ Z × Z viene associato c = a + b ∈ Z; a e b
si dicono addendi, c si dice somma.
La moltiplicazione si indica con ·: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ Z × Z viene associato c = a · b ∈ Z;
a e b si dicono fattori, c si dice prodotto.
6.3.1
Addizione con le classi di equivalenza
L’addizione è definita nel seguente modo:
∀[(a, b)], [(c, d)] ∈ Z [(a, b)] + [(c, d)] = [(a + c, b + d)]
Esempio 6.3.1.
• [(2, 0)] + [(3, 0)] = [(5, 0)]
cioè
(+2) + (+3) = +5
• [(2, 0)] + [(0, 3)] = [(2, 3)] = [(0, 1)]
cioè
(+2) + (−3) = −1
• [(4, 0)] + [(0, 3)] = [(4, 3)] = [(1, 0)]
cioè
(+4) + (−3) = +1
• [(0, 5)] + [(0, 3)] = [(0, 8)]
cioè
(−5) + (−3) = −8
6.3.2
Moltiplicazione con le classi di equivalenza
La moltiplicazione è definita nel seguente modo:
∀[(a, b)], [(c, d)] ∈ Z [(a, b)] · [(c, d)] = [(ac + bd, ad + bc)]
Esempio 6.3.2.
• [(2, 0)] · [(3, 0)] = [(6, 0)]
cioè
(+2) · (+3) = +6
• [(2, 0)] · [(0, 3)] = [(0, 6)]
cioè
(+2) · (−3) = −6
66
6.3. ADDIZIONE E MOLTIPLICAZIONE
• [(0, 3)] · [(4, 0)] = [(0, 12)]
cioè
(−3) · (+4) = −12
• [(0, 5)] · [(0, 3)] = [(15, 0)]
cioè
(−5) · (−3) = 15
6.3.3
Proprietà
Vediamo ora alcune proprietà dell’addizione
1. proprietà commutativa:
∀a, b ∈ Z a + b = b + a
2. proprietà associativa:
∀a, b, c ∈ Z a + (b + c) = (a + b) + c
3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro:
∃0 ∈ Z/∀a ∈ Z a + 0 = 0 + a = a
4. proprietà di esistenza dell’elemento opposto:
∀a ∈ Z ∃ − a ∈ Z/a + (−a) = −a + a = 0
Vediamo ora alcune proprietà della moltiplicazione
1. proprietà commutativa:
∀a, b ∈ Z a · b = b · a
2. proprietà associativa:
∀a, b, c ∈ Z a · (b · c) = (a · b) · c
3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro:
∃ + 1 ∈ Z/∀a ∈ Z a · (+1) = +1 · a = a
Vale inoltre la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione:
∀a, b, c ∈ Z a · (b + c) = (a · b) + (a · c)
∀a, b, c ∈ Z (a + b) · c = (a · c) + (b · c)
Oltre alle proprietà viste la moltiplicazione gode delle seguenti proprietà
1. proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore:
∃0 ∈ Z/∀a ∈ Z a · 0 = 0 · a = 0
2. legge di annullamento del prodotto
∀a, b ∈ Z a · b = 0 ⇔ a = 0 ∨ b = 0
67
CAPITOLO 6. NUMERI INTERI
6.3.4
Numeri interi concordi e discordi
Definizione 6.3.1 (Concordi).
Due numeri interi non nulli si dicono concordi se hanno lo stesso segno
Esempio 6.3.3.
• I numeri interi +3 e +7 sono concordi.
• I numeri interi −5 e −27 sono concordi.
Definizione 6.3.2 (Discordi).
Due numeri interi non nulli si dicono discordi se hanno segno diverso
Esempio 6.3.4.
• I numeri interi +2 e −7 sono discordi.
• I numeri interi −5 e +3 sono discordi.
6.3.5
Valore assoluto
Definizione 6.3.3 (Valore assoluto).
Si dice valore assoluto la funzione | | : Z → N definita nel seguente modo:
|0| = 0
| + n| = n
| − n| = n
con n ∈ N0
Esempio 6.3.5.
• | + 3| = 3
• | − 2| = 2
Osservazione
L’opposto di un numero intero a = 0 è il numero che ha lo stesso valore assoluto di a e segno diverso
da quello di a; l’opposto di 0 è 0
Esempio 6.3.6.
• L’opposto di +3 è −3.
• L’opposto di −5 è +5.
6.3.6
Regola per l’addizione
Dalla definizione di addizione con le classi di equivalenza si deduce la seguente regola:
1. la somma di due numeri interi concordi è il numero intero concorde con essi che ha come valore
assoluto la somma dei valori assoluti;
2. la somma di due numeri interi discordi, non opposti, è il numero intero concorde con l’addendo
di valore assoluto maggiore e avente come valore assoluto la differenza tra il valore assoluto
maggiore e il valore assoluto minore;
3. la somma di due numeri interi opposti è uguale a zero
4. la somma un numero intero con 0 è il numero intero
Esempio 6.3.7.
68
6.4. SOTTRAZIONE
• (+3) + (+2) = +5
• (−3) + (−2) = −5
• (+3) + (−2) = +1
• (−3) + (+2) = −1
• (−3) + (+3) = 0
• 0 + (−3) = −3
6.3.7
Regola per la moltiplicazione
Dalla definizione di moltiplicazione con le classi di equivalenza si deduce la seguente regola:
1. il prodotto di due numeri interi concordi è il numero positivo che ha per valore assoluto il
prodotto dei valori assoluti;
2. il prodotto di due numeri interi discordi è il numero negativo che ha per valore assoluto il
prodotto dei valori assoluti;
3. il prodotto di un numero intero per zero è uguale a zero.
Esempio 6.3.8.
• (+3) · (+2) = +6
• (−3) · (−2) = +6
• (+3) · (−2) = −6
• (−3) · 0 = 0
6.3.8
Precedenza delle operazioni
Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza:
1. moltiplicazione
2. addizione
Esempio 6.3.9.
Semplifichiamo l’espressione
((+2) + (−5) + (−3)) · (−2) + ((−3) + (+4) + (+1)) · (+2) =
(−6) · (−2) + (+2) · (+2)
(+12) + (+4) = +16
6.4
Sottrazione
Definizione 6.4.1 (Differenza).
La differenza fra due numeri interi a e b è la somma di a con l’opposto di b. In simboli
a − b = a + (−b)
Esempio 6.4.1.
(+3) − (−5) = (+3) + (+5) = +8
Osservazione
La sottrazione non gode delle proprietà commutativa e associativa.
69
CAPITOLO 6. NUMERI INTERI
6.4.1
Precedenza delle operazioni
Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza:
1. moltiplicazione
2. addizione, sottrazione
Esempio 6.4.2.
Semplifichiamo l’espressione
((−2) · ((−3) − (+4) − (−6)) − (−1) · ((+3) + (−6) − (+3)) + (+1) =
(−2) · (−1) − (−1) · (−6) + (+1) =
(+2) − (+6) + (+1) = −3
6.5
Relazioni nell’insieme dei numeri interi
6.5.1
Relazioni minore e maggiore
Definizione 6.5.1 (Relazione minore o uguale).
Dati a, b ∈ Z si dice che a è minore o uguale di b se e solo se esiste d ∈ Z+ ∪ {0} tale che a + d = b,
in simboli:
a
b ⇔ ∃d ∈ Z+ ∪ {0}/a + d = b con a, b ∈ Z
Esempio 6.5.1.
• +3
+5
perché
∃ + 2 ∈ Z+ ∪ {0}/(+3) + (+2) = +5
• +3
+3
perché
∃0 ∈ Z+ ∪ {0}/(+3) + 0 = +3
• −3
+2
perché
∃ + 5 ∈ Z+ ∪ {0}/(−3) + (+5) = +2
• −5
−2
perché
∃ + 3 ∈ Z+ ∪ {0}/(−5) + (+3) = −2
Riassumendo:
1. se due numeri sono entrambi positivi, il minore o uguale è quello che ha valore assoluto minore
o uguale;
2. se due numeri sono entrambi negativi, il minore o uguale è quello che ha valore assoluto maggiore
o uguale;
70
6.5. RELAZIONI NELL’INSIEME DEI NUMERI INTERI
3. se due numeri sono discordi, il minore o uguale è quello negativo;
4. 0 è minore o uguale di tutti i numeri positivi o nulli
5. tutti i numeri negativi o nulli sono minori o uguali di 0
6. 0
0
Teorema 6.5.1 (Relazione minore o uguale).
La relazione minore o uguale in Z è d’ordine.
Dimostrazione
Analoga a quella in N
La relazione d’ordine minore o uguale è totale e permette di rappresentare i numeri interi su una retta
orientata.
−4
−3
−2
−1
0
1
2
3
4
5
Figura 6.1: numeri interi
In Z si possono definire le relazioni minore, maggiore uguale e maggiore in modo analogo alle definizioni
viste in N.
Ogni numero intero ammette successivo: il successivo di a è a + 1
Esempio 6.5.2.
Il successivo di (+5) è (+6), il successivo di (−3) è (−2)
Compatibilità
La relazione d’ordine minore o uguale è compatibile con le operazioni di addizione e moltiplicazione:
• ∀a, b, c ∈ Z a
b⇒a+c
• ∀a, b ∈ Z, c ∈ Z+ a
b+c
b⇒a·c
b·c
La compatibilità vale anche per le relazioni minore, maggiore o uguale, maggiore.
6.5.2
Relazioni divisore e multiplo
Definizione 6.5.2 (Relazione divisore).
Dati a, b ∈ Z si dice che a è divisore di b se e solo se esiste q ∈ Z tale che aq = b, in simboli:
a|b ⇔ ∃q ∈ Z/aq = b con a, b ∈ Z
Esempio 6.5.3.
• (+3)|(+6)
perché
∃(+2) ∈ Z/(+3) · (+2) = +6
• (−3)|(+6)
perché
∃(−2) ∈ Z/(−3) · (−2) = +6
71
CAPITOLO 6. NUMERI INTERI
• (+3)|(−6)
perché
∃(−2) ∈ Z/(+3) · (−2) = −6
• (+3)|(+3)
perché
∃(+1) ∈ Z/(+3) · (+1) = +3
• (+3)|0
perché
∃0 ∈ Z/(+3) · 0 = 0
• 0|0
perché
∃(+3) ∈ Z/0 · (+3) = 0
Teorema 6.5.2 (Relazione divisore).
La relazione divisore in Z gode delle proprietà riflessiva e transitiva.
Dimostrazione
Analoga a quella in N
Osservazioni
1. La relazione divisore in Z non è una relazione d’ordine perché non gode delle proprietà antisimmetrica.
Infatti +3 è divisore di −3 e −3 è divisore di +3 con (−3) = (+3).
2. In Z si può definire la relazione multiplo in modo analogo alla definizione vista in N
3. In Z si definiscono i numeri pari e dispari in modo analogo a quanto visto in N
6.6
Divisione
La divisione è un’operazione che non è sempre possibile effettuare in Z
La divisione si indica con : ed è definita nel seguente modo: a ogni coppia ordinata
(a, b) ∈ Z × Z0 con a multiplo di b viene associato q = a : b che è il numero intero che moltiplicato
per b dà a. In simboli
a : b = q ⇔ a = b · q con a, q ∈ Z, b ∈ Z0 ∧ a multiplo di b
a si dice dividendo, b si dice divisore, q si dice quoziente.
In pratica
1. il quoziente di due numeri interi concordi è un numero positivo che ha per valore assoluto il
quoziente dei valori assoluti;
2. il quoziente di due numeri interi discordi è un numero negativo che ha per valore assoluto il
quoziente dei valori assoluti;
3. il quoziente tra 0 e un numero intero diverso da 0 è uguale a zero.
Esempio 6.6.1.
72
6.6. DIVISIONE
• (+6) : (+2) = +3
perché
(+3) · (+2) = +6
• (−6) : (+2) = −3
perché
(−3) · (+2) = −6
• (−6) : (−2) = +3
perché
(+3) · (−2) = −6
• (+3) : (+2)
non si può effettuare perché +3 non è multiplo di +2
Osservazioni
1. La divisione non gode delle proprietà commutativa e associativa.
2. La divisione gode della proprietà distributiva a destra rispetto all’addizione e alla sottrazione:
∀a, b ∈ Z, ∀c ∈ Z0 con a, b multipli di c (a + b) : c = (a : c) + (b : c)
∀a, b ∈ Z, ∀c ∈ Z0 con a, b multipli di c (a − b) : c = (a : c) − (b : c)
3. Non si può dividere a = 0 per 0, perchè nessun numero intero moltiplicato per 0 dà a quindi un
numero intero non nullo diviso 0 è impossibile.
4. 0 : 0 è indeterminato perché qualsiasi numero intero moltiplicato per 0 dà 0
5. Se a = 0 allora 0 : a = 0
6.6.1
Precedenza delle operazioni
Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza:
1. moltiplicazione, divisione
2. addizione, sottrazione
Esempio 6.6.2.
Semplifichiamo l’espressione
(+6) : ((−3) + (+2) − (+1)) − ((+7) + (−2) − (−5)) : (−2) · (+3) + (+1) =
(+6) : (−2) − (+10) : (−2) · (+3) + (+1) =
(−3) − (−5) · (+3) + (+1) =
(−3) − (−15) + (+1) = +13
73
CAPITOLO 6. NUMERI INTERI
6.7
Potenza
Definizione 6.7.1 (Potenza).
Si dice potenza avente per base un numero intero a ed esponente un numero naturale n > 1 il prodotto
di n fattori uguali ad a:
an = a · . . . · a, n > 1
n
Si pone per convenzione:
a1 = a
e, per a = 0,
a0 = +1
00 non ha significato
Osservazione
La potenza di un numero positivo è positiva, la potenza con esponente pari di un numero negativo è
positiva, la potenza con esponente dispari di un numero negativo è negativa.
Esempio 6.7.1.
• (+2)3 = +8
• (+2)1 = +2
• (+2)0 = +1
• (−2)4 = +16
• (−2)3 = −8
6.7.1
Proprietà delle potenze
1. ap · aq = ap+q
2. ap : aq = ap−q
3. (ap )q = ap·q
4. ap · bp = (a · b)p
5. ap : bp = (a : b)p con a multiplo di b
con a, b ∈ Z0 , p, q ∈ N
Esempio 6.7.2.
• (−2)3 · (−2)5 = (−2)8
• (+3)5 : (+3)2 = (+3)3
• (−2)3
4
= (−2)12
• (+2)3 · (−4)3 = (−8)3
• (+6)3 : (−2)3 = (−3)3
74
6.8. L’INSIEME DEI NUMERI INTERI COME AMPLIAMENTO DELL’INSIEME DEI NUMERI
NATURALI
6.7.2
Precedenza delle operazioni
Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza:
1. potenza
2. moltiplicazione, divisione
3. addizione, sottrazione
Esempio 6.7.3.
Semplifichiamo l’espressione
î
ó
î
(+4)3 · (−5)3 : (−10)3 + (−2)4 · (−2)3
î
(−20)3 : (−10)3 + (−2)7
ó2
ó2
: (−2)10 =
: (−2)10 =
(+2)3 + (−2)1 4 : (−2)10 =
(+8) + (−2)4 =
(+8) + (16) = +24
6.8
L’insieme dei numeri interi come ampliamento dell’insieme dei
numeri naturali
Poiché N = Z+ ∪ {0}, N non è un sottoinsieme di Z.
Sia f : N → Z+ ∪ {0} la biiezione che a ogni a ∈ N0 associa +a ∈ Z+ e a 0 associa 0; essa gode delle
seguenti proprietà:
1. alla somma a+b di numeri naturali associa la somma (+a)+(+b) dei numeri interi corrispondenti;
2. al prodotto a·b di numeri naturali associa il prodotto (+a)·(+b) dei numeri interi corrispondenti;
Quando esiste una biiezione tra due insiemi con le proprietà sopra indicate, si dice che i due insiemi
sono isomorfi. Quindi N e Z+ ∪{0} sono isomorfi e poiché Z+ ∪{0} ⊆ Z si dice che Z è un ampliamento
di N.
Poiché N e Z+ ∪ {0} sono isomorfi possiamo identificare i numeri interi positivi con i numeri naturali
e quindi scriverli senza il segno +. L’espressione
(+5) + (+6)
la scriveremo
5+6
Inoltre l’espressione
(+5) + (−6)
la scriveremo
5−6
Osservazioni
1. Nell’ampliamento viene conservato l’ordinamento, in simboli:
∀a, b ∈ N a
b ⇒ +a
+b
2. Il segno − davanti a una parentesi cambia il segno di tutti gli addendi dentro la parentesi.
75
CAPITOLO 6. NUMERI INTERI
Esempio 6.8.1.
• Semplifichiamo l’espressione
(−2)2 · (5 − 3)5 =
(−2)2 · 25 =
22 · 25 =
27
• Semplifichiamo l’espressione
(−2)3 · (5 − 3)5 =
(−2)3 · 25 =
−23 · 25 =
−28
• Semplifichiamo l’espressione
¶î
−8 + (5 − 7 + 4)5 : (−8 + 6)3 · (−15 + 17) + (−5)2
¶î
−8 + (2)5 : (−2)3 · 2 + 25
¶î
−8 − (−2)5 : (−2)3 · 2 + 25
¶î
−8 − (−2)2 · 2 + 25
ó
ó
ó
ó
©3
©3
©3
· (−4) + 3 =
· (−4) + 3 =
©3
· (−4) + 3 =
· (−4) + 3 =
{[−8 − 4] · 2 + 25}3 · (−4) + 3 =
{−12 · 2 + 25}3 · (−4) + 3 =
{−24 + 25}3 · (−4) + 3 =
{1}3 · (−4) + 3 =
−4 + 3 = −1
6.9
Valore assoluto
Il valore assoluto di un numero intero si può anche definire nel seguente modo:
Definizione 6.9.1 (Valore assoluto).
Il valore assoluto di un numero intero è il numero stesso se il numero è maggiore o uguale di 0, il suo
opposto se il numero è minore di 0. In simboli:
|a| =
a
se a 0
−a se a < 0
Esempio 6.9.1.
• |5| = 5
• | − 5| = 5
• |0| = 0
76
6.10. ESPRESSIONI CON I NUMERI INTERI
6.10
Espressioni con i numeri interi
Con i numeri interi e le operazioni viste si ottengono le espressioni numeriche.
Nelle espressioni numeriche si possono utilizzare le parentesi per indicare l’ordine con cui si devono
effettuare le operazioni. In assenza di parentesi le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza:
potenza, moltiplicazione e divisione, addizione e sottrazione. A parità di precedenza le operazioni si
eseguono da sinistra a destra.
Osservazione
6.11
Massimo comune divisore e minimo comune multiplo
Definizione 6.11.1 (Massimo comune divisore).
Si dice massimo comune divisore di due numeri a, b ∈ Z0 il maggiore dei divisori positivi comuni ad a
e a b e si indica con MCD(a, b)
Osservazione
Il massimo comune divisore di due numeri interi è un numero intero positivo ed è uguale al massimo
comune divisore dei loro valori assoluti.
Esempio 6.11.1.
Consideriamo i numeri −12 e 18.
Scomponiamo | − 12| = 12:
12 = 22 · 3
Scomponiamo |18| = 18:
18 = 2 · 32
Quindi
MCD(−12, 18) = 2 · 3 = 6
Definizione 6.11.2 (Numeri primi tra loro).
Due numeri a, b ∈ Z0 si dicono primi tra loro se MCD(a, b) = 1
Esempio 6.11.2.
Consideriamo i numeri 15 e −16.
Scomponiamo |15| = 15:
15 = 3 · 5
Scomponiamo | − 16| = 16:
16 = 24
MCD(15, −16) = 1
quindi 15 e −16 sono primi tra loro
Definizione 6.11.3 (Minimo comune multiplo).
Si dice minimo comune multiplo di due numeri a, b ∈ Z0 il minore dei multipli positivi comuni ad a e
a b e si indica con mcm(a, b)
Osservazione
Il minimo comune multiplo di due numeri interi è un numero intero positivo ed è uguale al minimo
comune multiplo dei loro valori assoluti.
77
CAPITOLO 6. NUMERI INTERI
Esempio 6.11.3.
Consideriamo i numeri −12 e 18.
Scomponiamo | − 12| = 12:
12 = 22 · 3
Scomponiamo |18| = 18:
18 = 2 · 32
Quindi
mcm(−12, 18) = 22 · 32 = 36
78
Capitolo 7
Numeri razionali
7.1
Introduzione
Come i numeri naturali anche i numeri interi non sono sufficienti per risolvere alcuni problemi pratici
come, per esempio, dividere una torta.
Si è quindi ampliato l’insieme dei numeri interi introducendo l’insieme dei numeri razionali.
I numeri razionali si esprimono come rapporto tra due numeri interi con il secondo diverso da 0.
Esempio 7.1.1.
I numeri
3 −5 2 0 −5 5 6
,
, , ,
, ,
−2 7 3 2 −3 1 2
sono razionali.
L’insieme dei numeri razionali è infinito e viene indicato con Q.
ß
Q=
m
/m ∈ Z ∧ n ∈ Z0
n
™
m
Il numero razionale
si dice anche frazione, m si dice numeratore, n si dice denominatore.
n
0
n
Il numero si indica con 0, il numero si indica con 1.
n
n
Un numero razionale si dice negativo se il numeratore e il denominatore sono discordi, positivo se sono
concordi.
L’insieme dei numeri razionali negativi si indica con Q− , l’insieme dei numeri razionali positivi si
indica con Q+ .
L’insieme dei numeri razionali privato dello 0 si indica con Q0 .
m
Dato il numero razionale non nullo :
n
• se m e n sono discordi, allora
m
|m|
=−
n
|n|
• se m e n sono concordi, allora
m
|m|
=
n
|n|
Esempio 7.1.2.
•
−3
3
3
=
=−
4
−4
4
•
−3
3
=
−4
4
79
CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI
7.2
Numeri razionali come classi di equivalenza
Precedentemente abbiamo introdotto i numeri razionali in modo intuitivo, vediamo ora una definizione
più formale.
Definizione 7.2.1 (Numeri razionali).
Si dice numero razionale ciascuna delle classi di equivalenza ottenute dalla relazione di equivalenza R
in Z × Z0 definita nel seguente modo:
(a, b)R(c, d) ⇔ a · d = b · c con (a, b), (c, d) ∈ Z × Z0
Dimostriamo che R è una relazione di equivalenza.
1. proprietà riflessiva
∀(a, b) ∈ Z × Z0 (a, b)R(a, b)
infatti
a·b=b·a
2. proprietà simmetrica
∀(a, b), (c, d) ∈ Z × Z0 (a, b)R(c, d) ⇒ (c, d)R(a, b)
infatti se
(a, b)R(c, d)
allora
a·d=b·c
da cui
c·b=d·a
e quindi
(c, d)R(a, b)
3. proprietà transitiva
∀(a, b), (c, d), (e, f ) ∈ Z × Z0 (a, b)R(c, d) ∧ (c, d)R(e, f ) ⇒ (a, b)R(e, f )
infatti se
(a, b)R(c, d) ∧ (c, d)R(e, f )
allora
a·d=b·c∧c·f =d·e
(a) Se c = 0, si ha
a·d=0∧0=d·e
poiché d = 0 si ha
a=0∧e=0
quindi
a·f =b·e
cioè
(a, b)R(0, f )
80
7.3. ADDIZIONE E MOLTIPLICAZIONE
(b) Se c = 0, moltiplicando membro a membro si ottiene
a·d·c·f =b·c·d·e
a · f · (c · d) = b · e · (c · d)
cioè
a·f =b·e
e quindi
(a, b)R(e, f )
Esempio 7.2.1.
• [(2, 3)] = {(2, 3), (4, 6), (−2, −3), . . .}
• [(−3, 5)] = {(−3, 5), (−6, 10), (−9, 15), (3, −5), . . .}
• [(0, 1)] = {(0, 1), (0, 5), (0, −2), . . .}
• [(5, 1)] = {(5, 1), (10, 2), (−5, −1), . . .}
Osservazione
La coppia (a, b) è detta frazione e normalmente si indica con
a
b
a si dice numeratore, b si dice denominatore.
a
.
b
ï ò
Quindi il numero razionale [(a, b)] sarà indicato con
Esempio 7.2.2.
2
:
3
ï ò
Il numero razionale [(2, 3)] sarà indicato con
2
=
3
ï ò
ß
2 4
, ,...
3 6
™
L’insieme dei numeri razionali Q è l’insieme quoziente:
Q = (Z × Z0 )/R
a
a
viene indicata con , cioè confonderemo
b
b
ï ò
0
il numero razionale con la frazione. La classe di equivalenza
viene indicata con 0 e la classe di
b
ï ò
a
equivalenza
viene indicata con 1.
a
ï ò
Per semplificare la notazione, la classe di equivalenza
7.3
Addizione e moltiplicazione
Nell’insieme dei numeri razionali sono definite due operazioni: l’addizione e la moltiplicazione.
L’addizione si indica con +: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ Q × Q viene associato
c = a + b ∈ Q; a e b si dicono addendi, c si dice somma.
La moltiplicazione si indica con ·: a ogni coppia ordinata (a, b) ∈ Q × Q viene associato c = a · b ∈ Q;
a e b si dicono fattori, c si dice prodotto.
81
CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI
7.3.1
Addizione con le classi di equivalenza
L’addizione è definita nel seguente modo
∀
a
c
,
∈Q
b
d
a
c
ad + cb
+
=
b
d
bd
ï ò ï ò
ï ò
ï ò
ï
ò
Esempio 7.3.1.
•
2
5
4 + 15
19
+
=
=
3
2
6
6
ï ò
ï ò
ï
ò
ï
ò
cioè
2 5
19
+ =
3 2
6
2
3
−2
3
−8 + 15
7
• − +
=
+
=
=
5
4
5
4
20
20
ï
ò
ï ò
ï
ò
ï ò
ï
ò
ï
ò
cioè
2 3
7
− + =
5 4
20
•
4
5
24 + 15
39
13
+
=
=
=
3
6
18
18
6
ï ò
ï ò
ï
ò
ï
ò
ï
ò
cioè
13
4 5
+ =
3 6
6
•
1
3
2+3
5
+
=
=
1
2
2
2
ï ò
ï ò
ï
ò
ï ò
cioè
1+
7.3.2
5
3
=
2
2
Moltiplicazione con le classi di equivalenza
La moltiplicazione è definita nel seguente modo
c
a
∀
,
∈Q
b
d
a
c
ac
·
=
b
d
bd
ï ò ï ò
ï ò ï ò
ï
ò
Esempio 7.3.2.
•
2
5
10
2
·
=
=
5
3
15
3
ï ò ï ò
ï
ò
ï ò
cioè
2 5
2
· =
5 3
3
•
ï
−2
−3
6
3
·
=
=
5
4
20
10
ò ï
ò
ï
ò
ï
ò
cioè
2
3
3
− · −
=
5
4
10
Å
ã
82
7.3. ADDIZIONE E MOLTIPLICAZIONE
7.3.3
Proprietà
Vediamo ora alcune proprietà dell’addizione
1. proprietà commutativa:
∀a, b ∈ Q a + b = b + a
2. proprietà associativa:
∀a, b, c ∈ Q a + (b + c) = (a + b) + c
3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro:
∃0 ∈ Q/∀a ∈ Q a + 0 = 0 + a = a
4. proprietà di esistenza dell’elemento opposto:
∀a ∈ Q ∃ − a ∈ Q/a + (−a) = −a + a = 0
Vediamo ora alcune proprietà della moltiplicazione
1. proprietà commutativa:
∀a, b ∈ Q a · b = b · a
2. proprietà associativa:
∀a, b, c ∈ Q a · (b · c) = (a · b) · c
3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro:
∃1 ∈ Q/∀a ∈ Q a · 1 = 1 · a = a
4. proprietà di esistenza dell’elemento reciproco:
∀a ∈ Q0 ∃a−1 ∈ Q0 /a · a−1 = a−1 · a = 1
Vale inoltre la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione:
∀a, b, c ∈ Q a · (b + c) = (a · b) + (a · c)
∀a, b, c ∈ Q (a + b) · c = (a · c) + (b · c)
Oltre alle proprietà viste la moltiplicazione gode delle seguenti proprietà
1. proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore:
∃0 ∈ Q/∀a ∈ Q a · 0 = 0 · a = 0
2. legge di annullamento del prodotto
∀a, b ∈ Q a · b = 0 ⇔ a = 0 ∨ b = 0
Osservazioni
1. L’opposto del numero razionale
ï
m
m
è − ; infatti
n
n
m
m
−m
mn − nm
m
+ −
=
+
=
=0
n
n
n
n
n2
ò
ï
ò
ï
ò
ï
ò
ï
ò
83
CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI
2. Il reciproco del numero razionale
ï
m
n
= 0 è ; infatti
n
m
m
n
mn
·
=
=1
n
m
nm
ò ï
ò
ï
ò
3. Il reciproco di a si dice anche inverso di a e si può indicare con
Esempio 7.3.3.
• L’opposto di
2
5
è
−
2
5
• L’opposto di
−
3
4
è
3
4
• L’opposto di
0
è
0
• Il reciproco di
2
5
è
5
2
• Il reciproco di
−
3
4
è
−
4
3
84
1
a
7.3. ADDIZIONE E MOLTIPLICAZIONE
7.3.4
Numeri razionali concordi e discordi
Definizione 7.3.1 (Concordi).
Due numeri razionali non nulli si dicono concordi se sono entrambi positivi o entrambi negativi
Esempio 7.3.4.
• I numeri razionali
3 7
e sono concordi.
7 2
• I numeri razionali −
5
2
e − sono concordi.
3
7
Definizione 7.3.2 (Discordi).
Due numeri razionali non nulli si dicono discordi se uno è positivo e l’altro è negativo
Esempio 7.3.5.
• I numeri razionali
2
7
e − sono discordi.
3
2
• I numeri razionali −
7.3.5
5 3
e sono discordi.
4 8
Proprietà invariantiva
Teorema 7.3.1 (Proprietà invariantiva).
Moltiplicando numeratore e denominatore di un numero razionale per uno stesso numero intero non
nullo, si ottiene lo stesso numero razionale, in simboli:
a
ak
=
con a ∈ Z, b, k ∈ Z0
b
bk
Dimostrazione
a ak
, poiché a(bk) = b(ak), si ha
Dati i numeri razionali e
b bk
a
ak
=
b
bk
ï ò
ï
ò
Esempio 7.3.6.
3
3·2
6
=
=
4
4·2
8
Osservazione
Da
a
ak
=
b
bk
si ha
ak
a
=
bk
b
Cioè, dividendo numeratore e denominatore di un numero razionale per un divisore non nullo di
entrambi, si ottiene lo stesso numero razionale.
Esempio 7.3.7.
•
9
9:3
3
=
=
6
6:3
2
9
−9
−9 : 3
−3
3
• − =
=
=
=−
6
6
6:3
2
2
85
CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI
Definizione 7.3.3 (Numero razionale ridotto ai minimi termini).
Un numero razionale si dice ridotto ai minimi termini se numeratore e denominatore sono primi tra
loro
Esempio 7.3.8.
•
3
4
è ridotto ai minimi termini
•
9
6
non è ridotto ai minimi termini
Semplificazione di un numero razionale
Utilizzando la proprietà invariantiva si può semplificare un numero razionale, cioè ridurlo ai minimi
termini, dividendo numeratore e denominatore per il loro massimo comune divisore.
Esempio 7.3.9.
Dato il numero razionale
9
6
poiché
MCD(9, 6) = 3
dividendo numeratore e denominatore per 3, si ottiene
9:3
3
9
=
=
6
6:3
2
Osservazione
In pratica, per semplificare un numero razionale, si dividono numeratore e denominatore per un loro
divisore comune e si ripete il procedimento fino a quando non diventano primi tra loro.
Riduzione di più numeri razionali allo stesso denominatore
Per ridurre più numeri razionali allo stesso denominatore:
1. si determina il minimo comune multiplo dei denominatori
2. per ciascun numero razionale si applica la proprietà invariantiva dividendo il minimo comune
multiplo per il denominatore e moltiplicando il quoziente per il numeratore
Esempio 7.3.10.
Ridurre allo stesso denominatore i numeri razionali
3 1
,
4 6
Il minimo comune multiplo dei denominatori è
mcm(4, 6) = 12
per ciascun numero razionale dividiamo il minimo comune multiplo per il denominatore e moltiplichiamo il quoziente per il numeratore
9 2
,
12 12
86
7.3. ADDIZIONE E MOLTIPLICAZIONE
7.3.6
Regola per l’addizione
Dalla definizione di addizione con le classi di equivalenza si deduce la seguente regola:
Teorema 7.3.2 (Addizione).
La somma di due numeri razionali con lo stesso denominatore è il numero razionale avente per
numeratore la somma dei numeratori e per denominatore lo stesso denominatore.
Esempio 7.3.11.
•
3 4
3+4
7
+ =
=
5 5
5
5
3 9
−3 + 9
6
3
• − + =
= =
4 4
4
4
2
Se i numeri razionali non hanno lo stesso denominatore, prima di addizionarli, li si può ridurre allo
stesso denominatore applicando la proprietà invariantiva.
In pratica per addizionare due numeri razionali :
1. si semplifica ogni numero razionale
2. si scrive il numero razionale che ha come denominatore il minimo comune multiplo dei denominatori
3. per ottenere il numeratore:
(a) si divide il minimo comune multiplo dei denominatori per il denominatore del primo numero
razionale e si moltiplica il quoziente ottenuto per il suo numeratore
(b) si ripete il procedimento per il secondo numero razionale e si somma al risultato precedente
4. si effettuano i calcoli al numeratore
5. si semplifica il numero razionale ottenuto
Esempio 7.3.12.
•
3 5
12 + 35
47
+ =
=
7 4
28
28
3 5
−3 + 10
7
• − + =
=
4 2
4
4
7.3.7
Regola per la moltiplicazione
Dalla definizione di moltiplicazione con le classi di equivalenza si deduce la seguente regola:
Teorema 7.3.3 (Moltiplicazione).
Il prodotto di due numeri razionali è il numero razionale avente per numeratore il prodotto dei
numeratori e per denominatore il prodotto dei denominatori.
In pratica per moltiplicare due numeri razionali:
1. si semplificano numeratore e denominatore della stessa frazione o di frazioni diverse
2. si scrive il numero razionale che ha come numeratore il prodotto dei numeratori e come denominatore il prodotto dei denominatori
Esempio 7.3.13.
2
✚✁4
4 12
4✁1 ✚
12
2
• ·
= 3· 1 =
2
9 8
9✁
3
8✁✁
2 3
2 3✁1
2
• − · =− 3 ·
=−
9 5
9✁
5
15
87
CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI
7.3.8
Precedenza delle operazioni
Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza:
1. moltiplicazione
2. addizione
Esempio 7.3.14.
Semplifichiamo l’espressione
ï
1
1
1
3
1
+ −
+
· −
+ 1+ −
2
3
6
4
3
Å
ã
ò Å
ã
ï
Å
5
·
+ (−1) =
8
ãò ï
ò
3
2
3
1
· −
+ · −
=
3
4
3
8
Å
ã
Å
ã
1
1
1
=−
− + −
4
4
2
Å
7.4
ã
Sottrazione
Definizione 7.4.1 (Differenza).
La differenza di due numeri razionali a e b è la somma di a con l’opposto di b. In simboli
a − b = a + (−b)
Esempio 7.4.1.
2
1
2
1
2 1
7
− −
= + +
= + =
3
2
3
2
3 2
6
Å
ã
Å
ã
Osservazione
La sottrazione non gode delle proprietà commutativa e associativa.
7.4.1
Precedenza delle operazioni
Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza:
1. moltiplicazione
2. addizione, sottrazione
Esempio 7.4.2.
Semplifichiamo l’espressione
1 2
1
1 1
2
1+ −
· +
− +1 · −
=
2 3
2
3 4
3
Å
ã
Å
ã Å
ã
5 1 13
2
· +
· −
=
6 2 12
3
Å
ã
5
13
−
=
12 18
−
11
36
88
7.5. DIVISIONE
7.5
Divisione
Definizione 7.5.1 (Quoziente).
Il quoziente di due numeri razionali a e b con b = 0 è il prodotto di a con il reciproco di b. In simboli
1
a:b=a·
b
Esempio 7.5.1.
ã
ã
Å
Å
2
4
1
2
2
= · −
=−
: −
3
2
3
1
3
Osservazione
La divisione tra due numeri razionali a e b con b = 0 si può anche indicare in questo modo:
a
b
a
Quindi l’espressione con a ∈ Q, b ∈ Q0 si trasforma in a : b. Quando si effettua questa trasformazione
b
si deve fare attenzione a non confondere la linea che indica la divisione dalle linee che separano il
numeratore e il denominatore dei numeri razionali a e b.
Esempio 7.5.2.
3
4 = 3 : 5 = 3 · 7 = 21
5
4 7
4 5
20
7
Osservazione
La divisione non gode delle proprietà commutativa e associativa.
La divisione gode della proprietà distributiva a destra rispetto all’addizione e alla sottrazione:
∀a, b ∈ Q, c ∈ Q0
(a + b) : c = (a : c) + (b : c)
∀a, b ∈ Q, c ∈ Q0
(a − b) : c = (a : c) − (b : c)
Esempio 7.5.3.
ã
Å
1
2 1 3 1
2 5 3 5
10 15
85
2 3
+
: = : + : = · + · =
+
=
3 4
5
3 5 4 5
3 1 4 1
3
4
12
Non si può dividere a = 0 per 0, perchè nessun numero razionale moltiplicato per 0 dà a quindi un
numero razionale non nullo diviso 0 è impossibile.
0 : 0 è indeterminato perché qualsiasi numero razionale moltiplicato per 0 dà 0
Se a = 0 allora 0 : a = 0
7.5.1
Precedenza delle operazioni
Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza:
1. moltiplicazione, divisione
2. addizione, sottrazione
Esempio 7.5.4.
Semplifichiamo l’espressione
ïÅ
ã
Å
ã
ò Å
ã
1 1 1
3
3
1
1 1 1
− −
· + 1−
:
·
− +
=
2 3 4
2
8
2
2 6 3
ï
ò
1 3 5 1 2
− · + :
· =
12 2 8 2 3
ï
ò
1 5 2 2
− + ·
· =
8 8 1 3
ï
ò
1 5 2
− +
· =
8 4 3
9 2
3
· =
8 3
4
89
CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI
7.6
Potenza
Definizione 7.6.1 (Potenza).
Si dice potenza avente per base un numero razionale a ed esponente un numero naturale n > 1 il
prodotto di n fattori uguali ad a:
an = a · . . . · a, n > 1
n
Si pone per convenzione:
a1 = a
e, per a = 0,
a0 = 1
00 non ha significato
Osservazioni
1. La potenza di un numero positivo è positiva, la potenza con esponente pari di un numero negativo
è positiva, la potenza con esponente dispari di un numero negativo è negativa.
Å
2.
m
n
mp
np
ãp
=
Esempio 7.6.1.
•
•
•
•
•
Å ã3
2
3
=
8
27
=
2
3
Å ã1
2
3
Å ã0
2
3
=1
2
−
3
ã4
2
−
3
ã3
Å
Å
=
16
81
=−
8
27
Nell’insieme dei numeri razionali si può estendere la definizione di potenza al caso in cui l’esponente
è intero negativo
Definizione 7.6.2 (Potenza con esponente intero negativo).
Dati il numero razionale a = 0 e il numero naturale n si pone
−n
a
Å ãn
=
1
a
Esempio 7.6.2.
Å ã−3
2
3
Å ã3
=
3
2
=
27
8
90
7.6. POTENZA
7.6.1
Proprietà delle potenze
1. ap · aq = ap+q
2. ap : aq = ap−q
3. (ap )q = ap·q
4. ap · bp = (a · b)p
5. ap : bp = (a : b)p
con a b ∈ Q0 , p, q ∈ Z
Esempio 7.6.3.
•
•
•
•
•
•
Å
2
5
ã3 Å
2
5
Å
2
5
ã5 Å
2
5
ã2
Å
2
5
ã3 Å
2
5
ã−2
−
−
−
· −
: −
: −
ÇÅ
2
−
5
Å
−
Å
−
7.6.2
ã3 å2
2
5
ã3 Å
2
5
ã3 Å
· −
ã5
2
5
Å
2
5
= −
Å
= −
2
= −
5
Å
7
3
: −
ã3
7
3
ã3
2
5
ã5
ã6
Å
=
ã3
ã8
Å
= −
14
15
ã3
3
2
= − · −
5
7
Å
Å
ãã3
Å
=
6
35
ã3
Precedenza delle operazioni
Nelle espressioni numeriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di precedenza:
1. potenza
2. moltiplicazione, divisione
3. addizione, sottrazione
Esempio 7.6.4.
Semplifichiamo l’espressione
Å
7 15 3
·
+
12 14 8
ã2 ñ
Å
5 3
+
8 8
ã2 ñ
Å
ñ
Å
3
: 1− 1−
2
1
: 1− −
2
1
1 : 1− −
2
2
Å
ã3 Å
5
: 2−
2
ã3 Å ã2
ã3 Å
1
: −
2
1
:
2
ã2
ã2
ã
ô
10 3
−
·
=
9 5
ô
2
−
=
3
1
2
1: 1− −
−
=
2
3
ï
1:
Å
ã
ô
4 5
5
−
·
:
=
3 6
3
Å
ò
5
6
6
=1· =
6
5
5
91
CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI
7.7
Relazioni minore e maggiore nell’insieme dei numeri razionali
Definizione 7.7.1 (Relazione minore o uguale).
Dati a, b ∈ Q si dice che a è minore o uguale di b se e solo se esiste d ∈ Q+ ∪ {0} tale che a + d = b,
in simboli:
a
b ⇔ ∃d ∈ Q+ ∪ {0}/a + d = b con a, b ∈ Q
Esempio 7.7.1.
3
5
•
7
5
perché
4
3 4
7
∃ ∈ Q+ ∪ {0}/ + =
5
5 5
5
2
3
•
2
3
perché
2
2
∃0 ∈ Q+ ∪ {0}/ + 0 =
3
3
Teorema 7.7.1 (Relazione minore o uguale).
La relazione minore o uguale in Q è d’ordine.
Dimostrazione
Analoga a quella in N
7.7.1
Ordinamento dei numeri razionali
In pratica per ordinare più numeri razionali:
1. si riducono i numeri razionali allo stesso denominatore
2. si confrontano i numeratori
Esempio 7.7.2.
Disporre i seguenti numeri razionali in ordine crescente.
2 5 3 1
− , , ,
3 1 4 6
Il minimo comune multiplo dei denominatori è
mcm(3, 1, 4, 6) = 12
Riduciamo i numeri razionali allo stesso denominatore
−8 60 9 2
, , ,
12 12 12 12
Confrontiamo i numeratori, i numeri razionali disposti in ordine crescente sono
2 1 3 5
− , , ,
3 6 4 1
92
7.8. L’INSIEME DEI NUMERI RAZIONALI COME AMPLIAMENTO DELL’INSIEME DEI
NUMERI INTERI
Osservazione
La relazione d’ordine minore o uguale è totale e permette di rappresentare i numeri razionali su una
retta orientata.
−
3
2
1
− 0
2
2
1
2
3
Figura 7.1: numeri razionali
In Q si possono definire le relazioni minore, maggiore o uguale e maggiore in modo analogo alle
definizioni viste in N.
7.7.2
Compatibilità
La relazione d’ordine minore o uguale è compatibile con le operazioni di addizione e moltiplicazione:
• ∀a, b, c ∈ Q a
b⇒a+c
• ∀a, b ∈ Q, c ∈ Q+ a
b+c
b⇒a·c
b·c
La compatibilità vale anche per le relazioni minore, maggiore o uguale, maggiore.
La compatibilità vale anche per la relazione di uguaglianza:
1. ∀a, b, c ∈ Q a = b ⇒ a + c = b + c
2. ∀a, b ∈ Q, c ∈ Q0 a = b ⇒ a · c = b · c
7.8
L’insieme dei numeri razionali come ampliamento dell’insieme
dei numeri interi
Sia A l’insieme dei numeri razionali in cui il denominatore è 1. Poiché Z = A, Z non è un sottoinsieme
di Q.
a
Sia f : Z → A la biiezione che a ogni a ∈ Z associa ∈ A; essa gode delle seguenti proprietà:
1
1. alla somma a + b di numeri interi associa la somma
a b
+ dei numeri razionali corrispondenti;
1 1
2. al prodotto a · b di numeri interi associa il prodotto
a b
· dei numeri razionali corrispondenti;
1 1
Quando esiste una biezione tra due insiemi con le proprietà sopra indicate, si dice che i due insiemi
sono isomorfi. Quindi Z e A sono isomorfi e poiché A ⊆ Q si dice che Q è un ampliamento di Z.
Poiché Z e A sono isomorfi possiamo identificare i numeri razionali con denominatore 1 con i numeri
interi e quindi scriverli senza il denominatore. Il numero razionale
5
1
lo scriveremo
5
Osservazione
Nell’ampliamento viene conservato l’ordinamento, in simboli:
∀a, b ∈ Z a
b⇒
a
1
b
1
93
CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI
7.9
Densità
A differenza dei numeri naturali e interi i numeri razionali non ammettono successivo.
Teorema 7.9.1.
Dati due numeri razionali a, b con a < b esistono infiniti numeri razionali compresi tra a e b.
Dimostrazione
a+b
Dati a, b ∈ Q con a < b dimostriamo che
∈ Q è compreso tra a e b, cioè
2
a<
a+b
<b
2
a+b
2
a+b
a < b ⇒ a + b < b + b ⇒ a + b < 2b ⇒
<b
2
quindi
a < b ⇒ a + a < a + b ⇒ 2a < a + b ⇒ a <
a<
a+b
<b
2
a+b
troviamo un altro numero razionale e così via.
Ripetendo il procedimento tra a e
2
Osservazione
Il teorema precedente ci dice che l’insieme dei numeri razionali è denso
7.10
Numeri decimali
Ogni numero razionale si può rappresentare con un numero decimale.
m
Dato il numero razionale
per ottenere la rappresentazione decimale si effettua la divisione |m| : |n|
n
e se m e n sono discordi si scrive un − davanti al risultato.
Esempio 7.10.1.
• Dato il numero razionale
3
effettuiamo la divisione
5
3
5
0
0,6
30
30
0
Quindi
3
= 0, 6
5
• Dato il numero razionale −
20
18
20
18
20
18
2
Quindi
−
20
−20
=
effettuiamo la divisione
3
3
3
6,66
20
= −6, 6
3
94
7.10. NUMERI DECIMALI
• Dato il numero razionale
23
18
50
48
20
18
20
18
2
Quindi
23
effettuiamo la divisione
6
6
3,833
23
= 3, 83
3
Il numero decimale che rappresenta un numero razionale può essere:
1. un numero decimale limitato
2. un numero decimale illimitato periodico semplice (le cifre della parte decimale si ripetono
periodicamente)
3. un numero decimale illimitato periodico misto (ci sono delle cifre decimali prima di quelle che
si ripetono periodicamente)
Il numero formato dalle cifre che si ripetono periodicamente si dice periodo, il numero formato dalle
cifre decimali che precedono il periodo si dice antiperiodo.
Esempio 7.10.2.
Nel numero
21, 34567
il periodo è
567
l’antiperiodo è
34
Osservazioni
1. Un numero razionale non può essere rappresentato con un numero decimale illimitato non periodico. Infatti, poiché il resto della divisione è minore del divisore, dopo un numero di passaggi
minore o uguale del divisore si ottiene un resto uguale a uno precedente.
2. Per stabilire a quale tipo di numero decimale corrisponde un numero razionale:
(a) si riduce il numero razionale ai minimi termini
(b) si scompone in fattori primi il denominatore
(c) si anilizzano i fattori primi
i. se sono presenti solo i fattori 2 o 5, il numero decimale è limitato
ii. se non sono presenti i fattori 2 e 5, il numero decimale è illimitato periodico semplice
iii. se sono presenti 2 o 5 e altri fattori, il numero decimale è illimitato periodico misto
Esempio 7.10.3.
95
CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI
• Dato il numero razionale
3
, scomponiamo il denominatore
5
5=5
Quindi
3
è un numero decimale limitato
5
• Dato il numero razionale −
20
, scomponiamo il denominatore
3
3=3
Quindi −
20
è un numero decimale illimitato periodico semplice
3
• Dato il numero razionale
23
, scomponiamo il denominatore
6
6=2·3
Quindi
7.10.1
23
è un numero decimale illimitato periodico misto
6
Trasformazione dei numeri decimali in frazione
Per scrivere un numero decimale limitato sotto forma di frazione
1. si scrive al numeratore il numero decimale senza la virgola
2. si scrive al denominatore 1 seguito da tanti 0 quante sono le cifre dopo la virgola
3. si semplica la frazione ottenuta
Esempio 7.10.4.
• 3, 51 =
• 3, 5 =
351
100
35
7
=
10
2
Per scrivere un numero decimale illimitato peridico semplice positivo sotto forma di frazione:
1. si scrive al numeratore la differenza tra il numero decimale senza la virgola e il numero formato
da tutte le cifre che precedono il periodo
2. si scrive al denominatore un numero formato da tanti 9 quante sono le cifre del periodo
3. si semplica la frazione ottenuta
Esempio 7.10.5.
3, 6 =
36 − 3
33
11
=
=
9
9
3
Per scrivere un numero decimale illimitato periodico misto positivo sotto forma di frazione
1. si scrive al numeratore la differenza tra il numero decimale senza la virgola e il numero formato
da tutte le cifre che precedono il periodo
2. si scrive al denominatore un numero formato da tanti 9 quante sono le cifre del periodo e da
tanti 0 quante sono le cifre dell’antiperiodo
3. si semplica la frazione ottenuta
Esempio 7.10.6.
3, 26 =
326 − 32
294
49
=
=
90
90
15
96
7.11. ESPRESSIONI CON I NUMERI RAZIONALI
Osservazione
Per trasformare un numero decimale illimitato periodico negativo in frazione, si fa precedere dal segno
meno la frazione ottenuta trasformando il valore assoluto del numero.
Esempio 7.10.7.
−3, 26 = −
326 − 32
294
49
=−
=−
90
90
15
Osservazione
Un numero decimale illimitato periodico con periodo 9 è un numero decimale limitato.
Esempio 7.10.8.
• 3, 19 =
• 3, 9 =
7.11
319 − 31
288
16
=
=
= 3, 2
90
90
5
39 − 3
36
=
=4
9
9
Espressioni con i numeri razionali
Nelle operazioni si deve tenere conto che se il numero razionale è scritto senza denominatore, il
denominatore è 1.
Esempio 7.11.1.
•
3 5
3 + 20
23
3
+5= + =
=
4
4 1
4
4
•
3
3 5
15
·5= · =
4
4 1
4
•
3
3 5
3 1
3
:5= : = · =
4
4 1
4 5
20
Si deve usare particolare attenzione quando la divisione tra due numeri razionali a e b con b = 0 è
a
indicata con . In questo caso si deve individuare chi è a e chi è b
b
Esempio 7.11.2.
3
3 5
3 1
3
• 4 = : = · =
5
4 1
4 5
20
3
3 4
3 5
15
= : = · =
4
1 5
1 4
4
5
•
Il segno − davanti a una parentesi cambia il segno di tutti gli addendi dentro la parantesi.
Esempio 7.11.3.
Semplifichiamo l’espressione
ñ
3
1, 6 · (−0, 6) · −
5
5
·
3
ñÅ
5
·
3
ñÅ
3
−
5
3
−
5
ñ
Å
2
ã2 Å
3
· −
5
ã−1
ã−3
ã−3
5
2
2
− · −0, 3 + · 1, 16 : −
2
5
5
Å
ã Å
5
1 2 1
2
− · − + ·
: −
2
3 5 6
5
Å
ã Å
5
1
1
2
− · − +
: −
2
3 15
5
Å
5
5 5
4
2
· − − · −
: −
3
3 2
15
5
Å
ã Å
ã Å
ã2 ô−2
=
ã2 ô−2
=
ã2 ô−2
=
ã2 ô−2
=
97
CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI
5
3
5
3
5
3
5
· − +
3
ï
5
· − +
3
ï
5
· − +
3
ï
7.11.1
2 4 −2
=
:
3 25
ò
2 25 −2
=
·
3 4
ò
ï ò
25 −2 5 15 −2 5 4
4
=
= ·
= ·
6
3
6
3 25
15
ò
Notazione scientifica
Definizione 7.11.1 (Notazione scientifica).
Un numero decimale è scritto in notazione scientifica se è espresso con una sola cifra compresa tra 1
e 9 prima della virgola e moltiplicato per una potenza di 10 con esponente positivo o negativo
Esempio 7.11.4.
I numeri
3, 75 · 105
1, 234 · 10−3
sono espressi in notazione scientifica
Per scrivere un numero decimale in notazione scientifica:
1. si pone la virgola dopo la prima cifra diversa da zero che si incontra partendo dalla sinistra del
numero
2. l’esponente del dieci è il numero di cifre di cui si è spostata la virgola se si è spostata verso
sinistra, il suo opposto se si è spostata verso destra.
Esempio 7.11.5.
• Il numero 324, 72 in notazione scientifica è
3, 2472 · 102
• Il numero 0, 0023 in notazione scientifica è
2, 3 · 10−3
7.11.2
Ordine di grandezza
Definizione 7.11.2 (Ordine di grandezza).
Di dice ordine di grandezza di un numero decimale la potenza di 10 più vicina a quel numero
Per determinare l’ordine di grandezza di un numero decimale
1. si scrive il numero in notazione scientifica: a · 10n
2. se a < 5, l’ordine di grandezza è 10n altrimenti è 10n+1
Esempio 7.11.6.
• Determinare l’ordine di grandezza del numero 324, 72.
Il numero 324, 72 in notazione scientifica è
3, 2472 · 102
poiché 3 < 5 l’ordine di grandezza del numero è 102
• Determinare l’ordine di grandezza del numero 0, 0073.
Il numero 0, 0073 in notazione scientifica è
7, 3 · 10−3
poiché 7 > 5 l’ordine di grandezza del numero è 10−2
98
7.12. RAPPORTI E PROPORZIONI
7.12
Rapporti e proporzioni
Definizione 7.12.1 (Rapporto).
Si dice rapporto tra due numeri razionali non nulli il quoziente della divisione tra il primo e il secondo
Esempio 7.12.1.
• Il rapporto tra 6 e 3 è
6:3=2
• Il rapporto tra 5 e 8 è
5:8=
5
8
• Il rapporto tra
4 6
e è
5 7
4 7
14
4 6
: = · =
5 7
5 6
15
Definizione 7.12.2 (Proporzione).
Si dice proporzione l’uguaglianza tra due rapporti
La proporzione
a:b=c:d
si legge
a sta a b come c sta a d.
a e d si dicono estremi, b e c medi; a e c si dicono antecedenti, b e d conseguenti.
Esempio 7.12.2.
3 : 8 = 15 : 40
infatti
3:8=
3
8
15
3
=
40
8
Definizione 7.12.3 (Proporzione continua).
Si dice proporzione continua una proporzione in cui i medi sono uguali
15 : 40 =
La proporzione
a:b=b:c
è continua
Definizione 7.12.4 (Medio proporzionale).
Si dice medio proporzionale il medio di una proporzione continua
Nella proporzione continua
a:b=b:c
b è il medio proporzionale
Esempio 7.12.3.
16 : 8 = 8 : 4
è una proporzione continua e 8 è il medio proporzionale
99
CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI
7.12.1
Proprietà
Teorema 7.12.1 (Proprietà fondamentale delle proporzioni).
In ogni proporzione il prodotto dei medi è uguale al prodotto degli estremi. In simboli
a : b = c : d ⇒ ad = bc
Osservazione
Dalla proprietà fondamentale si può ricavare uno dei termini della proporzione.
Ricaviamo a
ad = bc ⇒ ad
1
1
bc
= bc ⇒ a =
d
d
d
In modo analogo si ricavano gli altri termini.
Teorema 7.12.2 (Proprietà dell’invertire).
Se in una proporzione si scambia ogni antecedente con il proprio conseguente si ottiene una nuova
proporzione. In simboli
a:b=c:d⇒b:a=d:c
Teorema 7.12.3 (Proprietà del permutare).
Se in una proporzione si scambiano tra loro i due medi o i due estremi si ottiene una nuova proporzione.
In simboli
a:b=c:d⇒a:c=b:d
a:b=c:d⇒d:b=c:a
Teorema 7.12.4 (Proprietà del comporre).
In una proporzione con la somma dei primi due termini diversa da 0, la somma dei primi due termini
sta al secondo come la somma del terzo e quarto termine sta al quarto. In simboli
a : b = c : d ⇒ (a + b) : b = (c + d) : d
In una proporzione con la somma dei primi due termini diversa da 0, la somma dei primi due termini
sta al primo come la somma del terzo e quarto termine sta al terzo.
a : b = c : d ⇒ (a + b) : a = (c + d) : c
La proprietà del comporre si estende nel caso di più rapporti uguali:
Teorema 7.12.5 (Proprietà del comporre).
In una serie di rapporti uguali con la somma degli antecedenti diversa da 0, la somma degli antecedenti
sta a un antecedente come la somma dei conseguenti sta al conseguente corrispondente
Teorema 7.12.6 (Proprietà dello scomporre).
In una proporzione con la differenza dei primi due termini diversa da 0, la differenza tra i primi due
termini sta al secondo come la differenza tra il terzo e e il quarto termine sta al quarto. In simboli
a : b = c : d ⇒ (a − b) : b = (c − d) : d
In una proporzione con la differenza dei primi due termini diversa da 0, la differenza tra i primi due
termini sta al primo come la differenza tra il terzo e il quarto termine sta al terzo. In simboli
a : b = c : d ⇒ (a − b) : a = (c − d) : c
Esempio 7.12.4.
100
7.12. RAPPORTI E PROPORZIONI
• Determiniamo il termine x della seguente proporzione
5 : 4 = x : 20
applichiamo la proprietà fondamentale
x=
20 · 5
= 25
4
• Determiniamo il termine x della seguente proporzione
5 : x = x : 20
applichiamo la proprietà fondamentale
x2 = 100
x = 10 ∨ x = −10
• Data la proporzione
10 : 4 = 15 : 6
ricaviamo altre proporzioni applicando le proprietà.
Proprietà dell’invertire
4 : 10 = 6 : 15
Proprietà del permutare i medi
10 : 15 = 4 : 6
Proprietà del permutare gli estremi
6 : 4 = 15 : 10
Proprietà del comporre
14 : 4 = 21 : 6
Proprietà dello scomporre
6:4=9:6
• Dividere il numero 650 in tre parti che stiano tra loro come i numeri 3, 4, 6.
Indicando con x, y, z le tre parti si ha
x:3=y:4=z:6
Applicando la proprietà del comporre otteniamo
(x + y + z) : x = (3 + 4 + 6) : 3
650 : x = 13 : 3
650 · 3
= 150
x=
13
Applicando la proprietà del comporre otteniamo
(x + y + z) : y = (3 + 4 + 6) : 4
650 : y = 13 : 4
650 · 4
y=
= 200
13
La terza parte è
z = 650 − 150 − 200 = 300
101
CAPITOLO 7. NUMERI RAZIONALI
7.12.2
Percentuali
Definizione 7.12.5 (Percentuale).
a
Si dice percentuale un numero razionale
con a ∈ Z e si scrive a%
100
Esempio 7.12.5.
25
= 25% = 0, 25
100
Poiché la percentuale è un rapporto si possono utilizzare le proporzioni per risolvere alcuni problemi
riguardanti le percentuali.
Esempio 7.12.6.
• In un paese di 3600 abitanti 900 hanno superato i 50 anni. Determinare la percentuale degli
ultra cinquantenni.
Dalla proporzione
900 : 3600 = x : 100
si ha
x=
900 · 100
= 25
3600
La percentuale degli ultra cinquantenni è 25%
• Una maglia costa 250A
C. Il negoziante offre uno sconto del 20%. Quanto paghiamo la maglia?
Dalla proporzione
x : 250 = 20 : 100
si ha
x=
250 · 20
= 50
100
Si ha uno sconto di 50A
C e quindi il costo è 250 − 50 = 200A
C
102
Capitolo 8
Numeri reali
8.1
Introduzione
Un ampliamento dell’insieme dei numeri razionali si rende necessario, sia per poter eseguire l’estrazione
di radice, sia per poter risolvere problemi di misura della diagonale di un quadrato rispetto al lato
assunto come unità di misura, della lunghezza della circonferenza rispetto al raggio, ecc.
D
C
d=
A
1
√
2 1
B
Consideriamo un quadrato ABCD di lato unitario.
Applicando il teorema di Pitagora al triangolo rettangolo ABC si ha:
d2 = 1 + 1 = 2
√
d= 2
Teorema √
8.1.1.
Il numero 2 non è un numero razionale
Dimostrazione per assurdo
√
Supponiamo per assurdo che 2 sia un numero razionale: allora
√
p
2 = con p, q primi fra loro
q
Elevando al quadrato entrambi i membri si ottiene
p2
=2
q2
p2 = 2q 2
Quindi p2 è un numero pari.
Se p2 è pari, allora p è pari, cioè p = 2n; sostituendo nell’uguaglianza precedente si ottiene:
(2n)2 = 2q 2
4n2 = 2q 2
2n2 = q 2
Quindi q 2 è un numero pari.
Se q 2 è pari, allora q è pari, cioè q = √
2m, quindi p e q non sono primi tra loro e questo contraddice
l’ipotesi. Poiché la tesi negata è falsa 2 non è un numero razionale.
103
CAPITOLO 8. NUMERI REALI
8.2
Numeri irrazionali
Definizione 8.2.1 (Numeri irrazionali).
Si dice numero irrazionale ogni numero decimale illimitato non periodico
Esempio 8.2.1.
I numeri
√ √ √
√
5
3
2, 3, 7, 2, π
sono irrazionali
L’insieme dei numeri irrazionali si indica con I.
8.3
Insieme dei numeri reali
Definizione 8.3.1 (Numeri reale).
Si dice numero reale ogni numero razionale o irrazionale
Esempio 8.3.1.
I numeri
√
√
3
2, 5, , −7, 5, π
4
sono reali
Definizione 8.3.2 (Insieme dei numeri reali).
L’insieme dei numeri reali è l’unione fra l’insieme dei numeri razionali e l’insieme dei numeri irrazionali
L’insieme dei numeri reali si indica con R:
R=Q∪I
L’insieme dei numeri reali negativi si indica con R− , l’insieme dei numeri reali positivi si indica con
R+ .
L’insieme dei numeri reali privato dello 0 si indica con R0 .
8.4
Addizione e moltiplicazione
Nell’insieme dei numeri reali sono definite le operazioni di addizione e di moltiplicazione. L’addizione
si indica con +: a ogni coppia ordinata (α, β) ∈ R × R viene associato
γ = α + β ∈ R; α e β si dicono addendi, γ si dice somma.
La moltiplicazione si indica con ·: a ogni coppia ordinata (α, β) ∈ R × R viene associato γ = α · β ∈ R;
α e β si dicono fattori, γ si dice prodotto.
Proprietà
Vediamo ora alcune proprietà dell’addizione
1. proprietà commutativa:
∀α, β ∈ R α + β = β + α
2. proprietà associativa:
∀α, β, γ ∈ R α + (β + γ) = (α + β) + γ
104
8.5. SOTTRAZIONE
3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro:
∃0 ∈ R/∀α ∈ R α + 0 = 0 + α = α
4. proprietà di esistenza dell’elemento opposto:
∀α ∈ R ∃ − α ∈ R/α + (−α) = −α + α = 0
Vediamo ora alcune proprietà della moltiplicazione
1. proprietà commutativa:
∀α, β ∈ R α · β = β · α
2. proprietà associativa:
∀α, β, γ ∈ R α · (β · γ) = (α · β) · γ
3. proprietà di esistenza dell’elemento neutro:
∃1 ∈ R/∀α ∈ R α · 1 = 1 · α = α
4. proprietà di esistenza dell’elemento reciproco:
∀α ∈ R0 ∃α−1 ∈ R0 /α · α−1 = α−1 · α = 1
Vale inoltre la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione:
∀α, β, γ ∈ R α · (β + γ) = (α · β) + (α · γ)
∀α, β, γ ∈ R (α + β) · γ = (α · γ) + (β · γ)
Oltre alle proprietà viste la moltiplicazione gode delle seguenti proprietà
1. proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore:
∃0 ∈ R/∀α ∈ R α · 0 = 0 · α = 0
2. legge di annullamento del prodotto
∀α, β ∈ R α · β = 0 ⇔ α = 0 ∨ β = 0
Osservazioni
1. Il reciproco di α si dice anche inverso di α e si può indicare con
1
α
2. Le proprietà di esistenza dell’elemento opposto e di quello reciproco ci permettono di definire le
operazioni di sottrazione e divisione tra numeri reali.
8.5
Sottrazione
Definizione 8.5.1 (Differenza).
La differenza di due numeri reali α e β è la somma di α con l’opposto di β. In simboli
α − β = α + (−β)
105
CAPITOLO 8. NUMERI REALI
8.6
Divisione
Definizione 8.6.1 (Quoziente).
Il quoziente di due numeri reali α e β con β = 0 è il prodotto di α con il reciproco di β. In simboli
α:β =α·
8.7
1
β
Relazioni minore e maggiore nell’insieme dei numeri reali
Definizione 8.7.1 (Relazione minore o uguale).
Dati α, β ∈ R si dice che α è minore o uguale di β se e solo se esiste γ ∈ R+ ∪ {0} tale che α + γ = β,
in simboli:
β ⇔ ∃γ ∈ R+ ∪ {0}/α + γ = β con α, β ∈ R
α
Teorema 8.7.1 (Relazione minore o uguale).
La relazione minore o uguale in R è di ordine.
Osservazione
La relazione minore o uguale è di ordine totale e permette di rappresentare i numeri reali su una retta
orientata.
−
3
2
1 0
−
2
2
3
√
22
1
π
Figura 8.1: numeri reali
In R si possono definire le relazioni minore, maggiore o uguale e maggiore in modo analogo alle
definizioni viste in N.
8.7.1
Compatibilità
La relazione d’ordine minore o uguale è compatibile con le operazioni di addizione e moltiplicazione:
• ∀α, β, γ ∈ R α
β ⇒α+γ
• ∀α, β ∈ R, γ ∈ R+ α
β+γ
β ⇒α·γ
β·γ
La compatibilità vale anche per le relazioni minore, maggiore o uguale, maggiore.
La compatibilità vale anche per la relazione di uguaglianza:
1. ∀α, β, γ ∈ R α = β ⇒ α + γ = β + γ
2. ∀α, β, γ ∈ R α = β ⇒ α · γ = β · γ
8.8
Continuità dei numeri reali
Come i numeri razionali, i numeri reali non ammettono successivo e come per i numeri razionali vale
il seguente teorema:
Teorema 8.8.1.
Dati due numeri reali α, β con α < β esistono infiniti numeri reali compresi tra α e β
L’insieme dei numeri reali è caratterizzato dalla proprietà di continuità:
106
8.9. CARDINALITÀ
Teorema 8.8.2 (Continuità dei numeri reali).
Esiste una biezione tra l’insieme dei numeri reali e quello dei punti di una retta orientata: ad ogni
numero reale corrisponde un punto della retta e, viceversa, a ogni punto della retta corrisponde un
numero reale
Questo teorema non vale per i numeri razionali: a ogni numero razionale corrisponde un punto della
retta orientata, ma esistono punti della retta a cui non corrisponde alcun numero razionale.
Infatti, se consideriamo un quadrato di lato unitario e √
riportiamo il segmento della diagonale sulla
retta orientata, troviamo il punto P rappresentativo di 2 che non è razionale
√
2
0
8.9
1
P
√
2
Cardinalità
Definizione 8.9.1 (Cardinalità).
Si dice che gli insiemi A e B hanno la stessa cardinalità o potenza se esiste una biezione tra a A e B
Esempio 8.9.1.
