In caso di mancato recapito inviare al CPO di Caltanissetta per la restituzione al mittente previo pagamento della tariffa resi A N N O VIII Direttore responsabile Giuseppe La Placa · N. 1 - GENNAIO 2014 Aurora www.diocesicaltanissetta.it ’ l PERIODICO DELLA DIOCESI DI C A LTA N I S S E T TA Registrazione del Tribunale di Caltanissetta n. 202 del 29-12-2006 - Redazione: Via Cairoli, 8 - 93100 CL Poste italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27-02-2004 n. 46) art. 1, comma 2 e 3, CNS/Sud 2 - Caltanissetta EDITORIALE Giornalisti... evangelisti «Sanità siciliana iniqua» di Giuseppe La Placa iate santi». Questa l’inaspettata e impegnativa consegna che i giornalisti nisseni hanno ricevuto a conclusione della celebrazione eucaristica alla quale hanno partecipato, nella Cappella del Seminario, in occasione della festa di San Francesco di Sales, il 24 gennaio scorso. Una santità – è stato detto loro – da perseguire a partire dalla fatica di realizzare la pienezza della loro umanità anche attraverso il loro lavoro quotidiano. Santi, insomma, perché uomini veri e professionisti seri. Proprio Francesco di Sales, infatti, fu tra i primi che, agli inizi dell’epoca moderna, contribuì a dilatare l’orizzonte della santità e a renderla popolare. Nella sua Filotea, infatti, scriveva che sarebbe impossibile al falegname perseguire la santità come il monaco che sta chiuso nel monastero. Come a dire che agli occhi di Dio Padre tutti abbiamo la stessa dignità in Cristo Gesù, perché tutti siamo chiamati alla santità, in ogni circostanza, in ogni rapporto, in ogni professione. L’importante – diceva il santo vescovo – è essere quello che si è, ma desiderando di esserlo alla perfezione. Si potrà obiettare: ma allora basta scrivere dei buoni pezzi di giornalismo per diventare santi? Certamente no. È pur vero, però, che il giornalista che vuol diventare santo non può scrivere brutti pezzi di giornalismo. Pezzi, cioè, che non nascano dalla serietà, dall’onestà, dall’amore per la verità o dall’indipendenza nei confronti del potere di turno. Pezzi che facciano un uso strumentale e destabilizzante di notizie non verificate allo scopo di sostenere o danneggiare questa o quella parte in causa nell'agone pubblico; che tacciono sulle notizie che romperebbero pregiudizi che si ha, invece, interesse a mantenere; che facciano un uso voyeuristico e acritico del 'diritto di cronaca', senza nessuna preoccupazione per le persone che vi sono coinvolte. Per un cristiano, ad esempio, dovrebbe essere molto più rilevante l'attenzione al bimbo che è nato che non alla suora che lo ha partorito, perché la sottolineatura del bene dovrebbe avere sempre uno spazio maggiore di quella del male. Il giornalista che trasmette solo ciò che è negativo – cadendo nel trabocchetto degli indici di gradimento e di tiratura – rischia, infatti, di alimentare la sfiducia della gente, di dare la sensazione che il male è sempre più forte del bene. Il giornalista deve poter essere anche – e soprattutto – annunciatore della “buona notizia”. Un vero e proprio “evangelista”, capace di liberare il bene dal male, l'eternità dalla provvisorietà dell’attimo, la speranza dalla contingenza, a volte brutale, del fatto che racconta. «S C arissimi fratelli e sorelle, sto seguendo con molta attenzione e preoccupazione la situazione della sanità nel territorio della nostra Diocesi nissena, con particolare cura per l’ospedale di Mussomeli. Vi assicuro che ho interpellato i diversi responsabili a vari livelli e continuerò a seguire l’evolversi delle vicende. Purtroppo devo con forza denunciare uno slittamento di piano e di livello nella attenzione di chi amministra e gestisce la sanità. Al centro non c’è più la persona umana, con i suoi bisogni e la sua salute, ma l’economia. La legge del mercato ha schiacciato con arrogante violenza, il diritto della vita e alla salute, non curante di violenze la dignità della persona umana. Nell’iniquo meccanismo della sa- nità, e di quella siciliana in specie, i soldi e i numeri sembra che valgono più delle persone. Lo spietato sistema del mercato viene adottato con semplicità e “distratta”coscienza da chi governa la cosa pubblica che, invece di porsi al servizio dei cittadini – e in particolare dei deboli e dei più poveri.-.avverte i cittadini (quali sudditi”) alla diabolica logica dell’economia, passando sopra la testa delle persone, schiacciando i diritti dei cittadini e trattando la carta costituzionale di una Repubblica, sempre più fondata sulla disoccupazione e sugli interessi di pochi. Il popolo è diventato una massa da sfruttare schiacciare maltrattare … e da cercare solo al momento delle elezioni, illudendolo con false e mai mantenute promesse. Difendiamo dunque con coraggio il nostro diritto alla salute, il nostro ospedale di Mussomeli che è posto di N.1 - GENNAIO 2014 riferimento per tutti i paesi del vallone,in particolare difendiamo il punto-nascite che nulla ha da invidiare al altri illustri e vetusti ospedali. Vi prometto, come ho già fatto, che mi impegnerò per quanto e nelle mie possibilità per il nostro ospedale, sostenendovi anche attraverso i carissimi nostri sacerdoti, in questa giusta e opportuna rivendicazione di un sacrosanto diritto. Affido questo disarticolato e accorato messaggio al caro P. Pietro Genco, arciprete di Mussomeli, perché lo trasmetta a voi e, tramite gli organi di stampa, ne dia pubblica diffusione. Assicurandovi la mia vicinanza e la mia preghiera, di cuore tutti benedico nel Signore invocando l’intercessione della Madonna SS.ma dei Miracoli. Vostro aff.mo ✠ Mario Russotto P 2 E R I O D I C O D E L L A D I O C E S I D I C A L T A N I S S E T T A PRIMO PIANO l’ Aurora Giornata della memoria per non dimenticare Uno Yom Kippur per ogni uomo e ogni nazione per promuovere il bene della vita Con la distruzione ” del popolo d’Israele, l’intero mondo cristiano è stato defraudato. Anche noi, che siamo fratelli nella fede con gli Ebrei, P siamo stati attaccati di Andrea Miccichè rendere la parola di fronte al mysterium iniquitatis che l’orrore nazista mostra ad ogni persona è veramente complesso, specialmente quando si è, come me, giovani ed inesperienti di vita: sapere a quale grado di bestialità e crudeltà è giunto l’uomo è veramente sconcertante. Il monito del letterato Primo Levi, che ha vissuto personalmente il dramma dei Lager, è sempre attuale: è un obbligo prima di tutto verso se stessi scolpire nel proprio cuore il ricordo di quella Valle di lacrime della civiltà. La Shoah, la distruzione di un popolo, quello ebreo, l’annientamento di tutti coloro che non rientravano nei “canoni” di perfezione ariana, la totale indifferenza ai principî non negoziabili, ai diritti naturali, sono le conseguenze più chiare della volontà dell’uomo di assurgere ad arbitro fra il bene ed il male. Portando alle estreme conclusioni il pensiero del filosofo Nietzsche, Hitler nel manifesto ideologico del Partito Nazionalsocialista, il “Mein Kampf”, si prefiggeva di creare quel superuomo – nazione, capace di essere veramente la “misura di tutte le cose”, creatore di una morale fondata sul dominio del più forte, e in questo piano folle non potevano rientrare le “razze inferiori”, prive di quel “sangue tedesco – ariano”, unico garante del valore della persona. Come è possibile dimenticare la perdita di dignità degli Ebrei, che iniziava dalla riduzione della persona a numero – gli internati nei Lager, infatti, non avevano un nome che li distinguesse dagli altri –, le sommarie esecuzioni di interi convogli di deportati, secondo il macabro gusto dei gerarchi, gli aberranti ed indicibili esperimenti su uomini, donne e, persino, bambini, considerati “cavie da laboratorio” e, infine il dispregio per i cadaveri? Secondo quanto recita uno dei salmi più duri e forti della Sacra Scrittura, il Salmo 137, è «beato chi ti renderà quanto ci hai fatto»: il testo è rivolto a Babilonia devastatrice, ma può essere applicato alla Germania nazista, che ha inferto al Popolo Eletto il più duro colpo della sua storia. Questa giustizia è stata resa e, secondo me, di essa abbiamo testimonianza: Israele sta rinascendo, pur nelle difficoltà e negli errori. È vero, di fronte a questa immane tragedia si erge il dubbio «Dov’era Dio? Perché non è intervenuto? Forse che non s’interessò del Suo popolo, che aveva scelto?». Non è possibile rispondere in maniera compiuta; come ha affermato il Papa Eme- rito Benedetto XVI nel suo discorso ad Auschwitz, «noi non possiamo scrutare il segreto di Dio – vediamo soltanto frammenti e ci sbagliamo se vogliamo farci giudici di Dio e della storia»: siamo davanti ad un mistero, ma possiamo dargli un senso, nella misura in cui sentiamo la responsabilità di ciò che è accaduto. È un richiamo a non far cadere nell’oblio quest’età buia, magari schermandosi dietro inutili moralismi: quello che è stato definito dalla scrittrice e filosofa Hannah Arendt “banalità del male”, indifferenza per ciò che si compie, sia esso positivo o negativo, è sempre all’angolo. Chiudere gli occhi di fronte alla Shoah è, in un certo senso, perpetuarla sotto forme diverse, è giustificarla e scusarla, ponendo le basi per un ulteriore evento della stessa portata. Noi non possiamo! Con la distruzione del popolo d’Israele, l’intero mondo cristiano è stato defraudato. Anche noi, che siamo fratelli nella fede con gli Ebrei, siamo stati attaccati. Non possiamo sentirci spettatori estranei al dramma. Gli Ebrei asseriscono che, chi salva una vita, salva un mondo; allo stesso modo, chi uccide anche un solo individuo, distrugge un universo; così l’Europa ha perso 6 mi- ” lioni di mondi, con l’assassinio di 6 milioni di Israeliti. Né si devono dimenticare tutti quelli che hanno contribuito alla salvezza di molti Ebrei, mettendo a rischio la propria vita. Basti pensare ai cosiddetti “Preti di Dachau” – un gruppo di sacerdoti internati in questo Lager per essersi opposti al regime nazista –, ai vescovi, presbiteri, fedeli o laici appartenenti ad altre religioni o confessioni, riconosciuti come “Giusti tra le Nazioni”, infine, al Santo Padre Pio XII, che ha messo a disposizione dei perseguitati lo stesso Palazzo Apostolico. Il compito di tenere sempre viva la memoria di quegli eventi è affidato a noi, nuove generazioni, formate alla scuola della Cittadinanza attiva e solidale, affinché nel futuro non si ripeta più quest’immane strage. Siamo “cooperatores veritatis”, capaci di affermare con coerenza i principî che identificano l’uomo e lo contraddistinguono da ogni altra creatura. Abbiamo il dovere di ricordare: la Giornata della Memoria deve essere, simbolicamente, lo Yom Kippur del nostro Paese, un giorno per non dimenticare gli orrori e chiedere perdono, non solo per il male commesso, ma per tutte le volte che nelle nostre scelte abbiamo perso di vista quel bene sommo, che è il rispetto della vita Al Liceo “Mignosi” l’Ebraismo rivive «critica-mente» E Una giornata di riflessione tra canti, rappresentazioni di midrashim, pane azzimo e sukkot se fosse toccato a noi? Se fossimo stati strappati dalle nostre case, privati di un nome, ridotti a numeri senza più storia né identità? Se dietro le immagini di quei corpi fragili, in piedi e in attesa della morte, riconoscessimo i volti di chi abbiamo amato, di nostro padre, nostra madre, nostro figlio, cosa sarebbe allora il “Giorno della Memoria”? Forse sono queste le domande da porsi affinché la rievocazione del 27 gennaio di Silvia Dentico 1945 non diventi solo il tiepido ricordo di un evento storico che in fondo non ci appartiene o non ci è mai appartenuto. Se ognuno di noi provasse a sentire su di sé il peso