L’identità del soggetto nel tempo, fra diritto romano e filosofia - Dario Mantovani (Univ. Pavia) Lunes, 5 de mayo de 2014, de 12 a 14 hs. Aula 15.0.15 XXXIII Seminario Permanente Jesús G. Amuchastegui - Grupo de Investigación sobre el Derecho y la Justicia Sintesi: - Il concetto di identità (idem esse): è un rapporto di “uguaglianza assoluta, corrispondenza perfetta fra due termini presi in considerazione”. E’ uno schema di relazione. La relazione si può instaurare fra due corpi che nello stesso tempo occupano due spazi diversi, dunque sono numericamente distinti; oppure si può applicare a oggetti in tempi diversi (in particolare, allo stesso oggetto in tempi diversi). - Alfeno Varo, console 39 a.C.: giurista allievo di Servio Sulpicio Rufo. La questione che affronta è se la res e il iudicium rimanevano i medesimi nonostante la sostituzione di alcuni giudici di una corte. - Tripartizione stoica delle cose (cose unitarie / cose composte di elementi coerenti / cose composte di elementi separati = collettive). - Le cose composte di elementi coerenti. Il problema dell’identità nel tempo nonostante il cambiamento delle parti costitutive: il “paradosso della nave di Teseo”. - Le cose unitarie. Il problema dell’identità nel tempo nonostante il flusso della materia. L’ “argomento della crescita” di Epicarmo (o( au)co/menoj lo/goj). Il flusso della materia non è una isolata dottrina atomistica epicurea, ma una premessa largamente condivisa. Argomento filosofico. - Argomento giuridico. La stabilità del soggetto giuridico nel tempo. La responsabilità individuale nel tempo. - La responsabilità collettiva nel tempo. 1) D. 5.1.76 Alfenus libro sexto digestorum. Proponebatur ex his iudicibus, qui in eandem rem dati essent, nonnullos causa audita excusatos esse inque eorum locum alios esse sumptos, et quaerebatur, singulorum iudicum mutatio eandem rem an aliud iudicium fecisset. Respondi, non modo si unus aut alter, sed et si omnes iudices mutati essent, tamen et rem eandem et iudicium idem quod antea fuisset permanere: neque in hoc solum evenire, ut partibus commutatis eadem res esse existimaretur, sed et in multis ceteris rebus. Nam et legionem eandem haberi, ex qua multi decessissent, quorum in locum alii subiecti essent: et populum eundem hoc tempore putari qui abhinc centum annis fuissent, cum ex illis nemo nunc viveret: itemque navem, si adeo saepe refecta esset, ut nulla tabula eadem permaneret quae non nova fuisset, nihilo minus eandem navem esse existimari. Quod si quis putaret partibus commutatis aliam rem fieri, fore ut ex eius ratione nos ipsi non idem essemus qui abhinc anno fuissemus, propterea quod, ut philosophi dicerent, ex quibus particulis minimis consisteremus, hae cottidie ex nostro corpore decederent aliaeque extrinsecus in earum locum accederent. Quapropter cuius rei species eadem consisteret, rem quoque eandem esse existimari. Si proponeva questo caso: di quei giudici, che