unità

unità
F4
Ottica geometrica
A
dottare il modello a raggio della luce
consente di apprendere facilmente il
comportamento di sistemi ottici quali lenti e
specchi.
prerequisiti



propagazione delle onde luminose
riflessione e rifrazione
spettro dell’onda luminosa
4.1 Modello a raggio della luce
La propagazione della luce è descritta mediante rette geometriche
chiamate raggi luminosi.
4.2 Riflessione ottica
Comportamento dei raggi luminosi quando incontrano
sulla loro traiettoria rettilinea una superficie riflettente.
4.3 Riflessione con specchi
Analisi del meccanismo che comporta la formazioni delle immagini
allo specchio.
4.4 Rifrazione ottica
Comportamento dei raggi luminosi quando attraversano mezzi di
propagazione diversi.
4.5 Rifrazione con lenti
Influenza della lente sulla propagazione dei raggi luminosi.
UNITÀ F4 - OTTICA GEOMETRICA
4.1
Modello a raggio della luce
Il modello a raggio della luce è strutturato secondo le seguenti condizioni:
1) la luce si propaga lungo linee rette chiamate raggi luminosi, di spessore
trascurabile;
2) l’intersezione di due o più raggi luminosi non provoca alterazioni della loro
traiettoria rettilinea;
3) il verso di propagazione dei raggi luminosi è ininfluente sul fenomeno ottico
originato dal raggio stesso (principio di reciprocità del percorso ottico).
Se guardiamo la luce emessa da una lampadina o una candela, osserviamo
che non è affatto composta da raggi. Ricordiamo però che il modello a raggio è un modello fisico e, come tale, ha come obiettivo la semplificazione
della realtà. L’esempio reale di propagazione luminosa più vicino al modello a raggio è il raggio laser (fig. 4.1) che, appunto, si propaga in linea retta
con spessore trascurabile; inoltre, è
facilmente riproducibile in qualsiasi laboratorio, diventando quindi la
sorgente luminosa ideale per studiare i fenomeni dell’Ottica geometrica.
Siccome la luce è modellata come
un fascio di raggi che si propagano secondo linee rette, i fenomeni
luminosi si descrivono bene con il
supporto della geometria: questo è
il motivo per cui si indica la parte di
Ottica che sfrutta il modello a raggio
con il termine di Ottica geometrica.
Figura 4.1
Il raggio laser è il fenomeno
reale che meglio approssima la
luce secondo il modello adottato
dall’Ottica geometrica.
 Interazione tra luce e materia
Ricorriamo al modello a raggio per spiegare il meccanismo che consente a
un generico osservatore di vedere l’ambiente circostante quando è illuminato.
Consideriamo una sorgente luminosa, cioè un corpo che emette luce, come per
esempio una lampadina, una candela o lo stesso Sole. Secondo il modello, i
raggi della sorgente luminosa impattano su un determinato oggetto (che definiamo corpo illuminato) e alcuni raggi riflessi (o tutti)
giungono agli occhi dell’osservatore. Per questo egli
osservatore
“vede” il corpo illuminato. La figura 4.2 mostra come
l’osservatore vede un oggetto considerando il percorso
di un singolo raggio.
Quando i raggi luminosi illuminano un corpo, non
vengono solo riflessi: i raggi possono essere assorbiti, come succede quando illuminano una pianta
generando un’ombra sul terreno, o possono essere
trasmessi quando il corpo illuminato è trasparente,
come il vetro di una finestra. La figura 4.3 riassume
i comportamenti dei corpi quando sono illuminati (in
questo caso dal Sole), comportamenti che osserviamo
quotidianamente.
Figura 4.2
Impatto e riflessione di un singolo
raggio luminoso che “partecipa”
alla visione di un corpo quando è
illuminato.
sorgente
luminosa
corpo
illuminato
681
682
MODULO F - ONDE
Figura 4.3
L’interazione della luce solare con
la materia: si osservano fenomeni
di trasmissione, di assorbimento
e di riflessione dei raggi luminosi.
i raggi del sole
attraversano lo spazio
interplanetario senza
interazioni
le nuvole assorbono e
diffondono una parte della
luce solare
la luce viene riflessa e in parte
assorbita dall’acqua. L’assorbimento
aumenta con il crescere della
profondità
la luce solare attraversa l’atmosfera venendo
in parte assorbita e in parte diffusa ad opera
delle molecole dell’aria e del vapore e delle
particelle di polvere
le superfici opache riflettono,
assorbono e diffondono
la luce solare. Il fenomeno
dell’ombra è causato
dall’impossibilità di
trasmissione della luce
 Intensità luminosa
La luce, durante la sua propagazione, trasporta energia definita energia luminosa, coinvolta, a seconda dei casi, nei fenomeni di riflessione, assorbimento e
trasmissione precedentemente accennati.
Per quantificare la porzione di energia riflessa, assorbita o trasmessa durante
l’illuminazione del corpo, si introduce la grandezza fisica scalare intensità luminosa. Ipotizziamo che un raggio con energia luminosa E giunga perpendicolarmente su una superficie di area S illuminandola per un intervallo di tempo t.
Si definisce intensità luminosa I il rapporto
I
E
S t
(4.1)
Le unità di misura sono: il joule su metro quadro su secondo (simbolo J m–2 s–1)
oppure il watt su metro quadro (in simboli W m–2). Se nella (4.1) poniamo
S = 1 m2 e t = 1 s, otteniamo la seguente uguaglianza
IE
che fornisce la seguente alternativa definizione di intensità luminosa:
l’intensità luminosa è l’energia trasportata da un raggio che impatta perpendicolarmente su un metro quadrato di superficie nell’intervallo di tempo di
un secondo.
Per meglio comprendere l’interazione tra luce e materia osserviamo la figura
4.4 che schematizza la quantità di energia luminosa distribuita tra luce riflessa
e luce assorbita in un materiale (l’energia è quantificata dallo spessore delle
frecce). Questa distribuzione energetica è descritta pure dal grafico dell’andamento dell’intensità luminosa in funzione della distanza x rispetto l’interfaccia
aria-corpo.
Sulla superficie incide il raggio con intensità Ii che viene riflesso in un raggio di
intensità Ir causando una diminuzione dell’intensità (vedere gradino che assume
il grafico sull’asse delle ordinate). Oltre l’interfaccia, l’intensità diminuisce per il
progressivo assorbimento del materiale, come indica l’andamento discendente
UNITÀ F4 - OTTICA GEOMETRICA
del grafico; viceversa, nel materiale l’intensità
assorbita Ia aumenta con la distanza x.
A questo punto è abbastanza ovvio prevedere
che la distribuzione di energia, e quindi dell’intensità, dipenda dal tipo di materiale illuminato, come andiamo a mostrare.
luce
incidente
aria
materiale
luce assorbita
luce riflessa
I
Ir
 Classificazione dei materiali
rispetto all’interazione
con la luce
In relazione al comportamento della luce
quando interagisce con un generico corpo o
materiale, definito mezzo di propagazione (o
semplicemente mezzo), si stabilisce la seguente classificazione.