di quella paura, del morire «per un sì o per un no», come racconta tragicamente Primo Levi; se ci immedesimassimo davvero nel dramma vissuto dal popolo ebraico, che non è solo una categoria lontana verso cui provare pietà, ma è parte del- l’umanità di cui siamo parte anche noi, forse il “Giorno della Memoria” avrebbe un sapore diverso. Il sapore della solidarietà vera, del patire con l’altro, dell’essere fratelli. Ed è proprio da lì che gli studenti del liceo classico paritario “Pietro Mignosi” hanno preso le mosse nel ricordare il genocidio degli ebrei: dalla fratellanza. Dalla volontà di instaurare un dialogo vero con il mondo ebraico, scoprendone gli aspetti culturali, religiosi e persino N.1 - GENNAIO 2014 culinari che, per quanto apparentemente distanti dalle nostre tradizioni, offrono un messaggio senza confini ideologici né geografici: il rispetto verso l’altro, la speranza, il senso della rinascita. Attraverso la lettura e la rappresentazione dei Midrashim (racconti che interpretano la Sacra Scrittura), intercalati da canti ebraici eseguiti dai ragazzi e, infine, con la preparazione di pietanze tipiche della tradizione giudaica, quali l’haro- set, il pane azzimo e i ginetti di Sukkoth, gli studenti del “Mignosi” hanno potuto accostarsi all’ebraismo e interpretarlo «critica-mente». Un percorso di apertura autentica verso l’altro, che ha permesso loro di guardare oltre il terribile piano di distruzione di cui furono vittime gli ebrei e di cogliere, piuttosto, le specificità di un popolo che fu capace di ricostruirsi, dando uno straordinario esempio di fede e di speranza. l’ Aurora P E R I O D I C O D E L L A D I O C E S I D I C A L T A N I S S E TERZA PAGINA T T A 3 Inaugurato in tribunale il nuovo anno giudiziario T Tra consuetudini e tradizione sono emerse difficoltà ed efficienze della magistratura locale di Giovanbattista Tona appeti rossi, alte uniformi, picchetti d’onore e un’aula gremita di autorità, rappresentanti della politica e della società dinanzi ad un emiciclo dove siederanno i magistrati della Corte di Appello e gli esponenti degli ordini degli avvocati, a fare da corona alla massima autorità della magistratura del distretto, il Presidente della Corte di Appello. È suo il compito di riferire all’opinione pubblica quale sia lo stato dell’amministrazione della giustizia nel territorio, avvalendosi di dati statistici, grafici, risultanze processuali e valutazioni. Il 25 gennaio 2014, come al solito nell’ultimo sabato del primo mese dell’anno, si è celebrato anche al Palazzo di giustizia di Caltanissetta un rito, ripetitivo e simbolico, per taluni anacronistico, per altri senza tempo: quello dell’inaugurazione dell’anno giudiziario. Piaccia o non piaccia, questa pur pomposa e formale cerimonia costituisce il momento in cui ci si riflette su aspetti essenziali della vita sociale: la conflittualità, le contese, le attività illecite e i tentativi dello Stato di sedare le prime, dipanare le seconde e reprimere le terze. Così come oggi si ricostruiscono le storie e le “micro-storie” del nostro Paese riprendendo le relazioni dei Procuratori generali del secolo scorso, così faranno domani i nostri nipoti, riprendendo le relazioni dei Presidenti delle Corti di appello, quando vorranno capire gli anni che stiamo vivendo, adesso, noi loro progenitori. Forse questo basta per non trascurare ciò che si è detto all’apertura dell’anno giudiziario. Legge e consuetudine vogliono che la relazione, pur se svolta a gennaio del 2014, riferisca riguardo al periodo che va dal 1° luglio 2012 al 30 giugno 2013. Ma uno degli argomenti centrali è stato comunque un evento compiutosi a settembre del 2013: la ridefinizione della geografia giudiziaria. La messa in opera di tale riforma ha comportato la soppressione del Tribunale di Nicosia e l’accorpamento del relativo circondario a quello di Enna: la Corte di Appello quindi avrà un Tribunale in meno e un esteso e mal collegato territorio è stato privato dei suoi uffici giudiziari. “È stato un sacrificio doloroso e lacerante”, ha detto il Presidente della Corte di Appello di Caltanissetta, Salvatore Cardinale; il Procuratore Generale facente funzioni, Antonino Patti, ha sottolineato che solo la storia spiegherà se è stata giusta tale scelta del Governo, ma che adesso resta visibile solo il rammarico e lo sconcerto delle popolazioni del territorio nicosiano; vibranti sono risuonate ancora le critiche e le proteste del Presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Caltanissetta, Giuseppe Iacona, e del delegato dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura, Michele Riggi, che hanno preso la parola alla cerimonia. Compiacimento è stato espresso per il trasferimento del territorio di Niscemi, già fa- cente parte del circondario del Tribunale di Caltagirone, alla competenza degli uffici giudiziari di Gela e di Caltanissetta. Un popoloso comune, quello di Niscemi, che faceva parte della provincia nissena e che ha forti legami sia leciti sia purtroppo illeciti con essa. Tuttavia all’aumento del lavoro che ne consegue non è corrisposto l’aumento dei magistrati e del personale amministrativo. Che anzi diminuiscono sempre di più. I dati che ha offerto il Presidente Cardinale nella sua relazione hanno riproposto un trend già noto; aumento dei procedimenti, aumento del numero delle cause che vengono decise dai giudici, ma al contempo diminuzione dei giudici e del personale, per un verso, e mantenimento di un cospicuo arretrato, per altro verso. E tra questi dati si colgono i segni drammatici della crisi economica: le dichiarazioni di fallimento di imprese sono aumentate di un terzo, i procedimenti di esecuzione su immobili sono più che raddoppiati. Sono diminuiti di circa un terzo i cittadini che fanno causa per questioni inerenti i loro contratti di lavoro; probabilmente perché sono diminui- ti (anche più di un terzo) i cittadini che hanno un contratto di lavoro. Frattanto la criminalità organizzata, per quanto silente e fortemente contrastata, perde terreno ma non molla la presa. Parole di elogio sono venute dal Presidente Cardinale verso le iniziative che testimoniano la buona volontà dei cittadini e delle istituzioni per arginare il predominio criminale. “Segnali di vitalità” che danno fiducia, ha detto Cardinale; e citando Vitaliano Brancati, ha aggiunto che «non c’è notte di provincia che sia priva di stelle». A questi segnali si è richiamato anche il nuovo Presidente dell’ANM di Caltanissetta, Fernando Asaro, che ha sottolineato l’impegno dei magistrati del distretto a fare dei palazzi di giustizia i luoghi trasparenti del servizio e del confronto con le migliori energie della comunità. E ha al contempo rivendicato l’indipendenza come principio ispiratore dell’operato del magistrato “che deve imporgli la ineludibile e concreta distanza da centri di potere politici ed economici, evitando qualsiasi coinvolgimento in luoghi di potere o centri affaristici che possono appannare la sua immagine.” Il Presidente della Corte d’Appello tuona contro la corruzione C Cardinale sottolinea l’assenza di morale nella pubblica amministrazione ome negli anni passati, la rilevazione statistica - ed in particolare il minoritario numero di iscrizioni (e di condanne) per i reati più significativi collegati all’abuso di pubblici poteri non riflette fedelmente la situazione reale che, come emerge dagli studi condotti da diversi organismi europei e nazionali, in Italia e nella stessa Sicilia è più grave e più allarmante rispetto a quella, riduttiva, indicata dai numeri. Invero, permane e si accentua, con riferimento ai delitti consumati dai titolari di pubbliche funzioni, l’incoerenza per difetto tra il dato numerico e la sensazione di diffusa illegalità - accompagnata da una corrispondente estesa sensazione di impunità - che si percepisce, malgrado i limitati procedimenti penali istruiti, anche in questo Distretto, ove crescono un clima di generale sospetto, che non risparmia nessuno e ingenerosamente raggiunge anche coloro che con ammirevole moralità si mantengono estranei al malaffare, e l’ormai prevalente opinione collettiva che, come diceva Sallustio, omnia venalia, tutto è in vendita. Inchieste giudiziarie, denunce di imprenditori, esposti di cittadini vessati da richieste costrittive e l’ostentazione di ricchezze incompatibili con i redditi dichiarati hanno messo in luce come persistano «sacche di corruzione sistemica con aspettativa di impunità per i protagonisti e un senso di impotenza per gli spettatori». Ormai, si è radicata la convinzione che l’esercizio di cariche elettive e lo svolgimento di funzioni pubbliche non siano più un nobile servizio in favore della comunità ma rappresentino la via più breve per raggiungere vantaggi patrimoniali illeciti. Come ha scritto un attento osservatore, «il principio del senso del limite sul terreno della morale e dell’etica è totalmente saltato. Nessuno lo pratica; ognuno fa quello che può fare, indifferente alle conseguenze». Cuncta fesN.1 - GENNAIO 2014 sa, tutto è a pezzi, avrebbe detto Tacito. Seppur in numero ridotto, rispetto ad anni bui che fortunatamente fanno parte del passato, vanno registrati ancora una volta, in alcuni ambienti più permeabili, episodi di pericolosa commistione tra esercizio della funzione pubblica e attività delle associazioni criminali in un clima di complicità e di voluta disamministrazione. Esiste anche la concreta percezione di casi di compravendita di voti che vedono, quali procacciatori di consensi a pagamento, esponenti ed affiliati di sodalizi mafiosi. (...) Di fronte al malaffare dilagante, sale la richiesta di abbattere un fenomeno che non può combattersi esclusivamente con singole norme penali ma presuppone la selezione di una nuova elite politica nazionale e locale che, dotata di «una robusta coscienza dal punto di vista morale», per un lungo periodo imbibisca di legalità l’attività legislativa e amministrativa. S.C. P 4 E R I O D I C O D E L L A D I O C E S I D I C A L T A N I S S E T T A L’0PINIONE l’ Aurora Governabilità e partecipazione punti fermi della nuova legge elettorale A Il “diritto di belare” e la sentenza della Corte Costituzionale ” di Alessandro Diotallevi ll’indomani della sentenza della Corte Costituzionale sulle leggi elettorali, s’è aperto un dibattito, con l’apparenza della democraticità, sfociante nel bisogno di governabilità e partecipazione, tuttora insoddisfatto. Con la memoria a quanto accadeva appena 20 anni fa, sotto l’emozione dei referendum di Segni, con la memoria del senso di smarrimento impresso in tante coscienze libere verso azioni politiche di manomissione della democrazia per mezzo della corruzione, oggi, alle soglie di una obbligata stagione di riforme elettorali, benché dissimulate, tornano a farsi sentire le oligarchie di potere, sorde ai richiami generalizzati alla moralizzazione della vita pubblica. Ha ragione il professor Guccione quando ci ammonisce sul fatto che il sistema in cui viviamo è purtroppo il peggiore tra quelli oligarchici. E se non sarà “azzerato”, nessuna legge elettorale sarà in grado di accompagnare il processo essenziale di ogni democrazia di identificare, attraverso l’espressione del consenso popolare, risorse rigenerate da assegnare alle istituzioni parlamentari. Senonché, oggi come nel ’93, con il supporto attivo della comunicazione nelle sue diverse forme, torna a farsi largo la logica di espropriazione del senso ultimo del voto da parte dei partiti, che dovrebbero, per obbligo costituzionale, favorire il libero dibattito e la massima partecipazione, rifuggendo la tentazione della tirannide maggioritaria. Hanno