FORTEZZE GOTICHE E LUNE ELETTRICHE _____________________________FORTEZZE GOTICHE E LUNE ELETTRICHE LE CENTRALI IDROELETTRICHE DELLA AEM IN VALTELLINA Fotografie di Testi di G ab riele Basilico G ia n n i Berengo G a rd in Francesco R ad in o D aniele Baroni G io v a nn i Bettini A ldo C astellano G uglie lm o Scaram ellini Ricerche bibliografiche e letterarie di Franco Monteforte C o m u ne di M ilano A em A zie nd a energetica m unicipale Progetto grafico di Italo Lupi SOMMARIO 6-7 Prefazioni di: Bruno Falconieri e Gianfranco Rossinovich 15 Guglielmo Scaramellini: Il quadro storico-economico dell'area geografica valtellinese 38-52 Citazioni letterarie 57 Giovanni Bettini: L'uomo, l'ambiente, le risorse nel territorio valtellinese 84-86 Citazioni letterarie 91 Daniele Baroni: Le «cattedrali» del progresso 104-114 Citazioni letterarie 119 Aldo Castellano: Archeologia industriale degli impianti idroelettrici in Valtellina 150 Appendice: Gli impianti idroelettrici di Valtellina e le installazioni elettriche del Comune di Milano Immagini Fotografiche Gabriele Basilico: pagg. 6/7, 10/11, 56, 59, 60, 61, 63, 65, 67, 69, 71, 73, 75, 78/79, 80, 81, 82/83, 85, 87, 88/89, 102, 103, 105, 107, 109, 111. Gianni Berengo Gardin: Sovra coperta, pagg. 8/9, 14, 17, 29, 31, 33, 34/35, 36, 37, 39, 41, 42, 43, 44/45, 47, 49, 50/51, 53, 54/55, 76/77, 157. Francesco Radino: 1° e 2° risguardo, pagg. 12/13, 112/113, 115, 116, 117, 118, 121, 123, 125, 127, 128/129, 131, 133, 135, 137, 139, 141, 143, 145, 146, 147, 148/149. Ingresso della centrale di Lovero "Il Consiglio Comunale, convinto che si debba eseguire senza ritardo la derivazione di energia dall'Alta Valtellina, alla quale sono intimamente connessi, per modo da formare un tutto unico, l'impianto a vapore e la rete di distribuzione in corso di esecuzione in Milano, riconosce ed afferma la necessità di procedere subito direttamente alla esecuzione del primo impianto idro elettrico e deferisce ad una Commissione l'incarico di studiare, d'accordo colla Giunta, l'organizzazione tecnico-amministrativo-finanziaria a ciò occorrente, riferendone al Consiglio entro tre mesi". Ho voluto riportare integralmente l'ordine del giorno, votato all'unanimità nel giugno 1907, dal Consiglio comunale di Milano perchè da questa decisione tre anni più tardi sarebbe nata, attraverso un referendum popolare, l'Azienda Elettrica Municipale. Bene ha fatto l'attuale Azienda, ora energetica, a pubblicare alla vigilia del suo 75° anniversario, questa monografia. Dagli impianti valtellinesi infatti è giunta a Milano, in questi 75 anni, una parte importante dell'energia necessaria per lo sviluppo della città e del suo hinterland. La collettività milanese deve dunque alla lungimiranza degli amministratori di allora la costruzione dì un importante patrimonio, che si è via via arricchito negli anni. Questa monografia, attraverso le immagini e i saggi, ci propone un'interessante analisi di quel primo importante periodo. Come amministratore pubblico desidero sottolineare la visione strategica di quelle scelte energetiche. Vi è infatti una continuità tra la coraggiosa scelta operata all'inizio del secolo - investire danaro pubblico per produrre energia elettrica - e quella attuale che si concretizza nella elaborazione, da parte deH'Amministrazione comunale, di un piano energetico per la Milano che va verso il 2000. Oggi come allora decidere suscita, a volte, scetticismo e polemiche, ma così come noi constatiamo la validità e la saggezza delle scelte di allora ci sentiamo dì affermare che le scelte operate nel campo dell'energìa dal "piano energetico per l'area milanese", frutto di un'attenta ed elaborata progettazione, ridurranno i costi, diversificheranno le fonti e disinquineranno Milano. Ecco quindi, con l'imminente ricorrenza di questi 75 anni, avanzare un nuovo traguardo del cammino energetico deH'Amministrazione comunale di Milano. Sicuramente non saranno più "fortezze gotiche" e non vi è più il fascino che le "lune elettriche" hanno esercitato agli inizi del secolo. La tecnologìa attuale ci ha abituato a ben altri "spettacoli", abbiamo e avremo quindi rappresentazioni diverse dello "spettacolo energetico" ed anche gli "scenari energetici" saranno diversi. In queste ovvie diversità, quello che mi auguro resti simile è la capacità degli amministratori pubblici di essere all'altezza, come avvenne allora, della sfida energetica. Bruno Falconieri Assessore delegato all'Aem ■i ■i * ■i » ■i ■ H— II ■i m i1 ' r II .III ■i ■ i ms a II III ■ ! 9H jZ t II III r II III 11 i 1 Il il IKT : : | II 11 111 J 1 II 111 111 W : II Mi Energia e Società sono termini e concetti inscindibili e complementari in quanto lo sviluppo sociale è oggi, più che in passato, condizionato dalle disponibilità energetiche. L'Aem attraverso la presente collana intende coinvolgere diverse discipline tecniche e umanistiche per interpretare le tappe storiche dello sviluppo della nostra città in cui la gestione energetica è stata protagonista essenziale. Settantacinque anni fa, l'Aem si accingeva a progettare e gestire quelle "fortezze Gotiche" che avrebbero prodotto e producono le "lune elettriche" necessarie allo sviluppo industriale e civile della nostra città. Non vorrei si dimenticasse, e bene hanno fatto gli autori a ricordarlo, che il lavoro dell'uomo, progettuale o realizzativo, è stato fondamento di "questa storia". Abbiamo voluto documentare tutto questo con alcuni saggi e con molte immagini. Ma protagonisti di questa opera, oltre agli impianti, sono anche l'ambiente, le genti e la storia della Valtellina. Tutto questo è "dentro" a queste "fortezze" che hanno consentito e consentono di produrre questa meravigliosa energia. Abbiamo voluto che questi manufatti fossero rivisitati da tre professionisti dell'immagine proprio perchè viviamo in un'epoca che quotidianamente si misura con una cultura che trova nell'immagine uno dei suoi elementi essenziali. I fotografi, insieme agli storici e ai sociologi, hanno interpretato in questa monografia i nostri impianti valtellinesi, che risultano così, come d'incanto, i protagonisti di una lunga storia che li vede profondamente legati all'ambiente. Scorrendo queste immagini, si ha la sensazione che il lavoro dell'uomo non solo sia riuscito a coniugarsi con i bisogni della natura, ma addirittura sia riuscito a dare a questa ancora più forza. Le dighe, le centrali cosi descritte, siano esse liberty o più recenti, hanno alimentato industrie e tram, illuminato strade e case della Milano dei primi del '900. Si è più volte affermato che, attraverso i fili che dalla Valtellina giungono a Milano, è passata parte della storia economica e sociale di questa importante parte della Lombardia. Su quei fili si è sviluppato un rapporto di reciproco interesse, una sorta di andata e ritorno tra la valle e la pianura, tutto ciò in modo sicuramente complesso e a volte conflittuale, ma pur sempre vivo e intenso. Nel pubblicare questo volume abbiamo voluto quindi ripercorrere i nostri 75 anni soffermandoci nel periodo iniziale di questa storia. Abbiamo voluto sottolineare la modernità e l’attualità del lavoro svolto a suo tempo dagli Amministratori pubblici, dai progettisti e dagli operai che realizzarono questo patrimonio. Un modo degno, a nostro avviso, per ricordare il 75r anno di fondazione dell'Aem e il primo anno di avvio del piano energetico dell'area milanese, che l'Amministrazione comunale di Milano ha affidato, per la sua realizzazione, alla nostra azienda. on. Gianfranco Rossinovich Presidente Aem A 6 7 La vecchia diga di Cancano vista da valle e, sullo sfondo, la diga di S. Giacomo 9 La centrale di Grosotto vista da valle io li La sala quadri della centrale di Grosotto Vigneti a terrazzo nei dintorni di Grosotto 14 Il quadro storico-economico dell’area geografica vaftellinese Guglielmo Scaramellini Cent'anni or sono, nell'allora più settentriona le provincia del Regno, quella di Sondrio, scoc cava la prima scintilla elettrica della locale sto ria industriale. L'evento, grandioso e rivoluzio nario, accolto un po' in sordina nella debole struttura economica locale, si ebbe in un cotoni ficio, trapiantato da qualche decennio nell'uni co centro manifatturiero di qualche rilievo, Chiavenna. Beneficiando della nuova energia i proprietari della «Ditta Eredi Gio. Amman» riu scirono a prolungare la giornata lavorativa a tredici ore anche nella stagione invernale, col dare un'adeguata illuminazione allo stabili mento. La forza motrice necessaria agli impian ti, infatti, continuava ad essere fornita da un potente motore a turbina idraulica, della forza di «140 cavalli dinamici che muove tutto il pe santissimo meccanismo». L'avvenimento venne riportato, quasi inci dentalmente, nella relazione per il biennio 1883 1884 della Camera di Commercio di Chiaven na, relazione che registrava, soprattutto, una situazione difficile dal punto di vista economico e sociale: si tratta di un periodo «di profondo sofferimento per le tristi condizioni di gran parte della popolazione, tribolata, in più, dal timore di una invasione cholerica e danneggiata dalle misure sanitarie prese ai confini» che finirono per ridurre drasticamente il «solito passaggio dei tourist e dei forestieri per gli stabilimenti dell'Engadina». In agricoltura si registrano «raccol ti scarsi e quelli delle uve rovinati dalla peronospera, dalle piogge e dalla grandine», tanto che «l'emigrazione per le Americhe è in continuo aumento». Non mancavano, tuttavia, speranze di ripre sa, affidate al diffondersi delle latterie sociali, alla stessa emigrazione come fonte di rimesse in denaro e di nuova professionalità per il futuro, al compimento dei due tronchi ferroviari ColicoSondrio e Colico-Chiavenna. Si tentava, anche, una sorta di censimento per conoscere la forza idraulica disponibile nei vari comuni della pro vincia, prevedendone, d'altra parte, un'utilizza zione soltanto meccanica: di energia elettrica, infatti, non si fa alcun cenno, né lo si sarebbe fatto sino alla fine del decennio successivo. Appare dunque assai evidente come, ancora negli anni Ottanta del secolo scorso, la Valtelli na non vedesse il suo orizzonte completamente rischiarato dopo la terribile crisi degli anni Cin quanta, un decennio spaventoso che aveva messo in ginocchio quella che venne detta «Ur lando lombarda»; ma un ritorno graduale ad una soddisfacente salute economica e sociale era visto come possibile e perseguito da una classe dirigente locale disposta a dar credito ai segni di risollevamento e attenta ai segni di tra sformazione economica e industriale. Oggi possiamo considerare la «grande crisi» della metà del secolo un vero tornante nella sto ria valtellinese, anche se le trasformazioni della realtà imputabili ai suoi effetti non furono né immediate, né radicali. E però certo che si incri narono visioni del mondo, di rapporti tra classi e di vita sociale che là erano radicate da secoli. Dai vigneti eroici alla «grande crisi» In gran parte della valle dell'Adda e soprat tutto sul versante delle Alpi Retiche tra Ardenno e Tirano, ma anche più su, fino a Grosio, ben esposto al sole di mezzogiorno e riparato dai venti di tramontana, si era sviluppata, nel corso dei secoli, generazione dopo generazione, una 15 Il nuovo invaso di Cancano, sullo sfondo le dighe di Cancano 1 e di S. Giacomo viticoltura eroica, che strappava alla montagna tutti i lembi di terreno pianeggiante. Ove questo era assente, lo si costruiva a forza di braccia: «le vigne - scriveva nel 1813 il prefetto napoleonico Francesco Angiolini - sono nella maggior parte formate da artificiali ajuole a gradinata sostenu te da muri» le cui realizzazione e manutenzione costavano all'agricoltore enorme fatica e conti nuo lavoro, perché egli doveva, ogni anno, co me scriveva Melchiorre Gioia, «gettare col badi le la terra dall'infimo muricciolo ai piedi del su periore e così degli altri sino alla cima della ci clopica gradinata, allo scopo di riportare su la terra trascinata a fondovalle dalle piogge inver nali e dalle acque del disgelo, nonché di redi stribuire il peso della terra, accumulatosi sui ter razzi artificiali più bassi». E, in realtà, si trattava di una complessa co struzione non solo dal lato tecnico ed agronomi co, ma anche da quello economico-sociale. I fondamenti di questo edificio erano sostanzial mente due: la forma di conduzione «livellaria» dei terreni (con un contratto, cioè, di enfiteusi con locazione ereditaria perpetua, detto «livel lo» valtellinese) e la specializzazione produttiva viticola in contemporanea presenza con la poli coltura destinata all'autoconsumo. Il contratto di «livello» e la specializzazione vitivinicola Il «livello» si diffuse in Valtellina soprattutto dal tramonto del Medioevo, quando declinò la feudalità e nuove forme di vita economica e so ciale sì vennero affermando. Il secolo XV fu quello in cui questo contratto si generalizzò, aprendo nuove vie all'agricoltura vallìgiana e nuove opportunità dì esistenza alla popolazione rurale. Il contratto di livello, infatti, si presentò inizial mente come un fenomeno progressivo, un fatto positivo per il coltivatore; con esso, infatti, la grande proprietà nobiliare od ecclesiastica fu suddivisa in una serie di piccole unità colturali, la responsabilità della cui gestione venne affi data ad un coltivatore diretto, che si svincolò così dalla dipendenza e dal controllo diretto del proprietario, in cambio del pagamento di un canone, solitamente in natura, e fissato una vol ta per tutte. I vantaggi di un simile criterio di affidamento della terra andavano sia al pro16 17 Da "La grande carta automobilistica" 1:300.000, Touring Club Italiano, 1926. P , Vaii«iia 8 . M arta Ifl« V tforrr» R**»nyv¿ T <> fttUiana ^ #S C.~ «fi (Schiarigna^/w S. M o riz , 1607 * G irjn a R o ss» a ua ro tta ' P '* Rotondo' 1666 -¿tfd, 9 ,r i V M»r»x p. A r t if ir U U ? , ® 'U n cauto ' / rlfVédret M inuta* fy One <DPUtor^ ’#172 .Pontresjna \ Vii*0* -f* a. B e rn a rd in o Mtf W V b * _ P ia n a z iy Borni io P i i C f i jJ c h K o X .» jnt A ri« « ' 1M, i ^ ; astiar tirófílio < Ì^ 'e m o n io / / V v M IK..Z& S v, ' ' p ," di Rettila C oron a ursonia _ 1,10« T orfon e d’ 0c2a. ma 'ideilo ' » io o z ia f y /.S. Domenica \ l<M0 / / '>• C auco ) ‘•“'”'"'1?/ 0 W m « /.« la /in l 4Jfc/ • ,'- S Ciqaw» «p ™ \ '*eh'Un> p ." di ‘’ litòn .* « 0 3 Protto P i u ro i C hiavenì s. í ú ,„ . • * P " Gangole Prieilau i (e lo d iZZò X M P adró n * C o rd o n a S flW d o (¿rodo + * P'* Martillo ^ ,*♦•1457 * . ni <v a Qanàe R m u GruUOlto ; u SOm<’^ 2W0 : P.**Led«, unaso £. 'LUira/rhà <( H A ll)osiifiß ia &roPian&do lj,fJh ,Jl0i¿oñr~~r~ - /*" (so rlfitP tliilo *90 #07 . l^t'yOrßnt Sìlfio 9,4 ' r/io C r e m ia jj . X \S o n ir o .S'u n iiru ln Hrlr+tlrrc fo n ia n i »aS/- Mi>,i Castello lamello P." T/»y>)|»)o P . d V j/ R o t t a «41 >or/o I ronzano /» Viwr. D o sso P a sso Albarello ■M7Í Ma!on rìo 9 0 * 1p a r S. M a reo 5 T ra j j i i i t t ì ì ¿ i M ■*0/l/mn M To ren» A c ifiia s e rity -' M . S a lterò l)ii(passoni * Uennifinut 'm u d in e a l I a f« d r i r A cq ua ' -a tl dftno.ro *■ ** de! Jona le Jr ß C a rie n '-«i ([offrilo < firineUa JJ>2‘ ■Oit.lía*lomar* jc5 c -4-u ■ M.Padri» 'Si,¡stona v C in o n ^ b liu ,'-? T ra o n a Ìnula m /* iraito M. B ru cia to *»M6 Folcijnn t.nmhnr/ t f ìè n i, ejo Tom AH /'*/< * Baruffini J* o n ie d i /, la zzo Initrii. juj' j V ervio'Jl S o ric o 'l’UlfflíoilValtn) ìopcia l i fj s B n u tio * 7816 ÍS M*Mà»uccio S. Andrea Ce3$¡¡¡ím pnm fofa, \ Va?-' ■ (rem Copiatine 1 ■Samuo/i/ 2660 ** P-'* Roggiorit« *> rxy^’rono ofiorito C im agandt ‘ V J f •« "> « /, a 5 ” “ ^ t n g f io / / y; i-. H ianco' Maloja ** Q uadro Biasca UtSCO . L o v e no 2740 yimenfa^** < Aitdnu'jy firuairllo M. Ver»trocolo tifi lio n d io i 5 ^—J *f ’ortunM l'ig o Ke n d e na K 4071 .. 7M ^ VllUt Renderla 2ÍM O l*a s p a r d o fondi , fu*a S c lu liiu rio ! I a v r b jr , N o iW M SelleròIMprecò * M C a io m b * P.'*Tornello 'i i i n i f , i i t ‘ r< ir/-xo •»•67 JVortage f*fingo f 47v i 2857 Mota, M VairAsa ,f7<> * Ma1»«/ J4 . , *?# . ^ -n-i T IO N E C im iterg o Cromo i H.nn» C." Vacchio J (-età .osine Bondo H o n co n e y f tiraonc Ciardo Cr i7° , ír/, R„ / -'Pondrá f'Vrc/esm'r^ 460 - \^p^oneobeUo riazza 4i l ana IrMabana. ■ernia l ì or dop p ö Daone * 74^ A fro ri /fctrada + 'C re lo C o lo g n d j C -, M . Frarone 'uU ino 1671 W 74. (Aistiono l‘iil/1cfOgnti d. Tritolane M .M a tlo n i • ' _ “\U**6 Passò-Croce Domini Ia'S-Monicchio *¿At)a rfo . . .<1 OiadJf-arM * Cirneco // s /4/A alle Par/r Lenzum ßezzecca 6" S S '> J *7„, 444 Iro-fldino. M. Mignolino M.CrfjtOSO »14 aa^4 D a rzo M. Colom bo l í^ íít.líiÍM>tfrptiua' 2 t licrt^iimo ' ; r é \i® r-VfÄf >/ak\£ jj f>tlHltfiUg/Sityo jfwffi.- rj ‘■"'^/ÄiipiartO.V.167 i '/§ r.Vjrn^>. .tistelkejìù \ )ggioryí\' CadtifJ^ I Casortite' l<;Ai,r,AfUWv i . J, J :emhiÜa Pu.*itiifir-\ tío s h i o \ B rrb e n n o >0010. ¡jfSedrina K e rlo v a >- 40« yTAmbri* /•; Ì°^ //o > iC n d rn n a •«> C e £ antlfga^/^ -ti*osean l i Se^'ino / < m . p, » í L , ; 1^ , tom o 10 A llo " ffnmoink f j o p i* Wo O o sso Alto ^ — -^ 2 6 Ì064 •f. ( .ttlnmhnit,. Antonia 2006. ‘zzaze ! C orn a B ia c c a ^CoißU- ^ ,3 ir» M . C a tio n e . IS02 VO Attillo n's Ur 's !S$mbìfì frullai,m/tu 1,1"’W » ¡¿'/¡Iß o n a l'y tA lib iti! ò'*\ Tr*m«lzo OraeTn. H.ulo" llu fio lh l0’' _s- Cenale L tiz z a n a ^ <^\7 ■pnrrajìO < raoiodrmi,„rerofcuo""} : . s,," r « Prabio) Tignòle tardóla x Ir a r t i Ros™ -410 erno/rrV0 •rgant. Ve estoni r prietario, che poteva annualmente disporre di una quantità certa di beni agricoli, indipenden temente dall'andamento stagionale e senza esborso iniziale di capitali, sia all'affittuario (pic colissimo proprietario o nullatenente) che otte neva terra da coltivare, senza scadenze tempo rali, in cambio di un canone tenue e fisso; inol tre, ogni successiva miglioria nella conduzione del fondo e quindi nel ricavato, gli spettava di diritto. Certo, al coltivatore veniva richiesta una congrua anticipazione in lavoro, ma la certezza di un soddisfacente compenso successivo fece del «livello» uno strumento economico che con sentì rapidi progressi alla società valtellinese del Quattrocento. Dì qui un grande fervore edili zio ed artistico e una fioritura culturale, ma an che un processo di crescita demografica di rile vanti proporzioni, favorita sì da condizioni eco nomiche oggettivamente positive, ma anche da aspettative psicologiche decisamente ottimisti che. All'incremento della popolazione si accompa gnò il progressivo esaurirsi delle terre di più fa cile utilizzo: lo scambio «livellano» divenne sempre più ineguale, con canoni elevati per ri masugli dì terreno assai ingrati se non addirittu ra incoltivabili. Per la classe coltivatrice tutto questo significò la conclusione di una fase, che portò anche un regresso generale a più basse condizioni di vita. E questo nonostante si mettesse in atto, con l'im pianto di una produzione dall'alto valore com merciale, l'unica «mossa» in grado di far fronte alla scarsità oggettiva di terreni coltivabili, dato il popolamento, ed alle difficoltà di «costruzio ne» dei terreni stessi con le immani opere di terrazzamento. E una produzione che accanto all'alto valore commerciale presentasse indubbi vantaggi per il tipo di aree coltivabili e per la stessa posizione geografica della zona, altro non poteva essere che la vite da vino. Una sorta di «via del vino» era felicemente aperta sin dal Medioevo tra i paesi meridionali ed i paesi nordici, quasi del tutto privi di produ zione locale (non mancavano, però, aree di spe cializzazione più settentrionali, come le valli del Reno e della Mosella, Bordeaux e la Champa gne): in questo circuito la Valtellina si inserì ben presto, conquistandosi una solidissima posizio 20 ne sul vicino mercato elvetico. La specializzazione produttiva, già intensa in epoca rinascimentale, si intensificò ancor più in epoca moderna e venne spinta a livelli mai co nosciuti in seguito all'annessione alla Repubbli ca Cisalpina (1797), che apre improvvisamente il grande mercato lombardo. Seguirono «anni quasi favolosi» - afferma lo statista ed economi sta valtellinese Luigi Torelli - e, infatti, questa rapida e radicale riconversione produttiva fu ri pagata con dei redditi mai conosciuti in prece denza, anche se i presupposti della grande «cri si», ignorati dai più, erano presentì. Un uomo pubblico locale, fin dal 1813, scrìveva a Mel chiorre Gioia di una pericolosa e «cattiva sma nia di accrescere il vidato in luoghi inopportuni». E Carlo Quadrio, nello stesso anno, metteva in evidenza allarmato «quel furore comune quasi d'ogni classe di persone per estendere la coltura delle viti e rubbare così alla coltura de' grani il necessario suolo». Era accaduto che la policoltura e gran parte della produzione diver sificata destinata all'autoconsumo, uno dei prin cipali cardini dell'economia valligiano, erano andati in crisi, sacrificati ai profitti rassicuranti ed immediati della produzione viticola. Per «porre in liquidazione» la provincia furono suffi cienti l'aggressione della crittogama ai filari sempre più stipati e il rimanere tagliata fuori dallo sviluppo della rete ferroviaria, che andò invece a beneficiare i traffici dei concorrenti. Ecco, quindi, il quadro che Stefano lacini fece di questa agricoltura, dopo che per un decennio avevano infierito la crittogama e l'atrofia del ba co da seta: questi mali «per così dire, acuti, re centi, accidentali,... già gravi in se stessi, lo di ventarono ancora più per avere intaccato un corpo già logoro ed intristito» per l'azione conti nua, profonda, di quei mali «organici, generali, cronici... e predisposti di lunga mano». «Non si può inoltre tacere - aggiungeva - il venir meno delle risorse forestali per il dissen nato sfruttamento cui erano state sottoposte dal l'inizio del secolo, ed il conseguente imperver sare di fiumi e torrenti...» Abbiamo così il qua dro completo di un organismo economico-terri toriale malato, e profondamente malato, la cui ripresa appare decisamente problematica. Nel 1857, la produzione dei bozzoli diminuì di Lavori di modifica nella centrale di Roasco, posa dei nuovi tubi collettori, 1933 21 Da "Proposta di municipalizzazione", Comune di Milano, Aprile 1909. (Primo piano di produzione e trasporto) COMUNE DI MI LANO IMPIANTI IDROELETTRICI 01 V A L T E L L IN A PLA N IM ET RIA S CAL A 1: 250 'Borrrno GENERALE 000 PR E S I oSegrate “Son/< iCtf e/o'Pccc/>> Ma/anno o Berzo-Demo Vignate Hodanoo Senate >Pozzuoto oPontirolooCiseranQfjfvorc/ci'o fzantca Sel/erL < Q ,ltìn e t A KC EN E. Ponte. Co/ogfiate S p ira n o o V>G ra n fi przrjy&- Ferm LEGGENDA oCalcinate o •p ia n g a iji •So!too ino0 A r to i lienico C A N A LI m c e n t r a li • C A B IN E D I S M IS T A M E N T O ------ CO N D UTTURE E L E T T R IC H E un terzo rispetto alle annate normali, mentre quella del vino, «principalissima derrata» che da sola rappresentava «circa un terzo del valore complessivo della produzione valtellinese», sce se addirittura del 96%! Governatore della provincia, cercarono di ap portare quei miglioramenti ed applicare quei rimedi, dipendenti dal potere centrale, che già nell'ultimo periodo austriaco erano apparsi in dispensabili ed indilazionabili. In particolare, su proposta dello stesso Torelli, relatore al Par la ripresa dopo l’Unità d'Italia lamento italiano di un provvedimento legislati Questa era la situazione generale della Val vo (approvato il 27.7.1860) che si muoveva in tellina quando giunsero il distacco dall’impero questa direzione, fu ridotto drasticamente il cen asburgico, e la costituzione del regno d'Italia so (del 42% per i coltivi, castagneti e gelsi; del (1859-1861). 