Ia
Ii
x
x
Mezzo opaco: predomina l’effetto di assorbimento; se interposto tra occhio
e sorgente luminosa, la sorgente è oscurata.
Mezzo trasparente: predomina l’effetto di trasmissione; se interposto tra
occhio e sorgente luminosa, consente la visione della sorgente.
Mezzo riflettente: predomina l’effetto di riflessione.
Figura 4.4
Distribuzione dell’energia e, quindi, dell’intensità luminosa trasportata da un raggio luminoso in aria
che impatta la superficie di un
corpo composto da un determinato materiale. In questo caso la
luce trasmessa si tramuta tutta in
luce assorbita, a causa dell’elevato
spessore del materiale, che impedisce alla luce di oltrepassarlo.
Le caratteristiche di trasparenza e di opacità non sono assolute. Solo il vuoto
permette la trasmissione della luce senza assorbimento e, dunque, è considerato un mezzo di propagazione perfettamente trasparente. Anche mezzi notoriamente trasparenti, come l’acqua e il vetro, assorbono intensità luminosa: in
particolare, se i loro spessori sono considerevoli, si comportano come mezzi
opachi. Nel paragrafo 4.4 definiremo un parametro, l’indice di rifrazione, che
quantifica la componente di opacità nei mezzi trasparenti.
Infine, ottimo mezzo riflettente è una qualsiasi superficie di metallo levigata
e lucidata come è il comune specchio, con il suo massimo potere riflettente
(par. 4.3).
Dopo avere modellato la luce come un raggio, descriviamo il fenomeno luminoso
più semplice: un raggio che incontra una superficie riflettente.
4.2
Riflessione ottica
Introduciamo le due leggi su cui si costruisce l’Ottica geometrica.
 Leggi della riflessione
Ipotizziamo la seguente interazione tra luce e materiale: inviamo su una superficie piana riflettente un raggio luminoso, per esempio un raggio laser, come
schematizzato in figura 4.5. Osserviamo che dal punto P di impatto del raggio
incidente con la superficie emerge un raggio riflesso (vedere frecce che indicano la direzione dei raggi): entrambi i raggi formano, con la retta normale alla
683
684
MODULO F - ONDE
superficie, due angoli: l’angolo i chiamato angolo di incidenza e l’angolo rs
chiamato angolo di riflessione.
Figura 4.5
Le leggi della riflessione: (a) i
raggi incidente e riflesso e la retta
normale alla superficie sono complanari; (b) gli angoli di incidenza
e riflessione sono uguali.
raggio
incidente
n
i
raggio
riflesso
raggio
incidente
rs
i
raggio
riflesso
n
qi
P
q rs
rs
P
a
b
Abbiamo quindi ottenuto una riflessione del raggio luminoso, il più semplice
tra i fenomeni ottici, caratterizzato dalle seguenti due leggi.
La legge del piano afferma che
il raggio incidente, il raggio riflesso e la retta normale giacciono sul medesimo piano.
Figura 4.6
Validità delle leggi di riflessione
per una superficie curva.
La legge degli angoli afferma che
l’angolo di incidenza i e l’angolo di riflessione rs sono uguali.
i
raggio
incidente
n
qi
q rs
R
P
raggio
riflesso
rs
Le leggi di riflessione sono valide anche per superfici riflettenti curve, come mostrato in figura 4.6: in
questo caso, la normale è perpendicolare al piano
tangente nel punto P di incidenza sulla superficie.
Infatti, possiamo considerare una qualsiasi superficie curva come una porzione di una superficie
sferica (linea tratteggiata in figura): il raggio di
curvatura R della superficie curva coincide con il
raggio della sfera immaginaria e la normale n è il
suo prolungamento.
 Riflessione su superficie scabra: diffusione
Figura 4.7
Una superficie scabra comporta
la diffusione di raggi riflessi che si
propagano in varie direzioni.
Analizziamo il fenomeno della riflessione considerando una superficie non più
liscia e levigata, ma una superficie scabra, come per esempio un foglio di carta.
Può stupire che si parli di scabrosità
di un foglio di carta: ma una qualsiasi superficie che al tatto e all’occhio
appare liscia, in realtà, a livello microscopico, presenta asperità irregolari.
In figura 4.7 è ingigantita una porzione infinitesima di una superficie scabra, dove appare una curva irregolare
come quella della figura 4.6. Ogni
raggio si comporta secondo le leggi
UNITÀ F4 - OTTICA GEOMETRICA
di riflessione e, siccome le rette normali alla superficie nei punti di impatto
assumono direzioni variabili, pure i raggi riflessi assumono diverse direzioni,
determinando un complessivo loro rimescolamento o, meglio, un disordinato
incrocio. Questa riflessione disordinata è definita diffusione.
La figura 4.8 mostra la differente percezione visiva fra la riflessione su una
superficie liscia e la diffusione su una superficie scabra: nel caso della superficie liscia, i nostri occhi “catturano” i raggi riflessi solo se ci poniamo dalla
parte opposta alla sorgente luminosa rispetto alla retta normale; su una superficie scabra i raggi riflessi assumono direzioni irregolari e dunque saranno percepiti dai nostri occhi in qualsiasi posizione ci collochiamo. È per il fenomeno
della diffusione, quindi, che vediamo un corpo illuminato indipendentemente
dalla posizione in cui ci troviamo.
Figura 4.8
Confronto tra il fenomeno della
riflessione e quello della diffusione: (a) nella riflessione l’osservatore percepisce i raggi riflessi solo
se si pone dalla parte opposta di
quelli incidenti rispetto alla retta
normale; (b) nella diffusione l’osservatore percepisce i raggi riflessi da qualsiasi posizione.
a
superficie riflettente
superficie diffondente
b
Un esempio molto evidente del fenomeno è quando i fari delle auto illuminano
l’asfalto della strada. Se l’asfalto è bagnato, l’acqua forma uno strato lucido
(come un metallo levigato) e i raggi prodotti dai fari si riflettono in una unica
direzione, comportando forti bagliori localizzati. Se la strada è asciutta, i raggi
dei fari impattano sulle asperità irregolari dell’asfalto, creando un fenomeno di