• Gli insiemi N e P hanno la stessa cardinalità perché esiste la biezione
f :N→P
definita da
f (x) = 2x
• Ogni insieme finito A ha la stessa cardinalità di un insieme che ha lo stesso numero di elementi
di A
Definizione 8.9.2 (Numerabilità).
Si dice che un insieme A è numerabile se ha la stessa cardinalità di N
Esempio 8.9.2.
• Gli insiemi P, N sono numerabili
• Si può dimostrare che anche gli insiemi Z, Q sono numerabili
Si può dimostrare che l’insieme R non è numerabile, si dice che R ha la potenza del continuo
8.10
Approssimazione dei numeri reali
Ogni numero reale si può approssimare per difetto o per eccesso con un numero razionale
Esempio 8.10.1.
• il numero irrazionale
√
2
si può approssimare per difetto con
1; 1, 4; 1, 41; 1, 414 . . .
e per eccesso con
2; 1, 5; 1, 42; 1, 415 . . .
107
CAPITOLO 8. NUMERI REALI
• il numero irrazionale
π
si può approssimare per difetto con
3; 3, 1; 3, 14; 3, 141 . . .
e per eccesso con
4; 3, 2; 3, 15; 3, 142 . . .
• il numero razionale
3, 728
si può approssimare per difetto con
3; 3, 7; 3, 72 . . .
e per eccesso con
4; 3, 8; 3, 73 . . .
Le operazioni con i numeri reali si eseguono in modo esatto scrivendo i numeri separati dal simbolo
dell’operazione.
Esempio 8.10.2.
Dati i numeri reali
√
2, π
la loro somma è
√
2+π
il loro prodotto è
√
2·π
Si possono ottenere valori approssimati di somme e prodotti di numeri reali utilizzando le successioni
che approssimano per difetto e per eccesso i numeri dati.
Esempio 8.10.3.
• Eseguiamo la seguente addizione con valori approssimati
√
7+π
√
Esprimiamo 7 e π con le successioni di numeri decimali approssimanti per difetto e per eccesso:
√
®
7
®
π
2; 2, 6; 2, 64; 2, 645 . . .
3; 2, 7; 2, 65; 2, 646 . . .
3; 3, 1; 3, 14; 3, 141 . . .
4; 3, 2; 3, 15; 3, 142 . . .
addizioniamo fra loro i valori per difetto e per eccesso corrispondenti ottenendo le successioni:
√
®
7+π
5; 5, 7; 5, 78; 5, 786 . . .
7; 5, 9; 5, 80; 5, 788 . . .
Le due successioni individuano un numero reale che è la somma
108
√
7 + π.
8.10. APPROSSIMAZIONE DEI NUMERI REALI
• Eseguiamo la seguente moltiplicazione con valori approssimati
√
2·π
√
Esprimiamo 2 e π con le successioni di numeri decimali approssimanti per difetto e per eccesso:
√
®
2
®
π
1; 1, 4; 1, 41; 1, 414 . . .
2; 1, 5; 1, 42; 1, 415 . . .
3; 3, 1; 3, 14; 3, 141 . . .
4; 3, 2; 3, 15; 3, 142 . . .
moltiplichiamo fra loro i valori per difetto e per eccesso corrispondenti ottenendo le successioni:
√
®
2·π
3; 4, 34; 4, 4274; 4, 441374 . . .
8; 4, 8; 4, 473; 4, 44593 . . .
Le due successioni individuano un numero reale che è il prodotto
109
√
2 · π.
Capitolo 9
Sistemi di numerazione
9.1
Introduzione
I numeri si possono rappresentare in diversi modi.
Definizione 9.1.1 (Sistema di numerazione).
Un sistema di numerazione è un insieme di simboli, detti cifre, e di regole per combinare le cifre in
modo da rappresentare qualunque numero e per permettere di effettuare operazioni aritmetiche.
Esempio 9.1.1.
Il sistema di numerazione romano è un sistema additivo in quanto il valore del numero si ottiene per
somma (e talvolta per differenza) delle cifre. Il sistema di numerazione romano usa i seguenti simboli
che ricordiamo, indicando il valore corrispondente nel sistema decimale:
romano
I V
decimale 1
5
X
L
C
D
M
10 50 100 500 1000
I numeri sono sequenze di questi simboli iniziando dai valori più alti.
XX= 10 + 10 = 20
LXXVII= 50 + 10 + 10 + 5 + 1 + 1 = 77
CIV= 100 + 5 − 1 = 104
MDXLVI=1000 + 500 + 50 − 10 + 5 + 1 = 1546
Nel sistema di numerazione romano le operazioni risultavano molto difficili da eseguire.
9.2
Sistemi di numerazione posizionali
In un sistema di numerazione posizionale il numero dipende dalla posizione delle cifre.
In un sistema di numerazione posizionale è più semplice rappresentare i numeri ed è più facile eseguire
le operazioni aritmetiche.
Noi utilizziamo il sistema di numerazione posizionale in base 10, detto decimale.
Nel sistema posizionale decimale si utilizzano 10 cifre: 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9. Nel sistema posizionale
decimale un numero di n cifre si può esprimere nella forma polinomiale, cioè come somma di n termini
formati dal prodotto di una cifra moltiplicata per una potenza di 10 con esponente decrescente da
n − 1 a 0.
Esempio 9.2.1.
5725 = 5 · 103 + 7 · 102 + 2 · 101 + 5 · 100
Un sistema posizionale può anche avere una base diversa da 10.
In generale, per avere un sistema di numerazione posizionale,
1. si fissa la base che è un numero naturale b > 1
110
9.3. PASSAGGIO DA BASE QUALSIASI A BASE 10
2. si scelgono b simboli per rappresentare le cifre: normalmente se b 10 si scelgono come simboli
0, 1, 2, . . ., se b > 10 si scelgono come simboli 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, A, B, C, . . . dove A = 10, B =
11, C = 12, . . .
3. un numero di n cifre si ottiene scrivendo le cifre una di seguito all’altra tenendo presente che
ogni cifra deve essere moltiplicata per una potenza di b a partire dalla cifra avente posizione più
a sinistra, che va moltiplicata per bn−1 , fino alla n-esima cifra che va moltiplicata per b0
Osservazione
Nella scrittura dei numeri in basi diverse da 10 si scrive la base come pedice del numero.
Esempio 9.2.2.
101102
Un numero scritto in una base diversa da 10 si legge elencando le cifre.
Esempio 9.2.3.
101102
non si legge diecimilacentodieci, ma uno-zero-uno-uno-zero in base 2
Abbiamo detto che il sistema di numerazione più utilizzato è quello decimale; i calcolatori, invece,
utilizzano le basi 2 (sistema binario), 8 (sistema ottale), 16 (sistema esadecimale).
9.3
Passaggio da base qualsiasi a base 10
Per scrivere in base 10 un numero in un’altra base:
1. si scrive il numero in forma polinomiale
2. si effettuano i calcoli
Esempio 9.3.1.
• 101102 = 1 · 24 + 0 · 23 + 1 · 22 + 1 · 21 + 0 · 20 = 16 + 4 + 2 = 2210
• 1478 = 1 · 82 + 4 · 81 + 7 · 80 = 64 + 32 + 7 = 10310
• A01B16 = 10 · 163 + 0 · 162 + 1 · 161 + 11 · 160 = 40960 + 16 + 11 = 4098710
9.4
Passaggio da base 10 a base qualsiasi
Per scrivere in base b un numero in base 10:
1. si divide il numero per la base b determinando quoziente e resto
2. si ripete il procedimento dividendo il quoziente ottenuto per b fino a quando si trova un quoziente
nullo
3. i resti ottenuti, scritti nell’ordine che va dall’ultimo al primo, danno il numero espresso in base
b.
Esempio 9.4.1.
Scriviamo in base 2 il numero 124
124
62
31
15
7
3
1
0
0
0
1
1
1
1
1
12410 = 11111002
111
CAPITOLO 9. SISTEMI DI NUMERAZIONE
9.5
Passaggio da base 2 a base 8 e 16
Per scrivere in base 8 un numero in base 2:
1. si suddividono le cifre in gruppi di 3 partendo da destra
2. a ogni terna corrisponde una cifra nel sistema ottale.
Esempio 9.5.1.
Scriviamo in base 8 il numero 11011112
1 − 101 − 111
1−5−7
1578
Per scrivere in base 2 un numero in base 8:
1. per ogni cifra si scrive il gruppo di 3 cifre binarie corrispondenti
Esempio 9.5.2.
Scriviamo in base 2 il numero 3258
011 − 010 − 101
110101012
Per scrivere in base 16 un numero in base 2:
1. si suddividono le cifre in gruppi di 4 partendo da destra
2. a ogni quaterna corrisponde una cifra nel sistema esadecimale.
Esempio 9.5.3.
Scriviamo in base 16 il numero 11011112
110 − 1111
6−F
6F16
Per scrivere in base 2 un numero in base 16:
1. per ogni cifra si scrive il gruppo di 4 cifre binarie corrispondenti
Esempio 9.5.4.
Scriviamo in base 2 il numero 3A116
0011 − 1010 − 0001
11101000012
112
9.6. OPERAZIONI CON I NUMERI IN BASE 2
9.6
Operazioni con i numeri in base 2
Le operazioni aritmetiche si possono eseguire in qualsiasi sistema di numerazione posizionale di base
b.
Consideriamo l’addizione e la moltiplicazione.
Si procede come nelle operazioni in base 10.
Osservazione
Nelle operazioni con i numeri in base 10 il riporto si ha quando si raggiunge o supera 10, quindi nelle
operazioni con i numeri in base b il riporto si ha quando si raggiunge o supera b.
Esempio 9.6.1.
• Calcoliamo 101102 + 11012 .
Effettuiamo l’operazione in colonna
11
10110 +
1101 =
100011
101102 + 11012 = 1000112
• Calcoliamo 11112 + 11112 + 11112 + 11112 .
Effettuiamo l’operazione in colonna
111
1111
1111
1111
1111
1111
1111
111100
+
+
+
+
11112 + 11112 + 11112 + 11112 = 1111002
• Calcoliamo 101102 · 11012 .
Effettuiamo l’operazione in colonna
10110 ·
1101 =
10110
1
1 00000
1 10110
10110
100011110
101102 · 11012 = 1000111102
113
Capitolo 10
Monomi e polinomi
10.1
Monomi
Definizione 10.1.1 (Monomio).
Si dice monomio ogni prodotto di fattori numerici e letterali, dove gli esponenti dei fattori letterali
sono numeri naturali.
Osservazione
Per indicare il prodotto delle lettere a e b si scrive a · b o, più semplicemente, ab; anche per indicare il
prodotto di un numero e una lettera si può tralasciare il simbolo di moltiplicazione; naturalmente, per
indicare il prodotto di due numeri, non si può tralasciare il simbolo di moltiplicazione: per esempio, il
prodotto di 7 e 2 si scrive 7 · 2 e non 72.
Esempio 10.1.1.
2
3ab, ab2 , −5a
3
sono monomi.
Osservazioni
1. Anche ab è un monomio sebbene non compaia il fattore numerico: infatti quando il fattore
numerico è uguale a 1, esso può non essere indicato, quindi:
1ab = ab
2. Anche −a è un monomio sebbene non compaia il fattore numerico: infatti quando il fattore
numerico è uguale a −1, si può scrivere:
−1b = −b
3. Non si possono mai indicare due simboli di operazione uno accanto all’altro, ad esempio non si
può scrivere a · −b ma di deve scrivere a · (−b).
4. In un monomio, non necessariamente i fattori numerici devono precedere i fattori letterali, quindi
5a2 2c è un monomio.
5. In un monomio, può comparire più volte la stessa lettera, quindi 3aba è un monomio.
6. In un monomio i fattori letterali con esponente 0 possono essere tralasciati, quindi ab2 c0 si può
scrivere ab2 perché c0 = 1.
7. Dall’esempio precedente si deduce che anche i numeri sono dei monomi; infatti i numeri si
possono considerare monomi i cui fattori letterali hanno esponente 0. Il monomio 5a0 si può
scrivere 5 perché abbiamo tralasciato la a che ha esponente 0
114
10.1. MONOMI
Esempio 10.1.2.
• 3a + b non è un monomio perché compare una somma
•
ab
non è un monomio perché compare una lettera al denominatore;
c
• 3a−2 non è un monomio perché l’esponente della lettera a non è un numero naturale ma un
numero intero negativo.
Definizione 10.1.2 (Monomio nullo).
Si dice monomio nullo ogni monomio con un fattore numerico nullo
Esempio 10.1.3.
I monomi 0, 0ab, 0a2 5b3 c sono monomi nulli perché hanno un fattore numerico nullo
10.1.1
Monomi in forma normale
Definizione 10.1.3 (Monomio in forma normale).
Un monomio si dice in forma normale se è formato da un fattore numerico e da fattori letterali con
basi diverse.
Esempio 10.1.4.
• I monomi
1
3a2 b, abc, −5a
2
sono in forma normale perché sono formati da un fattore numerico e da fattori letterali con basi
diverse.
2
• il monomio è in forma normale perché è formato da un fattore numerico
3
• Il monomio 3a2 5b3 non è in forma normale perché sono presenti due fattori numerici.
• Il monomio 3a2 b2 a4 non è in forma normale perché la lettera a compare due volte.
Definizione 10.1.4 (Fattore numerico e parte letterale).
In un monomio in forma normale, il fattore numerico è detto coefficiente, il prodotto dei fattori
letterali, è detto parte letterale.
Esempio 10.1.5.
• Nel monomio 21ab il coefficiente è 21 e la parte letterale è ab.
• Nel monomio a3 bc il coefficiente è 1 e la parte letterale è a3 bc.
• Nel monomio −a2 b il coefficiente è −1 e la parte letterale è a2 b.
• Nel monomio 2x il coefficiente è 2 e la parte letterale è x.
• Nel monomio −3 il coefficiente è −3 e la parte letterale è il prodotto di lettere diverse con
esponente 0
Ogni monomio può essere scritto in forma normale: è sufficiente moltiplicare tra loro i fattori numerici
e i fattori letterali con base uguale applicando le proprietà delle potenze.
Esempio 10.1.6.
• Per scrivere in forma normale il monomio 3a2 7b si moltiplicano i fattori numerici 3 e 7, ottenendo
21a2 b.
• Per scrivere in forma normale il monomio 2a2 ba3 c si moltiplicano i fattori letterali con base a
sommando gli esponenti, ottenendo 2a5 bc.
1
1
• Per scrivere in forma normale il monomio − x2 2x3 y xy 3 si moltiplicano i fattori numerici e i
3
4
1 6 4
fattori letterali con basi uguali ottenendo − x y
6
115
CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI
10.1.2
Grado di un monomio
Definizione 10.1.5 (Grado di un monomio).
Si dice grado di un monomio non nullo la somma degli esponenti dei fattori letterali della sua forma
normale
Esempio 10.1.7.
• Il monomio 2a3 b4 ha grado 7, infatti sommando gli esponenti delle lettere a e b si ottiene 3+4 = 7
1
• Il monomio abc ha grado 3, infatti quando l’esponente delle lettere non è indicato ha valore 1,
2
quindi: 1 + 1 + 1 = 3.
• Il monomio 13 ha grado 0, perché la parte letterale è il prodotto di lettere diverse con esponente
0
Osservazione
Per calcolare il grado di un monomio non si considera l’eventuale esponente del coefficiente, quindi:
23 a2 ha grado 2 e non 5.
Definizione 10.1.6 (Grado di un monomio rispetto a una lettera).
Si dice grado rispetto a una lettera di un monomio non nullo l’esponente di quella lettera nella sua
forma normale
Esempio 10.1.8.
Il monomio 5a2 b3 c ha grado 2 rispetto alla lettera a, grado 3 rispetto alla lettera b, grado 1 rispetto
alla lettera c, grado 0 rispetto a tutte le altre lettere
10.1.3
Monomi simili
Definizione 10.1.7 (Monomi simili).
Due monomi in forma normale si dicono simili se hanno la stessa parte letterale.
Osservazione
Le parti letterali si considerano uguali anche se sono scritte con ordine diverso: ab = ba. Inoltre non
si tiene conto di eventuali lettere con esponente 0
Esempio 10.1.9.
1
• I monomi 3a2 b e − a2 b sono simili perché hanno la stessa parte letterale.
2
• I monomi 4ab e −7ba sono simili perché, pur presentando lettere in ordine inverso, hanno la
stessa parte letterale.
• I monomi abc e ab non sono simili perché nel primo monomio compare la lettera c e nel secondo
non compare.
• I monomi 2a2 b e 2ab non sono simili perché nel primo monomio l’esponente della lettera a è 2 e
nel secondo è 1.
10.2
Addizione di monomi
L’addizione di monomi si può effettuare solo se i monomi sono simili; il risultato dell’addizione si dice
somma.
Definizione 10.2.1 (Somma).
La somma di due monomi simili è il monomio simile a quelli dati che ha come coefficiente la somma
dei coefficienti.
Osservazione
L’addizione di monomi gode delle proprietà: associativa, commutativa, esistenza dell’elemento neutro,
esistenza dell’elemento opposto.
116
10.3. OPPOSTO DI UN MONOMIO
Esempio 10.2.1.
• 2a + 3a = 5a
perché si sono sommati i coefficienti e si è riscritta la parte letterale.
• 3ab + 7ab + (−2ab) = 8ab
perché si sono sommati i tre coefficienti e si è riscritta la parte letterale.
• a + a = 2a
perché si sono sommati i coefficienti che hanno valore 1 e si è riscritta la parte letterale.
Osservazione
a + a = a2
10.3
Opposto di un monomio
Definizione 10.3.1 (Opposto).
Si dice opposto di un monomio il monomio che, addizionato a quello dato, dà come somma il monomio
nullo.
Osservazione
L’opposto di un monomio si indica ponendo il segno − davanti al monomio racchiuso tra parentesi ed
è uguale al monomio simile che ha come coefficiente l’opposto del coefficiente del monomio dato
Esempio 10.3.1.
• L’opposto del monomio a3 è
−(a3 ) = −a3
infatti
a3 + (−a3 ) = 0
1
• L’opposto del monomio − x2 y è
2
1
1
− − x2 y = x2 y
2
2
Å
ã
infatti
1
1
− − x2 y + x2 y = 0
2
2
Å
10.4
ã
Sottrazione di monomi
La sottrazione di monomi si può effettuare solo se i monomi sono simili; il risultato della sottrazione
si dice differenza.
Definizione 10.4.1 (Differenza).
La differenza di due monomi simili è il monomio che si ottiene addizionando al primo l’opposto del
secondo.
Esempio 10.4.1.
1
7
1
• 3b3 − − b3 = 3b3 + b3 = b3
2
2
2
Å
ã
infatti nel primo passaggio abbiamo applicato la definizione di opposto e nel secondo passaggio
abbiamo addizionato i monomi simili.
117
CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI
• −3x2 − 7x2 = −3x2 + (−7x2 ) = −10x2
infatti nel primo passaggio abbiamo applicato la definizione di opposto e nel secondo passaggio
abbiamo addizionato i monomi simili.
• −5ab2 − (−5ab2 ) = −5ab2 + 5ab2 = 0
infatti nel primo passaggio abbiamo applicato la definizione di opposto e nel secondo passaggio
abbiamo addizionato i monomi simili che, essendo opposti, hanno come somma 0; pertanto la
differenza di due monomi uguali è il monomio nullo.
10.5
Addizione algebrica di monomi
L’addizione e la sottrazione di monomi possono essere considerate un’unica operazione che si dice
addizione algebrica.
Esempio 10.5.1.
3a2 + (+a2 ) − (+5a2 ) − (−7a2 ) = 3a2 + a2 − 5a2 + 7a2 = 6a2
10.6
Moltiplicazione di monomi
Nell’insieme dei monomi la moltiplicazione può sempre essere effettuata; il risultato della moltiplicazione si dice prodotto.
Definizione 10.6.1 (Prodotto).
Il prodotto di due monomi è il monomio che ha come coefficiente il prodotto dei coefficienti e, come
parte letterale, il prodotto delle parti letterali dei monomi dati.
Osservazione
La moltiplicazione di monomi gode delle proprietà: associativa, commutativa, esistenza dell’elemento
neutro.
Esempio 10.6.1.
• 3a2 b · 2a3 c = 6a5 bc
perché 6 è il prodotto dei coefficienti 3 e 2
a5 è il prodotto di a2 e a3
poiché le lettere b e c compaiono in uno solo dei due monomi, vengono semplicemente riscritte.
1
3
• − a2 b · 3a4 b = − a6 b2
2
2
3
1
è il prodotto dei coefficienti − e 3
2
2
a6 è il prodotto di a2 e a4
b2 è il prodotto di b e b (se l’esponente non è indicato è 1).
perché −
• 3a2 · (−5a3 b2 c2 ) · 2abc = −30a6 b3 c3
perché −30 è il prodotto dei coefficienti 3
−5 e 2; a6 è il prodotto di a2 , a3 e a
b3 è il prodotto di b2 e b
c3 è il prodotto di c2 e c.
Osservazioni
1. a · a = 2a
118
10.7. ELEVAMENTO A POTENZA DI MONOMI
2. Nella moltiplicazione il grado del prodotto di più monomi non nulli è la somma dei gradi dei
fattori.
Esempio 10.6.2.
Se moltiplichiamo il monomio 7a3 b2 , di grado 5, e il monomio 2a2 b4 c, di grado 7, otteniamo il monomio
14a5 b6 c che ha grado 12.
10.6.1
Precedenza delle operazioni
Nelle espressioni con i monomi, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di
precedenza:
1. moltiplicazione
2. addizione, sottrazione
Esempio 10.6.3.
Semplifichiamo l’espressione
Å
1
2
3
3 2 1 2 4 2
2
9
ab + ab − ab ·
a − a + a − ab · a2 =
2
3
4
5
2
5
3
4
ã Å
ã
5
9
3
ab · a2 − a3 b =
12
10
2
3 3
3 3
9
a b − a b = − a3 b
8
2
8
10.6.2
Legge di annullamento del prodotto
Nell’insieme dei monomi vale la legge di annullamento del prodotto.
10.7
Elevamento a potenza di monomi
Definizione 10.7.1 (Potenza).
La potenza con esponente un numero naturale di un monomio non nullo è il monomio che ha come
coefficiente la potenza del coefficiente e, come parte letterale, la potenza di ogni fattore della parte
letterale del monomio dato.
Esempio 10.7.1.
• (3a2 b3 )3 = 27a6 b9
perché elevando 3 alla terza si ottiene 27
elevando a2 alla terza si ottiene a6
elevando b3 alla terza si ottiene b9 .
• (−2a3 bc5 )4 = 16a12 b4 c20
perché elevando −2 alla quarta si ottiene 16
elevando a3 alla quarta si ottiene a12
elevando b alla quarta si ottiene b4
elevando c5 alla quarta si ottiene c20 .
• (−3ab3 )0 = 1
perché elevando −3 alla 0 si ottiene 1
elevando a alla 0 si ottiene 1
elevando b3 alla 0 si ottiene 1
Osservazione
Il monomio nullo elevato a un numero naturale non nullo è il momonio nullo, il monomio nullo elevato
a 0 non ha significato.
119
CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI
10.7.1
Precedenza delle operazioni
Nelle espressioni con i monomi, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di
precedenza:
1. potenza
2. moltiplicazione
3. addizione, sottrazione
Esempio 10.7.2.
Semplifichiamo l’espressione
Å
1 3 2
a b
2
ã2
3
· ab2 · 4a −
4
ñÅ
2 3
ab
3
ã2 Å
3 2
·
a
4
ã3
Ä
2
ä4
− a b
2
·b
ô
=
1 6 4 3 2
4
27
a b · ab · 4a − a2 b6 · a6 − a8 b4 · b2 =
4
4
9
64
ï
ò
3 8 6
3 8 6
a b −
a b − a8 b6 =
4
16
ï
ò
3 8 6
13
a b − − a8 b6 =
4
16
ï
ò
3 8 6 13 8 6 25 8 6
a b + a b = a b
4
16
16
10.8
Divisibilità di monomi
Definizione 10.8.1 (Divisibilità).
Un monomio non nullo in forma normale si dice divisibile per un altro monomio non nullo in forma
normale se l’esponente di ogni lettera del primo monomio è maggiore o uguale dell’esponente della
corrispondente lettera del secondo monomio
Osservazione
Il monomio nullo è divisibile per qualunque monomio non nullo
Esempio 10.8.1.
• Il monomio 3ab è divisibile per −2a perché l’esponente della lettera a è uguale nel primo e nel
secondo monomio e l’esponente della lettera b è maggiore nel primo monomio (è uguale a 1,
mentre nel secondo è uguale a 0).
1 2
a b è divisibile per 3a perché l’esponente della lettera a è maggiore nel primo
2
monomio e l’esponente della lettera b è maggiore nel primo (è uguale a 1, mentre nel secondo è
uguale a 0).
• Il monomio
• Il monomio −3a3 b è divisibile per 5 perché l’esponente della lettera a è maggiore nel primo
monomio e l’esponente della lettera b è maggiore nel primo momomio.
• Il monomio 3ab non è divisibile per 2a2 perché l’esponente della lettera a è minore nel primo
monomio.
1
ab non è divisibile per 3ac perché l’esponente della lettera c è minore nel primo
2
momomio (è uguale a 0, mentre nel secondo è uguale a 1).
• Il monomio
120
10.9. DIVISIONE DI MONOMI
10.9
Divisione di monomi
Nell’insieme dei monomi la divisione si può effettuare solo se il primo monomio, detto dividendo, è
divisibile per il secondo, detto divisore; il risultato della divisione si dice quoziente.
In particolare, è sempre possibile effettuare la divisione di un monomio per un numero diverso da 0
perché le lettere del divisore hanno esponente 0.
Definizione 10.9.1 (Quoziente).
Il quoziente di due monomi, con il primo divisibile per il secondo, è il monomio che ha come coefficiente
il quoziente dei coefficienti e, come parte letterale, il quoziente delle parti letterali dei monomi dati.
Esempio 10.9.1.
5
• 5a2 b : (2a) = ab
2
5
è il quoziente dei coefficienti 5 e 2
2
a è il quoziente di a2 e a
b è il quoziente di b e b0 .
perché
3
4
3
3
9
• a3 bc : − abc = · − a2 = − a2
2
3
2
4
8
Å
ã
Å
ã
9
3
4
è il quoziente dei coefficienti e −
8
2
3
a2 è il quoziente di a3 e a
le lettere b e c non compaiono nel risultato perché b : b = 1 e c : c = 1
perché −
3
• −3a4 b : 2 = − a4 b
2
3
è il quoziente dei coefficienti −3 e 2
2
a4 è il quoziente di a4 e a0
b è il quoziente di b e b0 .
Quindi nella divisione tra un monomio e un numero, si effettua il quoziente dei coefficienti e si
riscrive la parte letterale del dividendo.
perché −
• −5a2 b3 : (2a2 b3 ) = −
5
2
5
è il quoziente dei coefficienti −5 e 2
2
le lettere a e b non compaiono perché a2 : a2 = 1 e b3 : b3 = 1
perché −
• 0 : (5ab) = 0
Osservazioni
1. Il quoziente della divisione di due monomi simili è il quoziente dei coefficienti.
2 2
4
2
3
a b:
ab = a2 b · ab
3
3
3
4
Å
2.
ã
perché si è effettuato il reciproco solo del coefficiente e non della parte letterale; il procedimento
corretto è:
2 2
4
2 3
1
a b:
ab = · a = a
3
3
3 4
2
Å
ã
quindi si deve moltiplicare il primo coefficiente per il reciproco del secondo ed effettuare contemporaneamente la divisione della parti letterali.
121
CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI
10.9.1
Precedenza delle operazioni
Nelle espressioni con i monomi, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di
precedenza:
1. potenza
2. moltiplicazione, divisione
3. addizione, sottrazione
Esempio 10.9.2.
Semplifichiamo l’espressione
Ä
ä
Ä
ä
(3xy)2 · x2 y 2 : −3xy 2 − −x2 y · 3xy − 2x3 y 2 =
Ä
ä
Ä
ä
9x2 y 2 · x2 y 2 : −3xy 2 − −3x3 y 2 − 2x3 y 2 =
Ä
ä
Ä
ä
9x4 y 4 : −3xy 2 − −5x3 y 2 =
−3x3 y 2 + 5x3 y 2 = 2x3 y 2
10.10
Massimo comune divisore e minimo comune multiplo di monomi
Definizione 10.10.1 (Massimo comune divisore).
Il massimo comune divisore di due o più monomi non nulli è ogni monomio di grado massimo che sia
divisore di tutti i monomi dati.
In pratica il massimo comune divisore di due o più monomi è il monomio che ha come parte letterale il
prodotto delle lettere comuni ai monomi dati con il minimo esponente e come coefficiente un numero
qualsiasi. Per comodità come coefficiente si sceglie il MCD dei coefficienti, se questi sono interi; si
sceglie 1, se tra i coefficienti c’è almeno una frazione.
Esempio 10.10.1.
• MCD(6a2 bc, 12a3 b2 , 18a2 b3 c4 ) = 6a2 b
perché il massimo comune divisore dei coefficienti è uguale a 6
le lettere comuni a tutti i monomi sono a e b
il minimo esponente della lettera a è 2
il minimo esponente della lettera b è 1
La lettera c non compare nel risultato perché non è comune a tutti i monomi.
• MCD
Å
1 2 2
a b , 3a4 b2 c, 4a2 b3 = a2 b2
2
ã
infatti, poiché nei coefficienti compare una frazione, si sceglie 1 come coefficiente
le lettere comuni a tutti i monomi sono a e b
il minimo esponente della lettera a è 2
il minimo esponente della lettera b è 2
La lettera c non compare nel risultato perché non è comune a tutti i monomi
• MCD(−4a2 b2 c, −8a4 c, 6a2 bc) = 2a2 c
perché il MCD dei coefficienti è uguale a 2
le lettere comuni a tutti i monomi sono a e c
il minimo esponente della lettera a è 2
il minimo esponente della lettera c è 1
La lettera b non compare nel risultato perché non è comune a tutti i monomi
122
10.11. POLINOMI
• MCD(3a2 b, 5c3 ) = 1
perché il MCD dei coefficienti è uguale a 1 e non ci sono lettere comuni.
Definizione 10.10.2 (Minimo comune multiplo).
Il minimo comune multiplo di due o più monomi non nulli è ogni monomio non nullo di grado minimo
che sia divisibile per tutti i monomi dati.
In pratica il minimo comune multiplo di due o più monomi è il monomio che ha come parte letterale
il prodotto delle lettere comuni e non comuni con il massimo esponente e come coefficiente un numero
qualsiasi. Per comodità come coefficiente si sceglie il mcm dei coefficienti, se questi sono interi; si
sceglie 1, se tra i coefficienti c’è almeno una frazione.
Esempio 10.10.2.
• mcm(2a2 c, 12a4 b2 , 18ab3 c4 ) = 36a4 b3 c4
perché il mcm dei coefficienti è uguale a 36
il massimo esponente della lettera a è 4
il massimo esponente della lettera b è 3
il massimo esponente della lettera c è 4.
• mcm
Å
2 2 3
1
ab c , 2ab2 c2 , a2 b3 = a2 b3 c3
3
2
ã
infatti, poiché compare una frazione, si sceglie 1 come coefficiente
il massimo esponente della lettera a è 2
il massimo esponente della lettera b è 3
il massimo esponente della lettera c è 3.
• mcm(−4a3 b3 c, −8a5 c2 , 2a2 bc) = 8a5 b3 c2
perché il mcm dei coefficienti è uguale a 8
il massimo esponente della lettera a è 5
il massimo esponente della lettera b è 3
il massimo esponente della lettera c è 2.
10.11
Polinomi
Definizione 10.11.1 (Polinomio).
Si dice polinomio la somma algebrica di più monomi.
Esempio 10.11.1.
2
1
1
3ab + 2b + 7ab, ab2 − 3a2 b + , 3aba + ab2 − 1
3
2
2
sono polinomi
Osservazione
Anche i monomi sono dei polinomi; infatti i monomi si possono considerare polinomi formati dalla
somma del monomio e di monomi nulli. Il polinomio 5a2 + 0 si può scrivere 5a2 perché abbiamo tralasciato il monomio nullo. Quindi anche i numeri, essendo dei monomi, si possono considerare polinomi.
Esempio 10.11.2.
•
a2 b
3c
non è un polinomio perché è formata dal rapporto tra due monomi e non dalla loro somma
algebrica;
123
CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI
• a−2 + 2a + 5
non è un polinomio perché l’esponente della lettera a non è un numero naturale, ma un numero
intero e quindi a−2 non è un monomio.
I monomi che compongono il polinomio si dicono termini del polinomio.
Osservazione
Gli elementi che compongono i monomi si dicono fattori, gli elementi che compongono i polinomi si
dicono termini. In 3ab + 2c sono fattori 3, a, b, 2, c, mentre 3ab, 2c sono termini del polinomio. Questa
distinzione sarà utile quando in seguito si tratterà la semplificazione delle frazioni algebriche.
10.11.1
Polinomi in forma normale
Definizione 10.11.2 (Polinomio in forma normale).
Un polinomio si dice in forma normale quando i suoi termini sono tutti in forma normale e non ci
sono monomi simili
Esempio 10.11.3.
• il polinomio
1
3a2 b + a − 3
2
è in forma normale perché è formato da tre monomi in forma normale non simili.
• il polinomio
1 2
a b + 2a + 3a2 b
3
non è in forma normale perché il primo e il terzo monomio sono simili.
• il polinomio
3ab2 + 5aba
non è in forma normale perché il secondo monomio non è in forma normale
Ogni polinomio può sempre essere scritto in forma normale: è sufficiente scrivere in forma normale i
monomi che lo compongono e sommare i monomi simili.
Esempio 10.11.4.
1
3
• Per scrivere in forma normale il polinomio ab2 + 3ab − 5ab + ab2 , si sommano i monomi
2
2
1 2 3 2
ab , ab ottenendo 2ab, e i monomi 3ab, −5ab, ottenendo −2ab, quindi il polinomio in forma
2
2
normale è:
2ab2 − 2ab
• Per scrivere in forma normale il polinomio 2a2 ba3 c + 3a + 2, si scrive in forma normale il primo
monomio ottenendo 2a5 bc, quindi il polinomio in forma normale è:
2a5 bc + 3a + 2
1 2
ab + 5a2 b, si scrive in forma normale il
2
primo monomio, ottenendo 3a2 b, poi si sommano il primo e il terzo monomio, ottenendo 8a2 b,
quindi il polinomio in forma normale è:
• Per scrivere in forma normale il polinomio 3aba −
1
8a2 b − ab2
2
124
10.11. POLINOMI
Tra i polinomi in forma normale, quelli aventi come termini tutti monomi nulli sono detti polinomi
nulli.
Esempio 10.11.5.
I polinomi 0, 0ab, 0a2 b3 c + 0 + 0ac sono polinomi nulli perché sono formati da monomi nulli
Un polinomio in forma normale costituito da due termini si dice binomio, costituito da tre termini si
dice trinomio, costituito da quattro termini di dice quadrinomio.
Esempio 10.11.6.
• 2a3 − b2
è un binomio perché è costituito da 2 termini.
• a2 + 2ab + b2
è un trinomio perché è costituito da 3 termini.
• x3 + x2 + x + 1
è un quadrinomio perché è costituito da 4 termini.
10.11.2
Grado di un polinomio
Definizione 10.11.3 (Grado di un polinomio).
Si dice grado di un polinomio non nullo in forma normale il massimo dei gradi dei suoi termini.
Esempio 10.11.7.
1
• Il polinomio a3 b4 + a2 b − 3a5 ha grado 7, infatti il primo termine ha grado 7, il secondo ha
2
grado 3, il terzo ha grado 5, quindi il massimo è 7.
• Il polinomio 3a3 + 2a2 b + 5b3 ha grado 3, infatti tutti i termini hanno grado 3, quindi il massimo
è 3.
• Il polinomio 2a2 b ha grado 3, infatti l’unico suo termine ha grado 3.
Definizione 10.11.4 (Termine noto).
Si dice termine noto di un polinomio il termine di grado 0
Esempio 10.11.8.
1
• Il termine noto del polinomio a3 b4 + a2 b − 3 è −3.
2
• Il polinomio 3a2 b + 3ab non ha termine noto
Definizione 10.11.5 (Grado rispetto a una lettera di un polinomio).
Si dice grado rispetto a una lettera di un polinomio non nullo in forma normale il massimo esponente
di quella lettera
Esempio 10.11.9.
1
Il polinomio a3 b2 c − a4 b + 3ac5 + 2a3 ha grado 4 rispetto alla lettera a, grado 2 rispetto alla lettera
2
b, grado 5 rispetto alla lettera c, grado 0 rispetto a tutte le altre lettere
125
CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI
10.11.3
Polinomi omogenei, ordinati, completi
Definizione 10.11.6 (Polinomio omogeneo).
Un polinomio in forma normale si dice omogeneo se tutti i suoi termini hanno lo stesso grado
Esempio 10.11.10.
• Il polinomio a3 + 3a2 b + 3ab2 + b3 è omogeneo perché tutti i suoi termini hanno grado 3.
• Il polinomio 4ab + 2xy è omogeneo perché tutti i suoi termini hanno grado 2.
• Il polinomio a3 + a2 non è omogeneo perché il primo termine ha grado 3 e il secondo ha grado 2.
• Il polinomio x3 + x2 y + xy 2 + 1 non è omogeneo perché i primi tre termini hanno grado 3 ma
l’ultimo ha grado 0.
Definizione 10.11.7 (Polinomio ordinato).
Un polinomio in forma normale si dice ordinato secondo le potenze decrescenti rispetto a una lettera
se, leggendo da sinistra a destra, gli esponenti di quella lettera non aumentano.
Un polinomio in forma normale si dice ordinato secondo le potenze crescenti rispetto a una lettera se,
leggendo da sinistra a destra, gli esponenti di quella lettera non diminuiscono.
Esempio 10.11.11.
• Il polinomio a3 c + 3a2 bc3 + ab5 c2 è ordinato secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera
a, è ordinato secondo le potenze crescenti rispetto alla lettera b, non è ordinato rispetto alla
lettera c.
• Il polinomio a3 + a2 + 1 è ordinato secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera a
• Il polinomio 2x3 + y 4 + xy + x2 y 2 non è ordinato rispetto ad alcuna lettera.
Un polinomio non ordinato lo si può rendere ordinato rispetto ad una lettera spostando i termini in
modo che gli esponenti di quella lettera diventino crescenti o decrescenti.
Esempio 10.11.12.
Per ordinare secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera a il polinomio
a2 + 3a3 b − a + 2ab2 è sufficiente scambiare i primi due termini ottenendo 3a3 b + a2 − a + 2ab2
Definizione 10.11.8 (Polinomio completo).
Un polinomio in forma normale si dice completo rispetto ad una lettera se essa vi compare con tutte
le potenze da quella di grado maggiore a quella di grado 0.
Esempio 10.11.13.
• Il polinomio 3x3 + x + 2x2 + 3 è completo rispetto alla lettera x perché essa compare con gli
esponenti 3, 2, 1, 0.
• Il polinomio x2 + 2xy + y 2 è completo sia rispetto alla lettera x sia rispetto alla lettera y perché
esse compaiono con gli esponenti 2, 1, 0.
• Il polinomio b3 + b2 + 5 non è completo rispetto alla lettera b perché manca il termine con
esponente 1.
• Il polinomio a3 +b2 a+ba2 è completo rispetto alla lettera b perché essa compare con gli esponenti
2, 1, 0; non è completo rispetto alla lettera a perché manca il termine con esponente 0.
126
10.12. ADDIZIONE DI POLINOMI
10.11.4
Polinomi uguali
Definizione 10.11.9 (Polinomi uguali).
Due polinomi in forma normale sono uguali se hanno gli stessi termini indipendentemente dall’ordine.
Esempio 10.11.14.
1
1
• I polinomi 3a2 b − a3 b + 5 e 5 + 3a2 b − a3 b sono uguali perché hanno gli stessi termini anche
2
2
se sono scritti in ordine diverso.
• I polinomi 3x2 + x e 3x2 + x sono uguali perché hanno gli stessi termini.
• I polinomi xy + x e x + yx sono uguali perché hanno gli stessi termini.
• I polinomi y 2 + 2x e x2 + 2y non sono uguali perché i termini sono diversi
10.12
Addizione di polinomi
Nell’insieme dei polinomi l’addizione si può sempre effettuare; il risultato dell’addizione si dice somma.
Definizione 10.12.1 (Somma).
La somma di due polinomi è il polinomio formato da tutti i termini dei polinomi dati. Eventuali
termini simili vengono addizionati tra loro.
Osservazioni
1. L’addizione di polinomi gode delle proprietà: associativa, commutativa, esistenza dell’elemento
neutro, esistenza dell’elemento opposto.
2. Per effettuare la somma può essere utile sottolineare con segni uguali i termini simili. Inoltre può
essere utile ordinare il polinomio somma secondo le potenze decrescenti rispetto ad una lettera.
Esempio 10.12.1.
• (3a + 5ab + b2 ) + (a2 − 7a2 b) = 3a + 5ab + b2 + a2 − 7a2 b
non essendoci monomi simili, si sono riscritti tutti i termini.
• (3x2 + 2x + 5) + (−5x3 + 2x2 + 6) = 3x2 + 2x + 5 − 5x3 + 2x2 + 6 =
−5x3 + 5x2 + 2x + 11
infatti, nel primo passaggio si sono riscritti tutti i termini, nel secondo passaggio si sono sommati
i monomi simili e si è ordinato il polinomio secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera
x.
• (2x2 y − 3x + 5) + (−3x2 y + x2 ) + (5x − 2 + x2 ) =
2x2 y − 3x + 5 − 3x2 y + x2 + 5x − 2 + x2 =
−x2 y + 2x2 + 2x + 3
infatti, nel primo passaggio si sono riscritti tutti i termini, nel secondo passaggio si sono sommati
i monomi simili e si è ordinato il polinomio secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera
x.
127
CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI
10.13
Opposto di un polinomio
Definizione 10.13.1 (Opposto).
Si dice opposto di un polinomio il polinomio che, addizionato a quello dato, dà come somma il
polinomio nullo.
Osservazione
L’opposto di un polinomio si indica ponendo il segno − davanti al polinomio racchiuso tra parentesi
ed è uguale al polinomio che per termini gli opposti dei termini del polinomio dato.
Esempio 10.13.1.
L’opposto del polinomio a3 + 3a2 − 2 è
−(a3 + 3a2 − 2) = −a3 − 3a2 + 2
infatti
a3 + 3a2 − 2 − a3 − 3a2 + 2 = 0
Osservazione
Il segno − davanti ad una parentesi cambia i segni dei coefficienti dei termini all’interno della parentesi.
10.14
Sottrazione di polinomi
La sottrazione, nell’insieme dei polinomi, si può sempre effettuare. Il risultato della sottrazione si dice
differenza.
Definizione 10.14.1 (Differenza).
La differenza di due polinomi è il polinomio che si ottiene addizionando al primo l’opposto del secondo.
Esempio 10.14.1.
1
1
2a − ab + 3b3 − 2a + a2 b − b3 = 2a − ab + 3b3 − 2a − a2 b + b3 =
2
2
Å
ã
7
−a2 b − ab + b3
2
infatti nel primo passaggio il segno − davanti alla parentesi fa cambiare i segni dei coefficienti dei
termini ivi racchiusi, nel secondo passaggio vengono sommati i monomi simili e il polinomio viene
ordinato secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera a.
Osservazione
La differenza di due polinomi uguali è il polinomio nullo
Esempio 10.14.2.
−3x2 − x − 5 − (−3x2 − x − 5) = −3x2 − x − 5 + 3x2 + x + 5 = 0
infatti nel primo passaggio il segno − davanti alla parentesi fa cambiare i segni dei coefficienti dei
termini ivi racchiusi, nel secondo passaggio vengono sommati i monomi simili che, essendo opposti,
danno come risultato 0
La sottrazione e l’addizione di polinomi possono essere considerate un’unica operazione che si dice
addizione algebrica.
Esempio 10.14.3.
3a2 + 2a + a2 + a + 5 − (3a + 2) = 3a2 + 2a + a2 + a + 5 − 3a − 2 = 4a2 + 3
infatti nel primo passaggio vengono riscritti i termini tenendo conto che il segno − davanti alla parentesi
fa cambiare i segni dei coefficienti dei termini ivi racchiusi, nel secondo passaggio vengono sommati i
monomi simili e il polinomio viene ordinato secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera a.
128
10.15. MOLTIPLICAZIONE DI POLINOMI
10.15
Moltiplicazione di polinomi
La moltiplicazione, nell’insieme dei polinomi, si può sempre effettuare.
Consideriamo la seguente moltiplicazione di un monomio per un polinomio:
a · (b + c)
applicando la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione si ottiene:
a·b+a·c
Il risultato della moltiplicazione si dice prodotto.
Definizione 10.15.1 (Prodotto di un monomio per un polinomio).
Il prodotto di un monomio per un polinomio è il polinomio i cui termini si ottengono moltiplicando il
monomio per ogni termine del polinomio dato.
Esempio 10.15.1.
2a2 b · (3a2 − 2ab) = 6a4 b − 4a3 b2
infatti si è moltiplicato il monomio per ognuno dei termini del polinomio.
Osservazione
Poiché vale la proprietà commutativa della moltiplicazione, è indifferente che il monomio moltiplichi
il polinomio o viceversa.
Esempio 10.15.2.
Å
1 2
1
1
x + 3x · ab = abx2 + abx
2
3
6
ã
infatti si è moltiplicato il monomio per ognuno dei termini del polinomio.
Consideriamo la seguente moltiplicazione di due polinomi:
(a + b) · (c + d)
applicando la proprietà distributiva della moltiplicazione rispetto all’addizione e considerando la
seconda parentesi come un unico termine, si ottiene:
a · (c + d) + b · (c + d)
applicando ancora la stessa proprietà si ottiene:
ac + ad + bc + bd
Nella pratica si salta il passaggio intermedio.
Definizione 10.15.2 (Prodotto).
Il prodotto di due polinomi è il polinomio i cui termini si ottengono moltiplicando ogni termine del
primo polinomio per ogni termine del secondo polinomio.
Osservazioni
1. La moltipliazione di polinomi gode delle proprietà: associativa, commutativa, esistenza dell’elemento neutro.
2. Se dopo aver effettuato la moltiplicazione si hanno dei monomi simili, questi si sommano.
3. Il grado del polinomio prodotto di due polinomi non nulli è uguale alla somma dei gradi dei
polinomi dati.
Esempio 10.15.3.
129
CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI
• (3ax2 + 2x) · (2a + 3x) = 6a2 x2 + 9ax3 + 4ax + 6x2
infatti si è moltiplicato il primo termine del primo polinomio per ogni termine del secondo
polinomio, poi si è moltiplicato il secondo termine del primo polinomio per ogni termine del
secondo polinomio; essendo i polinomi formati da due termini, il risultato ha 2 · 2 = 4 termini,
e, poiché il primo polinomio ha grado 3 e il secondo ha grado 1, il prodotto ha grado 3 + 1 = 4
• (a2 b + 2ab2 + b) · (a + b) = a3 b + a2 b2 + 2a2 b2 + 2ab3 + ab + b2 = a3 b + 3a2 b2 + 2ab3 + ab + b2
infatti si è moltiplicato ogni termine del primo polinomio per ogni termine del secondo polinomio; dopo aver effettuato la moltiplicazione si sono sommati i monomi simili e si è ordinato il
polinomio secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera a; il grado del polinomio prodotto
è 4.
Osservazioni
1. Negli esempi si è fatta la scelta di moltiplicare il primo termine del primo polinomio per ogni
termine del secondo polinomio, poi il secondo termine del primo polinomio per ogni termine del
secondo polinomio e così via. È anche possibile moltiplicare tutti i termini del primo polinomio
per il primo termine del secondo polinomio, poi tutti i termini del primo polinomio per il secondo
termine del secondo polinomio e così via. Nel primo prodotto di polinomi dell’esempio precedente,
procedendo in questo modo, si ottiene:
(3ax2 + 2x) · (2a + 3x) = 6a2 x2 + 4ax + 9ax3 + 6x2
che coincide con il risultato trovato precedentemente.
2. Se dobbiamo moltiplicare tre polinomi, se ne moltiplicano due di loro e il risultato lo si moltiplica
per il terzo. Poiché valgono le proprietà commutativa e associativa della moltiplicazione, la scelta
dell’ordine secondo il quale moltiplicare i polinomi è libera. Dopo aver moltiplicato due polinomi,
è utile sommare eventuali termini simili. Nella moltiplicazione di tre polinomi, il prodotto dei
primi due deve essere racchiuso tra parentesi altrimenti solo un termine moltiplicherebbe il terzo
polinomio.
Esempio 10.15.4.
(a + b) · (c + d) · (e + f ) = (ac + ad + bc + bd) · (e + f ) =
ace + acf + ade + adf + bce + bcf + bde + bdf
È errato scrivere
(a + b) · (c + d) · (e + f ) = ac + ad + bc + bd · (e + f ) = ac + ad + bc + bde + bdf
Esempio 10.15.5.
• (3x2 + 2x) · (x − 2) · (x2 − x − 1)
Moltiplicando i primi due polinomi si ottiene
(3x3 − 6x2 + 2x2 − 4x) · (x2 − x − 1)
Sommando i termini simili si ottiene
(3x3 − 4x2 − 4x) · (x2 − x − 1)
Moltiplicando i due polinomi si ottiene
3x5 − 3x4 − 3x3 − 4x4 + 4x3 + 4x2 − 4x3 + 4x2 + 4x
Sommando i termini simili si ottiene
3x5 − 7x4 − 3x3 + 8x2 + 4x
130
10.16. PRODOTTI NOTEVOLI
• (a − 2b) · (a + b) · (2a + b) · (2a − b)
Moltiplicando rispettivamente, i primi due polinomi e il terzo e il quarto si ottiene
(a2 + ab − 2ab − 2b2 ) · (4a2 − 2ab + 2ab − b2 )
Sommando i termini simili si ottiene
(a2 − ab − 2b2 ) · (4a2 − b2 )
Moltiplicando i due polinomi si ottiene
4a4 − a2 b2 − 4a3 b + ab3 − 8a2 b2 + 2b4
Sommando i termini simili si ottiene
4a4 − 4a3 b − 9a2 b2 + ab3 + 2b4
Osservazione
Se dobbiamo moltiplicare un monomio per due polinomi è consigliabile, per evitare errori, eseguire
prima il prodotto dei due polinomi e poi moltiplicare il monomio per il prodotto ottenuto.
Esempio 10.15.6.
2x · (x + 2) · (x + 3)
Moltiplicando i due polinomi si ottiene
2x · (x2 + 3x + 2x + 6)
Sommando i termini simili si ottiene
2x · (x2 + 5x + 6)
Moltiplicando il monomio per il polinomio si ottiene
2x3 + 10x2 + 12x
10.15.1
Precedenza delle operazioni
Nelle espressioni con i polinomi, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di
precedenza:
1. moltiplicazione
2. addizione, sottrazione
Esempio 10.15.7.
Semplifichiamo l’espressione
(2a + b) · (a − b) − 3a · (2a − b) + 4a2 =
2a2 − 2ab + ab − b2 − 6a2 + 3ab + 4a2 =
−b2 + 2ab
10.16
Prodotti notevoli
Alcune moltiplicazioni e potenze di polinomi rivestono una particolare importanza e si dicono prodotti
notevoli. Questi prodotti e le potenze, dopo averle trasformate in prodotti, si potrebbero calcolare con
il metodo visto precedentemente, cioè moltiplicando ogni termine di un polinomio per ogni termine
dell’altro polinomio e poi sommando i termini simili; tuttavia è possibile scrivere direttamente il risultato finale omettendo i passaggi intermedi. In questo modo si velocizza la risoluzione delle espressioni
algebriche; inoltre i prodotti notevoli rivestiranno un ruolo importante nella scomposizione in fattori
dei polinomi.
131
CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI
10.16.1
Precedenza delle operazioni
Nelle espressioni con i polinomi, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di
precedenza:
1. potenza
2. moltiplicazione
3. addizione, sottrazione
10.16.2
Somma di due monomi per la loro differenza
(a + b) · (a − b) = a2 − ab + ab − b2 = a2 − b2
Teorema 10.16.1 (Somma per differenza).
Il prodotto della somma di due monomi per la loro differenza è uguale alla differenza fra il quadrato
del termine con coefficiente che non cambia segno e il quadrato del termine con coefficiente che cambia
segno:
(a + b) · (a − b) = a2 − b2
Esempio 10.16.1.
• (a + 5)(a − 5) = a2 − 25
infatti:
a2 è il quadrato del termine con coefficiente che non cambia segno
25 è il quadrato del termine con coefficiente che cambia segno
• (−2a + b3 )(−2a − b3 ) = 4a2 − b6
infatti:
4a2 è il quadrato del termine con coefficiente che non cambia segno
b6 è il quadrato del termine con coefficiente che cambia segno
• (−y + 3)(y + 3) = 9 − y 2
infatti:
9 è il quadrato del termine con coefficiente che non cambia segno
y 2 è il quadrato del termine con coefficiente che cambia segno
• Semplifichiamo l’espressione
(2a + 3)(2a − 3)(4a2 + 9) = (4a2 − 9)(4a2 + 9) = 16a4 − 81
• Semplifichiamo l’espressione
(2a + 1)(2a − 1) − 4(a + 3)(a − 3) =
4a2 − 1 − 4(a2 − 9) =
4a2 − 1 − 4a2 + 36 = 35
• Semplifichiamo l’espressione
2xy + (x + y)(x − y)](3x − 2y) − x(4xy − 7y 2 + 3x2 ) =
(2xy + x2 − y 2 )(3x − 2y) − 4x2 y + 7xy 2 − 3x3 =
6x2 y − 4xy 2 + 3x3 − 2x2 y − 3xy 2 + 2y 3 − 4x2 y + 7xy 2 − 3x3 = 2y 3
132
10.16. PRODOTTI NOTEVOLI
10.16.3
Quadrato di un binomio
(a + b)2 = (a + b) · (a + b) = a2 + ab + ab + b2 = a2 + 2ab + b2
Teorema 10.16.2 (Quadrato di un binomio).
Il quadrato di un binomio è il polinomio costituito dalla somma dei quadrati dei due termini e del
loro doppio prodotto:
(a + b)2 = a2 + 2ab + b2
Osservazione
I due quadrati hanno sempre coefficiente positivo; il coefficiente del doppio prodotto è positivo se i
coefficienti dei due termini hanno lo stesso segno, negativo in caso contrario. Per calcolare il doppio
prodotto si effettua il prodotto tra i due termini e lo si moltiplica per 2.
Esempio 10.16.2.
• (a + 5)2 = a2 + 10a + 25
infatti:
a2 e 25 sono i quadrati dei due termini a e 5
10a è il loro doppio prodotto: 2 · a · 5
• (2a − 3)2 = 4a2 − 12a + 9
infatti:
4a2 e 9 sono i quadrati dei due termini 2a e −3
−12a è il loro doppio prodotto: 2 · 2a · (−3)
• (−3y − x2 )2 = 9y 2 + 6x2 y + x4
• Semplifichiamo l’espressione
(2b − 3)2 − (b + 1)2 − 5(b2 + 2) =
4b2 − 12b + 9 − (b2 + 2b + 1) − 5b2 − 10 =
4b2 − 12b + 9 − b2 − 2b − 1 − 5b2 − 10 =
−2b2 − 14b − 2
• Semplifichiamo l’espressione
(2x − 3)2 (x + 1) − (x + 2)(x − 3)2 + x2 (4 − 3x) =
(4x2 − 12x + 9)(x + 1) − (x + 2)(x2 − 6x + 9) + 4x2 − 3x3 =
4x3 + 4x2 − 12x2 − 12x + 9x + 9 − (x3 − 6x2 + 9x + 2x2 − 12x + 18) + 4x2 − 3x3 =
4x3 − 8x2 − 3x + 9 − x3 + 6x2 − 9x − 2x2 + 12x − 18 + 4x2 − 3x3 = −9
• Semplifichiamo l’espressione
(a − b + 5)(a + b − 5) =
(a − (b − 5))(a + (b − 5)) =
a2 − (b − 5)2 =
a2 − (b2 − 10b + 25) =
a2 − b2 + 10b − 25
133
CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI
• Semplifichiamo l’espressione
(x + 3)2 (x − 3)2 − ((2x + 3)2 + x2 (x − 2)(x + 2) − 12x) =
((x + 3)(x − 3))2 − (4x2 + 12x + 9 + x2 (x2 − 4) − 12x) =
(x2 − 9)2 − (4x2 + 12x + 9 + x4 − 4x2 − 12x) =
x4 − 18x2 + 81 − 9 − x4 =
−18x2 + 72
Osservazione
È errato scrivere
(a + b)2 = a2 + b2
cioè, per elevare al quadrato una somma, è errato elevare al quadrato solo i termini della somma.
Infatti
(2 + 3)2 = 52 = 25
mentre
22 + 32 = 4 + 9 = 13
quello che manca è il doppio prodotto 12 che sommato a 13 dà 25.
10.16.4
Quadrato di un trinomio
(a + b + c)2 = (a + b + c)(a + b + c) = a2 + ab + ac + ab + b2 + bc + ac + bc + c2 =
a2 + b2 + c2 + 2ab + 2ac + 2bc
Teorema 10.16.3 (Quadrato di un trinomio).
Il quadrato di un trinomio è il polinomio costituito dalla somma dei quadrati dei tre termini e dei tre
loro doppi prodotti:
(a + b + c)2 = a2 + b2 + c2 + 2ab + 2ac + 2bc
Osservazione
I tre quadrati hanno sempre coefficiente positivo, i coefficienti dei doppi prodotti sono positivi se i
coefficienti dei due termini hanno lo stesso segno, negativi in caso contrario.
Esempio 10.16.3.
• (a2 + b + 1)2 = a4 + b2 + 1 + 2a2 b + 2a2 + 2b
infatti:
a4 , b2 , 1 sono i quadrati di a2 , b e 1
2a2 b è il doppio prodotto del primo termine per il secondo: 2 · a2 · b
2a2 è il doppio prodotto del primo termine per il terzo: 2 · a2 · 1
2b è il doppio prodotto del secondo termine per il terzo: 2 · b · 1
• (2x − y + xy)2 = 4x2 + y 2 + x2 y 2 − 4xy + 4x2 y − 2xy 2
infatti:
4x2 , y 2 , x2 y 2 sono i quadrati di 2x, −y e xy
−4xy è il doppio prodotto del primo termine per il secondo
4x2 y è il doppio prodotto del primo termine per il terzo
−2xy 2 è il doppio prodotto del secondo termine per il terzo
134
10.16. PRODOTTI NOTEVOLI
• Semplifichiamo l’espressione
(x + 2 + y)2 − (x + 2)(2y + 4) =
x2 + 4 + y 2 + 4x + 2xy + 4y − (2xy + 4x + 4y + 8) =
x2 + 4 + y 2 + 4x + 2xy + 4y − 2xy − 4x − 4y − 8 =
x2 + y 2 − 4
• Semplifichiamo l’espressione
(a + 3)2 (2a − 1)2 − (2a + 13)(2a3 + a2 ) + 2a(15 + 4a2 ) =
((a + 3)(2a − 1))2 − (4a4 + 2a3 + 26a3 + 13a2 ) + 30a + 8a3 =
(2a2 + 5a − 3)2 − 4a4 − 2a3 − 26a3 − 13a2 + 30a + 8a3 =
4a4 + 25a2 + 9 + 20a3 − 12a2 − 30a − 4a4 − 2a3 − 26a3 − 13a2 + 30a + 8a3 = 9
• Semplifichiamo l’espressione
(x2 + x + 1)2 − (x2 − 1)2 + (x + 1)(x − 1) − 3(x + 1)(2x − 2) =
x4 + x2 + 1 + 2x3 + 2x2 + 2x − (x4 − 2x2 + 1) + x2 − 1 − 3(2x2 − 2) =
x4 + x2 + 1 + 2x3 + 2x2 + 2x − x4 + 2x2 − 1 + x2 − 1 − 6x2 + 6 =
2x3 + 2x + 5
• Semplifichiamo l’espressione
(1 + x + xn )2 − (xn + 2)(xn + 2x) =
1 + x2 + x2n + 2x + 2xn + 2xn+1 − (x2n + 2xn+1 + 2xn + 4x) =
1 + x2 + x2n + 2x + 2xn + 2xn+1 − x2n − 2xn+1 − 2xn − 4x =
x2 − 2x + 1
10.16.5
Cubo di un binomio
(a + b)3 = (a + b)2 (a + b) = (a2 + 2ab + b2 )(a + b) =
a3 + a2 b + 2a2 b + 2ab2 + ab2 + b3 = a3 + 3a2 b + 3ab2 + b3
Teorema 10.16.4 (Cubo di un binomio).
Il cubo di un binomio è il polinomio costituito dalla somma dei cubi dei due termini, del triplo prodotto
del quadrato del primo termine per il secondo e del triplo prodotto del primo termine per il quadrato
del secondo:
(a + b)3 = a3 + 3a2 b + 3ab2 + b3
Esempio 10.16.4.
• (a + 2)3 = a3 + 6a2 + 12a + 8
infatti:
a3 e 8 sono i cubi di a e 2
6a2 è il triplo prodotto del quadrato del primo termine per il secondo: 3 · a2 · 2
12a è il triplo prodotto del primo termine per il quadrato del secondo: 3 · a · 22
135
CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI
• (2x − 3)3 = 8x3 − 36x2 + 54x − 27
infatti:
8x3 e −27 sono i cubi di 2x e −3
−36x2 è il triplo prodotto del quadrato del primo termine per il secondo: 3 · (2x)2 · (−3)
54x è il triplo prodotto del primo termine per il quadrato del secondo: 3 · 2x · (−3)2
• Semplifichiamo l’espressione
(2x − 1)3 − (4x2 + 1)(2x − 1) =
8x3 − 12x2 + 6x − 1 − (8x3 − 4x2 + 2x − 1) =
8x3 − 12x2 + 6x − 1 − 8x3 + 4x2 − 2x + 1) =
−8x2 + 4x
• Semplifichiamo l’espressione
Å
1
1
axy − ab2
2
3
ã3
1
1
1
1
1
− a3 x2 y 2
xy − b2 + a3 b4 − xy + b2 =
4
2
3
2
9
Å
ã
Å
ã
1
1
1
1
1
1 3 3 3 1 3 2 2 2 1 3
a x y − a x y b + a xyb4 − a3 b6 − a3 x3 y 3 + a3 x2 y 2 b2 − a3 b4 xy +
=0
8
4
6
27
8
4
6
27a3 b6
• Semplifichiamo l’espressione
(a + 2)3 + (a + 3)(a − 3) + 2(a − 1)2 − 9a2 =
a3 + 6a2 + 12a + 8 + a2 − 9 + 2(a2 − 2a + 1) − 9a2 =
a3 + 6a2 + 12a + 8 + a2 − 9 + 2a2 − 4a + 2 − 9a2 =
a3 + 8a + 1
Osservazione
È errato scrivere
(a + b)3 = a3 + b3
10.16.6
Somma di cubi
(a + b) · (a2 − ab + b2 ) = a3 − a2 b + ab2 + a2 b − ab2 + b3 = a3 + b3
Teorema 10.16.5 (Somma di cubi).
Il prodotto della somma di due monomi per il polinomio formato dalla somma dei loro quadrati
diminuito del loro prodotto è uguale alla somma dei loro cubi
(a + b) · (a2 − ab + b2 ) = a3 + b3
Esempio 10.16.5.
• (a + 2)(a2 − 2a + 4) = a3 + 8