46% per i fabbricati e, addirittura del 74% per i L'evento, nei suoi risvolti economici, apparve pascoli ed i boschi); inoltre fu presa una serie di decisamente positivo, almeno per la Valtellina misure molto importanti per l'ammodernamento «agricola»: i nuovi governanti, tra cui assunse amministrativo ed economico della provincia una posizione di spicco Luigi Torelli, nel 1860 (tra cui spicca il rimboschimento, già raccoman 22 dato caldamente dallo Jacini come provvedi mento fondamentale). Ma la svolta politica ebbe anche altri effetti, dando fiato ed aprendo spazi all'azione di una classe dirigente locale che si era formata, nella sua maggioranza, presso l'Università di Pavia ed i circoli intellettuali milanesi, specie modera ti, ma anche presso il gruppo che gravitava in torno agli Annali di Statistica di Romagnosi e Cattaneo (su cui erano usciti, negli anni '30 e '40 alcuni interessanti lavori sulle condizioni econo miche della provincia di Sondrio). Questa classe dirigente, nella stragrande maggioranza di origine aristocratica e proprie taria, si dedicò, inizialmente, al superamento della grave crisi agricola, che, sia per i provve dimenti presi, che per il progressivo diffondersi dei rimedi agronomici atti al contenimento pri ma, e poi all'eliminazione delle malattie delle piante (specie con la solforazione della vite) venne vinta nei primi anni Sessanta. Anzi, la congiuntura favorevole del mercato del vino che va dal 1865 al 1876, permise una ripresa abbastanza rapida, anche se piuttosto effimera, dell'economia provinciale, che fu sostenuta con adeguate iniziative, indicate dall'esperienza e dagli ammaestramenti della crisi appena supe rata. In effetti, lo «stato morboso» dell'economia valtellinese non aveva soltanto messo in ginoc23 Portale della galleria di ingresso alla Centrale di Stazzona, 1938 chio i coltivatori, ma aveva anche colpito assai duramente molte famiglie di proprietari, anche agiati, i quali avevano nella vite e nel vino l'uni ca fonte di reddito. Il venir meno del prodotto per più di un decennio aveva minato la loro base economica, così che essi avevano dovuto cedere le loro proprietà a prezzi bassissimi o coprirsi di debiti, o entrambe le cose. Ne era conseguita la formazione di una classe di nuovi proprietari, non sconosciuta neppure in precedenza, ma di dimensioni ben più limitate; costoro, divenuti imprenditori agricoli (e non ra ramente speculatori ed usurai) venivano a for mare, secondo quanto dice nel 1890 un intellet tuale valtellinese, il giurista Ercole Bassi, «una nuova specie di proprietari burbanzosi, abba stanza esigenti dei loro diritti e con poco senti mento di compassione» per il contadino, venen do così a liquidare quasi del tutto una consuetu dine di paternalismo da parte dei proprietari e di condiscendenza degli agricoltori. 24 La diversificazione della struttura agraria valtellinese dopo II 1860 L'insieme di queste esperienze aveva, quindi, spinto la classe dirigente a cercare dei rimedi, e ad individuarli in una maggiore organizzazio ne, preparazione e differenziazione della strut tura produttiva, ma anche nell'offerta di una se rie dì servìzi, sia a monte che a valle, della strut tura produttiva stessa. In particolare viene potenziata l'istruzione agraria, specie con la trasformazione della vec chia, volontaristica Società Agricola nel gover nativo Comìzio Agrario provinciale (creato per legge nel 1866). Particolare cura di questo orga nismo fu il miglioramento dei sistemi dì coltiva zione, sia della vite, che, soprattutto, dell'alle vamento, in vista della diversificazione produtti va dell'agricoltura provinciale, così da sottrarla ai pericoli (che si erano puntualmente rìpresentati nel 1876 con l'antracosi, nel 1880 con la peronospora e in seguito con la temutissima fillosse Lavori di modifica all'im pianto di Roasco (1930-35 ca.) ra) di una quasi-monocoltura viticola, troppo sottoposta ai capricci di un mercato molto elasti co, dell'andamento climatico, delle malattie che, nella seconda metà del secolo, sembrano cospirare nei confronti di questa delicata colti vazione. Ma una vera conquista in campo economicosociale fu la scoperta del ruolo che, nella fram mentaria e travagliata struttura agricola provin ciale, avrebbe potuto giocare la cooperazione, sia nel campo creditizio, che in quello della tra sformazione e della commercializzazione dei prodotti. Nel 1871 nacque, nel pieno del fervore e nella tensione verso la ripresa economica, la Banca Popolare di Credito, un istituto che pratica sì la raccolta di denaro liquido (come già faceva la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde), ma anche impiega localmente i propri capitali. Una seconda iniziativa, anch'essa localizzata in Sondrio e nata nel 1872, è più legata al setto re vinicolo: viene fondata la Società Enologica Valtellinese, i cui compiti sono la promozione dei migliori metodi di produzione dell'uva e del vino, e la commercializzazione di un prodotto standardizzato di ottimo livello. Ma la promozione di iniziative cooperativisti che non si arrestò qui: particolare importanza assunsero, col tempo, quelle sorte nel settore lattiero-caseario, soprattutto col sostegno del Comizio Agrario, nel tentativo di allargare in maniera consistente la base produttiva provin ciale al settore dell'allevamento bovino. La crisi dei «livello» Nel generale processo di rinnovamento co minciò a delinearsi un fenomeno nuovo: negli anni subito seguenti alla unione al Regno d'Ita lia, particolarmente favorevoli allo sviluppo del la viticoltura, si manifestò una tendenza allo svincolo dei livelli, promosso dalla maggior di sponibilità di denaro contante (lo stesso che fa 25 voriva la nascita della Banca Popolare e di altri istituti di credito privati), dalla disponibilità con tadina, poi rivelatasi disastrosa, a contrarre de biti in questo periodo di ottimismo economico e sociale, dalle difficoltà finanziarie di molte fami glie di proprietari terrieri e, probabilmente, da una forma di «disaffezione» psicologica da par te di molti di costoro nei confronti della terra, che ne aveva «tradito» l'atavica fiducia. Il movi mento si interruppe presto, alle prime avvisa glie della nuova crisi produttiva del 1876-1878, ed in seguito al recupero dei crediti concessi dagli speculatori o per la necessità dei contadi ni, novelli proprietari, di procurarsi denaro li quido, anche disfacendosi delle nuove proprie tà. Ma ormai il segnale era dato, ed il processo riprendeva appena se ne presentasse l'occasio ne, fosse questa l'accumulazione delle rimesse degli emigranti, o il loro ritorno, o il reddito ag giuntivo apportato dai lavori ferroviari e idroe lettrici, o altre cause contingenti. Così, Ercole Bassi poteva scrivere, nel 1890: «Esistono anche al presente molti livelli, ma tutti di vecchia data, giacché il nuovo codice civile... ha assoluta mente impedito la formazione di nuovi livelli, che pur sarebbero tornati ancora utili, sia in Valtellina, che in altre regioni...». Certo questa proposizione (invero un po' inat tesa per un teorico della cooperazione come il Bassi) non avrebbe incontrato il favore di tutti, specie dei nuovi gruppi politici che si stavano organizzando in quel torno di tempo, i socialisti ed i «cattolici democratici», fieri avversari della prassi livellaria: ma almeno sta ad indicare che il processo di stipulazione di nuovi contratti si è interrotto, dopo secoli, anche se non tutti gli ap partenenti al ceto proprietario sono convinti che esso sia effettivamente superato dai fatti. Le prime iniziative idroelettriche locali (1893-1896) In questo clima di generale, anche se lento rinnovamento, la luce elettrica fece, finalmente, il suo ingresso pubblico, uscendo dal chiuso de gli opifici in cui era stata confinata per quasi un decennio. Nel 1893, infatti, il comune di Sondrio provvide all'illuminazione elettrica delle vie del la città (con 121 lampade) ed alla fornitura ai privati (2300 lampade). L'operazione fu condotta 26 dalla società per azioni «L'Elettricità», fondata nello stesso 1893 in Sondrio, che realizzò l'im pianto di produzione (2 turbine con la potenza di 150 cavalli vapore), a Torre Santa Maria, in Valmaìenco. L'anno successivo fu la volta di Chiavenna, con la «Società cooperativa per l'illuminazione elettrica» e una piccola centrale nella valle del lo Spluga, a San Giacomo e Filippo. Nel 1895 fu Tirano a dotarsi, con la società «Forza elettrica», dell'illuminazione pubblica (38 lampade) e privata (592 lampade). Nell'anno seguente anche Delebio e Novate Mezzola ebbero una rete elettrica, pubblica (ri spettivamente 15 e 4 lampade) e privata (157 e 82 lampadine); l'energia veniva fornita da pic coli impianti di una turbina, della potenza di 10 e 15 cavalli vapore. I produttori erano, in en trambi i casi, dei privati. Si trattava, come le cifre dimostrano, di picco le iniziative dalla portata locale, e la loro desti nazione era esclusivamente legata all'illumina zione; ma la loro importanza non va trascurata, né sottovalutata, specie nel contesto di una struttura produttiva extra-agricola molto povera (se si escludono alcuni complessi industriali, an che di notevoli dimensioni relative, a Chiaven na e Sondrio). Prova ne fu la loro capacità di mobilitare dei capitali non agricoli, anche in genti al di fuori dei tradizionali canali familiari dell'autofinanziamento delle imprese. Che, d'altra parte, si cominciasse a guardare ai corsi d'acqua della provincia con un occhio diverso, più «imprenditoriale» e scientifico, è di mostrato anche dall'iniziativa della Deputazio ne Provinciale, che, in accordo con il competen te Ministero dei Lavori Pubblici affidò ad una Sezione speciale del Genio Civile di Sondrio l'incarico di rilevare, in maniera molto precisa e sistematica, i dati quantitativi concernenti la portata dei corsi d'acqua provinciali. La Depu tazione stessa, dimostrando di avere ben com preso la portata non solo locale di queste fonti di energia, decise, poi, di «rendere questi elemen ti di pubblica ragione, nella certezza, che essi possano essere utilmente consultati da quanti si interessano della scienza idrografica e dell'av venire industriale del nostro paese, poiché si tratta di corsi d'acqua finora non utilizzati affatto Armatura dell'impalcato stradale del ponte sul Rìvalone, per l'accesso alla centrale di Sicrzzona, 1936 o solo in piccolissima parte». La pubblicazione relativa, dalla cui prefazione sono tratte le paro le testé citate, uscì a Sondrio nel 1896, in tempo utile per essere «consultata» con profitto negli ambienti industriali e pubblici milanesi, allora alla ricerca di fonti energetiche per lo sviluppo produttivo ed urbanistico della «capitale mora le» d'Italia. la strada secondaria che corre sulla sponda de stra del fiume valtellinese; le sue relativamente ridotte dimensioni, però, non lasciano trapelare all'osservatore attuale la grande importanza che questa realizzazione ebbe nella storia della tecnologia italiana. Importanza che non risiede nella tipologia dell'impianto idroelettrico, già ampiamente sperimentata, ma nella destinazio ne, innovativa nel nostro Paese, dell'energia prodotta nella nuova centrale: essa doveva ser Le grandi iniziative esterne: la centrale di Campovico (1899-1901) vire alla prima sperimentazione della trazione Un tale interesse, peraltro, non tardò a mani elettrica nelle ferrovie italiane. Ed, in effetti, le festarsi ed a concretizzarsi, con delle iniziative tratte Lecco-Colico-Sondrio-Chiavenna furono di origine esterna che aprirono l'attività sistema le prime, nel 1902, a muoversi con la nuova tica di utilizzazione delle acque della provincia. energia, e con pieno successo. Dopo quel primo La prima, in ordine di tempo, fu quella della momento, l'elettrificazione delle strade ferrate centrale di Campovico (ora in comune di Mor- nel nostro paese ha avuto tempi e ritmi diversi, begno) realizzata negli anni 1899-1901, con una ma non si è più arrestata. L'iniziativa era stata derivazione dal fiume Adda, ed un piccolo «sal della società proprietaria dei tronchi ferroviari to» (circa 30 m). L'elegante complesso, in stile in questione, la «Società Italiana per le Strade «medievale-lombardo», è ancora visibile lungo Ferrate Meridionali (Esercizio della rete Adriati27 Il bacino di Cancano visto dalla diga di S. Giacomo e i resti del villaggio-cantiere ca)», un importante gruppo finanziario che, ad onta della sua ragione sociale, possedeva e ge stiva la maggior parte della rete lombarda. La centrale di Campovico era di dimensioni medie (5400 cavalli vapore), ma la sua presenza molti plicò per quasi quindici volte la produzione idroelettrica provinciale allora disponibile. «Le magnificenze di Grosotto», ovvero il primo intervento deH’A.E.M. (1907-1910) Ormai, però, l'attenzione sulle risorse idriche della provincia di Sondrio si era risvegliata nel la «capitale morale» e produttiva d'Italia: nuovi, temibili concorrenti si stavano facendo avanti per ottenere le concessioni di sfruttamento delle abbondanti acque provinciali. E bensì vero che le forze politiche locali (in primo luogo cattolici e socialisti, ma anche mo derati) sì resero conto del rischio che la struttura produttiva locale correva cedendo a cuor legge ro le concessioni delle acque, ma questa oppo sizione, non sortì, dato il quadro istituzionale, legislativo e politico, nazionale e locale, i risul tati sperati dai promotori, e le convenzioni con gli aspiranti utilizzatori delle acque furono stipu late. La prima fu quella con il Comune di Mila no, col quale le trattative erano iniziate nel 1906, relativamente alle acque dell'Adda nell'Alta Valtellina. L'iniziativa era di grande respiro, non soltanto economico, ma anche di politica economica e sociale: sul finire dell'anno 1903 l'amministrazio ne ambrosiana aveva intrapreso un'azione ten dente a «rompere il cerchio di ferro del monopo lio della Società privata» (nella fattispecie la po tente Società anonima generale italiana di elet tricità «Sistema Edison» di Milano, del pioniere ing. Giuseppe Colombo, più nota come «Edi son»), così da poter costituire «il calmiere dei prezzi, allora esageratissimi dell'energia e della luce», come scriveva nel 1910 uno dei protago nisti della battaglia che, più tardi, si sarebbe scatenata intorno alla realizzazione dei primi impianti idroelettrici progettati e costruiti diretta mente dal Comune dì Milano, il repubblicano Eugenio Chiesa. La prima operazione era stata, nello stesso 1903, la disdetta dell'accordo con la stessa Edison per la fornitura dì energia alla rete tramviaria municipale, cui il Comune 28 29 I ruderi degli edifici di Soggiorno Dipendenti a Cancano, ora sommersi dalle acque avrebbe poi provveduto con un proprio impian to termoelettrico (centrale di piazza Trento, 1903 1905). In quello stesso storico (possiamo ben dir lo) torno di tempo, l'amministrazione ambrosia na approvò un ambizioso programma di svilup po del proprio sistema di impianti idroelettrici, che puntava soprattutto sullo sfruttamento delle acque valtellinesi. Superato, quindi, l'ostacolo dell'opposizione locale, si diede mano al primo impianto, quello di Grosotto, che utilizzava le acque dell'Adda, dopo un lungo canale di derivazione ed un salto di 325 m. I lavori iniziarono nel 1907 e furono portati a termine nel 1910 (lo stesso anno di costi tuzione dell'Azienda Elettrica Municipale), non senza polemiche e discussioni sul costo finale deH'impianto e sulla gestione dell'intera opera zione. Anche in questo caso l'architettura del complesso è monumentale e celebrativa, propo nendo delle forme e dei dettagli decorativi pro pri del «revival» di fine Ottocento, nello specifi co caso neo-rinascimentale lombardo. Gli altri interventi delle società private e pubbliche (1909-1920) Contemporaneamente si stavano muovendo anche le società private, che, nei primi due de cenni del secolo, realizzarono numerosi impian ti. La prima ad intraprendere dei lavori in Val tellina fu la Società Idroelettrica Italiana, che negli anni 1909-1911 realizzò la centrale del Ma sino e poi, nel 1910-1912 quella del Mallero (det ta poi Superiore, quando ne sorse un'altra a valle). Dopo questo periodo piuttosto intenso ci fu una breve stasi, che si interruppe negli anni della Grande Guerra, con una ripresa assai consistente nelle realizzazioni idroelettriche, sia da parte dei privati, che dell'A.E.M. Il governo, infatti, preoccupato dei bisogni energetici dell'industria bellica, aveva emana to, nel 1916-1917, una serie di norme destinate a favorire lo sfruttamento delle acque e la produ zione di energia. L'azienda comunale milanese, allora, mise in funzione (1916-1917) l'impianto della centrale della Boscaccia Nuova (in sostituzione dì una piccola, omonima centrale precedente, costrui ta nel 1904, e che forniva l'energìa per l'illumi nazione ai Comuni di Grosio, Grosotto e Sonda lo) e poi quella del Roasco (o di Grosio) (191730 31 Paramento di monte della nuova diga di Cancano 1920), particolarmente interessante per i proble mi di tipo stilistico che pose: essa, così come la centrale «Tacconi» di Trezzo d'Adda (1904-1906), era sovrastata dai resti del trecentesco castello dei Visconti Venosta. Le soluzioni architettoni che, però, non furono altrettanto originali, non dìscostandosi, il complesso grosino, dall'ecletti smo revivalistico neo-rinascimentale che carat terizza le sue consorelle valtellinesi dello stesso periodo. La Società Lombarda Distribuzione Energia Elettrica (Vizzola), dal canto suo, realizzò la se conda centrale del Mallero (Inferiore) (1916-1918) e poi (1917-1920) quella del Poschiavino, nei pressi di Tirano. Tra i suoi funzionari sondraschì annoverò per qualche tempo, anche l'ing. Car lo Emilio Gadda, che stava scoprendosi la pas sione e la vocazione di scrittore. Nella lizza, inoltre, era entrato anche un «au toproduttore» industriale, impegnato con le commesse militari, e forte consumatore d'ener gia elettrica, la Società Anonima Acciaierie e Ferriere Lombarde (Falck), che, negli anni 1917 1918, realizzò la centrale di Boffetto. L'attività di costruzione delle centrali idroelet triche riprese con più vigore dopo la fine della prima guerra mondiale, in relazione con una più decisa crescita industriale del Paese, con un più consistente intervento dello Stato nella ge stione delle acque pubbliche, delle tariffe elettri che, dei rapporti produttori-consumatori (con una normativa che prende corpo a partire dagli anni della guerra), nonché nel sostegno alle im prese nazionali, con una più incisiva azione del le società «elettriche»; ma ormai si era usciti dal la fase iniziale, pionieristica, delle realizzazioni idroelettriche in Valtellina e, perciò, nell'intero Paese. • 32 33 Gli sfioratori di superficie della nuova diga di Fusino 34 35 Lo sfioratore della vecchia diga di Fusino visto da valle, sullo sfondo la nuova diga Lo sfioratore della vecchia diga di Caricano La diga di Fusino I deirimpianto di Roasco r^J * «Voltolina, come s’è detto; valle circundata d’alti e terribili monti, fa vini potenti e assai, e fa tanto bestiame, che da paesani è concluso nascervi più latte che vino. Questa è la valle dove passa l’Adda, la quale prima corre più che quaranta miglia per Lamagna. Questo fiume fa il pescio témere, il quale vive d’argento, del quale se ne truova assai per la sua rena. In questo paese uno può vendere pane e vino, e ’1 vino vale al più uno soldo il boccale e la libre di vitella uno soldo, e ’1 sale dieci dinari e ’1 simile il burro, ed è la loro libra trenta oncie, e l’ovo uno soldo la soldata.» Leonardo da Vinci •Codice Atlantico» ¥ In testa della Voltolina è le montagne di Bormi, terribili piene sempre di neve; qui nasce ermellini. A Bormi sono i bagni. Leonardo da Vinci: *Codice Atlantico» 38 39 Particolari del paramento di valle in granito della diga di Fusino l r<\J * A Grosio già ci troviamo a soli 700 metri sopra il mare. Robusta gioventù, donne ridondanti di vivacità e di salute, alle cui sode bellezze dà spicco il particolare vestito, con camicia sparata sul petto e abbottonata d’argento, corsetto scarlatto, sottana corta nera a rigide crespe, calze rosse, fiocchi di seta al capo, sotto ad un cappello cilindrico di feltro. Cesare Cantù: da «Grande illustrazione del Lombardo Veneto» Io vi devo anche ricordare questo vengono da noi le Società, le imprese che costruiscono impianti idroelettrici; io non sono tra quelli che ostacolano queste iniziative, anche perché molte volte a nome vostro ho dovuto inginocchiarmi davanti ad alcune di queste imprese perché venissero, perché cominciassero i lavori, perché continuassero i lavori che avevano cominciato, però sono anche persuaso che tutti questi lavori utilissimi per chi li fa e per alcuni anni utili anche per voi attraverso cui si fanno, hanno bisogno di essere collegati tra di loro da un’idea centrale, da un programma centrale per cui non si facciano certe opere in cui il danno arrecato alla montagna non è sufficientemente equilibrato dal vantaggio che si porta alla pianura e d’altra parte che tutte le opere che le società private fanno, che lo Stato fa e che ancora in misura maggiore potrà fare nel prossimo futuro siano tra di loro collegate da un’idea centrale che si chiama migliore organizzazione di sfruttamento e di difesa contro le nostre acque, migliore regime idrografico di tutte le nostre acque. Ezio Vanoni: Centrali idroelettriche e programmazione economica, da un discorso tenuto alla Camera di Commercio di Sondrio. 40 41 Paramento di valle della nuova diga di Cancano Oltre questi sedici fiumi, cento sessanta torrenti precipitano furiosi dalle laterali vallate a formare coi primi la più terribile desolazione di questo paese non tanto coll’impeto delle loro acque, quanto colla quantità delle materie che giù fluttuano dai monti e diffondono a ventaglio sulla pianura, sotto seppellendo campi e casali, e rialzando il fondo dell’Adda di modo, che le sue acque si allargano per l’adiacente campagna e vi si impaludano a grave scapito della coltivazione e delle umane vite. È osservabile e strano che molti villaggi sono messi ove appunto più chiare appajono le vestigia delle antiche devastazioni, e in bocca a queste acque desoiatrici, forse perchè quelle vergini macerie si prestano assai alla prosperità della vite, e quei torrenti danno la comodità dell’acqua; tanto è vero che gli uomini abbadano più all’utile presente che al timore di un maggior danno futuro. Sondrio mezzo distrutto nel 27 agosto 1834, Stazzona ed altri casali ne’ quali mozzoni di case sporgono dalle ruine, e si entra in esse per buchi che già si chiamarono finestre, ed ora si chiamano porte, attestano l’umana imprevidenza e il frequente rinnovarsi degli antichi disastri. Le acque e gli uomini si disputano in Valtellina il territorio, ma se gli uomini non usano più potenti mezzi di intelligenza e di forza degli adoperati, temo non terminino col soccombere... La conservazione del territorio non vuol essere meno raccomandata alla generosità del Governo della conservazione dell’abitato, quando si rifletta che l’uomo ivi edifica la casa ove il terreno lo alimenta: ma la casa è presto desertata se la terra in luogo di pane dà micidiali miasmi. F. Visconti Venosia: Notizie statistiche sulla Valtellina (Memoria per Carlo Cattaneo) 42 43 Diga di S. Giacomo, muratura del paramento di valle t é * * ! « 44 45 Diga di S. Giacomo, speroni del paramento di valle ¡.