diffusione con conseguente assenza di bagliori intensi e localizzati.
Problema svolto 4.1
In figura, un raggio luminoso incide su una superficie riflettente con un
angolo di incidenza di 30°. La superficie è poi ruotata di un angolo .
Determinare di quale angolo ruota il nuovo raggio riflesso rispetto al raggio incidente.
In figura sono rappresentate la superficie S nella posizione iniziale con la
sua normale n e la superficie S' ruotata
di  con la nuova normale n'. In figura
sono anche mostrati il raggio incidente i, formante un angolo di 30° rispetto
a n e il raggio riflesso r, formante un
angolo uguale a quello di incidenza. Il
raggio i forma, rispetto a n', un angolo
di 30° +, come pure il raggio riflesso
r'. Quindi, poiché r forma con n' un
angolo di 30° –, il raggio riflesso r'
forma con r un angolo di
Figura 4.9
n
i
a
30°
S'
S
a
(30   )  (30   )  2
n'
r
r'
685
686
MODULO F - ONDE
Apprese le leggi della riflessione, siamo in grado di studiare fenomeni luminosi più
complessi e comprendere, per esempio, perché appare la nostra immagine quando
ci specchiamo.
4.3
Riflessione con specchi
Specchiarsi è un’esperienza comune a tutti. Con le leggi della riflessione spieghiamo la formazione dell’immagine di un qualsiasi corpo posto di fronte
a una superficie riflettente. Iniziamo con il caso più semplice, quello dello
specchio a superficie piana, per poi passare a quello con superficie curva (più
precisamente sferica).
 Formazione dell’immagine nello specchio piano
Prendiamo come riferimento la figura 4.10. Una sorgente luminosa S, definita oggetto, emette raggi luminosi che si riflettono sulla superficie di uno
specchio piano, secondo le leggi della riflessione, e arrivano agli occhi dell’osservatore (indicato in figura da un occhio). Osserviamo che i raggi riflessi
divergono tra loro. Se li prolunghiamo dietro lo specchio (linee a tratto),
osserviamo che convergono in un punto S', esattamente simmetrico al punto
in cui è collocato l’oggetto S. L’osservatore, ricevendo i raggi riflessi, vede l’oggetto S come se fosse dietro lo specchio esattamente nel punto S'. L’oggetto S,
visto nel punto S', è definito immagine. Si tratta di una copia virtuale dell’oggetto, perché l’oggetto che appare in S' è fittizio, cioè in realtà non esiste. Dalla
stessa figura, notiamo che la percezione della posizione dell’immagine risulta
uguale, indipendentemente dalla posizione dell’osservatore. Questo significa
che l’oggetto S e l’immagine S' mantengono sempre una distanza uguale dallo
specchio rispetto alla retta congiungente e perpendicolare al piano riflettente.
In altri termini, la sorgente e l’immagine sono sempre simmetriche rispetto
allo specchio piano.
I diagrammi che comprendono oggetti ottici, come specchi, mezzi trasparenti
(par. 4.4), lenti (par. 4.5), e le traiettorie di uno o più raggi luminosi emessi da
una sorgente luminosa, sono definiti diagrammi dei raggi.
Figura 4.10
Oggetto S posto davanti a uno
specchio piano. La formazione
dell’immagine S' avviene tramite
prolungamento e intersezione dei
raggi riflessi.
S'
S
UNITÀ F4 - OTTICA GEOMETRICA
Dimostrazione 4.1
Dimostriamo la simmetria tra oggetto e immagine con l’ausilio del diagramma dei raggi di figura 4.11.
Indichiamo con do la distanza tra
oggetto e specchio e con di quella tra
immagine e specchio. Consideriamo
il punto P alla sommità dell’oggettopiantina: da esso un raggio parte,
viene riflesso dallo specchio e giunge
all’osservatore. Prolunghiamo all’inA
q
q
q
dietro il raggio riflesso fino al punto
j j
P' dell’immagine-piantina. Per le leggi
P
P'
della riflessione, se l’angolo di incido
Q di
denza è , pure l’angolo di riflessione
è . La retta che congiunge l’osservatore con il punto P' forma, con
la retta normale allo specchio, un
uguale angolo  dietro lo specchio, e
dunque pure gli angoli  sono uguali.
I triangoli rettangoli PAQ e P'AQ hanno uguale il cateto AQ, l’angolo  e l’angolo retto e, quindi, per il secondo criterio di uguaglianza dei triangoli, sono due
triangoli uguali. Ne consegue l’uguaglianza do = di e, di conseguenza, i punti P
(oggetto) e P' (immagine) sono simmetrici.
Figura 4.11
Dimostrazione della simmetria tra
oggetto e immagine rispetto allo
specchio piano.
Come ulteriore esempio, la figura 4.12 mostra la costruzione dell’immagine
di una persona che si specchia. Si deve immaginare che ogni punto dell’oggetto, in questo caso il corpo della persona, sia una sorgente luminosa. Per
ogni punto-oggetto si traccia il raggio incidente, in modo che il raggio riflesso
giunga agli occhi della persona. Si procede quindi alla costruzione del relativo
punto-immagine tramite il prolungamento del raggio riflesso, come in figura
4.10. Si ripete la costruzione per tutti i punti della persona.
Figura 4.12
Formazione dell’immagine virtuale di una persona allo specchio
piano. La costruzione è valida per
qualsiasi oggetto.
specchio
oggetto
immagine
Caratteristica particolare e ben conosciuta dello specchio è la formazione di
un’immagine speculare dell’oggetto (fig. 4.13): se per esempio ci specchiamo e
alziamo la mano destra, la nostra immagine allo specchio appare con la “sua”
687
688
MODULO F - ONDE
mano sinistra alzata. Oppure se specchiamo la pagina di un libro, i caratteri
appaiono scritti alla rovescia. Esempio classico sono i manoscritti di Leonardo
Da Vinci, che per essere letti devono essere posti davanti a uno specchio.
Figura 4.13
L’immagine restituita dallo specchio piano è speculare rispetto
all’oggetto stesso (in questo caso
la ballerina).
Riassumendo:
posto un oggetto davanti a uno specchio piano, un osservatore, qualsiasi sia
la sua posizione, vede sulla superficie riflettente una copia dell’oggetto delle
stesse dimensioni, virtuale, simmetrica e speculare.
Inoltre, si classifica l’immagine come:


reale, costituita dall’insieme dei punti individuati dall’intersezione dei raggi
riflessi (indicati nel diagramma dei raggi con linee continue);
virtuale, costituita dall’insieme dei punti individuati dall’intersezione dei
prolungamenti dei raggi riflessi (indicati nel diagramma dei raggi con linee a
tratto). La specificazione “virtuale” deriva dal fatto che la relativa immagine
non può essere raccolta su uno schermo.
Problema svolto 4.2
Figura 4.14
In figura, Luca è alto AB = 1,80 m
e si guarda in uno specchio piano.
I suoi occhi sono alla distanza
OB = 1,70 m dal suolo. Determinare
l’altezza minima dello specchio e
la distanza che il bordo inferiore dello specchio deve avere dal
suolo, affinché Luca possa vedere
per intero la sua immagine riflessa
nello specchio.
Luca vede per intero la sua immagine
(virtuale) nello specchio se i raggi
tracciati dalle estremità A e B, dopo la
riflessione, arrivano fino all’occhio O.
G
A
D
O
E
qr
qi
B
C
F
UNITÀ F4 - OTTICA GEOMETRICA
Tracciamo i raggi rispettando le leggi della riflessione:
- il raggio da B incide in C e viene riflesso in O;
- il raggio da A incide in D e viene riflesso in O.
Poiché l’angolo di incidenza i è uguale a quello di riflessione r, i triangoli
OCE e BCE sono uguali. Quindi
CF 
OB 1, 70 m