infatti:
a3 è il cubo del primo monomio
8 è il cubo del secondo monomio
• (3x2 + y 3 )(9x4 − 3x2 y 3 + y 6 ) = 27x6 + y 9
infatti:
27x6 è il cubo del primo monomio
y 9 è il cubo del secondo monomio
136
10.16. PRODOTTI NOTEVOLI
• Semplifichiamo l’espressione
(a + 1)(a2 − a + 1) − a(a2 + 1) =
a3 + 1 − a3 − a = 1 − a
• Semplifichiamo l’espressione
(a2 + b2 − ab)(a2 + b2 + ab + a + b) − (a2 + b2 )2 − (a + b)(a2 + b2 − ab) =
a4 +a2 b2 +a3 b+a3 +a2 b+a2 b2 +b4 +ab3 +ab2 +b3 −a3 b−ab3 −a2 b2 −a2 b−ab2 −(a4 +2a2 b2 +b4 )−(a3 +b3 ) =
a4 + a2 b2 + a3 + b4 + b3 − a4 − 2a2 b2 − b4 − a3 − b3 =
−a2 b2
10.16.7
Differenza di cubi
(a − b) · (a2 + ab + b2 ) = a3 + a2 b + ab2 − a2 b − ab2 − b3 = a3 − b3
Teorema 10.16.6 (Differenza di cubi).
Il prodotto della differenza di due monomi per il polinomio formato dalla somma dei loro quadrati e
del loro prodotto è uguale alla differenza dei loro cubi
(a − b) · (a2 + ab + b2 ) = a3 − b3
Esempio 10.16.6.
• (a − 3)(a2 + 3a + 9) = a3 − 27
infatti:
a3 è il cubo del primo monomio
27 è il cubo del secondo monomio
• (2x2 y − y 2 )(4x4 y 2 + 2x2 y 3 + y 4 ) = 8x6 y 3 − y 6
infatti:
8x6 y 3 è il cubo del primo monomio
y 6 è il cubo del secondo monomio
• Semplifichiamo l’espressione
(2a − 3)(4a2 + 6a + 9) − 2a(2a − 1)(2a + 3) =
8a3 − 27 − 2a(4a2 + 6a − 2a − 3) =
8a3 − 27 − 8a3 − 12a2 + 4a2 + 6a =
−8a2 + 6a − 27
• Semplifichiamo l’espressione
(x + y)(x2 − xy + y 2 ) + (x − y)(x2 + xy + y 2 ) =
x3 + y 3 + x3 − y 3 = 2x3
• Semplifichiamo l’espressione
(x2 + 1)(x + 1)(x − 1) − x3 (x − 1) − (x − 1)(x2 + x + 1) =
(x2 + 1)(x2 − 1) − x4 + x3 − (x3 − 1) =
x4 − 1 − x4 + x3 − x3 + 1 = 0
137
CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI
10.16.8
Potenza di un binomio
Abbiamo già calcolato alcune potenze di un binomio: il quadrato e il cubo. Le formule ricavate si
possono generalizzare per calcolare altre potenze di un binomio. Dato il binomio a + b scriviamo le
potenze con esponente 0, 1, 2, 3:
(a + b)0 = 1
(a + b)1 = a + b
(a + b)2 = a2 + 2ab + b2
(a + b)3 = a3 + 3a2 b + 3ab2 + b3
Possiamo notare che si ottengono dei polinomi con le seguenti caratteristiche:
1. il numero dei termini è uguale all’esponente aumentato di 1;
2. sono polinomi omogenei di grado uguale all’esponente;
3. sono polinomi completi e ordinati in modo decrescente rispetto alla lettera a;
4. sono polinomi completi e ordinati in modo crescente rispetto alla lettera b.
Per determinare i coefficienti dei termini di questi polinomi si utilizza il triangolo di Tartaglia che si
costruisce nel seguente modo:
1. la prima riga è formata solo da un 1;
2. la seconda riga è formata da 1 e 1;
3. le altre righe iniziano e terminano con 1 e gli altri numeri si ottengono sommando i due numeri
più vicini della riga precedente.
Esempio 10.16.7.
Costruiamo le prime 6 righe del triangolo di Tartaglia:
1
1
1
1
1
2
3
5
1
3
6
4
1
1
10
1
4
10
1
5
1
Figura 10.1: triangolo di Tartaglia
Analizzando, per esempio, la sesta riga si vede che:
inizia con 1 e finisce con 1
il primo 5 è dato da 1 + 4
il primo 10 è dato da 4 + 6
il secondo 10 è dato da 6 + 4
il secondo 5 è dato da 4 + 1.
138
10.16. PRODOTTI NOTEVOLI
La prima riga del triangolo di Tartaglia fornisce il coefficiente della potenza del binomio con esponente
0, la seconda i coefficienti della potenza del binomio con esponente 1, la terza i coefficienti della potenza
del binomio con esponente 2, e così via.
Osservazione
Se si deve determinare la potenza di un binomio, è opportuno scrivere prima lo sviluppo della potenza
del binomio a + b, poi adattarla all’esercizio specifico, sostituendo alla lettera a il primo termine e alla
lettera b il secondo termine.
Esempio 10.16.8.
• (a2 + 2)4
Scriviamo lo sviluppo di (a + b)4 :
(a + b)4 = a4 + 4a3 b + 6a2 b2 + 4ab3 + b4
infatti:
i coefficienti sono quelli della quinta riga del triangolo di Tartaglia
la lettera a ha come primo esponente 4 e poi gli esponenti decrescono fino a 0
la lettera b ha come primo esponente 0 e poi gli esponenti crescono fino a 4.
Ora applichiamo questa formula al nostro caso particolare, sostituendo la lettera a con il primo
termine, cioè a2 e la lettera b con il secondo termine, cioè 2:
(a2 + 2)4 = (a2 )4 + 4(a2 )3 · 2 + 6(a2 )2 · 22 + 4(a2 ) · 23 + 24
Effettuiamo i calcoli e otteniamo:
(a2 + 2)4 = a8 + 8a6 + 24a4 + 32a2 + 16
• (x − 3)5
Scriviamo lo sviluppo di (a + b)5 :
(a + b)5 = a5 + 5a4 b + 10a3 b2 + 10a2 b3 + 5ab4 + b5
infatti:
i coefficienti sono quelli della sesta riga del triangolo di Tartaglia
la lettera a ha come primo esponente 5 e poi gli esponenti decrescono fino a 0
la lettera b ha come primo esponente 0 e poi gli esponenti crescono fino a 5.
Ora applichiamo questa formula al nostro caso particolare, sostituendo la lettera a con il primo
termine, cioè x e la lettera b con il secondo termine, cioè −3:
(x − 3)5 = x5 + 5x4 · (−3) + 10x3 · (−3)2 + 10x2 · (−3)3 + 5x · (−3)4 + (−3)5
Effettuiamo i calcoli e otteniamo:
(x − 3)5 = x5 − 15x4 + 90x3 − 270x2 + 405x − 243
• (bn − 1)5 =
(bn )5 + 5(bn )4 (−1) + 10(bn )3 (−1)2 + 10(bn )2 (−1)3 + 5bn (−1)4 − 1 =
b5n − 5b4n + 10b3n − 10b2n + 5bn − 1
139
CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI
10.17
Polinomi come funzioni
Un polinomio in una lettera, per esempio 3x2 + 2x + 5, si può considerare come funzione della variabile
x, in quanto per ogni valore attribuito alla variabile x il polinomio assume uno ed un solo valore. Un
polinomio con due lettere, per esempio x2 y − 2xy 2 + 4y 3 , si può considerare come funzione delle due
variabili x e y, in quanto per ogni valore attribuito alle variabili x e y, il polinomio assume uno e un
solo valore.
Quindi in generale ogni polinomio è una funzione delle variabili che lo costituiscono.
Per indicare un polinomio generico nella variabile x, scriveremo A(x), B(x), P (x), Q(x), . . ., per indicare un polinomio generico nelle variabili x, y, scriveremo A(x, y), B(x, y), P (x, y), . . ..
Osservazione
A volte, in un polinomio con due lettere, una si può considerare variabile e l’altra costante; in questo
caso il polinomio si considera in una variabile
Esempio 10.17.1.
• Dato il polinomio
A(x) = x3 − 5x2 + 4
calcoliamo il valore assunto per x = 2 e per x = −3
Sostituiamo alla variabile x il valore 2:
A(2) = 23 − 5 · 22 + 4 = −8
quindi per x = 2 il polinomio assume il valore −8.
Sostituiamo alla variabile x il valore −3:
A(−3) = (−3)3 − 5 · (−3)2 + 4 = −68
quindi per x = −3 il polinomio assume il valore −68.
• Dato il polinomio
A(x, y) = 3x2 y + 2y − 3x + 1
calcoliamo il valore assunto per x = −1 ∧ y = 4
Sostituiamo alla variabile x il valore −1 e alla variabile y il valore 4:
A(−1, 4) = 3 · (−1)2 · 4 + 2 · 4 − 3 · (−1) + 1 = 24
quindi per x = −1 ∧ y = 4 il polinomio assume il valore 24.
• Dato il polinomio
A(x) = 3ax2 + x + a
calcoliamo il valore assunto per x = a
Sostituiamo alla variabile x il valore a:
A(a) = 3a · (a)2 + a + a = 3a3 + 2a
quindi per x = a il polinomio assume il valore 3a3 + 2a.
10.17.1
Principio di identità dei polinomi
Teorema 10.17.1 (Principio di identità dei polinomi).
Due polinomi sono uguali, se e solo se assumono lo stesso valore per qualsiasi valore assegnato alle
variabili
140
10.18. DIVISIBILITÀ DI UN POLINOMIO PER UN MONOMIO
10.18
Divisibilità di un polinomio per un monomio
Definizione 10.18.1 (Divisibilità).
Un polinomio è divisibile per un monomio se ogni termine del polinomio è divisibile per il monomio.
Esempio 10.18.1.
• Il polinomio 3a2 b + a3 + 5a è divisibile per il monomio 2a perché ogni termine del polinomio è
divisibile per 2a
• Il polinomio 2x3 + 3x2 + 5x + 2 non è divisibile per il monomio 3x perché 2 non è divisibile per
3x
10.19
Divisione di un polinomio per un monomio
Nell’insieme dei polinomi, a differenza delle operazioni precedenti, la divisione di un poliomio per un
monomio si può effettuare solo se il polinomio, detto dividendo, è divisibile per il monomio, detto
divisore; il risultato della divisione si dice quoziente. Inoltre, per poter effettuare la divisione, il monomio divisore deve essere diverso dal monomio nullo. In particolare, è sempre possibile effettuare la
divisione di un polinomio per un numero diverso da 0.
Definizione 10.19.1 (Quoziente).
Il quoziente di un polinomio per un monomio, con il primo divisibile per il secondo, è il polinomio i
cui termini si ottengono dividendo ogni termine del polinomio dato per il monomio.
Esempio 10.19.1.
2
(3a3 b − 2ab2 + 3ab) : (3ab) = a2 − b + 1
3
10.19.1
Precedenza delle operazioni
Nelle espressioni con i polinomi, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente ordine di
precedenza:
1. potenza
2. moltiplicazione, divisione
3. addizione, sottrazione
Esempio 10.19.2.
Esempio 10.19.3.
1. Semplifichiamo l’espressione
(10x3 + 5x2 ) : (5x) − (2x − 1)(x + 3) =
2x2 + x − (2x2 + 6x − x − 3) =
2x2 + x − 2x2 − 6x + x + 3 =
−4x + 3
2. Semplifichiamo l’espressione
(y + 2)2 − (y + y 2 + 2)2 + (y + 1)(y 3 + 8) + (y − 2)3 + 10y(−2 + y) =
y 2 + 4y + 4 − (y 2 + y 4 + 4 + 2y 3 + 4y + 4y 2 ) + y 4 + 8y + y 3 + 8 + y 3 − 6y 2 + 12y − 8 − 20y + 10y 2 =
y 2 + 4y + 4 − y 2 − y 4 − 4 − 2y 3 − 4y − 4y 2 + y 4 + 8y + y 3 + 8 + y 3 − 6y 2 + 12y − 8 − 20y + 10y 2 = 0
141
CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI
3. Semplifichiamo l’espressione
ã2 Å ãå
ä Å5 ã
9
2
3a + 5a :
a −3 :
a
(5a + 10) − (3a + 3)2 =
ÇÅ
Ä
3
2
3
ÇÅ
Å
ã2 Å
9
a+3−3
5
9
81 2
a :
a
25
5
Å
ãã
5
ãå
9
:
a
5
(5a + 10) − (9a2 + 18a + 9) =
(5a + 10) − 9a2 − 18a − 9 =
9
a(5a + 10) − 9a2 − 18a − 9 =
5
9a2 + 18a − 9a2 − 18a − 9 = −9
10.20
Divisione di polinomi
Teorema 10.20.1 (Quoziente e resto).
Dati i polinomi A(x) di grado n e B(x) di grado m, con n
detti rispettivamente quoziente e resto tali che:
m, esistono due polinomi Q(x) e R(x)
A(x) = B(x)Q(x) + R(x)
con grado di R(x) minore di m
I polinomi Q(x) e R(x) si determinano utilizzando un metodo simile a quello della divisione tra numeri
naturali.
Consideriamo la divisione di due numeri naturali
Esempio 10.20.1.
Determiniamo il quoziente e il resto di
429 : 2
429 2
4
214
02
2
09
8
1
Abbiamo ottenuto 214 come quoziente e 1 come resto. Il procedimento termina perché il resto è minore
del divisore. Possiamo scrivere che 429 = 214 · 2 + 1, cioè in generale:
Dividendo = Divisore · Quoziente + Resto
Consideriamo ora la divisione di due polinomi, analizzando il procedimento con un esempio. Consideriamo polinomi con una sola lettera.
Esempio 10.20.2.
Determiniamo il quoziente e il resto di
(8x2 + 3x3 + 4 + 7x) : (2 + 3x)
Ordiniamo i polinomi secondo le potenze decrescenti rispetto alla lettera x:
(3x3 + 8x2 + 7x + 4) : (3x + 2)
Costruiamo lo schema come per la divisione di numeri naturali:
3x3 + 8x2 + 7x + 4 3x + 2
142
10.20. DIVISIONE DI POLINOMI
dividiamo il primo termine del dividendo per il primo termine del divisore e scriviamo il risultato sotto
il divisore
3x3 + 8x2 + 7x + 4 3x + 2
x2
moltiplichiamo questo risultato per ogni termine del divisore cambiando il segno, scriviamo i prodotti
ottenuti sotto il dividendo incolonnando in base al grado (cambiamo il segno per poter effettuare
l’addizione invece della sottrazione):
3x3 + 8x2 + 7x + 4 3x + 2
−3x3 − 2x2
x2
effettuiamo l’addizione:
3x3 + 8x2 + 7x + 4 3x + 2
−3x3 − 2x2
//
x2
6x2 + 7x + 4
Ripetiamo il procedimento considerando come dividendo il polinomio ottenuto:
3x3 + 8x2 + 7x + 4 3x + 2
−3x3 − 2x2
//
x2 + 2x
6x2 + 7x + 4
3x3 + 8x2 + 7x + 4 3x + 2
−3x3 − 2x2
//
x2 + 2x
6x2 + 7x + 4
−6x2 − 4x
//
3x + 4
Ripetiamo nuovamente il procedimento considerando come dividendo il polinomio ottenuto:
3x3 + 8x2 + 7x + 4
−3x3 − 2x2
//
3x + 2
x2 + 2x + 1
6x2 + 7x + 4
−6x2 − 4x
//
3x + 4
−3x − 2
//
2
Poiché il grado dell’ultimo polinomio ottenuto è minore del grado del divisore, il procedimento termina.
Il quoziente è
Q(x) = x2 + 2x + 1
e il resto è
R=2
Poiché il resto non è zero, il polinomio 3x3 + 8x2 + 7x + 4 non è divisibile per il polinomio 3x + 2.
Come per i numeri naturali possiamo scrivere:
Dividendo = Divisore · Quoziente + Resto
143
CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI
cioè:
3x3 + 8x2 + 7x + 4 = (3x + 2) · (x2 + 2x + 1) + 2
infatti:
(3x + 2) · (x2 + 2x + 1) + 2 = 3x3 + 6x2 + 3x + 2x2 + 4x + 2 + 2 =
3x3 + 8x2 + 7x + 4
Osservazioni
1. Il grado del resto è minore del grado del divisore perché se fosse maggiore o uguale si potrebbe
ancora continuare il procedimento.
2. Il grado del quoziente è dato dalla differenza tra il grado del dividendo e il grado del divisore,
infatti, poiché
A(x) = B(x)Q(x) + R(x)
il grado di A(x) è dato dalla somma dei gradi di B(x) e di Q(x), quindi il grado di Q(x) è dato
dalla differenza tra i gradi di A(x) e B(x).
3. In generale, dividendo due polinomi, non si ottiene un polinomio, quindi la divisione non è
un’operazione nell’insieme dei polinomi. Solo se il resto è zero, si dice che il polinomio dividendo
è divisibile per il polinomio divisore.
Esempio 10.20.3.
• Determiniamo il quoziente e il resto di
(2x4 − 3x + 5x3 + 2) : (2x2 + x − 2)
Dopo aver ordinato in modo decrescente rispetto alla lettera x e lasciato uno spazio al posto del
termine di secondo grado mancante per poter incolonnare meglio, applichiamo il procedimento
visto precedentemente:
2x4 + 5x3
− 3x + 2 2x2 + x − 2
Dividiamo il primo termine del dividendo per il primo termine del divisore, moltiplichiamo questo
risultato per ogni termine del divisore cambiando il segno, scriviamo i prodotti ottenuti sotto il
dividendo incolonnando in base al grado e sommiamo:
2x4 + 5x3
− 3x + 2 2x2 + x − 2
−2x4 − x3 + 2x2
//
x2
4x3 + 2x2 − 3x + 2
Ripetiamo il procedimento considerando come dividendo il polinomio ottenuto dalla somma:
2x4 + 5x3
− 3x + 2 2x2 + x − 2
−2x4 − x3 + 2x2
//
x2 + 2x
4x3 + 2x2 − 3x + 2
−4x3 − 2x2 + 4x
// //
x+2
Poiché il grado del polinomio ottenuto è minore del grado del divisore, il procedimento termina.
Il quoziente è
Q(x) = x2 + 2x
e il resto è
R(x) = x + 2
Poiché il resto non è zero, il polinomio 2x4 − 3x + 5x3 + 2 non è divisibile per il polinomio
2x2 + x − 2.
144
10.20. DIVISIONE DI POLINOMI
• Determiniamo il quoziente e il resto di
2
1
a4 − 2a3 − a −
: (3a2 + 1)
3
9
Å
ã
I polinomi sono già ordinati rispetto alla lettera a, quindi lasciamo uno spazio al posto del
termine di secondo grado mancante per poter incolonnare meglio. Applicando il procedimento
visto precedentemente si ha:
2
1
− a−
3
9
a4 − 2a3
3a2 + 1
1
− a2
3
1
2
1
// − 2a3 − a2 − a −
3
3
9
2
3
2a
+ a
3
1 2
1
// − a // −
3
9
1 2
1
a
+
3
9
−a4
//
1 2 2
1
a − a−
3
3
9
//
Poiché il grado del polinomio ottenuto è minore del grado del divisore, il procedimento termina.
Il quoziente è
1
2
1
Q(a) = a2 − a −
3
3
9
e il resto è
R=0
1
2
Pertanto il polinomio a4 − 2a3 − a − è divisibile per il polinomio 3a2 + 1.
3
9
Negli esempi precedenti abbiamo considerato polinomi con una sola lettera. Ora considereremo polinomi con più lettere. In questo caso dobbiamo decidere secondo quale variabile si effettua la divisione
e ordinare i polinomi in modo decrescente rispetto alla variabile scelta. Il procedimento è quello visto
per i polinomi con una sola lettera. Se il resto è zero si ottiene lo stesso quoziente indipendentemente
dalla lettera scelta come variabile; se il resto non è zero, il quoziente e il resto variano a seconda della
variabile scelta.
Esempio 10.20.4.
Determiniamo il quoziente e il resto di
(−4a3 x3 + 2a2 x4 + 2ax) : (x2 − 2ax)
Effettuiamo la divisione secondo la lettera x; ordiniamo in modo decrescente rispetto alla lettera x e
lasciamo uno spazio al posto del termine di secondo grado rispetto a x mancante per poter incolonnare
meglio.
2a2 x4 − 4a3 x3
+ 2ax x2 − 2ax
Applicando il procedimento visto precedentemente si ha:
2a2 x4 − 4a3 x3
+ 2ax
−2a2 x4 + 4a3 x3
//
//
x2 − 2ax
2a2 x2
2ax
145
CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI
Poiché il grado rispetto alla lettera x del polinomio ottenuto è minore del grado del divisore, il
procedimento termina. Il quoziente è
Q(a, x) = 2a2 x2
e il resto è
R(a, x) = 2ax
Poiché il resto non è zero, il polinomio −4a3 x3 + 2a2 x4 + 2ax non è divisibile per il polinomio x2 − 2ax.
Effettuiamo ora la stessa divisione secondo la lettera a; ordiniamo dividendo e divisore in modo
decrescente rispetto alla lettera a:
−4a3 x3 + 2a2 x4 + 2ax
−2ax + x2
Applicando il procedimento visto precedentemente si ha:
−4a3 x3 + 2a2 x4 + 2ax
−2ax + x2
4a3 x3 − 2a2 x4
//
2a2 x2 − 1
//
2ax
−2ax + x2
//
x2
Poiché grado rispetto alla lettera a del polinomio ottenuto è minore del grado del divisore, il procedimento termina. Il quoziente è
Q(a, x) = 2a2 x2 − 1
e il resto è
R(x) = x2
che è diverso dal risultato ottenuto precedentemente.
10.20.1
Regola di Ruffini
Per effettuare la divisione di polinomi nel caso particolare in cui il divisore è del tipo x − k, con
k costante non nulla, si può utilizzare la regola di Ruffini. Questa regola permette di operare con i
numeri trascurando la variabile. Anche in questo caso vediamo la regola attraverso un esempio.
Esempio 10.20.5.
Consideriamo la seguente divisione di polinomi:
(3x4 + 2x2 − 3x + 1) : (x − 2)
Ordiniamo i polinomi in ordine decrescente rispetto alla variabile e posizioniamo i coefficienti del
dividendo nel seguente schema, inserendo 0 in corrispondenza dei coefficienti delle potenze mancanti.
Il termine noto si scrive a destra della seconda barra verticale.
3 0 2 −3 1
A sinistra della prima barra verticale e sopra la barra orizzontale si scrive l’opposto del termine noto
del divisore (si scrive l’opposto per poter effettuare la somma invece della differenza).
3 0 2 −3 1
2
146
10.20. DIVISIONE DI POLINOMI
Si riporta sotto la riga orizzontale il primo coefficiente del dividendo:
3 0 2 −3 1
2
3
si moltiplica questo coefficiente per l’opposto del termine noto del divisore, si scrive il risultato sotto
il secondo coefficiente del dividendo e si somma:
3 0 2 −3 1
2
6
3 6
Si moltiplica questo risultato per l’opposto del termine noto del divisore, si scrive il nuovo risultato
sotto il terzo coefficiente e si somma:
3 0
2
−3 1
6 12
2
3 6 14
Si ripete il procedimento fino ad effettuare la somma con il termine a destra della seconda riga verticale:
2
−3
1
6 12
28
50
3 6 14
25
51
3 0
2
I numeri sotto la riga orizzontale compresi tra le due righe verticali sono i coefficienti del quoziente.
Poiché, se il dividendo ha grado n, il quoziente ha grado n − 1, al primo coefficiente si associa la
variabile con esponente n − 1 e si prosegue diminuendo l’esponente di 1; quindi nel nostro esempio,
essendo il dividendo di quarto grado, il quoziente è:
Q(x) = 3x3 + 6x2 + 14x + 25
Il numero a destra in basso è il resto, che nel nostro caso vale 51.
Se il resto è diverso da 0, il suo grado deve essere minore del grado del divisore, quindi 0; di conseguenza
il resto è un numero.
Osservazione
Se non si inseriscono gli zeri al posto dei coefficienti delle potenze mancanti, il risultato è errato perché,
non essendoci la variabile, si sommano termini con grado diverso.
Esempio 10.20.6.
Determiniamo il quoziente e il resto di
Å
1 5
7
a − a − a4 − 28 : (a − 4)
4
8
ã
Ordiniamo il dividendo e riportiamo i coefficienti nella prima riga dello schema inserendo 0 dove
mancano i termini di 3 e di 2 grado
1
4
−
7
8
0 0 −1 −28
147
CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI
Applichiamo il procedimento visto fino a completare lo schema:
1
4
−
4
7
8
0
1
2
1
2
1
1
4
1
8
0 −1 −28
2
8
28
2
7
0
Il quoziente è
1
1
1
Q(a) = a4 + a3 + a2 + 2a + 7
4
8
2
il resto è
R=0
quindi il polinomio
1 5
7
a − a − a4 − 28 è divisibile per il binomio a − 4
4
8
Negli esempi precedenti abbiamo applicato la regola di Ruffini a polinomi con una sola lettera. Se il
polinomio ha più lettere, dobbiamo decidere quale lettera sia la variabile e ordinare i polinomi in modo
decrescente rispetto a quella lettera. I coefficienti non saranno formati solo da numeri, ma anche da
lettere.
Esempio 10.20.7.
Determiniamo il quoziente e il resto di
Ä
ä
4x3 + 2ax2 + a3 : (x − a)
Effettuiamo la divisione secondo la variabile x; il dividendo è ordinato, ma non è completo, quindi
riportiamo i coefficienti nella prima riga dello schema inserendo 0 per i coefficienti delle potenze
mancanti
4 2a 0 a3
Applichiamo il procedimento visto fino a completare lo schema:
4 2a
a
0
a3
4a 6a2 6a3
4 6a 6a2
Il quoziente è
Q(a, x) = 4x2 + 6ax + 6a2
il resto è
R(a) = 7a3
Osservazione
La regola di Ruffini si può applicare solo con divisori con il termine di primo grado con coefficiente 1.
Se il coefficiente è diverso da 1, per poter applicare la regola,
1. si dividono tutti i termini del dividendo e del divisore per il coefficiente del termine di primo
grado del divisore
2. si applica la regola di Ruffini con i polinomi ottenuti
148
10.20. DIVISIONE DI POLINOMI
3. il quoziente della divisione dei polinomi dati è quello ottenuto con la regola di Ruffini
4. il resto della divisione dei polinomi dati è il prodotto di quello ottenuto con la regola di Ruffini
per il coefficiente del termine di primo grado del divisore
Osservazione
Dalla relazione
A(x) = B(x)Q(x) + R(x)
dividendo entrambi i membri per a = 0 si ottiene
A(x)
B(x)Q(x) + R(x)
=
a
a
A(x)
B(x)
R(x)
=
Q(x) +
a
a
a
Quindi se si moltiplicano, o si dividono, dividendo e divisore per un numero non nullo, il quoziente
non cambia, ma il resto viene moltiplicato, o diviso, per quel numero.
Esempio 10.20.8.
Determiniamo il quoziente e il resto di
Ä
ä
x3 − 4x2 + 2x + 1 : (2x − 4)
Poiché il coefficiente del termine di primo grado del divisore è 2, dividiamo tutti i termini del dividendo
e del divisore per 2 ottenendo
Å
1 3
1
x − 2x2 + x +
: (x − 2)
2
2
ã
Eseguiamo la divisione con la regola di Ruffini fra i polinomi ottenuti:
1
2
−2
1
1
2
1
−2
−2
2
1
2
−1 −1 −
3
2
Il quoziente è
1
Q(x) = x2 − x − 1
2
Il resto è
3
R = − · 2 = −3
2
10.20.2
Teorema del resto
Teorema 10.20.2 (Teorema del resto).
Il resto della divisione tra un polinomio P (x) e x − k è uguale a P (k)
Dimostrazione
Indicando con Q(x) e R il quoziente e il resto della divisione tra P (x) e x − k si ha:
P (x) = (x − k)Q(x) + R
sostituendo x con k si ottiene
P (k) = (k − k)Q(k) + R
P (k) = R
149
CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI
Esempio 10.20.9.
• Determiniamo il resto della divisione
(3y 4 − 2y 2 + 3y + 2) : (y − 1)
Posto
P (y) = 3y 4 − 2y 2 + 3y + 2
si ha
R = P (1) = 3 · 14 − 2 · 12 + 3 · 1 + 2 = 6
• Determiniamo il resto della divisione
(−a3 + 2a2 − 5) : (a + 2)
Posto
P (a) = −a3 + 2a2 − 5
si ha
R = P (−2) = −(−2)3 + 2(−2)2 − 5 = 11
• Determiniamo il resto della divisione
(3ax3 − 4a2 x2 + 5a4 ) : (x − a)
Posto
P (x) = 3ax3 − 4a2 x2 + 5a4
si ha
R(a) = P (a) = 3a(a)3 − 4a2 (a)2 + 5a4 = 3a4 − 4a4 + 5a4 = 4a4
10.20.3
Teorema di Ruffini
Teorema 10.20.3 (Teorema di Ruffini).
Un polinomio P (x) è divisibile per il binomio x − k se e solo se P (k) = 0
Dimostrazione
Poiché un polinomio è divisibile per un altro se e solo se il resto è 0, per il teorema del resto, un
polinomio P (x) è divisibile per il binomio x − k se e solo se P (k) = 0
Esempio 10.20.10.
• Il polinomio
1
P (y) = 2y 4 − y + 5
2
non è divisibile per
y−2
perché
P (2) = 2 · 24 −
1
· 2 + 5 = 32 − 1 + 5 = 36 = 0
2
150
10.20. DIVISIONE DI POLINOMI
• Il polinomio
P (x) = x4 − 6x2 + 2x − 21
è divisibile per
x+3
perché
P (−3) = (−3)4 − 6 · (−3)2 + 2 · (−3) − 21 = 81 − 54 − 6 − 21 = 0
• Il polinomio
P (a, x) = x2 + ax − 2a2
è divisibile per
x−a
perché
P (a) = a2 + a(a) − 2a2 = 0
Osservazione
Ogni valore della variabile per il quale il polinomio P (x) si annulla si dice zero del polinomio
10.20.4
Divisibilità di binomi notevoli
Come applicazione del teorema di Ruffini analizziamo la divisibilità dei binomi notevoli, dove con
binomi notevoli intendiamo la somma o la differenza di due potenze con lo stesso esponente. Vediamo
quattro casi.
Teorema 10.20.4.
La differenza di due potenze con uguale esponente è divisibile per la differenza delle basi
Dimostrazione
Consideriamo la divisione
(xn − an ) : (x − a)
Poiché
P (a) = an − an = 0
per il teorema di Ruffini xn − an è divisibile per x − a
Esempio 10.20.11.
Il polinomio x3 − a3 è divisibile per x − a.
Effettuando la divisione si ottiene:
1 0
a
0
−a3
a a2
a3
1 a a2
0
Poiché il quoziente è Q(a, x) = x2 + ax + a2 e il resto è 0 si ha
x3 − a3 = (x − a)(x2 + ax + a2 )
Teorema 10.20.5.
La differenza di due potenze con uguale esponente è divisibile per la somma delle basi se e solo se
l’esponente è pari
151
CAPITOLO 10. MONOMI E POLINOMI
Dimostrazione
Consideriamo la divisione
(xn − an ) : (x + a)
Poiché
P (−a) = (−a)n − an =
an − an = 0
se n è pari
n
n
n
−a − a = −2a = 0 se n è dispari
per il teorema di Ruffini xn − an è divisibile per x + a se e solo se n è pari
Esempio 10.20.12.
x4 − a4 è divisibile per x + a, effettuando la divisione si ottiene:
1
0
0
0
−a4
−a a2 −a3
a4
1 −a a2 −a3
0
−a
Poiché il quoziente è Q(a, x) = x3 − ax2 + a2 x − a3 e il resto è 0 si ha
x4 − a4 = (x + a)(x3 − ax2 + a2 x − a3 )
Teorema 10.20.6.
La somma di due potenze con uguale esponente è divisibile per la somma delle basi se e solo se
l’esponente è dispari
Dimostrazione
Consideriamo la divisione
(xn + an ) : (x + a)
Poiché
P (−a) = (−a)n + an =
an + an = 2a2 = 0 se n è pari
an − an = 0
se n è dispari
per il teorema di Ruffini xn + an è divisibile per x + a se e solo se n è dispari
Esempio 10.20.13.
x3 + a3 è divisibile per x + a, effettuando la divisione si ottiene:
1
0
0
a3
−a a2 −a3
−a
1 −a a2
0
Poiché il quoziente è Q(a, x) = x2 − ax + a2 e il resto è 0, si ha
x3 + a3 = (x + a)(x2 − ax + a2 )
Teorema 10.20.7.
La somma di due potenze con uguale esponente non è divisibile per la differenza delle basi
Dimostrazione
Consideriamo la divisione
(xn + an ) : (x − a)
Poiché
P (a) = an + an = 2an = 0
per il teorema di Ruffini xn + an non è divisibile per x − a
Esempio 10.20.14.
• il polinomio x3 + a3 non è divisibile per x − a
• il polinomio x2 + a2 non è divisibile per x − a
152
Capitolo 11
Scomposizione di polinomi
11.1
Introduzione
Scomporre un polinomio significa scriverlo come prodotto di polinomi di grado inferiore. In questo
capitolo consideriamo la scomposizione di polinomi in fattori aventi coefficienti razionali.
Esempio 11.1.1.
• Il polinomio a3 − a2 b, di terzo grado, può essere scomposto nel prodotto:
a2 (a − b)
costituito da un polinomio di secondo grado e da uno di primo grado.
Infatti, se effettuiamo la moltiplicazione, otteniamo il polinomio dato.
• Il polinomio 4a2 − 1, di secondo grado, può essere scomposto nel prodotto:
(2a + 1)(2a − 1)
costituito da due polinomi di primo grado.
Infatti, se effettuiamo la moltiplicazione, otteniamo il polinomio dato.
Non tutti i polinomi sono scomponibili.
Definizione 11.1.1 (Polinomi riducibili e irriducibili).
Un polinomio si dice riducibile se si può scomporre nel prodotto di polinomi di grado inferiore,
altrimenti si dice irriducibile.
Esempio 11.1.2.
• 3a2 b2 + 6ab + 9ab3
è riducibile, infatti può essere scomposto nel prodotto
3ab(ab + 2 + 3a2 )
• a2 − 1
è riducibile, infatti può essere scomposto nel prodotto
(a + 1)(a − 1)
• a2 + 1
è irriducibile, infatti non può essere scomposto in alcun prodotto di polinomi di grado inferiore.
• a+b
è irriducibile, infatti non può essere scomposto in alcun prodotto di polinomi di grado inferiore.
153
CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI
• x2 − 2
non può essere scomposto in alcun prodotto di polinomi di grado inferiore con coefficienti
razionali, mentre nell’insieme dei numeri reali risulta riducibile
Osservazione
Qualsiasi polinomio può sempre essere scritto come prodotto di un polinomio di grado 0, cioè un
numero, per un polinomio dello stesso grado; questa non è una scomposizione perché i polinomi non
sono tutti di grado inferiore a quello dato. Il polinomio di partenza è perciò irriducibile.
Esempio 11.1.3.
• 2a + 2 = 2(a + 2)
•
3a2
11.2
Å
+5=3
a2
5
+
3
ã
Metodi di scomposizione dei polinomi
Nell’esempio precedente abbiamo visto alcuni polinomi riducibili e altri irriducibili; in generale non è
possibile decidere a priori se un polinomio è riducibile o no. Infatti, per scomporre un polinomio non c’è
una regola generale, ma esistono diversi metodi da applicare di volta in volta e che ora analizziamo.
È sempre possibile verificare la correttezza della scomposizione: effettuando la moltiplicazione dei
fattori nel polinomio scomposto si deve ottenere il polinomio dato.
11.2.1
Raccoglimento a fattor comune totale
La scomposizione mediante raccoglimento a fattor comune totale utilizza la proprietà distributiva della
moltiplicazione rispetto all’addizione:
ab + ac = a(b + c)
Questo metodo si può applicare se compaiono dei fattori comuni a tutti i termini del polinomio.
Per scomporre un polinomio utilizzando il metodo del raccoglimento a fattor comune totale:
1. si determina il MCD di tutti i termini del polinomio
2. il polinomio si scompone nel prodotto tra il MCD e il polinomio i cui termini sono i quozienti
della divisione tra i termini del polinomio dato e il MCD
Esempio 11.2.1.
• Scomponiamo
a2 + 3a
il polinomio è formato da due termini a2 e 3a il cui MCD è a;
il quoziente tra a2 e a è a;
il quoziente tra 3a e a è 3;
quindi il polinomio si scompone in:
a2 + 3a = a(a + 3)
• Scomponiamo
5a3 b2 − 10a2 b3 + 20a2 b2
il polinomio è formato da tre termini 5a3 b2 , −10a2 b3 , 20a2 b2 il cui MCD è 5a2 b2 ;
il quoziente tra 5a3 b2 e 5a2 b2 è a;
il quoziente tra −10a2 b3 e 5a2 b2 è −2b;
il quoziente tra 20a2 b2 e 5a2 b2 è 4;
quindi il polinomio si scompone in:
5a3 b2 − 10a2 b3 + 20a2 b2 = 5a2 b2 (a − 2b + 4)
154
11.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI
Osservazione
Poiché il quoziente tra un termine e se stesso è 1 e non 0, il polinomio a3 + a2 + a si scompone in
a(a2 + a + 1) e non in a(a2 + a).
Finora abbiamo raccolto monomi. È anche possibile raccogliere polinomi, come si può vedere dai
seguenti esempi.
Esempio 11.2.2.
• Scomponiamo
a(x − y) + 3(x − y)
il polinomio è formato da a(x − y) 3 3(x − y); il fattore comune è x − y;
il quoziente tra a(x − y) e x − y è a;
il quoziente tra 3(x − y) e x − y è 3;
quindi il polinomio si scompone in:
a(x − y) + 3(x − y) = (x − y)(a + 3)
• Scomponiamo
a(a + b) + (a + b)2
il polinomio è formato da a(a + b) e (a + b)2 ; il fattore comune è a + b;
il quoziente tra a(a + b) e a + b è a;
il quoziente tra (a + b)2 e a + b è a + b;
quindi il polinomio si scompone in:
a(a + b) + (a + b)2 = (a + b) (a + (a + b)) = (a + b)(2a + b)
Osservazione
Quando si raccolgono dei polinomi anche il polinomio raccolto deve essere racchiuso tra parentesi. Per
esempio, il polinomio a(x + 2y) + b(x + 2y) si scompone in (x + 2y)(a + b) e non in x + 2y(a + b).
11.2.2
Raccoglimento a fattor comune parziale
Se non è possibile effettuare un raccoglimento a fattor comune totale, si può effettuare un raccoglimento
a fattor comune parziale fra alcuni termini e, se è possibile, in un secondo passaggio effettuare un
raccoglimento a fattor comune totale.
Esempio 11.2.3.
• Scomponiamo
ax + bx + ay + by
Non esiste un fattore comune a tutti i termini del polinomio. Tra i primi due termini si può
raccogliere il fattore x e tra il terzo e quarto il fattore y, ottenendo:
x(a + b) + y(a + b)
Ora è possibile effettuare il raccoglimento a fattor comune totale di a + b
(a + b)(x + y)
quindi
ax + bx + ay + by = (a + b)(x + y)
Il raccoglimento parziale si poteva anche effettuare raccogliendo il fattore a tra il primo e il terzo
termine e il fattore b tra il secondo e quarto termine, ottenendo:
a(x + y) + b(x + y)
155
CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI
Ora è possibile effettuare il raccoglimento a fattor comune totale di x + y
(x + y)(a + b)
quindi
ax + bx + ay + by = (x + y)(a + b)
• Scomponiamo
2a3 − 4a2 b − 3ab + 6b2
Non esiste un fattore comune a tutti i termini del polinomio. Tra i primi due termini si può
raccogliere il fattore 2a2 e tra il terzo e il quarto il fattore −3b, ottenendo:
2a2 (a − 2b) − 3b (a − 2b)
Ora è possibile effettuare il raccoglimento a fattor comune totale di (a − 2b)
Ä
ä
(a − 2b) 2a2 − 3b
quindi
Ä
ä
2a3 − 4a2 b − 3ab + 6b2 = (a − 2b) 2a2 − 3b
• Scomponiamo
ax + ay − x − y
Non esiste un fattore comune a tutti i termini. Tra i primi due termini si può raccogliere il
fattore a e tra il terzo e il quarto il fattore −1, ottenendo:
a (x + y) − 1 (x + y)
Ora è possibile effettuare il raccoglimento a fattor comune totale di (x + y)
(x + y) (a − 1)
quindi
ax + ay − x − y = (x + y) (a − 1)
• Scomponiamo
3ab − c2 + ac − 3bc
Non esiste un fattore comune a tutti i termini. Tra il primo e il terzo termine si può raccogliere
il fattore a e tra il secondo e il quarto il fattore −c, ottenendo:
a(3b + c) − c(c + 3b)
Ora è possibile effettuare il raccoglimento a fattor comune totale di (3b + c)
(3b + c)(a − c)
quindi
3ab − c2 + ac − 3bc = (3b + c)(a − c)
Osservazione
Nel raccoglimento a fattor comune parziale i fattori raccolti, escluso il primo se ha coefficiente positivo,
devono essere preceduti dal segno + o −. Quindi
a2 + ab + ac + bc
diventa
a (a + b) + c (a + b)
e non
a (a + b) c (a + b)
156
11.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI
11.2.3
Scomposizione mediante prodotti notevoli
Un altro metodo per scomporre un polinomio in fattori, consiste nell’utilizzare le formule dei prodotti
notevoli. Questo metodo si può applicare nel caso in cui il polinomio dato è lo sviluppo di un prodotto
notevole.
Analizziamo ora i singoli prodotti notevoli
Differenza di due quadrati
Consideriamo il prodotto notevole somma per differenza:
(a + b) (a − b) = a2 − b2
Per la proprietà simmetrica dell’uguaglianza si ha:
a2 − b2 = (a + b) (a − b)
Il polinomio a2 − b2 si dice differenza di due quadrati.
Un polinomio è una differenza di due quadrati se:
1. è la differenza tra due monomi;
2. i due monomi sono dei quadrati.
Per scomporre la differenza di due quadrati:
1. si determinano le basi (entrambe con coefficiente positivo) dei due quadrati;
2. il polinomio si scompone nel prodotto tra la somma delle due basi e la loro differenza.
Esempio 11.2.4.
• Scomponiamo
9 − x2
Il polinomio è la differenza tra i monomi 9, quadrato di 3, e x2 , quadrato di x.
Quindi 9 − x2 è una differenza di due quadrati e si scompone in:
9 − x2 = (3 + x)(3 − x)
• Scomponiamo
−x2 − y 2
Il polinomio è la differenza tra i monomi −x2 e y 2 ;
−x2 non è un quadrato perché ha coefficiente negativo, quindi −x2 − y 2 non è una differenza di
due quadrati.
• Scomponiamo
a3 − 4
Il polinomio è la differenza tra i monomi a3 e 4;
a3 non è un quadrato, quindi a3 − 4 non è una differenza di due quadrati.
• Scomponiamo
x4 − 25
Il polinomio è la differenza tra i monomi x4 , quadrato di x2 , e 25, quadrato di 5. Quindi
x4 − 25 è una differenza di due quadrati e si scompone in:
Ä
x4 − 25 = x2 + 5
äÄ
x2 − 5
ä
157
CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI
• Scomponiamo
16x2 − 9y 4
Il polinomio è la differenza tra i monomi 16x2 , quadrato di 4x, e 9y 4 , quadrato di 3y 2 .
Quindi 16x2 − 9y 4 è una differenza di due quadrati e si scompone in:
Ä
16x2 − 9y 4 = 4x + 3y 2
äÄ
4x − 3y 2
ä
• Scomponiamo
−a4 + 16
Il polinomio può essere riscritto come 16 − a4 , che è la differenza di due quadrati.
Quindi −a4 + 16 si scompone in:
Ä
4 + a2
äÄ
4 − a2
ä
Il secondo fattore è ancora una differenza di due quadrati e si scompone in:
(2 − a) (2 + a)
Pertanto −a4 + 16 si scompone in:
Ä
ä
−a4 + 16 = 4 + a2 (2 + a) (2 − a)
• Scomponiamo
(3a + 2)2 − (a + 4)2 =
((3a + 2) + (a + 4))((3a + 2) − (a + 4)) = (3a + 2 + a + 4)(3a + 2 − a − 4) =
(4a + 6)(2a − 2) = 2(2a + 3)2(a − 1) = 4(2a + 3)(a − 1)
Osservazione
Il polinomio a2 + b2 è irriducibile perché la somma di due potenze con esponente pari non è divisibile
né per la somma, né per la differenza delle basi
Quadrato di un binomio
Consideriamo ora il prodotto notevole quadrato di un binomio:
(a + b)2 = a2 + 2ab + b2
Per la proprietà simmetrica dell’uguaglianza si ha:
a2 + 2ab + b2 = (a + b)2
Un polinomio è il quadrato di un binomio se:
1. è formato da tre termini;
2. due termini sono dei quadrati;
3. il terzo termine è il doppio prodotto delle basi.
Per scomporre il quadrato di un binomio:
1. si individuano i due termini che sono quadrati;
2. si determinano le basi, con coefficiente positivo, dei due quadrati;
158
11.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI
3. il polinomio si scompone nel quadrato del binomio formato dalla somma o dalla differenza delle
due basi, secondo che il doppio prodotto ha coefficiente positivo o negativo.
Esempio 11.2.5.
• Scomponiamo
x2 + 4x + 4
Il polinomio è formato da tre termini
x2 e 4 sono i quadrati rispettivamente di x e 2
il termine 4x è il doppio prodotto tra x e 2.
Quindi x2 + 4x + 4 è il quadrato di un binomio e si scompone in:
x2 + 4x + 4 = (x + 2)2
• Scomponiamo
4a2 − 12a + 9
Il polinomio è formato da tre termini
4a2 e 9 sono i quadrati rispettivamente di 2a e 3
il termine −12a è l’opposto del doppio prodotto tra 2a e 3.
Quindi 4a2 − 12a + 9 è il quadrato di un binomio e si scompone in:
4a2 − 12a + 9 = (2a − 3)2
• Scomponiamo
a2 + a + 1
Il polinomio è formato da tre termini
a2 e 1 sono i quadrati rispettivamente di a e di 1
il termine a non è il doppio prodotto tra a e 1.
Quindi a2 + a + 1 non è il quadrato di un binomio.
• Scomponiamo
x2 + 1
Il polinomio è formato da due termini, quindi x2 + 1 non è il quadrato di un binomio.
• Scomponiamo
25x2 + 9y 4 + 30xy 2
Il polinomio è formato da tre termini
25x2 e 9y 4 sono i quadrati rispettivamente di 5x e 3y 2
il termine 30xy 2 è il doppio prodotto tra 5x e 3y 2 .
Quindi 25x2 + 9y 4 + 30xy 2 è il quadrato di un binomio e si scompone in:
25x2 + 9y 4 + 30xy 2 = (5x + 3y 2 )2
• Scomponiamo
−4abc + 4a2 b2 + c2
Il polinomio è formato da tre termini
4a2 b2 e c2 sono i quadrati rispettivamente di 2ab e c
il termine −4abc è l’opposto del doppio prodotto tra 2ab e c.
Quindi −4abc + 4a2 b2 + c2 è il quadrato di un binomio e si scompone in:
−4abc + 4a2 b2 + c2 = (2ab − c)2
159
CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI
• Scomponiamo
a2 + 2a + 1 − b2 =
(a + 1)2 − b2 = (a + 1 + b)(a + 1 − b)
Osservazione
Poiché il binomio è elevato al quadrato, si possono cambiare tutti i segni dei coefficienti dei termini
all’interno della parentesi e il risultato non cambia.
Esempio 11.2.6.
• a2 − 2ab + b2
si può scomporre in
(a − b)2
oppure in
(−a + b)2
• a2 + 2ab + b2
si può scomporre in
(a + b)2
oppure in
(−a − b)2
Quadrato di un trinomio
Consideriamo ora il prodotto notevole quadrato di un trinomio:
(a + b + c)2 = a2 + b2 + c2 + 2ab + 2ac + 2bc
Per la proprietà simmetrica dell’uguaglianza si ha
a2 + b2 + c2 + 2ab + 2ac + 2bc = (a + b + c)2
Un polinomio è il quadrato di un trinomio se:
1. è formato da sei termini;
2. tre termini sono dei quadrati;
3. i rimanenti termini sono i doppi prodotti delle coppie di basi (con coefficiente positivo) dei
quadrati o gli opposti degli stessi.
Per scomporre il quadrato di un trinomio:
1. si individuano i tre termini che sono quadrati;
2. si determinano le basi, con coefficiente positivo, dei quadrati;
3. il polinomio si scompone nel quadrato del trinomio formato dalla somma algebrica delle tre basi
(i segni dei coefficienti sono uguali se il corrispondente doppio prodotto ha coefficiente positivo,
sono diversi se il corrispondente doppio prodotto ha coefficiente negativo).
Esempio 11.2.7.
160
11.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI
• Scomponiamo
a2 + b2 + 4 + 2ab + 4a + 4b
Il polinomio è formato da sei termini:
a2 , b2 e 4 sono i quadrati rispettivamente di a, b e 2;
il termine 2ab è il doppio prodotto tra a e b;
il termine 4a è il doppio prodotto tra a e 2;
il termine 4b è il doppio prodotto tra 2 e b.
Quindi a2 + b2 + 4 + 2ab + 4a + 4b è il quadrato di un trinomio e si scompone in:
a2 + b2 + 4 + 2ab + 4a + 4b = (a + b + 2)2
Tutti i termini hanno lo stesso segno perché i doppi prodotti hanno tutti coefficiente positivo.
• Scomponiamo
4x2 + y 2 + 9 + 4xy − 12x − 6y
Il polinomio è formato da sei termini
4x2 , y 2 e 9 sono i quadrati rispettivamente di 2x, y e 3;
il termine 4xy è il doppio prodotto tra 2x e y;
il termine −12x è l’opposto del doppio prodotto tra 2x e 3;
il termine −6y è l’opposto del doppio prodotto tra y e 3.
Quindi 4x2 + y 2 + 9 + 4xy − 12x − 6y è il quadrato di un trinomio e si scompone in:
4x2 + y 2 + 9 + 4xy − 12x − 6y = (2x + y − 3)2
I termini 2x e y hanno lo stesso segno perché il loro doppio prodotto ha coefficiente positivo,
y e −3 hanno segno diverso perché il loro doppio prodotto ha coefficiente negativo.
• Scomponiamo
1 + x4 + a2 + a + 2x2 + 2ax2
Il polinomio è formato da sei termini
1, x4 e a2 sono i quadrati rispettivamente di 1, x2 e a;
il termine a non è il doppio prodotto di alcuna coppia dei termini trovati.
Quindi 1 + x4 + a2 + a + 2x2 + 2ax2 non è il quadrato di un trinomio.
• Scomponiamo
a2 + b2 + c2
Il polinomio è formato da tre termini.
Quindi a2 + b2 + c2 non è il quadrato di un trinomio.
• Scomponiamo
4a2 − 12ab + 9b2 + 4a3 − 6a2 b + a4
Il polinomio è formato da sei termini
4a2 , 9b2 e a4 sono i quadrati rispettivamente di 2a, 3b e a2 ;
il termine −12ab è l’opposto del doppio prodotto tra 2a e 3b;
il termine 4a3 è il doppio prodotto tra 2a e a2 ;
il termine −6a2 b è l’opposto del doppio prodotto tra 3b e a2 .
Quindi 4a2 − 12ab + 9b2 + 4a3 − 6a2 b + a4 è il quadrato di un trinomio e si scompone in:
Ä
4a2 − 12ab + 9b2 + 4a3 − 6a2 b + a4 = 2a − 3b + a2
ä2
I termini 2a e a2 hanno lo stesso segno perché il loro doppio prodotto ha coefficiente positivo,
2a e −3b hanno segno diverso perché il loro doppio prodotto ha coefficiente negativo.
161
CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI
• Scomponiamo
x4 + 3x2 + 1 + 2x3 + 2x = x4 + x2 + 1 + 2x3 + 2x2 + 2x = (x2 + x + 1)2
Osservazione
Poiché il trinomio è elevato al quadrato, si possono cambiare tutti i segni dei coefficienti dei termini
all’interno della parentesi e il risultato non cambia.
Cubo di un binomio
Consideriamo ora il prodotto notevole cubo di un binomio:
(a + b)3 = a3 + 3a2 b + 3ab2 + b3
Per la proprietà simmetrica dell’uguaglianza si ha:
a3 + 3a2 b + 3ab2 + b3 = (a + b)3
Un polinomio è il cubo di un binomio se:
1. è formato da quattro termini;
2. due termini sono dei cubi;
3. i rimanenti termini sono i tripli prodotti tra il quadrato della base di un cubo per la base
dell’altro cubo.
Per scomporre il cubo di un binomio:
1. si individuano i due termini che sono cubi;
2. si determinano le basi dei cubi;
3. il polinomio si scompone nel cubo del binomio che ha come termini le basi dei due cubi.
Esempio 11.2.8.
• Scomponiamo
x3 + 6x2 + 12x + 8
Il polinomio è formato da quattro termini
x3 e 8 sono i cubi rispettivamente di x e 2;
il termine 6x2 è il triplo prodotto tra il quadrato di x e 2;
il termine 12x è il triplo prodotto tra x e il quadrato di 2.
Quindi x3 + 6x2 + 12x + 8 è il cubo di un binomio e si scompone in:
x3 + 6x2 + 12x + 8 = (x + 2)3
• Scomponiamo
x3 − 3x2 + 3x − 1
Il polinomio è formato da quattro termini
x3 e −1 sono i cubi rispettivamente di x e −1;
il termine −3x2 è il triplo prodotto tra il quadrato di x e −1;
il termine 3x è il triplo prodotto tra x e il quadrato di −1.
Quindi x3 − 3x2 + 3x − 1 è il cubo di un binomio e si scompone in:
x3 − 3x2 + 3x − 1 = (x − 1)3
162
11.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI
• Scomponiamo
a3 + 8b3 + 3a2 b + 3ab2
Il polinomio è formato da quattro termini
a3 e 8b3 sono i cubi rispettivamente di a e 2b;
il termine 3a2 b non è né il triplo prodotto tra il quadrato di a e 2b né il triplo prodotto tra a e
il quadrato di 2b.
Quindi a3 + 8b3 + 3a2 b + 3ab2 non è il cubo di un binomio.
• Scomponiamo
a3 + b3
Il polinomio è formato da due termini
quindi a3 + b3 non è il cubo di un binomio.
• Scomponiamo
27a6 − 8b3 − 54a4 b + 36a2 b2
Il polinomio è formato da quattro termini
27a6 e −8b3 sono i cubi rispettivamente di 3a2 e −2b;
il termine −54a4 b è il triplo prodotto tra il quadrato di 3a2 e −2b;
il termine 36a2 b2 è il triplo prodotto tra 3a2 e il quadrato di −2b.
Quindi 27a6 − 8b3 − 54a4 b + 36a2 b2 è il cubo di un binomio e si scompone in
Ä
ä3
27a6 − 8b3 − 54a4 b + 36a2 b2 = 3a2 − 2b
Somma di due cubi
Consideriamo il prodotto notevole somma di cubi:
ä
Ä
(a + b) a2 − ab + b2 = a3 + b3
Per la proprietà simmetrica dell’uguaglianza si ha:
Ä
a3 + b3 = (a + b) a2 − ab + b2
ä
Il polinomio a3 + b3 si dice somma di due cubi.
Un polinomio è una somma di due cubi se:
1. è la somma tra due monomi;
2. i due monomi sono dei cubi.
Per scomporre la somma di due cubi:
1. si determinano le basi dei due cubi;
2. il polinomio si scompone nel prodotto fra la somma delle basi e il polinomio formato dalla somma
dei quadrati e dell’opposto del prodotto delle basi.
Esempio 11.2.9.
• Scomponiamo
x3 + 8
Il polinomio è la somma tra i monomi x3 , cubo di x, e 8, cubo di 2.
Quindi x3 + 8 è una somma di due cubi e si scompone in:
Ä
x3 + 8 = (x + 2) x2 − 2x + 4
ä
163
CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI
• Scomponiamo
y6 + 1
Il polinomio è la somma tra i monomi y 6 , cubo di y 2 , e 1, cubo di 1.
Quindi y 6 + 1 è una somma di due cubi e si scompone in:
y 6 + 1 = (y 2 + 1)(y 4 − y 2 + 1)
• Scomponiamo
x4 + b3
Il polinomio è la somma tra i monomi x4 e b3 ; x4 non è un cubo.
Quindi x4 + b3 non è una somma di due cubi.
• Scomponiamo
64a9 + b6 c3
Il polinomio è la somma tra i monomi 64a9 , cubo di 4a3 , e b6 c3 , cubo di b2 c.
Quindi 64a9 + b6 c3 è una somma di due cubi e si scompone in:
Ä
äÄ
64a9 + b6 c3 = 4a3 + b2 c
16a6 − 4a3 b2 c + b4 c2
ä
• Scomponiamo
(a + b)3 + 27 = ((a + b) + 3)((a + b)2 − 3(a + b) + 9) = (a + b + 3)(a2 + 2ab + b2 − 3a − 3b + 9)
• Scomponiamo
x3 −3x2 +3x−1+y 3 = (x−1)3 +y 3 = ((x−1)+y)((x−1)2 −(x−1)y+y 2 ) = (x−1+y)(x2 −2x+1−xy+y+y 2 )
• Scomponiamo
y 6 + 2y 3 + 1 = (y 3 + 1)2 = ((y + 1)(y 2 − y + 1))2 = (y + 1)2 (y 2 − y + 1)2
Osservazione
a2 − ab + b2 non è il quadrato di un binomio, perché −ab non è né il doppio prodotto tra a e b né
l’opposto dello stesso. Il polinomio a2 − ab + b2 è irriducibile.
Differenza di due cubi
Consideriamo il prodotto notevole differenza di cubi:
Ä
ä
(a − b) a2 + ab + b2 = a3 − b3
Per la proprietà simmetrica dell’uguaglianza si ha:
Ä
a3 − b3 = (a − b) a2 + ab + b2
ä
Il polinomio a3 − b3 si dice differenza di due cubi.
Un polinomio è una differenza di due cubi se:
1. è la differenza tra due monomi;
2. i due monomi sono dei cubi.
Per scomporre la differenza di due cubi:
164
11.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI
1. si determinano le basi dei due cubi;
2. il polinomio si scompone nel prodotto fra la differenza delle due basi e il polinomio formato dalla
somma dei quadrati e del prodotto delle basi.
Esempio 11.2.10.
• Scomponiamo
x3 − 1
Il polinomio è la differenza tra i monomi x3 , cubo di x, e 1, cubo di 1.
Quindi x3 − 1 è una differenza di due cubi e si scompone in:
Ä
x3 − 1 = (x − 1) x2 + x + 1
ä
• Scomponiamo
a3 − 64
Il polinomio è la differenza tra i monomi a3 , cubo di a, e 64, cubo di 4.
Quindi a3 − 64 è una differenza di due cubi e si scompone in:
a3 − 64 = (a − 4)(a2 + 4a + 16)
• Scomponiamo
x8 − b3
Il polinomio è la differenza tra i monomi x8 e b3 ; x8 non è un cubo.
Quindi x8 − b3 non è una differenza di due cubi.
• Scomponiamo
8a6 − 27b3
Il polinomio è la differenza tra i monomi 8a6 , cubo di 2a2 , e 27b3 , cubo di 3b.
Quindi 8a6 − 27b3 è una differenza di due cubi e si scompone in:
Ä
äÄ
8a6 − 27b3 = 2a2 − 3b
4a4 + 6a2 b + 9b2
ä
• Scomponiamo
(2a−3b)3 −1 = ((2a−3b)−1)((2a−3b)2 +2a−3b+1) = (2a−3b−1)(4a2 −12ab+9b2 +2a−3b+1)
• Scomponiamo
y 6 − x6 = (x3 − y 3 )(x3 + y 3 ) = (x − y)(x ∗ 2 + xy + y 2 )(x + y)(x2 − xy + y 2
Osservazione
a2 + ab + b2 non è il quadrato di un binomio, perché ab non è il doppio prodotto tra a e b. Il polinomio
a2 + ab + b2 è irriducibile.
165
CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI
11.2.4
Trinomio particolare
Alcuni trinomi di secondo grado si possono scomporre in prodotti di binomi, utilizzando il metodo del
trinomio particolare.
Dato il trinomio x2 + sx + p, se è possibile determinare due numeri a, b tali che:
a+b=s
a·b=p
si può scomporre il trinomio nel seguente modo:
x2 + sx + p = x2 + (a + b)x + ab = x2 + ax + bx + ab
effettuando un raccoglimento a fattor comune parziale si ha
x(x + a) + b(x + a)
effettuando un raccoglimento a fattor comune totale si ha
(x + a)(x + b)
quindi
x2 + sx + p = (x + a)(x + b)
Un polinomio si può scomporre con il metodo del trinomio particolare se:
1. è formato da tre termini;
2. è di secondo grado;
3. il coefficiente del termine di secondo grado è 1;
4. esistono due numeri interi che, addizionati, danno il coefficiente del termine di primo grado e
che, moltiplicati, danno il termine noto.
Per stabilire se esistono o no tali numeri, si può:
1. si determinano tutte le coppie di numeri interi il cui prodotto è il termine noto
2. si controlla se, tra tutte le coppie ottenute, ne esista una la cui somma sia il coefficiente del
termine di primo grado.
Per scomporre il trinomio particolare:
1. si determinano i due numeri interi il cui prodotto è il termine noto e la cui somma è il coefficiente
del termine di primo grado;
2. il polinomio scomposto è formato dal prodotto tra la somma della variabile con uno dei numeri
determinati e la somma della variabile con l’altro numero determinato.
Esempio 11.2.11.
• Scomponiamo
x2 + 5x + 6
Il polinomio è formato da tre termini, è di secondo grado e il coefficiente del termine di secondo
grado è 1.
Il coefficiente del termine di primo grado è 5, il termine noto è 6.
Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto 6 sono:
−6 e − 1; 6 e 1; −3 e − 2; 3 e 2
Tra queste, l’ultima coppia dà come somma 5: i numeri cercati sono 3 e 2.
Quindi il polinomio si può scomporre con il metodo del trinomio particolare e:
x2 + 5x + 6 = (x + 2) (x + 3)
166
11.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI
• Scomponiamo
x2 − 6x − 7
Il polinomio è formato da tre termini, è di secondo grado e il coefficiente del termine di secondo
grado è 1.
Il coefficiente del termine di primo grado è −6, il termine noto è −7.
Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto −7 sono:
−7 e 1; 7 e − 1
Tra queste, la prima coppia dà come somma −6: i numeri cercati sono −7 e 1.
Quindi il polinomio si può scomporre con il metodo del trinomio particolare e:
x2 − 6x − 7 = (x − 7) (x + 1)
• Scomponiamo
x2 + x + 2
Il polinomio è formato da tre termini, è di secondo grado e il coefficiente del termine di secondo
grado è 1.
Il coefficiente del termine di primo grado è 1, il termine noto è 2.
Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto 2 sono:
−2 e − 1; 2 e 1
Nessuna di queste coppie dà come somma 1, quindi x2 + x + 2 non si può scomporre con il
metodo del trinomio particolare.
• Scomponiamo
x2 + x − 12
Il polinomio è formato da tre termini, è di secondo grado e il coefficiente del termine di secondo
grado è 1.
Il coefficiente del termine di primo grado è 1, il termine noto è −12.
Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto −12 sono:
−12 e 1; 12 e − 1; −6 e 2; 6 e − 2; −4 e 3; 4 e − 3
Tra queste, l’ultima coppia dà come somma 1: i numeri cercati sono 4 e −3.
Quindi il polinomio si può scomporre con il metodo del trinomio particolare e:
x2 + x − 12 = (x + 4) (x − 3)
• Scomponiamo
x4 +37x2 +36+10x3 +60x = x4 +25x2 +36+10x3 +12x2 +60x = (x2 +5x+6)2 = ((x+2)(x+3))2 = (x+2)2 (x+3)2
Osservazione
Il metodo del trinomio particolare si può estendere per scomporre trinomi della forma
x2n + sxn + p
cioè formati da un termine noto e da altri due termini di cui quello con coefficiente uno ha grado
doppio dell’altro. In questo caso, per scomporre il polinomio:
167
CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI
1. si determinano, se esistono, due numeri interi a e b il cui prodotto è il termine noto e la cui
somma è il coefficiente del termine di grado n;
2. il polinomio scomposto è formato dal prodotto tra la somma della variabile elevata a n con uno
dei numeri determinati e la somma della variabile elevata a n con l’altro numero determinato.
In simboli:
x2n + sxn + p = (xn + a)(xn + b)
Esempio 11.2.12.
• Scomponiamo
x6 + x3 − 6
Il polinomio è formato da tre termini, x6 ha coefficiente 1 e il suo grado è il doppio del grado di
x3 . il coefficiente del termine di terzo grado è 1, il termine noto è −6.
Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto −6 sono:
−6 e 1; 6 e − 1; −3 e 2; 3 e − 2
Tra queste, l’ultima coppia dà come somma 1: i numeri cercati sono 3 e − 2. Quindi il polinomio
si può scomporre con il metodo del trinomio particolare e:
Ä
x6 + x3 − 6 = x3 + 3
äÄ
ä
x3 − 2
• Scomponiamo
x4 − 6x2 + 5
Il polinomio è formato da tre termini, x4 ha coefficiente 1 e il suo grado è il doppio del grado di
x2 .
Il coefficiente del termine di secondo grado è −6, il termine noto è 5.
Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto 5 sono:
−5 e − 1; 5 e 1
Tra queste, la prima coppia dà come somma −6: i numeri cercati sono −5 e − 1. Quindi il
polinomio si può scomporre con il metodo del trinomio particolare e:
Ä
äÄ
x4 − 6x2 + 5 = x2 − 5
x2 − 1
ä
Il secondo fattore è una differenza di due quadrati e si scompone in:
(x − 1) (x + 1)
Quindi
Ä
ä
x4 − 6x2 + 5 = x2 − 5 (x − 1) (x + 1)
• Scomponiamo
x4 − x2 + 2
Il polinomio è formato da tre termini, x4 ha coefficiente 1 e il suo grado è il doppio del grado di
x2 .
il coefficiente del termine di secondo grado è −1, il termine noto è 2.
Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto 2 sono:
2 e 1; −2 e − 1
Nessuna di queste due coppie ha come somma −1 e quindi il polinomio non può essere scomposto
con il metodo del trinomio particolare.
168
11.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI
• Scomponiamo
x8 −5x4 +4 = (x4 −1)(x4 −4) = (x2 −1)(x2 +1)(x2 −2)(x2 +2) = (x−1)(x+1)(x2 +1)(x2 −2)(x2 +2)
Osservazione
Negli esempi precedenti abbiamo considerato trinomi con una sola lettera. Il metodo del trinomio
particolare si può estendere anche a trinomi con due lettere:
x2n + sxn y n + py 2n
In questo caso, devono essere verificate le condizioni già viste rispetto a una lettera e il trinomio deve
essere omogeneo.
Per applicare il metodo si sceglie come variabile la lettera che verifica le condizioni e:
1. si determinano i due numeri interi il cui prodotto è il coefficiente del termine di grado 0 rispetto
alla variabile scelta e la cui somma è il coefficiente del termine di grado n rispetto alla variabile
scelta;
2. si procede come nel caso di una sola variabile, ma i numeri determinati devono essere moltiplicati
per l’altra variabile elevata a n.
Esempio 11.2.13.
• Scomponiamo
x2 + 2xy − 3y 2
Il polinomio è formato da tre termini ed è omogeneo. Scegliamo come variabile x.
Il coefficiente del termine di secondo grado rispetto a x è 1
Il coefficiente del termine di primo grado rispetto a x è 2, il coefficiente di grado zero rispetto a
x è −3.
Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto −3 sono:
−3 e 1; 3 e − 1
Tra queste coppie, la seconda dà come somma 2: i numeri cercati sono 3 e −1. Quindi il polinomio
si può scomporre con il metodo del trinomio particolare e:
x2 + 2xy − 3y 2 = (x + 3y) (x − y)
• Scomponiamo
a4 − 5a2 b2 − 14b4
Il polinomio è formato da tre termini ed è omogeneo. Scegliamo come variabile a.
Il coefficiente del termine di quarto grado rispetto a a è 1
Il coefficiente del termine di secondo grado rispetto ad a è −5
il coefficiente del termine di grado zero rispetto ad a è −14.
Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto −14 sono:
−14 e 1; 14 e − 1; −7 e 2; 7 e − 2
Tra queste coppie, la terza coppia dà come somma −5: i numeri cercati sono −7 e 2 Quindi il
polinomio si può scomporre con il metodo del trinomio particolare e:
Ä
a4 − 5a2 b2 − 14b4 = a2 − 7b2
äÄ
a2 + 2b2
ä
169
CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI
• Scomponiamo
x2 + 3xy 2 + 2y 2
Il polinomio è formato da tre termini ma non è omogeneo quindi non si può scomporre con il
metodo del trinomio particolare.
• Scomponiamo
x4 − x2 y 2 + 2y 4 = (x2 − y 2 )(x2 + 2y 2 ) = (x + y)(x − y)(x2 + 2y 2 )
Osservazione
Il metodo del trinomio particolare si può estendere al caso in cui il coefficiente del termine di secondo
grado non sia 1.
Per scomporre il trinomio ax2 + bx + c:
1. si determinano due numeri interi x1 , x2 il cui prodotto è ac e la cui somma è b;
2. si sostituisce bx con x1 x + x2 x
3. si effettua il raccoglimento parziale sul polinomio ottenuto
Il metodo precedente si può adattare anche per scomporre trinomi delle forme ax2n + bxn + c e
ax2n + bxn y n + cy 2n
Esempio 11.2.14.
• Scomponiamo
6x2 + x − 2
Il polinomio è formato da tre termini ed è di secondo grado.
Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto −12 sono:
−12 e 1; 12 e − 1; −6 e 2; 6 e − 2; −4 e 3; 4 e − 3
Tra queste, l’ultima coppia dà come somma 1: i numeri cercati sono 4 e −3.
Sostituiamo x con 4x − 3x e otteniamo
6x2 + 4x − 3x − 2
Effettuiamo il raccoglimento parziale
2x(3x + 2) − 1(3x + 2)
(3x + 2)(2x − 1)
• Scomponiamo
3x4 − 11x2 − 4
Il polinomio è formato da tre termini ed è di quarto grado.
Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto −12 sono:
−12 e 1; 12 e − 1; −6 e 2; 6 e − 2; −4 e 3; 4 e − 3
Tra queste, la prima coppia dà come somma −11: i numeri cercati sono −12 e 1.
Sostituiamo −11x2 con −12x2 + x2 e otteniamo
3x4 − 12x2 + x2 − 4
Effettuiamo il raccoglimento parziale
3x2 (x2 − 4) + 1(x2 − 4)
(x2 − 4)(3x2 + 1)
(x − 2)(x + 2)(3x2 + 1)
170
11.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI
• Scomponiamo
2x2 − xy − 3y 2
Il polinomio è formato da tre termini, è di secondo grado ed è omogeneo.
Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto −6 sono:
−6 e 1; 6 e − 1; −3 e 2; 3 e − 2
Tra queste, la terza coppia dà come somma −1: i numeri cercati sono −3 e 2.
Sostituiamo −xy con −3xy + 2xy e otteniamo
2x2 − 3xy + 2xy − 3y 2
Effettuiamo il raccoglimento parziale
x(2x − 3y) + y(2x − 3y)
(2x − 3y)(x + y)
• Scomponiamo
2x6 + 5x3 y 3 + 2y 6
Il polinomio è formato da tre termini, è di sesto grado ed è omogeneo.
Le possibili coppie di numeri interi che danno come prodotto 4 sono:
4 e 1; −4 e − 1; 4 e 2; −2 e − 2
Tra queste, la prima coppia dà come somma 5: i numeri cercati sono 4 e 1.
Sostituiamo 5x3 y 3 con 4x3 y 3 + x3 y 3 e otteniamo
2x6 + 4x3 y 3 + x3 y 3 + 2y 6
Effettuiamo il raccoglimento parziale
2x3 (x3 + 2y 3 ) + y 3 (x3 + 2y 3 )
(x3 + 2y 3 )(2x3 + y 3 )
Osservazione
Ogni trinomio che è quadrato di un binomio può essere scomposto con il metodo del trinomio
particolare, anche se è preferibile utilizzare il metodo del prodotto notevole.
11.2.5
Scomposizione con la regola di Ruffini
La regola di Ruffini, quando è applicabile, permette di scomporre un polinomio di grado n nel prodotto
di un binomio di primo grado per un polinomio di grado n−1 utilizzando la proprietà che un polinomio
P (x) è divisibile per x − k se e solo se P (k) = 0.
Osservazione
Se il valore che annulla il polinomio è k, il termine noto del divisore è il suo opposto. Per esempio, se
il valore che annulla il polinomio è −5, il divisore è x + 5.
Il polinomio dato si può scomporre con la regola di Ruffini se esiste un numero razionale che, sostituito
alla variabile, annulla il polinomio.
La ricerca degli eventuali numeri razionali k che annullano il polinomio è basata sulla seguente
proprietà, di cui diamo l’enunciato senza dimostrazione:
Teorema 11.2.1.
dato un polinomio P (x) a coefficienti interi, gli eventuali numeri razionali che annullano il polinomio
sono da ricercare tra le frazioni aventi per numeratore un divisore del termine noto e per denominatore
un divisore del coefficiente del termine di grado massimo.
171
CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI
Per stabilire se esiste un numero razionale che, sostituito alla variabile, annulla il polinomio:
1. si determinano tutti i numeri razionali che hanno per numeratore un divisore del termine noto e
per denominatore un divisore del coefficiente del termine di grado massimo (se il coefficiente del
termine di grado massimo è 1, allora i numeri da determinare sono i divisori del termine noto);
2. si sostituisce ciascun numero nel polinomio finché non si trova quello che lo annulla (se esiste);
3. se nessun numero annulla il polinomio, non lo si può scomporre utilizzando la regola di Ruffini.
Per scomporre il polinomio con la regola di Ruffini:
1. si effettua la divisione con la regola di Ruffini in cui il dividendo è il polinomio dato e il divisore
è il binomio x − k, dove k è il numero razionale che annulla il polinomio;
2. il polinomio scomposto è formato dal prodotto tra il binomio x − k e il quoziente della divisione
perché, se il resto è 0, si ha
Dividendo = Divisore · Quoziente
Dopo aver effettuato la scomposizione, si esamina se il quoziente Q(x) è scomponibile, in caso affermativo lo si scompone o con uno dei metodi visti precedentemente o con la regola di Ruffini.
Esempio 11.2.15.
• Scomponiamo
x3 − 2x2 − 2x − 3
Determiniamo i numeri razionali che hanno come numeratore un divisore del termine noto e
come denominatore un divisore del coefficiente del termine di grado massimo:
1, −1, 3, −3
Sostituiamo ciascun numero nel polinomio finché non troviamo quello che lo annulla (se esiste):
P (1) = (1)3 − 2 (1)2 − 2 (1) − 3 = −6
1 non annulla il polinomio;
P (−1) = (−1)3 − 2 (−1)2 − 2 (−1) − 3 = −4
−1 non annulla il polinomio;
P (3) = (3)3 − 2 (3)2 − 2 (3) − 3 = 0
Poiché 3 annulla il polinomio, lo si può scomporre con la regola di Ruffini.
Effettuiamo la divisione con la regola di Ruffini tra x3 − 2x2 − 2x − 3 e x − 3.
Otteniamo come quoziente x2 + x + 1, quindi:
Ä
x3 − 2x2 − 2x − 3 = (x − 3) x2 + x + 1
ä
• Scomponiamo
2x3 − 3x2 + 3x − 1
Determiniamo i numeri razionali che hanno come numeratore un divisore del termine noto e
come denominatore un divisore del coefficiente del termine di grado massimo:
1 1
1, −1, , −
2 2
172
11.2. METODI DI SCOMPOSIZIONE DEI POLINOMI
Sostituiamo ciascun numero nel polinomio finché non troviamo quello che lo annulla (se esiste):
P (1) = 2 (1)3 − 3 (1)2 + 3 (1) − 1 = 1
1 non annulla il polinomio;
P (−1) = 2 (−1)3 − 3 (−1)2 + 3 (−1) − 1 = −9
−1 non annulla il polinomio;
Å ã3
1
1
=2
2
2
Å ã
P
Poiché
−3
Å ã2
1
2
1
−1=0
2
Å ã
+3
1
annulla il polinomio, lo si può scomporre con la regola di Ruffini.
2
1
Effettuiamo la divisione con la regola di Ruffini tra 2x3 − 3x2 + 3x − 1 e x − .
2
2
Otteniamo come quoziente 2x − 2x + 2, quindi:
ã
ä
1 Ä 2
2x − 3x + 3x − 1 = x −
2x − 2x + 2
2
3
2
Å
Nel secondo fattore si può raccogliere 2 e moltiplicarlo per il primo fattore; pertanto:
Ä
2x3 − 3x2 + 3x − 1 = (2x − 1) x2 − x + 1
ä
• Scomponiamo
x4 − 2x2 + 5
Determiniamo i numeri razionali che hanno come numeratore un divisore del termine noto e
come denominatore un divisore del coefficiente del termine di grado massimo:
1, −1, 5, −5
Sostituiamo ciascun numero nel polinomio finché non troviamo quello che lo annulla (se esiste):
P (1) = (1)4 − 2 (1)2 + 5 = 4
1 non annulla il polinomio;
P (−1) = (−1)4 − 2 (−1)2 + 5 = 4
−1 non annulla il polinomio;
P (5) = (5)4 − 2 (5)2 + 5 = 580
5 non annulla il polinomio;
P (−5) = (−5)4 − 2 (−5)2 + 5 = 580
−5 non annulla il polinomio.
Poiché nessun numero annulla il polinomio, non lo si può scomporre con la regola di Ruffini.
• Scomponiamo
6x3 + 7x2 − 1
Determiniamo i numeri razionali che hanno come numeratore un divisore del termine noto e
come denominatore un divisore del coefficiente del termine di grado massimo:
1 1 1 1 1 1
1, −1, , − , , − , , −
2 2 3 3 6 6
173
CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI
Sostituiamo ciascun numero nel polinomio finché non troviamo quello che lo annulla (se esiste):
P (1) = 6 (1)3 + 7 (1)2 − 1 = 12
1 non annulla il polinomio;
P (−1) = 6 (−1)3 + 7 (−1)2 − 1 = 0
Poiché −1 annulla il polinomio, lo si può scomporre con la regola di Ruffini.
Effettuiamo la divisione con la regola di Ruffini tra 6x3 + 7x2 − 1 e x + 1.
Otteniamo come quoziente 6x2 + x − 1, quindi:
6x3 + 7x2 − 1 = (x + 1)(6x2 + x − 1)
Consideriamo ora il secondo fattore.
Determiniamo i numeri razionali che hanno come numeratore un divisore del termine noto e
come denominatore un divisore del coefficiente del termine di grado massimo:
1 1 1 1 1 1
1, −1, , − , , − , , −
2 2 3 3 6 6
Sostituiamo ciascun numero nel polinomio finché non troviamo quello che lo annulla (se esiste)
(il tentativo con 1 è inutile perché se 1 non annulla il polinomio di partenza, non annulla un suo
fattore):
P (−1) = 6 (−1)2 + (−1) − 1 = 4
−1 non annulla il polinomio;
Å ã2
1
1
=6
2
2
Å ã
P
+
1
−1=1
2
1
non annulla il polinomio;
2
1
1
P −
=6 −
2
2
Å
ã
Å
ã2
−
1
−1=0
2
1
annulla il polinomio, lo si può scomporre con la regola di Ruffini.
2
1
Effettuiamo la divisione con la regola di Ruffini tra 6x2 + x − 1 e x + .
2
Otteniamo come quoziente 6x − 2; quindi:
Poiché −
Å
6x3 + 7x2 − 1 = (x + 1)(6x2 + x − 1) = (x + 1) x +
1
(6x − 2) =
2
ã
1
(x + 1) x +
2 (3x − 1) = (x + 1) (2x + 1) (3x − 1)
2
Å
11.3
ã
Osservazioni conclusive sulla scomposizione
A conclusione dei metodi di scomposizione fin qui analizzati, elenchiamo i criteri in base ai quali
privilegiare un metodo piuttosto che un altro.
1. Effettuare, se è possibile, il raccoglimento a fattore comune totale
2. Se non è possibile effettuare il raccoglimento a fattore comune totale, contare i termini del
polinomio:
• se i termini sono due, verificare se il polinomio è una differenza di due quadrati, o una
differenza di due cubi, o una somma di due cubi;
174
11.3. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE SULLA SCOMPOSIZIONE
• se i termini sono tre, verificare se il polinomio è lo sviluppo del quadrato di un binomio o
un trinomio particolare;
• se i termini sono quattro, verificare se il polinomio è lo sviluppo del cubo di un binomio;
• se i termini sono sei, verificare se il polinomio è lo sviluppo del quadrato di un trinomio.
3. Se non si sono verificate le condizioni dei casi precedenti, controllare se è possibile effettuare
un raccoglimento a fattore comune parziale o una scomposizione mediante la regola di Ruffini o
spezzare il polinomio in più parti e scomporlo applicando più volte i metodi precedenti
4. Dopo aver scomposto il polinomio in fattori si può procedere, se è possibile, a un’ulteriore
scomposizione dei singoli fattori.
Esempio 11.3.1.
• Scomponiamo
a2 − b2 − 2bc − c2
Il polinomio è formato da quattro termini. Spezziamo il polinomio in due parti, la prima costituita
dal primo termine e l’altra dagli altri tre:
a2 + (−b2 − 2bc − c2 )
Nella seconda parte raccogliamo −1 e otteniamo:
Ä
a2 − b2 + 2bc + c2
ä
Poiché il polinomio racchiuso nella parentesi è lo sviluppo del quadrato di un binomio, otteniamo:
a2 − (b + c)2
Tale espressione si può considerare una differenza di due quadrati che, scomposta, diventa:
[a + (b + c)] [a − (b + c)] = (a + b + c) (a − b − c)
Osservazione
A volte può succedere di considerare associazioni che non permettono di effettuare la scomposizione.
Riprendiamo l’esempio
a2 − b2 − 2bc − c2
Spezziamo il polinomio in due parti, la prima costituita dai primi due termini e l’altra dagli
ultimi due:
Ä
ä
Ä
a2 − b2 + −2bc − c2
ä
I primi due termini sono una differenza di quadrati e negli ultimi due si può raccogliere −c;
quindi:
Ä
ä
Ä
ä
a2 − b2 − 2bc − c2 = a2 − b2 + −2bc − c2 = (a + b) (a − b) − c (2b + c)
Questi passaggi, pur essendo corretti, non sono utili ai fini della scomposizione e quindi si deve
individuare, se esiste, un’altra associazione dei termini.
• Scomponiamo
x2 + 2x + 1 − y 2 − 2ay − a2
Il polinomio è formato da 6 termini. Spezziamo il polinomio in due parti, la prima costituita dai
primi 3 termini e l’altra dagli ultimi 3:
Ä
ä
Ä
x2 + 2x + 1 + −y 2 − 2ay − a2
ä
175
CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI
Nella seconda parte raccogliamo −1 e otteniamo:
Ä
ä
Ä
x2 + 2x + 1 − y 2 + 2ay + a2
ä
Poiché entrambe le parti sono lo sviluppo del quadrato di un binomio, otteniamo:
(x + 1)2 − (y + a)2
Tale espressione si può considerare una differenza di due quadrati che, scomposta, diventa:
[(x + 1) + (y + a)] [(x + 1) − (y + a)] = (x + 1 + y + a) (x + 1 − y − a)
• Scomponiamo
x3 + 2x2 + 2x + 1
Il polinomio è formato da quattro termini, ma non è il cubo di un binomio. Spezziamo il polinomio
in due parti, la prima formata dal primo e dal quarto termine, e la seconda dagli altri due termini:
(x3 + 1) + (2x2 + 2x)
La prima parte è una somma di due cubi e nella seconda si può raccogliere 2x. Si ottiene così:
Ä
ä
(x + 1) x2 − x + 1 + 2x (x + 1)
e raccogliendo a fattor comune (x + 1) si ha:
(x + 1)
îÄ
ä
ó
Ä
x2 − x + 1 + 2x = (x + 1) x2 + x + 1
ä
Osservazione
Il polinomio si può anche scomporre applicando la regola di Ruffini
• Scomponiamo
x3 − a3 + x2 − a2
Il polinomio è formato da quattro termini. Spezziamo il polinomio in due parti, la prima formata
dal primo e dal secondo termine, e l’altra dagli altri due termini:
(x3 − a3 ) + (x2 − a2 )
La prima parte è una differenza di due cubi e la seconda una differenza di due quadrati.
Otteniamo:
Ä
ä
(x − a) x2 + ax + a2 + (x − a) (x + a)
Effettuando un raccoglimento a fattor comune totale, abbiamo:
(x − a)
îÄ
ä
ó
Ä
ä
x2 + ax + a2 + (x + a) = (x − a) x2 + ax + a2 + x + a
• Scomponiamo
x4 − 1
Non è possibile effettuare il raccoglimento a fattore comune totale.
I termini del polinomio sono due.
Il polinomio è una differenza di due quadrati e si scompone nel seguente modo:
Ä
x2 + 1
äÄ
ä
x2 − 1
Il primo fattore è una somma di quadrati e quindi è irriducibile; il secondo è nuovamente una
differenza di due quadrati, che quindi possiamo scomporre ottenendo:
x2 − 1 = (x + 1) (x − 1)
Il polinomio di partenza risulta così scomposto:
Ä
ä
x4 − 1 = x2 + 1 (x + 1) (x − 1)
176
11.3. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE SULLA SCOMPOSIZIONE
• Scomponiamo
3x3 + 2x2 − 23x − 30
Non è possibile effettuare il raccoglimento a fattore comune totale.
I termini del polinomio sono quattro, ma non è lo sviluppo del cubo del binomio.
Non è possibile effettuare né il raccoglimento a fattore comune parziale, né spezzarlo in più parti.
Proviamo ad applicare la regola di Ruffini.
I possibili numeri razionali che annullano il polinomio sono:
1 1 2 2 5 5 10 10
1, −1, 2, −2, 3, −3, 5, −5, 6, −6, 10, −10, 15, −15, 30, −30, , − , , − , , − , , −
3 3 3 3 3 3 3
3
Tra questi, −2 annulla il polinomio, infatti:
P (−2) = 3 (−2)3 + 2 (−2)2 − 23 (−2) − 30 = 0
Effettuiamo la divisione con la regola di Ruffini tra 3x3 + 2x2 − 23x − 30 e x + 2.
Otteniamo come quoziente 3x2 − 4x − 15, quindi:
Ä
ä
3x3 + 2x2 − 23x − 30 = (x + 2) 3x2 − 4x − 15
Il fattore 3x2 − 4x − 15 è costituito da tre termini, non è lo sviluppo del quadrato di un binomio.
Proviamo a scomporlo applicando ancora la regola di Ruffini.
I possibili numeri razionali che annullano il polinomio sono:
1 1 5 5
1, −1, 3, −3, 5, −5, 15, −15, , − , , −
3 3 3 3
Tra questi, 3 annulla il polinomio. Effettuiamo la divisione con la regola di Ruffini fra 3x2 −4x−15
e x − 3.
Otteniamo come quoziente 3x + 5, quindi:
3x2 − 4x − 15 = (x − 3)(3x + 5)
Il polinomio di partenza risulta così scomposto:
3x3 + 2x2 − 23x − 30 = (x + 2) (3x + 5) (x − 3)
• Scomponiamo
x2 − 4x + 4 + ax − 2a
Non è possibile effettuare il raccoglimento a fattore comune totale.
I termini del polinomio sono cinque. Spezziamo il polinomio in due parti, la prima formata dai
primi 3 termini, e l’altra dagli altri due termini. I primi tre termini sono lo sviluppo del quadrato
di un binomio negli altri due raccogliamo il fattore a:
(x − 2)2 + a (x − 2)
Eseguiamo ora un raccoglimento a fattore comune totale, ottenendo:
x2 − 4x + 4 + ax − 2a = (x − 2) [(x − 2) + a] = (x − 2) (x − 2 + a)
• Scomponiamo
a4 + 4b4 = a4 + 4a2 b2 + 4b4 − 4a2 b2 = (a2 + 2b2 )2 − 4a2 b2 = (a2 + 2b2 − 2ab)(a2 + 2b2 + 2ab)
• Scomponiamo
x4 + x2 + 1 = x4 + 2x2 + 1 − x2 = (x2 + 1)2 − x2 = (x2 + 1 − x)(x2 + 1 + x)
177
CAPITOLO 11. SCOMPOSIZIONE DI POLINOMI
11.4
Massimo comune divisore e minimo comune multiplo di polinomi
Definizione 11.4.1 (Massimo comune divisore).
Il massimo comune divisore di due o più polinomi non nulli è ogni polinomio di grado massimo che
sia divisore di tutti i polinomi dati.
Per determinare il massimo comune divisore di polinomi:
1. si scompongono i polinomi in fattori;
2. se si ottengono dei fattori opposti con esponente dispari, si raccoglie un −1 in uno dei fattori.
3. il massimo comune divisore dei polinomi dati è uguale al prodotto dei fattori comuni presi una
sola volta con il minimo esponente.
Esempio 11.4.1.
• MCD 3a2 + 6a, a2 − 4, a2 + 4a + 4
Scomponiamo i tre polinomi:
3a2 + 6a = 3a (a + 2)
a2 − 4 = (a + 2) (a − 2)
a2 + 4a + 4 = (a + 2)2
Il fattore comune a tutti i polinomi, preso con il minimo esponente, è (a + 2).
Quindi:
Ä
ä
MCD 3a2 + 6a, a2 − 4, a2 + 4a + 4 = a + 2
• MCD 1 − a2 , a2 + a − 2
Scomponiamo i due polinomi:
1 − a2 = (1 − a)(1 + a)
a2 + a − 2 = (a − 1) (a + 2)
Poiché i fattori (1 − a) e (a − 1) sono opposti, raccogliamo −1 nel fattore (1 − a):
1 − a2 = (1 − a)(1 + a) = −1(a − 1)(1 + a)
Il fattore comune a tutti i polinomi, preso con il minimo esponente, è (a − 1).
Quindi:
Ä
ä
MCD 1 − a2 , a2 + a − 2 = a − 1
• MCD x3 − x2 y, x4 − x2 y 2 , 2ax3 + bx3 − 2ax2 y − bx2 y
Scomponiamo i tre polinomi:
x3 − x2 y = x2 (x − y)
Ä
ä
x4 − x2 y 2 = x2 x2 − y 2 = x2 (x + y) (x − y)
2ax3 + bx3 − 2ax2 y − bx2 y = x2 (2ax + bx − 2ay − by) = x2 (x (2a + b) − y (2a + b)) =
x2 (2a + b) (x − y)
I fattori comuni a tutti i polinomi, presi con il minimo esponente, sono x2 e x − y.
Quindi:
Ä
ä
MCD x3 − x2 y, x4 − x2 y 2 , 2ax3 + bx3 − 2ax2 y − bx2 y = x2 (x − y)
178
11.4. MASSIMO COMUNE DIVISORE E MINIMO COMUNE MULTIPLO DI POLINOMI
• MCD x2 + 3x, x2 + 4x + 3, x2 − y 2
Scomponiamo i tre polinomi:
x2 + 3x = x (x + 3)
x2 + 4x + 3 = (x + 3) (x + 1)
x2 − y 2 = (x + y) (x − y)
Non esistono fattori comuni a tutti i polinomi, quindi:
Ä
ä
MCD x2 + 3x, x2 + 4x + 3, x2 − y 2 = 1
Definizione 11.4.2 (Minimo comune multiplo).
Il minimo comune multiplo di due o più polinomi non nulli è ogni polinomio non nullo di grado minimo
che sia divisibile per tutti i polinomi dati.
Per determinare il minimo comune multiplo di polinomi:
1. si scompongono i polinomi in fattori;
2. se si ottengono dei fattori opposti con esponente dispari, si raccoglie un −1 in uno dei fattori.
3. il minimo comune multiplo dei polinomi dati è uguale al prodotto dei fattori comuni e non
comuni presi una sola volta con il massimo esponente.
Esempio 11.4.2.
• mcm x3 − x2 , x2 − 1, x3 − 3x2 + 3x − 1
Scomponiamo i tre polinomi:
x3 − x2 = x2 (x − 1)
x2 − 1 = (x + 1) (x − 1)
x3 − 3x2 + 3x − 1 = (x − 1)3
I fattori comuni e non comuni, presi con il massimo esponente, sono x2 , (x − 1)3 e x + 1. Quindi:
mcm x3 − x2 , x2 − 1, x3 − 3x2 + 3x − 1 = x2 (x − 1)3 (x + 1)
Ä
ä
• mcm 1 − a2 , a2 + a − 2
Scomponiamo i due polinomi:
1 − a2 = (1 − a)(1 + a)
a2 + a − 2 = (a − 1) (a + 2)
Poiché i fattori (1 − a) e (a − 1) sono opposti, raccogliamo −1 nel fattore (1 − a):
1 − a2 = (1 − a)(1 + a) = −1(a − 1)(1 + a)
I fattori comuni e non comuni, presi con il massimo esponente, sono a − 1, 1 + a e a + 2. Quindi:
Ä
ä
mcm 1 − a2 , a2 + a − 2 = (a − 1)(1 + a)(a + 2)
• mcm a3 − 1, a2 + a, a2 + 4a + 4
Scomponiamo i tre polinomi:
Ä
a3 − 1 = (a − 1) a2 + a + 1
ä
a2 + a = a (a + 1)
a2 + 4a + 4 = (a + 2)2
I fattori comuni e non comuni, presi con il massimo esponente, sono a − 1, a2 + a + 1, a, a + 1
e (a + 2)2 .
Quindi:
mcm a3 − 1, a2 + a, a2 + 4a + 4 = a (a − 1) a2 + a + 1 (a + 1) (a + 2)2
Ä
ä
Ä
179
ä
Capitolo 12
Frazioni algebriche
12.1
Introduzione
Definizione 12.1.1 (Frazione algebrica).
Si dice frazione algebrica il rapporto tra due polinomi con il secondo diverso dal polinomio nullo.
Osservazione
Il primo polinomio si dice nuneratore e il secondo denominatore
Esempio 12.1.1.
3a2 + 2a a2 + 3a + 1
x
x+y
,
, 2
, 2
a+2
a
x + 2x x + y 2
•
sono frazioni algebriche
• Poiché i numeri sono polinomi, anche
2
3a − 1
,
x+2
3
sono frazioni algebriche
• Poiché ogni polinomio può essere scritto come frazione algebrica con denominatore 1, tutti i
polinomi sono frazioni algebriche.
12.2
Frazioni algebriche come funzioni
Una frazione algebrica si può considerare come funzione delle variabili che vi compaiono, cioè una
relazione che associa a ogni n-pla di numeri reali assegnati alle variabili uno e un solo numero reale.
Affinché una frazione algebrica sia una funzione, il denominatore non si deve annullare. Questo si
ottiene imponendo le condizioni di esistenza (CE).
Osservazioni
1. Un prodotto è diverso da zero se lo è ogni suo singolo fattore.
2. Una potenza è diversa da zero se lo è la sua base.
Per determinare le condizioni di esistenza:
1. si scompone il denominatore;
2. si impone che ogni fattore del denominatore sia diverso da zero.
Esempio 12.2.1.
180
12.3. FRAZIONI ALGEBRICHE EQUIVALENTI
• Scriviamo le condizioni di esistenza della frazione algebrica
x+2
2x3 y 2
Il denominatore è scomposto nei fattori 2, x3 e y 2 ; 2 è sempre diverso da zero, quindi
CE: x = 0 ∧ y = 0
• Scriviamo le condizioni di esistenza della frazione algebrica
2a2 + 3b + 1
a+2
Il denominatore è irriducibile, quindi
CE: a + 2 = 0
• Scriviamo le condizioni di esistenza della frazione algebrica
3x + 1
x2 − 4
Scomponiamo il denominatore:
3x + 1
(x + 2) (x − 2)
Quindi
CE: x + 2 = 0 ∧ x − 2 = 0
• Scriviamo le condizioni di esistenza della frazione algebrica
3y − 2x + 1
5
Il denominatore è un numero diverso da zero, quindi la frazione è definita per qualunque valore
di x e di y
Osservazione
Nel porre le condizioni di esistenza di una frazione algebrica non si considera il numeratore.
12.3
Frazioni algebriche equivalenti
Definizione 12.3.1 (Frazioni algebriche equivalenti).
Due frazioni algebriche si dicono equivalenti se assumono lo stesso valore per ogni valore attribuito
alle variabili, soddisfacente le condizioni di esistenza di entrambe.
Esempio 12.3.1.
• Le frazioni algebriche:
3x
3
,
x2 + x x + 1
CE: x = 0 ∧ x + 1 = 0
sono equivalenti perché, sostituendo qualsiasi numero diverso da 0 e −1, alla variabile x, esse
assumono lo stesso valore.
• Le frazioni algebriche:
5x
5x
,
x−3 x−2
CE: x − 3 = 0 ∧ x − 2 = 0
non sono equivalenti perché, sostituendo alla variabile x il numero 1, esse assumono rispettiva5
mente valore − e −5.
2
181
CAPITOLO 12. FRAZIONI ALGEBRICHE
12.4
Proprietà invariantiva
Teorema 12.4.1 (Proprietà invariantiva).
Moltiplicando numeratore e denominatore di una frazione algebrica per uno stesso polinomio diverso
da quello nullo, si ottiene una frazione equivalente a quella data.
Esempio 12.4.1.
Data la frazione algebrica:
x−1
x+1
CE: x + 1 = 0
se moltiplichiamo numeratore e denominatore per x otteniamo:
x(x − 1)
x2 − x
= 2
x(x + 1)
x +x
CE: x = 0 ∧ x + 1 = 0
che è equivalente alla frazione data.
Osservazione
Dividendo numeratore e denominatore di una frazione algebrica per uno stesso polinomio divisore di
entrambi, si ottiene una frazione equivalente a quella data.
Esempio 12.4.2.
Data la frazione algebrica:
x2 − x
x2 + x
CE: x = 0 ∧ x + 1 = 0
se dividiamo numeratore e denominatore per x otteniamo:
(x2 − x) : x
x−1
=
2
(x + x) : x
x+1
che è equivalente alla frazione data.
12.5
Semplificazione di frazioni algebriche
La proprietà invariantiva è utile per semplificare le frazioni algebriche.
Per semplificare una frazione algebrica:
1. si scompongono il numeratore e il denominatore;
2. si scrivono le condizioni di esistenza;
3. si semplifica la frazione dividendo numeratore e denominatore per il loro MCD
Esempio 12.5.1.
• Semplifichiamo
3a3 x2
6a2 x4 y 2
Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: a = 0 ∧ x = 0 ∧ y = 0
182
12.6. ADDIZIONE DI FRAZIONI ALGEBRICHE
Il MCD del numeratore e denominatore è 3a2 x2 quindi, dividendo numeratore e denominatore
per 3a2 x2 , otteniamo:
2
x 3✁a✁3 2 x✁
42 y 2
62 a =
✁ a
2x2 y 2
• Semplifichiamo
x2 + 3x + 2
x2 + 4x + 4
Scomponiamo numeratore e denominatore:
(x + 2) (x + 1)
(x + 2)2
Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: x + 2 = 0
Il MCD del numeratore e denominatore è x + 2; quindi, dividendo numeratore e denominatore
per x + 2, otteniamo:
✘ + 1)
(x✘
+✘2)(x
x+1
✘
=
x+2
(x + 2)✁2
• Semplifichiamo
x2 − 9
x2 + 2x + 1
Scomponiamo numeratore e denominatore:
(x + 3) (x − 3)
(x + 1)2
Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: x + 1 = 0
Poiché non vi sono fattori comuni al numeratore e al denominatore, il loro MCD è 1. La frazione
pertanto non è semplificabile.
Osservazione
Nella semplificazione si possono semplificare solo i fattori comuni e non i termini; quindi la frazione
a+2
non è semplificabile perché al numeratore il fattore è a + 2 e al denominatore il fattore è a.
a
12.6
Addizione di frazioni algebriche
Nell’insieme delle frazioni algebriche l’addizione si può sempre effettuare; il risultato dell’addizione si
dice somma.
Definizione 12.6.1 (Somma).
La somma di due frazioni algebriche con lo stesso denominatore è la frazione algebrica avente per
numeratore la somma dei numeratori e per denominatore lo stesso denominatore.
Se le frazioni algebriche non hanno lo stesso denominatore, si possono trasformare in modo che abbiano
lo stesso denominatore applicando la proprietà invariantiva.
In pratica, per addizionare due frazioni algebriche:
1. si scompongono il numeratore e il denominatore di ogni frazione;
183
CAPITOLO 12. FRAZIONI ALGEBRICHE
2. si scrivono le condizioni di esistenza di ogni frazione;
3. si semplifica ogni frazione;
4. si scrive la frazione che ha come denominatore il minimo comune multiplo dei denominatori;
5. per ottenere il numeratore:
(a) si divide il minimo comune multiplo dei denominatori per il denominatore della prima
frazione e si moltiplica il quoziente ottenuto per il suo numeratore;
(b) si ripete il procedimento per la seconda frazione e si somma al risultato precedente;
6. si effettuano i calcoli al numeratore;
7. si scompone il numeratore;
8. si semplifica, se possibile, la frazione ottenuta.
Osservazioni
1. L’addizione di frazioni algebriche gode delle proprietà: associativa, commutativa, esistenza dell’elemento neutro, esistenza dell’elemento opposto.
2. La scomposizione del numeratore è utile solo se la singola frazione si può semplificare.
Esempio 12.6.1.
• Semplifichiamo l’espressione
a2 − 4
a−6
+ 2
2
a + 2a a − 3a
Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione:
(a + 2) (a − 2)
a−6
+
a (a + 2)
a (a − 3)
Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: a = 0 ∧ a + 2 = 0 ∧ a − 3 = 0
Semplifichiamo la prima frazione:
✘ (a − 2)
a−6
a−2
a−6
(a✘
+✘
2)
✘
+
=
+
✘
✘
a✘
(a✘
+ 2)
a (a − 3)
a
a (a − 3)
Scriviamo la frazione che ha come denominatore il mcm dei denominatori:
a (a − 3)
Dividiamo il minimo comune multiplo dei denominatori per il denominatore della prima frazione
e moltiplichiamo il quoziente per il suo numeratore:
(a − 3) (a − 2)
a (a − 3)
Ripetiamo il procedimento per la seconda frazione e sommiamo al risultato precedente:
(a − 3) (a − 2) + a − 6
a (a − 3)
Effettuiamo i calcoli al numeratore:
a2 − 4a
a (a − 3)
184
12.6. ADDIZIONE DI FRAZIONI ALGEBRICHE
Scomponiamo il numeratore:
a (a − 4)
a (a − 3)
Semplifichiamo la frazione:
a−4
a✁ (a − 4)
=
a✁ (a − 3)
a−3
• Semplifichiamo l’espressione
−b
2b2 + 5ab
a
+
+ 2
2a + 2b 3a − 3b 6a − 6b2
Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione:
a
−b
2b2 + 5ab
+
+
2(a + b) 3(a − b) 6(a + b)(a − b)
Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: a + b = 0 ∧ a − b = 0
Scriviamo la frazione che ha come denominatore il mcm dei denominatori:
6 (a + b) (a − b)
Dividiamo il minimo comune multiplo dei denominatori per il denominatore della prima frazione
e moltiplichiamo il quoziente per il suo numeratore:
(3a) (a − b)
6 (a + b) (a − b)
Ripetiamo il procedimento per la seconda frazione e sommiamo al risultato precedente:
(3a) (a − b) + (−2b)(a + b)
6 (a + b) (a − b)
Ripetiamo il procedimento per la terza frazione e sommiamo al risultato precedente:
(3a) (a − b) + (−2b)(a + b) + 2b2 + 5ab
6 (a + b) (a − b)
Effettuiamo i calcoli al numeratore:
3a2 − 3ab − 2ab − 2b2 + 2b2 + 5ab
6 (a + b) (a − b)
3a2
6 (a + b) (a − b)
Semplifichiamo la frazione:
a2
2(a + b)(a − b)
185
CAPITOLO 12. FRAZIONI ALGEBRICHE
12.7
Opposto di una frazione algebrica
Definizione 12.7.1 (Opposto).
Si dice opposto di una frazione algebrica la frazione algebrica che, addizionata a quella data, dà come
somma la frazione nulla.
Osservazione
L’opposto di una frazione algebrica si indica ponendo il segno − davanti alla frazione algebrica ed è
uguale alla frazione che ha come numeratore (denominatore) l’opposto del numeratore (denominatore)
della frazione data
Esempio 12.7.1.
L’opposto della frazione algebrica
a+2
3b − 1
è
−
a+2
−a − 2
a+2
=
=
3b − 1
3b − 1
−3b + 1
infatti
−a − 2
a+2
+
=0
3b − 1
3b − 1
12.8
Sottrazione di frazioni algebriche
La sottrazione, nell’insieme delle frazioni algebriche, si può sempre effettuare. Il risultato della sottrazione si dice differenza.
Definizione 12.8.1 (Differenza).
La differenza di due frazioni algebriche è la frazione algebrica che si ottiene addizionando alla prima
l’opposto della seconda.
Esempio 12.8.1.
a−5
3
−
=
2
a −1 a+1
Addizioniamo alla prima frazione l’opposto della seconda
a−5
−3
+
=
2
a −1 a+1
Eseguiamo l’addizione
a−5
−3
+
=
(a + 1)(a − 1) a + 1
CE: a + 1 = 0 ∧ a − 1 = 0
a − 5 + (−3)(a − 1)
=
(a + 1)(a − 1)
a − 5 − 3a + 3
=
(a + 1)(a − 1)
−2a − 2
=
(a + 1)(a − 1)
−2(a + 1)
=
(a + 1)(a − 1)
−2
a−1
186
12.8. SOTTRAZIONE DI FRAZIONI ALGEBRICHE
La sottrazione e l’addizione di frazioni algebriche possono essere considerate un’unica operazione che
si dice addizione algebrica.
Esempio 12.8.2.
• Semplifichiamo l’espressione
3
5
−
x+2 x−1
Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: x + 2 = 0 ∧ x − 1 = 0
I numeratori e i denominatori delle frazioni non sono scomponibili; le frazioni non si possono
semplificare.
Scriviamo la frazione che ha come denominatore il mcm dei denominatori
(x + 2) (x − 1)
Dividiamo il minimo comune multiplo dei denominatori per il denominatore di ogni frazione e
moltiplichiamo i quozienti per i rispettivi numeratori:
(x − 1) 3 − (x + 2) 5
(x + 2) (x − 1)
effettuiamo i calcoli al numeratore:
−2x − 13
(x + 2) (x − 1)
Il numeratore non è scomponibile e la frazione non è semplificabile.
• Semplifichiamo l’espressione
1
x2 + 2x + 1
1
+
− 2
2
4
2
4x
x − 4x
x − 2x
Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione:
1
(x + 1)2
1
+
−
2
2
4x
x (x + 2) (x − 2) x (x − 2)
Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: x = 0 ∧ x + 2 = 0 ∧ x − 2 = 0
Le frazioni non si possono semplificare.
Scriviamo la frazione che ha come denominatore il mcm dei denominatori:
4x2 (x + 2) (x − 2)
Dividiamo il minimo comune multiplo dei denominatori per il denominatore di ogni frazione e
moltiplichiamo i quozienti per i rispettivi numeratori:
(x + 2) (x − 2) + 4 (x + 1)2 − 4x (x + 2)
4x2 (x + 2) (x − 2)
Effettuiamo i calcoli al numeratore:
4x2 (x
x2
+ 2) (x − 2)
Semplifichiamo la frazione e otteniamo:
2
x 2 (x
4x + 2) (x − 2)
=
1
4 (x + 2) (x − 2)
187
CAPITOLO 12. FRAZIONI ALGEBRICHE
Osservazione
Nell’addizione algebrica, dopo aver scomposto i denominatori, se tra i fattori dei denominatori ne
esistono due opposti con esponente dispari, è opportuno raccogliere −1 in uno di essi. Se l’esponente
di un fattore è pari si possono cambiare i segni dei termini senza raccogliere −1.
Esempio 12.8.3.
• Semplifichiamo l’espressione
x2
2
3
−
−1 1−x
Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione:
2
3
−
(x + 1) (x − 1) 1 − x
Possiamo notare che compaiono i fattori opposti x − 1 e 1 − x. Raccogliendo −1 nel fattore 1 − x,
otteniamo:
2
3
−
(x + 1) (x − 1) − (x − 1)
che possiamo riscrivere nel seguente modo:
2
3
+
(x + 1) (x − 1) x − 1
Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: x + 1 = 0 ∧ x − 1 = 0
Scriviamo la frazione che ha come denominatore il mcm dei denominatori:
(x + 1) (x − 1)
Dividiamo il minimo comune multiplo dei denominatori per ogni denominatore e moltiplichiamo
i quozienti per i rispettivi numeratori:
2 + 3 (x + 1)
(x + 1) (x − 1)
Effettuiamo i calcoli al numeratore:
3x + 5
(x + 1) (x − 1)
Il numeratore non è scomponibile e la frazione non è semplificabile.
• Semplifichiamo l’espressione
2x
1
+
(x − 2y)2 2y − x
Possiamo notare che compaiono i fattori opposti x − 2y e 2y − x. Possiamo procedere in due
modi
1. Raccogliendo −1 nel fattore 2y − x, otteniamo:
2x
1
+
(x − 2y)2 −(x − 2y)
che possiamo riscrivere nel seguente modo:
2x
1
−
(x − 2y)2 x − 2y
188
12.9. MOLTIPLICAZIONE DI FRAZIONI ALGEBRICHE
Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: x − 2y = 0
Eseguiamo l’addizione algebrica
2x − x + 2y
(x − 2y)2
x + 2y
(x − 2y)2
2. Poiché (x − 2y)2 = (2y − x)2 otteniamo
2x
1
+
2
(2y − x)
2y − x
Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: 2y − x = 0
Eseguiamo l’addizione algebrica
2x + 2y − x
(2y − x)2
x + 2y
(2y − x)2
• Semplifichiamo l’espressione
y2
y+5
y−2
+
=
− 3y − 10 4 − y 2
y−2
y+5
+
=
(y − 5)(y + 2) (2 + y)(2 − y)
y−2
y+5
+
=
(y − 5)(y + 2) −(2 + y)(y − 2)
y+5
y−2
−
=
(y − 5)(y + 2) (2 + y)(y − 2)
CE: y − 5 = 0 ∧ y + 2 = 0 ∧ y − 2 = 0
(y − 2)2 − (y − 5)(y + 5)
=
(y − 5)(y + 2)(y − 2)
y 2 − 4y + 4 − y 2 + 25
=
(y − 5)(y + 2)(y − 2)
−4y + 29
(y − 5)(y + 2)(y − 2)
12.9
Moltiplicazione di frazioni algebriche
Definizione 12.9.1 (Prodotto).
Il prodotto di due frazioni algebriche è la frazione algebrica avente per numeratore il prodotto dei
numeratori e per denominatore il prodotto dei denominatori.
In pratica per moltiplicare due frazioni algebriche:
1. si scompongono il numeratore e il denominatore di ogni frazione;
2. si scrivono le condizioni di esistenza di ogni frazione;
189
CAPITOLO 12. FRAZIONI ALGEBRICHE
3. si semplificano i fattori comuni al numeratore e al denominatore di una stessa frazione o di
frazioni diverse;
4. si scrive la frazione che ha come denominatore il prodotto dei denominatori e come numeratore il
prodotto dei numeratori (il prodotto dei numeratori e dei denominatori può non essere calcolato,
ma solo indicato).
Osservazione
La moltiplicazione gode delle seguenti proprietà: associativa, commutativa, esistenza dell’elemento
neutro, esistenza dell’elemento inverso.
Esempio 12.9.1.
• Semplifichiamo l’espressione
3ab2 5c3
·
2ac 6ab3 c
Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: a = 0 ∧ c = 0 ∧ b = 0
Semplifichiamo:
2
3✁a✁ b 5c✁3
1 5c
·
= ·
2a✁✁c 6✁2 ab✁3 ✁c
2 2ab
Effettuiamo i prodotti dei numeratori e dei denominatori:
5c
4ab
• Semplifichiamo l’espressione
3x
x2 − 1 x2 + x + 1
·
· 2
x3 − 1
x2 − x
x + 3x + 2
Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione:
(x + 1) (x − 1)
x2 + x + 1
3x
·
·
(x − 1) (x2 + x + 1) x (x − 1) (x + 1) (x + 2)
Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: x − 1 = 0 ∧ x2 + x + 1 = 0 ∧ x = 0 ∧ x + 1 = 0 ∧ x + 2 = 0
Semplifichiamo:
✘
✘
✘(x✘
✘
1
3
(x✘
+✘1)
1)
x2✘
+✘x✘
+1
3✚
x
1
✘
✘ −✘
✘
·
·
= ·
·
✘
✘
✘
✘
✘
2
✘
✘+ 1
x (x − 1) ✘
(x✘
+ 1) (x + 2)
1 (x − 1) (x + 2)
✘x
✚
(x✘
− 1)✘x✘+
✘
Effettuiamo i prodotti dei numeratori e dei denominatori:
3
(x − 1) (x + 2)
Osservazione
Nella moltiplicazione, dopo aver scomposto i denominatori, se tra i fattori dei denominatori ne esistono
due opposti con esponente dispari, è opportuno raccogliere −1 in uno di essi. Se l’esponente di un
fattore è pari si possono cambiare i segni dei termini senza raccogliere −1.
190
12.9. MOLTIPLICAZIONE DI FRAZIONI ALGEBRICHE
Esempio 12.9.2.
Semplifichiamo l’espressione
5
b2 − ab
·
a2 − b2 5a + 10
Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione:
5
b (b − a)
·
(a − b) (a + b) 5 (a + 2)
Possiamo notare che compaiono i fattori opposti a − b e b − a. Raccogliendo −1 nel fattore b − a,
otteniamo:
5
−b (−b + a)
·
(a − b) (a + b)
5 (a + 2)
Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: a − b = 0 ∧ a + b = 0 ∧ a + 2 = 0
Semplifichiamo:
−b✘
1
−b
(−b
+✘
a)
5✁
✘✘
·
=
·
✘
✘
(a✘
− b) (a + b)
5✁ (a + 2)
(a + b) (a + 2)
✘
✘
Effettuiamo i prodotti dei numeratori e dei denominatori:
−
b
(a + b) (a + 2)
12.9.1
Precedenza delle operazioni
Nelle espressioni con le frazioni algebriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente
ordine di precedenza:
1. moltiplicazione
2. addizione algebrica
Esempio 12.9.3.
• Semplifichiamo l’espressione
b2
b
1− + 2
a a
å
b
b2
1− + 2
a a
å
Ç
Ç
·
·
a2
=
a3 + b3
(a +
a2
=
− ab + b2 )
b)(a2
CE: a = 0 ∧ a + b = 0
a2 − ab + b2
a2
·
=
a2
(a + b)(a2 − ab + b2 )
1
a+b
• Semplifichiamo l’espressione
Å
x+1
1−x
x−3
3
−
−
· −2
+ 1 · (x − 3) =
2
x + 3 − 4x 4x − 4 4 − 4x
x−4
Ç
ã Å
x+1
1−x
x−3
−
−
(x − 3)(x − 1) 4(x − 1) 4(1 − x)
Å
ã
å Å
· −2
191
Å
ã
3
+ 1 · (x − 3) =
x−4
ã
ã
CAPITOLO 12. FRAZIONI ALGEBRICHE
Ç
x+1
1−x
x−3
−
+
(x − 3)(x − 1) 4(x − 1) 4(x − 1)
å Å
· −2
Å
3
+ 1 · (x − 3) =
x−4
ã
ã
CE: x − 3 = 0 ∧ x − 1 = 0 ∧ x − 4 = 0
4(x + 1) − (1 − x)(x − 3) + (x − 3)2
3+x−4
· −2
· (x − 3) =
4(x − 3)(x − 1)
x−4
Å
ã
4x + 4 − x + 3 + x2 − 3x + x2 − 6x + 9
x−1
· −2
· (x − 3) =
4(x − 3)(x − 1)
x−4
Å
ã
2x2 − 6x + 16 −2(x − 1)(x − 3)
·
=
4(x − 3)(x − 1)
x−4
2(x2 − 3x + 8) −2(x − 1)(x − 3)
·
=
4(x − 3)(x − 1)
x−4
−
12.10
x2 − 3x + 8
x−4
Divisione di frazioni algebriche
Per definire la divisione tra frazioni algebriche, è necessario introdurre il concetto di inversa di una
frazione algebrica.
Definizione 12.10.1 (Inversa).
Si dice inversa, o reciproca, di una frazione algebrica non nulla la frazione che, moltiplicata per quella
assegnata, dà come risultato 1.
Osservazioni
1. l’inversa di una frazione algebrica si ottiene scambiando il numeratore con il denominatore della
frazione assegnata.
2. Per l’esistenza dell’inversa di una frazione algebrica non si devono annullare né il denominatore
né il numeratore
Esempio 12.10.1.
• L’inversa della frazione
a+2
a−1
con CE: a − 1 = 0 ∧ a + 2 = 0
è:
a−1
a+2
Infatti:
a+2 a−1
·
=1
a−1 a+2
• L’inversa della frazione
(x + 2) x2 + 1
x (x − 3)
con CE: x + 2 = 0 ∧ x = 0 ∧ x − 3 = 0
è:
x (x − 3)
(x + 2) (x2 + 1)
Infatti:
(x + 2) x2 + 1
x (x − 3)
·
=1
x (x − 3)
(x + 2) (x2 + 1)
192
12.10. DIVISIONE DI FRAZIONI ALGEBRICHE
Definizione 12.10.2 (Quoziente).
Il quoziente di due frazioni algebriche, con la seconda non nulla, è la frazione algebrica che si ottiene
moltiplicando la prima frazione per l’inversa della seconda.
In pratica per dividere due frazioni algebriche:
1. si scompongono il numeratore e il denominatore di ogni frazione;
2. si scrivono le condizioni di esistenza di ogni frazione;
3. si integrano le condizioni di esistenza imponendo che ogni fattore del numeratore della seconda
frazione sia diverso da zero;
4. si moltiplica la prima frazione per l’inversa della seconda.
Osservazione
Per eseguire divisioni di tre o più frazioni, poiché la divisione non gode della proprietà associativa, si
devono effettuare le operazioni nell’ordine indicato.
Esempio 12.10.2.
• Semplifichiamo l’espressione
5xy 3 10xyz
:
3z 4
6z 3
Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: z = 0 ∧ x = 0 ∧ y = 0
Moltiplichiamo la prima frazione per l’inversa della seconda:
5xy 3
6z 3
·
3z 4 10xyz
Semplifichiamo:
2
5✁✚
xy✁3
3✁z✁4
·
3
6✁✁2 z ✚✁2✚
10
xyz
✚
✁
=
y2 1
·
z z
Effettuiamo i prodotti dei numeratori e dei denominatori:
y2
z2
• Semplifichiamo l’espressione
a2 − 5a + 6 a2 − 2a
:
a2 − 1
a−1
Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione:
(a − 3) (a − 2) a (a − 2)
:
(a + 1) (a − 1)
a−1
Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: a + 1 = 0 ∧ a − 1 = 0 ∧ a = 0 ∧ a − 2 = 0
Moltiplichiamo la prima frazione per l’inversa della seconda:
(a − 3) (a − 2)
a−1
·
(a + 1) (a − 1) a (a − 2)
Eseguiamo i prodotti e otteniamo:
✘
✘✘
(a − 3) ✘
(a✘
−✘
2)
a−
1
a−3
✘
·
=
✘
✘
✘
✘
(a + 1) ✘
(a✘
− 1) a✘
(a✘
− 2)
a (a + 1)
193
CAPITOLO 12. FRAZIONI ALGEBRICHE
• Semplifichiamo l’espressione
x3 + 3x2 + 3x + 1 x2 + 2x + 1
3x3
:
:
x+2
x2
x2 + 3x + 2
Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione:
(x + 1)3 (x + 1)2
3x3
:
:
x+2
x2
(x + 2) (x + 1)
Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: x + 2 = 0 ∧ x = 0 ∧ x + 1 = 0
Moltiplichiamo la prima frazione per l’inversa della seconda:
(x + 1)3
3x3
x2
:
·
x+2
(x + 1)2 (x + 2)(x + 1)
Effettuiamo il prodotto delle prime due frazioni:
3x3
(x + 1)✁3
x2
(x + 1) · x2
3x3
:
·
=
:
✘
x+2 ✘
(x✘
+✘1)2 (x + 2)(x + 1)
x+2
(x + 2)(x + 1)
Moltiplichiamo la frazione ottenuta per l’inversa delle terza e ricaviamo:
(x + 1) · x2 (x + 2)(x + 1)
·
x+2
3x3
Eseguiamo i prodotti e otteniamo:
✘ + 1)
2 (x✘
(x + 1) · x 2)(x
(x + 1)2
✘ +✘
·
=
✘✘
x+
2
3x
✘
3x✁3
12.10.1
Precedenza delle operazioni
Nelle espressioni con le frazioni algebriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente
ordine di precedenza:
1. moltiplicazione, divisione
2. addizione algebrica
Esempio 12.10.3.
• Semplifichiamo l’espressione
x2 y + xy 2 xy + y 2 x3 + xy 2 xy + 1
·
+
=
:
x3 y + xy 3 x2 − xy
x
y
xy(x + y)
y(x + y) x(x2 + y 2 ) xy + 1
:
·
+
=
2
2
xy(x + y ) x(x − y)
x
y
CE: x = 0 ∧ y = 0 ∧ x + y = 0 ∧ x − y = 0
x + y x(x − y)
xy + 1
·
· (x2 + y 2 ) +
=
x2 + y 2 y(x + y)
y
x(x − y) xy + 1
+
=
y
y
x2 − xy + xy + 1
=
y
x2 + 1
y
194
12.11. FRAZIONE DI FRAZIONI ALGEBRICHE
• Semplifichiamo l’espressione
1
1
1
(3a − 27) ·
+
−
2
3a − 9 3a − a
6a − 9 − a2
Å
2
Ç
2
3(a − 9) ·
ã
1
1
1
+
+ 2
3(a − 3) a(3 − a) a − 6a + 9
Ç
3(a + 3)(a − 3) ·
:
a3 + 27
=
a3 − 9a
å
1
1
1
−
+
3(a − 3) a(a − 3) (a − 3)2
:
(a + 3)(a2 − 3a + 9
=
a(a2 − 9)
å
:
(a + 3)(a2 − 3a + 9
=
a(a − 3)(a + 3)
CE: a − 3 = 0 ∧ a = 0 ∧ a + 3 = 0
3(a + 3)(a − 3) ·
a(a − 3) − 3(a − 3) + 3a a2 − 3a + 9
:
=
3a(a − 3)2
a(a − 3)
3(a + 3)(a − 3) ·
a2 − 3a − 3a + 9 + 3a
a(a − 3)
· 2
=
2
3a(a − 3)
a − 3a + 9
3(a + 3)(a − 3) ·
a2 − 3a + 9
a(a − 3)
· 2
=
2
3a(a − 3)
a − 3a + 9
a+3
12.11
Frazione di frazioni algebriche
Consideriamo una frazione che ha frazioni algebriche al numeratore e al denominatore. Ogni frazione
di questo tipo si può scrivere come divisione tra la frazione algebrica al numeratore e la frazione
algebrica al denominatore, quindi si segue il metodo visto precedentemente.
Esempio 12.11.1.
• Semplifichiamo l’espressione
2x3
5ay 2
=
6xy 3
10a2
Scriviamo la frazione come divisione tra il numeratore e il denominatore:
2x3 6xy 3
:
5ay 2 10a2
Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: a = 0 ∧ y = 0 ∧ x = 0
Moltiplichiamo la prima frazione per l’inversa della seconda:
2x3 10a2
·
5ay 2 6xy 3
Semplifichiamo:
2
✚2 a✁2
2✁x✁3 ✚
10
x2 2a
·
=
·
2 63 xy 3
5✁ay
y 2 3y 3
✁✚
✁
Effettuiamo i prodotti dei numeratori e dei denominatori:
2ax2
3y 5
195
CAPITOLO 12. FRAZIONI ALGEBRICHE
• Semplifichiamo l’espressione
x2 − 1
=
x2 − 2x + 1
x2 − x
Scriviamo la frazione come divisione tra il numeratore e il denominatore:
Ä
ä x2 − 2x + 1
x2 − 1 :
x2 − x
Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione:
(x − 1) (x + 1) :
(x − 1)2
x (x − 1)
Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: x = 0 ∧ x − 1 = 0
Moltiplichiamo la prima frazione per l’inversa della seconda:
(x − 1) (x + 1) ·
x (x − 1)
(x − 1)2
Semplifichiamo:
✘
(x✘
−✘1)
x
✘ (x + 1) · x✘
(x✘
−✘1)
= (x + 1) ·
✘
✘
✘
2
1
(x✘
− 1)✁
✘
Effettuiamo i prodotti dei numeratori e dei denominatori:
x (x + 1)
• Semplifichiamo l’espressione
x2 − 1
x2 − 2x + 1 =
x2 − x
Scriviamo la frazione come divisione tra il numeratore e il denominatore:
Ä
ä
x2 − 1
: x2 − x
2
x − 2x + 1
Scomponiamo denominatore e numeratore di ogni frazione:
(x + 1) (x − 1)
: [x (x − 1)]
(x − 1)2
Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: x − 1 = 0 ∧ x = 0
I fattori ottenuti dalla scomposizione della seconda frazione devono essere racchiusi tra parentesi,
per evitare di dividere solo per il primo fattore, commettendo quindi un errore.
Moltiplichiamo la prima frazione per l’inversa della seconda:
(x + 1) (x − 1)
1
·
2
x (x − 1)
(x − 1)
Semplifichiamo:
✘
(x + 1) ✘
(x✘
−✘1)
1
(x + 1) 1
·
=
·
✘
2
✘
x✘
(x✘
− 1)
(x − 1)
(x − 1)2 x
Effettuiamo i prodotti dei numeratori e dei denominatori:
x+1
x (x − 1)2
Osservazione
Dagli ultimi due esempi possiamo notare che è importante individuare la linea di frazione principale
perché in base ad essa il risultato cambia.
196
12.12. ELEVAMENTO A POTENZA DI FRAZIONI ALGEBRICHE
12.12
Elevamento a potenza di frazioni algebriche
Definizione 12.12.1 (Potenza con esponente positivo).
La potenza con esponente intero positivo di una frazione algebrica è la frazione algebrica che ha come
numeratore la potenza del numeratore e come denominatore la potenza del denominatore.
In pratica per calcolare la potenza con esponente intero positivo di una frazione algebrica :
1. si scompongono il numeratore e il denominatore della frazione;
2. si scrivono le condizioni di esistenza;
3. si semplifica la frazione;
4. si elevano all’esponente intero positivo tutti i fattori del numeratore e del denominatore.
Esempio 12.12.1.
• Semplifichiamo l’espressione
Ç
5a3 b
3c2 x4
å2
Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: c = 0 ∧ x = 0
La frazione non è semplificabile.
Eleviamo all’esponente 2 tutti i fattori:
25a6 b2
9c4 x8
• Semplifichiamo l’espressione
å3
Ç 4
x − 4x3 + 4x2
x2 − 5x
Scomponiamo numeratore e denominatore:
Ç 2
å3
x (x − 2)2
x (x − 5)
Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: x = 0 ∧ x − 5 = 0
Semplifichiamo:
x✁2 (x − 2)2
x (x − 5)
✚
3
Ç
=
x (x − 2)2
x−5
å3
Eleviamo all’esponente 3 tutti i fattori:
x3 (x − 2)6
(x − 5)3
Definizione 12.12.2 (Potenza con esponente negativo).
La potenza con esponente intero negativo di una frazione algebrica non nulla è la frazione algebrica
che si ottiene elevando all’opposto dell’esponente l’inversa della frazione.
In pratica per calcolare la potenza con esponente intero negativo di una frazione algebrica :
197
CAPITOLO 12. FRAZIONI ALGEBRICHE
1. si scompongono il numeratore e il denominatore della frazione;
2. si scrivono le condizioni di esistenza;
3. si integrano le condizioni di esistenza imponendo che ogni fattore del numeratore sia diverso da
zero;
4. si semplifica la frazione;
5. si eleva all’opposto dell’esponente l’inversa della frazione data.
Esempio 12.12.2.
Semplifichiamo l’espressione
Ç
å−4
3xy 3
x + 2y
Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: x + 2y = 0 ∧ x = 0 ∧ y = 0
La frazione non è semplificabile.
Eleviamo all’esponente 4 l’inversa della frazione:
Å
x + 2y
3xy 3
ã4
Eleviamo all’esponente 4 tutti i fattori:
(x + 2y)4
81x4 y 12
Osservazione
La potenza con esponente 0 di ogni frazione algebrica non nulla è uguale a 1.
Esempio 12.12.3.
Semplifichiamo l’espressione
Ç 3
å0
x + 3xy − 2y 4
x5 + 4x2 + y
Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: x5 + 4x2 + y = 0 ∧ x3 + 3xy − 2y 4 = 0
La frazione algebrica non è nulla, quindi:
å0
Ç 3
x + 3xy − 2y 4
x5 + 4x2 + y
12.12.1
=1
Precedenza delle operazioni
Nelle espressioni con le frazioni algebriche, in assenza di parentesi, le operazioni hanno il seguente
ordine di precedenza:
1. potenza
2. moltiplicazione, divisione
3. addizione algebrica
Esempio 12.12.4.
198
12.12. ELEVAMENTO A POTENZA DI FRAZIONI ALGEBRICHE
• Semplifichiamo l’espressione
3x2 − x
x2 − 16 x3 − x
x2 + x
31x − 22x2 − 7
·
−
:
−
x2 + 5x + 4
x
x2 − 4 x2 + 5x + 6
x2 − x − 2
Scomponiamo numeratore e denominatore di ogni frazione:
x (3x − 1)
(x + 4) (x − 4) x (x + 1) (x − 1)
x (x + 1)
31x − 22x2 − 7
·
−
:
−
(x + 4) (x + 1)
x
(x + 2) (x − 2) (x + 2) (x + 3)
(x − 2) (x + 1)
Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: x + 4 = 0 ∧ x + 1 = 0 ∧ x = 0 ∧ x + 2 = 0 ∧ x − 2 = 0 ∧ x + 3 = 0
Nessuna frazione è semplificabile.
Eseguiamo la prima moltiplicazione e trasformiamo la divisione in moltiplicazione:
(3x − 1) (x − 4) x (x + 1) (x − 1) (x + 2) (x + 3) 31x − 22x2 − 7
−
·
−
(x + 1)
(x + 2) (x − 2)
x (x + 1)
(x − 2) (x + 1)
Eseguiamo la moltiplicazione
✘ (x − 1) (x✘
✘ (x + 3)
31x − 22x2 − 7
(3x − 1) (x − 4) ✚
x✘
(x✘
+✘1)
2)
✘ +✘
−
−
=
·
✘
✘
✘
✘
x✘
(x✘
+ 1)
(x + 1)
(x − 2) (x + 1)
(x✘
+ 2) (x − 2)
✚
✘
(3x − 1) (x − 4) (x − 1) (x + 3) 31x − 22x2 − 7
−
−
(x + 1)
(x − 2)
(x − 2) (x + 1)
Eseguiamo le sottrazioni:
2x3 + 2
(x − 2) (x + 1)
Scomponiamo il numeratore e semplifichiamo:
✘ x2 − x + 1
(x✘
+✘1)
2✘
2 x2 − x + 1
=
✘
(x − 2) ✘
(x✘
+✘1)
(x − 2)
• Semplifichiamo l’espressione
Å
x+3
2x − 1
x+1
−
·
x2 − 1 x2 + 2x + 1
2
ã Å
ã2
Scomponiamo il denominatore di ogni frazione:
ñ
ô Å
x+3
x+1
2x − 1
−
·
2
(x + 1) (x − 1) (x + 1)
2
ã2
Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: x + 1 = 0 ∧ x − 1 = 0
Nessuna frazione è semplificabile.
Eseguiamo i calcoli all’interno delle parentesi quadre:
−x2 + 7x + 2
x+1
·
2
2
(x + 1) · (x − 1)
Å
ã2
Elevando a potenza e moltiplicando otteniamo:
−x2 + 7x + 2
4 (x − 1)
199
CAPITOLO 12. FRAZIONI ALGEBRICHE
• Semplifichiamo l’espressione
á
x2 + 4x + 4
x2 − 1
x2 + 2x
xy + y + 3x + 3
ë2
·
x3 − x2
xy + 3x + 2y
−
xy + 3x + 2y + 6
x−1
Scomponiamo numeratore e denominatore di ogni frazione:
2
(x + 2)2
 (x + 1) (x − 1) 
x2 (x − 1)
xy + 3x + 2y