-Cu? ... Il «lombardismo» si rivela in un altro punto: l’attività industriale deve restare collegata all’agricola. Anche tra questi monti domina l’idea lombarda, la stessa che si osserva nelle terre privilegiate, a Cremona o a Pavia. Industria e agricoltura devono essere complementari, anzi collegate in un circolo. E in genere all’artigianato, che brillò in Valtellina, come dimostrano i vecchi ferri battuti, i bei lavori diligenti di legno in abitazioni e chiese, le «stufe» di ceramica purtroppo predate in buona parte dal commercio antiquario. Non vorrei snaturata questa classica valle di montagna italiana, diversa dalle valli svizzere che le stanno accanto per le usanze, per l’arte e la stessa vegetazione. L’albero che vi predomina non è Io abete, ma l’olmo, il pioppo, il faggio, il castano, come nella nostra poesia, e la solcano le acque torrentizie dell’Adda. Né la villetta svizzera, né il casamento d’affitto si possono intonare con le vecchie case, con i campanili di sasso, con le vie ciottolate nei borghi, con le cappelle e i tabernacoli sparsi sui sentieri tra i greppi, con un modo di vivere impregnato d’affetto, d’intelligenza ed anche di comodità razionale. La povertà, dov’essa esiste, si manifesta in purezza e non in disordine. Prediligo la Valtellina per i colori «fini e mesti, intensi e teneri», ed aggiungerò silenziosi, giacché essa, a differenza di altre vallate alpine, non ci dà canti originali e non è portata al canto. Mi piace il silenzio e l’assenza di quei monumenti celebri che attraggono di più gli insopportabili turisti. Si scorgono invece dovunque ì segni di un’arte paziente, casalinga, intonata alla natura ed in gran parte inconsapevole; che però culmina a Chiavenna, a Ponte, nei santuario di Tirano, nel palazzo Besta di Tegiio. Questo è un commovente esempio di umanesimo montanaro, e chiude nell’interno affreschi illustranti l’Eneide. Guido Pioverle: da «Viaggio in Italia », Arnoldo Mondadori Editore 46 47 Nuova diga di Fusino, speroni del paramento di valle * Se dal fondo della pianura saliamo ai monti, troviamo un órdine sociale infinitamente diverso. Le rìpide pendici, ridutte in faticose gradinate, sostenute con muri di sasso, su le quali talora il colono porta a spalle la poca terra che basta a fermare il piede d’una vite, appena danno la stretta mercede della manuale fatica. Se il coltivatore dividesse gli scarsi frutti con un padrone, appena potrebbe vìvere. La terra non ha quasi valore, se non come spazio su cui si esèrcita l’òpera dell’uomo, e officina quasi del coltivatore; e il paesano è quasi sempre padrone della sua gleba; o almeno livellario perpetuo; con patti le vigne e gli oliveti ritornerèbbero ben presto selva e dirupo. Mentre una parte della famiglia vi suda, e alleva all’amore del suolo nativo la pòvera prole; un’altra parte scende al piano ad esercitarvi qualche mestiere; o si sparge trafficando» oltremonte, e riporta alla famiglia i risparmi, che le danno la forza di continuare la sua lutta colla natura e colla povertà. Un distretto di questa fatta conta tante migliaja di proprietari quante sono le famiglie; ma la ricchezza non viene dal suolo, e vi s’investe come frutto delle arti o del tràffico. Laonde si vede una singoiar misura di costumi rusticali e d’esperienza mondana, l’amore del luvro e l’ospitale cordialità, la facilità di saper vìvere in terra straniera, e l’inestinguibile affetto di paese, che presto o tardi fa pensare al ritorno, - In alcuni monti la possidenza privata è ancora un’eccezione; il comune possiede vastamente i pàscoli e le selve e le acque e le miniere; il distretto di Bormio era un solo commune, e ancora conserva indivisa fra i nuovi communi molta parte dell’antica proprietà. Carlo Cattaneo: La vita del contadino nell’ottocento pre-ìndustriale, da •Notizie naturali e civili sulla Lombardia». 48 Il bacino di Caricano a basso livello con vista della vecchia diga 51 50 Nel Lago di S. Giacomo i ruderi dell'impianto di lavorazione degli inerii per il calcestruzzo -Q j» '¥■ Taglia pel lungo tutta la Valtellina l'Adda che ha le sue scaturigini nel Braulio e mette foce nel lago di Como, arricchita in questo passaggio dalle acque di altri 13 fiumi trasversali, i primari fra i quali sono il Fredolfo che bagna Bormio scendendo la Valfurva, il Redasco e il Poschiavino nel distretto di Tirano: il Mallero tanto terribile a Sondrio a cui scorre nel mezzo; e il Masino e il Bitto in quel di Morbegno. «Indaffarate ragazze valtellinesi in costume con la tasca del grembiule tintinnante di nummi,... arrivano subito con Sassella, panini e brisavola del pizzo Palù... Sul banco, in quelle ore critiche, la macchina affetta brisavola e va e viene come un diretto: il rubinetto della birra non conosce chiusura o strizione: il Sassella e l’inferno poi per quanto amari, son soliti addolcire l’ingegno plerumque duro dei più rognosi censori. Giosuè Carducci in quel Quarantotto, si sarebbe sentito venire una poesia: “A una bottiglia di Valtellina del 1848”. Io, purtroppo, sono ridotto al quartuccio in un cantuccio.» Carlo Emilio Gadda: La Valtellina alla Piera di Milano del 1936 da «Le meraviglie d ’Italia», articolo apparso sull'«Ambrosiano» v. L'Adda dirupando dal monte Braulio passa in mezzo allá Valtellina. Dominatrice di tutte le immense pianure situate tra la doppia catena de’ monti, errante qua e là senza freno, divora i terreni più fecondi ove trascorre violenta, o alla sterilità li condanna ove s’arresta e impaluda. Dopo il corso di circa 75 miglia entra orgogliosa con più foci nel Lario. Uscita a stento da questo lago a Lecco, manda parte delle sue acque a Milano pel naviglio della Martesana, parte al Cremasco ed alla Gera d’Adda pel canale Ritorto, e quasi tutto il restante al Lodigiano per la Muzza. Ella serve principalmente al trasporto delle zattere e delle barche, donando nel tempo stesso la fecondità ai terreni irrigandoli. Melchiorre Gioia: L'Adda dalla sorgente a Milano, da •Sul dipartimento del Lario». 52 53 54 55 ingresso della centrale di Fraele 56 L’uomo, l'ambiente, le risorse nel territorio vaftellinese Giovanni Bettini Il quadro ambientale valtellinese che fa da contesto agli impianti idroelettrici dell'Aem è tra i più significativi dell'arco alpino per i carat teri di un paesaggio antropico contraddistinto da profonde trasformazioni storiche, da com presenze di grandi modificazioni, elevate qua lità dell'ambiente, preesistenze importanti ed avanzati processi di modernizzazione. Cogliere le fasi successive del rapporto tra l'uomo, l'ambiente e le risorse in quest'area ri sulta particolarmente interessante e congruen te rispetto all'oggetto di questo volume, in quanto energia e territorio sono due termini in scindibili, essendo il governo dell'energia un problema fortemente intrecciato al governo del territorio. La società rurale L'agricoltura montana ha anche qui costituito per secoli il principale rapporto tra l'ambiente e l'uomo, organizzato nella forma della comunità rurale, prevalentemente strutturata ai fini della produzione di beni per l'autoconsumo. E stata questa, fino a pochi decenni orsono, la condi zione prevalente da cui vanno ovviamente esclusi quei centri di fondovalle influenzati da transiti e commerci o dotati dì alcune presenze di opifici. Premesso che per quanto riguarda l'agricoltura, l'unica attività che fin dai tempi storici si è misurata con il mercato è stata la viticoltura, si può affermare che la vita rurale è stata caratterizzata da una autarchia nella quale l'assenza dì tecnologie e la scarsità di risorse erano compensate da saggezze sedi mentate dallo stesso immobilismo, affinate dal persistere delle usanze e da rapporti molto or ganici tra il coltivare l'abitare e la manutenzio ne del territorio. Rispetto alla società montana rurale, esistono oggi molti atteggiamenti agio grafici che se da un lato tendono a mitizzare eccessivamente l'oculatezza e sapienza conta dine, dall'altro trovano giustificazione nelle constatazioni non rare di come oggi la moder nità si accompagni sovente allo spreco ed al l'assenza di lungimiranza. Sta di fatto che la struttura produttiva è carat terizzata, in questa fase, da un atomismo della vita economica. Ridottissimo è l'impatto am bientale determinato da attività di coltivazione, agro-silvo-pastorali, a basso (spesso bassissi mo) contenuto tecnologico: l'attività produttiva è dotata di un «minimum» di artificialità e ade risce massimamente al naturale ciclo di produ zione delle risorse del territorio. II basso tasso tecnologico è espressione di un rapporto di proprietà fondiaria regolato dai contratti «a livello»*: da un lato i proprietari (no biltà, clero, borghesia togata) assenteisti perce piscono la gran parte dei frutti del raccolto, dal l'altro i coltivatori diretti utilizzano a malapena la rimanente ricchezza prodotta per la soprav vivenza alimentare della famiglia. A questo proposito si può osservare che la lotta per la sopravvivenza alimentare ha spinto, in alcuni periodi storici, le popolazioni valtellinesi a for zare oltre i loro limiti naturali determinate attivi tà colturali o pastorali. Così è stato per le attivi tà vitivinicole, a causa dell'intrecciarsi delle ca ratteristiche dei mercati e della struttura pro prietaria di cui si è già detto. Così è stato anche per il sovradimensionamento di allevamenti di capre, determinato dalla insostenibilità in certi periodi, e per certi strati sociali, della attività zootecnica. Così, infine, è stato anche per certi cicli colturali, ritenuti incoerenti agronomica mente dai contemporanei, ma indispensabili per garantire la sopravvivenza delle famiglie contadine. 57 Nell'agricoltura montana di sussistenza la principale fonte di energia è stato il lavoro del l'uomo, abbinato all'energia solare che, fissata in forma di energia alimentare fruibile dall'uo mo, tornava al campo coltivato in un ciclo ca ratterizzato da bassissima produzione, ma da un'alta produttività energetica dell'ecosistema. La legna e gli animali (oltre all'acqua la cui valorizzazione sarà rilevante a partire dall'800) affiancano queste risorse in una realtà valtellinese significativamente descritta da S. Jacini, per il quale «nessuno degli elementi dì agiatez za che la natura suole largire ai paesi di monta gna è mancato alla Valtellina. I suoi monti era no in origine coperti da un magnifico manto di foreste destinato ad offrir copiosissimo legna me, il quale avrebbe potuto essere in parte la vorato per l'esportazione col mezzo delle forze idrauliche del luogo, in parte impiegato per l'u so dell'industria metallurgica...» e che infine constata che invece di una varietà di attività industriose, regna qui solo una stentata agri coltura che costa «indicibili fatiche», e il lavoro umano «è l'unico fattore di produzione»2. Per quanto concerne la forza animale, sulla montagna valtellinese ha predominato il mulo, sia per i piccoli trasporti tra gli insediamenti che per gli attraversamenti dei valichi. L'uso del legno, in quanto importante fonte di ener gia, è stato fin dall'antichità regolamentato con statuti e consuetudini: il suo uso si spingeva in molti casi oltre gli usi domestici, per la lavora zione dei metalli, la fabbricazione della calce e del carbone. Mentre l'uso della energia del vento sembra essere limitata in Valtellina a se parare la pula dalla segale, l'energia idraulica fa registrare una sua consistenza in Valtellina, seppure con qualche ritardo rispetto a quella «rivoluzione» del XII secolo che ne determinò la diffusione in Europa. La cultura energetica di questi secoli è una cultura «diffusa» poiché diffusa è l'esigenza dei molteplici agenti economici e sociali di utilizza re al meglio le favorevoli congiunture territoria li per la propria attività produttiva. Ogni comu nità, ogni famiglia, conosce empìricamente il proprio territorio e regola lo scambio con que sto. Questa forma di ricambio organico del l'attività produttiva con il territorio presenta pe 58 rò, in una realìstica analisi costi-benefici, prezzi molto duri: condizioni igienìco-sanitarie pessi me, livelli nutritivi al limite della sopravvivenza alimentare, stagnazione produttiva, poca con trollabilità dei fenomeni naturali, incapacità di prevenire fenomeni epidemici. La situazione storica dì questo particolare stato di equilibrio tra uomo e territorio, che vie ne talvolta portato come esempio dì «saggezza ecologica» presenta dunque le sue luci ed om bre. È dall'energia idraulica facilmente captabile allo sbocco delle valli che si avvalgono alcuni centri urbani come Sondrio e Chiavenna. L'os servazione di una mappa di Sondrio ai primi dell'800, allora pìccolo borgo rurale,3 mostra una intelligente soluzione di uso plurimo delle acque: in primo luogo, la localizzazione di atti vità artigianali presso il corso del Mallero (muli ni e magli di Fraccaiolo), in secondo luogo, una fìtta rete di piccole derivazioni per usi civili (i Malleretti), infine la riutilizzazione delle acque per scopi irrigui nella campagna sottostante. A Chiavenna il corso del Mera determina fin dal perìodo post-medievale una sorta di zona industriale ante litteram caratterizzata da una disposizione di opifici in serie. L'uso diretto dell'energia idraulica prevarrà, in Provìncia di Sondrio, nel corso dello stesso secoloXIX. Infatti, nel 1886 risultano censite «sei caldaie a vapore, che generano una forza mo trice di 21 cavalli dinamici» 4a fronte di un elen co 5che rileva la presenza di forza idraulica così ripartita per lavorazioni: - Macinazione cereali Conceria pelli Cartiere Industria seta Industria cotone Industria alimentari Industria prodotti chimici Fabbriche mobìli e barili Segherie legname Diverse cav. din. 457 10 7 59 205 20 18 20 300 150 Questa energia idraulica copiosamente di sponibile in Valtellina come in Valchiavenna, con un utilizzo che sì protrae fino alle soglie del Tralicci della cabina elettrica di Grosio Cabina elettrica di Grosio, selva di cavalletti e isolatori '900 «pone all'industria gli inconvenienti tipici di questa forza motrice (irregolarità stagionale, lìmiti dimensionali, localizzazione obbligata) accentuati dal disordinato regime ìdrico dei corsi d'acqua locali. Se quindi l'energia è a basso costo essa è tuttavia disponìbile solo in forme contrastanti con le esigenze della moder na gestione industriale»6. 60 Le trasformazioni successive I primi interventi organici che contrastano nettamente con l'assetto rurale del territorio valtellinese sono quelli dell'infrastrutturazione viaria e, successivamente, ferroviaria dell'800, il secolo che vede anche l'avvìo di vere e pro prie opere di difesa idraulica e di bonifica, qua li segni delle volontà tecnocratiche ed ammini- G tosìo , ca m p a la di attraversam ento d ella v a lle d e lle lin ee a 220 kV strative sia napoleoniche che austriache. Ma l'assetto urbanistico, gli usi del suolo e le usanze permangono statici in gran parte del territorio. E su questo scenario di staticità, che si protrae per molti aspetti fino ai primi decenni del '900, che vengono a collocarsi le grandi tra sformazioni dell'ambiente che si susseguiranno da quel periodo in poi: gli interventi idroelettri ci, i processi di urbanizzazione di fondovalle, lo sviluppo del turismo. Benché non mancassero, nel periodo a ca vallo del '900, insediamenti industriali di una certa rilevanza ed impatto ambientale (come ad esempio gli stabilimenti tessili Fossati a Son drio), sì può pacificamente affermare che la questione del rapporto uomo-risorse-territorio è 61 Sbarramento di Sernio, visto da monte emersa soprattutto nella fase della costruzione dei grandi impianti idroelettrici. Si tratta, come è noto, di un periodo molto lungo che va dalla prima realizzazione (Cen trale di Campo vico, 1900, costruita dalla Socie tà Strade Ferrate Meridionali) a tutt'oggi, con due fasi particolarmente «calde»: gli anni '20'30 (Cancano, im pianti Falck delle Orobie, Stuetta in Valchiavenna) e gli anni '50-'60 (Premadio, Grosotto II, S. Giacomo di Fraele, Cam pomoro). E attraverso queste fasi successive che si per viene in Provincia di Sondrio alla attuale pro duzione idroelettrica, quantificabile in oltre 5 milioni di kWh. In una sìa pur breve riflessione sull'uso del le risorse del territorio può essere utile sforzarsi di comprendere i motivi che portarono, fra le diverse opzioni di sfruttamento dell'energia idroelettrica, alla affermazione di quella stori camente affermatasi. Nella prima fase dello sfruttamento idroelet trico, si presentarono e si confrontarono due ipotesi divergenti: una prima, fondata su picco li insediamenti gestiti da aziendine locali muni cipalizzate, piccoli imprenditori, cooperative di consumo7, finalizzata alla soddisfazione degli interessi civili e produttivi locali (si veda la elet trificazione della linea ferroviaria Colico-Chiavenna, prima in Italia); una seconda, fondata «sull'evolversi della concezione di sfruttamento integrale di una vallata»8, orientata alla soddi sfazione di enormi e crescenti bisogni della grande industria e della metropoli milanese. Sarebbe fuorviante, proprio in sede di corret ta ricostruzione storica, voler trarre dalla picco la scala degli impianti locali la «prova provata» della coscienza ecologica ante litteram di que gli imprenditori locali pubblici e privati: molto più banalmente la piccola scala era la dimen sione adeguata ai bisogni limitati di una strut tura produttiva e civile ancora prevalentemen te rurale, oltreché agli stessi mezzi finanziari degli operatori locali. Se piccola o grande scala dell'impianto idroe lettrico erano - nel quadro di una stessa cultura di riferimento, basata sulle «magnifiche sorti e progressive» - semplici funzioni di bisogni pro63 62 Scale di accesso alla cabina a 220 kV di G t o s ìo duttivi, resta tuttavia l'interrogativo circa le ra gioni che hanno portato al sistema dei grandi bacini idroelettrici, ed alla conseguente specia lizzazione funzionale del territorio valtellinese nel contesto del quadro economico lombardo. Non può reggere, anche se esiste al livello del «senso comune», la tesi della coazione contro la stessa volontà delle popolazioni locali, non foss'altro per il motivo che lo schema giuridico con il quale veniva regolato lo sfruttamento idroelettrico dei corsi d'acqua era la «conces sione» da parte delle amministrazioni locali. Se non si vuole banalizzare la questione adducendo un rapporto collusivo tra imprendito ria idroelettrica ed amministratori locali, una risposta può essere cercata in fattori economici e culturali. La gran parte dei Comuni, fino a non troppi anni fa, versava in una costante situazione di gravissima ristrettezza finanziaria: una volta decisa l'opportunità dello sfruttamento idroelet trico del corso d'acqua, il problema tendeva a spostarsi, quasi meccanicamente, sull'entità del compenso monetario che poteva essere ac quisito come contropartita. Ciò favoriva inevi tabilmente i grandi imprenditori «esterni» e quindi la «grande scala» degli impianti. Lo schema di convenzione approvato fra le parti (Comune dì Milano-Comune di Grosotto) per la realizzazione di Grosotto I presentava la seguente lista dì voci come contropartite: a) «il pagamento dì un canone annuo alla Pro vincia di Sondrio ed ai Comuni interessati, in ragione di lit. 0,75 per ogni cavallo dinamico nominale della potenza per la quale il Comune dì Milano pagherà ogni anno il canone gover nativo»; b) «l'obbligo di cedere per la ferrovia TiranoBormio o per le occorrenze locali dei Comuni l'8 per cento della forza ottenuta in concessione col minimo di seicento cavalli per gli usi della fer rovia»; c) «l'obbligo di riservare agli usi della irrigazio ne agrìcola locale determinate quantità d'ac qua»9. Pesa inoltre sulla valutazione complessiva «dell'affare energetico» operata dagli ammini stratori locali la durissima situazione economico-sociale delle popolazioni locali e la prospet64 65 La cabina elettrica di Premadio tiva della stagnante situazione produttiva (8-10.000 disoccupati su una popolazione di 140.000 unità, dati 1948). Gli amministratori lo cali non ignorano le aspettative di occupazione nutrite dai valligiani e lo stretto rapporto che esiste tra dimensione degli impianti e durata del rapporto di lavoro. Questo fattore relativo alla struttura del mer cato del lavoro non sarà un elemento congiun turale, ma durerà come elemento decisivo di valutazione fino agli anni '60. D'altra parte, non fu possibile coagulare at torno alla nascente imprenditoria locale qual cosa di più che non fosse una sorta di orgoglio ferito per l'espropriazione dell'uso delle risorse idriche. Non emerge, né poteva emergere rea listicamente, una cultura dello sviluppo locale che vedesse come suo elemento strutturale-strategico un piano energetico. Non si forma no, a causa della estrema arretratezza produtti va e culturale, progetti collettivi capaci di supe rare i localismi e la congerie di interessi di una struttura sociale micro-proprietaria. A partire dal secondo dopoguerra prende consistenza, nel territorio valtellinese, la tra sformazione ambientale legata ai fenomeni in sediativi; si avvia un'intensa urbanizzazione di fondovalle con un crescente incremento del pa trimonio edilizio. Avviene un processo di pro gressiva sostituzione delle vecchie abitazioni dovuto soprattutto all'abbandono dell'agricol tura di sussistenza come attività pressoché esclusiva, al passaggio dell'emigrazione spes so definitiva al frontalierato ed a quella stagio nale in Svizzera. Questi ed altri fattori, come la forte presenza di doppio lavoro, consentono a buona parte delle famiglie la costruzione spesso l'autocostruzione - di nuove residenze nel fondovalle o comunque negli abitati meno decentrati. Ciò è stato facilitato dalla piccola proprietà fondiaria diffusa su più livelli altime trici, e da un valore delle aree non spiccata mente urbane ancora basso negli anni cin quanta e sessanta. Si è trattato di un processo più di sostituzione che di recupero. Ma le vecchie case non furono mai completamente abbandonate bensì utiliz zate per brevi periodi o funzioni accessorie le gate a prosecuzioni part-time dell'agricoltura. 