ragione, i partiti, a preoccuparsi della governabilità. Ne hanno di meno se si considera che all’indomani della caduta della prima Repubblica e dell’irruzione di nuove leggi elettorali, la governabilità non si è realizzata. Mascherata nelle forme della semplificazione del bipolarismo, la povera governabilità, al netto delle influenze internazionali, è stata alla fine sormontata da una pressione fiscale violenta, una disoccupazione disastrosa, una caduta insistita del principio di affidabilità delle istituzioni. Così, agnelli sacrificali sugli altari degli interessi dei partiti, comunque declinati, i cittadini, non immemori dei dispotismi delle maggioranze, sono quasi impediti di belare. In effetti, per lo strapotere dei gruppi di interesse e per le convenzioni ad excludendum delle oligarchie di partito, i cittadini sono sostanzialmente privati della parola pubblica, ad eccezione di quella urlata nei baracconi mediatici. Gli resta quella privata, per fortuna, anche perché conserva un che di libertario di cui il potere non si dispiace, valutando come, con alcune eccezioni clamorose, il grillismo, la società civile è sostanzialmente ininfluente nel determinare gli indirizzi politici generali. Delle quali ultime, peraltro, non si approfondisce il crescente fenomeno dell’astensionismo che riduce la capacità rappresentativa degli eletti in misura proporzionale ai suoi dati quantitativi. Si fa strage, mediante manovre di soffocamento, da parte delle oligarchie imperversanti nel Paese, di ogni significativo tentativo di associarsi liberamente da parte dei cittadini i quali, isolati, come ammonisce Tocqueville «non possono quasi nulla da soli». Converre- Agnelli sacrificali sugli altari degli interessi dei partiti, i cittadini, non immemori dei dispotismi delle maggioranze, sono quasi impediti di belare ” mo, tutti, che la falda costituzionale delle comunità intermedie si è essiccata, meglio, è stata ostruita, per anni ed anni, impedendosi la creazione di contrafforti democratici alle dittature maggioritarie, per prime quelle dei partiti e delle associazioni professionali. In questo panorama, qui appena accennato, si accende la luce della sentenza 1/14 della Corte Costituzionale. Intanto, il giudice costituzionale ha il coraggio di sottolineare la «perdurante inerzia del legislatore ordinario». Non è una verità processuale, è una verità. Non solo i partiti, quindi, ma un po’ tutti, portano la responsabilità della crisi odierna, con il beneficio della buona fede per i singoli cittadini ai quali è stato fatto credere che la cornice istituzionale sia indifferente rispetto ai loro problemi quotidiani, mentre il messaggio opposto, quello secondo il quale la capacità di governo è essenziale per lo sviluppo economico e sociale del paese, è stato intercettato o occultato. Un’inerzia, dunque, che senza questa sentenza si sarebbe protratta ulteriormente. C’è voluto il coraggio della Corte di Cassazione di rilevare nelle leggi elettorali che abbiamo maggioranza relativa, in quanto consente ad una lista che abbia ottenuto un numero di voti anche relativamente esiguo di acquisire la maggioranza assoluta dei seggi»; B) «Una distorsione fra voti espressi ed attribuzione dei seggi, pur presente in qualsiasi sistema elettorale, nella specie assume una misura tale da compromettere la compatibilità con il principio di eguaglianza del voto»; C) «La premialità produce un’eccessiva divaricazione tra la composizione dell’organo della rappresentanza politica, che è al centro del sistema di democrazia rappresentativa e della forma di governo parlamentare prefigurati dalla Costituzione, e la volontà dei cittadini espressa attraverso il voto, che costituisce il principale strumento di manifestazione della sovranità popolare, secondo l’articolo 1, comma 2, Cost.»; D) «Il meccanismo di attribuzione del premio di maggioranza è tale da determinare un’alterazione del circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto. Ciascun voto contribuisce potenzialmente e con pari efficacia alla formazione degli organi elettivi»; E) «La circostanza che alla totalità dei parla- torali che rimangono immutate, sia per la Camera che per il Senato. Ciò che resta è precisamente il meccanismo in ragione proporzionale e le norme censurate riguardanti l’espressione del voto risultano integrate in modo da consentire un voto di preferenza». Mentre i partiti per mezzo dei loro segretari, fuori da un dibattito parlamentare, costruiscono pacchetti riformatori che continuano a contenere premi di maggioranza e lesioni della volontà popolare, una proposta alternativa va avanzata. Con una breve premessa. La maggioranza parlamentare ha nelle proprie mani il sistema delle maggioranze che servono per approvare gli atti fondamentali della vita istituzionale del Paese. La Corte Costituzionale, per parte sua, ha ricordato che tra le funzioni fondamentali delle assemblee parlamentari c’è la stessa garanzia della Costituzione, con la procedura dell’articolo 138. Ma qui aggiungiamo le maggioranze assolute per l’approvazione dei regolamenti parlamentari; le maggioranze qualificate per l’elezione dei componenti delle istituzioni fondamentali della democrazia, compresa la Corte Costituzionale; le maggio- usato in questi anni «una oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica, lesiva della stessa eguaglianza del voto, peraltro neppure idonea ad assicurare la stabilità di governo»; c’è voluto il coraggio di alcuni giudici dotati di adeguata esperienza e competenza, valori ormai assenti nella programmaticità politica dei nuovi e vecchi partiti, per abbattere il primo anello delle fortificazioni oligarchiche del sistema. Il secondo anello è stato frantumato dalla stessa Corte Costituzionale che ha dettato i seguenti principi: A) «Il meccanismo premiale è foriero di una eccessiva sovrarappresentazione della lista di mentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini, ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione»; F) «La normativa che resta in vigore per effetto della dichiarata illegittimità costituzionale delle disposizioni oggetto delle questioni sollevate dalla Corte di Cassazione è complessivamente idonea a garantire il rinnovo, in ogni momento, dell’organo costituzionale elettivo, in particolare la normativa che rimane in vigore stabilisce un meccanismo di trasformazione dei voti in seggi che consente l’attribuzione di tutti i seggi, in relazione a circoscrizioni elet- ranze per l’approvazione delle leggi; le maggioranze di approvazione delle mozioni che indirizzano l’attività del Governo. Se queste maggioranze sono il frutto di una distorsione rappresentativa, allora, ragionevolmente, si può sostenere che siano la causa della mancanza di coesione di questo Paese, che è alla base del suo declino. Qual è dunque la proposta alternativa? Dopo anni che si è inseguita, anche con disegni di legge parlamentare, la chimera di un’As- N.1 - GENNAIO 2014 continua a pagina 12 l’ Aurora P E R I O D I C O D E L L A D I O C E S I D I C A L T A N I S S E T IL BENE COMUNE T A 5 Le “madri della città” guardano alla società contemporanea Donne, madri, minori, famiglia... i temi più urgenti e scottanti del progetto T di Maria Grazia Pignataro re anni fa nasceva da un progetto, ideato e promosso dalla Consulta delle aggregazioni laicali della diocesi nissena, il gruppo “Le madri della città. Il carisma femminile a servizio della città”, che ha coinvolto in rete tutte le associazioni che tuttora sono impegnate nel campo del sociale . Il primo convegno organizzato dal gruppo risale al maggio 2011 sul ruolo della donna nella famiglia, in cui si è provato a fornire un’idea quanto più esaustiva possibile sullo “stato di salute” del nucleo familiare ai nostri giorni, con particolare riferimento al capoluogo nisseno. Ne è emerso un quadro a varie tinte: da un lato la crisi della famiglia dimostrata dal costante aumento delle separazioni e dei divorzi, dall’altro un bisogno crescente di maternità, che in certe situazioni induce la donna, d’accordo con il proprio partner, a tentare la strada dell’adozione o dell’affido. Da qui l’idea di un percorso formativo legato alla costituzione di una “banca dati” delle famiglie disponibili a farsi carico in via temporanea di un minore a rischio su segnalazione dell’autorità giudiziaria o dei servizi sociali. Nel 2012, invece, il secondo convegno sul rapporto tra donna e lavoro. Ne è emerso un quadro desolante all’interno del quale le donne sono destinate a pagare il prezzo più alto per le conseguenze di una crisi che oltre che economica è di natura politica e sociale. Infine nel maggio 2013 la manifestazione su “donne e disabilità, soprattutto in merito alla cura e all’assistenza dei figli minori in difficoltà. È un tema che tocca nel profondo coloro che vivono quotidianamente la sofferenza e la fatica di dover prendersi cura di un bambino, che diventerà un ado- lescente e poi un adulto, senza alcuna prospettiva per il proprio futuro e quello del proprio caro. La nostra, infatti, è una società all’apparenza incline alla tolleranza e all’integrazione, ma nei fatti poco convinta che i disabili possano occupare un ruolo, come persone con “diverse abilità”, nella realtà sociale. Dall’incontro ne è scaturita l’idea di uno spazio di coordinamento e di riflessione tra le associazioni che nel capoluogo si occupano di disabilità, che dovrebbe già nascere in via ufficiale la prossima primavera e avere come obiettivo quello di colmare un vuoto istituzionale in merito ai reali fabbisogni delle famiglie che affrontano quotidianamente la disabilità di un loro congiunto. “Le madri della città” hanno, in ultimo, lavorato alacremente a partire dal 2012, collaborando con singoli ed enti pubblici e privati, alla creazione di un coordinamento sulla violenza contro le donne, che è nato uf- ficialmente lo scorso 19 novembre e che vorrebbe costituire col tempo un punto di riferimento fondamentale per tutti coloro che si occupano a vario titolo delle vittime della violenza di genere. «Di fronte al silenzio assordante della politica ai diversi livelli, nazionale, regionale e locale – dice Pinella Falzone, portavoce del gruppo – la società civile, laica e cattolica, fa sentire con “madri della città” … la sua voce, scevra da interessi di parte ma indirizzata al bene comune e al servizio della collettività». «D’altronde – aggiunge Piero Cavaleri, psicologo e tra i padri fondatori del gruppo – “Le madri della città” nascono dalla consapevolezza che nella società contemporanea, contrassegnata da un indebolimento dei legami di prossimità, la donna con la sua specificità di genere, che la rende capace di relazioni di accoglienza e di cura, rappresenta un importante “segno dei tempi”». E all’orizzonte una nuova associazione per le famiglie A Sarà necessaria e fondamentale la collaborazione con le istituzioni locali conclusione del 2013, dopo tre anni di intensa attività, “Le madri della città” hanno avvertito il bisogno di “dedicarsi” un momento di formazione e di riflessione attraverso un incontro con Don Gino Moro, padre spirituale e tra i fondatori del movimento “Mondo migliore”. Il confronto con Don Gino ha consentito al gruppo una rilettura di quanto fatto fino a quale momento e nel contempo una ridefinizione delle prospettive e dei progetti futuri. «Le madri della città – ha detto Don Gino – può essere vista da un lato come una delle tante iniziative, civiche e culturali, che nascono nelle nostre comunità, ma dall’altro essere vissuta, ascoltata e custodita nei suoi sviluppi, come un’esperienza-tipo dove è in gioco un’intuizione generatrice, quella