 85, 0 cm
2
2
DG 
AO 10,0 cm

 5, 00 cm
2
2
Per lo stesso motivo
quindi
CD  90, 0 cm
I risultati trovati hanno valenza generale: una persona si vede per intero in uno
specchio se lo specchio ha un’altezza pari alla metà della statura della persona
e se il bordo inferiore è collocato a una distanza dal suolo pari alla metà della
distanza occhi-suolo.
Osserviamo infine che i risultati ottenuti non dipendono dalla distanza della
persona dallo specchio.
 Specchio sferico
Consideriamo la riflessione nel caso di specchio con superficie riflettente
curva. La figura 4.15a mostra uno specchio curvo con superficie riflettente
interna (specchio concavo) e la figura 4.15b uno specchio con superficie
riflettente esterna (specchio convesso). Nelle due figure la superficie curva
riflettente ha la forma di calotta sferica: da qui la denominazione di specchio
sferico, che prendiamo come prototipo per la nostra analisi.
Per entrambi gli specchi sono definiti i seguenti parametri (evidenziati in figura 4.15).


Centro di curvatura C: centro della sfera a cui appartiene la superficie
riflettente dello specchio; la sua posizione rispetto alla superficie riflettente
consente di distinguere fra specchio convesso e concavo.
Raggio di curvatura R: distanza tra C e un punto qualsiasi della calotta
riflettente (in altri termini è il raggio della sfera); per convenzione si pone R
positivo per lo specchio concavo ed R negativo per quello convesso.