66 67 Il portale di ingresso della centrale di Laverò A questo rilevante processo di incremento del l'urbanizzazione legato alle esigenze abitative dei residenti si è aggiunto, nel corso degli anni sessanta, lo sviluppo edilizio legato al turismo. Questo è andato incrementandosi sempre più, unitamente alla prosecuzione di una forte dina mica edilizia, riguardante anche seconde case nuove, anche da parte dei residenti. Lo stesso intervento idroelettrico si trova dun que oggi in un contesto diverso e quindi con nuove problematiche con le quali misurarsi. La centrale idroelettrica come elemento antropologico del territorio vattellinese Lo sfruttamento dell'energia idroelettrica ha comportato una profonda modificazione del l'antropologia del territorio valtellinese. Tutte le tradizionali funzioni svolte dalla diffusa e capil lare presenza antropica contadina, preceden temente descritta, sono stati riscritti nel territo rio sub specie tecnologica. La semiotica umana di questo ne è risultata radicalmente trasforma ta e il suo grumo architettonico visibile, la cen trale, ha finito per costituire l'epifania di una nuova epoca della montagna. Rispetto all'es senza delle trasformazioni realizzate, i signifi cati antropologici della centrale trascendono alcune contingenze storiche del dibattito politi co come il problema dei sovraccanoni e quello tecnico-politico del governo globale delle risor se idriche, problemi questi indubbiamente im portanti, ma che, nella prospettiva del presente contributo, non assumono rilevanza esplicati va. Noi dobbiamo chiederci in che modo l'ar chitettura della centrale idroelettrica ha ridise gnato la presenza dell'uomo nel territorio e, so prattutto, quali significati antropologici nuovi ha indotto nelle comunità alpine. Mentre il Risorgimento ha determinato l'unità politica fra Valtellina e Italia, l'industria idroe lettrica ha determinato la prima vera occasione di unità e integrazione economica. Per tutto l'Ottocento, e soprattutto a partire dagli anni '60, l'economia valtellinese era andata in cerca di questa integrazione senza trovarla (Rullani). L'industria idroelettrica ha rappresentato la pri ma chance storica effettiva in questo senso. La centrale idroelettrica rappresenta dunque la nuova alleanza fra pianura e montagna. An69 Il fabbricato della centrale di Fraele che se nei documenti non fosse rintracciabile la piena coscienza di questo fatto, nondimeno es so ha avuto una portata culturale dirompente. Infatti il rapporto che la pianura ha storicamen te avuto con la montagna è stato di paura e di diffidenza. Basti vedere le stampe ottocente sche dei valichi alpini, che sono tutto un ro mantico fremito di paura in un luogo selvaggio e in una natura indomabile. Il nuovo patto fra pianura e montagna, che la centrale idroelettri ca realizza abbattendo uno dei soggetti classici della paura umana, spiana la strada al turismo alpino. Ma nello stesso tempo la centrale realiz za la caduta di un altro tabù storico della mon tagna, la sua sostanziale estraneità alla storia, la sua sottile ostilità alla civiltà. «La montagna, per solito, - scrive Fernand Braudel in "Civiltà e Imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II" - è un mondo a parte dalle civiltà, creazioni delle città e dei paesi di pianura. La sua storia sta nel non averne, nel restare abbastanza re golarmente ai margini delle grandi correnti ci vilizzatrici, sebbene scorrano con lentezza. » La centrale idroelettrica è l'immagine della tecno logia in un ambiente che ne era rimasto estra neo. Essa riconduce le comunità montanare entro la storia ed entro le direttrici della civiltà europea che è essenzialmente una civiltà della tecnica. Le centrali idroelettriche stanno dun que all'origine di un processo oggi portato a termine dal turismo e dai mass-media televisivi che realizzano quel che McLuhan ha definito un «villaggio globale». Proprio la radicalità di queste trasformazioni spiega l'ostilità iniziale di parte del movimento operaio e socialista al progetto di realizzazione delle centrali idroelettriche. Si trattava della di fesa della tradizionale autonomia montanara nell'uso delle risorse idriche. Ma nell'orizzonte tecnico dell'inizio del secolo, il problema idrolo gico valtellinese eccedeva i limiti della provin cia. Bisognava che per un lungo periodo, che per certi aspetti dura tuttora, il tradizionale e il nuovo convivessero gomito a gomito nel territo rio valtellinese, che il pilone su cui passavano i fili dell'alta tensione fosse piantato nel maggen go dove il contadino lavorava il latte con la zangola nella casera. Bisognava che l'antropizzazione diffusa di un tempo e le sue funzioni di 70 71 salvaguardia del territorio venissero lentamen no. Questo processo si sviluppa in diversi tempi te trasferite alle centrali. Di questo momento di successivi. Un primo feed-back culturale fra trapasso ci resta una bella pagina di Giovanni centrale e mondo contadino avviene nella fase Bertacchi, il poeta chiavennasco che ebbe un della sua costruzione quando viene impiegata ruolo di primo piano nella formazione del mito una manodopera che proviene in larga parte della montagna della borghesia meneghina (il dal settore contadino-montanaro. Ma tale feed suo «Canzoniere delle Alpi» fu pubblicato dal back avviene attraverso una rottura: le case dei l'editore milanese Castoldi proprio nel 1911 e piccoli villaggi operai che sorgono accanto ai Carlo E. Gadda più volte ha riconosciuto il suo luoghi di costruzione della centrale si giustap debito nei confronti di Bertacchi): pongono alle nidiate di baite contadine. La m a «Non si può in senso assoluto parlare ormai nodopera inoltre è molto numerosa. Si forma di paesi che non conoscano o che non siano per una massa, disponibile, come tutte le masse, conoscere in un prossimo avvenire le condizio alla sindacalizzazione. Le centrali deìl'A.E.M. ni e i rapporti della grande industria, essendo in Valtellina hanno costituito il terreno su cui si troppo frequente il caso di regioni ove questa è sviluppata l'organizzazione sindacale in pro s'accampa presso la piccola proprietà, sfruttan vincia di Sondrio. Se si sfogliano le raccolte dei do le forze naturali finora neglette, e converten giornali locali di questo secolo si può notare do in salariati i piccoli proprietari». come la presenza deìl'A.E.M., introducendo La centrale idroelettrica quindi entra nel con nell'economia provinciale il tipo pubblico di im testo territoriale valtellinese come elemento del prenditorialità, dà una forte spinta progressiva sincretismo culturale di un'epoca di profonde a tutto il sistema delle relazioni industriali in trasformazioni. Essa tende a centralizzare e Valtellina e favorisce una serie di conquiste sin controllare tecnologicamente quello che il con dacali che si estendono poi al settore dell'im tadino faceva empiricamente e diffusamente. prenditoria privata e di quella locale. La terza L'incubo delle alluvioni si riduce, il fondovalle via attraverso cui la centrale idroelettrica entra viene recuperato all'agricoltura, il vecchio ri nell'antropologia del paesaggio montano è la tornello di tutta la pubblicistica scientifica sulla sua persistenza nel tempo. Il tempo superando Valtellina nell'Ottocento, «le acque e gli uomini la la rende sempre più una sopravvivenza ar si disputano il territorio», non si ode più, ma cheologica, la confina nell'archeologia del ter insorgono problemi di altra natura. ritorio, la rende sempre più elemento di esso. La centrale è la punta emergente e visibile di Ma è una assimilazione sui generis. In effetti la un lavoro che si svolge nelle viscere della mon centrale gode di una sua solitudine, accentuata tagna. E una presenza misteriosa e magica. La nello spazio circostante dalla casetta del guar diga, con la sua geometrica orizzontalità, ap diano che vi sorge accanto come quella del pare eversiva della naturale tendenza dell'ac «guardiano del faro». qua a incanalarsi verticalmente verso il basso. La progressiva archeologizzazione della cen Questa geometrica immobilità orizzontale del trale nel territorio dà alla sua solitudine una l'acqua la fa somigliare a una grande superfi profondità quadridimensionale, non solo cioè cie di vetro. E si sa come il periodo in cui nasce nello spazio, ma anche nel tempo. Questa ar la centrale idroelettrica sia quello in cui See chitettura solitaria del nuovo spazio montano bart scrive la sua «Architettura di vetro» e Bru esprime la solitudine dell'uomo nello spazio na no Taut elabora le inquietanti utopie della sua turale finalmente domato con i mezzi della tec «Alpine Architektur» che tanto si apparentano nica. La stessa sonorità delle sue turbine è una alla vitrea linearità dell'architettura delle cen sonorità ventriloquo, opposta alla rumorosità trali idroelettriche figlie della civiltà del vetro, meccanica della fabbrica tradizionale, una so del ferro e del cemento armato. norità ritmica, mono tonica, cupa, rumori side E tuttavia la centrale diviene progressiva rei e viscerali ad un tempo, che avvolgono mente un elemento architettonico che acquista strettamente l'edificio e ne ovattano la solitudi una familiarità sui generis nell'ambiente alpi ne. Ma dalla centrale si protendono invisibil72 Centrale e condotta forzata di Grosotto Il fabbricato della centrale di Grosotto mente emanazioni fin dove non ci aspetterem mo. La costruzione della centrale comporta l'a pertura di nuove strade, il riadattamento delle vecchie, la modificazione dì alcune strozzature di percorso. Questo sistema stradale indotto dalla centrale diviene elemento permanente del paesaggio e consente una pratica nuova della montagna, favorendo l'accesso di massa alle medie ed alte quote. La centrale spiana cioè la via al turismo alpinistico diffuso e all'e scursionismo. L'uomo ritorna alla montagna non più come suo operaio, ma come consuma tore del proprio tempo libero. • NOTE 1. Sul tema si veda il contributo di G. Scaramellini Una valle alpina nell'età pre-industriale - La Valtellina fra il XVIII e il XIX secolo. Giappichelli, Torino, 1978. 2. S. Jacini (1858), Sulle condizioni economiche della Provincia di Sondrio, ed. Banca Popolare di Sondrio. Sondrio, 1963. 3. M appa di Sondrio, 1816, propr. Bissoni. Sondrio. 4. B. Leoni, Cenni storici, tradizioni e caratteristiche dell'econo mia della Provincia di Sondrio in Annuario delle ditte indu striali e imprese artigiane della Provincia di Sondrio. Sondrio, 1962. 5. E. Bassi (1890), La Valtellina rist. anast. A. Forni ed. Bologna, 1975. 6. E. Rullani, L'economia della Provincia di Sondrio dal 1871 al 1971, ed. Banca Popolare di Sondrio. Sondrio. 1973. 7. E. Rullani, op. cit. 8. F. Carati, Nuova energia elettrica per Milano in Valtellina e Valchiavenna - Rassegna economica della Provincia di Son drio, n. 1, gennaio 1953. 9. A. Manfredinì, Gli impianti idroelettrici di Valtellina e le in stallazioni elettriche del Comune di Milano, p. 5. Milano, 1910. 74 Dettaglio architettonico con le alte finestre della centrale di Grosotto >xx« m 76 m m 77 11 complesso dell'ex centrale di Roasco, sullo sfondo la merlatura del castello Visconti-Venosta AZIENDA ELETTRICA MLUCIFAU DI MILANO 78 79 Particolari architettonici dell'ex centrale di Roasco 80 Particolari architettonici dell'ex centrale di Roasco 81 L'ex centrale di fîoasco, vista da monte 82 83 Fontana, cabina elettrica e corpo dell'edificio della centrale di Premadio Dove, fra Colico e Sorico, il Lario lambisce lento la sponda sinuosa e palustre che si svolge nel piano di Spagna, su cui dal forte ruinato di Fuentes spira tanta tristezza di storia, placidi, sboccano l’Adda e il Mera, creando quello che il Longfellow chiamò il più beato dei laghi. Qui la provincia di Como dà luogo alla consorella di Sondrio, composta di Valtellina e vai Chiavenna, rispondenti ai due fiumi: la provincia più settentrionale d’Italia, prima che destino di popolo, sgominando gli esigli al Brennero, portasse la patria fin lassù. Diretta nel primo tratto a levante, indi, nel Tiranese, a nord-est: limitata a sud dalle Orobie, fiancheggiata dalle alte giogaie delle Alpi Retiche, la valle dell’Adda si dilata e adagia uniforme in ascesa insensibile, ride aperta nel bacino di Sondrio, dà uno scatto, sopra Tirano, per giungere a Sernio, e sale poi risoluta fino a posare nella conca di Bormio. Di qui la nuova fatica, visibile ai conati della strada, serrata in forti risvolte, tesa in rigidi slanci per raggiunger lo Stelvio, sovrano dei varchi d’Europa. Piatta la bassa valle e la media, dove il verde profondo dei prati, rotto da campi di granturco, denuncia gli acquitrini antichi; monotona in sua natura, ma frequente di borghi, popolata a mezza costa di villaggi emergenti da altipiani e da selve coi casolari nerastri, simili a vichi apenninici affumicati dal tempo, rigata via via da filari di viti e folta di castagni frondosi, mossa in episodi tellurici al cuneo di Dazio, al gran ridosso di Castione, nei poggi che dominano Sondrio, nell’Altura di Teglio fronteggiante l’Aprica, belvedere panoramico sulla vallata intera. Più in su il paesaggio s’aw ia ammantandosi di vaste pinete, schiudendosi in balconi solatii, accennando per ripiani e per ciglioni al bianco-azzurri ghiacciai del Cevedale, deH’Ortles, dell’Umbrail, donde le alpi Retiche, annodandosi pei monti di Livigno al gruppo eccelso del Bernina, risobbalzano in quello del Masino e raggiungono per lo Spluga il Tambò, coronando in questo ultimo tratto gli estremi di vai di Chiavenna. 1932: La Valtellina e il Chiavennasco da •Attraverso l I’talia», collana del Touring Club Giovanni Bertacchi, 84 85 L'esterno della sala quadri di Grosio e l'ingresso della centrale collocata in caverna ¥ Una sola delle nove provincie lombarde differisce quasi totalmente, anche nei riguardi più generici, per condizioni non meno territoriali che storiche, dalle altre, cosicché non si lasci comprendere con queste in alcuna unità di concetto. Essa è la Valtellina. Or bene; la Lombardia, presa in complesso, fu dotata dalla natura di elementi di prosperità, difficilissimi in vero ad essere usufruttati, ma di un’indole affatto eccezionale, ed intorno a questi andò accumulandosi il frutto del lavoro di una lunga serie di generazioni; per il che poterono essere create profondissime ed amplissime basi allo sviluppo economico del paese, e tali da permettergli di resistere a lungo contro i ripetuti assalti di un’avversa sorte. La Valtellina invece ebbe dalla natura elementi di benessere mediocri ed ordinarj, nè la sua storia civile le permise di trarre anche da questi alcun partito straordinario, di modo che non ebbe occasione di porre in riserva forze poderose onde scongiurare gravi disgrazie eventuali che andassero ripetendosi a lungo. Stefano Jacini: •Sulle condizioni economiche della Provincia di Sondrio», Milano, Civelli, 1858 pKRM| 87 La cabina elettrica a 220 kV di Grosio 89 Piero Portaluppi, studio per una centrale elettrica Le «cattedrali» del progresso Daniele Baroni L’architettura dell’età delle rivoluzioni Le tematiche che più frequentemente hanno gravitato intorno all'architettura, almeno dal ri nascimento in poi, costituendone probabilmen te anche l'equivoco maggiore, si cristallizzano spesso sulla bipolarità «classico-anticlassico», riducendo la maggior parte dei problemi in chiave esclusivamente formale. Classicismo con il rinascimento, anticlassicismo con il baroc co e rococò, ancora classicismo con il Settecento e l'epoca dei lumi, anticlassicismo con i revivals medievali, fino alla più aperta convivenza di stili nella seconda metà dell'Ottocento e alla quasi totale confusione. Inoltre, esistono altre contraddittorie teorie, come ad esempio quelle dibattute tra naturalismo e geometrismo già al l'interno dell'ampia area del classicismo sette centesco. Secondo Blondel (1705-1774), infatti, l'architetto dovrebbe attenersi «alle proporzioni del corpo umano, far derivare le colonne dagli alberi, l'ornamento dai fiori e dalle foglie. Para gonare la struttura dell'edificio allo scheletro um ano».1 Di parere opposto, evidentemente, Ledoux (1736-1806), uno dei grandi innovatori dell'architettura che opera nel periodo a cavallo della rivoluzione francese, il quale adotta nei suoi progetti le forme primarie della piramide, della sfera, del cubo, individuando proprio nel le volumetrie dell'edificio un significato alta mente simbolico. Tendenze e posizioni ideologi che influenzeranno anche la futura architettura industriale, che difficilmente sfuggirà a certe deformazioni congenite. Per risalire alle idee di Ledoux va ricordato che nella sua veste di fun zionario statale (prima durante il Direttorio, poi ancora con Napoleone), egli sviluppa un pro getto per le saline di Chaux (non costruito), an dando ben oltre l'esigenza utilitaristica e conce pendolo secondo una visione di «città ideale». Convinzione questa che lo terrà impegnato fino alla morte. Ledoux ha grande stima del proprio mestiere e considera l'architetto «titano della terra» e i suoi compiti simili a quelli del Creato re. «Nei miei giovani anni - egli afferma - nella primavera della mia vita, vedo migliaia di uo mini unirsi alla mia gioia, li vedo costruire per l'eternità. Voglio fondare una città per il popolo felice nel lavoro. »2 Come è noto, Ledoux è an che l'architetto che dà forme al pensiero del contemporaneo Rousseau e nell'adesione a quello spirito, progetta «una casa dell'armonia» che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe corri spondere all'ideale di fratellanza. Con lui si va verso un sempre più concreto senso di cosmopo litismo, da cui prende avvio l'era moderna. Siamo comunque ancora molto lontani da una coscienza architettonica al servizio dei nuo vi processi di industrializzazione e alle esigenze di una nuova società. Per fare un paragone di tipo energetico, ci troviamo ancora all'età del «gas». La prima centrale elettrica infatti, verrà attivata a New York circa cento anni dopo (1882); quella di Milano di via Santa Radegonda, l'anno successivo. Anche gli edifici di natu ra funzionale del tempo, come poteva essere ad esempio un acquedotto, finivano sempre per as somigliare più a un tempio che a una moderna fabbrica (si pensi al Cisternone di Livorno di Pasquale Poccianti, 1829-1832). Più avanzata sotto questo profilo l'Inghilterra, dove dalla metà del Settecento è in atto la prima fase della rivoluzione industriale: quella dei ca nali artificiali, dei telai meccanici, della macchi na a vapore, del primo ponte in ferro, e pertan to, della prima ingegneria e della nascita della teoria funzionalista. Comincia da qui, dunque, 91 Claude-Nicolas Ledoux, veduta prospettica della fonderia della città di Chaux (1770 ca.) Ìean-Jacques Lequeu, «Le rendez-vous» (casa di cam pagna con osservatorio) 92 l'era moderna e industriale. «Sarà la straordi naria vicenda dei canali - ha scritto Castelnuovo - queste artificiali vie acquee che superano dislivelli, passano fiumi e colline, attraverso ac quedotti, ponti, gallerie. Gli illustratori giungo no ad immaginare una "navigatìon afloat in thè air", bianchi grandi navìgli che veleggiano nel l'aria sospesi ad un ponte sotto il quale passa maestosa un'intera flotta, immagine di un mon do stupefacente dalle dimensioni nuove e ambi gue.»3L'esperienza dello sfruttamento ìdrico na sce così su basi fantastiche. Tra i progetti di ca nali in Inghilterra, uno dei più grandiosi è il Trent-Mersey, completato nel 1777 che ha ri chiesto complessi interventi dì ingegneria e di idraulica. Spiega il Klingender: «Il canale TrentMersey era lungo poco più di 93 miglia, o circa 140 se si comprendono le congiunzioni con il canale di Birmingham e il fiume Severn. Si in nalzava fino a 120 metri nel punto culminante a Harecastle, dove passava attraverso una galle ria lunga quasi 3200 metri. A ovest della galle rìa Harecastle vi erano 35 chiuse e 40 a est. Nel l'insieme erano state costruite cinque gallerie, cinque acquedotti importanti e circa 155 acque dotti minori».4Certamente un'impresa colossale in un campo, quello della produzione di ener gìa, ancora molto lontano dai suoi reali sfrutta menti. Questo genere di costruzioni, quali stra de e canali che investono l'area delle nuove vie di comunicazione, costituisce uno dei maggiori sforzi da parte di amministratori pubblici e pri vati della fine del XVIII secolo in Inghilterra. Nasce un po' alla volta l'orientamento alla specializzazione nelle costruzioni. Anzi, proprio il termine «costruzione» sembra venir contrap posto a quello di «architettura» e al tempo stesso distinguere quella branca che non appartiene alla tipologia dell'edificio tradizionale, fino a quando non si creano vere e proprie specializ zazioni nel campo delle costruzioni, di cui è esemplare il caso della ferrovia, soprattutto dal la metà del secolo scorso in poi. L'epoca della ferrovia ha inizio nel 1830 con l'inaugurazione della Liverpool-Manchester e quella del battello a vapore, otto anni dopo, con il servizio transa tlantico da Bristol a New York. Sono anche gli anni in cui si comincia a operare con i nuovi materiali, come il ferro, le fusioni in ghisa, il Gaetano Moretti, la centrale idroelettrica di Trezzo d'Adda, 1906 vetro trattato industrialmente e si affinano nuo ve tecniche di lavorazione. L'architetto spesso non riesce a tenere il passo con i continui aggiornamenti, o talvolta rimane invischiato nelle querelles dei dettami stilistici di scuole e accademie. Molto spesso egli si riserva la parte artistica del progetto, demandando ad altri le competenze tecniche. Si forma nel frat tempo la figura professionale dell'ingegnere che si pone in una posizione di dualismo con l'architetto, in taluni casi entrandone in conflitto. I primi ingegneri specializzati e professionisti fanno la loro comparsa alla fine del XVIII secolo, e i più noti sono, in Francia P.M.J. Trésagnet (1716-96) e in Inghilterra Thomas Telford (1757 1834) e John Macadam (1756-1836). Nei primi de cenni dell'Ottocento, Telford è tra i primi ad uti lizzare la ghisa per costruire numerosi ponti, ponti-canali e ponti-acquedotti. Dopo la Restau razione, anche in Francia si espande l'impiego del ferro e neppure Percier e Fontaine, architetti dell'impero, disdegnano l'uso della ghisa, spe cie per le parti più decorative degli edifici. Tra gli orientamenti ingegneristici con l'uso di nuovi materiali e con il sostegno di nuove teorie scien tifiche da una parte, e il dilagare del revival storico e il recupero archeologico, da parte di molti artisti, architetti, letterati e intellettuali, si creano così inevitabili dicotomie. Gli architetti sembrano preoccupati soprattutto di salvaguar dare l'«oggetto» architettonico, ma intanto la cit tà industriale, in rapida e talvolta abnorme cre scita, sfugge loro di mano. Alla città reale, essi contrappongono frequentemente una loro città ideale. Codici strutturali e codici formali L'Ottocento vede una richiesta crescente di edifici da adibire al servizio pubblico: oltre alla chiesa, si affrontano gli edifici per le assemblee, il mercato, l'ospedale e la prigione, il cimitero e il teatro, lo sferisterio e, per l'appunto tutte le nuove costruzioni per la destinazione industria le. Un po' alla volta si forma anche una più am pia coscienza urbanistica. Ma tutti questi edifici necessitano di codificazioni tipologiche e di spe cifici e appropriati linguaggi. Sia sul versante del dibattito stilistico, sia su quello della costru zione tecnica, è indispensabile formulare una grammatica facile e inequivocabile del costrui re, individuare quella quantità di elementi com positivi, segni e stilemi, che organizzati e com posti permettano di raggiungere l'espressione linguistica e l'approccio semantico. A questo proposito risulteranno esemplari i disegni tecnici del «trattato» di f.B. Rondelet (1743-1829), il quale allinea in tavole incise, di rara eleganza e chiarezza, tutti gli elementi del 93 Antonio Sant'Elia, studio per una centrale elettrica, 1913 A pagina 96: Piero Portaluppi, centrale elettrica sul Roasco, acquerello (1920 ca.) Piero Portaluppi, studio per una centrale elettrica a Cadarese, 1925 94 costruire conosciuti al suo tempo.5 Così come risulta di capitale importanza il corso a dispense di J.L.N. Durand (1760-1834), in cui l'autore trac cia i vari elementi architettonici e i metodi da seguire nella progettazione di qualsiasi edificio; Durand, analizza anche, e cerca di individuare tutti gli aspetti, le varie possibili planimetrie per ogni tipo di edificio.6Per limitarci poi soltanto a citare le tavole esplicative riguardanti l'architet tura dell'Encyclopedie di Diderot, che dalla me tà del Settecento stanno a indicare un preciso «sistema» iconografico, base indispensabile di tutta la successiva didattica visiva. Va ricordato inoltre, che sotto questo aspetto, sì possono far risalire le prime interpretazioni del disegno tec nico d'ingegneria, al De Re M etallica di Georg Agricola del 1556, momento in cui si va forman do quell'alfabeto in codice, indispensabile disci plina per comunicare tra operatori diversi, che si è andato man mano