cioè di una rifondazione etica del bene. In quest’esperienza – continua il sacerdote – assistiamo all’eclissi dell’enfasi sull’io e delle appartenenze claniche di ciascuno e alla nascita di un nuovo “co- dice relazionale”, che aggiorna la stessa figura del bene, vincolando la nostra esistenza ad un patto intergenerazionale e interculturale, un’alleanza cioè tra le donne e i giovani per una ridefinizione del legame sociale e pertanto per la nascita di nuova immagine della città». «Allargando la prospettiva da quella del carisma e genio femminile aggiunge Piero Cavaleri – a quella più ampia della Chiesa, il messaggio emerso dalla dis- sertazione di Don Gino è che quest’ultima, per potere meglio interpretare il proprio ruolo e crescere nella sua “mission”, deve entrare in dialogo con il mondo, sapendone innanzitutto interpretare le istanze e i bisogni e aprendosi alle emergenze che lo attraversano, in poche parole saper cogliere “i segni dei tempi”. Oggi la recessione economica ed occupazionale, la crisi della famiglia – prosegue Cavaleri – le nuove dipendenze e N.1 - GENNAIO 2014 le nuove forme di emarginazione sociale, “interpellano” i laici da un lato e la Chiesa universale, come quella locale, dall’altro. Quest’ultima, pertanto, non può rigenerarsi se non attraverso il dialogo con il mondo e con i “nuovi” ultimi. Le madri della città attraverso il progetto affido per i minori a rischio, la fattiva collaborazione con il coordinamento contro la violenza sulle donne, lo sportello per le famiglie dei disabili, tenta nonostante i propri limiti ad accogliere le sfide del nostro territorio e di porsi in un costruttivo atteggiamento di dialogo con esso». «Nel nostro prossimo futuro – conclude Pinella Falzone – vi è anche la creazione di un’associazione per la famiglia, che costituirebbe una sorta di “braccio operativo” del gruppo e che andrebbe a coinvolgere soprattutto il mondo dei giovani, così da riallacciare un legame che in realtà, alla luce di quanto detto, non si è mai interrotto, anzi può e deve essere continuamente rigenerato». M.G.P. P 6 E R I O D I C O D E L L A D I O C E S I D I C A L T A N I S S ISTANTANEE DIOCESANE Nuova chiesa a Mussomeli N E T T A l’ Aurora Dopo cinque anni di lavori, la Trasfigurazione in S. Teresa al Castello è stata consacrata di Giuseppe Di Vita el 1961 il card. Giovanni Battista Montini, allora arcivescovo di Milano, inaugura un piano per la costruzione di 22 nuove chiese nell’Arcidiocesi di Milano, per venire incontro alle incalzanti necessità dettate dallo sviluppo metropolitano. L’idea era quella di avere la chiesa vicino alle case, alle famiglie, alle fabbriche, dentro i condomini, dentro i magazzini, se occorreva. Risultava necessario essere “presenza” accanto alla gente. Montini, diventato arcivescovo, lanciò un appello al mondo dell’industria, a parrocchie, associazioni cattoliche e fedeli spiegando che la costruzione delle nuove chiese era diventata una questione di “salute pubblica”. Il Card. Montini, successore del Card. Ildefonso Schuster che aveva iniziato il processo di nuove edificazioni, pensò di far edificare non solo le chiese, ma anche le stanze per l’abitazione del sacerdote, i locali per le attività pastorali – le aule e i saloni –, insomma complessi parrocchiali. Monsignor Giuseppe Arosio, oggi ottantenne, fu all’epoca coinvolto nel “Piano Montini”, diventando poi responsabile del settore “Nuove chiese” dell’arcidiocesi di Milano tra il 1985 e il 2005, ed è stato anche parroco di una cappella dentro un condominio in via Guerrazzi a Monza. Ebbe a dire: «Il sogno di Montini era di costruire una chiesa per ogni comunità. Per questo motivo tra il 1955 e il 1963, chiese vennero costruite in magazzini, dentro condomini e in prefabbricati». L’idea di essere “presenza” accanto alla gente fu confermata nel Concilio Vaticano II (19621965) chiuso proprio da Montini divenuto Papa col nome di Paolo VI. Tale presupposto risulta indispensabile per comprendere la motivazione che ha fatto sì che nella nostra Diocesi dal 2005 al 2013 venissero edificati 5 nuovi complessi parrocchiali in altrettanti quartieri privi della presenza di una chiesa. L’ultimo complesso terminato è quello di Mussomeli di contrada Castello, dedicato alla Trasfigurazione e a S. Teresa. Un progetto fortemente voluto dal Vescovo che durante la Visita Pastorale del 2005, recandosi a Mussomeli e par- lando con l’allora Sindaco, Gero Valenza, chiese un terreno in contrada Castello dove potere edificare un nuovo complesso parrocchiale. 2005-2013, sono passati poco più di 8 anni e quella promessa è diventata realtà: la richiesta del Vescovo alla Conferenza Episcopale Italiana, il successivo impegno a portare a termine l’opera, malgrado il contributo non coprisse tutti i costi e l’affidamento degli incarichi ai tecnici prima e all’impresa dopo. Cinque anni di intenso lavoro ma con la soddisfazione di avere portato, con successo, a termine l’opera entro i tempi previsti e con i costi preventivati. Il gruppo dei tecnici incarica- ti dal Vescovo, coordinati dall’architetto Salvatore Tricoli, nella qualità di progettista capogruppo, sotto la guida di Mons. Giovanni Speciale prima, e di Don Vincenzo Giovino e dal sottoscritto dopo sono riusciti a soddisfare tutte indicazioni del Vescovo e del Parroco, Sac. Calogero Mantione, rimanendo sempre fedeli ai documenti ufficiali della Chiesa Cattolica. Grazie all’impresa edile Eredi Geraci di Mussomeli, che ha eseguito tutte le lavorazioni, è stato possibile portare a compimento l’opera. La chiesa del nuovo complesso parrocchiale, dalle forme semplici ma armoniose, è stata aperta al culto e dedicata il 22 di- cembre scorso alla presenza delle autorità civili e militari, con una solenne cerimonia presieduta da Sua Eccellenza il Vescovo Mons. Mario Russotto. Tutta la comunità di Mussomeli ha preso parte alla consacrazione dell’altare, opera dell’artista tedesco Martin Emscherman. «Ora a voi tutti, artisti che siete innamorati della bellezza e che per essa lavorate: poeti e uomini di lettere, pittori, scultori, architetti, musicisti, gente di teatro e cineasti... A voi tutti la Chiesa del Concilio dice con la nostra voce: se voi siete gli amici della vera arte, voi siete nostri amici!» Wojtyla negli acquerelli di Guadagnuolo no all’onorabilità di ciascuno. Come si può vedere dai miei quadri, non si tratta solo di dare una rappresentazione della sofferenza, ma si tratta di vedere la sofferenza appartenente al mistero dell’uomo, in esso l’uomo rintraccia il senso della vita, il proprio apostolato. Se pensiamo un attimo a Gesù e lo vediamo nella Croce riceviamo il coraggio di accettare e sopportare questo mistero soprannaturale. Papa Wojtyla ha composto per noi la più bella ‘sinfonia dell’amore’ facendo della Sua sofferenza la via privilegiata per incontrare Dio. «La morte del Santo Padre Giovanni Paolo II – ha detto Papa Benedetto XVI – e i giorni che sono seguiti, sono stati per la Chiesa e per il mondo intero un tempo straordinario di grazia». Giovanni Paolo II passò “alla Grande Vita” nel giorno dedicato a Maria – il primo sabato del mese – e nella festa liturgica della Divina Misericordia. È così che ho voluto rappresentarlo nell’ultimo dipinto. I Organizzata nel Museo Diocesano del Seminario una mostra sul beato pontefice n occasione della canonizzazione del Beato Giovanni Paolo II, giorno 19 gennaio il Museo Diocesano “G. Speciale” ha presentato “Le opere d’arte di Francesco Guadagnuolo sull’apostolato di Giovanni Paolo II”. Francesco Guadagnuolo ripercorre con la sua arte il Pontificato di Giovanni Paolo II, dal quale aveva meritato particolare stima personale e del quale si è fatto “cantore” sia delle opere letterarie sia del drammatico percorso di sofferenza e di universale esemplarità. È l’artista stesso che illustra i motivi della sua ispirazione e le tecniche pittoriche adottate nelle sue opere sull’apostolato del Beato Pontefice. Ho cercato di guardare il Beato Papa Giovanni Paolo II dall’interno, per giungere al volto, cercando di trasmettere attraverso lo sguardo le sue sofferenze; interpretandolo con un linguaggio semplice, accessibile, diretto, trasfondendo la figura di un Papa mistico e nello stesso tempo intensamente umano. Direi un Papa sospeso tra trascendenza e umanità. Egli in vita è stato un mistico ed io ho cercato di cogliere quest’aspetto. Le immagini, infatti, hanno in sé una particolare aspirazione di ricerca dell’Assoluto, che portano a vedere il Pontefice in una dimensione del tutto spirituale. Durante il Pontificato di Giovanni Paolo II mi sono state organizzate molte mostre in alcune delle quali ebbi la fortuna di incontrarmi con il Papa e di fissare bene nella men- te i singolari tratti caratteristici, da tali incontri nacquero i ritratti; quello che mi colpiva del Santo Padre era il suo sguardo, che subito ti coglieva nel segno e nella mente. Le tribolazioni delle pose vacillanti, la sofferenza del suo volto contratto, il corpo incurvato e le mani in preghiera che il Papa ha mostrato a tutti gli uomini del mondo, sono il tema del sacrificio, del dolore che fanno parte di questa mostra. Specie nelle ultime drammatiche apparizioni pubbliche Giovanni Paolo II, non ha nascosto i suoi seri problemi di sofferenza, consegnandosi ancor di più alla fede in Dio, per condividerla con tutta l’umanità. Egli ci ha indicato che la debolezza è un lato creativo della vita e che la sofferenza deve essere sopportata senza dan- N.1 - GENNAIO 2014 S.T. l’ Aurora P E R I O D lo scorso dicembre. Il nuovo complesso parrocchiale sarà un punto di riferimento I C O D E L L A D I O C E S I D I C A L T A N I S S E T ISTANTANEE DIOCESANE T A 7 Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani D Anche la nostra Chiesa locale impegnata nell’ecumenismo di Calogero Milazzo al 18 al 25 gennaio di ogni anno in tutta la Chiesa sparsa per le varie parti del mondo si celebra la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Quest’anno l’espressione tematica per guidare la preghiera e la riflessione delle Chiese è tratta dalla 1 Lettera ai Corinzi dell’Apostolo Paolo. Essa afferma: «Cristo non può essere diviso!». Nella nostra Chiesa particolare da diverso tempo sono maturati i rapporti con gli Evangelici con Mons. A. M. Garsia e con gli ortodossi con Mons. Mario Russotto, quest’anno ci si è riuniti cattolici, ortodossi ed evangelici sia nella parrocchia cattolica di S. Luca che nella parrocchia ortodossa San Calogero ed Elia il Nuovo. Il tema di quest’anno è un invito alla lettura della rivelazione di Dio in Cristo nel Nuovo Testamento. I Vangeli infatti presentano questa rivelazione attraverso la narrazione di quanto Gesù ha fatto e detto nella sua vita terrena dalla discesa nelle acque del fiume Giordano sino alla sua morte-risurrezione. Essi richiamano quanto lo Spirito del Signore Gesù ha concretizzato all’interno della umanità dispiegando lungo i secoli il Corpo Mistico di Cristo. L’Apostolo Paolo invece in forza della sua esperienza personale ha concentrato la rivelazione del Figlio di Dio (At 9, 1-19; Gal 1, 16; 2,2; 2 Cor 12, 2) sul Cristo Crocifisso (1 Cor 1, 2.22s). I due aspetti diversi della presentazione della rivelazione di Dio ci aiutano a comprendere sia il senso della nostra preghiera in questa settimana di preghiera per l’unità dei cristiani sia la conseguente azione pratica da compiere per cogliere l’unità della Chiesa di Cristo. Lo Spirito infatti attualizzando nella storia l’unico Corpo del Signore, che è la Chiesa, ha donato una molteplicità di doni che solo per il nostro occhio poco pulito e per il nostro atteggiamento poco evangelico