−

 ·

x (x + 2)  (x + 2) (y + 3)
x−1
(x + 1) (y + 3)

Scriviamo le condizioni di esistenza
CE: x + 1 = 0 ∧ x − 1 = 0 ∧ y + 3 = 0 ∧ x = 0 ∧ x + 2 = 0
Nessuna frazione è semplificabile.
Trasformiamo la frazione di frazione in moltiplicazione:
ñ
(x + 1) (y + 3)
(x + 2)2
·
(x + 1) (x − 1)
x (x + 2)
ô2
·
x2 (x − 1)
xy + 3x + 2y
−
(x + 2) (y + 3)
x−1
Eseguiamo la moltiplicazione all’interno delle parentesi quadre:
2
2
✘
✘
✁
✘
x2 (x − 1)
(x + 2)
(x + 1) (y + 3) 
xy + 3x + 2y
✘

·
·
−
=
✘
✘
✘
✘
✘
✘
(x
+
2)
(x
+
1)(x
−
1)
x
(x
+
2)
(y
+
3)
x−1
✘
✘

ñ
(x + 2) (y + 3)
(x − 1) x
ô2
·
x2 (x − 1)
xy + 3x + 2y
−
(x + 2) (y + 3)
x−1
Calcoliamo la potenza
x2 (x − 1)
(x + 2)2 (y + 3)2
xy + 3x + 2y
·
−
2 2
(x + 2) (y + 3)
x−1
(x − 1) x
Eseguiamo la moltiplicazione:
(x + 2)✁2 (y + 3)✁2
2
✚
✚
(x − 1)✁2 ✚
(x)
·
✘
2 (x✘
1)
x xy + 3x + 2y
✘ −✘
=
✘(y✘
✘−
✘
✘
✘
+
3)
x−1
(x
+
2)
✘
✘
xy + 3x + 2y + 6 xy + 3x + 2y
−
x−1
x−1
Sottraendo le due frazioni otteniamo:
6
x−1
200
Capitolo 13
Assiomi e definizioni della geometria
piana
13.1
Introduzione
Noi studiamo la geometria euclidea che è basata sugli assiomi di Euclide.
Nella geometria euclidea si assumono come termini primitivi il punto, la retta, il piano, lo spazio.
Indichiamo i punti con le lettere maiuscole A, B, . . ., le rette con le lettere minuscole a, b, . . ., i piani
con le lettere greche minuscole α, β, . . ..
Studieremo la geometria piana, quindi, fissato un piano, i punti appartengono ad esso e le rette sono
contenute in esso.
Se un punto appartiene ad una retta si dice che la retta passa per quel punto.
Definizione 13.1.1 (Figura geometrica).
Si dice figura geometrica un qualsiasi sottoinsieme F del piano
Osservazioni
1. Il punto, la retta e il piano sono figure geometriche
2. Poiché la figura geometrica è un insieme valgono le operazioni e le proprietà viste per gli insiemi:
l’unione di figure geometriche è una figura geometria, l’intersezioni di figure geometriche è una
figura geometrica
Vediamo alcuni assiomi della geometria del piano
13.2
Assiomi di appartenenza
Assioma 13.2.1.
Per due punti distinti passa una e una sola retta
r
B
A
Teorema 13.2.1.
Due rette distinte non possono avere più di un punto in comune
Ipotesi
r, s rette distinte
201
CAPITOLO 13. ASSIOMI E DEFINIZIONI DELLA GEOMETRIA PIANA
Tesi
r ∩ s = ∅ ∨ r ∩ s = {P }
Dimostrazione
Supponiamo per assurdo che r e s abbiano almeno due punti distinti in comune A e B.
Quindi esistono due rette distinte che passano per due punti distinti: questo contraddice il precedente
assioma di appartenza.
Pertanto la tesi negata è falsa e
r ∩ s = ∅ ∨ r ∩ s = {P }
Assioma 13.2.2.
La retta è un sottoinsieme proprio del piano
Definizione 13.2.1 (Punti allineati).
Tre o più punti si dicono allineati se appartengono alla stessa retta
C
B
r
A
Figura 13.1: punti allineati
Definizione 13.2.2 (Rette incidenti).
Due rette si dicono incidenti se la loro intersezione è un punto
s
P
r
Figura 13.2: rette incidenti
Definizione 13.2.3 (Rette parallele).
Due rette si dicono parallele se sono coincidenti o se la loro intersezione è l’insieme vuoto
s
r
Figura 13.3: rette parallele
202
13.3. ASSIOMI DI ORDINAMENTO
Teorema 13.2.2.
La relazione di parallelismo tra rette è una relazione di equivalenza
13.3
Assiomi di ordinamento
Definizione 13.3.1 (Retta orientata).
Si dice retta orientata una retta su cui si è fissato un verso di percorrenza indicato da una freccia
Osservazione
In una retta orientata se il punto A viene prima del punto B nel verso di percorrenza si dice che A
precede B oppure che B segue A
Assioma 13.3.1.
Siano A e B due punti di una retta orientata, si verifica uno solo dei seguenti casi
1. A precede B, in simboli A < B
2. A coincide con B, in simboli A ≡ B
3. A segue B, in simboli A > B
r
B
A
Figura 13.4: A < B
Assioma 13.3.2.
Per ogni coppia di punti A e B di una retta orientata r con A < B esiste un punto M ∈ r che segue
A e precede B, un punto N ∈ r che precede A e un punto P ∈ r che segue B
r
P
B
M
A
N
Come conseguenza dell’assioma precedente si ha il seguente teorema
203
CAPITOLO 13. ASSIOMI E DEFINIZIONI DELLA GEOMETRIA PIANA
Teorema 13.3.1.
Una retta contiene infiniti punti ed è illimitata
Assioma 13.3.3.
Dati i punti distinti A, B, C appartenenti a una retta orientata r se A < B ∧ B < C allora A < C.
Dati i punti distinti A, B, C appartenenti a una retta orientata r se A > B ∧ B > C allora A > C.
r
C
B
A
13.4
Semiretta, segmento, angolo
Definizione 13.4.1 (Semiretta).
Data una retta orientata r e un punto O ∈ r, si dice semiretta di origine O l’insieme formato da O e
dai punti che lo seguono o da O e dai punti che lo precedono
r
O
Figura 13.5: semiretta
Definizione 13.4.2 (Segmento).
Data una retta orientata r e due punti A, B ∈ r, si dice segmento di estremi A e B l’insieme formato
da A, B e dai punti compresi tra A e B
B
A
Figura 13.6: segmento
Osservazioni
1. Se A e B coincidono si ha il segmento nullo
204
13.4. SEMIRETTA, SEGMENTO, ANGOLO
2. Il segmento AB si dice anche distanza tra i punti A e B
Definizione 13.4.3 (Segmenti consecutivi).
Due segmenti si dicono consecutivi se hanno un solo estremo in comune
C
B
A
Figura 13.7: segmenti consecutivi
Definizione 13.4.4 (Segmenti adiacenti).
Due segmenti si dicono adiacenti se sono consecutivi e sono contenuti nella stessa retta
C
B
A
Figura 13.8: segmenti adiacenti
Definizione 13.4.5 (Spezzata).
Si dice spezzata l’unione di due o più segmenti consecutivi non adiacenti; i segmenti si dicono lati e
gli estremi vertici; se il primo vertice e l’ultimo coincidono la spezzata si dice chiusa altrimenti aperta,
se due lati non consecutivi della spezzata si incontrano la spezzata si dice intrecciata.
C
B
A
E
Figura 13.9: spezzata aperta intrecciata
Definizione 13.4.6 (Poligonale).
Si dice poligonale una spezzata chiusa non intrecciata
205
CAPITOLO 13. ASSIOMI E DEFINIZIONI DELLA GEOMETRIA PIANA
E
C
B
A
Figura 13.10: poligonale
Definizione 13.4.7 (Poligono).
Si dice poligono la figura costituita da una poligonale e dalla parte finita di piano che essa delimita
E
C
B
A
Figura 13.11: poligono
I lati e i vertici della poligonale si dicono lati e vertici del poligono. Il segmento che unisce due vertici
non appartenenti allo stesso lato si dice diagonale del poligono. La poligonale si dice anche contorno
del poligono
Osservazione
In seguito un poligono verrà rappresentato senza riempimento
Definizione 13.4.8 (Semipiano).
Data una retta r, si dice semipiano di frontiera r l’insieme formato da r e da una delle parti del piano
divise da r
Assioma 13.4.1 (Partizione del piano).
Sia r la frontiere di due semipiani. Se A e B sono due punti che appartengono allo stesso semipiano
e non alla frontiera, allora il segmento AB non interseca la retta r. Se C e D sono due punti che
appartengo a semipiani diversi allora il segmento CD interseca la retta r
206
13.4. SEMIRETTA, SEGMENTO, ANGOLO
r
D
C
B
A
Figura 13.12: assioma di partizione del piano
Definizione 13.4.9 (Figura convessa e concava).
Una figura si dice convessa se presi due punti qualsiasi appartenenti alla figura, il segmento avente
per estremi quei punti è contenuto nella figura; altrimenti si dice concava
A
B
F
G
E
C
Figura 13.13: figura convessa
A
B
H
F
C
G
E
Figura 13.14: figura concava
Osservazione
Il piano, il semipiano, la retta, la semiretta, il segmento sono figure convesse
Definizione 13.4.10 (Angolo).
Date due semirette a e b di origine O, si dice angolo di lati a e b e vertice O l’insieme formato dalle
semirette e da una delle parti del piano divise dalle semirette
Osservazione
La parte che contiene i prolungamenti dei lati si dice angolo concavo, l’altra angolo convesso. Se non
viene specificato in genere si considera l’angolo convesso
207
CAPITOLO 13. ASSIOMI E DEFINIZIONI DELLA GEOMETRIA PIANA
A
a
concavo β O
convesso
α
b
B
Figura 13.15: angolo
Gli angoli li indichiamo in tre modi:
1. con le lettere greche minuscole: α, β
“
2. con un lato il vertice e l’altro lato: aOb
“
3. con un punto di un lato, il vertice e un punto dell’altro lato: AOB
Definizione 13.4.11 (Corda).
Si dice corda un segmento con gli estremi uno su un lato e l’altro sull’altro lato di un angolo
A
B
α
O
Figura 13.16: corda
Definizione 13.4.12 (Angoli consecutivi).
Due angoli si dicono consecutivi se hanno solo il vertice e un lato in comune
β
α
O
Figura 13.17: angoli consecutivi
Definizione 13.4.13 (Angoli adiacenti).
Due angoli si dicono adiacenti se sono consecutivi e i lati non comuni sono contenuti nella stessa retta
208
13.4. SEMIRETTA, SEGMENTO, ANGOLO
β
α
O
Figura 13.18: angoli adiacenti
Definizione 13.4.14 (Angolo piatto).
Un angolo si dice piatto se i suoi lati non sono coincidenti e sono contenuti nella stessa retta.
Osservazione
Per indicare che un angolo è piatto scriveremo π
α
O
Figura 13.19: angolo piatto
Definizione 13.4.15 (Angolo giro).
Un angolo si dice giro se i suoi lati sono coincidenti e conincide con l’intero piano
Osservazione
Per indicare che un angolo è giro scriveremo 2π
α
O
Figura 13.20: angolo giro
Definizione 13.4.16 (Angolo nullo).
Un angolo si dice nullo se i suoi lati sono coincidenti e gli unici punti sono quelli dei suoi lati
209
CAPITOLO 13. ASSIOMI E DEFINIZIONI DELLA GEOMETRIA PIANA
O
Figura 13.21: angolo nullo
Definizione 13.4.17 (Angoli opposti al vertice).
Due angoli si dicono opposti al vertice se i prolungamenti dei lati di uno sono i lati dell’altro.
β
O
α
Figura 13.22: angoli opposti al vertice
210
Capitolo 14
Congruenza fra figure
14.1
Relazione di congruenza
Definizione 14.1.1 (Figure congruenti).
Due figure F e F , si dicono congruenti e si scrive F ∼
= F , se esiste un movimento rigido per cui F si
sovrappone a F
Figura 14.1: figure congruenti
Osservazione
La relazione di congruenza è una relazione di equivalenza.
14.2
Confronto di segmenti
Per confrontare due segmenti AB e CD si trasporta con un movimento rigido il segmento CD sulla
semiretta di origine A contenente B facendo coincidere C con A:
1. se D coincide con B, i segmenti sono congruenti e si scrive CD ∼
= AB
2. se D è compreso tra A e B, CD è minore di AB e si scrive CD < AB
3. se B è compreso tra C e D, CD è maggiore di AB e si scrive CD > AB
G
C
M
H
N
D
F
A
AB ∼
= CD
B
I
L
E
IL < M N
EF > GH
Figura 14.2: confronto di segmenti
14.2.1
Lunghezza
Poiché la relazione di congruenza è una relazione di equivalenza essa determina una partizione dell’insieme dei segmenti di un piano; ogni classe di equivalenza contiene tutti e soli i segmenti congruenti
tra loro.
211
CAPITOLO 14. CONGRUENZA FRA FIGURE
Definizione 14.2.1 (Lunghezza).
Si dice lunghezza ogni classe di equivalenza di segmenti fra loro congruenti.
In altre parole due segmenti congruenti hanno la stessa lunghezza e, viceversa, segmenti con la stessa
lunghezza sono congruenti tra loro.
Per indicare la lunghezza del segmento AB invece di utilizzare la notazione tipica delle classi di
equivalenza [AB] si utilizza la notazione AB.
Il confronto tra segmenti può essere effettuato attraverso le rispettive lunghezze: dette a e b le lunghezze
rispettive dei segmenti AB e CD si ha a maggiore, minore o uguale a b se il segmento AB è maggiore,
minore o congruente al segmento CD.
14.3
Confronto di angoli
“ e cV
“ d si trasporta con un movimento rigido l’angolo cV
“ d sul semipiano
Per confrontare due angoli aOb
di orgine a contenente b facendo coincidere V con O e c con a:
“d ∼
“
1. se d coincide con b, gli angoli sono congruenti e si scrive cV
= aOb
“ cV
“ d è minore di aOb
“ e si scrive cV
“ d < aOb
“
2. se d è interna all’angolo aOb,
“ cV
“ d è maggiore di aOb
“ e si scrive cV
“ d > aOb
“
3. se d è esterna all’angolo aOb,
d
d
V
d
V
c
c
a
“ ∼
“d
aOd
= cV
c
b
b
O
V
O
b
O
a
a
aOb >cV d
”b < c V
”d
a O
Figura 14.3: confronto di angoli
14.3.1
Ampiezza
Poiché la relazione di congruenza è una relazione di equivalenza essa determina una partizione dell’insieme degli angoli di un piano; ogni classe di equivalenza contiene tutti e soli gli angoli congruenti
tra loro.
Definizione 14.3.1 (Ampiezza).
Si dice ampiezza ogni classe di equivalenza di angoli fra loro congruenti.
In altre parole due angoli congruenti hanno la stessa ampiezza e, viceversa, angoli con la stessa
ampiezza sono congruenti tra loro.
Per indicare l’ampiezza di un angolo invece di utilizzare la notazione tipica delle classi di equivalenza
si utilizza la notazione stessa dell’angolo.
Il confronto tra angoli può essere effettuato attraverso le rispettive ampiezze: dette α e β le ampiezze
“ e cV
“ d si ha α maggiore, minore o uguale a β se l’angolo aOb
“ è
rispettivamente degli angoli aOb
“ d.
maggiore, minore o congruente all’angolo cV
212
14.4. ADDIZIONE DI SEGMENTI
14.4
Addizione di segmenti
Definizione 14.4.1 (Somma di segmenti adiacenti).
Dati due segmenti AB e BC adiacenti, si dice somma di AB e BC il segmento AC e si scrive:
AC ∼
= AB + BC
C
B
AC ∼
= AB + BC
A
Figura 14.4: somma di segmenti adiacenti
Assioma 14.4.1.
Somme di segmenti congruenti sono congruenti
Per sommare due segmenti non adiacenti li si fa diventare adiacenti tramite un movimento rigido.
Osservazione
L’addizione di segmenti gode delle proprietà commutativa, associativa e di esistenza dell’elemento
neutro che è il segmento nullo.
Definizione 14.4.2 (Perimetro).
Si dice perimetro di un poligono e si indica con p la somma dei suoi lati
14.5
Sottrazione di segmenti
Definizione 14.5.1 (Sottrazione).
Dati due segmenti AB e AC giacenti sulla semiretta di origine A con AC < AB o AC ∼
= AB si dice
differenza di AB e AC il segmento CB e si scrive CB ∼
= AB − AC
B
C
A
CB ∼
= AB − AC
Figura 14.5: differenza di segmenti
Assioma 14.5.1.
Differenze di segmenti congruenti sono congruenti
Per sottrarre due segmenti che non giacciono sulla stessa semiretta e non hanno un estremo in comune,
con il primo maggiore del secondo, si effettua un movimento rigido.
Osservazione
AB − CD ∼
= EF ⇔ AB ∼
= CD + EF
213
CAPITOLO 14. CONGRUENZA FRA FIGURE
14.6
Multipli e sottomultipli di un segmento
Definizione 14.6.1 (Multiplo).
Il segmento AB si dice multiplo del segmento CD secondo il numero naturale n > 1 se è congruente
alla somma di n segmenti congruenti a CD e si scrive AB ∼
= nCD
A
D
B
AB ∼
= 4CD
Figura 14.6: multiplo di un segmento
Se AB è multiplo secondo n di CD allora CD si dice sottomultiplo di AB secondo n e si scrive
∼ 1 AB
CD =
n
14.7
Operazioni con le lunghezze
Le operazioni tra segmenti possono essere effettuate attraverso le rispettive lunghezze: dette a e b le
lunghezze rispettive di AB e CD con AB > CD:
1. a + b è la lunghezza di AB + CD
2. a − b è la lunghezza di AB − CD
3. na è la lunghezza di nAB
4.
14.8
1
a
è la lunghezza di AB
n
n
Punto medio
Definizione 14.8.1 (Punto medio).
Si dice punto medio di un segmento il punto del segmento che lo divide in due segmenti congruenti
A
M
B
Figura 14.7: punto medio di un segmento
14.9
Addizione di angoli
Definizione 14.9.1 (Somma di angoli consecutivi).
“ e bOc
“ consecutivi, si dice somma di aOb
“ e bOc
“ l’angolo aOc
“ e si scrive: aOc
“ ∼
Dati due angoli aOb
=
“
“
aOb + bOc
214
14.10. SOTTRAZIONE DI ANGOLI
b
c
a
“ ∼
“ + bOc
“
aOc
= aOb
O
Figura 14.8: somma di angoli consecutivi
Assioma 14.9.1.
Somme di angoli congruenti sono congruenti
Per sommare due angoli non consecutivi, se è possibile, li si fa diventare consecutivi tramite un
movimento rigido.
Osservazioni
1. In alcuni casi, per esempio se si hanno due angoli concavi, non è possibile renderli consecutivi.
In questi casi sarà necessario estendere il concetto di somma.
2. L’addizione tra angoli gode delle proprietà commutativa, associativa e di esistenza dell’elemento
neutro che è l’angolo nullo.
14.10
Sottrazione di angoli
Definizione 14.10.1 (Sottrazione).
“ e aOc
“ con la semiretta c interna all’angolo aOb
“ si dice differenza l’angolo cOb
“ e
Dati due angoli aOb
“
“
“
∼
si scrive cOb = aOb − aOc
c
b
a
“ ∼
“ − aOc
“
cOb
= aOb
O
Figura 14.9: differenza di angoli
Assioma 14.10.1.
Differenze di angoli congruenti sono congruenti
Per sottrarre due angoli che non hanno un lato in comune, con il primo maggiore del secondo, si
effettua un movimento rigido.
Osservazione
α−β ∼
=γ⇔α∼
=β+γ
14.11
Multipli e sottomultipli di un angolo
Definizione 14.11.1 (Multiplo).
“ si dice multiplo dell’angolo cV
“ d secondo il numero naturale n > 1 se è congruente alla
L’angolo aOb
“ d e si scrive aOb
“ ∼
“d
somma di n angoli congruenti a cV
= ncV
215
CAPITOLO 14. CONGRUENZA FRA FIGURE
b
d
a
“ ∼
“
cOb
= 4cOd
O
Figura 14.10: multiplo di un angolo
“ è multiplo secondo n di cV
“ d allora cV
“ d si dice sottomultiplo di aOb
“ secondo n e si scrive
Se aOb
1
“d ∼
“
cV
= aOb
n
14.12
Operazioni con le ampiezze
Le operazioni tra angoli possono essere effettuate attraverso le rispettive ampiezze: dette α e β le
“ e cV
“ d con aOb
“ > cV
“ d:
ampiezze rispettive di aOb
“ + cV
“d
1. α + β è l’ampiezza di aOb
“ − cV
“d
2. α − β è l’ampiezza di aOb
“
3. nα è l’ampiezza di naOb
4.
1 “
α
è l’ampiezza di aOb
n
n
14.13
Bisettrice
Definizione 14.13.1 (Bisettrice).
Si dice bisettrice di un angolo la semiretta dell’angolo che lo divide in due angoli congruenti
c
b
a
O
Figura 14.11: bisettrice di un angolo
14.14
Angolo retto, acuto, ottuso
Definizione 14.14.1 (Angolo retto).
Si dice angolo retto un angolo congruente alla metà di un angolo piatto
Osservazione
π
Per indicare che un angolo è retto scriveremo
2
216
14.15. RETTE PERPENDICOLARI
c
a
O
Figura 14.12: angolo retto
Definizione 14.14.2 (Angolo acuto).
Si dice angolo acuto un angolo minore di un angolo retto
c
a
O
Figura 14.13: angolo acuto
Definizione 14.14.3 (Angolo ottuso).
Si dice angolo ottuso un angolo maggiore di un angolo retto e minore di un angolo piatto
a
b
O
Figura 14.14: angolo ottuso
14.15
Rette perpendicolari
Definizione 14.15.1 (Rette perpendicolari).
Due rette incidenti si dicono perpendicolari se formano quattro angoli retti
s
O
r
Figura 14.15: rette perpendicolari
217
CAPITOLO 14. CONGRUENZA FRA FIGURE
14.16
Retta perpendicolare passante per un punto e distanza
Teorema 14.16.1 (Perpendicolare).
Dati una retta r e un punto P esiste ed è unica la retta s passante per P perpendicolare a r
s
P
r
H
Figura 14.16: perpendicolare
Osservazioni
1. Il punto H in cui la perpendicolare per P a r interseca r si dice piede della perpendicolare
oppure proiezione ortogonale di P su r
2. Il segmento di perpendicolare P H di dice distanza di P da r
14.17
Asse di un segmento
Definizione 14.17.1 (Asse di un segmento).
Si dice asse del segmento AB la retta perpendicolare ad AB passante per il suo punto medio M
r
B
M
A
Figura 14.17: asse di un segmento
14.18
Angoli complementari, supplementari, esplementari
Definizione 14.18.1 (Angoli complementari).
Due angoli si dicono complementari se la loro somma è congruente a un angolo retto
218
14.18. ANGOLI COMPLEMENTARI, SUPPLEMENTARI, ESPLEMENTARI
b
c
a
O
Figura 14.18: angoli complementari
Definizione 14.18.2 (Angoli supplementari).
Due angoli si dicono supplementari se la loro somma è congruente a un angolo piatto
b
a
O
c
Figura 14.19: angoli supplementari
Definizione 14.18.3 (Angoli esplementari).
Due angoli si dicono esplementari se la loro somma è congruente a un angolo giro
b
a
O
Figura 14.20: angoli esplementari
Teorema 14.18.1 (Angoli complementari).
Angoli complementari di angoli congruenti sono congruenti
219
CAPITOLO 14. CONGRUENZA FRA FIGURE
β
β
α
α
O
O
Ipotesi
π
α+β ∼
=
2
π
α +β ∼
=
2
α∼
=α
Tesi
β∼
=β
Dimostrazione
Poiché
π
β∼
= − α per ipotesi
2
π
β ∼
= − α per ipotesi
2
∼
α = α per ipotesi
si ha
β∼
=β
perché differenza di angoli congruenti.
Teorema 14.18.2 (Angoli supplementari).
Angoli supplementari di angoli congruenti sono congruenti
β
β
α
O
O
Ipotesi
α+β ∼
=π
α +β ∼
=π
α∼
=α
Tesi
β∼
=β
220
α
14.19. ANGOLI OPPOSTI AL VERTICE
Dimostrazione
Poiché
β∼
= π − α per ipotesi
β ∼
= π − α per ipotesi
α∼
= α per ipotesi
si ha
β∼
=β
perché differenza di angoli congruenti.
Teorema 14.18.3 (Angoli esplementari).
Angoli esplementari di angoli congruenti sono congruenti
α
α
βO
β
Ipotesi
α+β ∼
= 2π
α +β ∼
= 2π
α∼
=α
Tesi
β∼
=β
Dimostrazione
Poiché
β∼
= 2π − α per ipotesi
β ∼
= 2π − α per ipotesi
α∼
= α per ipotesi
si ha
β∼
=β
perché differenza di angoli congruenti.
14.19
Angoli opposti al vertice
Teorema 14.19.1 (Angoli opposti al vertice).
Due angoli opposti al vertice sono congruenti
221
O
CAPITOLO 14. CONGRUENZA FRA FIGURE
γ
β
α
Ipotesi
α, β opposti al vertice
Tesi
α∼
=β
Dimostrazione
Poiché
α+γ ∼
=π
β+γ ∼
=π
si ha
α∼
=β
perché supplementari di angoli congruenti.
222
Capitolo 15
Triangoli
15.1
Introduzione
Definizione 15.1.1 (Triangolo).
Si dice triangolo un poligono di tre lati
A
C
B
Figura 15.1: triangolo
Definizione 15.1.2 (Angolo interno).
Si dice angolo interno ciascuno degli angoli convessi individuato dai lati del triangolo
A
C
α γ
β
B
Figura 15.2: angoli interni
Osservazione
Un angolo interno verrà chiamato semplicemente angolo
Definizione 15.1.3 (Angolo esterno).
Si dice angolo esterno l’angolo adiacente a un angolo interno del triangolo
223
CAPITOLO 15. TRIANGOLI
γ
A
C
α γ
α
β
B
β
Figura 15.3: angoli esterni
Un triangolo può essere classificato in base ai lati.
Definizione 15.1.4 (Triangolo equilatero).
Un triangolo si dice equilatero se ha i tre lati congruenti
A
C
B
Figura 15.4: triangolo equilatero
Definizione 15.1.5 (Triangolo isoscele).
Un triangolo si dice isoscele se ha due lati congruenti
A
C
B
Figura 15.5: triangolo isoscele
Osservazione
Se ABC è un triangolo isoscele con AC ∼
= BC allora:
1. AB si dice base
2. C si dice vertice
“ si dice angolo al vertice
3. l’angolo ACB
“ e ABC
“ si dicono angoli alla base
4. gli angoli C AB
Definizione 15.1.6 (Triangolo scaleno).
Un triangolo si dice scaleno se non ha lati congruenti
224
15.1. INTRODUZIONE
A
C
B
Figura 15.6: triangolo scaleno
Un triangolo può essere classificato in base agli angoli.
Definizione 15.1.7 (Triangolo rettangolo).
Un triangolo si dice rettangolo se ha un angolo retto
A
C
B
Figura 15.7: triangolo rettangolo
Definizione 15.1.8 (Triangolo acutangolo).
Un triangolo si dice acutangolo se ha tutti gli angoli acuti
A
C
B
Figura 15.8: triangolo acutangolo
Definizione 15.1.9 (Triangolo ottusangolo).
Un triangolo si dice ottusangolo se ha un angolo ottuso
A
C
B
Figura 15.9: triangolo ottusangolo
225
CAPITOLO 15. TRIANGOLI
15.2
Mediane, bisettrici, altezze, assi
Definizione 15.2.1 (Mediana).
Si dice mediana di un triangolo un segmento che ha come estremi un vertice e il punto medio del lato
opposto
A
F
D
C
B
E
Figura 15.10: mediane
Definizione 15.2.2 (Bisettrice).
Si dice bisettrice di un triangolo il segmento di bisettrice di un angolo che ha come estremi un vertice
e un punto del lato opposto
A
F
E
C
D
B
Figura 15.11: bisettrici
Definizione 15.2.3 (Altezze).
Si dice altezza di un triangolo il segmento di perpendicolare che ha come estremi un vertice e un punto
del lato opposto o del suo prolungamento
D
A
F
E
B
C
G
L
K
H
I
J
Figura 15.12: altezze
226
15.3. CRITERI DI CONGRUENZA DEI TRIANGOLI
Definizione 15.2.4 (Assi).
Si dice asse di un triangolo l’asse di un lato del triangolo
A
F
B
D
E
C
Figura 15.13: assi
15.3
Criteri di congruenza dei triangoli
I criteri di congruenza dei triangoli sono molto utili per effettuare altre dimostrazioni. Noi non li
dimostreremo.
Teorema 15.3.1 (Primo criterio di congruenza).
Se due triangoli hanno rispettivamente congruenti due lati e l’angolo tra essi compreso allora sono
congruenti
C
C
A
α
B
A
α
B
Figura 15.14: primo criterio
Ipotesi
AB ∼
=AB
AC ∼
=AC
α∼
=α
Tesi
ABC ∼
=ABC
Teorema 15.3.2 (Secondo criterio di congruenza).
Se due triangoli hanno rispettivamente congruenti due angoli e il lato tra essi compreso allora sono
congruenti
227
CAPITOLO 15. TRIANGOLI
C
C
A
α
β
B
α
A
β
B
Figura 15.15: secondo criterio
Ipotesi
AB ∼
=AB
α∼
=α
β∼
=β
Tesi
ABC = A B C
Teorema 15.3.3 (Terzo criterio di congruenza).
Se due triangoli hanno rispettivamente congruenti i tre lati allora sono congruenti
C
C
A
B
A
Figura 15.16: terzo criterio
Ipotesi
AB ∼
=AB
AC ∼
=AC
BC ∼
=BC
Tesi
ABC ∼
=ABC
15.4
Proprietà dei triangoli isosceli
Teorema 15.4.1 (Angoli alla base di un triangolo isoscele).
Un triangolo isoscele ha gli angoli alla base congruenti
228
B
15.4. PROPRIETÀ DEI TRIANGOLI ISOSCELI
C
A
M
B
Ipotesi
AC ∼
= BC
Tesi
α∼
=β
Dimostrazione
Tracciamo la mediana CM relativa alla base AB.
Consideriamo i triangoli ACM e BCM .
AM ∼
= M B per costruzione
CM in comune
∼ BC per ipotesi
AC =
quindi
ACM ∼
= BCM per il terzo criterio di congruenza
In particolare
α∼
=β
Teorema 15.4.2.
Un triangolo con due angoli congruenti è isoscele
C
α
A
D
α
α
β
B
α β
β
β
Ipotesi
α∼
=β
Tesi
AC ∼
= BC
229
E
CAPITOLO 15. TRIANGOLI
Dimostrazione
Prolunghiamo i lati AC e BC di due segmenti congruenti AD e BE.
Consideriamo i triangoli ABD e ABE
AB in comune
AD ∼
= BE per costruzione
α ∼
= β perché supplementari di angoli congruenti
Quindi
ABD ∼
= ABE per il primo criterio di congruenza
In particolare
BD ∼
=β ∧α ∼
=β
= AE ∧ α ∼
Consideriamo i triangoli CDB e CAE
BD ∼
= AE per dimostrazione precedente
α ∼
= β per dimostrazione precedente
α ∼
=β
per dimostrazione precedente
Quindi
ABD ∼
= ABE per il secondo criteiro di congruenza
In particolare
AC ∼
= BC
Teorema 15.4.3.
In un triangolo isoscele le mediane relative ai lati obliqui sono congruenti
C
E
A
α
D
β
B
Ipotesi
AC ∼
= BC
1
AE ∼
= AC
2
1
BD ∼
= BC
2
Tesi
AE ∼
= BD
230
15.4. PROPRIETÀ DEI TRIANGOLI ISOSCELI
Dimostrazione
Consideriamo i triangoli ABD e ABE.
AE ∼
= BD perchè metà di segmenti congruenti
AB in comune
α∼
= β perché angoli alla base di un triangolo isoscele
Quindi
ABD ∼
= ABE per il primo criterio di congruenza
In particolare
AD ∼
= EB
Teorema 15.4.4.
In un triangolo isoscele le bisettrici degli angoli alla base sono congruenti
C
D
E
α
A
αα
β
β β
B
Ipotesi
AC ∼
= BC
1
α ∼
= α
2
1
β ∼
= β
2
Tesi
AD ∼
= EB
Dimostrazione
Consideriamo i triangoli ABD e ABE
α ∼
= β perchè metà di angoli congruenti
AB in comune
α∼
= β perché angoli alla base di un triangolo isoscele
Quindi
ABD ∼
= ABE per il secondo criterio di congruenza
In particolare
AD ∼
= EB
231
CAPITOLO 15. TRIANGOLI
Teorema 15.4.5.
In un triangolo isoscele la mediana relativa alla base è anche bisettrice e altezza
C
β
β
α
A
α
B
M
Ipotesi
AC ∼
= BC
AM ∼
= BM
Tesi
β∼
=β
α∼
=
π
2
Dimostrazione
Consideriamo i triangoli AM C e BM C
AC ∼
= BC per ipotesi
M C in comune
AM ∼
= BM per ipotesi
Quindi
AM C ∼
= BM C per il terzo criterio di congruenza
In particolare
β∼
=β ∧α∼
=α
Poiché
α∼
=α ∧α+α ∼
=π
si ha
α∼
=
π
2
Teorema 15.4.6.
In un triangolo isoscele la bisettrice dell’angolo al vertice è anche mediana e altezza
232
15.4. PROPRIETÀ DEI TRIANGOLI ISOSCELI
C
β
β
α
A
α
B
M
Ipotesi
AC ∼
= BC
β∼
=β
Tesi
AM ∼
= BM
π
α∼
=
2
Dimostrazione
Consideriamo i triangoli AM C e BM C
AC ∼
= BC per ipotesi
M C in comune
β∼
= β per ipotesi
Quindi
AM C ∼
= BM C per il primo criterio di congruenza
In particolare
AM ∼
= BM ∧ α ∼
=α
Poiché
α∼
=α ∧α+α ∼
=π
si ha
α∼
=
π
2
Osservazione
Poiché un triangolo equilatero è anche isoscele, i teoremi precedenti valgono anche per i triangoli
equilateri:
Teorema 15.4.7.
In un triangolo equilatero le tre mediane sono congruenti
Teorema 15.4.8.
In un triangolo equilatero le tre bisettrici sono congruenti
Teorema 15.4.9.
In un triangolo equilatero le mediane sono anche bisettrici e altezze
Teorema 15.4.10.
In un triangolo equilatero le bisettrici sono anche mediane e altezze
233
CAPITOLO 15. TRIANGOLI
15.5
Disuguaglianze nei triangoli
Teorema 15.5.1.
In un triangolo l’angolo esterno è maggiore di ogni angolo interno non adiacente
C
M
γ
ε
A
L
ε
α
δ
δ
δ
β
B
δ
Ipotesi
δ+β ∼
=π
Tesi
δ>α
δ>γ
Dimostrazione
Tracciamo la mediana AL e prolunghiamola di un segmento LM ∼
= AL.
Consideriamo i triangoli ALC e BLM .
CL ∼
= LB per costruzione
AL ∼
= LM per costruzione
∼
=
perché angoli opposti al vertice
Quindi
ALC ∼
= BLM per il primo criterio di congruenza
In particolare
δ ∼
=γ
Poiché δ > δ si ha δ > γ
Quindi un angolo esterno è maggiore dell’angolo interno con il lato in comune.
δ > α per dimostrazione precedente
δ∼
=δ
perché angoli opposti al vertice
Quindi
δ>α
Teorema 15.5.2.
In un triangolo un lato è minore della somma e maggiore della differenza degli altri due
234
Capitolo 16
Rette parallele
16.1
Assioma di Euclide
Assioma 16.1.1 (Assioma di Euclide).
Dati una retta r e un punto P , la parallela ad r per P è unica
P
r
Figura 16.1: assioma di Euclide
Se si nega questo assioma si costruiscono altre geometrie: la geometria ellittica e iperbolica
16.2
Rette parallele tagliate da una trasversale
Consideriamo due rette r e s tagliate in due punti distinti da una retta t detta trasversale. Si generano otto angoli che possono essere classificati a coppie in base alla loro posizione rispetto alle rette date.
s
t
α
β
δ
γ
β
α
γ
δ
r
Figura 16.2: angoli formati da due rette tagliate da una trasversale
• γ, α e δ, β si dicono angoli alterni interni
• α, γ e β, δ si dicono angoli alterni esterni
• α, α e β, β e γ, γ e δ, δ si dicono angoli corrispondenti
• γ, β e δ, α si dicono angoli coniugati interni
235
CAPITOLO 16. RETTE PARALLELE
• α, δ e β, γ si dicono angoli coniugati esterni
Teorema 16.2.1.
Due rette r, s tagliate da una trasversale t sono parallele se e solo se formano angoli alterni interni
congruenti
t
A
α
β
P
r
B
s
Ipotesi
α∼
=β
Tesi
r
s
Dimostrazione
Supponiamo per assurdo che r non sia parallela a s: allora r e s si incontrano in un punto P formando
il triangolo ABP .
Per il teorema dell’angolo esterno si ha β > α.
Questo contraddice le ipotesi e quindi è assurdo. Pertanto la tesi negata è falsa e
r
s
t
P
s
α
α
s
β
r
Ipotesi
r
s
Tesi
α∼
=β
Dimostrazione
Supponiamo per assurdo che α = β per esempio α > β: allora si può tracciare una retta s = s che
formi con t un angolo α ∼
= β.
236
16.2. RETTE PARALLELE TAGLIATE DA UNA TRASVERSALE
Le rette r e s sono parallele per la dimostrazione precedente. Quindi per P passano due rette distinte
parallele a r: questo contraddice l’assioma di Euclide e perciò è assurdo. Pertanto la tesi negata è falsa
e
α∼
=β
Teorema 16.2.2.
Due rette r, s tagliate da una trasversale t sono parallele se e solo se formano angoli alterni esterni
congruenti
t
α
s
α
β
r
β
Ipotesi
α∼
=β
Tesi
r
s
Dimostrazione
α∼
= α perché opposti al vertice
β∼
= β perché opposti al vertice
α∼
= β per ipotesi
Quindi
α ∼
=β
e
r
s perché formano con t angoli alterni interni congruenti
Ipotesi
r
s
Tesi
α∼
=β
Dimostrazione
α ∼
= β perché angoli alterni interni delle rette parallele r, s tagliate da t
237
CAPITOLO 16. RETTE PARALLELE
α∼
= α perché opposti al vertice
β∼
= β perché opposti al vertice
Quindi
α∼
=β
Teorema 16.2.3.
Due rette r, s tagliate da una trasversale t sono parallele se e solo se formano angoli corrispondenti
congruenti
Teorema 16.2.4.
Due rette r, s tagliate da una trasversale t sono parallele se e solo se formano angoli coniugati interni
supplementari
Teorema 16.2.5.
Due rette r, s tagliate da una trasversale t sono parallele se e solo se formano angoli coniugati esterni
supplementari
16.3
Applicazioni del parallelismo ai triangoli
Teorema 16.3.1.
In un triangolo, ogni angolo esterno è congruente alla somma degli angoli interni non adiacenti
C
r
γ
A
δ
δ
α
δ
β
B
Ipotesi
δ+β ∼
=π
Tesi
δ∼
=α+γ
Dimostrazione
Tracciamo la retta r passante per B parallela a AC.
δ ∼
= γ perché angoli alterni interni delle rette parallele r, AC tagliate da CB
∼ α perché angoli corrispondenti delle rette parallele r, AC tagliate da AB
δ =
Quindi
δ +δ ∼
=γ+α
δ∼
=γ+α
Teorema 16.3.2.
In un triangolo la somma degli angoli interni è congruente a un angolo piatto
238
16.3. APPLICAZIONI DEL PARALLELISMO AI TRIANGOLI
C
γ
δ
α
A
β
B
Ipotesi
ABC triangolo
Tesi
α+β+γ ∼
=π
Dimostrazione
Considerando l’angolo esterno δ si ha
δ+β ∼
=π
δ∼
= α + γ per il teorema dell’angolo esterno
Quindi
α+γ+β ∼
=π
Teorema 16.3.3 (Secondo criterio di congruenza generalizzato).
Due triangoli sono congruenti se hanno rispettivamente congruenti due angoli e un lato
C
C
γ
A
α
γ
β
B
A
α
β
Figura 16.3: secondo criterio generalizzato
Ipotesi
AC ∼
=AC
α∼
=α
β∼
=β
Tesi
ABC ∼
=ABC
Dimostrazione
Per il teorema della somma degli angoli interni di un triangolo si ha
γ∼
=π−α−β
239
B
CAPITOLO 16. RETTE PARALLELE
γ ∼
=π−α −β
Quindi
γ∼
= γ perché differenza di angoli congruenti
Consideriamo i triangoli ABC e A B C
α∼
= α per ipotesi
γ∼
= γ per dimostrazione precedente
AC ∼
= A C per ipotesi
Quindi
ABC ∼
= A B C per il secondo criterio di congruenza
Teorema 16.3.4.
In un triangolo isoscele le altezze relative ai lati congruenti sono congruenti
C
T
S
γ
A
α
δ
β
B
Ipotesi
AC ∼
= BC
π
γ∼
=δ∼
=
2
Tesi
AS ∼
= TB
Dimostrazione
Consideriamo i triangoli ABS e ABT .
α∼
= β perché angoli alla base di un triangolo isoscele
AB in comune
γ∼
= δ per ipotesi
Quindi
ABS ∼
= ABT per il secondo criterio di congruenza generalizzato
In particolare
AS ∼
= TB
240
16.4. TRIANGOLI RETTANGOLI
16.4
Triangoli rettangoli
Teorema 16.4.1 (Criterio di congruenza dei triangoli rettangoli).
Due triangoli rettangoli sono congruenti se hanno rispettivamente congruenti l’ipotenusa e un cateto.
C
γ
γ
β
β
α
A
α
A
B
Figura 16.4: criterio di congruenza dei triangoli rettangoli
Ipotesi
π
β∼
=β ∼
=
2
∼
AC = A C
Tesi
ABC ∼
= A BC
Dimostrazione
Rappresentiamo i due triangoli in modo che il cateto BC sia in comune.
AC ∼
= A C per ipotesi
Quindi
ACA è isoscele
e
α∼
=α
Consideriamo i triangoli ABC e A BC
β∼
= β per ipotesi
α∼
= α per dimostrazione precedente
AC ∼
= A C per ipotesi
Quindi
ABC ∼
= A BC per il secondo criterio di congruenza generalizzato
Teorema 16.4.2.
Due triangoli congruenti hanno altezze congruenti.
C
C
A
α β
B
A
H
αβ
B
H
241
CAPITOLO 16. RETTE PARALLELE
Ipotesi
ABC ∼
=ABC
π
β∼
=β ∼
=
2
Tesi
CH ∼
=CH
Dimostrazione
Consideriamo i triangoli AHC e A H C
β∼
= β per ipotesi
α∼
= α per ipotesi
AC ∼
= A C per ipotesi
Quindi
AHC ∼
= A H C per il secondo criterio di congruenza generalizzato
in particolare
AH ∼
=AH
Teorema 16.4.3.
In un triangolo isoscele l’altezza relativa alla base è anche bisettrice e mediana
C
β
β
α
A
α
B
M
Ipotesi
AC ∼
= BC
π
α∼
=α ∼
=
2
Tesi
β∼
=β
∼ BM
AM =
Dimostrazione
Consideriamo i triangoli AM C e BM C
AC ∼
= BC per ipotesi
M C in comune
π
∼α ∼
α=
= per ipotesi
2
Quindi
AM C ∼
= BM C per il criterio di congruenza dei triangoli rettangoli
In particolare
β∼
= β ∧ AM ∼
= BM
242
16.5. ASSE DI UN SEGMENTO E BISETTRICE DI UN ANGOLO
16.5
Asse di un segmento e bisettrice di un angolo
Teorema 16.5.1 (Asse di un segmento).
L’asse di un segmento è il luogo dei punti del piano equidistanti dagli estremi del segmento
r
P
B
α
β
M
A
Figura 16.5: asse di un segmento
Ipotesi
AM ∼
= MB
r⊥AB
P ∈r
Tesi
PA ∼
= PB
Dimostrazione
Consideriamo i triangoli AP M e BP M
AM ∼
= M B per ipotesi
P M in comune
π
α∼
=β∼
=
2
Quindi
AP M ∼
= BP M per il primo criterio di congruenza
In particolare
PA ∼
= PB
Ipotesi
PA ∼
= PB
Tesi
P ∈ asse di AB
Dimostrazione
Sia r la retta passante per P e per il punto medio M di AB.
PA ∼
= P B per ipotesi
Quindi il triangolo AP B è isoscele e, poiché la mediana è anche altezza, si ha
r⊥AB
e
P ∈ asse di AB
243
CAPITOLO 16. RETTE PARALLELE
Teorema 16.5.2 (Bisettrice di un angolo).
La bisettrice di un angolo è il luogo dei punti del piano equidistanti dai lati dell’angolo
P
c
b
K
δ
β
a
γ
α
H
O
Figura 16.6: bisettrice di un angolo
Ipotesi
α∼
=β
P ∈c
π
δ∼
=γ∼
=
2
Tesi
PH ∼
= PK
Dimostrazione
Consideriamo i triangoli OP K e OP H
γ∼
= δ per ipotesi
OP in comune
α∼
= β per ipotesi
Quindi
OP K ∼
= OP H per il secondo criterio di congruenza
In particolare
PH ∼
= PK
Ipotesi
PH ∼
= PK
π
δ∼
=γ∼
=
2
Tesi
“
P ∈ bisettrice di aOb
Dimostrazione
Consideriamo i triangoli OP K e OP H
π
γ∼
=δ∼
= per ipotesi
2
244
16.5. ASSE DI UN SEGMENTO E BISETTRICE DI UN ANGOLO
OP in comune
PH ∼
= P K per ipotesi
Quindi
OP K ∼
= OP H per il criterio di congruenza dei triangoli rettangoli
In particolare
α∼
=β
e
“
P ∈ bisettrice di aOb
245
Capitolo 17
Quadrilateri
17.1
Introduzione
Definizione 17.1.1 (Quadrilatero).
Si dice quadrilatero un poligono di quattro lati
B
C
A
D
Figura 17.1: quadrilatero
Teorema 17.1.1.
In un quadrilatero la somma degli angoli interni è congruente a un angolo giro
B
β β
A
α
C
γ
β
δ
δ
δ
D
Figura 17.2: somma angoli interni di un quadrilatero
Ipotesi
ABCD qudrilatero
Tesi
α+β+γ+δ ∼
= 2π
Dimostrazione
Tracciando la diagonale BD si ottengono 2 triangoli.
α+β +δ ∼
=π
246
17.1. INTRODUZIONE
γ+β +δ ∼
=π
Quindi
α+β +δ +γ+β +δ ∼
= 2π
da cui
α+β+γ+δ ∼
= 2π
Il teorema precedente si può generalizzare
Teorema 17.1.2.
In un poligono di n lati la somma degli angoli interni è congruente alla somma di n − 2 angoli piatti
B
β
A
α
γ
δ
ε
C
D
E
Figura 17.3: somma angoli interni di un poligono
Teorema 17.1.3.
In un quadrilatero la somma degli angoli esterni è congruente a un angolo giro
B
β
α
C
γ
A
D
δ
Figura 17.4: somma angoli esterni di un quadrilatero
Ipotesi
ABCD quadrilatero
Tesi
α+β+γ+δ ∼
= 2π
Dimostrazione
La somma degli angoli interni e esterni è congruente a 4 angoli piatti.
Poiché la somma degli angoli interni è congruente a 2 angoli piatti, la somma degli angoli esterni è
congruente a 2 angoli piatti.
Il teorema precedente si può generalizzare
247
CAPITOLO 17. QUADRILATERI
Teorema 17.1.4.
In un poligono di n lati la somma degli angoli esterni è congruente a un angolo giro
B
β
α
A
C
γ
ε
E
D
δ
Figura 17.5: somma angoli esterni di un poligono
17.2
Parallelogrammi
Definizione 17.2.1 (Parallelogrammo).
Si dice parallelogrammo un quadrilatero con i lati opposti paralleli
D
C
A
B
Figura 17.6: parallelogrammo
Definizione 17.2.2 (Altezza).
Si dice altezza di un parallelogrammo il segmento di perpendicolare che ha come estremi un estremo
di un lato e un punto del lato opposto.
Osservazione
Ciascuno dei lati perpendicolari all’altezza si dice base
D
C
A
H
B
Figura 17.7: altezza parallelogrammo
248
17.2. PARALLELOGRAMMI
Teorema 17.2.1 (Parallelogrammo).
Un parallelogrammo ha gli angoli opposti congruenti, i lati opposti congruenti e le diagonali che si
dimezzano
D
C
δ
δ
δ
α
γ
η
M
γ
η
β
ε
β
α
A
γ
ε
α
β
B
Ipotesi
AB
CD
AD
BC
Tesi
AB ∼
= CD
AD ∼
= BC
α∼
=γ
β∼
=δ
AM ∼
= MC
BM ∼
= MD
Dimostrazione
Consideriamo i triangoli ABC e ACD
AC in comune
γ ∼
= α perchè angoli alterni interni delle rette parallele AB, CD tagliate da AC
α ∼
= γ perchè angoli alterni interni delle rette parallele AD, BC tagliate da AC
Quindi
ABC ∼
= ACD per il secondo criterio di congruenza
In particolare
AB ∼
= CD
AD ∼
= BC
β∼
=δ
α∼
= γ perché somma di angoli congruenti
Consideriamo i triangoli ABM e CDM .
AB ∼
= CD per dimostrazione precedente
γ ∼
= α perchè angoli alterni interni delle rette parallele AB, CD tagliate da AC
249
CAPITOLO 17. QUADRILATERI
β ∼
= δ perchè angoli alterni interni delle rette parallele AB, CD tagliate da BD
Quindi
ABM ∼
= CDM per il secondo criterio di congruenza
In particolare
AM ∼
= MC
BM ∼
= MD
Teorema 17.2.2 (Parallelogrammo).
Un quadrilatero con i lati opposti congruenti oppure gli angoli opposti congruenti oppure con le
diagonali che si dimezzano oppure con due lati congruenti e paralleli è un parallelogrammo
D
C
δ
δ
δ
γ
η
α
M
γ
η
β
ε
β
α
A
γ
ε
α
β
B
Ipotesi
AB ∼
= CD
AD ∼
= BC
Tesi
AB
CD
AD
BC
Dimostrazione
Consideriamo i triangoli ABC e ACD
AC in comune
AB ∼
= CD per ipotesi
AD ∼
= BC per ipotesi
Quindi
ABC ∼
= ACD per il terzo criterio di congruenza
In particolare
α ∼
=γ
α ∼
=γ
quindi
AB
CD perché formano con AC angoli alterni interni congruenti
250
17.2. PARALLELOGRAMMI
AD
BC perché formano con BD angoli alterni interni congruenti
Ipotesi
α∼
=γ
β∼
=δ
Tesi
AB
CD
AD
BC
Dimostrazione
Poiché
α+β+γ+δ ∼
= 2π
α∼
= γ per ipotesi
β∼
= δ per ipotesi
si ha
α+β+α+β ∼
= 2π
2α + 2β ∼
= 2π
α+β ∼
=π
AD
BC perché formano con AB angoli coniugati interni supplementari
Poiché
α+β ∼
= π per dimostrazione precedente
β∼
= δ per ipotesi
si ha
α+δ ∼
=π
AB
CD perché formano con AD angoli coniugati interni supplementari
Ipotesi
AM ∼
= MC
BM ∼
= MD
Tesi
AB
CD
AD
BC
Dimostrazione
Consideriamo i triangoli ABM e CM D
AM ∼
= M C per ipotesi
BM ∼
= M D per ipotesi
∼
=
perché angoli opposti al vertice
251
CAPITOLO 17. QUADRILATERI
Quindi
ABM ∼
= CM D per il primo criterio di congruenza
In particolare
β ∼
=δ
quindi
AB
CD perché formano con BD angoli alterni interni congruenti
Consideriamo i triangoli ADM e BCM
AM ∼
= M C per ipotesi
BM ∼
= M D per ipotesi
η∼
= η perché angoli opposti al vertice
Quindi
ADM ∼
= BCM per il primo criterio di congruenza
In particolare
β ∼
=δ
quindi
AD
BC perché formano con BD angoli alterni interni congruenti
Ipotesi
AB ∼
= CD
AB
CD
Tesi
AD
BC
Dimostrazione