arricchendosi con rap presentazioni sempre più raffinate. «Dopo il pe riodo sperimentale è sorto il nuovo codice» scrive il Kaufmann. «I progetti didattici di Du rand, rappresentano il tentativo di ricondurre il principio sistematizzato nella varietà della pras si edilizia, di riportare le idee dell'epoca e la necessità di tutti i giorni a quell'armonia che va raggiunta, se si vuole che i nuovi princìpi entri no nella realtà architettonica. »7 Sul versante della codificazione degli stili, bi sogna invece ripartire dalla vasta cerchia di ri cercatori che imboccarono la strada del Winckelmann, che si sforzarono di reperire nel pas sato e tra i ritrovamenti archeologici quel rinno vamento estetico da tutti sperato. Con Thomas Hope (1770-1831), autentico esempio di amateurdilettante, ci si apre allo studio della storia (so prattutto per gli egizi), secondo l'interpretazione classicista, che porterà successivamente ad avallare, come puntualmente ha sottolineato Andreina Griseri, anche la moda dell'arte extraeuropea («il gusto bizantino che conduce al moresco, il gotico che approda alla scoperta dello stile arabo»8). Hope compone una sua Sto ria dell'architettura, arricchita anche dalle per sonali esperienze di colto giramondo e di raffi nato collezionista (egli si fa costruire una casamuseo, i cui vari ambienti sono ispirati alle ten denze stilistiche della storia). Piero Portaluppi, progetto di centrale elettrica (1920 ca.) O lW " Ben presto dunque, prevale il gusto per il pas sato più remoto, in cui si fanno risaltare le bel lezze della natura con effetti particolari, come ad esempio, rovine artistiche (anche artificiali), come grotte e templi. Tutto ciò si accompagna al ritorno per il gusto medievale che, soprattutto dopo il 1830, nel momento stesso che si produco no grandi riforme sociali e urbanistiche, si ma nifesta con un exploit a favore del movimento neogotico in architettura. L'intero lessico gotico soppianterà in breve tempo ogni riferimento al classico. Ruskin, grande fautore del medievali smo, sostiene nel 1855 in Seven lam ps of Archi tecture: «Non ho dubbi che il solo stile adatto ai lavori moderni nei paesi del nord, sia il gotico settentrionale del XIII secolo».9 Tra i nomi che più di altri sapranno celebrare il gotico ed ele varlo a valori morali, vi troviamo Pugin e Viollet-le-Duc; mentre più tardi Morris, Richardson, Berlage opteranno per il romanico. Se all'inizio il gotico appare come un insieme confuso dì tor rette e pinnacoli, in cui vi è il predominio del sentimento sulla ragione, troverà in Pugin e in Viollet-le-Duc i teorici che sapranno individuare in esso un rinnovato sistema di regole, applica bile a tutti i nuovi edifici, senza ricadere in ba nali emulazioni. Anche la costruzione di edifici a scopi industriali, dovrà passare per questa strada. L’eclettismo in architettura e l’estetica del sublime Nel 1846 l'Academie des Beaux Arts francese, che regola la formazione di intere generazioni di architetti, condanna gli stili medievali e il go tico (a sostegno del classico), ma trova in Violletle-Duc un paladino difensore di questa causa; quest'ultimo infatti riesce a contrapporre suffi cienti argomentazioni probanti delle sue tesi e con un intervento presso il sovrano (Napoleone IH), fa modificare il regolamento stesso della scuola. Viollet-le-Duc, «pur restando nei termini della cultura storicistica, mette in chiaro il carat tere arbitrario e convenzionale delle pretese leggi generali dell’architettura sostenute dallAccademia, e contrappone a queste leggi, re gole meno ambiziose ma più aderenti al concre to: l'uso appropriato dei materiali, l'obbedienza alle necessità funzionali».10 I suoi scritti teorici circolano in tutto il mondo e avranno notevole influenza sulla generazione che opera verso la fine del secolo, da cui escono i maestri dell'art nouveau. Per comunicare e divulgare teorie e intuizioni, Viollet-le-Duc sceglie la formula del dizionario e del manuale di carattere sperimen tale, e a questo proposito sono esemplari le voci del suo Dictionnaire rasonné de l'architecture française, pubblicato tra il 1854 e il 1868. Con gli interventi teorici e didattici di A.W. Pugin in Inghilterra e di Viollet-le-Duc in Fran95 eia, lo spirito neogotico ritrova l'armonia perdu ta della composizione, quella dimensionale, la proporzione tra gli elementi, raggiungendo dunque la formulazione del linguaggio compiu to e autonomo che farà scuola per diversi de cenni, certamente fino alle soglie dell'art nou veau. Meno pura sarà invece l'applicazione della prassi operativa negli altri paesi del conti nente dove è prevalente un tipo di eclettismo generalizzato. L'amore per il medioevo, per la cattedrale, per il castello, inteso nei suoi valori emblematici, si diffonde sempre più capillar mente e in modo irreversibile. E sarà soprattutto il castello a prevalere come esempio per le altre costruzioni, «come tipologia arricchita in senso letterario, adatta a cogliere le antinomie della matura coscienza romantica, che avvertiva sempre più il sostanziale dualismo fra arte e vi ta...».11 Dopo che anche le Accademie si aprono ai vari stili, l'eclettismo è interpretato non più come una posizione di incertezza, ma come un siste ma da utilizzare a seconda dei casi e delle esi- 96 genze. L'accademico Julien Gaudet (1834-1908) arriva ad affermare: «E classico tutto ciò che continua a ricevere l'ammirazione universa le».12Si giunge addirittura ad una logica riparti zione tipologica degli stili, considerando il new gothic più adatto alle chiese, agli edifici munici pali, ai cimiteri, mentre il classicismo che si ispi ra alla Grecia, è ritenuto più congeniale per gli edifici parlamentari e per i musei. Quel che più sorprende è appunto questa intercambiabilità degli stili. Un caso macroscopico è costituito dal la costruzione della Ringstrasse a Vienna, vera e propria esibizione di facciate eclettiche in uno scenario di finzione che allinea secoli di storia. Come si può facilmente intuire, comunque, si creano poi sostanziali differenze tra paese e paese; mentre a Parigi o a Vienna prevale un eclettismo più diffuso, in Inghilterra come si è detto predomina insistentemente la tendenza del new gothic, di cui l'architetto Gilbert Scott ne è probabilmente il più autorevole rappresentan te. In Italia è soprattutto l'esempio del tardo goti co, quello della Certosa di Pavia, a prevalere, fino a sfociare nel neorinascimento. Ma che cos'è dunque in modo specifico questa architettu ra eclettica che ha dominato quasi un secolo di storia e che ha investito di un monumentalismo ogni tipo di costruzione? Roberto Gabetti, com pilando la voce per il Dizionario di Architettura e Urbanistica, ne ha fatto questa classificazione: «Eclettismo: Aspetto determinante della cultura architettonica dell'Ottocento europeo, rilevabile in un periodo compreso all'incirca fra il 1815 e il 1890, basato sulla sistematica tendenza ad ac cogliere consapevolmente - attraverso l'analisi di monumenti appartenenti a civiltà lontane nel tempo e nello spazio - elementi da ricomporre secondo coerenti principi storici (composizione stilistica), modi tipologici caratteristici della de stinazione di ciascun edificio (religiosi, termali, ferroviari, ecc.) o ancora secondo accostamenti bizzarri o stimolanti».13 Con l'eclettismo si va affermando anche un forte senso per il pittoresco, secondo cui l'archi tettura viene vista nel rapporto con il paesaggio che la circonda, come una «scena dipinta», con un gusto scenografico dovuto soprattutto all'abi tudine delle rovine, della moda archeologica. Tra le fonti che costituiscono il bagaglio ecletti- co, uno dei capitoli che contraddistinguono l'ar chitettura romantica, è senza dubbio il tema del castello, emblematica rappresentazione che coinvolge anche pittura, letteratura e teatro. La scelta tipologica del castello sarà protagonista di tante scene che coinvolgono la pittura simbo lista, diventando elemento-simbolo del pittore sco negli ultimi decenni del secolo, specie nelle scenografie wagneriane. Anche nel melodram ma italiano (la Norma di Bellini) spesso il castel lo fa da sfondo all'opera. Uno degli esempi più tipici di questa passione diffusa per il «castello» è l'edificazione a Torino del Valentino con l'an nesso borgo medievale, realizzati e conclusi nel 1884 dai revivalisti piemontesi, diretti dal D'Andrade, «una finzione storica sostenuta da un mestiere appassionato e da ricerche puntiglio se. .. 14 Per una certa propensione al gusto scenograPiero Portaluppi, Progetto d'impianto per le Officine Elettriche Genovesi. Schizzo d'insieme __- _ ___-( " fico, si dichiara anche Camillo Boito (1836-1914), il maggiore tra gli architetti italiani che raccol gono gli orientamenti di Viollet-le-Duc. Egli met te in evidenza l'aspetto bipolare dell'architettu ra: la parte organica e strutturale che deriva dalle esigenze interne dell'edificio, e la parte simbolica che si esprime «con allegorie diretti ve, con astratte analogie, o con l'indefinibile spirito dell'arte».1SLa sua è comunque una posi zione critica e moraleggiante nei confronti dei simbolismi sconclusionati e dell'anarchia com- positiva. Nell'evanescente suggestione prodotta dalla tendenza «impressionista», anche l'ombra viene a costituire un nuovo elemento del fare architettura, così che hanno buon gioco gli illu stratori e gli scenografi, in particolare coloro che in Baviera operano al servizio della follìa di Lud wig II, tra castelli e rovine, torrioni e guglie, roc ce e grotte. L’edificio industriale nella suggestione eclettica Questa immagine visionaria dell'architettura, il concetto del sublime e del pittoresco applicati al paesaggio, è rimasta adesa a lungo alla pra tica progettuale degli architetti, che alla costru zione reale hanno sempre cercato dì sovrappor re un'architettura mentale e idealizzata. In que sto modo l'eclettismo è rimasto una consuetudi ne anche per le generazioni successive a quelle che l'hanno effettivamente espresso, fin dentro alla stessa produzione liberty. E il caso, ad esempio, di Gaetano Moretti (1860-1938), allievo di Camillo Boito, che nel 1906 realizza quella centrale idroelettrica di Trezzo sull'Adda che di venta un po' il simbolo di questo genere di edifì ci industriali, e che nonostante l'elegante fronte floreale traforata da cui sono ormai scomparsi i sìa pur minimi riferimenti al gotico, al romanico, al rinascimento lombardo, conserva tutti i valori dell'opera monumentale; al pari dì un castello medievale, di una fortezza merlata, essa sovra sta il paesaggio circostante e sembra dialogare con le rovine del sovrastante castello trecente sco, doppiando poi la sua suggestiva immagine nello specchio del fiume. Anche se con minor lirismo e tensione decora tiva, gli edifici che accolgono gli impianti delle centrali idroelettriche in Valtellina, vanno consi derati come pensati nello stesso spirito di opera eclettica, e pertanto, l'edificio stesso è destinato - avvalorato dagli attuali orientamenti dì ar cheologìa industriale - a trasformarsi nel tem po, anch'esso in rovine. Sia Grosotto prima, sìa Grosio più tardi, risentono della cultura dell'e clettismo e i relativi progetti vanno letti come contenitori di macchinari la cui facciata viene utilizzata dall'architetto come suggestiva eserci tazione di partiture dimensionali e stilistiche, dove il neoromanico si stempera nel brullo pae saggio che la circonda. L'edificio nasce con la segreta aspirazione di castello, con un'immagi ne tesa a sublimare le connotazioni, anche se in apparenza sembra che gli si voglia imprimere soltanto dignità architettonica. In particolare Grosio (la centrale del Roasco, progettata da Piero Portaluppi), come la centrale del Moretti, è posta in situazione privilegiata per dialogare con le rovine del castello medievale retrostante; addirittura gli viene innestato un coronamento merlato dalle inequivocabili citazioni. Anche Piero Portaluppi (1888-1967) non smen tisce la tradizione eclettica degli architetti lom bardi. Laureato al Politecnico di Milano nel 1910, ha come maestri Camillo Boito e Gaetano Moretti e, nella loro scia, anch'egli si dedica al l'insegnamento. Dal 1948 al 1963 è preside della Facoltà di Architettura, sempre a Milano. Nella sua opera si ritrovano esperienze addirittura contrastanti tra loro, come ad esempio, quella classicista del Planetario di Milano o quella dé co del progetto per il piano regolatore nel quar tiere Monte Amarillo (1920), fino a quella indu striale delle centrali elettriche nella valle del To ce e in Valtellina. Certamente interessante la sua attività nel campo del restauro architettoni co in alcuni edifici di Milano, come Casa Atellani (1922), S. Maria delle Grazie (1934-37), la Pi nacoteca di Brera e l'Ospedale Maggiore. A Grosotto (1908) invece, è la finestra in stile rinascimento lombardo nel suo sviluppo iterati vo a caratterizzare l'aspetto di castello gentilizio. Mentre l'edificio della centrale idroelettrica, co me avviene nel caso della stazione in rapporto all'impianto ferroviario, si traduce in testimo nianza, in «racconto», ed è sostenuto da criteri emozionali, tutti i problemi inerenti agli impianti vengono demandati agli ingegneri, agii esperti di idraulica, ai geologi e agli altri specialisti. Qui però non entrano in gioco gli sperimentali smi, l'uso dei nuovi materiali come la ghisa, an che se questo potrebbe creare un ulteriore arric chimento linguistico e rendere la centrale idroe lettrica un vero e proprio simbolo della civiltà industriale che l'ha generata. Le costruzioni so no invece risolte in modo piuttosto semplice, in mattone o in pietra, manifestando così una loro rustica impronta di architettura di montagna. Ci sembra di poter sostenere insomma, che tutti quegli arricchimenti sintattici aggiunti all'e- Piero Poitaluppi, impianto per le Officine Elettriche Genovesi, schizzo dell'interno della sala macchina, 1920 dificio e che vanno al dì là della pura funzione, lato a una prassi eclettica, e lo confermano, ol avrebbero potuto essere spinti oltre, fino alla tre al fatto di essere figlio spirituale del Sommapoesia architettonica. ruga (anch'egli discepolo del Boito), la costruzio Nemmeno ì progetti della seconda generazio ne di un paio di villini nel gusto eclettico e la ne quelli per intenderci, ideati da Antonio San partecipazione ad alcuni concorsi in cui risulta t'Elia nel 1914, tra spirito futurista e gestualità molto vicino al repertorio della Secessione vien espressionista, hanno trovato poi alcuna collo nese e in particolare alla Wagnerschule. Si trat cazione nella realtà. D'altra parte a distanza di ta del concorso per il cimitero di Monza (con decenni, ci rendiamo conto che l'esaltazione Italo Paternoster, 1912); per la facciata della macchinista di quei progetti, il «lirismo ascen nuova stazione di Milano (per conto dell'archi sionale» dei suoi disegni, l'enfasi monumentali- tetto Cantoni, 1912); per la nuova sede della sta un po' ridondante impresso all'oggetto archi Cassa di Risparmio di Verona (con l'arch. Can tettonico di tipo industriale, non troveranno al toni, 1913-14). Come ha fatto notare Luciano Ca cuna rispondenza nella successiva produzione ramel scrivendo di Sant'Elia, nonostante l'insod delle turbine che producono energia. Non ci si disfazione generale per l'accademismo e un de rendeva conto allora, che il progresso centupli siderio di rinnovamento, «... quasi tutti i costrut cava le sue forze riducendo proporzionalmente tori non riuscivano a liberarsi dell'eclettismo: la gli spazi d'intervento, e che le macchine diven stessa assimilazione del liberty avvenne per lo tavano sempre più potenti ma sempre più picco più con mentalità e procedimenti eclettici, come le; pertanto non sarebbero servite architetture dimostra la disinvoltura di molti architetti nel monumentali e gigantesche, sìa pure depurate passare dalla progettazione di edifici in stile "ro dalle sovrastrutture e dagli orpelli decorativi. mano'' o "rinascimentale" ad opere in stile liber Non ci pare azzardato affermare che, dopotutto, ty. Spesso inoltre, dell'art nouveau si accolsero quello del «rivoluzionario» Sant'Elia sia stato solo i motivi ornamentali, inserendoli in una l'ultimo, estremo gesto legato a una concezione struttura che rimaneva scopertamente tradizio ancora ottocentesca, o quantomeno espressione nale (si pensi agli edifici dell'Arata e del Coppedella seconda fase della rivoluzione industriale, dè)».16 Riferendoci all'architettura industriale e alle quella appunto dell'energia elettrica e del moto costruzioni che hanno legami con il progresso re a scoppio. Lo stesso Sant'Elia, per formazione scolastica, dell'era delle macchine, abbiamo cercato di nonostante vi sia un salto di almeno due gene evidenziare le più macroscopiche contraddizio razioni da quella del Boito, risulta ancora vinco ni, che soltanto all'interno di un linguaggio spe- Piero Portaluppi, Crevola. Impianto idroelettrico per le Imprese Elettriche Conti. Disegni per le fronti. flPfiL 1 / / / j t ** i ì J—- — . 100 r t i : --j cialistico possono apparire come tensioni pola rizzanti o dicotomie, tra sviluppo ingegneristico da una parte, ma spesso senza alcuno stile, e preoccupazione formale da parte degli architet ti, che si risolve invece in un eccesso di stile e di posizioni letterarie. La centrale idroelettrica dunque, al pari di altre costruzioni del suo tem po, va anch'essa considerata di appartenenza alla cultura ottocentesca, anche nei casi in cui la sua realizzazione è dei primi due decenni del nostro secolo. Ultima propaggine di una co scienza industriale ottocentesca, dunque, e apertura verso nuovi orizzonti del secolo vente simo, in cui sono avvenute le più grandi scoper te scientifiche dell'intera storia dell'umanità. Certamente tutto questo ha avuto sviluppo pro prio perché c'è stato l'Ottocento a preparare il terreno per le successive conquiste. Come ebbe a dire il Melani, «...il secolo che fora in pochi anni il Cenisio, che taglia l'istmo di Suez, che getta ponti tubolari sopra il più tempestoso brac cio di mare che divide nazioni europee, che in nalza all'industria, per fruirne in pochi mesi, sterminati palazzi di cristallo,...»17non può che inneggiare al «progresso» e sconfiggere ^oscu rantismo» (celebrazione che avviene puntual mente con il Ballo Excelsior, apoteosi del pro gresso in uno spettacolo di fine secolo). In archi tettura intanto, resta emblematica la realizzazio ne dell'ingresso dell'esposizione universale di Pa rigi dell'89: un misto di moresco con finestre goti che e cupola classicista, e accanto, la svettante Tour Eiffel, sfida e scommessa con tutte le prece denti buone regole di comporre architettura. • Note 1. J.F. Blondel, Cours d'architecture. Parigi, 1771. 2. Emil Kaufmann, Von Ledoux bis Le Corbusier. Ursprung und Entwicklung der autonomen Archilektur. Veriag Roli Passer, Lei pzig - Wien, 1933 (trad. ìt. Da Ledoux a Le Corbusier. Origini e sviluppo dell'architettura autonoma. Gabriele Mazzotta Editore, Milano, 1973). 3. Enrico Castelnuovo. saggio introduttivo a Francis Donald Klin gender. Arte e rivoluzione Industriale. Einaudi, Torino, 1972 (tit. orig. Art and thè Industriai Revolution. Adam & Mackay Ltd. 1968). 4. F.D. Klingender, op. cit. 5. J.B. Rondelet, Trattato teorico e pratico dell'arte di fabbricare, 1802-17. 6. J.L.N. Durand, Précis des leçons données à l'école royale Poly technique. Parigi. 1823. 7. Emil Kaufmann, op. cit. 8. Andreina Griser! e Roberto Gabetti, Architettura dell'ecletti smo. Saggio su Giovanni Schellino. Einaudi, Torino, 1973. 9. lohn Ruskin, Seven lamps of Architecture. Londra, 1848. 10. Leonardo Benevolo, Storia dell'architettura moderna. Laterza. Bari, I960. 11. Andreina Griseri, in Griseri e Gabetti, op. cit. 12. Julien Gaudet, Eléments et théorie de ¡'architecture. Parigi, 1894. 13. Roberto Gabetti, la voce «Eclettismo» in Dizionario di Architet tura e Urbanistica, diretto da Paolo Portoghesi. Roma, 1968. 14. Andreina Griseri, in Griseri e Gabetti, op. cit. 15. Camillo Boito, Sullo stile futuro dell'architettura italiana, in Architettura e Medioevo in Italia. Milano, 1880. 16. Luciano Caramel, presentazione al catalogo della mostra An tonio Sant'Elia, a cura di Luciano Caramel e Alberto Longatti. Villa comunale delTOlmo, Como, 1962. 17. Alfredo Melani, Il secolo XIX nella vita e nella cultura dei popoli. L'architettura. Milano, s.d. (1900 ca.). 101 Atrio della centrale di Premadio ¡02 Interno della centrale di Fraele, Ironte della sala quadri e gru carro ponte 103 La sala macchine della centrale di Fraele ¥ Mio padre amava i contadini e ne era fortemente riamato; volontieri si tratteneva con loro, s’occupava dei loro affarucci, e il suo studio era sempre frequentato da contadini che venivano a chiedergli aiuto e consigli. Specialmente affezionata gli era la intera popolazione di Grosio, colla quale la nostra famiglia aveva avuto da parecchi secoli tradizionali legami di interessi e di affetti... Giovanni Visconti-Venosta: da «Ricordi di gioventù», Rizzoli Editore -CL1 I villici sono portati a personificare gli enti morali, o per meglio dire molti di questi. Quindi è che il giuoco, il ballo ecc. sono per essi qualche cosa di reale, a cui danno moglie. Queste mogli comprendono tutte le idee schifose e ributanti; e quando si vuol nominare od indicare con disprezzo una vecchia squarquoia, si dice della stessa che assomiglia alla femmine del ballo o del giuoco. Questa e le altre enunciate assurdità hanno suggerito a dei furbi la maniera di sbrigarsi degli armenti che pascolano in tenute di cui si vorrebbe ingiustamente profittare. Basta solo il gettare una pianella per entro ai pascoli medesimi: questa ritrovata dai pastori li getta nella maggiore costernazione, e gli obbliga ad abbandonare il pascolo a coloro che meno semplici non temono di valersene. prefetto napoleonico: Vita efolklore contadino. Angelini, 104 105 Il gruppo 2 della centrale di Grosotto '¥ «Valtellina, cantone svizzero, Sondrio come una Berna in miniatura, - e rivolto alla simpatica sua madama, - ricordi, Irma? - Ricordava, si, la elegante ben conservata signora non senza una punta di nostalgia: - Ci andammo novelli sposi nel 1890, - come se parlasse alla giovane semplice signora Monti, - begli anni luoghi d’incanto, una società che mai più eguale? - La Valtellina, - continuava, - io la ricordo come un paese, quasi uno staterello a sé, fra lago, Stelvio, Alpi Retiche, Alpi Orobie, una Marca; e Sondrio che faceva da capitale. Uffici, tribunali, ospedali, scuole, prefettura essa offriva a professionisti d’ogni genere un abbastanza vasto campo di attività, i migliori elementi delle migliori famiglie da Colico a Bormio, Chiavenna, Morbegno, Teglio, Ponte, Tirano, su su, non avevan bisogno d’andar a cercar a Milano sfogo e impiego, e la loro terra non s’impoveriva delle loro energie; grandi tradizioni di patriottismo e di coltura, i due Quadrio, l’erudito e il patriota, i due Visconti-Venosta, non ho bisogno di ricordare a te, - io m ’inchinavo al complimento senza dir né si né no - son nomi che risentirai risuonare lassù con quelli dei Guicciardi, Sertoli, Botterini, dei Pelosi, Lambertenghi, Longoni, Merizzi, come risuonavano allora nella vita pubblica e sociale di là. E fra tanti funzionari sempre un gruppetto se ne trova che son dei signori. E perfino fra i professori secondari medi, perfino fra direttori e presidi ti capita, capitava, d’incontrar gente divertente: quelli del luogo, stabili, fan comunella subito con gli altri mobili e mutevoli, anno per anno ai Santi un gran banchetto accomuna gli uni agli altri, professori e famiglie, una volta in Val Masino un’altra a Chiesa di Val Malenco, o aH’Aprica, in quei begli alberghi messi su alla svizzera, certi antipasti, la brisavola, certi piatti locali, camoscio, luganega fersa e polenta taragna... e quel vino...» Augusto Monti: da 4 miei conti con la scuola», Giulio Einaudi Editore 106 107 La sala macchine della centrale di Grosotto r<\J '* «Verso mezzodì alle falde dei monti, giace la signorile e celebre borgata di Worms, detta in latino Bormium ed in italiano Bormio... È un luogo antichissimo e può, per i suoi edifici, le sue torri e la sua ampiezza essere paragonato ad una cittadina; è munito di castelli e di fortezze ed è luogo assai ricco e popoloso. Si annoverano in Bormio molte nobili ed illustri famiglie... che in patria e all’estero sono specchio di lealtà ed onoratezza. In Bormio si trova a buon prezzo tutto il necessario; vi abbondano la carne ed il pesce, il buon pane ed il vino. Anzi io ritengo non esista altro luogo, dove si beva vino migliore. Infatti i bormiesi comprano i vini più scelti, così in Valtellina che altrove. Il torrente Frodolfo serve a trasportare molto legname, così per le fabbriche, come per usi domestici... Perciò le abitazioni sono comode e ben costruite.» 