appaiono in contrapposizione l’uno con l’altro mentre invece nella luce dello Spirito che li ha donati essi costituiscono l’unico Corpo del Signore Gesù. L’Apostolo Paolo che ha visto il Cristo, cioè il Corpo Mistico del Signore, invita i Corinzi e quindi anche noi a non vedere il Cristo diviso perché in realtà non lo è. Occorre purificare il nostro occhio e agire quindi di conseguenza. L’occhio dell’Apostolo vede il tutto come Carità organizzata (1 Cor 1214). Anche il nostro Vescovo nell’incontro fra il clero cattolico di Caltanissetta e il clero ortodosso d’Italia del 30 maggio 2013 presenta il dialogo della Chiesa Cattolica e della Chiesa Ortodossa alla luce della Carità epifania della Trinità. L’Apostolo può vedere il Corpo Mistico come Carità organizzata perché nel Cristo Crocifisso vede il Tutto-Nulla dell’Amore. I vari doni dello Spirito perché possano essere colti come uno e nello stesso tempo molteplici necessitano che anche coloro che li guardano siano anzitutto nel Signore Gesù e che con il suo sguardo trinitario possano accogliere nel proprio nulla d’amore il tutto dell’amore dell’altro. Ogni Chiesa è chiamata a divenire nel suo interno questo Nulla-Tutto dell’Amore di Dio per essere Comunione che travalica nel Nulla-Tutto dell’Amore dell’altra Chiesa. Papa Francesco che il prossimo 24-26 maggio va in Terra Santa è una testimonianza evangelica di tutto questo. Sarebbe bene seguirlo nel suo pellegrinare. Giunte a Caltanissetta le reliquie di Santa Bernadette «A Per tre giorni sono rimaste nella parrocchia S. Croce esposte alla venerazione dei fedeli lzai la testa guardando in direzione della grotta. Vidi una Signora vestita di bianco: aveva un vestito bianco e una cintura blu e una rosa gialla in ogni piede, dello stesso colore del suo rosario. Quando la vidi, mi stropicciai gli occhi; credevo di sbagliarmi. Misi la mano in tasca; trovai il rosario. Volevo farmi il segno della croce; non riuscii a portare la mano alla fronte: mi cadeva. La Visione si fece il segno della croce. La mia mano tremava, cercai di farlo e ci riuscii. Ho iniziato a recitare il rosario; la Visione percorreva i grani del suo, ma non muoveva le labbra. Quando ebbi finito il mio rosario, la Visione scomparve all’improvviso. Ho chiesto alle altre due bambine se avessero visto qualcosa ma mi dissero di no». Così Bernadette descrive la prima apparizione avvenuta nel Febbraio del 1858 in una grotta a Lourdes: un luogo sporco, oscuro, umido e freddo. È in questo luogo che Maria, tutto biancore, tutta purezza, segno dell’amore di Dio, cioè segno di ciò che Dio vuole fare in ciascuno di noi, è voluta apparire. Chi era Bernadette? Bernadette era figlia di un mugnaio ridotto alla miseria; viveva in una casa fredda e umida, in un luogo di estrema povertà e fin da bambina conobbe la fame e la malattia. Era, infatti, cagionevole di salute e soffriva di asma. All’epoca delle apparizioni Berna- Bernadette ha trascorso la sua breve esistenza (morì a soli trentacinque anni) nell’umile accettazione della sofferenza fisica, come generosa risposta all’invito dell’Immacolata di sacrificarsi per il riscatto di tante anime che vivono nel peccato. dette aveva quattordici anni ed era praticamente analfabeta. È stata la prima pellegrina di Lourdes. La “Signora”, che le è apparsa nella grotta di Massabielle rivelandosi come l’Immacolata Concezione, le ha mostrato come muoversi nella grotta, le ha insegnato a pregare, l’ha introdotta nel rapporto personale con Lei. Ha vissuto la carità come servizio gratuito, così anche noi unitalsiani, seguendo il suo esempio, ci impegniamo nel servire i sofferenti. Oggi dopo 156 anni dall’apparizione, la Diocesi di Caltanissetta, per la prima volta ha accolto le reliquie di Santa Bernadette, in pellegrinaggio per tutta l’Italia per iniziativa dell’UNITALSI. N.1 - GENNAIO 2014 L’accoglienza dell’Ostensorio è avvenuta giorno 29 Gennaio in Piazza Garibaldi con S. E. Mons. Mario Russotto. Insieme, ci si è recati in processione verso la parrocchia Santa Croce (Badia), dove il Vescovo ha presieduto la solenne Celebrazione Eucaristica. La teca è rimasta in chiesa fino al 31 Gennaio. L’UNITALSI è sicuramente conosciuta per i continui pellegrinaggi Mariani soprattutto a Lourdes, meta privilegiata; ma è importante sapere che le attività unitalsiane continuano a livello sezionale e sottosezionale, attraverso momenti forti di preghiera e di condivisione. La sottosezione di Caltanissetta, costituita nel 1965 con il suo servizio grazie all’impegno di numerosi volontari tra barellieri e dame, è diventata un’espressione di carità per la nostra diocesi e soprattutto per i nostri fratelli malati. La presenza di Bernadette, oggi, diventa per tutti una preziosa occasione per interrogarsi sul senso della vita, come dono d’amore da parte di Dio e come risposta di generosità da parte di ognuno di noi. F abio Amico P 8 E R I O D I C O D E L L A D I O C E S I D I C A L T A N I S S A PROPOSITO DI... E T T A l’ Aurora Museo diocesano: nuovo catalogo delle opere esposte A di Nadia Rizzo distanza di 13 anni proporre un nuovo catalogo significa voler esprimere una rinnovata e rafforzata idea di museo diocesano che nella sua peculiarità sta cercando di diventare sempre più punto di riferimento per la chiesa nissena, diocesana «attorno a cui si animi il progetto di rivisitazione del passato e di scoperta del presente negli aspetti migliori e talvolta sconosciuti». Dal 1987, quando fu inaugurata la prima sala, ad oggi il nostro museo diocesano ha operato scelte significative per concretizzare la sua funzione di collegamento fra il visitatore ed il territorio, proponendosi quale centro di servizi pastorali e culturali, andando ben oltre l’idea di semplice contenitore espositivo e di conservazione dei beni culturali. La volontà di prendersi cura, di non disperdere, di fare memoria ha animato la raccolta e la conservazione di oltre 500 opere che offrono un percorso per conoscere la vita, la storia della diocesi. Il percorso espositivo propone le varie opere secondo un ordine cronologico e il nuovo catalogo presenta in modo detta- Un intreccio con la città gliato tutte le opere che si trovano nelle dieci sale e nelle due gallerie. In ognuna di esse sono presenti dipinti, sculture, paramenti e oggetti sacri in oro, argento o legno che nella loro peculiarità permettono di avere una visione variegata dell’arte sacra e di cogliere la ricchezza creativa degli artisti, la sapiente lavorazione degli ar- Le sale dedicate al ’900 I di Aurelia Speziale L di Daniela Vullo a prima è una porzione d’affresco raffigurante il ritratto del sacerdote Raffaele Riccobene, il quale, grazie ad un lascito testamentario di 1000 onze, nel 1720 commissionò al pittore fiammingo Guglielmo Borremans gli affreschi della volta della Cattedrale. Il ritratto fu dipinto sulla parete di fondo della chiesa, lateralmente l’altare maggiore, alla destra del quadro dell’Immacolata di Borremans che si trovava all’interno di una ricca prospettiva architettonica affrescata. Nel dopoguerra, a seguito dei gravi danni bellici che colpirono la Cattedrale, si decise di restaurala e completarla realizzando il transetto, il coro e la cupola per cui la parete di fondo fu demolita ed il ritratto di Riccobene andò perduto. Ritrovato in tempi recenti fu, generosamente, consegnato a Padre Speciale perchè potesse collocarlo vicino alle altre opere del grande pittore fiammingo. La seconda opera è un calice in argento sbalzato e cesellato, recante il punzone della zecca di Palermo del 1799, costituito da una base riccamente lavorata che sostiene un fusto a torchon sul quale poggia la coppa che reca un’iscrizione: per la guarigione di Giuseppe Mazzone. Ingegner Sebastiano Mottura. Mottura e Mazzone, ambedue piemontesi, giunsero a Caltanissetta per motivi di lavoro; il primo, geologo, per dirigere la “Regia Scuola Mineraria”, il secondo, stabilitosi a Caltanissetta per gestire i servizi di ristorazione e alloggio dei tecnici impegnati nella costruzione della galleria ferroviaria, divenne imprenditore nel campo della gestione del servizio elettrico e nel settore alberghiero. Fu proprio Mottura che progettò la grandiosa villa per la famiglia Mazzone, divenuta successivamente il Grand Hotel Concordia. In conclusione un ricordo personale legato all’acquasantiera in marmo alabastrino custodita nella terza sala, un’opera molto raffinata, di scuola gaginiana, raffigurante il culto della Vergine Annunziata, proveniente dalla chiesa di San Francesco di Paola, nella quale fu portata a seguito della demolizione della vicina chiesa del Carmine. La relatrice racconta che nel 2005, durante i lavori di restauro della chiesa di San Calogero, da lei diretti, ricevette la visita in cantiere di Padre Speciale, allora responsabile dell’Ufficio Diocesano per i Beni Culturali, il quale mostrò immediatamente un notevole interesse per l’acquasantiera tanto da richiederla per custodirla al Museo nel quale oggi si trova ed è possibile ammirarla. gentieri e l’abilità manuale delle monache capaci di trasformare tessuti di abiti dismessi dall’aristocrazia o di arredo in paramenti sacri di pregevole fattura. L’insieme di queste opere, in ogni sala (dalla prima all’ottava), evoca costantemente il legame che esiste tra esse e il luogo sacro per il quale sono state create e in cui si celebrano le liturgie. Il nuovo catalogo concepito per guidare, per accompagnare nella visita, è impostato per presentare le opere seguendo il percorso espositivo e si completa con il catalogo pubblicato nel 2001 che comprende una serie di interventi scientifici che presentano le opere per tipologia, senza tener conto della loro collocazione all’interno del museo. Questo Museo vuole continuare a raccogliere per non disperdere; a custodire per conservare; a ordinare, per illustrare; a significare per educare. l nuovo catalogo del Museo costituisce un’occasione unica per riflettere su due sale, la IX e la X, che non erano state ancora studiate e nelle quali è conservato il frutto della ricerca attenta di mons. Giovanni Speciale di opere della contemporaneità che raccontassero Dio. Quanto raccolto in questi spazi è il frutto dei suoi viaggi e delle sue conoscenze e, in piccolo, riproduce due fondamentali esperienze dell’arte religiosa contemporanea, entrambe fortemente segnate dall’impronta di Paolo VI: il museo di Villa Clerici a Milano e la Collezione di Arte Moderna Religiosa nei Musei Vaticani. Ma facciamo un passo a ritroso: nel 1926, in una dimora settecentesca a Milano nacque la Casa di Redenzione Sociale che doveva raccogliere ex carcerati e orfani per sostenerli e immetterli nel tessuto sociale. Nel 1955 il direttore della casa, Dandolo Bellini, appassionato collezionista d’arte, ritenendo opportuno coltivare anche (o forse soprattutto) in chi vive nel disagio l’amore per il bello, pensò di aprire la Galleria d’Arte Sacra dei Contemporanei, uno spazio che contenesse opere d’arte a forte connotazione religiosa. Bellini chiamò come consulenti Francesco Messina e Aldo Carpi, maestri indiscussi dell’Accademia di Brera, nonché credenti sensibili e appassionati. Al progetto non mancò la collaborazione dell’Arcivescovo di Milano Giovan Battista Montini, il quale sentiva l’arte contemporanea distante ma aveva una grande voglia di riconciliarsi con il nuovo linguaggio. Il futuro Paolo VI amava l’arte: durante il II conflitto mondiale, operando presso la Segreteria di Stato Vaticana, aveva favorito il ricovero di moltissime opere dei musei italiani dentro lo Stato Pontificio per evitare che i Tedeschi le trafugassero. Divenuto Papa, memore della sua