Asse ottico: asse di simmetria della superficie riflettente che passa per C.

Vertice V: punto di intersezione tra asse ottico e superficie riflettente.

ˆ : angolo formato da due rette che congiungono il
Angolo di apertura ACB
centro di curvatura con una coppia di punti tra loro opposti rispetto all’asse
ottico del bordo della superficie riflettente (fig. 4.15c).
689
690
MODULO F - ONDE
R
R
C
asse ottico
V
V
asse ottico
superficie
riflettente
C
superficie
riflettente
a
b
A
C
centro
di curvatura
centro
di curvatura
Figura 4.15
Specchio curvo di tipo sferico: (a)
concavo, dove il centro C è dalla
medesima parte della superficie
riflettente; (b) convesso, dove il
centro C è dalla parte opposta
della superficie riflettente; (c)
angolo di apertura.
angolo di
apertura
B
c
Impostiamo la nostra analisi dello specchio sferico adottando le seguenti
approssimazioni di Gauss:
a) minimo angolo di apertura, in modo tale che la superficie riflettente sia piccola rispetto alla superficie della sfera a cui appartiene;
b) raggi luminosi incidenti sulla superficie riflettente poco inclinati, in modo
tale che siano “quasi” paralleli all’asse ottico.
Se, rispettando le approssimazioni di Gauss, inviamo un fascio di raggi luminosi paralleli all’asse ottico sulla superficie riflettente, si evidenzia una proprietà caratteristica dello specchio sferico (fig. 4.16a). Nei punti di impatto dei
raggi con la superficie riflettente, la retta normale allo specchio (linea a tratto)
è perpendicolare al piano tangente in quel punto e passa per il centro di curvatura C. Costruendo i raggi riflessi secondo le leggi della riflessione, osserviamo
che essi convergono tutti in un unico punto dell’asse ottico, che definiamo
fuoco F dello specchio. La misura sull’asse ottico della lunghezza tra il vertice
V e il fuoco F è chiamata distanza focale f.
Figura 4.16
Determinazione del fuoco nello
specchio sferico: (a) specchio
concavo.
C
F
V
f
a
Naturalmente una sorgente luminosa, posizionata nel fuoco di uno specchio
concavo, genera un fascio di raggi incidenti i cui raggi riflessi si allontanano
dallo specchio parallelamente all’asse ottico.
Questo percorso “al contrario” dei raggi luminosi è dovuto al modello ottico,
che prevede assenza di versi preferenziali per i raggi luminosi (principio di reciprocità del percorso ottico, condizione 3 del modello). Quindi la geometria della
propagazione dei raggi è valida anche in verso contrario: se partono dal fuoco,
i raggi incidono sullo specchio e si allontanano parallelamente all’asse ottico.
UNITÀ F4 - OTTICA GEOMETRICA
La figura 4.16b mostra la determinazione del fuoco e della conseguente distanza focale per lo specchio convesso. In questo caso i raggi riflessi divergono,
come se provenissero da un punto dietro lo specchio. Questo punto è il fuoco
dello specchio convesso ed è il punto di incontro dei raggi riflessi prolungati:
per questo motivo è definito fuoco virtuale, per analogia con la definizione di
immagine virtuale, che prevede appunto la sua costruzione tramite il prolungamento dei raggi riflessi.
Come per lo specchio concavo, la distanza focale si misura tra i punti V ed F.
Figura 4.16
Determinazione del fuoco nello
specchio sferico: (b) specchio
convesso (fuoco virtuale).
F
V
C
f
b
Più avanti dimostreremo che la distanza focale nello specchio sferico è la metà
del raggio di curvatura: per il momento fidiamoci di tale affermazione e scriviamo che
f 
R
2
(4.2)
dove, ricordiamo che, per convenzione per lo specchio concavo (convesso), R
ha segno positivo (negativo).
 Costruzione dell’immagine nello specchio sferico
Le caratteristiche dell’immagine formata dallo specchio sferico sono più variegate dell’immagine creata dallo specchio piano: l’immagine può essere dritta
o capovolta, ingrandita o rimpicciolita, più vicina o più lontana rispetto alla
distanza dell’oggetto dallo specchio.
Per la costruzione dell’immagine nello specchio sferico si utilizzano tre raggi
incidenti sulla superficie riflettente, chiamati raggi principali, tracciati
nella figura 4.17a per lo specchio concavo e nella figura 4.17b per quello
convesso. Andiamo a descrivere questi raggi.



Raggio p: raggio incidente parallelo all’asse ottico (si riflette nel fuoco).
Raggio f: raggio incidente passante per il fuoco (si riflette parallelamente
all’asse ottico).
Raggio c: raggio incidente passante per il centro di curvatura (si riflette su
se stesso).
691
692
MODULO F - ONDE
Per lo specchio convesso occorre considerare i prolungamenti dei raggi (linee
a tratto) come mostrato in figura 4.17b.
Figura 4.17
Raggi principali dello specchio
sferico per la costruzione dell’immagine: (a) specchio concavo;
(b) specchio convesso.
raggio p
raggio c
raggio p
raggio f
raggio c
F
C
C
F
raggio f
a
b
L’intersezione dei raggi riflessi provocati dai tre raggi principali originati da un
qualsiasi punto-oggetto determina il relativo punto-immagine, come andiamo
a dimostrare.
Iniziamo con la costruzione dell’immagine nel caso dello specchio convesso
(fig. 4.18). L’oggetto è rappresentato da una freccia rossa. Scegliamo come
punto oggetto la punta della freccia, da cui facciamo partire i tre raggi principali. Il punto-immagine P' è determinato dall’intersezione dei prolungamenti
dei raggi riflessi.
Figura 4.18
Costruzione dell’immagine nello
specchio convesso.
raggio c
raggio p
raggio f
oggetto
immagine
F
C
Lo specchio convesso comporta quindi un’immagine che, come sappiamo, è
virtuale, ma che è rimpicciolita rispetto alle dimensioni dell’oggetto.
La riduzione delle dimensioni si accentua allontanando l’oggetto dallo specchio. Se invece lo avviciniamo, la dimensione dell’immagine virtuale tende a
diventare uguale a quello dell’oggetto.
Esempi di specchi convessi sono gli specchi agli incroci stradali e gli specchietti retrovisori delle auto: entrambi devono offrire, con una piccola superficie
riflettente, la visione di ampi spazi e lo possono fare solo se rimpiccioliscono
l’immagine.
Passiamo in figura 4.19 alla costruzione dell’immagine per lo specchio concavo.
In questo caso le caratteristiche dell’immagine dipendono dalla posizione che
occupa l’oggetto rispetto allo specchio. Presentiamo tre casi significativi.

Oggetto esterno al centro di curvatura (fig. 4.19a): l’immagine si colloca tra il
centro e il fuoco, è capovolta e rimpicciolita; essendo la costruzione dovuta
all’intersezione di raggi riflessi non prolungati, si tratta di un’immagine reale.
UNITÀ F4 - OTTICA GEOMETRICA
Oggetto posto tra centro di curvatura e fuoco (fig. 4.19b): l’immagine si colloca all’esterno del centro, è capovolta, ingrandita e reale.

Oggetto tra fuoco e vertice (fig. 4.19c): l’immagine si colloca dietro lo specchio, è dritta, ingrandita e virtuale, dato che la costruzione è dovuta ai prolungamenti dei raggi riflessi.

raggio p
raggio p
oggetto
raggio f
C
Figura 4.19
Costruzione dell’immagine nello
specchio concavo: (a) oggetto
oltre il centro; (b) oggetto tra centro e fuoco; (c) oggetto tra fuoco
e vertice.
oggetto
F
C
immagine
raggio f
F
immagine
a
b
raggio f
raggio c
C
F
oggetto
immagine
raggio p
c
 Equazione degli specchi
Abbiamo ottenuto le immagini degli specchi sferici tramite costruzioni geometriche ottenute intersecando almeno due raggi principali. Come era prevedibile, le caratteristiche dell’immagine sono in funzione della distanza tra lo
specchio e l’oggetto e della distanza tra lo specchio e l’immagine, entrambe
misurate sull’asse ottico. Quindi è utile ricavare una relazione matematica tra
queste due distanze e la geometria dello specchio.
Per farlo, scegliamo lo specchio concavo di figura 4.20. La strategia per la
deduzione rimane valida comunque anche per lo specchio convesso.
p
p
ho
oggetto
C
hi
q
q
F
j
oggetto
V
R
(R - q)
ho
C
j
q
hi
p-R
immagine
immagine
q
a
Figura 4.20
Deduzione dell’equazione degli
specchi nel caso dello specchio
concavo: (a) diagramma dei
raggi per dedurre la formula 4.3a;
(b) diagramma dei raggi che utilizza il raggio principale c per dedurre la formula 4.3b.
b
F
V
693
694
MODULO F - ONDE
In figura 4.20a, la freccia rossa è l’oggetto di altezza ho, che ipotizziamo si
trovi a una distanza p dal vertice (misurata sull’asse ottico). L’immagine con
altezza hi è capovolta e si colloca in una posizione distante q dal vertice. Per
convenzione, in caso di immagine capovolta, la sua altezza si esprime con un
valore negativo: a tale proposito scriveremo –hi per rendere l’altezza positiva.
Il raggio di curvatura è R  CV.
Consideriamo il raggio luminoso che dalla punta della freccia-oggetto incide
sulla superficie riflettente nel punto V con un angolo di incidenza . Il raggio
riflesso partirà da V con un medesimo angolo di riflessione  per passare per la
punta della freccia-immagine. I due raggi formano i due triangoli rettangoli colorati in verde che hanno due angoli uguali (l’angolo retto e l’angolo acuto ): per
il primo criterio di similitudine dei triangoli sono quindi simili. La similitudine
implica l’uguaglianza tra i rapporti delle seguenti coppie di cateti
ho hi