1616: (traduzione dal latino) Guber von Weineck, «Raetia» 108 109 Gli alternatori 2 e l della centrale di Lovero r «Viaggiando per le Fiandre io aveva tradotti moltissimi squarci dell’Iliade e il Viaggio d’Yorick...; quando fui mandato ad esaminare le miniere di ferro nella Valtellina e sul Bergamasco, sono ritornato ad Omero, e mi fu solo compagno., ho bello e finito il primo libro (della versione) e tutto il terzo. Gli altri sono a squarci sino al principio del decimo...» Ugo Foscolo: Nelle miniere di ferro di Fraele «Non è escluso che, fuggendo di qui cerchi riparo nelle “verdi retiche vette" (che sono bianche, viceversa) e venga a rivedere la vecchia Sondrio vizzoleggiante e che, (dimentico che le azioni della Vizzola sono fra le più turpi e fetide e fregative pezze d’appoggio per dimostrare che i senatori e i gran cordoni sono dei geni, risfolgoranti di kilowattora a lire 1,85 cadauno, bollo compreso) - sia ancora capace di riabbracciarti.» Carlo Emilio Gadda: flettere agli amici milanesi», Il Saggiatore 110 ili La cabina elettrica di Grosotto Scorcio dei fabbricati della cabina elettrica di Grosotto L’arrivo del fuligginoso Segantini dalia barba nera, accompagnato da una bella creatura bionda, richiamò l’attenzione del villaggio. Era il sabato sera (il giorno della stregoneria) ; i due viandanti furono ospitati malvolentieri. I gesti e le parole della coppia misteriosa furono controllati e discussi dai capoccia del villaggio. Lo sguardo acuto dell’uomo ed il suo interessarsi ad ogni cosa, destarono sospetto. Pareva che egli avesse con sé un libro sul quale non scriveva mai parole, ma tracciava disegni indecifrabili e strani. Il parroco consigliò il segretario del comune perché procedesse ad un sommario interrogatorio. Donde venivano? Che professione facevano? Di che nazionalità erano? Che religione praticavano? Le risposte un po’ metafisiche ed ironiche del Segantini avevano aumentato le meraviglie. Lo stupore divenne ostilità e più tardi ira. Il mattino, invece di andare a messa, i due Segantini si erano fatti servire dall’atterrito oste, pane e salame, poi avevano preso la via dei monti; l’uomo tenendo un libro da scrivere e la donna, inaudita vergogna, un libro da leggere! La popolazione si ammutinò contro gli intrusi e dovettero partire in fretta e furia, inseguiti da poco benevole parole e da meno benevole sassate dei ragazzi. Raffaele Calzini: «Giovanni Segantini a Livigno*, racconto. 114 115 Un trasformatore della cabina di Grosotto 116 Il trasformatore T. 1 della cabina di Grosotto Polo di un interruttore a 220 kV della cabina di Grosio i /' i»:-*-»* 118 Archeologia industriale degli impianti idroelettrici in Valtellina Aldo Castellano L’archeologia industriale in Italia Gli studi di archeologia industriale in Italia sono spesso caratterizzati, tranne alcune note voli eccezioni, da una certa dose di provinciali smo, sia per il metodo seguito che per gli oggetti di studio presi in esame. In effetti è spesso diffi cile uscire dagli schemi imposti da una cultu ra dominante com'è quella anglosassone, per quanto riguarda la storiografia della rivoluzione industriale (e, quindi, anche l'archeologia indu striale stessa) e muoversi con scarsi punti di riferimento in situazioni nuove e praticamente sconosciute, come sono quelle che molte nostre realtà regionali ci presentano. Ma non sembra esserci via d'uscita: per evitare la colonizzazio ne culturale, almeno in questo campo, occorre prescindere dalla tradizionale concezione bri tannica della rivoluzione industriale, riassunta nella triade «ferro-tessili/cotone-fabbriche», ed affrontare la storia delle singole aree regionali con nuovi modelli storiografici, adeguati ai sin goli e specifici «sentieri di sviluppo» che ogni società per molteplici ragioni storiche ha potuto e/o voluto intraprendere. Vediamo allora che per molte zone dell'Europa continentale e so prattutto nel nostro paese dovremmo parlare di rivoluzioni industriali fin dal Medioevo e non di una, bensì di più rivoluzioni, perché anche l'in dustrializzazione può perdere di vigore, arre starsi e persino morire, dando luogo a quel pro cesso certo drammatico della de-ìndustrializzazione o destrutturazione industriale. E, come possiamo constatare anche ai giorni nostri, non si tratta solo di questioni abbastanza semplici di «patologia» della struttura industriale, in qual che modo guaribile, ma di un fenomeno più complesso che, continuando nella nostra meta fora biologica, potremmo chiamare di «necrosi» del tessuto industriale, contro il quale è spesso molto difficile intervenire efficacemente.1 I «sentieri dello sviluppo» sono molteplici come ci ha indicato la storiografia economica contemporanea - ed ugualmente molteplici debbono essere i modi dello studio dell'archeo logia industriale, ossia, secondo una definizione abbastanza comprensiva, la storia delle struttu re fisiche e delle attività produttive di ogni sìn golo paese; storia in cui confluiscono problemi tecnologici, economici, sociali e culturali, ossia tutto il mondo che ruota attorno e rende possibi le la produzione dell'industria e che quest'ultima a sua volta tende a trasformare. Ogni attività produttiva richiede strumenti di analisi adeguati e specifici, perché è differente l'insieme dei problemi che essa coinvolge e, co sì, ogni singola area industriale dovrebbe ri chiedere strumenti di analisi specifici ed ade guati alla sua realtà e non invece schemi di analisi validi dovunque e basati essenzialmen te, in mancanza di una precisa aderenza al la realtà in esame, sulla logica del «primato», del primo esempio o modello, come se la storia delle società potesse essere ridotta e risolta attribuendo a ciascuna voce un punteggio per una improponibile classifica mondiale: i primati tecnologici, tanto per fare un esempio, non por tano necessariamente anche a primati indu striali e, viceversa, questi ultimi non nascono necessariamente dai primi. Se tuttavia è talvolta di scarso interesse storio grafico parlare di primati nei diversi settori in dustriali, è invece sempre essenziale cercare di comprendere il significato ed eventualmente l'o riginalità di ogni storia industriale, ossia delle risposte, tra le tante possibili in base alla cultura e alle possibilità materiali esistenti, che le socie tà danno ai loro problemi sociali ed economici. Le brevi note che seguono non intendono af frontare esaustivomente il tema in esame, ma solo indicare la ricchezza e la complessità del119 l'argomento che un approfondito studio di ar cheologia industriale può mettere in luce. Archeologia industriale delle centrali idroelettriche in Valtellina L'archeologia industriale delle centrali idroe lettriche della Valtellina superiore costituisce un capitolo relativamente poco conosciuto della moderna industrializzazione lombarda dei pri mi anni del secolo. Eppure è proprio l'elettricità ed in particolare la houìlle bianche (espressione coniata e fatta iscrivere su un padiglione dell'E sposizione parigina del 1889 da Aristide Bergès, industriale cartario del Grésivaudan, che ebbe l'idea di utilizzare le cascate d'acqua non solo per attivare le turbine, usate sino allora per la sola energia meccanica, ma anche per produr re energia elettrica)2che, insieme al vapore, av viano in Lombardia, ma non solo qui, l'indu strializzazione della vita, ossia, come scrive lo storico economico Pierre Lebrun, la nascita del la nuova civiltà a primato economìco-tecnico-scientifico.3 Energia elettrica non significa solo un nuovo genere di illuminazione, ossia una lenta ma ra dicale trasformazione della percezione del mon do notturno, ma significa anche e soprattutto una rivoluzione dei trasporti urbani, della pro duzione industriale e, successivamente, della vita domestica, cioè tutta una serie di trasforma zioni così importanti da aver dato luogo, insie me all'altra nuova fonte di energia, il petrolio, a quella che alcuni storici hanno definito la «se conda rivoluzione industriale» (dopo quella del vapore).4 Il controllo e l’utilizzo dell’energia elettrica Le tappe fondamentali della storia dell'in dustria elettrica sono note e vogliamo solo ri cordarle rapidamente. Impiegando il famoso «anello» del pisano Antonio Pacinotti, di impor tanza fondamentale per lo sviluppo della dina mo, in quanto, se girato entro i poli di una cala mita elettrica o naturale, permetteva di genera re una forza elettromotrice, nel 1872 il belga Zénobe Théophile Gromme, capofficina della fab brica di motori elettrici di Gustave Froment, do po un colloquio con il Pacinotti stesso, riusciva a realizzare e costruire industrialmente la prima dinamo per la produzione dì corrente continua. 120 I primi alternatori, cioè macchine fondate sullo stesso princìpio della dinamo, che producono però corrente alternata, fecero la loro comparsa nel 1880, ma, quando furono esposti all'Esposi zione di Parigi del 1881, non ebbero molto suc cesso tra il pubblico specializzato, più favorevo le alla corrente continua, in quanto ritenuta me no pericolosa per gli uomini e le cose: H.P. Brown, ingegnere presso l'industria di Thomas Alva Edison, e presumìbile inventore della se dia elettrica, usata per la prima volta il 6 agosto 1890, si servì appunto dell'esempio di questo strumento di morte per dimostrare la straordina ria pericolosità della corrente alternata. L'ultima invenzione fondamentale è del 1882, quando Gaulard e Gibbs costruirono i primi tra sformatori di uso pratico, modificati e migliorati da Sebastian Zuani de Ferranti, un inglese dì origine veneziana, che, in base al princìpio del l'induzione, servono a ridurre o aumentare la tensione dì una corrente alternata, aumentando o riducendo nello stesso tempo la corrente, sen za variazioni di potenza. Se paragoniamo la tensione o differenza di potenziale o voltaggio all'altezza di un serbatoio d'acqua, l'intensità di corrente corrisponde alla portata della condut tura in cui scorre il liquido: la tensione moltipli cata per la corrente (cioè volt per ampère) dà come prodotto la potenza, misurata in watt. Sic come nella trasmissione lungo i fili, per l'effetto Joule, la dispersione di energia elettrica in calo re è proporzionale al quadrato dell'intensità di corrente, risulta economicamente molto più vantaggioso a parità di potenza trasportare alte tensioni e basse correnti, sia per ridurre la di spersione, sia per diminuire anche il diametro dei conduttori, proporzionale all'intensità della corrente, e, quindi, risparmiare sulla quantità di fili di rame nei cavi. Ma per raggiungere l'ot timizzazione dei costì erano appunto necessari ì trasformatori, che consentivano di innalzare la tensione, abbassando l'intensità della corrente, e quindi era indispensabile impiegare, invece che la continua, la corrente alternata, la cui ca ratteristica è appunto la trasformabilità, ossia la possibilità di variare tensione e corrente di un flusso elettrico, lasciandone immutata la poten za. Con l'alternatore, corrente alternata e tra sformatore, veniva aperta la strada al trasporto Il trasformatore T.3 della cabina di Grosotto ’m * 121 a distanza dell'energia elettrica, consentendo quindi la massiccia elettrificazione della vita e della produzione di beni.5 la «rivoluzione elettrica» in Lombardia Gli ultimi due decenni dell'800 e i primi del secolo successivo sono fondamentali per lo svi luppo dell'industria elettrica ed in questo la Lombardia ha ricoperto un ruolo senz'altro deci sivo. E non solo per i «primati» conseguiti in questo campo, come ad esempio la costruzione della prima centrale termoelettrica europea per l'illuminazione pubblica in via Santa Radegonda a Milano il 13 novembre 1882 (poi entrata in servizio pubblico regolare il 28 giugno 1883), cioè due mesi e nove giorni dopo la «prima» mondiale di Pearl Street a New York, quanto piuttosto per lo spirito che animava questa spe rimentazione, teso a realizzare non cattedrali nel deserto, ma una rete diffusa di supporto alla nascente industrializzazione della regione ed alla modernizzazione dei centri urbani (illumi nazione e trasporti).6 È in questa ottica che vanno letti i grandi risul tati tecnologici ed industriali delle centrali idroe lettriche lombarde dei due decenni a cavallo del XX secolo. Il 28 settembre 1898 veniva invia ta «per la prima volta l'energia a Milano» (Sedu ta consiliare del 9 ottobre 1898 della Società Edi son),7prodotta dall'impianto idroelettrico di Paderno (a circa 32 km da Milano) che utilizzava una caduta media di m. 27 ed una portata nor male di mc/s 45-52 di acqua delle rapide dell'Adda, generando direttamente negli alterna tori una potenza utile di 10.500 kW (per molti anni la maggiore d'Europa), che venivano tra sportati a Milano per la prima volta con pali metallici, dotati di un nuovo e più efficiente tipo di isolatori, su una linea a 13,5 kV, fino a Porta Vittoria, all'ingresso della città, dove veniva ri dotta a 3.600 volt per la distribuzione urbana.8Il progetto dell'impianto con trasmissione era dell'ingegner Guido Semenza, laureatosi al Politec nico di Milano (che tanta parte ebbe nella for mazione della Lombardia industriale) e risaliva, almeno a livello di studio di fattibilità, al 1889: la crisi economica ed aziendale della Società Edi son in quegli anni aveva costretto ad un ridi mensionamento dei programmi e all'accanto 122 namento del progetto di Paderno, poi ripreso solo nel 1895, dopo l'apertura di una linea di credito da parte della Banca Commerciale Ita liana, che consentiva una nuova e decisiva espansione della Società.9Grazie a questi moti vi di ordine economico il primato del primo im pianto idroelettrico eseguito nel mondo per tra sporti d'ingente potenza a rilevante distanza, passò alla centrale idroelettrica e all'elettrodotto Tivoli-Roma della Società Anglo-Romana, inau gurati nell'agosto 1892, che, sfruttando un salto di quasi 50 metri sull'Aniene, portavano corren te alternata a Roma alla tensione di 5 kV.10 Ma quest'ultimo aspetto ha una rilevanza sto rica relativa: ciò che è importante è il risultato tecnico-industriale complessivo che fa in questi anni della Lombardia un punto di riferimento internazionale. Una volta sperimentata con suc cesso la trasmissione dell'energia a distanza verso la fine del 1895, si apriva la strada al vero sfruttamento delle risorse idriche della regione e quindi alla realizzazione dì una efficace rete energetica. Le centrali idroelettriche in Valtellina Nel primo decennio del Novecento in Lombar dia il lìmite settentrionale dello sfruttamento del le risorse idriche aveva ormai raggiunto la Val tellina, regione tanto ricca dì acque e dall'oro grafia così particolare da vivere sempre sotto l'incubo delle inondazioni dei suoi fiumi e tor renti. Le tappe della «colonizzazione» delle ri sorse energetiche della valle seguirono il corso dell'Adda, risalendo la corrente: era infatti più economico ed agevole localizzare le centrali idroelettriche al confine con territori pianeg gianti ed attrezzati con infrastrutture o vicino ad altri elettrodotti già in funzione, a cui potersi col legare (nel caso dì una stessa Società operatrice o di Società collegate), in modo da ridurre al massimo le difficoltà tecniche del trasporto su terreno montuoso. L'ingresso nella valle avvenne all'inizio del nostro secolo con la costruzione della centrale idroelettrica di Campovico, sulla riva destra dell'Adda, di fronte a Morbegno, ad opera della Società delle Strade Ferrate Meridionali, nel 1900: l'energia elettrica, sotto forma di corrente trifase alla tensione di 20 kV, poi abbassati a 3 Interruttore a 130 kV nella centrale di Fraele 123 La vecchia sala quadri della centrale di Grosotto kV nelle sottostazioni di trasformazione statica, situate lungo le linee, e alla frequenza di 15 pe riodi, era destinata alla elettrificazione delle li nee ferroviarie Sondrio-Colico-Chiavenna e Colico-Lecco. La tappa successiva era già all'imbocco del l'alta Valtellina. Nel 1905 entrava in esercizio la centrale idroelettrica di Campocologno, poco distante da Tirano, in Engadina, ad opera della Società Lombarda per distribuzione di energìa elettrica. Utilizzando l'acqua del torrente Poschiavino, emissario del Lago di Poschiavo, la centrale produceva energia elettrica attraverso 12 gruppi turbina-alternatore dì 3.500 HP effetti vi, ciascuno a 7,5 kV. La corrente elettrica veni va poi trasportata alla tensione di 50 kV ed inne stata nella rete già esistente della Società me diante le sue due stazioni trasmettitrici di Lomazzo e Castellanza. Nel 1906-10 il processo di risalita dell'Alta Valtellina sì concludeva con la costruzione dei nuovi impianti idroelettrici dell'A.E.M., i quali aprivano sia dal punto di vista tecnologico che da quello «sociale» un modo nuovo nello sfruttamento delle risorse idriche da parte di società operanti in aree lontane dal luo go di produzione. Infatti, a parte l'impianto di Campovico, che serviva un ambito territoriale locale (le ferrovie valtellinesi), quello di Campo cologno, in Svizzera, pur sfruttando le risorse della valle ed attraversandola per raggiungere lungo il lago di Como la rete ad alta tensione già esistente nel nord Milanese, non aveva la sciato nulla alla società locale.11 «Acqua perenne, ottima e pessima, ora morte ora vita, acqua, diventa luce!», scriveva con i consueti toni retorici Giovanni Pascoli nel poe metto Italy, in occasione dell'entrata in funzione della centrale idroelettrica di Paderno d'Adda nel 1898; ma per la Valtellina questo sogno non era ancora realtà e nella secolare disputa tra le acque e gli uomini per contendersi il territorio della valle, come scriveva nel 1884 F. Visconti Venosta in una memoria preparata per il «Poli tecnico» di Carlo Cattaneo, era ancora la prima sostanzialmente a vincere. L'inversione di questa tendenza avveniva nel giugno 1906, tre anni dopo la denuncia da parte del consiglio comunale di Milano del contratto in corso con la Società Edison per la fornitura 124 Vecchi telefoni nella sala quadri della centrale di Fraele deH'ìlluminazìone elettrica delle vie e piazze pubbliche e in scadenza il 31 dicembre 1904, con l'acquisto dalla provincia di Sondrio di con cessioni per la derivazione di forze idrauliche nell'alta Valtellina: con questo contratto il Co mune di Milano si impegnava a fornire 1.900 HP per gli usi locali oltre a una somma di 25 milioni di lire attuali da ripartire tra i Comuni dell'area interessata allo sfruttamento.12 Sì trattava del programma innovatore di una delle prime manifestazioni di quel «socialismo municipale» che alimentò tante polemiche all'e poca e che sfociò nella costituzione dì aziende dì produzione da parte degli enti locali.13E sì trat tava inoltre di una rete di trasporto a grande distanza da costruire ex novo senza potersi ap poggiare a strutture preesistenti e soprattutto in aperta concorrenza con le società private ope ranti a Milano. La centrale di Grosotto Il progetto dell'impianto per l'utilizzazione del l'energia idraulica dell'alto corso dell'Adda, nel tratto fra Tirano e Bormio, e del torrente Roasco, affluente di destra dell'Adda, presso Grosotto, era stato affidato nel 1906 all'ing. Giacinto Mot ta, docente del Politecnico di Milano, e all'ing. Carlo Mina, diplomatosi presso quell'istituto, e prevedeva la realizzazione di 4 centrali minori (in località Le Prese, Mazzo, Tirano e Roasco) collegate alla centrale collettrice di Grosotto, da cui partiva l'elettrodotto alla volta di Milano, per complessivi 27.000 kW di potenza all'elevata tensione di trasporto di 65 kV, poi abbassati per la distribuzione in Milano a 8.650 Volt.14 L'impianto di Grosotto si basava su una deri vazione sulla sponda sinistra dell'Adda, in loca lità «Le Prese» a quota 948 m circa, che sfruttava un bacino imbrifero di circa 560 kmq. La portata nominale era di 6,50 mc/s ridotti per 65 gior ni all'anno a 4,50. Il canale, lungo circa 12 km alla pendenza dell'1,2 per mille, era scavato in galleria artificiale per gli ultimi 3.700 metri a sezione fluida trapezio, con altezza dell'acqua di m 1,50, larghezza in superficie di m 2,60 e al fondo di m 2,30. Alla fine del canale l'acqua poteva essere immessa direttamente nelle 3 va sche di carico, oppure, passava a queste, dopo un bacino di deposito e riserva di oltre 10.000 me 126 127 Particolare dei quadri e degli strumenti nella sala gestione-impianti a Grosio Officina mBccanica di Grosio, lavorazione al tornio di un otturatore di turbina di capacità. Nelle vasche di carico la quota nor male del pelo d'acqua è di m 933: mediante tre tubazioni di acciaio, costruite dalla ditta Togni di Brescia, chiodate a monte e per il resto salda te, di diametro decrescente dall'alto al basso da m 1,50 a m 1,10, l'acqua compiva un salto di 325 metri e mezzo (m 318 netti) per giungere a quota m 607,50 sotto le cinque turbine di tipo Pelton, di cui le tre più grandi azionavano direttamente gli alternatori e le due minori mettevano in funzio ne due dinamo a corrente continua per l'eccita zione e per i servizi accessori della centrale. La centrale di Grosotto, intitolata con delibera del Consiglio Comunale milanese del luglio 1909 a Giuseppe Ponzio, ingegnere e professore del Politecnico ed uno dei maggiori promotori del programma di municipalizzazione della pro duzione dell'energia per il servizio pubblico, concretatosi ufficialmente l'8 dicembre 1910 con la costituzione dell'A.E.M. per l'esercizio, ap punto, della centrale di Grosotto, funzionava co me impianto sia produttore che trasformatore dell'energia proveniente dagli altri impianti idroelettrici minori (le officine di Roasco, di Maz zo, di Le Prese e di Tirano). Le cinque turbine di tipo Pelton erano costrui te dalla ditta Ing. Riva e C. di Milano: le tre maggiori, con la velocità di 315 giri al minuto ed una portata nominale di 3,20 mc/s, esercitavano ciascuna una potenza di 10.500 HP, elevabili sino a 12 mila; le due più piccole erano capaci di sviluppare ciascuna una potenza di 480 HP a 630 giri, consumando 150 litri d'acqua al se condo. Ancora di produzione milanese (del Tecnomasio Italiano Brown Boveri) erano i tre al ternatori azionati direttamente dalle tre grandi turbine che alla potenza da 7.000. ad 8.750 kW e 42 periodi generavano corrente trifase a l la tensione di 10 kV. Le due dinamo per l'eccita zione e i servizi accessori erano invece