esperienza a Villa Clerici, volle fortemente la na- N.1 - GENNAIO 2014 scita della nuova collezione dei Musei Vaticani nel 1973. Orbene, come un piccolo museo come il nostro è stato influenzato da tutto ciò? Attraverso il nostro instancabile monsignore che ha acquistato opere di artisti che Paolo VI amava e che hanno lavorato per lui: Carpi, Ciminaghi, Calvelli, Consadori, Filocamo, Longaretti, Pellini, Manfrini. Quest’ultimo, in particolare, è stato di recente ricordato per aver realizzato il calco di un anello che doveva essere dono per Paolo VI, che fu realizzato in argento dopo la morte del Papa, ed è stato scelto da Papa Francesco come anello piscatorio. Si può consultare il catalogo delle opere della casa milanese e notare come le nostre sale siano speculari rispetto a quell’esperienza (http://www.museovillaclerici.it/modules/c atalogo/embed/?id=0). È arte sacra o religiosa, secondo la distinzione che tanto piaceva a Paolo VI? Il visitatore potrà interrogarsi osservandola. È segno di una riconciliazione certamente, foriera di un messaggio attualissimo che il Papa nel ’64 ha rivolto agli artisti: «Vi abbiamo peggio trattati, siamo ricorsi ai surrogati, all’“oleografia”, all’opera d’arte di pochi pregi e di poca spesa; e siamo andati anche noi per vicoli traversi, dove l’arte e la bellezza e – ciò che è peggio per noi – il culto di Dio sono stati male serviti. Rifacciamo la pace? Quest’oggi? Qui? Vogliamo ritornare amici?». l’ Aurora P E R I O D I C O D E L L A D I O C E S I D I C A L T A N I S S E DA 170 ANNI DIOCESI T T A 9 La Santità dei preti e il cattolicesimo sociale I La Chiesa nissena tra consolidamento interno e confronto con la società locale di Francesco Lomanto n seguito all’unificazione nazionale il vescovo Giovanni Guttadauro (1859-1896) percepì subito i mutamenti in atto e spinto da forti convinzioni agì con prudente realismo per salvaguardare la diocesi dalla rivoluzione unitaria e per orientarla al vasto movimento di idee della Chiesa universale. Curò innanzitutto la formazione di un esemplare clero diocesano insistendo in special modo sull’esigenza della santità personale e proponendo l’ideale di un forte impegno morale e spirituale. Fondò il seminario per la formazione dei candidati al presbiterato e istituì l’accademia di S. Tommaso d’Aquino per incentivare nei seminaristi e nel clero lo studio della teologia tomistica. Riuscì così a preparare una generazione di sacerdoti zelanti e aperti alle innovazioni pastorali. Guttadauro prese parte al Concilio Vaticano I, schierandosi dapprima tra gli infallibilisti e alla fine per «un caso di coscienza» tra gli antinfallibilisti: fu così uno dei 5 vescovi antinfallibilisti italiani e l’unico siciliano; ma successivamente si sottometteva e aderiva alle decisioni del concilio in una lettera inviata a Pio IX. Inoltre egli lottò contro la diffusione della stampa irreligiosa, l’insegnamento ateo nelle scuole di Stato, il permissivismo morale, l’associazionismo anticlericale, nonché contro la deficienza della pietà popolare. Per alimentare una fede più personale e coltivare una devozione più interiore, introdusse nuove forme di devozione militante. Iniziarono allora le pie tradizioni del mese di maggio e del mese di ottobre, dedicati al culto della Madonna e solennizzati con la predica, il canto di inni e la recita del rosario. Un forte incremento ebbe anche la pietà eucaristica e la devozione al papa. All’indomani della crisi dei Fasci dei lavoratori, consigliato dal suo vicario generale Nicolantonio Diliberto, Guttadauro intraprese la via del cattolicesimo sociale e stimolò il clero giovane a farsi portatore di istanze sociali secondo le indicazioni dell’enciclica Rerum Novarum. Sorse per opera sua la scuola di studi sociali, che servì a preparare i cattolici ai tempi nuovi e ad indirizzarli nelle iniziative sociali del movimento cattolico. I preti giovani presero parte all’iniziativa del movimento cattolico, non trovando spazio per la loro attività apostolica nella vecchia struttura parrocchiale, poiché alla fine dell’Ottocento il numero delle parrocchie era rimasto lo stesso per una popolazione che dai 90.135 del 1860 era salita a quasi 150.000 abitanti. Il 12 ottobre 1893 Guttadauro inviò una lettera circolare ai parroci, per invitarli a farsi mediatori nelle controversie tra proprietari e contadini esortandoli a conoscere le regole della giustizia e ad osservarle secondo lo spirito del- la carità cristiana. Con la loro azione i parroci procurarono di persuadere i proprietari a sostituire, per quanto fosse possibi- C le, la mezzadria al contratto di gabella. Ignazio Zuccaro (1896-1905), vescovo sensibile alle nuove forme di rinnova- mento destatesi nella Chiesa siciliana con il primo congresso cattolico regionale del 1895 e in continuità con l’indirizzo pastorale di Guttadauro, incoraggiò e sostenne il movimento cattolico nisseno, che ebbe uno sviluppo piuttosto parallelo alla vita della parrocchia. Il suo segretario don Angelo Gurrera diresse il periodico diocesano «L’Aurora» e diede grande incremento alle iniziative sociali che ben presto si diffusero in tutta la diocesi. Sul vescovo però si riversò il risentimento di quanti erano in contrasto con il gruppo capeggiato dal Gurrera, nonché l’odio dei detentori tradizionali del potere locale, che inviarono esposti e denunzie alla S. Sede. Dopo la visita apostolica di p. Ernesto Bresciani, Zuccaro dovette dimettersi dal suo ufficio episcopale, ma il successore, Antonio Augusto Intreccialagli (1907-1921), in una relazione alla S. Sede, dimostrò la falsità delle accuse e la superficialità di giudizio del visitatore apostolico. Negli anni dell’episcopato di mons. Zuccaro il movimento cattolico «divenne sinonimo di azione pastorale d’avanguardia destinata ad inglobare tutte le dimensioni operative della Chiesa locale» e «struttura portante della pastorale diocesana». Il movimento cattolico nisseno on l’avanzata del socialismo i cattolici nisseni si volsero agli artigiani urbani o paesani con l’intento di costituire, in contrapposizione ai primi circoli operai socialisti, società operaie di mutuo soccorso di sicura fedeltà alla Chiesa. Questo primo movimento cattolico di carattere mutualistico non riuscì a consolidarsi bene in quanto si orientò verso una posizione puramente difensiva e non si interessò di costituire sodalizi che raccogliessero operai e artigiani per migliorare le loro condizioni economiche e sociali. Non poté, infatti, frenare la disgregazione del ceto artigiano e la dispersione degli zolfatai, che cominciavano a orientarsi verso organizzazioni non promosse e non guidate dal clero. In una seconda fase il movimento cattolico si volse alle campagne, dove i Fasci dei lavoratori avevano raccolto moltissime adesioni minacciando il distacco dalla Chie- sa delle popolazioni contadine tradizionalmente molto legate alla pratica religiosa. In seguito alla repressione dei Fasci il clero rispose prontamente alle indicazioni di Leone XIII e si impegnò per l’introduzione di moderne società economico-sociali già Tra il 1895 e il 1907, e più lentamente fino al primo dopoguerra, il movimento cattolico penetrò in tutti i comuni della diocesi con le sue casse rurali, le cooperative di lavoro e di consumo, le affittanze collettive, i monti frumentari, i comitati parroc- sperimentate dal movimento cattolico del Nord Italia con il quale cominciò adesso un collegamento più intenso e continuo mediato da personalità di spicco come don Luigi Cerutti (1865-1932), che fu presente al primo congresso cattolico della Sicilia. chiali, i circoli democraticocristiani, le società operaie e le associazioni varie, che risposero ai problemi del ceto medio contadino ed anche agli interessi dei piccoli proprietari terrieri, dei professionisti (avvocati e agronomi) e artigiani di paese. Il N.1 - GENNAIO 2014 mondo contadino costruì le sue edicole devozionali e le sue chiesette rurali nell’intento di cristianizzare lo spazio e di umanizzare le campagne sconfiggendovi l’usura e promuovendo una pietà popolare radicata nella devozione tradizionale. Nel periodo prebellico il movimento cattolico rimase ancorato alla concezione della lotta politica sulla base delle clientele dei notabili liberali, ma fu dotato di una certa autonomia e capacità di condizionare e perfino di determinare le loro scelte e i loro orientamenti. Soltanto con la nascita del partito popolare il movimento cattolico si liberò da questa subalternità e si presentò come forza politica di centro cercando di aggregare contadini di ceto medio, piccola e media borghesia (proprietari e professionisti). L’impegno politico e sociale non trasformò l’antica funzione del sacerdote, ma si aggiungeva ai compiti ministeriali. F.L. P E 10 R I O D I C O D E L L A D I O C E S I D I C A L T A N I S S L’IMPEGNO E T T A l’ Aurora Cooperativa Unakor 13 per “essere” e “stare” Attenzione all’altro, capacità di ascolto, accoglienza e salvaguardia del creato i suoi fini «T di Donatella D’Anna utti noi abbiamo dei sogni. Qualcuno li vuole realizzare e lotta affinchè ciò accada, rischiando qualunque cosa. Molti altri si accontentano, ma così non conosceranno mai qual è lo scopo e il senso della loro vita» (G. Paruzzo). Nasce così a gennaio 2012 la “Cooperativa Unakor 13”, con la condivisione di un sogno. Il nostro sogno di colleghe ed amiche che partecipando fianco a fianco al servizio reso ai “poveri” in seno alla Caritas Diocesana di Caltanissetta, decidiamo un giorno di concepire e generare un progetto che fosse la realizzazione concreta di un modo di vivere il lavoro e l’impegno cristiano nel sociale. La filosofia della cooperativa è tutta racchiusa nel suo nome “Unakor 13”, che sta per Prima lettera ai Corinzi, capitolo 13: «Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla... La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità. … Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!» Per me e Va- lentina Riso, presidente della “Unakor 13”, infatti, in qualsiasi tipo di attività si cimenti la cooperativa è fondamentale non tanto il “fare” o il “dare”, ma l’“essere”, lo “stare” in ciascuna relazione nata a ridosso di ogni intervento attuato in favore dei fratelli o delle sorelle più bisognose. L’attenzione all’altro, la capacità di ascolto, di accoglienza e di accettazione sono imprescindibili ai fini dell’erogazione di qualsivoglia servizio. Dal 2012 ad oggi la Cooperativa ha accolto altre due socie al suo interno, Viviana Ippolito e Tatiana Speziale; una compagine tutta al femminile ove ognuna ha trovato il proprio spazio di espressione, nel rispetto delle inclinazioni personali, per la gestione di progetti soprattutto dedicati alle donne, ai giovani e alla sostenibilità ambientale. La salvaguardia del creato rappresenta un impegno importante per la “Unakor 13” che ha avviato il progetto “I care”, programma educativo sulla sostenibilità ambientale e la cittadinanza attiva, dedicato agli studenti degli istituti superiori per sensibilizzarli all’acquisizione di uno stile di vita sobrio ed eticamente corretto. La Cooperativa ha gestito diversi progetti in collaborazione con la Caritas Diocesana, innanzi tutto la meravigliosa esperienza di “Città dei Ragazzi”, un centro diurno per minori con un metodo pedagogico ed educativo innovativo di cui tanti minori dal 2005 al 2013 hanno potuto usufruire. Un progetto di formazione che, puntando alla riscoperta dei talenti inespressi e al bilancio di competenze, dedicato ai giovani e alle donne immigrate, ha permesso a tanti ragazzi di essere formati al mondo cooperativistico e d’impresa e ad un gruppo di donne analfabete