Consideriamo i triangoli ABC e CDA
AB ∼
= CD per ipotesi
AC in comune
α ∼
= γ perché angoli alterni interni delle rette parallele AB, CD tagliate da AC
Quindi
ABC ∼
= CDA per il primo criterio di congruenza
In particolare
α ∼
=γ
quindi
AD
BC perché formano con AC angoli alterni interni congruenti
252
17.3. RETTANGOLI
17.3
Rettangoli
Definizione 17.3.1 (Rettangolo).
Si dice rettangolo un quadrilatero con gli angoli congruenti
D
C
A
B
Figura 17.8: rettangolo
Osservazioni
1. Un rettangolo è un parallelogrammo
2. Gli angoli di un rettangolo sono retti
Teorema 17.3.1 (Rettangolo).
Un rettangolo ha le diagonali congruenti
D
C
α
β
A
B
Ipotesi
ABCD rettangolo
Tesi
AC ∼
= BD
Dimostrazione
Consideriamo i triangoli ABC e ABD
AB in comune
AD ∼
= BC perché lati opposti di un parallelogrammo
α∼
= β perchè retti
Quindi
ABC ∼
= ABD per il primo criterio di congruenza
In particolare
AC ∼
= BD
253
CAPITOLO 17. QUADRILATERI
Teorema 17.3.2 (Rettangolo).
Un paralellogramma con le diagonali congruenti è un rettangolo
D
C
δ
γ
α
β
A
B
Ipotesi
ABCD parallelogrammo
AC ∼
= BC
Tesi
α∼
=γ∼
=δ
=β∼
Dimostrazione
Consideriamo i triangoli ABD e ABC
AC ∼
= BD per ipotesi
AB ∼
= CD per ipotesi
AD ∼
= BC per ipotesi
Quindi
ABD ∼
= ABC per il terzo criterio di congruenza
In particolare
α∼
=β
Poiché
α∼
= γ perchè angoli opposti di un parallelogrammo
β∼
= δ perchè angoli opposti di un parallelogrammo
si ha
α∼
=β∼
= γδ
254
17.4. ROMBI
17.4
Rombi
Definizione 17.4.1 (Rombo).
Si dice rombo un quadrilatero con i lati congruenti
D
C
A
B
Figura 17.9: rombo
Osservazione
Un rombo è un parallelogrammo
Teorema 17.4.1 (Rombo).
Un rombo ha le diagonali perpendicolari e bisettrici degli angoli.
D
C
β
α
γ
ε
ε
A
δ
η
η
M
B
Ipotesi
ABCD rombo
Tesi
AC⊥BD
α∼
=β
η∼
=η
Dimostrazione
Consideriamo il triangolo ACD.
Poiché AD ∼
= BC il triangolo ACD è isoscele.
Poiché il rombo è un parallelogrammo, DM è mediana e, per le proprietà dei triangoli isosceli, è anche
bisettrice e altezza
quindi
AC⊥BD
α∼
=β
In modo analogo si dimostra che
η∼
=η
255
CAPITOLO 17. QUADRILATERI
Teorema 17.4.2 (Rombo).
Un paralellogrammo con le diagonali perpendicolari oppure con le diagonali bisettrici degli angoli è
un rombo
D
C
β
α
γ
ε
ε
A
η
δ
η
M
B
Ipotesi
ABCD parallelogrammo
AC⊥BD
Tesi
AB ∼
= BC ∼
= CD ∼
= AD
Dimostrazione
Consideriamo i triangoli AM D e DM C
DM in comune
AM ∼
= M C perché le diagonali di un parallelogrammo si dimezzano
γ∼
= δ perché retti
Quindi
AM D ∼
= DM C per il primo criterio di congruenza
In particolare
AD ∼
= DC
quindi
AB ∼
= BC ∼
= CD ∼
= AD
Ipotesi
ABCD parallelogrammo
α∼
=β
∼
=
Tesi
AB ∼
= BC ∼
= CD ∼
= AD
Dimostrazione
Consideriamo i triangoli AM D e DM C
DM in comune
α∼
= β per ipotesi
256
17.5. QUADRATI
∼
= η perché metà di angoli congruenti
Quindi
AM D ∼
= DM C per il secondo criterio di congruenza generalizzato
In particolare
AD ∼
= DC
quindi
AB ∼
= BC ∼
= CD ∼
= AD
17.5
Quadrati
Definizione 17.5.1 (Quadrato).
Si dice quadrato un quadrilatero con i lati e gli angoli congruenti
D
C
A
B
Figura 17.10: quadrato
Osservazione
Un quadrato è un parallelogrammo, un rombo e un rettangolo
Teorema 17.5.1 (Quadrato).
Un quadrato ha le diagonali congruenti, perpendicolari e bisettrici degli angoli
D
α
A
C
α
B
Ipotesi
ABCD quadrato
Tesi
AC ∼
= BD
AC⊥BD
α∼
=α
257
CAPITOLO 17. QUADRILATERI
Dimostrazione
Poiché il quadrato è un rettangolo si ha
AC ∼
= BD
Poiché il quadrato è un rombo si ha
AC⊥BD
α∼
=α
Teorema 17.5.2 (quadrato).
Un paralellogrammo con le diagonali congruenti e perpendicolari oppure con le diagonali congruenti
e bisettrici degli angoli è un quadrato
D
α
A
C
α
B
Ipotesi
ABCD parallelogrammo
AC ∼
= BD
AC⊥BD
Tesi
ABCD quadrato
Dimostrazione
Poiché
AC ∼
= BD
ABCD è un rettangolo e quindi ha gli angoli congruenti.
Poiché
AC⊥BD
ABCD è un rombo e quindi ha i lati congruenti.
Quindi ABCD è un quadrato.
Ipotesi
ABCD parallelogrammo
AC ∼
= BD
α∼
=α
Tesi
ABCD quadrato
258
17.6. TRAPEZI
Dimostrazione
Poiché
AC ∼
= BD
ABCD è un rettangolo e quindi ha gli angoli congruenti.
Poiché
α∼
=α
ABCD è un rombo e quindi ha i lati congruenti.
Quindi ABCD è un quadrato.
17.6
Trapezi
Definizione 17.6.1 (Trapezio).
Si dice trapezio un quadrilatero con due lati opposti paralleli e gli altri due non paralleli
B
C
A
D
Figura 17.11: trapezio
I lati paralleli si dicono basi, gli altri si dicono lati obliqui.
Definizione 17.6.2 (Altezza).
Si dice altezza di un trapezio il segmento di perpendicolare che ha come estremi un estremo di una
base e un punto dell’altra base
B
C
A
H
D
Figura 17.12: altezza del trapezio
Definizione 17.6.3 (Trapezio isoscele).
Un trapezio si dice isoscele se ha i lati obliqui congruenti
259
CAPITOLO 17. QUADRILATERI
D
C
A
B
Figura 17.13: trapezio isoscele
Definizione 17.6.4 (Trapezio scaleno).
Un trapezio si dice scaleno se ha i lati obliqui non congruenti
B
C
A
D
Figura 17.14: trapezio scaleno
Definizione 17.6.5 (Trapezio rettangolo).
Un trapezio si dice rettangolo se ha due angoli retti
D
C
A
B
Figura 17.15: trapezio rettangolo
Teorema 17.6.1.
In un trapezio gli angoli adiacenti ai lati obliqui sono supplementari
D
C
δ
γ
α
β
B
A
260
17.6. TRAPEZI
Ipotesi
AB
CD
Tesi
α+δ ∼
=π
β+γ ∼
=π
Dimostrazione
α e δ sono supplementari perché angoli coniugati interni delle rette parallele AB e CD tagliate dalla
trasversale AD.
β e γ sono supplementari perché angoli coniugati interni delle rette parallele AB e CD tagliate dalla
trasversale CB.
Teorema 17.6.2.
In un trapezio isoscele gli angoli adiacenti a ciascuna base sono congruenti
D
C
γ
δ
α
A
E
F
β
Ipotesi
AB
CD
AD ∼
= BC
Tesi
α∼
=β
γ∼
=δ
Dimostrazione
Tracciamo le altezze DE e CF .
Consideriamo i triangoli rettangoli ADE e CBF
AD ∼
= BC per ipotesi
DE ∼
= CF perché EF CD è un rettangolo
Quindi
ADE ∼
= CBF per il criterio di congruenza dei triangoli rettangoli
In particolare
α∼
=β
γ∼
= δ perché supplementari di angoli congruenti
261
B
CAPITOLO 17. QUADRILATERI
Teorema 17.6.3.
In un trapezio isoscele le diagonali sono congruenti
D
C
α
β
A
B
Ipotesi
AB
CD
AD ∼
= BC
Tesi
AC ∼
= BD
Dimostrazione
Consideriamo i triangoli ACB e ADB
AB in comune
α∼
= β perché angoli alla base di un trapezio isoscele
AD ∼
= BC per ipotesi
Quindi
ACB ∼
= ADB per il primo criterio di congruenza
In particolare
AC ∼
= BD
17.7
Caso particolare del teorema di Talete
Teorema 17.7.1 (Caso particolare del teorema di Talete).
Dato un fascio di rette parallele tagliate da due trasversali a segmenti congruenti su una trasversale
corrispondono segmenti congruenti sull’altra trasversale.
262
17.7. CASO PARTICOLARE DEL TEOREMA DI TALETE
r
t
s
u
A
A
d
γ
α
c
B
b
C
a
δ
β
D
B
B
C
D
D
Figura 17.16: caso particolare del teorema di Talete
Ipotesi
a
b
c
d
AB ∼
= CD
Tesi
AB ∼
=CD
Dimostrazione
Tracciamo la retta r passante per A parallela a t e la retta u passante per C parallela a t.
Consideriamo i triangoli ABB e CDD .
AB ∼
= CD per ipotesi
α∼
= β perché angoli corrispondenti delle retta parallele a, c tagliate da s
γ∼
= δ perché angoli corrispondenti delle retta parallele u, rtagliate da s
Quindi
ABB ∼
= CDD per il secondo criterio di congruenza
In particolare
AB ∼
= CD
Consideriamo i quadrilateri B B A A e D D C C.
essi sono dei parallelogrammi perché hanno i lati opposti paralleli.
quindi
AB ∼
=AB
CD ∼
=CD
quindi
AB ∼
=CD
263
CAPITOLO 17. QUADRILATERI
Teorema 17.7.2.
In un triangolo il segmento che ha come estremi i punti medi di due lati è parallelo al terzo lato e
congruente alla sua metà
s
t
C
r
R
D
r
O
A
B
Q
Ipotesi
AD ∼
= DC
CO ∼
= BO
Tesi
DO
AB
1
DO ∼
= AB
2
Dimostrazione
Supponiamo per assurdo che
DO
AB
Tracciamo le rette r passante per C parallela a AB e r passante per D parallela ad AB.
La retta r incontra il lato BC in R = O. Poiché
AD ∼
= DC
per il caso particolare del teorema di Talete si ha
CR ∼
= RB
Questo è assurdo perché il punto medio è unico.
Quindi
DO
AB
264
17.7. CASO PARTICOLARE DEL TEOREMA DI TALETE
Tracciamo le rette s passante per O parallela a AC e t passante per B parallela a AC
Poiché
CO ∼
= BO
si ha
AQ ∼
= QB
per il caso particolare del teorema di Talete.
Poiché il quadrilatero AQOD è un parallelogrammo si ha
DO ∼
= AQ
e quindi
1
DO ∼
= AB
2
265
Capitolo 18
Equazioni di primo grado
18.1
Introduzione
Definizione 18.1.1 (Equazione).
Date due funzioni f e g con dominio A ⊆ R, si dice equazione in A nell’incognita x la scrittura
f (x) = g (x)
Il dominio delle funzioni viene anche detto dominio dell’equazione.
Osservazione
Il dominio A può essere assegnato a priori oppure è l’intersezione tra i domini delle due funzioni.
Esempio 18.1.1.
• Date f (x) = x + 2 e g (x) = 2x − 5, aventi dominio R, la scrittura
x + 2 = 2x − 5
è una equazione in R nell’incognita x.
• Date f (x) =
scrittura
x
3x − 1
e g (x) =
, aventi dominio rispettivamente R − {−1} e R − {2}, la
x+1
x−2
x
3x − 1
=
x+1
x−2
è una equazione in R − {−1, 2} nell’incognita x.
Osservazioni
1. In seguito, per semplificare la notazione, se il dominio di un’equazione è R può anche non essere
specificato, se il dominio non è R lo si può scrivere direttamente o utilizzando le condizioni di
esistenza.
2. Data l’equazione f (x) = g (x), f (x) si dice primo membro e g(x) secondo membro.
Esempio 18.1.2.
Data l’equazione
1
x + 5 = 3x + 2 − 7x
2
il primo membro è
1
x + 5, il secondo membro è 3x + 2 − 7x.
2
266
18.2. SOLUZIONI DI UN’EQUAZIONE
18.2
Soluzioni di un’equazione
Definizione 18.2.1 (Soluzione).
Si dice soluzione o radice dell’equazione f (x) = g (x) in A, ogni valore del dominio per il quale le due
funzioni assumono lo stesso valore
Quindi per stabilire se un elemento del dominio è una soluzione dell’equazione f (x) = g (x), è sufficiente sostituirlo all’incognita e verificare se le due funzioni assumono lo stesso valore.
Risolvere un’equazione in A nell’incognita x significa determinare l’insieme S formato da tutte le
soluzioni dell’equazione.
Esempio 18.2.1.
• Data l’equazione
x + 5 − 3x = 2x + 9
verifichiamo se x = 2 è soluzione. Sostituiamo 2 all’incognita nel primo membro:
2+5−3·2=1
sostituiamo 2 all’incognita nel secondo membro
2 · 2 + 9 = 13
le due funzioni non assumono lo stesso valore, quindi x = 2 non è soluzione dell’equazione data.
Verifichiamo ora se x = −1 è soluzione dell’equazione data. Sostituiamo −1 all’incognita nel
primo membro:
−1 + 5 − 3 · (−1) = 7
sostituiamo −1 all’incognita nel secondo membro
2 · (−1) + 9 = 7
le due funzioni assumono lo stesso valore, quindi x = −1 è soluzione dell’equazione data.
• Data l’equazione
x2 − 2x + 5 = 9 + x
verifichiamo se x = 4 è soluzione. Sostituiamo 4 all’incognita nel primo membro:
16 − 8 + 5 = 13
sostituiamo 4 all’incognita nel secondo membro
9 + 4 = 13
le due funzioni assumono lo stesso valore, quindi x = 4 è soluzione dell’equazione data. Verifichiamo ora se x = −1 è soluzione dell’equazione data. Sostituiamo −1 all’incognita nel primo
membro:
1+2+5=8
sostituiamo −1 all’incognita nel secondo membro:
9−1=8
le due funzioni assumono lo stesso valore, quindi x = −1 è soluzione dell’equazione data.
Osservazione
A seconda del dominio il numero di soluzioni di un’equazione può variare. Per esempio, l’equazione
x2 = 1, in Z ha come insieme delle soluzioni S = {−1; 1}, in N ha come insieme delle soluzioni S = {1}.
267
CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO
18.3
Risolubilità di un’equazione
Nella risoluzione di un’equazione in un’incognita in un insieme A si possono presentare i seguenti casi.
18.3.1
Equazione impossibile
Definizione 18.3.1 (Equazione impossibile).
Un’equazione si dice impossibile se l’insieme delle soluzioni è l’insieme vuoto
Osservazione
Un’equazione impossibile non ha soluzioni
Esempio 18.3.1.
• L’equazione x2 = −1 è impossibile perché nessun numero reale elevato al quadrato è uguale a
−1.
• L’equazione x + 1 = −5 in N è impossibile perché nessun numero naturale sommato a 1 è uguale
a −5.
• L’equazione x − 3 = x è impossibile perché nessun numero reale diminuito di 3 è uguale a se
stesso.
18.3.2
Equazione determinata
Definizione 18.3.2 (Equazione determinata).
Un’equazione si dice determinata se l’insieme delle soluzioni è finito e non vuoto
Esempio 18.3.2.
• L’equazione x + 1 = 3 è determinata perché l’insieme delle soluzioni è S = {2}
• L’equazione x2 = 4 in Z è determinata perché l’insieme delle soluzioni è S = {−2; 2}
18.3.3
Equazione indeterminata
Definizione 18.3.3 (Equazione indeterminata).
Un’equazione si dice indeterminata se l’insieme delle soluzioni è infinito
Esempio 18.3.3.
L’equazione | x | = x è indeterminata perché l’insieme delle soluzioni è S = {x ∈ R/x
18.3.4
0}
Identità
Definizione 18.3.4 (Identità).
Un’equazione si dice identità se l’insieme delle soluzioni coincide con il dominio
Esempio 18.3.4.
• L’equazione x + x + 3 = 2x + 1 + 2 è un’identità perché l’insieme delle soluzioni è R.
• L’equazione (x + 2) (x − 2) = x2 − 4 è un’identità perché l’insieme delle soluzioni è R.
• L’equazione
x+2
x+2
=
in R − {0} è un’identità perché l’insieme delle soluzioni è R − {0}.
x
x
268
18.4. TIPI DI EQUAZIONI
18.4
Tipi di equazioni
In questo capitolo analizziamo le equazioni razionali cioè equazioni f (x) = g(x) in cui le funzionif e
g sono rapporti di polinomi.
Un’equazione razionale si dice numerica se, oltre all’incognita, non compaiono altre lettere; si dice
letterale se, oltre all’incognita, compaiono altre lettere dette parametri.
Un’equazione razionale si dice intera se l’incognita non compare al denominatore; si dice fratta se
l’incognita compare al denominatore.
Le equazioni razionali quindi si possono suddividere in:
• numeriche intere
• numeriche fratte
• letterali intere
• letterali fratte
Esempio 18.4.1.
• L’equazione
2x + 1 = 5
è numerica intera perché non compaiono altre lettere oltre l’incognita e l’incognita non compare
al denominatore;
• L’equazione
1
3
x + 3 = + 2x
2
4
è numerica intera perché non compaiono altre lettere oltre l’incognita e l’incognita non compare
al denominatore;
• L’equazione
2
= 3 + 2x
x−1
è numerica fratta perché non compaiono altre lettere oltre l’incognita e l’incognita compare al
denominatore;
• L’equazione
ax = 3
è letterale intera perché, oltre all’incognita x, compare la lettera a che è un parametro e
l’incognita non compare al denominatore;
• L’equazione
x
=b
a+1
è letterale intera perché, oltre all’incognita x, compaiono le lettere a e b che sono parametri e
l’incognita non compare al denominatore;
• L’equazione
a
=2
x
è letterale fratta perché, oltre all’incognita x, compare la lettera a che è un parametro e
l’incognita compare al denominatore.
269
CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO
18.5
18.5.1
Principi di equivalenza delle equazioni
Equazioni equivalenti
Definizione 18.5.1 (Equazioni equivalenti).
Due equazioni si dicono equivalenti se hanno lo stesso insieme delle soluzioni.
Esempio 18.5.1.
• Le equazioni
2x = 2
2x + 3 = 2 + 3
sono equivalenti perché entrambe hanno come insieme delle soluzioni S = {1};
• Le equazioni
x=3
2x = 6
sono equivalenti perché entrambe hanno come insieme delle soluzioni S = {3};
• Le equazioni
x+1=2
x2 = 1
non sono equivalenti in Z perché la prima ha come insieme delle soluzioni S1 = {1} e la seconda
ha come insieme delle soluzioni S2 = {−1; 1}; le due equazioni sono invece equivalenti in N
perché hanno entrambe come insieme delle soluzioni S = {1};
• Le equazioni
2x = 4
x+2=5
non sono equivalenti perché la prima ha come insieme delle soluzioni S1 = {2} e la seconda ha
come insieme delle soluzioni S2 = {3};
Osservazione
La definizione di equazioni equivalenti è utile per risolvere un’equazione. Infatti un’equazione può
essere risolta trasformandola in una equivalente più semplice.
18.5.2
Primo principio di equivalenza
Teorema 18.5.1 (Primo principio di equivalenza).
Addizionando ad entrambi i membri di un’equazione la stessa espressione algebrica che non modifica
il dominio, si ottiene un’equazione equivalente.
Esempio 18.5.2.
• Data l’equazione
x+2=5
addizionando 1 ad entrambi i membri otteniamo l’equazione equivalente:
x+2+1=5+1
x+3=6
270
18.5. PRINCIPI DI EQUIVALENZA DELLE EQUAZIONI
• Data l’equazione
3x − 4 = 2
addizionando −2 ad entrambi i membri ad entrambi i membri otteniamo l’equazione equivalente:
3x − 4 − 2 = 2 − 2
3x − 6 = 0
• Data l’equazione
3x = x + 4
addizionando −x ad entrambi i membri ad entrambi i membri otteniamo l’equazione equivalente:
3x − x = x + 4 − x
2x = 4
Osservazione
L’espressione addizionata ad entrambi i membri non deve modificare il dominio perché, in caso contrario, l’equazione ottenuta potrebbe non essere equivalente a quella data. Per esempio, se nell’equazione
2x = 6
con dominio R, che ha come insieme delle soluzioni
S = {3}
addizioniamo ad entrambi i membri l’espressione
1
x−3
con dominio R − {3} otteniamo
2x +
1
1
=6+
x−3
x−3
Questa equazione ha dominio R − {3}, quindi x = 3 non può essere soluzione di questa equazione che
non è perciò equivalente a quella data.
Regola del trasporto
Teorema 18.5.2 (Regola del trasporto).
Se in un’equazione si sposta un termine da un membro all’altro cambiandone il segno, si ottiene
un’equazione equivalente.
Dimostrazione
Spostare un termine da un membro all’altro cambiando il segno equivale ad addizionare ad entrambi
i membri l’opposto del termine.
Esempio 18.5.3.
• Data l’equazione
x+1=3
trasportando il termine 1 al secondo membro cambiandone il segno otteniamo l’equazione equivalente:
x=3−1
x=2
271
CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO
• Data l’equazione
5x = x + 20
trasportando il termine x al primo membro cambiandone il segno otteniamo l’equazione equivalente:
5x − x = 20
4x = 20
Regola di cancellazione
Teorema 18.5.3 (Regola di cancellazione).
Se in un’equazione si elimina lo stesso termine da entrambi i membri si ottiene un’equazione equivalente.
Dimostrazione
Eliminare lo stesso termine da entrambi i membri equivale ad addizionare ad entrambi i membri
l’opposto del termine.
Esempio 18.5.4.
• Data l’equazione
3x + 2 = 5x + 2
eliminando il termine 2 da entrambi i membri otteniamo l’equazione equivalente
3x = 5x
• Data l’equazione
7x + 2 − 3x = 2x − 3 − 3x
eliminado il termine −3x da entrambi i membri otteniamo l’equazione equivalente
7x + 2 = 2x − 3
18.5.3
Secondo principio di equivalenza
Teorema 18.5.4 (Secondo principio di equivalenza).
Moltiplicando entrambi i membri di un’equazione per la stessa espressione algebrica, che non modifica
il dominio e che in esso non si annulli, si ottiene un’equazione equivalente.
Esempio 18.5.5.
• Data l’equazione
2x = 8
moltiplicando per
1
entrambi i membri otteniamo l’equazione equivalente:
2
1
1
· 2x = · 8
2
2
x=4
Osservazione
1
Moltiplicare per entrambi i membri equivale a dividere per 2 entrambi i membri
2
272
18.5. PRINCIPI DI EQUIVALENZA DELLE EQUAZIONI
• Data l’equazione
1
x=x+1
2
moltiplicando per 2 entrambi i membri otteniamo l’equazione equivalente:
1
2 · x = 2 (x + 1)
2
x = 2x + 2
Osservazioni
5
1. Applicando il secondo principio, l’equazione 2x = 5 è equivalente a x = , non è equivalente a
2
5
x=5−2 o a x=
−2
2. L’espressione per cui si moltiplicano entrambi i membri non deve modificare il dominio dell’equazione perché, in caso contrario, l’equazione ottenuta potrebbe non essere equivalente a quella
data. Per esempio, se nell’equazione
3x = 6
con dominio R, che ha come insieme delle soluzioni
S = {2}
moltiplichiamo entrambi i membri per
1
, otteniamo
x−2
3x
6
=
x−2
x−2
Questa equazione ha come dominio R − {2} e quindi x = 2 non può essere soluzione di questa
equazione che non è perciò equivalente a quella data.
3. Inoltre è necessario che l’espressione per cui si moltiplicano entrambi i membri non si annulli
nel dominio dell’equazione perché in caso contrario l’equazione ottenuta potrebbe non essere
equivalente a quella data. Per esempio, se nell’equazione
x−5=0
con dominio R, che ha come insieme delle soluzioni
S = {5}
moltiplichiamo entrambi i membri per x, che si annulla in R, otteniamo
x (x − 5) = x · 0
x2 − 5x = 0
Questa equazione ha come insieme delle soluzioni
S = {0; 5}
quindi non è equivalente a quella data.
273
CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO
Regola del cambiamento dei segni
Teorema 18.5.5 (Regola del cambiamento dei segni).
Se in un’equazione si cambiano i segni di tutti i termini, si ottiene un’equazione equivalente.
Dimostrazione
Cambiare i segni di tutti i termini di un’equazione equivale a moltiplicare entrambi i membri per −1
Esempio 18.5.6.
• Data l’equazione
−x + 3 = 4
cambiando i segni di tutti i termini otteniamo l’equazione equivalente:
x − 3 = −4
• Data l’equazione
−x = 5
cambiando i segni di tutti i termini otteniamo l’equazione equivalente:
x = −5
Regola di eliminazione dei denominatori
Teorema 18.5.6 (Regola di eliminazione dei denominatori).
Se in un’equazione avente entrambi i membri costituiti da una sola frazione con lo stesso denominatore
si eliminano i denominatori, si ottiene un’equazione equivalente.
Dimostrazione
Eliminare i denominatori è equivalente a moltiplicare entrambi i membri per il denominatore stesso.
Esempio 18.5.7.
• Data l’equazione
3x − 2
2x + 5
=
4
4
eliminando i denominatori otteniamo l’equazione equivalente:
2x + 5 = 3x − 2
• Data l’equazione
2x − 1
x
=
x−2
x−2
in R − {2} eliminando i denominatori otteniamo l’equazione equivalente:
2x − 1 = x
in R − {2}
Osservazione
Poiché la relazione di uguaglianza gode della proprietà simmetrica, in un’equazione si possono scambiare i due membri. Per esempio l’equazione
1 + 3 = 2x − x
è equivalente a
2x − x = 1 + 3
274
18.6. FORMA NORMALE DI UN’EQUAZIONE
18.6
Forma normale di un’equazione
Definizione 18.6.1 (Forma normale).
Un’equazione si dice in forma normale se il primo membro è un polinomio in forma normale e il
secondo membro è 0.
Esempio 18.6.1.
• L’equazione
5x − 1 = 0
è in forma normale perché il primo membro è un polinomio in forma normale e il secondo membro
è 0.
• l’equazione
3x + 2x − 5 = 0
non è in forma normale perché il primo membro non è un polinomio in forma normale.
• l’equazione
5x − 7 = 3
non è in forma normale perché il secondo membro non è 0.
Data un’equazione, la si può trasformare in forma normale procedendo nel seguente modo:
1. si determina il dominio dell’equazione scrivendo le condizioni di esistenza
2. si effettuano le operazioni in entrambi i membri
3. se sono presenti delle frazioni, si riducono entrambi i membri ad una sola frazione avente come
denominatore il mcm di tutti i denominatori (di entrambi i membri)
4. si eliminano i denominatori applicando la regola di eliminazione dei denominatori
5. si trasportano tutti i termini al primo membro applicando la regola del trasporto
6. si addizionano i termini simili
Esempio 18.6.2.
• Trasformiamo in forma normale l’equazione
(x + 2) · (x − 2) + 3x − 5 = (x − 1)2 + 2
effettuiamo le operazioni in entrambi i membri:
x2 − 4 + 3x − 5 = x2 − 2x + 1 + 2
trasportiamo tutti i termini al primo membro:
x2 − 4 + 3x − 5 − x2 + 2x − 1 − 2 = 0
addizioniamo i termini simili:
5x − 12 = 0
275
CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO
• trasformiamo in forma normale l’equazione
x+1 1
2x − 1 2
+ =
− x+3
3
2
4
3
riduciamo entrambi i membri ad una sola frazione avente come denominatore il mcm di tutti i
denominatori:
4x + 4 + 6
6x − 3 − 8x + 36
=
12
12
eliminiamo i denominatori:
4x + 4 + 6 = 6x − 3 − 8x + 36
trasportiamo tutti i termini al primo membro:
4x + 4 + 6 − 6x + 3 + 8x − 36 = 0
addizioniamo i termini simili:
6x − 23 = 0
• trasformiamo in forma normale l’equazione
x
x+3
=
2
x −4
x−2
scomponiamo il denominatore della prima frazione:
x
x+3
=
(x + 2) (x − 2)
x−2
scriviamo le condizioni di esistenza:
CE : x + 2 = 0 ∧ x − 2 = 0
riduciamo entrambi i membri ad una sola frazione avente come denominatore il mcm di tutti i
denominatori:
x+3
x2 + 2x
=
(x + 2) (x − 2)
(x + 2) (x − 2)
eliminiamo i denominatori:
x + 3 = x2 + 2x
trasportiamo tutti i termini al primo membro:
x + 3 − x2 − 2x = 0
addizioniamo i termini simili:
−x2 − x + 3 = 0
18.7
Grado di un’equazione
Definizione 18.7.1 (Grado).
Si dice grado di un’equazione intera il grado rispetto all’incognita del polinomio a primo membro della
sua forma normale.
Osservazioni
1. Un’equazione di primo grado è detta equazione lineare.
276
18.8. RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI NUMERICHE INTERE DI PRIMO GRADO
2. Dalla definizione si deduce che per determinare il grado di un’equazione occorre prima trasformarla in forma normale
Esempio 18.7.1.
• Determiniamo il grado dell’equazione
3x + 2 = x − 1
la sua forma normale è:
2x + 3 = 0
l’equazione è di primo grado;
• Determiniamo il grado dell’equazione
2x2 + 2 = 3x + 5
la sua forma normale è
2x2 − 3x − 3 = 0
l’equazione è di secondo grado.
• Determiniamo il grado dell’equazione
x2 + 3x − 1 = x2 + 2
la sua forma normale è
3x − 3 = 0
l’equazione è di primo grado.
18.8
Risoluzione delle equazioni numeriche intere di primo grado
Risolviamo le equazioni numeriche intere di primo grado, quindi equazioni in cui l’unica lettera è
l’incognita che non compare al denominatore di alcuna frazione.
Tradizionalmente, invece di quella precedentemente definita, si assume come forma normale di un’equazione di primo grado nell’incognita x la forma
ax = b
dove a e b sono numeri reali; il dominio è R.
Per risolvere questo tipo di equazioni:
1. si trasforma l’equazione nella forma normale ax = b
2. si analizzano i valori di a e b:
(a) se a = 0, si dividono entrambi i membri per il coefficiente dell’incognita ottenendo:
x=
b
a
l’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni è
b
a
ß ™
S=
277
CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO
(b) se a = 0 ∧ b = 0 si ha 0x = 0: l’equazione è un’identità perchè qualsiasi numero moltiplicato
per 0 dà 0 e l’insieme delle soluzioni è
S=R
(c) se a = 0 ∧ b = 0 si ha 0x = b: l’equazione è impossibile perché nessun numero moltiplicato
per 0 dà un numero diverso da 0 e l’insieme delle soluzioni è
S=∅
Esempio 18.8.1.
• Risolviamo l’equazione
7x + 5 − 2x = x + 7 + 2
trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al
secondo membro:
7x − 2x − x = −5 + 7 + 2
addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale:
4x = 4
il coefficiente dell’incognita è diverso da 0, quindi dividiamo entrambi i membri per il coefficiente
dell’incognita:
x=1
l’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni è:
S = {1}
• Risolviamo l’equazione
1
3
1
1
+ 2x + x = x − + 2 − x
2
3
4
2
riduciamo entrambi i membri ad una sola frazione avente come denominatore il mcm tra tutti i
denominatori:
6 + 24x + 4x
9x − 6 + 24 − 12x
=
12
12
eliminiamo i denominatori:
6 + 24x + 4x = 9x − 6 + 24 − 12x
trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al
secondo membro:
24x + 4x − 9x + 12x = −6 − 6 + 24
addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale:
31x = 12
il coefficiente dell’incognita è diverso da 0, quindi dividiamo entrambi i membri per il coefficiente
dell’incognita:
x=
12
31
l’equazione è determinata e l’ insieme delle soluzioni è:
ß
S=
12
31
™
278
18.8. RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI NUMERICHE INTERE DI PRIMO GRADO
• Risolviamo l’equazione
x − 3 2x + 5 2 − 4x
−
−
=0
3
2
6
riduciamo entrambi i membri ad una sola frazione avente come denominatore il mcm di tutti i
denominatori:
2x − 6 − 6x − 15 − 2 + 4x
0
=
6
6
eliminiamo i denominatori:
2x − 6 − 6x − 15 − 2 + 4x = 0
trasportiamo tutti i termini senza incognita al secondo membro:
2x − 6x + 4x = 6 + 15 + 2
addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale:
0x = 23
il coefficiente dell’incognita è 0 e il termine noto è diverso da 0, quindi l’equazione è impossibile
e l’insieme delle soluzioni è
S=∅
• Risolviamo l’equazione
3x + 2 − x = 2x + 2
trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al
secondo membro:
3x − x − 2x = −2 + 2
addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale:
0x = 0
il coefficiente dell’incognita è 0 e il termine noto è 0, quindi l’equazione è un’identità e l’insieme
delle soluzioni è
S=R
• Risolviamo l’equazione
3x − x (x + 2) − x2 + 5x + 3 = (x + 2)2 − (x + 3) (x − 3)
Ä
ä
effettuiamo le operazioni in entrambi i membri:
3x − x2 − 2x + x2 + 5x + 3 = x2 + 4 + 4x − x2 + 9
trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al
secondo membro:
3x − x2 − 2x + x2 + 5x − x2 − 4x + x2 = −3 + 4 + 9
addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale:
2x = 10
il coefficiente dell’incognita è diverso da 0, quindi dividiamo entrambi i membri per il coefficiente
dell’incognita:
10
=5
2
l’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni è
x=
S = {5}
279
CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO
18.9
Risoluzione delle equazioni numeriche fratte
Consideriamo le equazioni numeriche fratte, cioè le equazioni in cui l’unica lettera è l’incognita che
compare al denominatore di almeno una frazione.
Per risolvere un’equazione numerica fratta nell’incognita x:
1. si scompongono i denominatori di ogni frazione
2. si scrivono le condizioni di esistenza e si ricava l’incognita per ciascuna di esse
3. si trasforma l’equazione nella forma normale ax = b
4. si analizzano i valori di a e b:
b
(a) se a = 0, si ricava: x = .
a
b
Se soddisfa le condizioni di esistenza, l’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni
a
è
b
a
ß ™
S=
b
se non soddisfa le condizioni di esistenza, non è accettabile, l’equazione è impossibile e
a
l’insieme delle soluzioni è
S=∅
(b) se a = 0 ∧ b = 0, l’equazione è una identità e l’insieme delle soluzioni è
S=D
dove D è il dominio
(c) se a = 0 ∧ b = 0, l’equazione è impossibile e l’insieme delle soluzioni è
S=∅
Esempio 18.9.1.
• Risolviamo l’equazione
2x2 + 3x − 2
2x
=
2
x −1
x+1
scomponiamo il denominatore della prima frazione:
2x2 + 3x − 2
2x
=
(x + 1) (x − 1)
x+1
scriviamo le condizioni di esistenza e ricaviamo l’incognita:
x+1=0∧x−1=0
cioè
CE : x = −1 ∧ x = 1
riduciamo entrambi i membri ad una sola frazione avente come denominatore il mcm di tutti i
denominatori:
2x2 + 3x − 2
2x (x − 1)
=
(x + 1) (x − 1)
(x + 1) (x − 1)
280
18.9. RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI NUMERICHE FRATTE
effettuiamo le operazioni ai numeratori e eliminiamo i denominatori:
2x2 + 3x − 2 = 2x2 − 2x
trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al
secondo membro:
2x2 + 3x − 2x2 + 2x = 2
addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale:
5x = 2
il coefficiente dell’incognita è diverso da 0 quindi ricaviamo
x=
2
5
2
poiché soddisfa le condizioni di esistenza, l’equazione è determinata e l’insieme delle soluzioni
5
è
2
5
ß ™
S=
• Risolviamo l’equazione
x+3
2x + 1
x+7
= 2
− 3
2
x + 2x
2x − x 2x + 3x2 − 2x
scomponiamo i denominatori:
2x + 1
x+7
x+3
=
−
x (x + 2)
x (2x − 1) x (2x − 1) (x + 2)
scriviamo le condizioni di esistenza e ricaviamo l’incognita:
x = 0 ∧ x + 2 = 0 ∧ 2x − 1 = 0
cioè
CE : x = 0 ∧ x = −2 ∧ x =
1
2
riduciamo entrambi i membri ad una sola frazione avente come denominatore il mcm di tutti i
denominatori:
(x + 3) (2x − 1)
(2x + 1) (x + 2) − (x + 7)
=
x (2x − 1) (x + 2)
x (2x − 1) (x + 2)
effettuiamo le operazioni ai numeratori e eliminiamo i denominatori:
2x2 − x + 6x − 3 = 2x2 + 4x + x + 2 − x − 7
trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al
secondo membro:
2x2 − x + 6x − 2x2 − 4x − x + x = 3 + 2 − 7
addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale
x = −2
poiché −2 non soddisfa le condizioni di esistenza, non è accettabile, l’equazione è impossibile e
l’insieme delle soluzioni è
S=∅
281
CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO
• Risolviamo l’equazione
2x + 1
1 − 2x
=
x−2
2−x
Possiamo notare che compaiono i fattori opposti x − 2 e 2 − x. Raccogliendo −1 nel fattore 2 − x,
otteniamo:
2x + 1
1 − 2x
=
x−2
−(x − 2)
che possiamo riscrivere nel seguente modo:
2x + 1
2x − 1
=
x−2
x−2
scriviamo le condizioni di esistenza e ricaviamo l’incognita:
x−2=0
cioè
CE : x = 2
eliminiamo i denominatori:
2x + 1 = 2x − 1
trasportiamo tutti i termini con l’incognita al primo membro e i termini senza incognita al
secondo membro:
2x − 2x = −1 − 1
addizioniamo i termini simili e otteniamo la forma normale
0x = −2
il coefficiente dell’incognita è 0 e il termine noto è diverso da 0, quindi l’equazione è impossibile
e l’insieme delle soluzioni è
S=∅
• Risolviamo l’equazione
1
x
−
=0
−x x−1
scomponiamo il denominatore della prima frazione:
x2
1
x
−
=0
x(x − 1) x − 1
scriviamo le condizioni di esistenza e ricaviamo l’incognita:
x=0∧x−1=0
cioè
CE : x = 0 ∧ x = 1
Semplifichiamo la prima frazione
1
1
−
=0
(x − 1) x − 1
Otteniamo
0x = 0
il coefficiente dell’incognita è 0 e il termine noto è 0, quindi l’equazione è un’identità e l’insieme
delle soluzioni è
S = R − {0, 1}
282
18.9. RISOLUZIONE DELLE EQUAZIONI NUMERICHE FRATTE
• Risolviamo l’equazione
3x − 2
x+1
2
− 2
=
2
x − 3x x + 9 − 6x
x
3x − 2
x+1
2
−
=
x(x − 3) (x − 3)2
x
CE : x = 0 ∧ x = 3
(x − 3)(3x − 2) − x(x + 1)
2(x − 3)2
=
x(x − 3)2
x(x − 3)2
3x2 − 2x − 9x + 6 − x2 − x = 2x2 − 12x + 18
−11x − x + 12x = 18 − 6
0x = 12
L’equazione è impossibile, S = ∅
• Risolviamo l’equazione
5
x+3
=
2
x − 3 + 2x
3 + 2x
x+3
5
=
(2x + 3)(x − 1)
3 + 2x
3
CE : x = − ∧ x = 1
2
x+3
5(x − 1)
=
(2x + 3)(x − 1)
(3 + 2x)(x − 1)
x + 3 = 5x − 5
−4x = −8
x = 2 accettabile
L’equazione è determinata S = 2
• Risolviamo l’equazione
12x2 + 20x 5x + 1
x+2
+
=
4x2 − 9
3 − 2x
2x + 3
5x + 1
x+2
12x2 + 20x
−
=
(2x + 3)(2x − 3) 2x − 3
2x + 3
3
3
CE : x = − ∧ x =
2
2
12x2 + 20x − (2x + 3)(5x + 1)
(2x − 3)(x + 2)
=
(2x + 3)(2x − 3)
(2x + 3)(2x − 3)
12x2 + 20x − 10x2 − 2x − 15x − 3 = 2x2 + 4x − 3x − 6
3x − x = 3 − 6
2x = −3
3
non accettabile
2
L’equazione è impossibile S = ∅
x=−
283
CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO
18.10
Risoluzione e discussione delle equazioni letterali intere
Consideriamo le equazioni letterali intere cioè equazioni in cui, oltre all’incognita, compaiono altre
lettere chiamate parametri e l’incognita non compare al denominatore di alcuna frazione.
Questo tipo di equazioni si risolve come quelle numeriche, ma, ottenuta la forma normale, è necessario
determinare i valori dei parametri per i quali l’equazione è determinata, identità, impossibile.
Per risolvere le equazioni letterali intere nell’incognita x:
1. si trasforma l’equazione nella forma normale Ax = B (dove A e B sono dei polinomi con lettere
diverse dall’incognita) scrivendo eventuali condizioni di esistenza per i parametri
2. si scompongono A e B in fattori
3. per i valori dei parametri che non soddisfano le condizioni di esistenza l’equazione perde significato
4. si determinano i valori dei parametri che soddisfano le condizioni di esistenza e non annullano
il polinomio A; per tali valori l’equazione è determinata e
x=
B
A
5. si sostituiscono nel polinomio B i valori dei parametri che soddisfano le condizioni di esistenza
e annullano il polinomio A. In base ai valori assunti dal polinomio B l’equazione è impossibile
o identità
6. si riassumono i risultati ottenuti
Esempio 18.10.1.
• Risolviamo l’equazione
3ax − 2a (x + 1) = 5 − 2a
trasformiamo l’equazione in forma normale:
ax = 5
quindi
A=a
B=5
Determiniamo i valori dei parametri che non annullano il polinomio A:
a=0
se a = 0 ricaviamo l’incognita
x=
5
a
Sostituiamo a = 0 nel polinomio B
B=5
poiché B = 0 l’equazione è impossibile
Riassumendo:
– se a = 0, l’equazione è determinata e
5
a
ß ™
S=
284
18.10. RISOLUZIONE E DISCUSSIONE DELLE EQUAZIONI LETTERALI INTERE
– se a = 0, l’equazione è impossibile e
S=∅
• Risolviamo l’equazione
a (x − 2) + 5a = a (3 + 3x)
trasformiamo l’equazione in forma normale:
−2ax = 0
quindi
A = −2a
B=0
Determiniamo i valori dei parametri che non annullano il polinomio A:
−2a = 0
a=0
se a = 0 ricaviamo l’incognita
x=
0
=0
−2a
Sostituiamo a = 0 nel polinomio B
B=0
poiché B = 0 l’equazione è un’identità
Riassumendo:
– se a = 0, l’equazione è determinata e
S = {0}
– se a = 0, l’equazione è un’identità e
S=R
• Risolviamo l’equazione
3x (b + 2) = bx − (a + 1) (a − 1)
trasformiamo l’equazione in forma normale:
(2b + 6) x = 1 − a2
quindi
A = 2b + 6 = 2 (b + 3)
B = 1 − a2 = (1 + a) (1 − a)
Determiniamo i valori dei parametri che non annullano il polinomio A:
2 (b + 3) = 0
b = −3
285
CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO
se b = −3 ricaviamo l’incognita
x=
(1 + a) (1 − a)
2 (b + 3)
Sostituiamo b = −3 nel polinomio B
B = (1 + a)(1 − a)
Determiniamo i valori che annullano B
(1 + a)(1 − a) = 0
1+a=0∨1−a=0
a = −1 ∨ a = 1
se a = −1 ∨ a = 1, poiché B = 0 l’equazione è un’identità
se a = −1 ∧ a = 1, poiché B = 0 e l’equazione è impossibile
Riassumendo:
– se b = −3, l’equazione è determinata e
®
S=
(1 + a) (1 − a)
2 (b + 3)
´
– se b = −3 ∧ (a = −1 ∨ a = 1), l’equazione è un’identità e
S=R
– se b = −3 ∧ a = −1 ∧ a = 1, l’equazione è impossibile e
S=∅
• Risolviamo l’equazione
(x + 2) (a − 1) = 2b (a − 3) + 2 (a − 1)
trasformiamo l’equazione in forma normale:
(a − 1) x = 2ab − 6b
quindi
A=a−1
B = 2ab − 6b = 2b (a − 3)
Determiniamo i valori dei parametri che non annullano il polinomio A:
a−1=0
a=1
se a = 1 ricaviamo l’incognita
x=
2b (a − 3)
a−1
Sostituiamo a = 1 nel polinomio B
B = 2b(1 − 3) = −4b
Determiniamo i valori che annullano B
−4b = 0
b=0
se b = 0, poiché B = 0 l’equazione è un’identità
se b = 0, poiché B = 0 e l’equazione è impossibile
Riassumendo
286
18.10. RISOLUZIONE E DISCUSSIONE DELLE EQUAZIONI LETTERALI INTERE
– se a = 1, l’equazione è determinata e
®
S=
2b (a − 3)
a−1
´
– se a = 1 ∧ b = 0, l’equazione è un’identità e
S=R
– se a = 1 ∧ b = 0, l’equazione è impossibile e
S=∅
• Risolviamo l’equazione
abx (1 + a) = a (1 − 2bx) + 2
trasformiamo l’equazione in forma normale:
Ä
ä
3ab + a2 b x = a + 2
quindi
A = 3ab + a2 b = ab (3 + a)
B =a+2
Determiniamo i valori dei parametri che non annullano il polinomio A:
ab (3 + a) = 0
a = 0 ∧ b = 0 ∧ a = −3
se a = 0 ∧ b = 0 ∧ a = −3 ricaviamo l’incognita
x=
a+2
ab (3 + a)
Sostituiamo a = 0 nel polinomio B
B =0+2=2
poiché B = 0 e l’equazione è impossibile
Sostituiamo b = 0 nel polinomio B
B =a+2
Determiniamo i valori che annullano B
a+2=0
a = −2
se a = −2, poiché B = 0 l’equazione è un’identità
se a = −2, poiché B = 0 l’equazione è impossibile
Sostituiamo a = −3 nel polinomio B
B = −3 + 2 = −1
poiché B = 0 e l’equazione è impossibile
Riassumendo
287
CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO
– se a = 0 ∧ b = 0 ∧ a = −3, l’equazione è determinata e
®
S=
a+2
ab (3 + a)
´
– se a = 0, l’equazione è impossibile e
S=∅
– se b = 0 ∧ a = −2, l’equazione è un’identità e
S=R
– se b = 0 ∧ a = −2, l’equazione è impossibile e
S=∅
– se a = −3, l’equazione è impossibile e
S=∅
• Risolviamo l’equazione
x+2
2x − 3
− 3x − 1 =
a
a
scriviamo le condizioni di esistenza:
CE: a = 0
trasformiamo l’equazione in forma normale:
(−3a − 1) x = a − 5
quindi
A = −3a − 1
B =a−5
Se a = 0 l’equazione perde significato.
Determiniamo i valori dei parametri che soddisfano le CE e non annullano il polinomio A:
a = 0 ∧ −3a − 1 = 0
a=0∧a=−
1
3
se a = 0 ∧ a = −
x=
1
ricaviamo l’incognita
3
a−5
−3a − 1
1
nel polinomio B
3
1
16
B =− −5=−
3
3
poiché B = 0 e l’equazione è impossibile
Riassumendo
Sostituiamo a = −
– se a = 0, l’equazione perde significato
1
– se a = 0 ∧ a = − , l’equazione è determinata e
3
ß
™
a−5
S=
−3a − 1
1
– se a = − , l’equazione è impossibile e
3
S=∅
288
18.11. RISOLUZIONE E DISCUSSIONE DELLE EQUAZIONI LETTERALI FRATTE
18.11
Risoluzione e discussione delle equazioni letterali fratte
Consideriamo ora le equazioni letterali fratte cioè equazioni in cui, oltre all’incognita, compaiono altre
lettere chiamate parametri e l’incognita compare al denominatore di almeno una frazione.
Questo tipo di equazioni si risolve come quelle letterali intere, aggiungendo le condizioni di esistenza
dell’incognita e controllando che i valori trovati soddisfino queste condizioni
Esempio 18.11.1.
• Risolviamo l’equazione
2a
a+1
=−
−1
x+1
x2
scomponiamo i denominatori:
2a
a+1
=−
(x + 1) (x − 1)
x+1
scriviamo le condizioni di esistenza:
CE: x = −1 ∧ x = 1
trasformiamo l’equazione in forma normale:
(a + 1) x = 1 − a
quindi
A=a+1
B =1−a
Determiniamo i valori dei parametri che non annullano il polinomio A:
a+1=0
a = −1
se a = −1 ricaviamo l’incognita
x=
1−a
a+1
determiniamo i valori del parametro a per i quali x soddisfa le condizioni di esistenza:
1−a
1−a
= −1 ∧
=1
a+1
a+1
1 − a = −a − 1 ∧ 1 − a = a + 1
2=0∧a=0
a=0
quindi se a = 0 il valore trovato è accettabile.
Sostituiamo a = −1 nel polinomio B
B = 1 − (−1) = 2
poiché B = 0 l’equazione è impossibile
Riassumendo:
– se a = −1 ∧ a = 0, l’equazione è determinata e
ß
S=
1−a
a+1
™
289
CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO
– se a = 0 l’equazione è impossibile e
S=∅
– se a = −1, l’equazione è impossibile e
S=∅
• Risolviamo l’equazione
ax + b
3a
=
2
x +x
x
scomponiamo i denominatori:
ax + b
3a
=
x (x + 1)
x
scriviamo le condizioni di esistenza:
CE: x = 0 ∧ x = −1
trasformiamo l’equazione in forma normale:
2ax = b − 3a
quindi
A = 2a
B = b − 3a
Determiniamo i valori dei parametri che non annullano il polinomio A:
2a = 0
a=0
se a = 0 ricaviamo l’incognita
x=
b − 3a
2a
determiniamo i valori dei parametri a e b per i quali x soddisfa le condizioni di esistenza:
b − 3a
b − 3a
=0∧
= −1
2a
2a
b − 3a = 0 ∧ b − 3a = −2a
b = 3a ∧ b = a
quindi se b = 3a ∧ b = a il valore trovato è accettabile.
Sostituiamo a = 0 nel polinomio B
B =b−0=b
Determiniamo i valori che annullano B
b=0
se b = 0, poiché B = 0 l’equazione è un’identità
se b = 0, poiché B = 0 l’equazione è impossibile
Riassumendo:
290
18.11. RISOLUZIONE E DISCUSSIONE DELLE EQUAZIONI LETTERALI FRATTE
– se a = 0 ∧ b = 3a ∧ b = a, l’equazione è determinata e
ß
S=
b − 3a
2a
™
– se a = 0 ∧ (b = 3a ∨ b = a), l’equazione è impossibile e
S=∅
– se a = 0 ∧ b = 0, l’equazione è un’identità e
S = R − {0, −1}
– se a = 0 ∧ b = 0, l’equazione è impossibile e
S=∅
• Risolviamo l’equazione
3
a+1
=
x−3
ax
scriviamo le condizioni di esistenza:
CE: x = 3 ∧ x = 0 ∧ a = 0
trasformiamo l’equazione in forma normale:
(1 − 2a) x = 3a + 3
quindi
A = 1 − 2a
B = 3a + 3
Se a = 0 l’equazione perde significato.
Determiniamo i valori dei parametri che soddisfano le CE e non annullano il polinomio A:
a = 0 ∧ 1 − 2a = 0
a=0∧a=
1
2
se a = 0 ∧ a =
x=
1
ricaviamo l’incognita
2
3a + 3
1 − 2a
determiniamo i valori del parametro a per i quali x soddisfa le condizioni di esistenza:
3a + 3
3a + 3
=3∧
=0
1 − 2a
1 − 2a
3a + 3 = 3 − 6a ∧ 3a + 3 = 0
a = 0 ∧ a = −1
a = −1
quindi se a = −1 il valore trovato è accettabile.
1
Sostituiamo a = nel polinomio B
2
1
9
B =3 +3=
2
2
poiché B = 0 l’equazione è impossibile
Riassumendo:
291
CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO
– se a = 0, l’equazione perde significato
1
– se a = 0 ∧ a = ∧ a = −1, l’equazione è determinata e
2
ß
S=
3a + 3
1 − 2a
™
– se a = −1, l’equazione è impossibile e
S=∅
1
– se a = , l’equazione è impossibile e
2
S=∅
18.12
Risoluzione di problemi con equazioni
Per risolvere i problemi utilizzando le equazioni:
1. si decide quale variabile è l’incognita e si scrivono le condizioni a cui deve soddisfare
2. si esprimono le altre variabili in funzione dell’incognita e si scrivono le condizioni a cui devono
soddisfare
3. si traduce l’enunciato del problema in un’equazione
4. si risolve l’equazione
5. si controlla se la soluzione soddisfa le condizioni poste
Esempio 18.12.1.
• Determinare le misure della base e dell’altezza di un rettangolo avente il perimetro di 20 cm nei
seguenti tre casi:
1. la base supera l’altezza di 2 cm;
2. la somma della base con l’altezza misura 10 cm;
3. la differenza fra la base e l’altezza è di 12 cm.
1. Indichiamo con x la misura dell’altezza
x deve essere un numero reale positivo.
Poiché la base supera di 2 cm l’altezza, la base è x + 2 Poiché x è un numero reale positivo
anche la base lo è.
Traduciamo l’enunciato del problema nell’equazione
2 (x + x + 2) = 20
risolviamo l’equazione
x=4
il numero 4 soddisfa le condizioni poste, quindi l’equazione è determinata e S = {4}.
L’altezza è 4 cm e la base
(4 + 2)cm = 6cm
292
18.12. RISOLUZIONE DI PROBLEMI CON EQUAZIONI
2. Indichiamo con x la misura dell’altezza
x deve essere un numero reale positivo.
Poiché la somma delle base con l’altezza è 10 cm, la base è 10 − x, 10 − x deve essere un
numero reale positivo, cioè x < 10, quindi 0 < x < 10.
Traduciamo l’enunciato del problema nell’equazione
2 (x + 10 − x) = 20
risolviamo l’equazione
0x = 0
quindi l’equazione è un’identità e S = {x ∈ R/0 < x < 10}.
L’altezza è un numero compreso tra 0 e 10 cm e la base è 10 meno l’altezza.
3. Indichiamo con x la misura dell’altezza
x deve essere un numero reale positivo.
Poiché la differenza fra la base e l’altezza è 12 cm, la base è x + 12.
Traduciamo l’enunciato del problema nell’equazione
2 (x + x + 12) = 20
risolviamo l’equazione
x = −1
il numero −1 non soddisfa le condizioni poste, quindi l’equazione è impossibile e S = ∅.
Il problema non ha soluzione.
• Determinare un numero naturale sapendo che, se al suo doppio si aggiunge 5, si ottiene il suo
triplo.
Indichiamo con x il numero da trovare
x deve essere un numero naturale.
Traduciamo l’enunciato del problema nell’equazione
2x + 5 = 3x
risolviamo l’equazione
x=5
Il numero 5 soddisfa le condizioni poste quindi l’equazione è determinata e S = {5}.
Il numero naturale è 5.
• Determinare un numero naturale sapendo che sommando ad esso il suo successivo si ottiene 6.
Indichiamo con x il numero da trovare
x deve essere un numero naturale
il successivo di x è x + 1
Traduciamo l’enunciato del problema nell’equazione
x+x+1=6
risolviamo l’equazione
x=
5
2
5
Il numero non soddisfa le condizioni poste, quindi l’equazione è impossibile e S = ∅.
2
Il problema non ha soluzione.
293
CAPITOLO 18. EQUAZIONI DI PRIMO GRADO
• In una famiglia la madre ha il triplo degli anni della figlia; fra 10 anni l’età della madre supererà
di 12 anni il doppio dell’età della figlia. Determinare l’età della madre
Indichiamo con x l’età attuale della figlia, x deve essere un numero reale positivo. Se x è l’età
attuale della figlia, allora 3x è l’età attuale della madre. Fra 10 anni l’età della figlia sarà x + 10
e quella della madre sarà 3x + 10. Traduciamo l’enunciato del problema nell’equazione
3x + 10 = 2 (x + 10) + 12
risolviamo l’equazione
x = 22
Il numero 22 soddisfa le condizioni poste quindi l’equazione è determinata e S = {22}.
L’età attuale della madre è 66 anni.
• Antonio ha 18 anni più di Luigi e fra tre anni la somma delle loro età sarà 23 anni. Quanti anni
ha Luigi?
Indichiamo con x l’età attuale di Luigi, x deve essere un numero reale positivo. Se x è l’età
attuale di Luigi allora x + 18 è l’età attuale di Antonio. Fra 3 anni l’età di Luigi sarà x + 3 e
quella di Antonio sarà x + 18 + 3.
Traduciamo l’enunciato del problema nell’equazione
x + 3 + x + 18 + 3 = 23
risolviamo l’equazione
x=−
1
2
1
Il numero − non soddisfa le condizioni poste, quindi l’equazione è impossibile e S = ∅.
2
Il problema non ha soluzione.
294
Capitolo 19
Strutture algebriche
19.1
19.1.1
Insiemi numerici
Numeri naturali
L’insieme dei numeri naturali viene indicato con N
N = {0, 1, 2, 3, . . .}
L’insieme dei numeri naturali privato dello 0 viene indicato con N0
N0 = {1, 2, 3, . . .}
19.1.2
Numeri pari naturali
L’insieme dei numeri pari naturali viene indicato con P
P = {0, 2, 4, . . .}
L’insieme dei numeri pari privato dello 0 viene indicato con P0
P0 = {2, 4, . . .}
19.1.3
Numeri dispari naturali
L’insieme dei numeri dispari naturali viene indicato con D
D = {1, 3, 5, . . .}
19.1.4
Numeri interi
L’insieme dei numeri interi viene indicato con Z
Z = {. . . , −3, −2, −1, 0, 1, 2, 3, . . .}
L’insieme dei numeri interi privato dello 0 viene indicato con Z0
Z0 = {. . . , −3, −2, −1, 1, 2, 3, . . .}
19.1.5
Numeri razionali
L’insieme dei numeri razionali, cioè l’insieme dei numeri decimali limitati e illimitati periodici, viene
indicato con Q.
L’insieme dei numeri razionali privato dello 0 viene indicato con Q0
19.1.6
Numeri irrazionali
L’insieme dei numeri irrazionali, cioè l’insieme dei numeri decimali illimitati non periodici, viene indicato con I.
295
CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE
19.1.7
Numeri reali
L’insieme dei numeri reali, cioè l’insieme dei numeri razionali e irrazionali, viene indicato con R.
L’insieme dei numeri reali privato dello 0 viene indicato con R0
19.1.8
Numeri complessi
L’insieme dei numeri complessi, cioè l’insieme dei numeri della forma a + ib con a, b reali e i unità
immaginaria, viene indicato con C.
L’insieme dei numeri complessi privato dello 0 viene indicato con C0
19.1.9
Classi di resto
Una classe di resto di modulo n è l’insieme dei numeri interi che divisi per n danno lo stesso resto.
Esempio 19.1.1.
La classe di resto [0] di modulo 3 è formata dai numeri interi che divisi per 3 danno resto 0
[0] = {. . . , −9, −6, −3, 0, 3, 6, 9, . . .}
La classe di resto [1] di modulo 3 è formata dai numeri interi che divisi per 3 danno resto 1
[1] = {. . . , −10, −7, −4, −1, 1, 4, 7, 10, . . .}
L’insieme delle classi di resto di modulo n, si indica con Zn
Esempio 19.1.2.
L’insieme delle classi di resto di modulo 3 è
Z3 = {[0], [1], [2]}
19.2
Operazioni
Definizione 19.2.1 (Operazione binaria interna).
Si dice operazione binaria interna in un insieme A una funzione da A × A in A.
In simboli:
f :A×A→A
f (a, b) = c
a è detto primo termine, b secondo termine e c risultato dell’operazione.
Generalmente un’operazione si indica con i simboli ∗ oppure e invece della notazione
c = ∗(a, b)
si preferisce la notazione
c=a∗b
L’operazione si dice binaria perché opera su due termini e interna perché il risultato appartiene
all’insieme A.
L’insieme A si dice chiuso rispetto all’operazione ∗.
Nel seguito, parlando di operazione, si intenderà sempre operazione binaria interna.
Esempio 19.2.1.
L’addizione in N è un’operazione
La sottrazione in N non è un’operazione
L’unione nell’insieme delle parti di un insieme è un’operazione
296
19.3. STRUTTURE
Se l’insieme A è finito, l’operazione ∗ può essere definita mediante una tabella.
Se a e b sono elementi di A, allora all’incrocio della riga a con la colonna b si trova l’elemento a ∗ b
Esempio 19.2.2.
Dato
A = {a, b, c}
l’operazione ∗ può essere definita mediante la tabella:
∗ a b
a b
c
c a
b a c
b
c a a b
a∗a=b
a∗b=c
etc.
Un’operazione si può definire utilizzando operazioni già note.
Esempio 19.2.3.
L’operazione ∗ può essere definita in questo modo:
∀a, b ∈ R a ∗ b = a2 + 2ab + b2
Teorema 19.2.1.
Dato un insieme A e un’operazione ∗ in A
∀a, b, c ∈ A a = b ⇒ a ∗ c = b ∗ c ∧ c ∗ a = c ∗ b
Dimostrazione
Se a = b allora (a, c) = (b, c) e quindi a ∗ c = b ∗ c per definizione di funzione.
Se a = b allora (c, a) = (c, b) e quindi c ∗ a = c ∗ b per definizione di funzione.
19.3
Strutture
Definizione 19.3.1 (Struttura algebrica).
Si dice struttura algebrica un insieme A dotato di una o più operazioni ∗1 , ∗2 , . . . , ∗n .
La struttura algebrica si indica con:
(A, ∗1 , ∗2 , . . . , ∗n )
A è detto supporto o sostegno della struttura, ∗1 prima operazione, ∗2 seconda operazione, e così via.
Esempio 19.3.1.
Sono strutture algebriche:
(N, +)
(N, +, ·)
(Z, −)
(Q, +, ·)
Definizione 19.3.2 (Sottostruttura algebrica).
Si dice sottostruttura di una struttura algebrica (A, ∗1 , ∗2 , . . . , ∗n ) la struttura (A , ∗1 , ∗2 , . . . , ∗n )) con
A ⊆ A e A chiuso rispetto alle operazione ∗1 , ∗2 , . . . , ∗n .
Esempio 19.3.2.
La struttura (P, +) è una sottostruttura di (N, +).
La struttura (D, +) non è una sottostruttura di (N, +) perché D non è chiuso rispetto all’operazione
+.
297
CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE
19.4
19.4.1
Proprietà delle operazioni
Commutativa
Definizione 19.4.1 (Commutativa).
Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà commutativa se e solo se
∀a, b ∈ A a ∗ b = b ∗ a
Esempio 19.4.1.
L’addizione in N gode della proprietà commutativa
La moltiplicazione in N gode della proprietà commutativa
L’unione nell’insieme delle parti di A gode della proprietà commutativa
La composizione di funzioni nell’insieme delle funzioni da R → R non gode della proprietà commutativa
La sottrazione in Z non gode della proprietà commutativa.
19.4.2
Idempotenza
Definizione 19.4.2 (Idempotenza).
Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di idempotenza se e solo se
∀a ∈ A a ∗ a = a
Esempio 19.4.2.
L’addizione in N non gode della proprietà di idempotenza
La moltiplicazione in N non gode della proprietà di idempotenza
L’unione nell’insieme delle parti di A gode della proprietà di idempotenza.
19.4.3
Associativa
Definizione 19.4.3 (Associativa).
Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà associativa se e solo se
∀a, b, c ∈ A (a ∗ b) ∗ c = a ∗ (b ∗ c)
Esempio 19.4.3.
L’addizione in N gode della proprietà associativa
La moltiplicazione in N gode della proprietà associativa
L’unione nell’insieme delle parti di A gode della proprietà associativa
La composizione di funzioni nell’insieme delle funzioni da R → R gode della proprietà associativa
La sottrazione in Z non gode della proprietà associativa.
19.4.4
Esistenza dell’elemento neutro
Definizione 19.4.4 (Esistenza dell’elemento neutro a sinistra).
Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di esistenza dell’elemento neutro a sinistra se e
solo se
∃us ∈ A/∀a ∈ A us ∗ a = a
Definizione 19.4.5 (Esistenza dell’elemento neutro a destra).
Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di esistenza dell’elemento neutro a destra se e
solo se
∃ud ∈ A/∀a ∈ A a ∗ ud = a
Definizione 19.4.6 (Esistenza dell’elemento neutro).
Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di esistenza dell’elemento neutro se e solo se
∃u ∈ A/∀a ∈ A u ∗ a = a ∗ u = a
298
19.4. PROPRIETÀ DELLE OPERAZIONI
Esempio 19.4.4.
L’addizione in N gode della proprietà di esistenza dell’elemento neutro che è 0
La moltiplicazione in N gode della proprietà di esistenza dell’elemento neutro che è 1
L’unione nell’insieme delle parti di A gode della proprietà di esistenza dell’elemento neutro che è
l’insieme vuoto
La composizione di funzioni nell’insieme delle funzioni da R → R gode della proprietà di esistenza
dell’elemento neutro che è la funzione identità
La potenza in N0 gode della proprietà di esistenza dell’elemento neutro a destra che è 1
Teorema 19.4.1.
Se un’operazione ∗ in un insieme A, ammette elemento neutro a sinistra us e elemento neutro a destra
ud , allora us = ud
Dimostrazione
Poiché us è elemento neutro a sinistra, si ha
us ∗ ud = ud
Poiché ud è elemento neutro a destra, si ha
us ∗ ud = us
Quindi
ud = us
Da questo teorema si deduce:
Teorema 19.4.2 (Elemento neutro).
Un’operazione ∗ in un insieme A ammette elemento neutro se e solo se ammette elemento neutro a
destra e elemento neutro a sinistra.
Teorema 19.4.3 (Unicità elemento neutro).
Se un’operazione ∗ in un insieme A ammette elemento neutro, esso è unico.
Dimostrazione
Supponiamo per assurdo che esistano due elementi neutri distinti u1 e u2 .
Poiché u1 è elemento neutro, si ha
u1 ∗ u2 = u2
Poiché u2 è elemento neutro, si ha
u1 ∗ u2 = u1
da cui
u2 = u1
19.4.5
Esistenza dell’elemento nullificatore
Definizione 19.4.7 (Esistenza dell’elemento nullificatore a sinistra).
Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore a sinistra
se e solo se
∃ns ∈ A/∀a ∈ A ns ∗ a = ns
Definizione 19.4.8 (Esistenza dell’elemento nullificatore a destra).
Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore a destra
se e solo se:
∃nd ∈ A/∀a ∈ A a ∗ nd = nd
299
CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE
Definizione 19.4.9 (Esistenza dell’elemento nullificatore).
Un’operazione ∗ in un insieme A gode della proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore se e solo
se
∃n ∈ A/∀a ∈ A n ∗ a = a ∗ n = n
Esempio 19.4.5.
L’addizione in N non gode della proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore.
La moltiplicazione in N gode della proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore che è 0
L’unione nell’insieme delle parti di A gode della proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore che
èA
La composizione di funzioni nell’insieme delle funzioni da R → R gode della proprietà di esistenza
dell’elemento nullificatore che è la funzione nulla
La potenza in N0 gode della proprietà di esistenza dell’elemento nullificatore a sinistra che è 1
Teorema 19.4.4.
Se un’operazione ∗ in un insieme A, ammette elemento nullificatore a sinistra ns e elemento nullificatore
a destra nd , allora ns = nd
Dimostrazione
Poiché ns è elemento nullificatore a sinistra, si ha
ns ∗ nd = ns
Poiché nd è elemento nullificatore a destra, si ha
ns ∗ nd = nd
Quindi
ns = nd
Da questo teorema si deduce:
Teorema 19.4.5 (Elemento nullificatore).
Un’operazione ∗ in un insieme A ammette elemento nullificatore se e solo se ammette elemento
nullificatore a destra e elemento nullificatore a sinistra.
Teorema 19.4.6 (Unicità elemento nullificatore).
Se un’operazione ∗ in un insieme A ammette elemento nullificatore, esso è unico.
Dimostrazione
Supponiamo per assurdo che esistano due elementi nullificatori distinti n1 e n2 .
Poiché n1 è elemento nullificatore, si ha
n1 ∗ n2 = n1
Poiché n2 è elemento nullificatore, si ha
n1 ∗ n2 = n2
da cui
n1 = n2
300
19.4. PROPRIETÀ DELLE OPERAZIONI
19.4.6
Esistenza dell’elemento inverso
Definizione 19.4.10 (Esistenza dell’elemento inverso a sinistra).
Sia ∗ un’operazione in un insieme A dotata di elemento neutro u. Un elemento a ∈ A ammette
elemento inverso a sinistra, se e solo se
∃as ∈ A/as ∗ a = u
Definizione 19.4.11 (Esistenza dell’elemento inverso a destra).
Sia ∗ un’operazione in un insieme A dotata di elemento neutro u. Un elemento a ∈ A ammette
elemento inverso a destra, se e solo se
∃ad ∈ A/a ∗ ad = u
Definizione 19.4.12 (Esistenza dell’elemento inverso).
Sia ∗ un’operazione in un insieme A dotata di elemento neutro u. Un elemento a ∈ A ammette
elemento inverso, se e solo se
∃a ∈ A/a ∗ a = a ∗ a = u
Esempio 19.4.6.
L’elemento inverso
L’elemento inverso
L’elemento inverso
L’elemento inverso
L’elemento inverso
L’elemento inverso
0 rispetto all’addizione in N è 0
2 rispetto all’addizione in N non esiste
2 rispetto all’addizione in Z è −2
1 rispetto alla moltiplicazione in Z è 1
−1 rispetto alla moltiplicazione in Z è −1
2 rispetto alla moltiplicazione in N non esiste
1
L’elemento inverso di 2 rispetto alla moltiplicazione in Q è
2
di
di
di
di
di
di
Teorema 19.4.7.
Sia ∗ un’operazione in un insieme A dotata di elemento neutro u e che gode della proprietà associativa.
Se un elemento a ∈ A ammette elemento inverso a sinistra as e elemento inverso a destra ad allora
as = ad .
Dimostrazione
Poiché as è elemento inverso a sinistra di a, si ha
(as ∗ a) ∗ ad = u ∗ ad = ad
Poiché ad è elemento inverso a destra di a, si ha
as ∗ (a ∗ ad ) = as ∗ u = as
Poiché ∗ gode della proprietà associativa, si ha
(as ∗ a) ∗ ad = as ∗ (a ∗ ad )
e quindi
ad = as
Da questo teorema si deduce
Teorema 19.4.8 (Elemento inverso).
Sia ∗ un’operazione in un insieme A dotata di elemento neutro u e che gode della proprietà associativa.
Un elemento a ∈ A ammette elemento inverso, se e solo se ammette elemento inverso a destra e
elemento inverso a sinistra.
Teorema 19.4.9 (Unicità dell’elemento inverso).
Sia ∗ un’operazione in un insieme A dotata di elemento neutro u e che gode della proprietà associativa.
Se un elemento a ∈ A ammette elemento inverso esso è unico.
301
CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE
Dimostrazione
Supponiamo per assurdo che esistano due elementi inversi distinti di a: a1 e a2 .
Poiché a1 è elemento inverso di a, si ha
(a1 ∗ a) ∗ a2 = u ∗ a2 = a2
Poiché a2 è elemento inverso di a, si ha
a1 ∗ (a ∗ a2 ) = a1 ∗ u = a1
Poiché ∗ gode della proprietà associativa, si ha
(a1 ∗ a) ∗ a2 = a1 ∗ (a ∗ a2 )
e quindi
a2 = a1
Definizione 19.4.13 (Esistenza dell’elemento inverso).
Un’operazione ∗ in un insieme A dotata di elemento neutro u gode della proprietà di esistenza
dell’elemento inverso, se e solo se
∀a ∈ A ∃a ∈ A/a ∗ a = a ∗ a = u
Esempio 19.4.7.
L’addizione in N non gode della proprietà di esistenza dell’inverso
L’addizione in Z gode della proprietà di esistenza dell’inverso
La moltiplicazione in N non gode della proprietà di esistenza dell’inverso
La moltiplicazione in Q0 gode della proprietà di esistenza dell’inverso
19.4.7
Distributiva
Definizione 19.4.14 (Distributiva a sinistra).
Siano ∗ e due operazioni in un insieme A. L’operazione
rispetto all’operazione ∗, se e solo se
gode della proprietà distributiva a sinistra
∀a, b, c ∈ A a (b ∗ c) = (a b) ∗ (a c)
Definizione 19.4.15 (Distributiva a destra).
Siano ∗ e due operazioni in un insieme A. L’operazione
rispetto all’operazione ∗, se e solo se
gode della proprietà distributiva a destra
∀a, b, c ∈ A (a ∗ b) c = (a c) ∗ (b c)
Definizione 19.4.16 (Distributiva).
Siano ∗ e due operazioni in un insieme A. L’operazione gode della proprietà distributiva rispetto
all’operazione ∗, se e solo se gode delle proprietà distributive a destra e a sinistra
Esempio 19.4.8.
La moltiplicazione gode della proprietà distributiva rispetto all’addizione in N
L’addizione non gode della proprietà distributiva rispetto alla moltiplicazione in N
L’ unione gode della proprietà distributiva rispetto all’intersezione nell’insieme delle parti di A
L’ intersezione gode della proprietà distributiva rispetto all’unione nell’insieme delle parti di A
La potenza gode della proprietà distributiva a destra rispetto alla moltiplicazione in N
19.4.8
Assorbimento
Definizione 19.4.17 (Assorbimento).
Le operazioni ∗ e in un insieme A godono della proprietà di assorbimento, se e solo se
∀a, b ∈ A a (a ∗ b) = a ∗ (a b) = a
Esempio 19.4.9.
La moltiplicazione e l’addizione in N non godono della proprietà di assorbimento
L’ unione e l’intersezione nell’insieme delle parti di A godono della proprietà di assorbimento
302
19.5. STUDIO DI UN’OPERAZIONE
19.5
Studio di un’operazione
Studiare un’operazione significa individuare le proprietà di cui essa gode.
19.5.1
Proprietà di un’operazione definita mediante tabella
Se l’operazione è definita mediante una tabella, le proprietà si possono dimostrare analizzando tutti i
casi possibili perché l’insieme è finito.
Esempio 19.5.1.
Data l’operazione ∗ definita mediante la tabella:
∗ a b
c
a c a a
b a b
c
c a c
c
verifichiamo se gode della proprietà associativa.
(a ∗ a) ∗ a = c ∗ a = a
a ∗ (a ∗ a) = a ∗ c = a
(a ∗ a) ∗ b = c ∗ b = c
a ∗ (a ∗ b) = a ∗ a = c
e così via
Poiché questo metodo è lungo, per alcune proprietà si possono utilizzare metodi più brevi.
Commutativa
Un’operazione definita mediante una tabella gode della proprietà commutativa, se e solo se gli elementi
della tabella sono disposti simmetricamente rispetto alla diagonale principale.
Esempio 19.5.2.
L’operazione ∗ definita mediante la tabella:
∗ a b
c
a c a a
b a b
c
c a c
c
gode della proprietà commutativa.
Idempotenza
Un’operazione definita mediante una tabella gode della proprietà di idempotenza, se e solo se gli
elementi della diagonale principale sono uguali a quelli della riga esterna.
Esempio 19.5.3.
L’operazione ∗ definita mediante la tabella:
∗ a b
c
a a a a
b a b
c
c a c
c
gode della proprietà di idempotenza.
303
CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE
Elemento neutro
Un’operazione definita mediante una tabella ammette elemento neutro u, se e solo se gli elementi della
riga e della colonna di u sono rispettivamente uguali a quelli della riga e colonna esterne.
Esempio 19.5.4.
L’operazione ∗ definita mediante la tabella:
∗ a b
c
a c a a
b a b
c
c a c
c
ammette b come elemento neutro.
Elemento nullificatore
Un’operazione definita mediante una tabella ammette elemento nullificatore n, se e solo se la riga e la
colonna di n hanno come elementi n.
Esempio 19.5.5.
L’operazione ∗ definita mediante la tabella:
∗ a b
c
a a a a
b a b
c
c a c
c
ammette a come elemento nullificatore.
19.5.2
Proprietà di un’operazione definita mediante altre operazioni
Se l’operazione è definita mediante altre operazioni, le proprietà della nuova operazione si verificano
applicando le proprietà delle operazioni con le quali è definita.
Esempio 19.5.6.
Data l’operazione ∗ definita da:
∀a, b ∈ R a ∗ b = a2 + 2ab + b2
1. Verifichiamo se gode della proprietà commutativa
a ∗ b = a2 + 2ab + b2
b ∗ a = b2 + 2ba + a2 = a2 + 2ab + b2
Poiché
a∗b=b∗a
l’operazione gode della proprietà commutativa.
2. Verifichiamo se gode della proprietà associativa
(a ∗ b) ∗ c = (a2 + 2ab + b2 ) ∗ c = (a2 + 2ab + b2 )2 + 2(a2 + 2ab + b2 )c + c2 =
a4 + 4a2 b2 + b4 + 4a3 b + 4ab3 + 2a2 b2 + 2a2 c + 4abc + 2b2 c + c2 =
a4 + 6a2 b2 + b4 + 4a3 b + 4ab3 + 2a2 c + 4abc + 2b2 c + c2
a ∗ (b ∗ c) = a ∗ (b2 + 2bc + c2 ) = a2 + 2a(b2 + 2bc + c2 ) + (b2 + 2bc + c2 )2 =
304
19.6. CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE
a2 + 2ab2 + 4abc + 2ac2 + b4 + 4b2 c2 + c4 + 4b3 c + 4bc3 + 2b2 c2 =
a2 + 2ab2 + 4abc + 2ac2 + b4 + 6b2 c2 + c4 + 4b3 c + 4bc3
Poiché
(a ∗ b) ∗ c = a ∗ (b ∗ c)
l’operazione non gode della proprietà associativa.
3. Verifichiamo se ammette elemento neutro
a ∗ u = a2 + 2au + u2
a2 + 2au + u2 = a
u2 + 2au + a2 − a = 0
√
√
u = −a − a ∨ u = −a + a
Poiché u dipende da a, non esiste elemento neutro.
4. Poiché non esiste l’elemento neutro, l’operazione non gode della proprietà di esistenza dell’elemento inverso.
5. Verifichiamo se ammette elemento nullificatore
a ∗ n = a2 + 2an + n2
a2 + 2an + n2 = n
n2 + (2a − 1)n + a2 = 0
√
√
−2a + 1 − 1 − 4a
−2a + 1 + 1 − 4a
∨n=
n=
2
2
Poiché n dipende da a, non esiste elemento nullificatore.
6. Verifichiamo se gode della proprietà di idempotenza
a ∗ a = a2 + 2a2 + a2 = 3a2
3a2 = a
Poiché
a∗a=a
l’operazione non gode della proprietà di idempotenza.
19.6
Classificazione delle strutture
Le strutture algebriche si possono classificare in base alle proprietà delle operazioni.
Nelle strutture algebriche con un’operazione, indicheremo con ∗ l’operazione, con 0 l’elemento neutro,
con −x, l’elemento inverso di x.
Nelle strutture algebriche con due operazioni, indicheremo con ∗ la prima operazione, con la seconda
operazione, con 0 l’elemento neutro della prima operazione , con 1 l’elemento neutro della seconda
operazione, con −x l’elemento inverso di x rispetto alla prima operazione, con x−1 l’elemento inverso
di x rispetto alla seconda operazione
305
CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE
19.6.1
Semigruppo
Definizione 19.6.1 (Semigruppo).
Una struttura algebrica (A, ∗) si dice semigruppo, se ∗ gode della proprietà associativa
Esempio 19.6.1.
• Le strutture
(N, +)
(N, ·)
(Z, +)
(F, ◦) dove F è l’insieme delle funzioni reali di variabile reale
sono semigruppi
• Le strutture
(Z, −)
(N,∧ ) dove
∧
è la potenza
non sono semigruppi
19.6.2
Semigruppo commutativo
Definizione 19.6.2 (Semigruppo commutativo).
Una struttura algebrica (A, ∗) si dice semigruppo commutativo o abeliano, se ∗ gode delle proprietà
associativa e commutativa.
Esempio 19.6.2.
• Le strutture
(N, +)
(N, ·)
(Z, +)
sono semigruppi commutativi
• La struttura
(F, ◦) dove F è l’insieme delle funzioni reali di variabile reale
non è un semigruppo commutativo
19.6.3
Monoide
Definizione 19.6.3 (Monoide).
Una struttura algebrica (A, ∗) si dice monoide, se ∗ gode delle proprietà associativa e di esistenza
dell’elemento neutro
Esempio 19.6.3.
• Le strutture
(N, +)
(N, ·)
(Z, +)
(F, ◦) dove F è l’insieme delle funzioni reali di variabile reale
sono monoidi
• La struttura
(N0 , +)
non è un monoide
306
19.6. CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE
19.6.4
Monoide commutativo
Definizione 19.6.4 (Monoide commutativo).
Una struttura algebrica (A, ∗) si dice monoide commutativo o abeliano, se ∗ gode delle proprietà
associativa, commutative, di esistenza dell’elemento neutro.
Esempio 19.6.4.
• Le strutture
(N, +)
(N, ·)
(Z, +)
sono monoidi commutativi
• La struttura
(F, ◦) dove F è l’insieme delle funzioni reali di variabile reale
non è un monoide commutativo
19.6.5
Gruppo
Definizione 19.6.5 (Gruppo).
Una struttura algebrica (A, ∗) si dice gruppo, se ∗ gode delle proprietà associativa, di esistenza
dell’elemento neutro e di esistenza dell’elemento inverso.
Esempio 19.6.5.
• Le strutture
(Z, +)
(Q, +)
(Q0 , ·)
(B, ◦) dove B è l’insieme delle biezioni reali di variabile reale
sono gruppi
• Le strutture
(N, +)
(N, ·)
(F, ◦) dove F è l’insieme delle funzioni reali di variabile reale
non sono gruppi
Teorema 19.6.1 (Equazione).
Se (A, ∗) è un gruppo, allora l’equazione a ∗ x = b è risolubile per ogni a, b ∈ A
Dimostrazione
Dato a ∈ A indichiamo con −a l’elemento inverso di a
a∗x=b
−a ∗ (a ∗ x) = −a ∗ b
(−a ∗ a) ∗ x = −a ∗ b
0 ∗ x = −a ∗ b
x = −a ∗ b
307
CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE
Teorema 19.6.2 (Semplificazione a destra).
Se (A, ∗) è un gruppo
∀a, b, c ∈ A a ∗ c = b ∗ c ⇒ a = b
Dimostrazione
Dato c ∈ A indichiamo con −c l’elemento inverso di c
a∗c=b∗c
(a ∗ c) ∗ −c = (b ∗ c) ∗ −c
a ∗ (c ∗ −c) = b ∗ (c ∗ −c)
a∗0=b∗0
a=b
Teorema 19.6.3 (Semplificazione a sinistra).
Se (A, ∗) è un gruppo
∀a, b, c ∈ A c ∗ a = c ∗ b ⇒ a = b
Dimostrazione
Dato c ∈ A indichiamo con −c l’elemento inverso di c
c∗a=c∗b
(−c ∗ c) ∗ a = (−c ∗ c) ∗ b
0∗a=0∗b
a=b
19.6.6
Gruppo commutativo
Definizione 19.6.6 (Gruppo commutativo).
Una struttura algebrica (A, ∗) si dice gruppo commutativo o abeliano, se ∗ gode delle proprietà
associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro e di esistenza dell’elemento inverso
Esempio 19.6.6.
• Le strutture
(Z, +)
(Q, +)
(Q0 , ·)
sono gruppi commutativi
• La struttura
(B, ◦) dove B è l’insieme delle biezioni reali di variabile reale
non è un gruppo commutativo
308
19.6. CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE
• La struttura (A, ∗) dove
A = {1, −1, i, −i}
e ∗ è l’operazione definita da:
∗
1
−1
i
−i
1
1
−1
i
−i
1
−i
i
−i −1
1
−1 −1
i
i
−i
−i
i
1
−1
è un gruppo abeliano.
L’elemento neutro è 1
L’elemento inverso di 1 è 1
L’elemento inverso di −1 è −1
L’elemento inverso di i è −i
L’elemento inverso di −i è i
• La struttura (Z6 , ⊕) dove ⊕ è definita da:
[a] ⊕ [b] = [a + b]
cioè
⊕
[0] [1] [2] [3] [4] [5]
[0] [0] [1] [2] [3] [4] [5]
[1] [1] [2] [3] [4] [5] [0]
[2] [2] [3] [4] [5] [0] [1]
[3] [3] [4] [5] [0] [1] [2]
[4] [4] [5] [0] [1] [2] [3]
[5] [5] [0] [1] [2] [3] [4]
è un gruppo abeliano.
L’elemento neutro è [0]
L’elemento inverso di [0]
L’elemento inverso di [1]
L’elemento inverso di [2]
L’elemento inverso di [3]
L’elemento inverso di [4]
L’elemento inverso di [5]
è
è
è
è
è
è
[0]
[5]
[4]
[3]
[2]
[1]
Definizione 19.6.7 (Gruppo ciclico).
Una gruppo (A, ∗) si dice ciclico, se
∃a ∈ A/∀x ∈ A ∃n ∈ N/x = a ∗ . . . ∗ a
n volte
a è detto generatore del gruppo.
Esempio 19.6.7.
La struttura (Z6 , ⊕) è un gruppo ciclico con generatore [1], infatti:
[1]
[1] + [1] = [2]
309
CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE
[1] + [1] + [1] = [3]
[1] + [1] + [1] + [1] = [4]
[1] + [1] + [1] + [1] + [1] = [5]
[1] + [1] + [1] + [1] + [1] + [1] = [0]
abbiamo ottenuto tutti gli elementi di Z6
19.6.7
Anello
Definizione 19.6.8 (Anello).
Una struttura algebrica (A, ∗, ) si dice anello, se ∗ gode delle proprietà associativa, commutativa, di
esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso e gode delle proprietà associativa,
e distributiva rispetto a ∗
Esempio 19.6.8.
• Le strutture
(Z, +, ·)
(Q, +, ·)
sono anelli
• La struttura
(N, +, ·)
non è un anello
• La struttura (A, ∗, ) dove
A = {a, b, c, d}
∗ è definita da:
∗ a b
c d
a a b
c d
b
b a d c
c
c d a b
d d c
b a
è definita da:
a b
c d
a
a a a a
b
a b
c
a a a a
d
a b
c d
c d
è un anello.
L’elemento neutro di ∗ è a
L’elemento inverso di a rispetto a ∗ è a
L’elemento inverso di b rispetto a ∗ è b
L’elemento inverso di c rispetto a ∗ è c
L’elemento inverso di d rispetto a ∗ è d
∗ gode della proprietà commutativa
310
19.6. CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE
Teorema 19.6.4 (Elemento neutro e elemento nullificatore).
Se (A, ∗, ) è un anello, allora l’elemento neutro di ∗ è l’elemento nullificatore di
Dimostrazione
Dati x, y ∈ A, poiché 0 è elemento neutro di ∗ si ha
x y = (x ∗ 0) y
e
x y = (x y) ∗ 0
da cui
(x ∗ 0) y = (x y) ∗ 0
Applicando la proprietà distributiva si ottiene
(x y) ∗ (0 y) = (x y) ∗ 0
applicando la legge di semplificazione si ottiene
0 y=0
quindi 0 è elemento nullificatore per
Definizione 19.6.9 (Divisore dello 0 a sinistra).
Sia (A, ∗, ) un anello. Un elemento x ∈ A diverso da 0 si dice divisore dello zero a sinistra se esiste
y ∈ A diverso da 0, tale che x y = 0.
Definizione 19.6.10 (Divisore dello 0 a destra).
Sia (A, ∗, ) un anello. Un elemento x ∈ A diverso da 0 si dice divisore dello zero a destra se esiste
y ∈ A diverso da 0, tale che y x = 0.
Osservazione
Se x è divisore dello zero a sinistra y lo è a destra e viceversa.
Esempio 19.6.9.
• La struttura (Z6 , ⊕, ⊗) dove ⊕ è definita da:
[a] ⊕ [b] = [a + b]
cioè
⊕
[0] [1] [2] [3] [4] [5]
[0] [0] [1] [2] [3] [4] [5]
[1] [1] [2] [3] [4] [5] [0]
[2] [2] [3] [4] [5] [0] [1]
[3] [3] [4] [5] [0] [1] [2]
[4] [4] [5] [0] [1] [2] [3]
[5] [5] [0] [1] [2] [3] [4]
e ⊗ è definita da:
[a] ⊗ [b] = [a · b]
311
CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE
cioè
⊗
[0] [1] [2] [3] [4] [5]
[0] [0] [0] [0] [0] [0] [0]
[1] [0] [1] [2] [3] [4] [5]
[2] [0] [2] [4] [0] [2] [4]
[3] [0] [3] [0] [3] [0] [3]
[4] [0] [4] [2] [0] [4] [2]
[5] [0] [5] [4] [3] [2] [1]
è un anello.
[3] e [2] sono divisori dello zero, infatti
[3] ⊗ [2] = [0]
[2] ⊗ [3] = [0]
• Dato l’anello (Z4 , ⊕, ⊗), [2] è un divisore dello zero, infatti
[2] ⊗ [2] = [0]
Definizione 19.6.11 (Legge dell’annullamento del prodotto).
In un anello (A, ∗, ) vale la legge dell’annullamento del prodotto, se e solo se
∀x, y ∈ A x y = 0 ⇔ x = 0 ∨ y = 0
Teorema 19.6.5 (Legge dell’annullamento del prodotto).
In un anello (A, ∗, ) vale la legge dell’annullamento del prodotto, se e solo se è privo di divisori dello
zero.
19.6.8
Anello commutativo
Definizione 19.6.12 (Anello commutativo).
Una struttura algebrica (A, ∗, ) si dice anello commutativo o abeliano, se ∗ gode delle proprietà
associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso e
gode delle proprietà associativa, commutativa e distributiva rispetto a ∗
Esempio 19.6.10.
• Le strutture
(Z, +, ·)
(Q, +, ·)
sono anelli commutativi
• La struttura (A, ∗, ) dove
A = {a, b, c, d}
∗ è definita da:
∗ a b
c d
a a b
c d
b
b a d c
c
c d a b
d d c
b a
312
19.6. CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE
è definita da:
a b
c d
a
a a a a
b
a b
c
a a a a
d
a b
c d
c d
non è un anello commutativo perché
non gode della proprietà commutativa.
• Le strutture
(Z3 , ⊕, ⊗)
(Zn , ⊕, ⊗)
sono anelli commutativi
19.6.9
Anello con unità
Definizione 19.6.13 (Anello con unità).
Una struttura algebrica (A, ∗, ) si dice anello con unità, se ∗ gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso e gode delle proprietà
associativa, di esistenza dell’elemento neutro e distributiva rispetto a ∗
Esempio 19.6.11.
Le strutture
(Z, +, ·)
(Q, +, ·)
sono anelli con unità
19.6.10
Anello commutativo con unità
Definizione 19.6.14 (Anello commutativo con unità).
Una struttura algebrica (A, ∗, ) si dice anello commutativo con unità, se ∗ gode delle proprietà
associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso e
gode delle proprietà associativa, commutativa, di esistenza dell’elemento neutro e distributiva rispetto
a∗
Esempio 19.6.12.
• Le strutture
(Z, +, ·)
(Q, +, ·)
(Z3 , ⊕, ⊗)
sono anelli commutativi con unità
• La struttura
(Z[x], +, ·)
dove Z[x] è l’insieme dei polinomi nella variabile x a coefficienti in Z, + e · sono le operazioni
di addizione e moltiplicazione tra polinomi, è un anello commutativo con unità.
313
CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE
19.6.11
Dominio di integrità
Definizione 19.6.15 (Dominio di integrità).
Si dice dominio di integrità un anello commutativo con unità che non ha divisori dello zero
Definizione 19.6.16 (Legge dell’annullamento del prodotto).
In un anello (A, ∗, ) vale la legge dell’annullamento del prodotto, se e solo se
∀x, y ∈ A x y = 0 ⇔ x = 0 ∨ y = 0
Teorema 19.6.6 (Legge dell’annullamento del prodotto).
In un anello (A, ∗, ) vale la legge dell’annullamento del prodotto, se e solo se è privo di divisori dello
zero.
Esempio 19.6.13.
Le strutture
(Z, +, ·)
(Q, +, ·)
sono domini di integrità e quindi in esse vale la legge di annullamento del prodotto:
ab = 0 ⇔ a = 0 ∨ b = 0
19.6.12
Corpo
Definizione 19.6.17 (Corpo).
Una struttura algebrica (A, ∗, ) si dice corpo, se ∗ gode delle proprietà associativa, commutativa, di
esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso e gode delle proprietà associativa,
di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso in A0 e distributiva rispetto a ∗
Esempio 19.6.14.
• Le strutture
(Q, +, ·)
(R, +, ·)
sono corpi
• La struttura
(Z, +, ·)
non è un corpo
Teorema 19.6.7 (Divisori dello zero).
Un corpo (A, ∗, ) è privo di divisori dello 0.
Dimostrazione
Supponiamo per assurdo che esistano x, y ∈ A con x = 0 e y = 0 tali che
x y=0
Poiché x = 0 e (A, ∗, ) è un corpo, esiste l’elemento inverso x−1 di x.
Poiché 0 è l’elemento nullificatore di si ha
0 = x−1 0
Poiché x y = 0 si ha
0 = x−1 (x y)
314
19.6. CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE
Applicando la proprietà associativa si ottiene
0 = (x−1 x) y
0=1 y
0=y
Questo è assurdo perché abbiamo supposto y = 0, quindi un corpo è privo di divisori dello zero.
Conseguenza importante di questo teorema è che in ogni corpo vale la legge di annullamento del
prodotto.
19.6.13
Campo
Definizione 19.6.18 (Campo).
Una struttura algebrica (A, ∗, ) si dice campo, se ∗ gode delle proprietà associativa, commutativa, di
esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso e gode delle proprietà associativa,
commutativa, di esistenza dell’elemento neutro, di esistenza dell’elemento inverso in A0 e distributiva
rispetto a ∗
Esempio 19.6.15.
• Le strutture
(Q, +, ·)
(R, +, ·)
sono campi
• La struttura
(Zn , ⊕, ⊗)
con n primo è un campo.
Consideriamo il caso n = 3.
Abbiamo già visto che
(Z3 , ⊕, ⊗)
è un anello commutativo con unità.
[0] è l’elemento neutro di ⊕
[1] è l’elemento neutro di ⊗
L’elemento inverso di [1] rispetto a ⊗ è [1]
L’elemento inverso di [2] rispetto a ⊗ è [2]
19.6.14
Il campo dei numeri complessi
Consideriamo l’insieme
R2 = R × R = {(a, b)/a, b ∈ R}
In R2 definiamo le operazioni ∗ e
:
∀(a, b), (c, d) ∈ R2
(a, b) ∗ (c, d) = (a + c, b + d)
∀(a, b), (c, d) ∈ R2
(a, b) (c, d) = (ac − bd, ad + bc)
Le operazioni ∗ e sono ben definite perché il risultato è ancora un elemento di R2 .
Dimostriamo che (R2 , ∗, ) è un campo.
315
CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE
• Proprietà associativa di ∗
∀(a, b), (c, d), (e, f ) ∈ R2
((a, b) ∗ (c, d)) ∗ (e, f ) = (a + c, b + d) ∗ (e, f ) = ((a + c) + e, (b + d) + f ) =
(a + c + e, b + d + f )
(a, b) ∗ ((c, d) ∗ (e, f )) = (a, b) ∗ (c + e, d + f ) = (a + (c + e), b + (d + f )) =
(a + c + e, b + d + f )
quindi ∗ gode della proprietà associativa.
• Proprietà commutativa di ∗
∀(a, b), (c, d) ∈ R2
(a, b) ∗ (c, d) = (a + c, b + d)
(c, d) ∗ (a, b) = (c + a, d + b) = (a + c, b + d)
quindi ∗ gode della proprietà commutativa.
• Proprietà di esistenza dell’elemento neutro di ∗
Se (x, y) ∈ R2 è l’elemento neutro di ∗, si ha:
∀(a, b) ∈ R2
(a, b) ∗ (x, y) = (a, b)
(a + x, b + y) = (a, b)
a+x=a
b+y =b
x=0
y=0
Quindi (0, 0) è l’elemento neutro di ∗.
• Proprietà di esistenza dell’elemento inverso rispetto a ∗
∀(a, b) ∈ R2
indicando con (x, y) ∈ R2 l’elemento inverso di (a, b) rispetto ad ∗, si ha:
(a, b) ∗ (x, y) = (0, 0)
(a + x, b + y) = (0, 0)
a+x=0
b+y =0
x = −a
y = −b
Quindi (−a, −b) è l’elemeno inverso di (a, b) rispetto a ∗.
316
19.6. CLASSIFICAZIONE DELLE STRUTTURE
• Proprietà associativa di
∀(a, b), (c, d), (e, f ) ∈ R2
((a, b) (c, d)) (e, f ) = (ac − bd, ad + bc) (e, f ) =
((ac − bd)e − (ad + bc)f, (ac − bd)f + (ad + bc)e) =
(ace − bde − adf − bcf, acf − bdf + ade + bce)
(a, b) ((c, d) (e, f )) = (a, b) (ce − df, cf + de) =
(a(ce − df ) − b(cf + de), a(cf + de) + b(ce − df )) =
(ace − adf − bcf − bde, acf + ade + bce − bdf )
Quindi
gode della proprietà associativa
• Proprietà commutativa di
∀(a, b), (c, d) ∈ R2
(a, b) (c, d) = (ac − bd, ad + bc)
(c, d) (a, b) = (ca − db, da + cb) = (ac − bd, ad + bc)
Quindi
gode della proprietà commutativa
• Proprietà di esistenza dell’elemento neutro di
Se (x, y) ∈ R2 è l’elemento neutro di , si ha:
∀(a, b) ∈ R2
(a, b) (x, y) = (a, b)
(ax − by, ay + bx) = (a, b)
ax − by = a
ay + bx = b
ax − by = a
bx + ay = b
D=
a −b
b
Dx =
Dy =
= a2 + b2
a
a −b
b
a
a a
b
b
= a2 + b2
=0
Se (a, b) = (0, 0), si ha:
x=1
y=0
Poiché
(0, 0) (1, 0) = (0, 0)
(1, 0) è l’elemento neutro di
.
317
CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE
• Proprietà di esistenza dell’elemento inverso rispetto a
∀(a, b) ∈ R2 /(a, b) = (0, 0)
indicando con (x, y) ∈ R2 l’elemento inverso di (a, b) rispetto a
, si ha:
(a, b) (x, y) = (1, 0)
(ax − by, ay + bx) = (1, 0)
ax − by = 1
ay + bx = 0
ax − by = 1
bx + ay = 0
D=
a −b
b
Dx =
Dy =
= a2 + b2
a
1 −b
0
a
a 1
b 0
=a
= −b
Poiché D = 0, si ha:
a
a2 + b2
−b