della potenza di 275 kW a 250 Volt. Trasformatori ele vatori monofasi, sempre del Tecnomasio Italia no, del tipo ad olio e raffreddamento ad acqua, e potenza di 2.850 kW nominali, elevavano a carico nominale la tensione di generazione da 10 a 65 kV. Dalla centrale di Grosotto, inaugurata il 16 ottobre 1910, partiva una linea a 10 kV per con segnare ai Comuni valtellinesi l'energia dovuta 131 130 I Manutenzione alle pale di una turbina Pelton ai termini della convenzione del 1906 e 4 linee per Milano a 65 kV. La linea di trasmissione ver so la capitale lombarda rappresentava per le difficoltà del tracciato e per i suoi 150 km di svi luppo il più lungo e straordinario elettrodotto d'Europa in quel momento. La linea elettrica Grosotto-Milano era costitui ta da 12 conduttori di treccia di rame, ciascuna della sezione di 80 mmq, poste sopra due palifi cazioni ad interasse variabile da 6 a 10 metri; il palo normale, per campata di 200 metri, era in traliccio di ferro, alto circa 20 m fuori terra e del peso di circa 1.300 kg. Invece di seguire la strada consueta in disce sa lungo la valle, l'elettrodotto puntava diretta mente verso sud, sulle montagne attraverso il passo del Mortirolo a 1896 m di quota, per poi scendere a Monno ed Edolo, dove era collocata la prima delle cinque cabine di sezionamento e manovra, che dividevano la linea in cinque tronchi (Breno, Piangaiano [Endine] e Arcene): di qui, percorrendo la Valcamonica e successi vamente la Val Cavallina, l'elettrodotto giunge va dopo 150 km nella apposita stazione ricevitri ce della centrale termica di Piazzale Trento a Milano, realizzata già nel giugno 1905 dall'ing. Tito Gonzales dell'Ufficio Tecnico Municipale e poi direttore generale dell'A.E.M., in cui me diante trasformatori riduttori la tensione veniva abbassata da 65 ad 8,65 kV per la distribuzione urbana. L'impianto di Grosotto costituiva indubbia mente un avvenimento di grande rilevanza, non solo per i primati raggiunti, ma soprattutto per il ruolo avuto nel processo di elettrificazione del capoluogo lombardo e di sviluppo economi co della Valtellina superiore, sia diretto (attività edilizia e infrastrutture di comunicazione) che indiretto (attività estrattiva, del legno, fornaci, meccanica). Nella disputa del territorio della valle tra le acque e l'uomo, era ora quest'ultimo ad avere maggiori possibilità di successo. La centrale idroelettrica nel territorio e nella società valtellinese Il territorio della valle risultava trasformato. Profonde ferite, visibili a distanza, solcavano con tubi di acciaio le pendici boschive e coltiva te a vigne delle montagne; ma questo indispen sabile intervento brutale veniva ingentilito a 132 133 Valvola e interruttore di una turbina della centrale di Grosotto valle dall'architettura delle centrali, vere e pro prie fabbriche senza operai ed uno dei monu menti più astratti e quasi «concettuali» del pro gresso tecnologico e industriale. Solo vaste gallerie di macchine, disposte ordi natamente in un alto spazio rettangolare, quasi vuoto, dove la presenza umana è minima, qua si accessoria: la macchina e il suo rumore sono i protagonisti incontrastati dello spazio interno. Attraverso ampie superfici vetrate l'illuminazio ne interna è a giorno, in stridente e quasi ironi co contrasto con l'oggetto di produzione, l'ener gia elettrica, a cui si deve l'illuminazione artifi ciale. Ma nei primi e migliori esempi di architet tura industriale le forme non assumono mai i toni brutali dello sfruttamento di uomini e cose. Si presta anzi grande attenzione a che la fabbri ca, elemento essenzialmente estraneo, si inseri sca nel territorio circostante con forme dignitose e soprattutto significative per il pubblico a cui si rivolge, cioè cariche di simbolismi facilmente comunicabili. La fabbrica è un centro di produ zione con le sue proprie leggi e funzioni; ma è anche un oggetto che si rivolge al pubblico, tra sformando sia visivamente che materialmente la sua vita. Se non si tiene conto di questa duplice esigen za di funzionalità e di comunicazione, non si riesce a comprendere il caratteristico contrasto tra gli interni e le forme esterne della prima ar chitettura industriale lombarda e non solo di questa. Così pure non si riesce a capirne lo spo glio «modernismo» degli interni contrapposto ai sempre misurati revivals stilistici degli involucri esterni. Storicismo, infatti, significa aggancio e conti nuità con la tradizione visiva di una cultura; ma non si tratta di rivisitazioni filologicamente cor rette degli stili architettonici del passato, bensì di contaminazioni eclettiche e quasi di gusto po polare tra diversi motivi del repertorio formale della tradizione. Gli stilemi del gotico lombardo, interpretato in chiave rinascimentale, si unisco no a suggestioni vernacolari e ad un sobrio de corativismo geometrico e policromo di gusto medievaleggiante. Il risultato è talvolta straordi nario, come nella centrale di Grosotto con le sue alte arcate che coprono quasi l'intera altezza dell'edificio e che preludono al successivo «mo134 135 Turbine della centrale di Grosotto numentolismo» archeologico del XX secolo, ma sempre di grande dignità formale. Santuario o fortilizio o semplice casa dell'energia, la centra le idroelettrica cerca di inserirsi nel territorio e nella cultura del luogo senza nascondere la sua estraneità, ma volendo comunicare con quanto la circonda. Oggi è difficile valutare l'impatto visivo che queste architetture produssero sul pubblico lo cale; tuttavia per la loro localizzazione isolata lungo i fiumi o ai piedi delle montagne e per la loro qualità formale, divennero e furono ricono sciute senza dubbio come tratti distintivi del nuovo territorio industriale e simboli di un pro gresso tecnologico e produttivo al servizio della società piuttosto che in contrapposizione ad es sa, come ancora adesso possiamo osservare, risalendo la valle dell'Adda fino alla Valtellina superiore, davanti alle centrali idroelettriche, da Campovìco fino a Le Prese, succedutesi nel l'arco dei primi due decenni del secolo: nel 1907 10 la centrale di Ardenno allo sbocco della Val Masino con la Valtellina; nel 1910-12 la centrale di Ponchiera sul Mallero in Val Malenco, quasi al suo sbocco nell'Adda, sopra Sondrio, affian cata nel 1917 da una seconda centrale detta «Malleretto»; tra il 1917 e il 1919 le centrali di Boffetto e sul Venina, affluente di sinistra dell'Adda, poco a monte di Sondrio, costruite dalla Società anonima acciaierie e ferrerie lombarde (oggi Falck) per i propri stabilimenti siderurgici di Sesto San Giovanni in relazione all'aumentato fabbisogno dell'industria bellica; nel 1917 la centrale della Società Lombarda per distribuzio ne di energia elettrica a valle di quella di Campocologno del 1905, in Val Poschiavina; ed infi ne, entrando nell'alta Valtellina, tra Tirano e Bormio, le centrali dell'A.E.M. che dagli anni Venti sino al 1964 si sono succedute a quella di Grosotto: nel 1922 la centrale Roasco con una potenza iniziale installata di 14.400 kW; nel 1928 la centrale Fraele con 15.000 kW; nel 1938 la centrale Stazzona con 44.000 kW; nel 1948 la centrale Lovero con 44.000 kW; nel 1950 la cen trale San Giacomo (cessata di funzionare nel 1955) con 6.250 kW; nel 1956 la centrale Premadio con 160.000 kW; ed infine nel 1960 la centrale Grosio con 230.000 kW di potenza installata ini zialmente.15 136 L'eccitatrice dell'alternatore gruppo 1 della centrale di Grosotto Le vecchie centrali idroelettriche: quale futuro? L'awìcendamento generazionale ha portato 0 sta portando alla cessazione delle attività pro duttive di molte vecchie centrali idroelettriche, trasformate ormai soltanto in splendidi monu menti di archeologia industriale. Emblematico di questa storia è l'impianto di San Giacomo del 1950, ora inghiottito con la vecchia diga del 1928 dall'ampio serbatoio formato con la diga di Cancàno II, costruita nel 1956. Ma a parte questo caso (possibile oggetto di una ricerca di archeologia industriale «subac quea»), c'è tutto il nucleo originario degli im pianti dei primi decenni del nostro secolo, anco ra intatto, a testimoniare il passato di questa industria e una parte importante della storia di questa valle. Le nuove tecnologie e le esigenze della produzione hanno reso obsoleti questi complessi: oggi tutto è concentrato - almeno per quanto riguarda l'A.E.M. - nell'impianto di Premadio, completamente automatizzato, la cui centrale (non più a vista come un tempo) è con tenuta interamente in una caverna larga 38,20 m, lunga 81,70 m ed alta 30,50 m, scavata all'in terno del monte Scale. Paradossalmente in questa industria il nuovo è nascosto, mentre il vecchio è ancora là, ben visibile sul territorio, nella sua notevole dignità formale e nella sua scala «umana», anche se talvolta non priva di accenni monumentali. Si tratta però di scheletri privi di vita, di farfalle in formaldeide, belle a vedersi quanto inutili, per ché morte nella loro funzione originaria. È inevitabile che tra presente e passato esista no una più o meno accentuata opposizione e conflittualità. Solo gli antiquari più irriducibili o 1 nostalgici possono illudersi che la storia (dal passato al presente) sia un continuum tempora le senza soluzioni di continuità. Ciò che è morto è ingombrante e costituisce un peso sia fisico che psicologico per il presente. E questo è tanto più vero nel caso dell'archeologia industriale, i cui edifici produttivi abbandonati costituiscono per le loro dimensioni dei problemi talvolta irri solvibili dal punto di vista territoriale, urbanisti co ed economico ma anche culturale e politico: basti pensare al caso limite di un Lingotto o a quello prossimo venturo della Pirelli-Bicocca. Molte epoche hanno voluto programmatica138 139 Particolare dell'introduttore dell'acqua in turbina della centrale di Grosotto mente «uccidere» il passato per rifondare una civiltà diversa e innovatrice; molte altre, invece, terrorizzate dai problemi dell'oggi e dalle inco gnite del futuro, hanno preferito rinchiudersi nel caldo grembo della storia alla ricerca di sicurez za e consolazione, anche se questo conservato rismo culturale e intellettuale spesso si amman ta di ironia e sofisticazione. Ma curiosamente proprio in questi atteggiamenti assolutistici di amore o di odio per la storia, l'oggetto principa le - la storia - scompare: quel che resta è solo la storia addomesticata ad usum delphini, è la sto ria-aneddoto, è il romanzo storico, è la strumen talizzazione della storia in bianco e nero. Certo, secondo l'anarchismo epistemologico di un Feyerabend, anche questi atteggiamenti «strumentali» sono positivi, se capaci di stimola re la riflessione ed indicare nuove vie di ricerca. Tuttavia resta sempre che questo sterminato serbatoio di idee, invenzioni ed esperienze, che è il passato, non è un «mercato delle pulci» in cui andare a scoprire oggetti démodé (e appun to per questo più sofisticati e alla moda); e nep pure un immenso cimitero dove fantasmi si ag girano minacciosi e pronti a schiavizzare i vi venti: è invece il territorio - quello stesso che quotidianamente viviamo - che contiene tutto il capitale fisso della società. Conservare le testimonianze della storia non significa affatto una difesa romantica del ricor do della tradizione contro la prepotenza dei tempi presenti, ma semplicemente è la conclu sione quasi obbligata di un calcolo economico: rendere produttivo il capitale a disposizione. Certo, il genere di patrimonio, di cui si tratta, ossia la cultura, necessita di investimenti a lun go termine, ed è impensabile voler adottare in questo caso i criteri di economicità propri di uno speculatore o di un ragioniere. La resa non è immediata, ma, come dimostra la stessa espe rienza storica, solo i grandi investimenti sociali in questo campo (che non siano però effimeri) possono consentire lo sviluppo di lunga durata di una società. Oggi assistiamo a un nuovo interesse per la storia ed anche da parte di coloro che per defi nizione sono risolti essenzialmente verso il futu ro: scienziati e ingegneri tornano ora ad essa per trovare suggerimenti e per scoprire quelle 140 Particolare di un supporto dell'albero-alternatore di un gruppo di Grosotto indicazioni che per fretta, incapacità o disinte resse un tempo si erano scartate e che oggi in vece ritornano di estrema attualità. Anche gli oggetti di archeologia industriale non possono sfuggire a questa logica. Spogliati di ogni atteggiamento o spirito antiquario, ci tro viamo di fronte ai resti fisici di un passato pro duttivo, sociale e culturale. A parte la conserva zione delle testimonianze documentarie di que sta storia - esigenza imprescindibile per la cul tura non solo locale -, cosa fare dei monumenti dell'industria? Conservazione museale? Riuso? Distruzione? Atteggiamenti intellettuali «assolu tistici» hanno finito spesso per inquinare ed esa cerbare questo dibattito che proprio per la sua complessità non può trovare una soluzione defi nitiva valida in ogni caso. Se una regola esiste, è quella della necessità di portare la massima attenzione alle cose da tutelare, prima che ad altri problemi di contorno. Non è raro infatti ve dere il monumento di archeologia industriale passare in secondo o terzo ordine rispetto a temi di natura sociale e politica nei dibattiti circa la sua futura destinazione. Tra i vari criteri di scelta possibili la qualità architettonica, tecnologica e ambientale dell'o pera e il suo significato sociale sono senz'altro due aspetti principali da valutare con attenzio ne prima di decidere il tipo d'intervento. La con servazione integrale dell'intero patrimonio è tecnicamente improponibile, ed è inevitabile che gli interventi di museificazione debbano concentrarsi sugli esempi più rappresentativi delle diverse realtà. Ad un gradino qualitativo immediatamente inferiore (ma anche nei casi di gigantismo indu striale pur di altissimo livello formale) si contano gli innumerevoli monumenti industriali la cui sopravvivenza fisica è legata alla possibilità di un loro riutilizzo con altre destinazioni. Al mo mento sembra questa la strada più praticabile per evitare la definitiva obsolescenza dì tante strutture che presentano un notevole significato culturale e ambientale per una regione. Ma an che in questo caso si rende necessaria la massi ma attenzione alla conservazione delle strutture e della natura del monumento, evitando di con siderare, come spesso accade, l'oggetto indu striale come un semplice contenitore da riempi142 re indiscriminatamente, ed al contrario cercan do di individuare quelle funzioni affini a quelle originarie che consentano dì mantenere le ca ratteristiche «storiche» del monumento. Le centrali idroelettriche della Valtellina rap presentano degli esempi di archeologia indu striale di notevoli qualità architettonico-ambien- tali che meritano senza dubbio un dibattito ap profondito. Con esse non deve chiudersi un ca pitolo della storia della valle, perché dal dibatti to circa la loro destinazione può forse nascere anche un argomento di riflessione circa il futuro della valle stessa. • Note 1. Cfr. A A .W . La m acchina arrugginita (a cura di A. Castella no). Milano, 1982. 2. Cfr. J.-A. Lesourd-C. Gerard, Storia economica deh'Ottocento e del Novecento. Milano, 1873 (Parigi, 1963), p. 277. 3. Cfr. P. Lebrun, L'industrialisation en Belgìque au XlXème sie de, in A A .W . L'industrialisation en Europe au XlXème siècle. Parigi, 1972, p. 143. 4. Si veda J.-A. Lesourd-C. Gerard, op. cit. 5. Ibid. e A. Mondini, Dal Seicento al Novecento, voi. 3 di Storia della Tecnica, a cura di A. A. Capocaccia. Torino, 1977, pp. 416-450. 6. Cfr. G.B. Stracca, Il Politecnico e il processo di industrializza zione della Lombardia, in A A .W . Il Politecnico di Milano. Mi lano, 1981, pp. 180-184. 144 7. Cfr. A. Confalonieri, Banca e industria in Italia, 1894-1906. Milano, 1976, voi. HI, p. 238. 8. Cfr. G.B. Stracca, ari. cit. 9. Cfr. A. Confalonieri, op. cit. 10. Cfr. A. Mondini, op. cit., p. 439. 11. Cfr. O. Selvafolta-A. Negri, Le centrali elettriche delle valli, in A A .W . Archeologia industriale in Lombardia. Milano, 1983, voi. IH, pp. 209-219. 12. Cfr. G.B. Stracca, art. cit. 13. Cfr. A. Confalonieri, op. cit., voi. E, p. 70. 14. Cfr. G.B. Stracca, art. cit., p. 18,4, e a cura dell Associazione fra Esercenti Imprese Elettriche in Italia, Notizie sui principali im pianti elettrici d'Italia. Milano, 1911, pp. 171-174. 15. Cfr. O. Selvafolta-A. Negri, ari. cit. Arrivo delle condotte forzate alla centrale di Fraele 145 Particolari del gruppo 2 della centrale di Grosotto 146 Particolari del gruppo 2 della centrale di Grosotto ¡47 Centrale di Grosotto, vecchi attrezzi meccanici per gli interventi di manutenzione 148 149 GLI IMPIANTI IDROELETTRICI DI VALTELLINA E LE INSTALLAZIONI ELETTRICHE DEL COMUNE DI MILANO Appendice A por mano al nascente problema dell'approvigionamento elettrico per Milano, fu chiamata, nel lontano 1902, un'apposita commissione di studio, nominata dalla Giunta municipale. Valutati i vari studi di fattibilità e l'entità delle esigenze, la commissione concluse il suo lavoro indicando a soluzione lo sfruttamento delle risorse valtellinesi e la gestione di queste tramite un'azienda municipalizzata. La civica amministrazione preferì affidare una decisione in merito al volere popolare, indicendo un referendum che si esprimesse sull'oportunità di dar vita alla A.E.M. Le consultazioni si ebbero l'8 dicembre 1910 e si conclusero con 15.059 «si» e 1.441 «no». 11 1 gennaio 1911 ¡'Azienda Elettrica Municipale iniziò il suo lavoro. Nel brano che segue, tratto da un conosciutissimo periodico dell'epoca, sono riassunti i fatti ed i dibattiti che condussero allo storico evento. Un po’ di storia. Nell'ottobre del 1902 la Giunta Municipale di Milano, presieduta dal Sindaco on. Giuseppe Mussi, deliberava di affidare ad una speciale Commissione «lo studio delle modalità e norme per la migliore utilizzazione diretta da parte del Comune di energia elettrica occorrente ai diversi servizi pubblici», assegnando alla medesima Commissione anche il mandato di esaminare e formulare proposte circa le offerte già avanzate all'Amministrazione Comunale per l'acquisto di concessioni di forze idrauliche. Tale Commissione - della quale formavano parte gli ingegneri De Andreis, Dugnani, Masera, L. Mazzocchi, Merlini, Ponzio e Pugno e presieduta dall'assessore del competente riparto ing. Coucourde - esaminate le varie proposte di concessioni idrauliche e considerato che, a parte il merito intrinseco e la convenienza economica assai discutibile di esse, nessuna delle offerte medesime era tale da potersi arrivare in tempo ad ottenere la energia elettrica a Milano per la fine dell'anno 1904 epoca per la quale veniva a scadere il contratto allora in corso colla Società Edison per la illuminazione pubblica elettrica - e considerato d'altra parte che, anche a volere effettuare in qualsiasi momento un impianto idroelettrico si sarebbe però sempre imposta la costruzione di una 150 centrale termica di riserva - la Commissione per queste considerazioni concluse proponendo di sospendere momentaneamente qualunque trattativa per acquisto di forze idrauliche e di studiare invece subito la possibilità e la convenienza di installare ed esercire una centrale a vapore od a gas, atta a produrre l'energia necessaria per i diversi servizi pubblici che il Comune credesse di assumere m an mano in gestione diretta. Secondo queste proposte della Commissione, l'ufficio tecnico Municipale, per incarico della Giunta, studiava siffatto problema a mezzo dell'ing. Tito Gonzales e presentava le sue proposte, concretate in tre progetti diversi, costituenti l'uno variante dell'altro, i quali si proponevano un problema diverso da caso a caso. E cioè un primo progetto considerava soltanto la illuminazione elettrica con lampade ad arco delle medesime aree pubbliche in tal guisa illuminate all'epoca di quello studio, aumentando soltanto l'intensità di illuminazione delle aree stesse. Il secondo progetto, prevedendo la medesima intensità come nel primo caso, estendeva la illuminazione pubblica a tutte le strade percorse dalle tramvie, ed inoltre contemplava la illuminazione di tutti gli stabili comunali, nonché la fornitura di energia elettrica occorrente per gli impianti di sollevamento d'acqua potabile e per la tramvia municipale di comunicazione col Cimitero di Musocco, e prevedeva altresì con opportuni ampliamenti dell'impianto la possibilità di distribuzione di energia ai privati sia per illuminazione che per forza motrice. Il terzo progetto non era che una soluzione ridotta e parziale del secondo ed in questo l'impianto si limitava alle sole occorrenze della pubblica illuminazione. Esaminati dettagliatamente i tre progetti e svolte, a proposito di ciascuno di essi, le opportune considerazioni dal punto di vista non soltanto della risoluzione del problema di necessità immediata, ma altresì in vista dei nuovi e crescenti bisogni della città, la Commissione concludeva proponendo alla Giunta Municipale di Milano dì attuare il secondo dei tre progetti studiati dall'ufficio tecnico e di impiantare cioè una centrale a vapore atta a fornire energia per tutti i servizi pubblici di illuminazione e di forza motrice ed atta altresì, con opportuni incrementi degli impianti, a fornire energia elettrica per illuminazione e per forza motrice anche ai privati. IMPIANTO IbROeLETTRICO OPERE bl ò I G R O S SOTTO T a v o l a . I. P RE S / 1 Queste conclusioni della Commissione non furono accolte con unanimità di consenso della Giunta Municipale. Questa, dinanzi anche a proposte avanzate all'ultimo momento dalla Società Edison, in base alle quali il prezzo della lampada ad arco, ora per la illuminazione pubblica, veniva notevolmente ridotto in confronto di quello del contratto in corso, si trovò divisa in due diversi campi: l'uno favorevole all'accoglimento della proposta della Edison con la rinuncia alla installazione di una qualsiasi centrale municipale; l'altra invece favorevole a questa installazione per elevate considerazioni di vantaggio cittadino pubblico e privato, consiglianti a rompere il monopolio di fatto esercitato dalla Edison in Milano per la produzione e distribuzione di energia elettrica, anche quando con una installazione autonoma la energia elettrica venisse a costare al Comune per la illuminazione e per gli altri servizi pubblici più cara di quanto la Edison fosse disposta a farla pagare. Questa seconda tendenza prevalse con larga maggioranza nel Consiglio Comunale che nella seduta del 28 dicembre 1903 adottò dopo lunga e vivace discussione con larga preponderanza di voti il seguente ordine del giorno proposto dal consigliere comunale Eugenio Chiesa: «Il Consiglio comunale non approva la Convenzione 2 dicembre 1903, progettata colla Edison; ed in ordine al servizio della pubblica illuminazione elettrica, valendosi delle facoltà implicite nell'art. 173 della legge comunale e provinciale, invita l'on. Giunta ad attuare in massima il progetto secondo di impianto a vapore di cui nella relazione 20 ottobre 1903, presentata dalla Commissione municipale per la migliore utilizzazione da parte dei Comune di energia elettrica pei diversi suoi servizi; e in relazione allo stanziamento di L. 600.000 predisposto all'art. 143 del Bilancio di previsione pel 1904, autorizza la Giunta a tutte le pratiche occorrenti all'uopo, ed anche ad indire una gara, così come è indicato dalla Commissione municipale, per tale impianto, colla facoltà di proporre quelle modificazioni che si credessero opportune alla migliore riuscita e richiedendo le volute garanzie ai concorrenti; delibera altresì di denunziare la convenzione 21 luglio 1892 fra il Municipio e la Società generale italiana di elettricità, sistema Edison, ed invita l'onorevole Giunta a trattare per l'acquisto di una forza idraulica con cui dotare il Comune della voluta energia per servizi pubblici, ed eventualmente per la distribuzione ai privati; ed a iniziare le pratiche perché possa appunto il Municipio assumere eventualmente tale servizio d'illuminazione e di distribuzione di energia ai privati». La votazione di questo ordine del giorno, al quale non accedette la maggior parte dei membri della Giunta Municipale, fra i quali lo stesso Sindaco Onorevole Mussi, provocò una crisi di Giunta, che fu però presto risoluta con la nomina del nuovo Sindaco nella persona dell'avvocato Barinetti e con l'entrata di nuovi assessori. L'Amministrazione così rinnovata si occupò subito della costruzione della centrale elettrica a Porta Romana, la quale iniziò il suo funzionamento nel Giugno del 1905. 