e con bassa scolarizzazione di ricevere i rudimenti necessari per migliorare nella comunicazione in lingua italiana, ma anche e soprattutto ha permesso loro di avere uno spazio di incontro e di confron- «V to tutto al femminile. “La vita non è un gioco” un’iniziativa progettuale pensata per arginare la piaga sempre più grave del gioco d’azzardo che prevede una formazione specifica rivolta agli operatori parrocchiali, chiamati ad individuare i casi che necessitano di un percorso di “liberazione” dalla dipendenza. Ancora una iniziativa originale, la prima in Sicilia e in Italia, il“Temporary Social Shop”, nato con lo scopo di coniugare sviluppo locale e promozione sociale. I progetti futuri prevedono l’attivazione di un programma di Sviluppo locale e sociale, promosso ancora dalla Caritas Diocesana, che mediante la raccolta, selezione e riuso degli abiti usati permetteranno di offrire formazione ed occupazione a uomini e donne in stato di bisogno. Il progetto prevede tra l’altro l’impiego di persone in laboratori di sartoria e presso una lavanderia così detta “sociale”, ove verranno sterilizzati gli abiti destinati al riuso e ai mercatini di solidarietà. La cooperativa si sta preparando, tra l’altro, all’apertura di un proprio punto destinato all’esposizione e la vendita dei prodotti realizzati con materiali di riuso e alla realizzazione di bomboniere solidali in collaborazione con il laboratorio di ceramica e tessitura della Missione Cattolica di Blinisht- Albania. La Unakor 13, infatti, aderisce anche al Coordinamento Missionario Diocesano, istituito dal nostro Vescovo Mons. Mario Russotto, in seno al quale si occupa di attività dedicate alla cooperazione, al dialogo culturale e religioso e al turismo responsabile. Temporary social shop: modello di economia di solidarietà iviamo in un tempo in cui il denaro è diventato tanto importante, ma la sua importanza dipende dall’uso che se ne fa. Il “bisogno” irrefrenabile di acquistare innesca un meccanismo a catena: denaromerce-denaro, che provoca in una moltitudine di persone la perdita di qualsiasi valore. Dovremmo, invece, ripensare l’economia in modo nuovo, un’economia che ci permetta di ricalibrare il valore che diamo alle cose, al denaro e alle persone. Siamo convinti ormai che tutto ciò che possediamo, tutta la “merce”, tutti i servizi non solo sono utili, ma addirittura necessari. Allora perché sentiamo il bisogno di case grandi, se abbiamo un solo figlio, possedere tre telefoni se abbiamo una sola bocca, possedere due macchine se possiamo guidarne una sola? Dovremmo pensare piuttosto in modo più sobrio, dando vita ad una “Economia di solidarietà”, educando al risparmio, al rispetto ed all’acquisto consapevole, creando luoghi di scambio (di beni, di idee, di servizi), facendo crescere la voglia di poter fare insieme (cooperative, consorzi..) e sviluppando l’interesse in tutti per la cosa pubblica. Non è impossibile, gli uomini so- no capaci di grandi cambiamenti, bisogna solo iniziare dal piccolo per poter successivamente pensare che un mondo diverso è possibile!». Nasce da questa riflessione del co-Direttore della Caritas Diocesana Giuseppe Paruzzo, l’idea del primo “Temporary Social Shop” una iniziativa di solidarietà unica nel suo genere realizzata dalla Cooperativa “Unakor 13” in occasione delle festività natalizie. Un “modello economico” nato con lo scopo di coniugare sviluppo locale e promozione sociale, pensato tutto su dimensione “locale”. Nello specifico è stato allestito, un “negozio di vicinato” in cui hanno trovato spazio i prodotti delle nu- merose e piccole realtà imprenditoriali del nostro territorio, nonché i manufatti realizzati con materiali di riuso da soggetti in situazioni di marginalità sociale ed economica coinvolti dalla Cooperativa in laboratori artigianali. Ciascun produttore “locale”, nell’aderire all’iniziativa, si è impegnato a devolvere alla Caritas parte del suo guadagno (minimo 25%) per il sostegno dei progetti di promozione sociale della stessa. In tal modo si è favorita anche la cultura di un’economia locale-solidale. Inoltre, con l’apertura del Temporary Social Shop si è voluto così anche sensibilizzare la collettività verso scelte di consumo critico e di filiera corta. Il punto vendita, in quan- N.1 - GENNAIO 2014 to temporaneo, è rimasto aperto per un periodo limitato ai giorni a ridosso delle festività natalizie. Nel Temporary Social Shop si sono confezionate scatole/ceste natalizie con prodotti locali e biologici. La cittadinanza ha risposto bene, soprattutto ha gradito la doppia finalità dell’iniziativa economico-sociale e condividendone gli scopi e le obiettivi in molti hanno fatto la scelta di un regalo solidale, un gesto originale e al tempo stesso di valore e dal significato forte e duraturo nel tempo. Quando si parla di acquisti solidali, spesso le persone manifestano una certa diffidenza, non avendo un riscontro immediato, sia sulla provenienza dei prodotti, ma anche sulla destinazione del denaro derivante dalla loro commercializzazione. In questo caso, invece, trattandosi di vendita di prodotti provenienti dalle aziende locali, conosciute o comodamente accessibili si poteva facilmente risalire al percorso di produzione di ogni singolo prodotto. E per quanto riguarda le finalità sociali, le persone sono state ben liete di sostenere progetti che potranno essi stessi visionare ad accertarne l’effettiva realizzazione. Valentina Riso l’ Aurora P E R I O D I C O D E L L A D I O C E S I D I C LO SPIGOLO A L T A N I S S E T T A 11 La sanità nissena specchio di una politica miope e assente L Mobilitazione generale contro la chiusura dell’Ospedale “M. I. Longo” di Mussomeli di Roberto Mistretta ” a sanità è malata a Caltanissetta e nella sua provincia, e le varie proteste in atto a Niscemi e Mazzarino a cui si sommano quelle eclatanti organizzate a Mussomeli (nel momento in cui scriviamo la Sala consiliare è ancora occupata), sono la cartina tornasole di una politica sempre più ripiegata su se stessa e lontana anni luce dai veri bisogni della gente. Non uno solo dei cosiddetti politici che contano nella nostra provincia infatti, s’è mai fatto ricoverare, fosse solo per protesta e per un solo giorno, in uno dei nostri ospedali, così da toccare con mano le spasmodiche attese di ore e ore al Pronto soccorso dell’ospedale Sant’Elia, il diniego a partorire a Niscemi e Mazzarino, il cibo che sa di plastica visto che viene preparato altrove e portato negli ospedali in contenitori sigillati, i letti e gli armadi talmente vetusti da essere buoni per i ferrivecchi, medici ed infermieri in perenne affanno, reparti ancora lavati con acqua e liscivia e olio di gomito per fare andare gli stracci. E siamo nel 2014! È la spietata politica dei tagli ci viene detto da chi quella stessa politica la rappresenta. E se alla gente comune viene negato l’elementare e sacrosanto diritto alla vita ed alla salute, diritto per altro sancito dalla Carta Costituzionale, “chissenefrega”. Il refrain, a perenne giustificazione da parte di chi ha davvero molto da farsi perdonare da questa terra, richiama i parametri di Maastricht entro i quali dev’essere contenuta la spesa sanitaria. E quindi si richiamano i dettami di Bruxelles e il decreto Balduzzi, e l’accordo Stato Regioni. Guarda caso però, a pagare sono sempre i più deboli, le popolazioni più disagiate, gli ultimi degli ultimi. È la storia che non cambia. La storia che da millenni è uguale a se stessa, da una parte una casta di privilegiati che fa gli affari propri e dall’altra tutti gli altri, la plebe, gente senza volto né nome tranne quando c’è da chiedere il voto. La nuova bozza di Rimodulazione regionale sanitaria è impietosa verso la nostra provincia che tuttavia, paradossalmente, vede aumentare la dotazione dei posti letto, ma solo in favore di Gela. Un caso? Ognuno è libero di pensarla come crede. Tale bozza prevede per la nostra provincia due distretti: Distretto 1 con gli ospedali riuniti di Caltanissetta, San Cataldo e Mussomeli, e Distretto 2 con gli ospedali riuniti di Gela, Niscemi e Mazzarino. E questa è la proposta della nuova dotazione di posti letto. Caltanissetta e San Cataldo da 394 posti letto del 2010 (ultimo decreto di rimodulazione), passano a 380, mentre Mussomeli da 82 p.l. passa a 54. Gela da 218 sale a 275 posti letto, mentre Niscemi da 56 p.l. scende a 36 e Mazzarino da 42 scende a 36 p.l. Questo il quadro complessivo, con l’aggiunta che Mussomeli perderebbe anche il L’ospedale di Mussomeli ha un bacino d’utenza di oltre 65.000 persone, e serve 16 comuni che ricadono nella provincia di Caltanissetta, Agrigento e Palermo Punto nascite. A rischio perfino il mantenimento dell’Unità Operativa di Ostetricia (in verifica di deroga e in assenza della quale i posti letto saranno riconvertiti), e sempre a Mussomeli le Unità Operative Complesse diventerebbero Unità Operative Semplici, ovvero perderebbero i primariati. Insomma se tutti gli ospedali tranne Gela, vedono i posti letto ridotti, l’ospedale di Mussomeli è ancora più penalizzato perché diventerebbe un satellite morto dell’ospedale Sant’Elia già di suo iperintasato dalla vasta utenza. E considerata la viabilità da terzo mondo che separa Caltanissetta da Mussomeli, viene chiedersi se chi elabora tali piani e predispone i tagli, abbia mai messo piede da queste parti ed abbia percorso a bordo d’auto (gli risparmiamo il viaggio in ambulanza), il tragitto che separa il capoluogo di provincia dalla capitale del Vallone. Da qui il senso della plateale protesta che a Mussomeli ha preso avvio il 13 gennaio, a conclusione del Consiglio straordinario che ha approvato all’unanimità un ordine del giorno inviato in assessorato per difendere l’ospedale dagli ennesimi tagli, preludio ad una morte pressoché certa. Se ogni giorno diminuiamo i viveri ad una creatura, questa morirà. È una legge di natura. E poco cambia se al posto della creatura mettiamo un ospedale. L’ospedale di Mussomeli ha un bacino d’utenza di oltre 65.000 persone, e serve 16 comuni che ricadono nella provincia di Caltanissetta ma anche in quelle di Agrigento e Palermo. Un ospedale quindi che andrebbe potenziato, altro che ridurre i servizi e mantenerlo sempre in affanno di personale ed attrezzature. E di questo per altro, sono convinti tutti i sindaci del territorio. Ed infatti, alla plateale e partecipatissima protesta “Letti in piazza”, messa in campo il 18 gennaio (28 letti tanti quanti i posti letto che si vogliono ta- ” gliare, montati davanti al municipio), hanno preso parte anche i big della politica e i sindaci del territorio che si sono ritrovati a Mussomeli per difendere i posti letto dell’ospedale dall’ennesimo scippo. Era presente anche il vice presidente della VI° Commissione, Gino Joppolo accompagnato a Mussomeli dall’ex assessore regionale Giovanna Candura, che ha detto: «Recandomi personalmente a Mussomeli ho potuto constatare direttamente un’ottima struttura sanitaria per la quale di recente sono stati spesi oltre 4 milioni di euro e un livello professionale di medici e paramedici assolutamente adeguato ai bisogni di un territorio tra i più difficili della Sicilia. Mussomeli, infatti rappresenta l’ospedale di zone ricadenti in ben tre province, Caltanissetta, Agrigento e Palermo, i cui abitanti, altrimenti, dovrebbero affrontare lunghi e pericolosi viaggi. Sosterrò, a nome dell’intero gruppo parlamentare Lista Musumeci le ragioni per le quali un ospedale come quello di Mussomeli va piuttosto potenziato che ridimensionato». Presente anche il leader dei grillini, Giancarlo Cancelleri: «L’assessore e la Commissione devono assolutamente