erano stati assegnati in un’unica causa, alcuni dopo avere partecipato al dibattimento si erano scusati e al loro posto erano stati presi altri. Si chiedeva se il cambiamento di singoli giudici avesse lasciato la cosa identica o avesse reso il giudizio diverso. Ho risposto che non solo se uno o l’altro, ma anche se tutti i giudici fossero mutati, tuttavia la cosa sarebbe rimasta la medesima e il giudizio il medesimo che era stato in precedenza. E che non solo in questo caso avviene che nonostante il cambiamento delle parti la cosa sia considerata la medesima, ma anche in molte altre cose. Infatti, anche la legione si considera la medesima, dalla quale molti sono usciti e al loro posto altri sono subentrati. E un medesimo popolo in questo momento si ritengono quelli che c’erano cento anni fa, benché nessuno di loro sia ancora vivo oggi. Analogamente una nave, se è stata riparata tante volte che nessuna tavola è rimasta la stessa (che non sia stata rinnovata), nondimeno la si considera la medesima nave. Che se taluno ritenesse che cambiate le parti diventa una cosa diversa, ne conseguirebbe che secondo il suo ragionamento anche noi non saremmo i medesimi che eravamo un anno fa, dato che, come affermano i filosofi, delle minime particelle delle quali siamo costituiti, le une quotidianamente si staccano dal nostro corpo e altre subentrano dall’esterno al loro posto. Perciò se la forma di una cosa rimane la medesima, anche la cosa si considera identica. 2) D. 41.3.30 pr. Pomponius libro trigensimo ad Sabinum. Rerum mixtura facta an usucapionem cuiusque praecedentem interrumpit, quaeritur. tria autem genera sunt corporum, unum, quod continetur uno spiritu et Graece henoménon vocatur, ut homo tignum lapis et similia: alterum, quod ex contingentibus, hoc est pluribus inter se cohaerentibus constat, quod synemménon vocatur, ut aedificium navis armarium: tertium, quod ex distantibus constat, ut corpora plura [non] soluta, sed uni nomini subiecta, veluti populus legio grex. primum genus usucapione quaestionem non habet, secundum et tertium habet. Ci si chiede se l’avvenuta mescolanza di cose interrompa l’usucapione precedente di ciascuna. Ci sono tre generi di cose corporali: il primo è ciò che è retto da un unico spirito ed è chiamato in greco henoménon (cosa unitaria), come un uomo, una trave di legno, un sasso e cose simili. Il secondo genere è ciò che consta dell’unione di cose contingenti (che si toccano), cioè di più cose fra loro coerenti, che è chiamato synemménon (cosa composta), come un edificio, una nave, un armadio. Il terzo genere è ciò che consta di cose distanti, cioè più cose corporali [non] indipendenti, ma soggette a un nome unitario, come il popolo, la legione, il gregge. Il primo genere non pone questioni per l’usucapione, il secondo e il terzo ne pongono. 