y =
2
a + b2



x =
Å
Quindi
−b
a
,
a2 + b2 a2 + b2
• Proprietà distributiva di
ã
è l’elemento inverso di (a, b) rispetto a
.
rispetto a ∗
∀(a, b), (c, d), (e, f ) ∈ R2
(a, b) ((c, d) ∗ (e, f )) =
(a, b) (c + e, d + f ) = (a(c + e) − b(d + f ), a(d + f ) + b(c + e)) =
(ac + ae − bd − bf, ad + af + bc + be)
((a, b) (c, d)) ∗ ((a, b) (e, f )) = (ac − bd, ad + bc) ∗ (ae − bf, af + be) =
(ac − bd + ae − bf, ad + bc + af + be)
Quindi
gode della proprietà distributiva rispetto a ∗.
Pertanto (R2 , ∗, ) è un campo.
Tale struttura si indica anche con
(C, ∗, )
e l’insieme C viene detto insieme dei numeri complessi.
318
19.7. STRUTTURE ALGEBRICHE CON INSIEMI NUMERICI
19.7
Strutture algebriche con insiemi numerici
(N, +) è un monoide commutativo
(N, ·) è un monoide commutativo
(Z, +) è un gruppo commutativo
(Z, ·) è un monoide commutativo
(Q, +) è un gruppo commutativo
(Q0 , ·) è un gruppo commutativo
(R, +) è un gruppo commutativo
(R0 , ·) è un gruppo commutativo
(C, +) è un gruppo commutativo
(C0 , ·) è un gruppo commutativo
(Z, +, ·) è un anello commutativo con unità
(Q, +, ·) è un campo
(R, +, ·) è un campo
(C, +, ·) è un campo
19.8
Morfismo
Definizione 19.8.1 (Morfismo).
Date due strutture algebriche (A, ∗) e (A , ∗ ), si dice morfismo una funzione f : A → A che gode
della seguente proprietà:
∀a, b ∈ A f (a ∗ b) = f (a) ∗ f (b)
La definizione di morfismo si può estendere al caso di strutture dotate di più operazioni.
Esempio 19.8.1.
• Date le strutture (R, +) e (R, ·), la funzione
f :R→R
f (x) = 2x
è un morfismo.
Infatti:
∀x, y ∈ R f (x + y) = 2x+y = 2x · 2y = f (x) · f (y)
• Date le strutture (Z, +) e (Z+ ∪ {0}, +), la funzione
f : Z → Z+ ∪ {0}
f (x) = x2
non è un morfismo.
Infatti:
∀x, y ∈ Z f (x + y) = (x + y)2 = x2 + y 2 + 2xy
∀x, y ∈ Z f (x) + f (y) = x2 + y 2
• Date le strutture (Z, ·) e (Z+ ∪ {0}, ·), la funzione
f : Z → Z+ ∪ {0}
f (x) = x2
è un morfismo.
Infatti:
∀x, y ∈ Z f (x · y) = (x · y)2 = x2 · y 2
∀x, y ∈ Z f (x) · f (y) = x2 · y 2
319
CAPITOLO 19. STRUTTURE ALGEBRICHE
19.9
Isomorfismo
Definizione 19.9.1 (Isomorfismo).
Si dice isomorfismo un morfismo biettivo.
Definizione 19.9.2 (Strutture isomorfe).
Due strutture si dicono isomorfe se esiste un isomorfismo tra di esse.
Due strutture isomorfe possono essere tra loro identificate.
Esempio 19.9.1.
Date le strutture (N, +) e (P, +), la funzione
f :N→P
f (x) = 2x
è un isomorfismo.
Infatti f è un morfismo poiché
∀x, y ∈ N f (x + y) = 2(x + y) = 2x + 2y = f (x) + f (y)
Poiché f è una biezione, f è un isomorfismo
Definizione 19.9.3 (Ampliamento).
Se una struttura (A , ∗ ) è isomorfa ad una sottostruttura (A, ∗) di (B, ∗), si dice che (B, ∗) è un
ampliamento di (A , ∗ )
19.9.1
Numeri complessi come ampliamento dei numeri reali
Consideriamo le strutture (R, +, ·) e (C, ∗, ) dove ∗ e
sono le operazioni definite da
∀(a, b), (c, d) ∈ C (a, b) ∗ (c, d) = (a + c, b + d)
∀(a, b), (c, d) ∈ C (a, b) (c, d) = (ac − bd, ad + bc)
Sia
E = {(x, 0)/x ∈ R}
Dimostriamo che (E, ∗, ) è una sottostruttura di (C, ∗, ).
• E⊆C
• E è chiuso rispetto a ∗:
∀(x, 0), (y, 0) ∈ E
(x, 0) ∗ (y, 0) = (x + y, 0) ∈ E
• E è chiuso rispetto a
∀(x, 0), (y, 0) ∈ E
:
(x, 0) (y, 0) = (xy, 0) ∈ E
Sia
f :R→E
f (x) = (x, 0)
Dimostriamo che f è un isomorfismo tra (R, +, ·) e (E, ∗, ).
320
19.9. ISOMORFISMO
• ∀x, y ∈ R
f (x + y) = (x + y, 0)
f (x) ∗ f (y) = (x, 0) ∗ (y, 0) = (x + y, 0)
• ∀x, y ∈ R
f (xy) = (xy, 0)
f (x) f (y) = (x, 0) (y, 0) = (xy, 0)
• f è biettiva
Quindi f è un isomorfismo.
Pertanto (C, ∗, ) è un ampliamento di (R, +, ·).
Identificando le operazioni ∗ e con le operazioni + e · si ha:
∀(a, b), (c, d) ∈ R2
(a, b) + (c, d) = (a + c, b + d)
∀(a, b), (c, d) ∈ R2
(a, b) · (c, d) = (ac − bd, ad + bc)
si ottiene la struttura
(C, +, ·)
Dato (a, b) ∈ C si ha
(a, b) = (a, 0) + (0, b) = (a, 0) + (0, 1)(b, 0)
Identificando gli elementi di R con quelli di E nel modo seguente
x = (x, 0)
e ponendo (0, 1) = i si ha
(a, b) = a + ib
a + ib si dice forma algebrica del numero complesso (a, b).
Osservazioni
1. i2 = i · i = (0, 1)(0, 1) = (−1, 0) = −1
2. (a + ib) + (c + id) = (a, b) + (c, d) = (a + c, b + d) = (a + c) + i(b + d)
quindi
(a + ib) + (c + id) = (a + c) + i(b + d)
3. (a + ib) · (c + id) = (a, b) · (c, d) = (ac − bd, ad + bc) = (ac − bd) + i(ad + bc)
quindi
(a + ib) · (c + id) = (ac − bd) + i(ad + bc)
Questo risultato si può ottenere effettuando la moltiplicazione tra polinomi tenendo conto che
i2 = −1
Esempio 19.9.2.
• Calcoliamo
(3 + 2i) + (1 − 4i) = 4 − 2i
• Calcoliamo
(3 + 2i) · (1 − 4i) = 3 − 12i + 2i − 8i2 = 3 − 12i + 2i + 8 = 11 − 10i
321
Parte II
CLASSE QUARTA
322
Capitolo 1
Statistica
1.1
Indagine statistica
La statistica studia i fenomeni collettivi: cioè quei fenomeni che si possono determinare solo attraverso
molte osservazioni. Dato un fenomeno collettivo la statistica aiuta a descriverlo sinteticamente e a
trarre da esso conclusioni rispetto a fenomeni più ampi. Per ottenere i dati si effettua un’indagine
statistica che è formata dalle seguenti fasi:
1. individuazione dell’obiettivo dell’indagine
2. individuazione del tipo di indagine (su tutta la popolazione o su un campione), dei mezzi
(persone, questionari,...) e dei tempi da utilizzare per la raccolta dati.
3. effettiva rilevazione dei dati
4. spoglio dei dati e sistemazione in forme di facile lettura come tabelle o grafici
5. sintetizzazione dei dati (valore medio)
6. misure di variabilità o dispersione
7. se l’indagine è stata fatta su un campione, generalizzazione sull’intera popolazione
Se si considera l’intera popolazione, il fenomeno è univocamente determinato e si devono solo analizzare
i dati per descriverlo sinteticamente: questa è la statistica descrittiva.
Se si considera solo un campione, il fenomeno non è univocamente determinato e, sulla base dei dati
del campione, si possono trarre indicazioni su tutta la popolazione: questa è la statistica inferenziale.
L’uso del campione è opportuno o necessario se:
• è antieconomico considerare tutta la popolazione
• è intempestivo considerare tutta la popolazione
• l’indagine è distruttiva
• la popolazione è infinita
La scelta del campione e della sua grandezza è un’operazione difficile.
I dati statistici che si ottengono nelle rilevazioni sono tutti soggetti a errori di osservazione che
dipendono da:
• tipo di fenomeno investigato
• mezzi di indagine e strumenti di misura
• osservatore
Noi considereremo la statistica descrittiva.
323
CAPITOLO 1. STATISTICA
1.2
Popolazione e unità statistica
Definizione 1.2.1 (Popolazione statistica).
Si dice popolazione statistica l’insieme su cui si studia il fenomeno
Esempio 1.2.1.
Sono esempi di popolazione statistica:
• insieme delle persone che vivono in Italia
• le aziende agricole del Piemonte
• i lanci di una moneta in un certo intervallo di tempo
Definizione 1.2.2 (Unità statistica).
Si dice unità statistica ogni elemento della popolazione statistica
1.3
Caratteri statistici e modalità
Definizione 1.3.1 (Carattere statistico).
Si dice carattere una caratteristica che una unità statistica può avere
Esempio 1.3.1.
Uno studente può avere i seguenti caratteri:
• nazionalità
• età
• luogo di nascita
• altezza
• peso
• scuola a cui è iscritto
• classe
Definizione 1.3.2 (Modalità).
Si dice modalità il modo in cui un carattere si può presentare
Esempio 1.3.2.
Il carattere nazionalità di uno studente può avere le seguenti modalità:
• italiana
• francese
• inglese
1.3.1
Caratteri qualitativi o quantitativi
Definizione 1.3.3 (Carattere qualitativo).
Un carattere si dice qualitativo quando le sue modalità non sono dei numeri.
Esempio 1.3.3.
Sono caratteri qualitativi
• colore occhi
• nazionalità
• religione
324
1.3. CARATTERI STATISTICI E MODALITÀ
• stato civile
• sesso
Osservazione
Consideriamo qualitativi anche i caratteri giorni, mesi e anni.
Definizione 1.3.4 (Carattere qualitativo sconnesso).
Un carattere qualitativo si dice sconnesso quando le sue modalità non hanno un ordine
Esempio 1.3.4.
Sono caratteri qualitativi sconnessi
• nazionalità
• religione
• stato civile
• sesso
Definizione 1.3.5 (Carattere qualitativo ordinato).
Un carattere qualitativo si dice ordinato quando le sue modalità hanno un ordine
Esempio 1.3.5.
Sono caratteri qualitativi ordinati
• titolo di studio
• giorno della settimana
• anno
Definizione 1.3.6 (Carattere quantitativo).
Un carattere si dice quantitativo quando le sue modalità sono dei numeri.
Esempio 1.3.6.
Sono caratteri quantitativi
• numero figli di una famiglia
• peso
• lunghezza
Definizione 1.3.7 (Carattere quantitativo discreto).
Un carattere quantitativo si dice discreto se le sue modalità sono in numero finito o infinito numerabile
Esempio 1.3.7.
Sono caratteri quantitativi discreti
• numero figli di una famiglia
• numero stanze di un appartamento
• numero di persone in coda a uno sportello
Definizione 1.3.8 (Carattere quantitativo continuo).
Un carattere quantitativo si dice continuo se le sue modalità appartengono a un intervallo
Esempio 1.3.8.
Sono caratteri quantitativi continui
• peso
• temperatura
• lunghezza
325
CAPITOLO 1. STATISTICA
1.4
Serie e seriazioni
Definizione 1.4.1 (Serie statistica).
Si dice serie statistica l’insieme dei dati di un’indagine su un carattere quantitativo
Esempio 1.4.1.
I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono una serie statistica
Definizione 1.4.2 (Seriazione statistica).
Si dice seriazione statistica l’insieme dei dati di un’indagine su un carattere qualitativo
Esempio 1.4.2.
Le nazionalità di un insieme di 15 persone sono una seriazione statistica
1.5
Variabili e mutabili statistiche
Definizione 1.5.1 (Variabile statistica).
Si dice variabile statistica una funzione che a ciascuna unità statistica associa una modalità di un
determinato carattere quantitativo
Definizione 1.5.2 (Mutabile statistica).
Si dice mutabile statistica una funzione che a ciascuna unità statistica associa una modalità di un
determinato carattere qualitativo
Le variabili e le mutabili statistiche verranno indicate con le lettere X, Y, Z
Esempio 1.5.1.
Consideriamo una popolazione di 10 studenti e come carattere la classe di appartenenza.
Un esempio di mutabile statistica X è il seguente:

 1
X=
3A
1.6
2
3
4
5
6
7
8
9

10 
3E 3E 3E 3G 3A 3A 3G 3G 3G
Distribuzioni di frequenze
Definizione 1.6.1 (Frequenza (assoluta)).
Si dice frequenza (assoluta) di una modalità il numero di volte in cui tale modalità si presenta
Esempio 1.6.1.
Se in gruppo di 32 persone ci sono 15 italiani, 10 francesi e 7 inglesi le frequenze assolute sono
rispettivamente 15, 10, 7
Definizione 1.6.2 (Frequenza relativa).
Si dice frequenza relativa di una modalità il rapporto tra la frequenza assoluta e il numero di elementi
della popolazione
Esempio 1.6.2.
Se in gruppo di 32 persone ci sono 15 italiani, 10 francesi e 7 inglesi le frequenze relative sono
15 10 7
rispettivamente
, ,
cioè 0, 46875; 0, 3125; 0, 21875
32 32 32
Definizione 1.6.3 (Frequenza relativa percentuale).
Si dice frequenza relativa percentuale di una modalità la frequenza relativa moltiplicata per 100
Esempio 1.6.3.
Se in gruppo di 32 persone ci sono 15 italiani, 10 francesi e 7 inglesi le frequenze relative percentuali
sono rispettivamente 46, 875%; 31, 25%; 21, 875%
Definizione 1.6.4 (Distribuzione di frequenze (assolute)).
Si dice distribuzione di frequenze (assolute) di una variabile o mutabile statistica X l’insieme delle
coppie formate dalle modalità e dalle frequenze assolute di quelle modalità
326
1.7. DISTRIBUZIONI DI FREQUENZE IN CLASSI
Con abuso di linguaggio confonderemo la variabile o mutabile statistica con la sua distribuzione di
frequenze assolute
X=

x

1
x2 . . . x k 
1
f2 . . . fk 
f
Definizione 1.6.5 (Distribuzione di frequenze relative).
Si dice distribuzione di frequenze relative di una variabile o mutabile statistica X l’insieme delle coppie
formate dalle modalità e dalle frequenze relative di quelle modalità
Con abuso di linguaggio confonderemo la variabile o mutabile statistica con la sua distribuzione di
frequenze relative
X=

x

1
x2 . . . x k 
1
f2 . . . fk 
f
Osservazione
La somma delle frequenze relative di una variabile statistica è uguale a 1.
Esempio 1.6.4.
Se in gruppo di 32 persone ci sono 15 italiani, 10 francesi e 7 inglesi la distribuzione di frequenze
assolute della mutabile statistica X= “nazionalità” è:


italiana francese inglese
X=
 15
10
7 
la distribuzione di frequenze relative della mutabile statistica X= “nazionalità” è:
X=


italiana francese inglese

1.7
15
32
10
32
7 
32
Distribuzioni di frequenze in classi
Nel caso di variabili statistiche continue molte osservazione hanno valori diversi e quindi le frequenze
assolute hanno valori vicini a 1. Con le variabili statistiche continue oppure con variabili statistiche
discrete con valori molto dispersi, è quindi opportuno raggruppare le osservazioni in classi.
Ogni classe ha un limite inferiore e un limite superiore. L’ampiezza della classe è la differenza tra il
limite superiore e il limite inferiore. Il valore centrale della classe è la semisomma dei limiti e ad esso
vengono riferite tutte le osservazioni sulla classe. Per determinare l’ampiezza delle classi:
1. si calcola il campo di variazione delle osservazioni, cioè la differenza tra il valore maggiore e il
valore minore.
2. si determina il numero di classi desiderate: normalmente compreso tra 5 e 10
3. l’ampiezza di ogni classe è il rapporto tra il campo di variazione e il numero di classi
In alcuni casi, le classi estreme possono avere ampiezza diversa dalle altre.
Definizione 1.7.1 (Frequenza (assoluta) di una classe).
Si dice frequenza (assoluta) di una classe il numero di elementi della classe.
Definizione 1.7.2 (Frequenza relativa di una classe).
Si dice frequenza relativa di una classe il rapporto tra la frequenza assoluta e il numero di elementi
della popolazione
Definizione 1.7.3 (Frequenza relativa percentuale di una classe).
Si dice frequenza relativa percentuale di una classe la frequenza relativa moltiplicata per 100
327
CAPITOLO 1. STATISTICA
Definizione 1.7.4 (Distribuzione di frequenze (assolute) in classi).
Si dice distribuzione di frequenze (assolute) in classi di una variabile statistica X l’insieme delle coppie
formate dalle classi e dalle frequenze assolute di quelle classi
Definizione 1.7.5 (Distribuzione di frequenze relative in classi).
Si dice distribuzione di frequenze relative in classi di una variabile statistica X l’insieme delle coppie
formate dalle classi e dalle frequenze relative di quelle classi
Esempio 1.7.1.
In un indagine su 40 persone si sono rilevati i seguenti pesi:
64,5 56,7 58,9 65,5 70,5 85,4 70,0 72,5 57,7 63,5
43,5 45,7 74,5 46,5 52,4 68,3 70,5 77,3 60,0 82,5
67,4 67,8 47,5 55,7 52,8 56,2 57,5 55,2 49,9 75,6
70,5 72,5 87,6 53,5 73,5 65,7 77,2 80,0 87,5 57,7
Il valore minore è 43,5 e quello maggiore è 87,6
Possiamo considerare come valore minore 40 e valore maggiore 90.
50
Il campo di variazione è: 90 − 40 = 50, se utilizziamo 5 classi, la loro ampiezza è
= 5.
10
Le classi sono
]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90]
La distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso” è:


]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90]
X=
 5
12
8
11
4 
La distribuzione di frequenze relative in classi della variabile statistica X= “peso” è:
X=


]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90]

1.8
5
40
12
40
8
40
11
40
4
40

Tabelle
La distribuzione di frequenze molte volte viene rappresentata mediante una tabella. Spesso si rappresentano contemporaneamente le frequenze assolute e quelle relative.
Esempio 1.8.1.
Se in gruppo di 32 persone ci sono 15 italiani, 10 francesi e 7 inglesi la tabella delle distribuzione di
frequenze assolute e relative della mutabile statistica X= “nazionalità” è:
Nazionalità Frequenza assoluta Frequenza relativa
Italiana
15
Francese
10
Inglese
7
1.9
15
32
10
32
7
32
Grafici
Le distribuzioni di frequenze possono anche essere visualizzate attraverso un grafico. La rappresentazione grafica perde in precisione ma si possono cogliere alcuni aspetti caratteristici in modo immediato.
Vedremo alcuni tipi di rappresentazioni grafiche.
328
1.9. GRAFICI
1.9.1
Grafico a canne d’organo o ortogramma
Definizione 1.9.1 (Ortogramma).
Un grafico si dice a canne d’organo o ortogramma se è formato da k rettangoli non contigui ciascuno
con la stessa base e altezza pari alle frequenze assolute o relative delle k modalità della variabile o
mutabile statistica.
I rettangoli possono essere verticali o orizzontali e, se ci sono più variabili, si possono utilizzare diversi
colori e affiancare o impilare i rettangoli.
Esempio 1.9.1.
Rappresentiamo con un ortogramma la distribuzione di frequenze assolute della mutabile statistica
X= “nazionalità” vista precedentemente.
DISTRIBUZIONE FREQUENZE NAZIONALITA’
14
12
10
8
6
4
2
0
Italiana Francese Inglese
Figura 1.1: Ortogramma
1.9.2
Diagrammi cartesiani
I diagrammi cartesiani si possono utilizzare per le variabili statistiche. Il diagramma è costituito da
punti che hanno per ascissa le modalità e per ordinata la corrispondente frequenza. Le unità di misura
degli assi sono generalmente diverse.
Esempio 1.9.2.
Rappresentiamo con un diagramma cartesiano la distribuzione di frequenze assolute della variabile
statistica X= “numero componenti di una famiglia”:
X=


1
2
3
4
5
6


5.230.120 6.013.451 4.321.012 4.112.234 1.122.335 432.501
329
CAPITOLO 1. STATISTICA
COMPONENTI FAMIGLIE
7000000
Famiglie
6000000
5000000
4000000
3000000
2000000
1000000
0
1
2
3
4
5
6
7
Componenti
Figura 1.2: Diagramma cartesiano
1.9.3
Diagramma a torta
Definizione 1.9.2 (Diagramma a torta).
Un grafico si dice diagramma a torta o a settori circolari se è formato da un cerchio suddiviso da raggi
che formano angoli di ampiezza pari al prodotto della frequenza relativa per 360, quindi l’area di ogni
spicchio è proporzionale alla frequenza relativa della modalità corrispondente.
Questo tipo di grafico si utilizza per rappresentare frequenze relative e frequenze relative percentuali
Esempio 1.9.3.
Rappresentiamo con un diagramma a torta la distribuzione di frequenze relative percentuali della
mutabile statistica X= “nazionalità” vista precedentemente.
NAZIONALITA
Italiana
47%
Francese
Inglese
22%
31%
Figura 1.3: Diagramma a Torta
1.9.4
Istogrammi
Definizione 1.9.3 (Istogramma).
Un grafico si dice istogramma se è formato da k rettangoli contigui ciascuno con base coincidente con
330
1.10. FUNZIONE DI RIPARTIZIONE CUMULATIVA DELLE FREQUENZE
una classe e area proporzionale alla frequenza assoluta della classe.
Gli istogrammi si utilizzano per rappresentare distribuzioni di frequenza in classi. Le altezze si trovano
dividendo la frequenza per l’ampiezza della classe. Se le classi hanno la stessa ampiezza l’altezza è
proporzionale alla frequenza.
Definizione 1.9.4 (Poligono di frequenza).
Si dice poligono di frequenza la spezzata che unisce i punti medi delle basi superiori dei rettangoli
Osservazione
Il poligono di frequenza si può anche estendere alle classi estreme aventi frequenza nulla.
Esempio 1.9.4.
Rappresentiamo con un istogramma e con il poligono di frequenza la distribuzione di frequenze assolute
della variabile statistica X= “peso” vista precedentemente.
18
PESO
16
14
12
10
8
6
4
2
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
Figura 1.4: Istogramma
1.10
Funzione di ripartizione cumulativa delle frequenze
Definizione 1.10.1 (Funzione di ripartizione).
Si dice funzione di ripartizione (cumulativa delle frequenze) di una variabile statistica X la funzione
che associa a ogni x appartenente a R la somma delle frequenze relative associate ai valori minori o
uguali di x e si indica con F (x). In simboli
F (x) =
fxi
xi x
Esempio 1.10.1.
I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono:
5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6
La distribuzione di frequenze relative della variabile statistica X =“voto” è:
X=

3
2
20
4
1
20
5
3
20
6
3
20
7
5
20
8
4
20

9
2
20
Determiniamo alcuni valori della funzione di ripartizione F
F (−5) = 0
331
CAPITOLO 1. STATISTICA
F (2, 9) = 0
2
F (3) =
20
2
F (3, 5) =
20
6
F (5) =
20
18
F (8) =
20
F (9) = 1
F (35) = 1
Rappresentiamo graficamente la funzione di ripartizione F
1.4
y
1.2
1
0.8
0.6
0.4
0.2
x
−2
−1
O
1
2
3
4
5
6
7
8
9
Figura 1.5: funzione di ripartizione
1.11
Frequenza cumulata dal basso
Definizione 1.11.1 (Frequenza cumulata dal basso).
Data una variabile statistica X si dice frequenza cumulata dal basso di un valore o di una classe la
somma delle frequenze assolute associate ai valori minori o uguali di quel valore o di quella classe
Esempio 1.11.1.
I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono:
5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6
La tabella con le frequenze assolute e le frequenze cumulate è
Voto Frequenza assoluta Frequenza cumulata
3
2
2
4
1
3
5
3
6
6
3
9
7
5
14
8
4
18
9
2
20
332
Capitolo 2
Valori medi statistici
2.1
Introduzione
I valori medi servono per sintetizzare un fenomeno statistico. Ci sono diversi valori medi, che si possono
suddividere in valori medi algebrici e valori medi laschi. Ne vedremo alcuni.
2.2
Medie algebriche
Le medie algebriche si possono utilizzare solo per le variabili statistiche.
Definizione 2.2.1 (Valore medio).
Si dice valore medio di una successione di n dati un qualsiasi valore x
¯ compreso tra il dato più piccolo
e quello più grande cioè
xmin
x
¯
xmax
Questa definizione, data da Cauchy, non è utile da un punto di vista operativo. Utilizziamo un’altra
definizione di valor medio data da Chisini che soddisfa la definizione di Cauchy.
Definizione 2.2.2 (Valore medio).
Si dice valore medio di una successione di n dati x1 , . . . , xn rispetto a una funzione f (x1 , . . . , xn ) la
costante M che soddisfa la seguente condizione:
f (x1 , . . . , xn ) = f (M, . . . , M )
Per applicare questa definizione si individua la funzione f e si determina il valore di M , cioè quel
valore costante che sostituito a tutti i dati mantiene invariato il valore della funzione.
A seconda della funzione scelta si avranno medie diverse.
2.2.1
Media aritmetica
Se come funzione f consideriamo la somma dei dati otteniamo la media aritmetica.
Definizione 2.2.3 (Media aritmetica).
Si dice media aritmetica di una successione di n dati x1 , . . . , xn quel valore M che sostituito a tutti i
dati lascia invariata la somma:
M + . . . + M = x1 + . . . + xn
nM = x1 + . . . + xn
x1 + . . . + xn
M=
n
M=
1
n
n
xi
i=1
333
CAPITOLO 2. VALORI MEDI STATISTICI
Data la variabile statistica X con distribuzione
X=

x

1
x2 . . . xk 
1
f2 . . . fk 
f
la media aritmetica è
x1 f1 + . . . + xk fk
M=
f1 + . . . + fk
e, indicando con n = f1 + . . . + fk , si ha
M=
1
n
k
xi fi
i=1
Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha
k
M=
xi fi
i=1
Osservazione
Le frequenze fi si chiamano pesi e la media si dice ponderata
Esempio 2.2.1.
I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono:
5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6
La media aritmetica è
5+7+6+6+5+7+8+9+7+8+8+7+5+4+3+7+3+8+9+6
M=
=
20
128
= 6, 4
20
La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è:

3 4 5
X=
2 1 3

6 7 8 9
3 5 4 2
La media aritmetica della variabile statistica X è:
3·2+4·1+5·3+6·3+7·5+8·4+9·2
128
M=
=
= 6, 4
20
20
Osservazione
Se i dati sono distribuiti in classi per calcolare la media aritmetica si prendono come valori i valori
centrali delle classi e come frequenze le frequenze delle classi.
Esempio 2.2.2.
Data la distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso”:


]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90]
X=
 5
12
8
11
4 
La media aritmetica della variabile statistica X è:
45 · 5 + 55 · 12 + 65 · 8 + 75 · 11 + 85 · 4
2570
M=
=
= 64, 25
40
40
Osservazione
La media aritmetica è il valor medio più usato e si dice semplicemente media.
Definizione 2.2.4 (Scarto).
Si dice scarto la differenza tra un valore e la media aritmetica
Teorema 2.2.1 (Scarto).
La somma degli scarti è 0
Dimostrazione
n
n
(xi − M ) =
i=1
n
xi −
i=1
M = nM − nM = 0
i=1
334
2.2. MEDIE ALGEBRICHE
2.2.2
Media geometrica
Se come funzione f consideriamo il prodotto dei dati otteniamo la media geometrica.
Definizione 2.2.5 (Media geometrica).
Si dice media geometrica di una successione di n dati positivi x1 , . . . , xn quel valore MG che sostituito
a tutti i dati lascia invariato il prodotto:
MG · . . . · MG = x 1 · . . . · x n
MGn = x1 · . . . · xn
√
MG = n x 1 · . . . · x n
Ã
MG =
n
n
xi
i=1
Data la variabile statistica X con distribuzione
X=

x

1
x2 . . . x k 
1
f2 . . . fk 
f
la media geometrica è
MG =
f1 +...+fk
xf11 · . . . · xfkk
e, indicando con n = f1 + . . . + fk , si ha
Ã
MG =
k
xfi i
n
i=1
Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha
k
xfi i
MG =
i=1
Esempio 2.2.3.
I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono:
5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6
La media geometrica è
√
20
MG =
5 · 7 · 6 · 6 · 5 · 7 · 8 · 9 · 7 · 8 · 8 · 7 · 5 · 4 · 3 · 7 · 3 · 8 · 9 · 6 = 6, 12
La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è:

3 4 5
X=
2 1 3

6 7 8 9
3 5 4 2
La media geometrica della variabile statistica X è:
√
20
32 · 41 · 53 · 63 · 7 · 5 · 84 · 92 = 6, 12
MG =
Osservazione
Se i dati sono distribuiti in classi per calcolare la media geometrica si prendono come valori i valori
centrali delle classi e come frequenze le frequenze delle classi.
Esempio 2.2.4.
Data la distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso”:


]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90]
X=
 5
12
8
11
4 
La media geometrica della variabile statistica X è:
√
40
M=
455 · 5512 · 658 · 7511 · 854 = 63, 08
Osservazione
La media geometrica si utilizza per esempio per calcolare il tasso medio di rendimento di un capitale
impiegato a vari tassi.
335
CAPITOLO 2. VALORI MEDI STATISTICI
2.2.3
Media armonica
Se come funzione f consideriamo la somma dei reciproci dei dati otteniamo la media armonica.
Definizione 2.2.6 (Media armonica).
Si dice media armonica di una successione di n dati positivi x1 , . . . , xn quel valore MA che sostituito
a tutti i dati lascia invariata la somma dei reciproci:
1
1
1
1
+ ... +
=
+ ... +
MA
MA
x1
xn
n
1
1
=
+ ... +
MA
x1
xn
n
MA =
1
1
+ ... +
x1
xn
n
MA = n
1
x
i=1 i
Data la variabile statistica X con distribuzione
X=

x

1
x2 . . . xk 
1
f2 . . . fk 
f
la media armonica è
MA =
f1 + . . . + fk
fk
f1
+ ... +
x1
xk
e, indicando con n = f1 + . . . + fk , si ha
MA =
n
k
i=1
fi
xi
Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha
MA =
1
k
i=1
fi
xi
Esempio 2.2.5.
I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono:
5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6
La media armonica è
MA =
20
1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1
+ + + + + + + + + + + + + + + + + + +
5 7 6 6 5 7 8 9 7 8 8 7 5 4 3 7 3 8 9 6
5, 79
La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è:

3 4 5
X=
2 1 3

6 7 8 9
3 5 4 2
La media armonica della variabile statistica X è:
MA =
20
= 5, 79
2 1 3 3 5 4 2
+ + + + + +
3 4 5 6 7 8 9
336
=
2.2. MEDIE ALGEBRICHE
Osservazione
Se i dati sono distribuiti in classi per calcolare la media armonica si prendono come valori i valori
centrali delle classi e come frequenze le frequenze delle classi.
Esempio 2.2.6.
Data la distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso”:


]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90]
X=
 5
12
8
11
4 
La media armonica della variabile statistica X è:
40
= 61, 91
12
8
11
4
5
+
+
+
+
45 55 65 75 85
M=
2.2.4
Media quadratica
Se come funzione f consideriamo la somma dei quadrati dei dati otteniamo la media quadratica.
Definizione 2.2.7 (Media quadratica).
Si dice media quadratica di una successione di n dati x1 , . . . , xn quel valore MQ che sostituito a tutti
i dati lascia invariata la somma dei quadrati:
2
2
MQ
+ . . . + MQ
= x21 + . . . + x2n
2
nMQ
= x21 + . . . + x2n
MQ =
x21 + . . . + x2n
n
Œ
n
x2i
i=1
MQ =
n
Data la variabile statistica X con distribuzione
X=

x

1
x2 . . . x k 
1
f2 . . . fk 
f
la media quadratica è
x21 f1 + . . . + x2k fk
f1 + . . . + fk
MQ =
e, indicando con n = f1 + . . . + fk , si ha
Œ
k
x2i fi
i=1
MQ =
n
Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha
k
x2i fi
MQ =
i=1
337
CAPITOLO 2. VALORI MEDI STATISTICI
Esempio 2.2.7.
I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono:
5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6
La media quadratica è
MQ =
52 + 72 + 62 + 62 + 52 + 72 + 82 + 92 + 72 + 82 + 82 + 72 + 52 + 42 + 32 + 72 + 32 + 82 + 92 + 62
=
20
1136
= 7, 54
20
La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è:

3 4 5
X=
2 1 3

6 7 8 9
3 5 4 2
La media quadratica della variabile statistica X è:
MQ =
32 · 2 + 4 2 · 1 + 5 2 · 3 + 6 2 · 3 + 7 2 · 5 + 8 2 · 4 + 9 2 · 2
=
20
1136
= 7, 54
20
Osservazione
Se i dati sono distribuiti in classi per calcolare la media quadratica si prendono come valori i valori
centrali delle classi e come frequenze le frequenze delle classi.
Esempio 2.2.8.
Data la distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso”:


]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90]
X=
 5
12
8
11
4 
La media quadratica della variabile statistica X è:
MQ =
452 · 5 + 552 · 12 + 652 · 8 + 752 · 11 + 852 · 4
=
40
171000
= 65, 38
40
Osservazione
La media quadratica si utilizza quando si devono ignorare i segni dei singoli valori
Teorema 2.2.2 (Medie algebriche).
Data una successione di n dati positivi x1 , . . . , xn si ha
MA
2.3
2.3.1
MG
M
MQ
Medie lasche
Moda
Le medie algebriche dipendono dai valori della distribuzione, la moda dipende solo dalla frequenza dei
dati e non dai dati stessi.
Definizione 2.3.1 (Moda).
Si dice moda di una successione di n dati x1 , . . . , xn il dato M o che ha frequenza maggiore
Osservazione
Se tutte le frequenze sono uguali la moda non esiste, se più dati hanno la frequenza maggiore ci sono
più mode
338
2.3. MEDIE LASCHE
Esempio 2.3.1.
I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono:
5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6.
La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è:

3 4 5
X=
2 1 3

6 7 8 9
3 5 4 2
La frequenza maggiore è 5 e si ha per il valore 7 quindi la moda della variabile statistica X è:
Mo = 7
Osservazione
Se i dati sono distribuiti in classi con la stessa ampiezza si determina la classe modale cioè quella che
ha la massima frequenza.
Esempio 2.3.2.
Data la distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso”:


]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90]
X=
 5
12
8
11
4 
La classe modale è la classe ]50, 60]
Osservazione
La moda può essere usata anche per caratteri qualitativi e non è influenzata da valori estremi.
2.3.2
Mediana
Definizione 2.3.2 (Mediana).
Si dice mediana M e di una successione ordinata di n dati x1 , . . . , xn il dato che occupa la posizione
n+1
se n è dispari, la media aritmetica dei 2 dati centrali, cioè di posizione
centrale, cioè la posizione
2
n n
e + 1 se n è pari.
2 2
Esempio 2.3.3.
I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono:
5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6
Scriviamo i dati in ordine crescente
3,3,4,5,5,5,6,6,6,7,7,7,7,7,8,8,8,8,9,9
poiché 20 è pari la mediana è la media aritmetica dei dati occupanti la decima e undicesima posizione:
Me =
7+7
=7
2
Data la variabile statistica X con distribuzione
X=

x

1
x2 . . . x k 
1
f2 . . . fk 
f
con x1 , . . . , xk ordinati in modo crescente, per calcolare la mediana
1. si calcolano le frequenze cumulate
2. si calcola n = f1 + . . . + fk
3. se n è dispari la mediana è il dato corrispondente alla prima frequenza cumulata maggiore o
n+1
uguale a
; se n è pari la mediana è la media aritmetica dei 2 dati corrispondenti rispetti2
n
vamente alla prima frequenza cumulata maggiore o uguale a e alla prima frequenza cumulata
2
n
maggiore o uguale a + 1
2
339
CAPITOLO 2. VALORI MEDI STATISTICI
Esempio 2.3.4.
La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è:

3 4 5
X=
2 1 3

6 7 8 9
3 5 4 2
Determiniamo le frequenze cumulate
voto Frequenza assoluta Frequenza cumulata
3
2
2
4
1
3
5
3
6
6
3
9
7
5
14
8
4
18
9
2
20
n = 20 poiché n è pari le frequenze cumulate da considerare sono quelle rispettivamente maggiori o
20
uguali a
= 10 e 11 i dati corrispondenti sono 7 e 7, quindi la mediana è
2
Me =
7+7
=7
2
Osservazione
Se i dati sono distribuiti in classi si determina la classe mediana con il metodo delle frequenze cumulate
visto sopra
Esempio 2.3.5.
Data la distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso”:


]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90]
X=
 5
12
8
11
4 
Determiniamo le frequenze cumulate
peso
Frequenza assoluta Frequenza cumulata
]40, 50]
5
5
]50, 60]
12
17
]60, 70]
8
25
]70, 80]
11
36
]80, 90]
4
40
n = 40 poiché n è pari le frequenze cumulate da considerare sono quelle rispettivamente maggiori o
40
uguali a
= 20 e 21 le classi corrispondenti sono ]60, 70] e ]60, 70], quindi la classe mediana è ]60, 70]
2
La mediana non è influenzata da valori estremi.
340
Capitolo 3
Variabilità
3.1
Introduzione
Nello studio di un fenomeno statistico ai valori medi è bene associare dei valori che indichino la
dispersione dei dati. Questi valori si chiamano indici di dispersione o di variabilità e sono dei numeri
non negativi; valgono 0 se i dati sono tutti uguali; più i dati sono dispersi più gli indici sono maggiori.
Vediamo alcuni di questi indici di variabilità.
3.2
Campo di variazione
Definizione 3.2.1 (Campo di variazione).
Si dice campo di variazione di una successione di n dati x1 , . . . , xn la differenza tra il valore maggiore
e il valore minore
Esempio 3.2.1.
I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono:
5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6
Il voto maggiore è 9, il voto minore è 3 il campo di variazione è
9−3=6
Osservazione
Il campo di variazione è semplice da calcolare ma è influenzato dai valori anomali o troppo grandi o
troppo piccoli dovuti magari a errori di osservazione o misura o trascrizione.
3.3
Varianza e deviazione standard
Definizione 3.3.1 (Varianza).
Si dice varianza di una successione di n dati x1 , . . . , xn la media del quadrato degli scarti. In simboli
1
σ =
n
n
(xi − M )2
2
i=1
dove M è la media aritmetica.
Data la variabile statistica X con distribuzione
X=

x
1
x2
1
f2
f

. . . xk 
. . . fk 
indicando con n = f1 + . . . + fk , la varianza è
1
σ =
n
k
(xi − M )2 fi
2
i=1
341
CAPITOLO 3. VARIABILITÀ
Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha
k
(xi − M )2 fi
σ2 =
i=1
Esempio 3.3.1.
I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono:
5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6
La media è M = 6, 4, la varianza è
σ2 =
(5 − 6, 4)2 + (7 − 6, 4)2 + (6 − 6, 4)2 + (6 − 6, 4)2
+
20
(5 − 6, 4)2 + (7 − 6, 4)2 + (8 − 6, 4)2 + (9 − 6, 4)2 + (7 − 6, 4)2
+
20
(8 − 6, 4)2 + (8 − 6, 4)2 + (7 − 6, 4)2 + (5 − 6, 4)2 + (4 − 6, 4)2 + (3 − 6, 4)2
+
20
(7 − 6, 4)2 + (3 − 6, 4)2 + (8 − 6, 4)2 + (9 − 6, 4)2 + (6 − 6, 4)2
= 3, 04
20
La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è:

3 4 5
X=
2 1 3

6 7 8 9
3 5 4 2
La media della variabile statistica X è M = 6, 4, la varianza è
σ2 =
(3 − 6, 4)2 · 2 + (4 − 6, 4)2 · 1 + (5 − 6, 4)2 · 3
+
20
(6 − 6, 4)2 · 3 + (7 − 6, 4)2 · 5 + (8 − 6, 4)2 · 4 + (9 − 6, 4)2 · 2
= 3, 04
20
Osservazione
Se i dati sono distribuiti in classi per calcolare la varianza si prendono come valori i valori centrali
delle classi e come frequenze le frequenze delle classi.
Esempio 3.3.2.
Data la distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso”:


]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90]
X=
 5
12
8
11
4 
La media della variabile statistica X è M = 64, 25, la varianza è
σ2 =
(45 − 64, 25)2 · 5 + (55 − 64, 25)2 · 12 + (65 − 64, 25)2 · 8 + (75 − 64, 25)2 · 11 + (85 − 64, 25)2 · 4
=
40
5877, 5
= 146, 9375
40
Teorema 3.3.1 (Varianza).
La varianza di una successione di n dati x1 , . . . , xn è la differenza tra la media dei quadrati dei dati e
il quadrato della media dei dati. In simboli
σ2 =
1
n
n
x2i − M 2
i=1
342
3.4. SCARTO SEMPLICE MEDIO
Dimostrazione
1
n
σ2 =
1
n
1
n
n
(xi − M )2 =
i=1
n
x2i −
i=1
n
1
n
n
2M xi +
i=1
1
− 2M
n
x2i
i=1
1
n
1
n
n
Ä
ä
x2i − 2M xi + M 2 =
i=1
n
M2 =
i=1
n
1
1
xi + nM 2 =
n
n
i=1
n
x2i
i=1
1
− 2M + M =
n
2
n
2
x2i − M 2
i=1
Esempio 3.3.3.
I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono:
5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6
La media è M = 6, 4, la media dei quadrati è
52 + 7 2 + 6 2 + 6 2 + 5 2 + 7 2 + 8 2 + 9 2 + 7 2 + 8 2 + 8 2 + 7 2 + 5 2 + 4 2 + 3 2 + 7 2 + 3 2 + 8 2 + 9 2 + 6 2
=
20
880
= 44
20
La varianza è
σ 2 = 44 − M 2 = 44 − 40, 96 = 3, 04
Definizione 3.3.2 (Deviazione standard).
Si dice deviazione standard o scarto quadratico medio di una successione di n dati x1 , . . . , xn la radice
quadrata della varianza. In simboli
Ã
σ=
n
1
n
(xi − M )2
i=1
Esempio 3.3.4.
I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono:
5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6
La varianza è σ 2 = 3, 04, la deviazione standard è
σ=
3, 04 = 1, 74
3.4
Scarto semplice medio
Definizione 3.4.1 (Scarto semplice medio).
Si dice scarto semplice medio di una successione di n dati x1 , . . . , xn la media dei valori assoluti degli
scarti. In simboli
S=
1
n
n
|xi − M |
i=1
dove M è la media aritmetica.
Data la variabile statistica X con distribuzione
X=

x

1
x2 . . . x k 
1
f2 . . . fk 
f
indicando con n = f1 + . . . + fk , lo scarto semplice medio è
1
S=
n
k
|xi − M | fi
i=1
343
CAPITOLO 3. VARIABILITÀ
Se f1 , . . . , fk sono le frequenze relative, poiché f1 + . . . + fk = 1 si ha
k
|xi − M | fi
S=
i=1
Esempio 3.4.1.
I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono:
5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6
La media è M = 6, 4, lo scarto semplice medio è
S=
|5 − 6, 4| + |7 − 6, 4| + |6 − 6, 4| + |6 − 6, 4| + |5 − 6, 4| + |7 − 6, 4| + |8 − 6, 4|
+
20
|9 − 6, 4| + |7 − 6, 4| + |8 − 6, 4| + |8 − 6, 4| + |7 − 6, 4| + |5 − 6, 4| + |4 − 6, 4|
+
20
|3 − 6, 4| + |7 − 6, 4| + |3 − 6, 4| + |8 − 6, 4| + |9 − 6, 4| + |6 − 6, 4|
= 1, 46
20
La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è:

3 4 5
X=
2 1 3

6 7 8 9
3 5 4 2
La media della variabile statistica X è M = 6, 4, lo scarto semplice medio è
S=
|3 − 6, 4| · 2 + |4 − 6, 4| · 1 + |5 − 6, 4| · 3 + |6 − 6, 4| · 3 + |7 − 6, 4| · 5 + |8 − 6, 4| · 4 + |9 − 6, 4| · 2
=
20
1, 46
Se i dati sono distribuiti in classi per calcolare lo scarto semplice medio si prendono come valori i
valori centrali delle classi e come frequenze le frequenze delle classi.
Esempio 3.4.2.
Data la distribuzione di frequenze assolute in classi della variabile statistica X= “peso”:


]40, 50] ]50, 60] ]60, 70] ]70, 80] ]80, 90]
X=
 5
12
8
11
4 
La media della variabile statistica X è M = 64, 25, lo scarto semplice medio è
S=
|45 − 64, 25| · 5 + |55 − 64, 25| · 12 + |65 − 64, 25| · 8 + |75 − 64, 25| · 11 + |85 − 64, 25| · 4
=
40
414, 5
= 10, 3625
40
3.5
Indici di variabilità relativa
Finora abbiamo considerato indici di variabilità assoluta. Consideriamo ora indici di variabilità relativa
dati dal rapporto tra un indice di variabilità assoluta e un valore medio. L’indice di variabilità relativa
più utilizzato è il coefficiente di variazione.
Definizione 3.5.1 (Coefficiente di variazione).
Si dice coefficiente di variazione di una successione di n dati x1 , . . . , xn il rapporto tra la deviazione
standard e la media aritmetica. In simboli
cv =
σ
M
344
3.6. STANDARDIZZAZIONE
Esempio 3.5.1.
I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono:
5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6
La media è
M=
5+7+6+6+5+7+8+9+7+8+8+7+5+4+3+7+3+8+9+6
= 6, 4
20
La media dei quadrati è
52 + 72 + 62 + 62 + 52 + 72 + 82 + 92 + 72 + 82 + 82 + 72 + 52 + 42 + 32 + 72 + 32 + 82 + 92 + 62
= 44
20
La varianza è
σ 2 = 44 − M 2 = 44 − 40, 96 = 3, 04
Lo scarto quadratico medio è
3, 04 = 1, 74
σ=
Il coefficiente di variazione è
cv =
1, 74
= 0, 27
6, 4
3.6
Standardizzazione
Definizione 3.6.1 (dati standardizzati).
Una successione di n dati x1 , . . . , xn di dice standardizzata se ha media nulla e deviazione standard 1
Teorema 3.6.1 (dati standardizzati).
Data una successione di n dati x1 , . . . , xn , con media M e deviazione standard σ, la successione
x1 − M
xn − M
,...,
σ
σ
è standardizzata
Dimostrazione
Data la successione
x1 − M
xn − M
,...,
σ
σ
Calcoliamo la media aritmetica M1 :
1
M1 =
n
n
i=1
n
xi − M
1
=
σ
nσ
(xi − M ) =
i=1
1
0=0
nσ
Calcoliamo la deviazione standard σ1 :
Ã
σ1 =
Ã
1
nσ 2
1
n
n
i=1
Å
Ã
ã2
xi − M
−0
σ
Ã
n
2
(xi − M ) =
i=1
=
1 1
σ2 n
1
n
n
i=1
Å
xi − M
σ
n
=
2
(xi − M ) =
i=1
ã2
1 2
σ =1
σ2
Poiché la media aritmetica è nulla e la deviazione standard è 1, la successione
x1 − M
xn − M
,...,
σ
σ
è standardizzata.
345
CAPITOLO 3. VARIABILITÀ
Esempio 3.6.1.
I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono:
5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6
La media è
M=
5+7+6+6+5+7+8+9+7+8+8+7+5+4+3+7+3+8+9+6
= 6, 4
20
La media dei quadrati è
52 + 7 2 + 6 2 + 6 2 + 5 2 + 7 2 + 8 2 + 9 2 + 7 2 + 8 2 + 8 2 + 7 2 + 5 2 + 4 2 + 3 2 + 7 2 + 3 2 + 8 2 + 9 2 + 6 2
= 44
20
La varianza è
σ 2 = 44 − M 2 = 44 − 40, 96 = 3, 04
Lo scarto quadratico medio è
σ=
3, 04 = 1, 74
la successione
5 − 6, 4 7 − 6, 4 6 − 6, 4 6 − 6, 4 5 − 6, 4 7 − 6, 4
;
;
;
;
;
;
1, 74
1, 74
1, 74
1, 74
1, 74
1, 74
8 − 6, 4 9 − 6, 4 7 − 6, 4 8 − 6, 4 8 − 6, 4 7 − 6, 4 5 − 6, 4
;
;
;
;
;
;
;
1, 74
1, 74
1, 74
1, 74
1, 74
1, 74
1, 74
4 − 6, 4 3 − 6, 4 7 − 6, 4 3 − 6, 4 8 − 6, 4 9 − 6, 4 6 − 6, 4
;
;
;
;
;
;
1, 74
1, 74
1, 74
1, 74
1, 74
1, 74
1, 74
cioè
−0, 80; 0, 34; −0, 23; −0, 23; −0, 80; 0, 34; 0, 92; 1, 49; 0, 34;
0, 92; 0, 92; 0, 34; −0, 80; −1, 38; −1, 95; 0, 92; 1, 49; −0, 23
è standardizzata
Definizione 3.6.2 (variabile statistica standardizzata).
Una variabile statistica X di dice standardizzata se ha media nulla e deviazione standard 1
Teorema 3.6.2 (variabile statistica standardizzata).
Data una variabile statistica
X=

x

1
x2 . . . xk 
1
f2 . . . fk 
f
con media M e deviazione standard σ, la variabile statistica
Z=

x −M

 1


σ
x2 − M
σ
...
f1
f2
...
xk − M 

σ

fk


è standardizzata
Dimostrazione
Data la variabile statistica Z:
Z=

x −M

 1


σ
x2 − M
σ
...
f1
f2
...
xk − M 

σ

fk


346
3.6. STANDARDIZZAZIONE
Indicando con n = f1 + . . . + fk , calcoliamo la media MZ :
k
1
n
MZ =
i=1
xi − M
1
fi =
σ
nσ
k
(xi − M )fi =
i=1
1
0=0
nσ
Calcoliamo la deviazione standard σZ :
Ã
k
1
n
σZ =
Ã
Å
i=1
xi − M
−0
σ
1
n
fi =
Ã
k
1
nσ 2
Ã
ã2
1 1
σ2 n
2
(xi − M ) fi =
i=1
k
Å
i=1
xi − M
σ
k
ã2
fi =
2
(xi − M ) fi =
i=1
1 2
σ =1
σ2
Poiché la media aritmetica è nulla e la deviazione standard è 1, la variabile statistica
Z=
σ
x2 − M
σ
...
f1
f2
...

x −M

 1


xk − M 

σ

fk


è standardizzata
Esempio 3.6.2.
I voti di una verifica di matematica di una classe di 20 persone sono:
5,7,6,6,5,7,8,9,7,8,8,7,5,4,3,7,3,8,9,6
La distribuzione di frequenze assolute della variabile statistica X =“voto” è:

3 4 5
X=
2 1 3

6 7 8 9
3 5 4 2
La media della variabile statistica X è:
M=
3·2+4·1+5·3+6·3+7·5+8·4+9·2
= 6, 4
20
La varianza è
σ2 =
(3 − 6, 4)2 · 2 + (4 − 6, 4)2 · 1 + (5 − 6, 4)2 · 3
+
20
(6 − 6, 4)2 · 3 + (7 − 6, 4)2 · 5 + (8 − 6, 4)2 · 4 + (9 − 6, 4)2 · 2
= 3, 04
20
Lo scarto quadratico medio è
σ=
3, 04 = 1, 74
La variabile statistica:
Y =

3 − 6, 4






1, 74
4 − 6, 4
1, 74
5 − 6, 4
1, 74
6 − 6, 4
1, 74
7 − 6, 4
1, 74
8 − 6, 4
1, 74
2
1
3
3
5
4
9 − 6, 4 


1, 74

2



cioè

−1, 95 −1, 38
Y =
 2
1

−0, 80 −0, 23 0, 34 0, 92 , 49
3
3
5
4
2 
è standardizzata.
Osservazione
La standardizzazione è utile per confrontare distribuzioni statistiche differenti.
347
CAPITOLO 3. VARIABILITÀ
3.7
Rapporti statistici
Definizione 3.7.1 (Rapporto statistico).
Si chiama rapporto statistico il rapporto tra due dati di cui almeno uno statistico.
Esempio 3.7.1.
sono rapporti statistici:
• il rapporto tra popolazione di un territorio e estensione del territorio
• il rapporto tra il numero delle lavoratrici e il numero dei lavoratori in un territorio
3.7.1
Rapporti di composizione
Definizione 3.7.2 (Rapporti di composizione).
Si chiama rapporto di composizione il rapporto tra una parte e il tutto.
Esempio 3.7.2.
sono rapporti di composizione:
• le frequenze relative
• la composizione di un cibo
• la composizione della spesa di una famiglia
3.7.2
Rapporti di densità
Definizione 3.7.3 (Rapporti di densità).
Si chiama rapporto di densità il rapporto tra la frequenza di una modalità statistica e una grandezza
presa come unità di misura (superficie, intervallo di tempo, ect)
Esempio 3.7.3.
La densità di popolazione, data dal rapporto tra il numero di abitanti e la superficie del territorio, è
un rapporto di densità.
3.7.3
Rapporti di derivazione
Definizione 3.7.4 (Rapporti di derivazione).
Si chiama rapporto di derivazione il rapporto tra due grandezze statistiche tali che una deriva dall’altra.
Esempio 3.7.4.
Il rapporto tra il numero di divorzi e il numero di matrimoni è un rapporto di derivazione.
3.7.4
Rapporto di coesistenza
Definizione 3.7.5 (Rapporto di coesistenza).
Si chiama rapporto di coesistenza il rapporto tra due grandezze statistiche non legate da un nesso di
causalità ma che è lo stesso utile confrontare
Esempio 3.7.5.
Il rapporto tra importazioni e esportazioni è un rapporto di coesistenza.
3.7.5
Numeri indici
I numeri indici sono rapporti statistici molto importanti.
Definizione 3.7.6 (Numeri indici).
Data una variabile o mutabile statistica X =

x
1
f
x2 . . .

xk 
si dicono numeri indici i rapporti,
f 
f2 . . . k
moltiplicati per 100, tra ogni frequenza fi e una di esse assunta come base
1
348
3.7. RAPPORTI STATISTICI
Osservazione
La base può essere fissa o mobile, in particolare se ogni numero indice è calcolato usando come
denominatore la frequenza della modalità precedente, i numeri indici sono detti a catena.
Esempio 3.7.6.
Data la mutabile statistica X =“numero occupati in agricoltura in migliaia di unità dal 1975 al 1980”:

1975 1976 1977
X=
3274 3244 3149

1978 1979 1980
3090 3012 2924
Calcoliamo gli indici a base fissa prendendo come base il 1975:

1975 1976 1977
Y =
 100
99
96

1978 1979 1980
94
92
89 
Calcoliamo gli indici a catena:

1976 1977
Z=
 99
97

1978 1979 1980
98
97
97 
349