venire a Mussomeli perché sarà il momento giusto per fare capire a chi ha scritto il decreto Balduzzi, ovvero persone comodamente sedute dietro una scrivania, che tale decreto non è applicabile in un territorio come il nostro. E seppure Mussomeli dista 40 km da Caltanissetta, bisogna percorrere queste strade per rendersi conto di cosa parliamo. E se il caso, che si ricoverino anche per un giorno in questo ospedale». Tanti poi sindaci presenti. Salvatore Noto vicesindaco di Marianopoli: «È doveroso lottare tutti insieme e sostenere la popolazione che rischia di perdere un punto di riferimento per tutto il territorio. Se ci facciamo scappare queste occasioni, la povertà territoriale aumenterà». N.1 - GENNAIO 2014 Salvatore Caruso sindaco di Acquaviva Platani: «Sono qua per testimoniare che l’ospedale di Mussomeli va difeso perché questo territorio è martoriato da una pessima viabilità che rende difficoltoso raggiungere gli altri ospedali». Totò D’Anna sindaco di Campofranco: «La nostra partecipazione dà il senso della protesta. Si fanno sempre i tagli a scapito della povera gente e la popolazione è stanca e noi siamo qua per dire che il territorio ha bisogno di questo ospedale». Mario D’Amico presidente del Consiglio di Mussomeli: «La presenza oggi di tutti i sindaci è la testimonianza che quella di oggi non è la battaglia di una comunità, ma di tutta la popolazione che vive in una grande area disagiata. La nostra è una battaglia di civiltà e la politica deve riprendersi la responsabilità di dare risposte alla gente, perché la gente è stufa di scandali che coinvolgono i politici della nostra Regione». Totò Grizzanti sindaco di Sutera: «Noi siamo impegnatissimi affinché l’ospedale di Mussomeli non chiuda perché è nevralgico per tutta la nostra gente. Tutti conoscono la nostra viabilità e il nostro ospedale è baricentrico per i 15 comuni che qui afferiscono». Salvatore Lo Sardo sindaco di Bompensiere: «Mantenere aperto e vitale questo ospedale è indispensabile, ma la lotta dovrà continuare anche dopo, affinché gli utenti dei vari comuni possano agevolmente arrivarci perché siamo davvero isolati». Rosolino Ricotta vice sindaco di Vallelunga: «Il diritto alla salute dev’essere uguale per tutti. Il nostro territorio è disastrato dalla viabilità e non può essere ulteriormente penalizzato. E questo ospedale è sempre stato punto di riferimento per Vallelunga. Venerdì faremo un Consiglio straordinario proprio contro i tagli dell’ospedale». Carmelo Curto assessore di Milena: «L’eventuale chiusura di un ospedale sarebbe deleteria per tutti i cittadini e mi riferisco a tutti gli ospedali, perché salvare vite umane è importante». Francesco Onorato sindaco di Castronovo di Sicilia: «Pur essendo il nostro un comune palermitano, noi siamo vicini a questo ospedale e molti miei concittadini sono nati qua, e la sua eventuale chiusura sarebbe una gravissima perdita per noi». Presenti anche il sindaco di Villalba Alessandro Plumeri e il presidente del Consiglio Salvatore Bordenga. Il sindaco di Mussomeli Salvatore Calà: «La politica s’è mossa e posso assicurare che il 27 alle ore 16 ospiteremo a Mussomeli l’assessore Borsellino e la VI Commissione Sanità. Saranno presenti anche tutti i sindaci. Ho notizia che i posti letto non saranno tagliati ma esiste un problema che riguarda il Punto nascita, anche se abbiamo acquisito un’ulteriore proroga. Posso quindi dire che la politica non ha abbandonato questo ospedale e chiederemo di rendere efficiente il nostro ospedale, tagliando qualche ramo secco ovvero i reparti che non funzionano, e quindi rivedendo tutta l’organizzazione interna perché le rendite di primariato non devono mettere in discussione il futuro dell’ospedale» P E 12 R I O D I C O D E L L A D C E S I D I C A L T A N I S S l’ Aurora T A Pubblicato il volume di Pasquale Petix Il diritto di belare semblea costituente, che avrebbe dovuto essere eletta su base proporzionale, alla fine, ma indirettamente, non volendo la Corte impingere nella discrezionalità del legislatore, si offre una storica opportunità di rinascita morale dell’Italia. La legge elettorale che emerge intatta dalla sentenza della Corte è una legge conforme alla Costituzione, proporzionale, munita della forza di consentire agli elettori di esprimere una preferenza, (e quindi all’interno della logica referendaria nei primi anni 90). È una legge che permette di dar vita ad una legislatura costituente che si snodi sul doppio binario della proposizione di un’architettura costituzionale rinnovata e della indicazione di politiche sociali economiche e civili per il rilancio del sistema Paese. È pronta. È utile a costringere i partiti a dire chiaramente, finalmente, a tutti gli elettori dove e come vogliono condurre l’Italia. Ma è anche utile a partiti di rinnovamento per proporre a loro volta programmi di cambiamento, con la salvaguardia del principio democratico di partecipazione di tutti alla gestione del Paese. Che senso ha scontrarsi su questa o quella soglia minima, su questo o quel premietto o premione di maggioranza, su questa o quella preferenza, su questa o quella articolazione delle circoscrizioni elettorali, se l’esito è scontato e consiste della riproposizione di una classe dirigente, seppure mutata nelle persone e nelle referenze anagrafiche, che porta su di sé la responsabilità del mancato sviluppo dell’Italia, della sua inadeguatezza a fronteggiare il cambiamento globale? L’Italia può esprimere una nuova classe dirigente. Alle elezioni si deve andare con il meccanismo sopravvissuto all’incostituzionalità delle leggi elettorali per una legislatura costituente. Si lasci almeno in vita il coraggio di affermarlo, altrimenti si continui a belare I È passato il Generale Patton... e non solo Dalla prefazione di Vito Lo Monaco n questo libro l’autore usa la tecnica del flashback, riprende fatti accaduti in precedenza, per raccontare l’attualità. Per scrivere della trattativa Stato-Mafia di cui si parla nei processi per le stragi di fine novecento, narra del Generale Patton che a capo delle truppe Usa sbarca il 10 luglio del 1943 a Gela e libera la Sicilia occidentale dall’esercito mussoliniano e dai suoi alleati tedeschi ricongiungendosi a Messina con le truppe inglesi di Alexander che risalivano dal versante sud-est dell’Isola. La liberazione della Sicilia è preceduta dal lavoro di intelligence dei servizi segreti americani e inglesi che entrano in contatto con esponenti della classe dominante agraria e la sua rappresentanza politica che sarà prima separatista, poi indipendentista, liberale e democristiana. Di essa era parte integrante la mafia, la quale, colpita solo nei suoi ranghi bassi da Mori e dal fascismo, risorge a nuovo protagonismo presentandosi agli alleati come antifascista. Gli alleati, pur informati dai loro servizi sulla appartenenza alla mafia, nominarono sindaci uomini come Calogero Vizzini e tanti altri, dando inizio a una intesa tra nuova classe dirigente e mafia per conservare privilegi di classe (allora dominante era quella terriera). Il pactum sceleris si espande durante gli anni fino ad oggi e costellato da stragi (dal 1947 a Portella sino a quelle del 1992), accompagna le trasformazioni sociali, economiche e politiche della Sicilia. Il sociologo Petix scorre le varie fasi, dal banditismo sino al terrorismo politi- co-mafioso della fine del secolo scorso, evidenziando le trasformazioni del ruolo della mafia, da quello servente a quello integrato nella parte violenta della classe dirigente. Da un po’ di anni la mafia non si fa solo rappresentare politicamente passivamente da altri, comincia a designare i propri membri nell’economia legale e nelle assemblee elettive. Dal banditismo arruolato, dal separatismo sino all’autonomismo tradito e alla vicenda del Muos di Niscemi, Petix vede un solo filo storico che lega Sicilie storicamente diverse, ma sempre alla ricerca di nuova identità per recuperare quella mitica perduta. Dalla Sicilia contadina di Vittorini a quella di Sciascia e Consolo. Dai feudi e dalle miniere di zolfo e di sali potassici oggi scomparsi o chiuse e diventate ricettacolo europeo di rifiuti tossici, Petix intravede una «duplice polarità, un continuo gioco di luci e tenebre, comico e Iniziato l’anno dedicato a Francesco Spoto ome ogni anno, anche nel 2013, i Missionari servi dei Poveri, unitamente agli altri componenti la Famiglia Cusmaniana, hanno celebrato la memoria del dies natalis del Beato Padre Francesco Spoto, Martire. In effetti, dal giorno della Beatificazione, avvenuta il 21 aprile 2007, questo appuntamento annuale era stato sostituito dalla celebrazione propria della memoria del Beato, fissata al 24 settembre, giorno del suo Battesimo. Tuttavia, in questo anno, volendo attenzionare più da E T IN ULTIMA da pagina 4 C I O vicino l’evento del prossimo cinquantesimo della morte di P. Spoto, avvenuta il 27 di- cembre del 1964, con l’indizione di un “Anno Spotiano”, si è stabilita come data di ini- zio dell’Anno Giubilare proprio quella del 27 dicembre. Nel pomeriggio, presso la chiesa parrocchiale “Cuore Eucaristico di Gesù”, a Palermo, nel cui interno sono cu- stodite e venerate le reliquie del Martire, dal giorno della loro traslazione, il 21 novembre 1987, ci siamo ritrovati insieme una folta rappresentanza di Missionari provenienti dalle varie case, con i familiari del Beato, numerose suore serve dei Poveri, associati, ex allievi, amici e devoti. Ha presieduto la solenne Eucarestia, l’Em.mo Card. Paolo Romeo, Arcivescovo di Palermo, agli inizi del cui Ministero pastorale, avvenne il Rito di Beatificazione dello Spoto. N.1 - GENNAIO 2014 Salvatore Fiumanò tragico, canto e disincanto». Nell’autore non c’è alcun cedimento al pessimismo, tanto è vero che citando Marx mette in rilievo che le continue dominazioni straniere nei secoli non hanno prodotto alcuna natura servile dei siciliani, come dimostrano la partecipazione al Risorgimento, ai Fasci siciliani, al movimento per la riforma agraria nel secondo dopoguerra. E alla Sicilia dei Basile e dei Florio, «sinonimo di qualità, di innovazione tecnologica, di correttezza degli affari, di apertura al mercato globale», quella a cui pensa Petix. E la Sicilia «metafora del mondo e che rappresenta tutti i Sud». Pasquale Petix è riuscito a sintetizzare in un piccolo libro una grande storia. Leggerlo, proporlo alle nuove generazioni è l’occasione per una decisa sollecitazione a non abbassare la guardia. La Sicilia può cambiare, deve cambiare, sta cambiando come dimostrano la crescita e la diffusione di una nuova coscienza critica antimafiosa anche tra quei ceti borghesi più indifferenti o contigui. Si tratta di mantenere salda la convinzione che, solo cambiando cultura e sistema di produzione della ricchezza al quale non deve mai essere estraneo, come sancisce la Costituzione, il suo fine sociale, è possibile dare un futuro più democratico al Paese e all’Europa. Nell’era della globalizzazione asservita al dio Mercato, grazie a una concezione neoliberista che ha pervaso trasversalmente destra e sinistra, il processo educativo assume rilevanza assoluta. Se l’educazione è politica cioè guarda alla «Polis», al bene comune, la politica diventa educazione. E l’unica strada per liberare il Paradiso-Sicilia dai diavoli. Aurora l’ DIRETTORE RESPONSABILE Giuseppe La Placa CAPO REDAZIONE Crispino Sanfilippo SITO WEB www.diocesicaltanissetta.it E-MAIL [email protected] TELEFONO 0934 21446 PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE Salvatore Tirrito - Curia Vescovile Caltanissetta STAMPA Tipolitografia Paruzzo Zona Industriale - Caltanissetta
© Copyright 2024 Paperzz