3) Plut. Coniugalia praecepta 34 (142e): Τῶν σωμάτων οἱ φιλόσοφοι τὰ μὲν ἐκ διεστώτων λέγουσιν εἶναι καθάπερ στόλον καὶ στρατόπεδον, τὰ δ´ ἐκ συναπτομένων ὡς οἰκίαν καὶ ναῦν, τὰ δ´ ἡνωμένα καὶ συμφυῆ καθάπερ ἐστὶ τῶν ζῴων ἕκαστον. σχεδὸν οὖν καὶ γάμος ὁ μὲν τῶν ἐρώντων ἡνωμένος καὶ συμφυής ἐστιν, ὁ δὲ τῶν διὰ προῖκας ἢ τέκνα γαμούντων ἐκ συναπτομένων, ὁ δὲ τῶν συγκαθευδόντων ἐκ διεστώτων, οὓς συνοικεῖν ἄν τις ἀλλήλοις οὐ συμβιοῦν νομίσειε. I filosofi sostengono che alcuni corpi sono composti di elementi distinti, come una flotta o un esercito, altri di elementi congiunti insieme, come una casa o una nave, altri formano un’unità naturale, come è il caso di ciascuno degli esseri viventi. Orbene, questo vale pressappoco anche per il matrimonio: quello di persone che si amano forma un’unità naturale, quello di coloro che si sposano per la dote e per avere figli risulta di elementi congiunti insieme, quello di persone che non fanno che dormire nello stesso letto risulta di elementi distinti, e si potrebbe considerare, la loro, una coabitazione ma non una vita in comune. 4) Diog. Laert. III, 11 = Epich. fr. 276, Poetae Comici Graeci, ed. Kassel and Austin (2001) = 23 B fr. 2 D.-K. -A: ai¹ po\t a)riqmo/n tij perisso/n, ai¹ de\ lv=j po\t aÃrtion, potqe/mein lv= ya=fon hÄ kaiì ta=n u(parxousa=n labeiÍn, hÅ dokeiÍ ka/ toi¿ g' <eÃq'> wu(to\j eiåmen; -B: ou)k e)mi¿n ga ka/. ®A: ou)de\ ma\n ou)d' ai¹ potiì me/tron paxuaiÍon potqe/mein lv= tij eÀteron ma=koj hÄ tou= pro/sq' e)o/ntoj a)potameiÍn, eÃti x' u(pa/rxoi kh=no to\ me/tron; ®B: ou) ga/r. ®A: wÒde nu=n oÀrh kaiì to\j a)nqrw¯pwj: o( me\n ga\r auÃceq', o( de/ ga ma\n fqi¿nei, e)n metallag#= de\ pa/ntej e)ntiì pa/nta to\n xro/non. oÁ de\ metalla/ssei kata\ fu/sin kouÃpok' e)n tau)t%½ me/nei eÀteron eiãh ka to/d' hÃdh tou= parecestako/toj. kaiì tu\ dh\ ka)gwÜ xqe\j aÃlloi kaiì nu\n aÃlloi tele/qomej kauÅqij aÃlloi kouÃpox'wu(toiì kata/ <ga tou=ton> to\n lo/gon A: Se a un numero dispari, o se preferisci a un numero pari, uno volesse aggiungere un sassolino o anche prenderne uno che c’è, ti pare forse che sarebbe ancora lo stesso? B: A me no di certo. A: No davvero, e neppure se alla misura di un cubito uno volesse aggiungere altra lunghezza o tagliarne via da quella che c’era prima. Ci sarebbe ancora quella misura? B: No di sicuro. A: Ora guarda così anche gli uomini: uno infatti cresce, l’altro deperisce, e sono tutti in continuo mutamento tutto il tempo. Quello che allora per natura muta e mai rimane nello stesso punto, sarebbe diverso ormai da quello che era e proprio tu ed anch’io, altri ieri ed oggi altri torniamo ad essere, e poi altri ancora e mai e poi mai gli stessi, secondo tale ragionamento. 