151 E iniziò contemporaneamente le pratiche per acquisire al Comune delle energie idrauliche, riprendendo anche in esame le proposte precedentemente avanzate, nessuna delle quali però venne giudicata conveniente. Una trattativa assai seria e riflettente una conveniente proposta di utilizzazione del Toce, in territorio di Borceno, venne condotta dalla Giunta Barinetti nel 1904 ed erano anche intercorsi degli impegni preliminari fra l'amministrazione Comunale ed il proprietario di quella concessione a mezzo dì un suo mandatario. Ma ad un tratto il concessionario - per quanto impegnato, sebbene non formalmente, di fronte all'autorità comunale, ruppe bruscamente le trattative, e la concessione venne ceduta ad un gruppo finanziario facente capo alla Società Edison, la quale venne così a togliere al Comune la base di una azione municipale in concorrenza con essa. Caduta, in seguito alle elezioni generali del 1905 la Amministrazione popolare, la nuova Amministrazione presieduta dal Sindaco Ponti dette opera energica ed alacre allo scopo di provvedere il Comune di Milano di un conveniente impianto idroelettrico in relazione al deliberato 28 Dicembre 1903 del Consìglio Comunale. Della cosa si occupò con particolare amore e con chiara competenza l'ing. Giuseppe Ponzio assessore dei lavori pubblici nella Giunta Ponti, il quale già, come consigliere comunale della minoranza nella Amministrazione popolare, aveva spesa la sua parola convinta ed autorevole in appoggio della proposta municipalizzatrice che concluse coll'ordine del giorno Chiesa. Il Ponzio, del quale tutti ancora piangono la morte immatura, esaminò le proposte che gli vennero direttamente avanzate, altre proposte provocò. Esaminò così la proposta di utilizzare la portata del Tresa con la sistemazione a serbatoio del Lago di Lugano; m a tale proposta, oltre che per le difficoltà tecniche ed amministrative specialmente inerenti ai rapporti col governo Svizzero, dovette essere abbandonata per il fatto che persone in rapporti assai stretti di interessi con la Edison erano riuscite ad infiltrarsi nel gruppo possessore della concessione. Si esaminò così anche una proposta avanzata dall'ing. Luigi Sala per la derivazione dal Uro in territorio di Chiavenna, ma tali proposte, a parte ogni giudizio sul merito tecnico e sulla convenienza finanziaria di esse, dovettero essere scartate perché le concessioni medesime erano oggetto di gravi contestazioni giudiziali assai complesse e di difficile e tarda risoluzione, sicché il Comune si sarebbe trovato ingolfato in difficoltà e pericoli senza fine. E così si esaminarono altre proposte che per differenti ragioni si dovettero scartare senz'altro. Vennero anche iniziate opportune trattative colla «Società Lombarda per distribuzione di energia elettrica» intese all'acquisto per parte del Comune di una determinata quantità di energia trasportata e consegnata ai quadri della centrale elettrica municipale e da pagarsi in base a prezzi unitari decrescenti in proporzione degli aumenti della fornitura. Ma anche tale proposta venne abbandonata, e per le trasformazioni che la energia 152 della Lombarda avrebbe dovuto subire per essere portata alle medesime caratteristiche della corrente prodotta negli impiantì municipali a vapore, ed in relazione altresì alla indubbia preferenza che doveva essere accordata ad una soluzione, la quale non legasse comunque il Comune, nemmeno in vìa temporanea, a rapporti con Società private. Parve invece che meritassero di venire prese in seria considerazione le proposte che erano state avanzate al Comune per l'acquisto di un importante complesso dì energie idrauliche ritraibili dall'Adda, nell'Alta Valtellina, in relazione ad un progetto tecnico dell'Ing. Mario Azari, in base al quale i Sigg. Ingegneri Bracco e Lavatelli avevano già inoltrato domanda per la relativa concessione al Prefetto della provincia dì Sondrio. E, come l'esame attento e particolareggiato di tali proposte per parte dell’assessore Ponzio e dei tecnici di sua fiducia da lui chiamati a consulto, dimostrò la convenienza di massima dell'accoglimento di tali proposte e la opportunità quindi di più maturi studi intesi ad adottare una risoluzione definitiva, la Giunta Comunale, fatta accorta dalla pratica del passato, e per evitare che si rinnovassero anche per le energie dell'Adda le dolorose sorprese e le gherminelle, per effetto delle quali si era dovuto poco addietro rinunciare alle forze prima del Toce ìndi del Tresa, la Giunta Municipale credette opportuno di addivenire senz'altro ad una convenzione coi Sigg. Ingg. Bracco e Lavatelli, per la quale questi fossero definitivamente e formalmente impegnati per un determinato tempo e a determinate condizioni a cedere al Comune i loro diritti sulle dette concessioni, riservato al Comune il diritto di esercitare o meno, entro questo limite di tempo, il suo diritto dì opzione per tale acquisto, e col solo obbligo nel Comune di versare ai Sigg. Bracco e Lavatelli un corrispettivo di L. 20 mila a fondo perduto, nel caso il Comune non avesse perfezionato il contratto d'acquisto. Essendosi poi saputo come l'Ing. Vladimiro Pinchetti di Tirano avesse nel frattempo presentato a sua volta alla Prefettura di Sondrio un complesso di domande di concessione per la derivazione di energia idraulica dall'Adda e dal Roasco, alcune delle quali domande erano in contrasto con quelle avanzate dai Sigg. Bracco e Lavatelli, ed altre invece, coordinate con quelle, potevano migliorare dal punto di vista, sia tecnico che finanziario, il complesso degli impianti, la Giunta Municipale - anche allo scopo di eliminare perditempi o controversie - credette conveniente di avviare trattative collo stesso Ingegnere Pinchetti per la cessione al Comune di Milano dei suoi diritti sulle concessioni medesime, e si stipulò così con luì un preliminare di convenzione in termini analoghi a quelli concordati coi Sigg. Bracco e Lavatelli. La notizia di queste trattative e di queste stipulazioni da parte del Comune di Milano si divulgò facilmente in Valtellina e diede tosto occasione ad una larga e vivace agitazione, intesa ad impedire che il Comune di Milano si impadronisse di quelle forze idrauliche esistenti nella regione per trasformarle ed utilizzarle altrove, sostenendosi da quelle popolazioni il loro diritto di usufruire a loro vantaggio di queste forze naturali dei corsi d'acqua locali, dalle piene dei quali esse avevano sempre e ripetutamente subito i gravissimi danni. E per quanto l'agitazione medesima non avesse un fondamento di diritto, il Comune di Milano, riconoscendole però un fondamento di equità e considerando d'altra parte che l'agitazione medesima avrebbe potuto costituire ragione di ritardo e di difficoltà nel raggiungimento dei suoi fini, il Comune di Milano, o meglio, la Giunta Municipale, credette conveniente di addivenire ad accordi preliminari colla Deputazione Provinciale di Sondrio, fissando a favore della Provincia e dei Comuni interessati dei compensi dì varia forma ed entità, da corrispondersi, naturalmente, soltanto nel caso che il Comune di Milano acquistasse definitivamente le concessioni per le derivazioni idrauliche ed eseguisse i lavori per le relative utilizzazioni delle concessioni stesse. Mentre si svolgevano le trattative colla Provincia di Sondrio, e tosto stipulate le convenzioni preliminari cogli ingegneri Bracco, Lavatelli e Pinchetti, la Giunta Municipale incaricò gli ingegneri Carlo Mina e Giacinto Motta di redigere un progetto tecnico-finanziario di massima per l'impianto idroelettrico, inteso allo sfruttamento delle dette concessioni ed al trasporto a Milano della energia ritraibile. E i due egregi professionisti - coadiuvati nello studio della parte idraulica dall'ing. prof. Gaudenzio Fantoli, che si occupò con una relazione veramente magistrale delle portate e frequenze delle acque dell'Adda Valtellinese presentarono il loro elaborato in breve termine e in forma chiara e completa. In siffatto modo la Giunta Municipale si trovò in grado di presentare al Consiglio Comunale nella seduta del 25 giugno 1906 la proposta di acquisto delle concessioni IMPIANTO IbROELETTRICO CENTRALE PROSPETTO bl A Bracco, Lavatelli e Pinchetti, in relazione agli impegni preliminarmente con loro stabiliti, sicché il Comune potesse ad essi sostituirsi nella domanda della deiinitiva concessione, e contemporaneamente la proposta di tradurre in convenzione definitiva gli accordi intervenuti colla Provincia di Sondrio anche in rappresentanza dei Comuni Valtellinesi interessati, nonché finalmente, la richiesta di autorizzazione a procedere nello studio dei progetti tecnici esecutivi. Diremo più innanzi in modo particolareggiato di tali progetti e della relativa esecuzione, accennando anche alle modificazioni introdottevi in corso di studio sia per ciò che riflette le modalità delle concessioni stesse, sia per ciò che riflette le condizioni di esecuzione. Basti per ora accennare come il complesso delle concessioni Bracco, Lavatelli e Pinchetti, impegnate per la vendita al Comune di Milano per il corrispettivo totale di L. 300. 000, contemplasse una energia idraulica totale alle centrali di Valtellina di 50.041 cavalli tassabili, equivalenti ad una potenza complessiva di 20.570 Kwatt, misurala al quadro della Centrale di distribuzione a Milano. Secondo i preventivi degli ingegneri Mina e Motta annessi al loro progetto di massima, la spesa complessiva deirimpianto sino ai quadri di distribuzione a Milano e compresa quindi la centrale di riserva a vapore sarebbe ascesa alla cifra di L. 23. 510. 000, pari a circa L. 1140 per Kwatt. Con unanime consenso e con plauso concorde di tutte le parti del Consiglio, senza distinzione di parte politica, le proposte della Giunta venivano approvate: vennero solamente tenute in sospeso le deliberazioni relative alle pattuizioni colla Provincia di Sondrio, per la considerazione che, precisamente in quei giorni, quel Consiglio Provinciale - adunatosi per deliberare a sua volta sulla convenzione preliminare stipulata da quella GROSSOTTO V/IUUE 153 Deputazione Provinciale col Comune di Milano - votava la sospensiva su quella proposta, ritenendo che i corrispettivi convenuti a vantaggio della Provincia di Sondrio e dei Comuni interessati non fossero sufficienti a compensare tali enti dei danni loro causati dalla esportazione dì quella energia idraulica, che poteva rappresentare l'unica risorsa per l'avvenire industriale di quella regione. Venne per tal modo votato unanimemente dal Consiglio Comunale di Milano lordine del giorno seguente, che lo scrivente ebbe l'onore di proporre: «Il Consiglio Comunale, riaffermando la volontà già espressa nel voto del 23 dicembre 1903 di acquisire al Comune un'ingente forza idraulica, la quale valga a dotare la città della voluta energìa pei servizi pubblici ed eventualmente per la distribuzione ai privati, approva la deliberazione proposta al voto del Consiglio dalla Giunta Municipale, sospesa ogni deliberazione in merito allo schema di preliminare convenzione colla Deputazione provinciale di Sondrio in vista della sospensiva della corrispondente deliberazione votata dal Consiglio Provinciale di Sondrio». Mentre si svolgevano gli studi per il progetto esecutivo e mentre progredivano le pratiche di carattere amministrativo per il conseguimento delle concessioni richieste dal Comune di Milano, l'Amministrazione Comunale provvedeva agli studi ed alle ordinazioni per l'ampliamento della centrale a vapore in Milano, costituente riserva e complemento dell'impianto idroelettrico in Valtellina, e si potevano nel contempo definire e concretare gli accordi colla Provincia di Sondrio e coi Comuni interessati per modo da derimere ogni contrasto e competizione con essi, e per modo anzi che il Comune di Milano trovasse in Valtellina un ambiente favorevole alla esplicazione della sua attività per la esecuzione dei lavori, degli esproprii e altre pratiche attinenti. Così in Aprile del 1907 il Consiglio Comunale, sempre con voto unanime, approvava l'atto preliminare di convenzione stipulato colla Amministrazione degli enti pubblici Valtellinesi e dava termine ad una discordia, la quale, se poteva riuscire di pregiudizio per il Comune di Milano, specie dal punto di vista delle difficoltà e dei perditempi per la attuazione dell'opera, rivestiva altresì un carattere poco simpatico, per il carattere appunto di entrambi gli enti che si trovavano in contrasto. Gli oneri assunti dal Comune di Milano con tale convenzione sommariamente riflettono: il pagamento dì un canone annuo alla Provincia di Sondrio ed ai Comuni interessati, in ragione di L. 0,75 per ogni cavallo dinamico nominale della potenza per la quale il Comune di Milano pagherà ogni anno il canone governativo; l'obbligo di cedere al costo per la Ferrovia Tirano-Bormio o per le occorrenze locali dei Comuni l'8 per cento della forza ottenuta in concessione col mìnimo di seicento cavalli per gli usi della Ferrovia; l'obbligo di riservare agli usi della irrigazione agricola locale determinate quantità d'acqua. Successivamente, nel giugno del 1907, la Giunta 154 proponeva al Consiglio Comunale di procedere subito direttamente alla esecuzione del primo impianto idroelettrico con derivazione dell'Adda alle Prese Nuove ed utilizzazione del salto con centrale a Grosotto, e proponeva dì deferire ad una commissione consigliare, d'accordo colla Giunta, lo studio della organizzazione tecnico-amminìstrativa-finanziarìa a ciò occorrente. Il Consiglio, con voto unanime anche questa volta, approvava la proposta, e la nomina della Commissione veniva deferita al Sindaco, il quale costituiva la commissione medesima nelle persone dell'Assessore Ponzio presidente e dei Consiglieri Ing. De Marchi, A w . Majno, Ing. Manfredìni, Avv. Rougier. Con sua relazione del 14 Novembre 1907, della quale chi scrive ebbe l'onore di essere l'estensore, la Commissione riferiva le sue conclusioni in ordine a detta organizzazione tecnico finanziaria e proponeva uno schema concreto di regolamento per la esecuzione diretta da parte del Comune dei lavori del primo impianto a Grosotto, riservate poi al Comune ulteriori deliberazioni per la municipalizzazione dell'esercizio dell'impianto una volta attuato. Le ragioni della preferenza data dalla Commissione alla esecuzione diretta dei lavori per parte del Comune, anziché alla immediata municipalizzazione della Impresa, erano chiaramente svolte in quella relazione, in perfetto accordo coll'identico pensiero manifestato già dalla amministrazione municipale nella relazione stessa con la quale essa proponeva al Consiglio la nomina della Commissione di studio, e tali ragioni erano basate prevalentemente sul fatto che le pratiche per la creazione dell'azienda speciale municipalizzata avrebbero richiesto un tempo lunghissimo, il quale sarebbe stato completamente perduto per gli effetti utili e pratici della esecuzione dei lavori. La commissione, per ragioni evidenti di opportunità specialmente basate sulle considerazioni relative alla convenienza di procedere negli impianti idroelettrici per gradi, correlativamente alle richieste dei servizi pubblici e privati - propose di limitare per intanto la esecuzione delle opere solamente ad una delle derivazioni, la più importante, quella con derivazione alle Prese Nuove ed utilizzazione alla centrale di Grosotto. Per la esecuzione dei lavori la Commissione proponeva un concreto regolamento, il quale, contemplando la esecuzione diretta degli impianti da parte del Comune, creava però a fianco della Giunta una speciale Commissione, la quale presiedesse alla esecuzione dei lavori e ne curasse in modo continuo la sorveglianza ed il controllo insieme alla esecuzione. Questa Commissione veniva costituita dall'Assessore del riparto, presidente nato della commissione stessa, da tre membri da nominarsi dal Consiglio Comunale di Milano, dall'Ing. Capo dell'Ufficio tecnico Municipale dì Milano, e da un funzionario dell'ufficio stesso, specialmente all'uopo delegato, da un ingegnere specialmente incaricato della parte meccanica ed elettrica, e da un altro ingegnere specialmente incaricato dei lavori idraulici, entrambi da nominarsi dal Consiglio Comunale, senza concorso. II regolamento stabiliva altresì che l'Assessore uscente di carica ed i membri della Commissione nominati dal Consiglio che fossero eventualmente Consiglieri Comunali sarebbero rimasti membri della Commissione anche in caso di decadenza dal pubblico ufficio; ciò allo scopo di assicurare alla Commissione una continuità di azione traducentesi in evidente immediato vantaggio per l'esito del lavoro. Nella Commissione doveva poi per regolamento venire creata una Sottocommissione esecutiva, costituita dai due ingegneri incaricati rispettivamente delle opere idrauliche e degli impianti meccanici ed elettrici e dal funzionario dell'Ufficio tecnico all'uopo delegato. Queste proposte della Commissione formarono oggetto di viva discussione nel Consiglio Comunale, per ciò che rifletteva specialmente la forma adottata per la rimunerazione dell'ingegnere preposto ai lavori idraulici; e di ciò avremo occasione di occuparci più innanzi. In questo cenno storico-riassuntivo delle fasi attraverso alle quali nell'ambito della Amministrazione Comunale si è svolta la proposta dell'impianto elettrico municipale, basti il dire che con grandissima maggioranza, ed anzi alla quasi unanimità, le proposte della Commissione, appoggiate dalla Giunta, vennero approvate dal Consiglio Comunale. A seguito del voto del Consiglio, la Commissione di Valtellina venne così costituita: Ass. Ing. Ponzio, presidente; Ing. De Marchi, A w . Majno, Ing. Manfredini, membri eletti dal Consiglio Comunale; Ing. Masera capo dell'Ufficio tecnico Municipale; Ing. Carlo Mina per le opere idrauliche; Ing. Giacinto Motta per gli impianti meccanici ed elettrici; Ing. Tito Gonzales dell'Ufficio tecnico municipale, dirigente i servizi elettrici del Comune; gli ultimi tre costituendo così la Sottocommissione esecutiva. A seguito della morte del compianto Ing. Ponzio, la presidenza della Commissione veniva assunta dall'Ing. Cesare Saldini, Ass. Municipale; a seguito delle dimissioni di quest'ultimo dall'Ufficio di Assessore, la presidenza della Commissione venne assunta, come è oggi tenuta, dall'Ing. Carlo Tarlarmi, Ass. del Riparto X, pur rimanendo l'ing. Saldini, a norma di regolamento, a far parte della Commissione. I lavori si svolsero con rapidità veramente eccezionale e sono si può dire oggi prossimi al loro compimento, giacché le opere idrauliche si possono dire compiute e sono anche molto avanzati gli impianti meccanici ed elettrici e la palificazione della linea. A completare ora le notizie storiche aggiungeremo che con relazione dell'aprile 1909, la Giunta Municipale avanzava al Consiglio Comunale la proposta di municipalizzazione per azienda speciale dell'impianto elettrico del Comune, presentando una relazione finanziaria completa dell'impianto e dell'esercizio dell'azienda stessa. La proposta venne approvata dal Consiglio Comunale e ratificata recentemente dalla Commissione Reale appositamente istituita presso il Ministero dell'interno per le aziende municipalizzate. La Baite di vai Grosina e scivoli degli sfioratori della nuova diga di Fusino approvazione da parte della Commissione Reale intervenne dopo non poche difficoltà frapposte dalle lungaggini e dalle minuziosità della burocrazia, ma più specialmente dalle opposizioni ed inframettenze per parte dì qualcuno che, per ragioni di particolare tornaconto, aveva interesse a che le domande del Comune di Milano venissero respinte. Ma di queste eccezioni ed opposizioni il voto della Commissione Reale ha fatto completa ragione. Non manca ora che il responso del corpo elettorale, il quale dovrà pronunciarsi per referendum sulla proposta di municipalizzazione. Il referendum è stato già indetto per la data del 10 di aprile, ed è per questo che noi troviamo di particolare interesse ed importanza di far conoscere ai nostri lettori ed al pubblico le condizioni tecniche e finanziarie degli impiantì eseguiti e di quelli che si dovranno eseguire in progresso di tempo. Dell'esito del referendum noi non crediamo dì poter mìnimamente dubitare; la proposta se è amministrativamente utile per il Comune, è certamente utilissima per la cittadinanza, considerata in tutte le sue diverse classi sociali, le quali, come consumatrici di energia elettrica hanno già ritratto da questa coraggiosa e moderna iniziativa comunale vantaggi economici non indifferenti; dappoiché il solo fatto della esecuzione di questi impianti, anche prima che essi comincino a funzionare in condizioni normali - mentre il funzionamento della sola centrale a vapore non può considerarsi che come una fase puramente transitoria ha indotto la Società Edison ad apportare spontaneamente notevoli ribassi alle tariffe di vendita dell'energia elettrica in Milano; ribassi per i quali il complesso dei consumatori, a partire dal 1907, è stato beneficiato in totale per una cifra annua media di risparmio di oltre due milioni di lire. D'altra parte poi ci è gradita l'occasione di portare per primi ai nostri lettori ed al pubblico la cognizione di questi impianti tecnici che onorano non soltanto la città di Milano, la sua amministrazione, ma ancora e più specialmente gli egregi professionisti ingegneri Mina e Motta, che di queste installazioni furono progettisti e che coll'ing. Gonzales presiedettero alla loro esecuzione. Achille Manfredini in «11 monitore tecnico», marzo 1910 156 Si ringraziano il «Touring Club Italiano» e la «Civica raccol ta di stampe Achille Bertarelli», Castello Sforzesco -Milano, per la riproduzione cartografica. A Aem Azienda energetica municipale Presidente Gianfranco Rossinovich Commissione Ammimstratrice Gaetano Maria Arena Ennco Fiorentino Giuseppe Magri Girolamo Mezza Maurizio Prada Giorgio Salvini Direttore generale Augusto Scacchi Comune di Milano Assessore delegato all'Aem Bruno Falconieri Collana «Energia e Società» a cura di: Supervisione tecnica Coordinamento editoriale: Coordinamento immagine aziendale Coordinamento redazionale Progetto grafico e copertina Augusto Scacchi Giorgio Soldadino Roberto Vallini Sergio Segre Daniele Baroni Italo Lupi Coordinamento generale e realizzazione. Consorzio 3 C Milano Fotocomposizione : Fotolito: Stampa: Ciow srl De Pedrini Ubezzi & Dones srl Risguardi: Centrale di Grosotto, vecchi attrezzi per gli interventi di manutenzione
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