5) Plut. De communibus notitiis adversus Stoicos 44 (Mor. 1083b-c): ta\j e)n me/rei pa/saj ou)si¿aj r(eiÍn kaiì fe/resqai, ta\ me\n e)c au(tw½n meqiei¿saj ta\ de/ poqen e)pio/nta prosdexome/naj: oiâj de\ pro/seisi kaiì aÃpeisin a)riqmoiÍj hÄ plh/qesi, tau)ta\ mh\ diame/nein a)ll' eÀtera gi¿nesqai, taiÍj ei¹rhme/naij proso/doij <kaiì a)fo/doij> e)callagh\n th=j ou)si¿aj lambanou/shj: au)ch/seij de\ kaiì fqi¿seij ou) kata\ di¿khn u(po\ sunhqei¿aj e)knenikh=sqai ta\j metabola\j tau/taj le/gesqai, gene/seij [de\] kaiì fqora\j ma=llon au)ta\j o)noma/zesqai prosh=kon, oÀti tou= kaqestw½toj ei¹j eÀteron e)kbiba/zousi: to\ d' auÃcesqai kaiì to\ meiou=sqai pa/qh sw¯mato/j e)stin u(pokeime/nou kaiì diame/nontoj. Tutte le sostanze particolari scorrono e sono in movimento, poiché perdono loro elementi e viceversa ricevono elementi che sopravvengono da qualche parte. Dunque, i numeri o quantità cui si aggiunge o toglie non restano gli stessi, ma diventano altri, poiché la sostanza è trasformata dalle aggiunte o perdite in questione. Ma è a torto che l’uso ha imposto di chiamare crescita e diminuzione questi cambiamenti, poiché converrebbe chiamarli piuttosto nascite e distruzioni, dato che fanno passare da uno stato all’altro, mentre il crescere e il diminuire sono vicende di un corpo che sussiste e rimane. 6) Comm. Anon. in Plat. Theaet., Pap. Berol. 9782 (ed. Diels, Schubart, col. 71, 12 ss.): )Epixarmoj .... Ou)si/ai a)l ì lote a)l ì lai gi/nontai kataì sunexh= r(u/sin. Kaiì e)kwmw/idhsen au)toì e)piì tou= a)paitoume/nou sumbolaìj kaiì a)rnoume/nou tou= au)tou= ei)=nai diaì toì taì meìn prosgegenh=sqai taì deì a)pelhluqe/nai, e)peiì deì o( a)paitw=n e)tu/pthsen au)toìn kaiì e)nekalei=to, pa/lin ka)kei/nou fa/skontoj e(/teron meìn ei)=nai toìn tetupthko/ta, e(/teron deì toìn e)gkalou/menon. Epicarmo … Le sostanze diventano incessantemente altre per continuo scorrere. E (scil.: Epicarmo) lo mise in commedia mediante il personaggio al quale veniva chiesta la restituzione del debito e negava di essere il medesimo (che aveva contratto il debito), a causa degli elementi che si erano aggiunti e di quelli che si erano perduti. Quando poi il creditore lo percosse e fu chiamato in giudizio, a sua volta affermò che colui che aveva dato le percosse era uno e quello che era chiamato in giudizio era un altro. 7) Plut. De sera numinis vindicta 29 (558f-559c): Οὐ μὴν ἀλλὰ τά γε δημόσια τῶν πόλεων μηνίματα τὸν τοῦ δικαίου λόγον ἔχει πρόχειρον. Ἓν γάρ τι πρᾶγμα καὶ συνεχὲς ἡ πόλις ὥσπερ ζῷον οὐκ ἐξιστάμενον αὑτοῦ ταῖς καθ´ ἡλικίαν μεταβολαῖς οὐδ´ ἕτερον ἐξ ἑτέρου τῷ χρόνῳ γινόμενον, ἀλλὰ συμπαθὲς ἀεὶ καὶ οἰκεῖον αὑτῷ καὶ πᾶσαν ὧν πράττει κατὰ τὸ κοινὸν ἢ ἔπραξεν αἰτίαν καὶ χάριν ἀναδεχόμενον, μέχρι ἂν ἡ ποιοῦσα καὶ συνδέουσα ταῖς ἐπιπλοκαῖς κοινωνία τὴν ἑνότητα διαφυλάττῃ. Τὸ δὲ πολλὰς πόλεις διαιροῦντα τῷ χρόνῳ ποιεῖν μᾶλλον δ´ ἀπείρους ὅμοιόν ἐστι τῷ πολλοὺς τὸν ἕνα ποιεῖν ἄνθρωπον, ὅτι νῦν πρεσβύτερός ἐστι πρότερον δὲ νεώτερος ἀνωτέρω δὲ μειράκιον ἦν. Μᾶλλον δ´ ὅλως ταῦτά γε τοῖς Ἐπιχαρμείοις ἔοικεν, ἐξ ὧν ὁ αὐξόμενος ἀνέφυ τοῖς σοφισταῖς λόγος· ὁ γὰρ λαβὼν πάλαι τὸ χρέος νῦν οὐκ ὀφείλει γεγονὼς ἕτερος, ὅ τε κληθεὶς ἐπὶ δεῖπνον ἐχθὲς ἄκλητος ἥκει τήμερον· ἄλλος γάρ ἐστι. Καίτοι μείζονάς γε παραλλαγὰς αἱ ἡλικίαι περὶ ἕκαστον ἡμῶν ποιοῦσιν ἢ κοινῇ περὶ τὰς πόλεις. Γνοίη γὰρ ἄν τις ἰδὼν τὰς Ἀθήνας ἔτει τριακοστῷ, καὶ τὰ νῦν ἤθη καὶ κινήματα παιδιαί τε καὶ σπουδαὶ καὶ χάριτες καὶ ὀργαὶ τοῦ δήμου πάνυ γε τοῖς παλαιοῖς ἐοίκασι· ἀνθρώπου δὲ μόλις ἄν τις οἰκεῖος ἢ φίλος ἐντυχὼν διὰ χρόνου μορφὴν γνωρίσειεν, αἱ δὲ τῶν ἠθῶν μεταβολαὶ παντὶ λόγῳ καὶ πόνῳ καὶ πάθει καὶ νόμῳ ῥᾳδίως τρεπόμεναι καὶ πρὸς τὸν ἀεὶ συνόντα τὴν ἀτοπίαν καὶ τὴν καινότητα θαυμαστὴν ἔχουσιν. Ἀλλ´ ἄνθρωπός τε λέγεται μέχρι τέλους εἷς ἀπὸ γενέσεως, πόλιν τε τὴν αὐτὴν ὡσαύτως διαμένουσαν ἐνέχεσθαι τοῖς ὀνείδεσι τῶν προγόνων ἀξιοῦμεν, ᾧ δικαίῳ μέτεστιν αὐτῇ δόξης τε τῆς ἐκείνων καὶ δυνάμεως· ἢ λήσομεν εἰς τὸν Ἡρακλείτειον ἅπαντα πράγματα ποταμὸν ἐμβαλόντες, εἰς ὃν οὔ φησι δὶς ἐμβῆναι τῷ πάντα κινεῖν καὶ ἑτεροιοῦν τὴν φύσιν μεταβάλλουσαν. Le punizioni pubbliche delle città (Stati) hanno una ragione evidente di giustizia. Uno Stato, infatti, è un tutto unico che continua nel tempo, un organismo simile ad un essere vivente, di cui l’età non può alterare l’identità. E, poiché lo Stato è uno, almeno finché la comunità si mantiene unita, ad esso spettano, proprio come all’uomo singolo, la lode e il biasimo, la ricompensa e il castigo, che devono essere distribuiti secondo giustizia. Se si pretendesse di distinguere nello Stato molti Stati, dividendo il corso della sua durata, di modo che, per esempio, lo Stato di un secolo fa non abbia nulla a che fare con quello di oggi, tanto varrebbe dividere allo stesso modo anche l’uomo, sostenendo che colui il quale oggi è vecchio, non è assolutamente l’uomo che era giovane sessant’anni fa. È questo il sottile sofisma di Epicarmo, discepolo di Pitagora, che si divertiva a dimostrare come chi ha avuto in prestito del denaro non è tenuto a restituirlo, poiché, al momento della scadenza del debito, egli non è più quello di prima; e che uno, invitato a pranzo ieri, si presenta oggi come ospite non invitato, poiché nell’intervallo di tempo è mutato. Pure, il tempo genera maggiori differenze nell’uomo singolo che nelle città e negli Stati. Chi avesse visitato Atene trent’anni fa vi ritroverebbe oggi le stesse abitudini, gli stessi divertimenti, le stesse mode, insomma non vedrebbe nulla di sostanzialmente mutato; chi invece passa qualche anno senza vedere una persona, pur avendola frequentata spesso e abitualmente, a stento la riconoscerebbe oggi dall’aspetto esterno, e quanto poi alla fisionomia morale, questa persona avrà mutato a tal punto le abitudini, il modo di vivere e i gusti, che non la riconoscerebbe affatto. Eppure, nessuno mette in dubbio la sua identità, immutabile dalla nascita alla morte. Dobbiamo quindi credere nella continuità e nell’identità delle città e degli Stati, a meno che non si voglia utilizzare in malafede l’idea di Eraclito, il quale sosteneva, e in un certo senso aveva ragione, che «è impossibile bagnarsi due volte nello stesso fiume» (trad. C. Coccìa).
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