p
q
da cui
ho
p

hi q
(4.3a)
In figura 4.20b, con il raggio principale c si definiscono i due triangoli rettangoli colorati in giallo. Anche in questo caso vi sono due angoli uguali (l’angolo
retto e l’angolo acuto ) e dunque i triangoli sono simili. I rapporti fra i cateti
rispettano l’uguaglianza
ho
hi

pR Rq
da cui
ho
pR

hi R  q
I membri a sinistra delle (4.3) sono uguali e dunque
p pR

q Rq
Con qualche passaggio algebrico la relazione diventa
1
1
R
p
R
1
q
consentendo l’uguaglianza tra numeratore e denominatore
1
quindi
R R
 1
p q
R R
 2
p q
(4.3b)
UNITÀ F4 - OTTICA GEOMETRICA
Dividiamo infine per R e applichiamo la (4.2) per ottenere l’annunciata equazione degli specchi
1 1 1
 
p q f
(4.4a)
che pone in relazione la distanza dell’oggetto dallo specchio con quella dell’immagine.
Isolando la distanza q nella (4.4), otteniamo la distanza dell’immagine dallo
specchio in funzione della posizione dell’oggetto sull’asse ottico
q
f p
p f
(4.4b)
Precisiamo che la (4.4) è valida in generale, anche per gli specchi convessi,
dove ricordiamo che f è negativa essendo pure R negativo.
Per le convenzioni accennate, abbiamo dunque la seguente regola generale
le distanze, misurate sull’asse ottico, tra specchio e immagine virtuale (q) e
tra specchio e fuoco virtuale (f) nell’equazione degli specchi risultano con
segno negativo.
 Ingrandimento lineare
Per la costruzione dell’immagine abbiamo impiegato come prototipo dell’oggetto un segmento perpendicolare all’asse ottico (una freccia). In certe condizioni
l’immagine di questo segmento si allunga o si accorcia. A tale riguardo
si definisce ingrandimento lineare G il rapporto tra la lunghezza dell’immagine e la lunghezza dell’oggetto
cioè
G
hi
ho
(4.5a)
Esprimendo la formula in funzione dei parametri q e p contenuti nell’equazione degli specchi, dalla (4.3a) otteniamo
G
q
p
(4.5b)
Per convenzione si stabilisce che
l’ingrandimento G è negativo se l’immagine è capovolta.
Il segno dell’ingrandimento, secondo la (4.5b), indica se l’immagine è dritta o
capovolta. Infatti


se q > 0, cioè l’immagine è reale, G < 0 e l’immagine è capovolta (fig. 4.19a,
4.19b)
se q < 0, cioè l’immagine è virtuale, G > 0 e l’immagine è dritta (fig. 4.19c)
695
696
MODULO F - ONDE
Sempre secondo la (4.5b) il valore di G indica se l’immagine rispetto l’oggetto
è ingrandita, rimpicciolita o rimane inalterata. Infatti se

|G| > 1, l’immagine è ingrandita

0 < |G| < 1, l’immagine è rimpicciolita

|G| = 1, l’immagine è identica

G = 0, l’immagine è puntiforme
In generale, per ingrandimento lineare di uno specchio curvo si intende il
rapporto tra la misura di una dimensione dell’immagine e la corrispondente
dimensione dell’oggetto (lunghezza con lunghezza, larghezza con larghezza,
altezza con altezza).
Dimostrazione 4.2
Dimostriamo che la distanza focale per uno specchio sferico è, senza
distinzione fra concavo e convesso,
f 
R
2
(4.2.1)
Consideriamo il diagramma dei raggi della figura 4.21 valido per lo specchio
concavo.
Figura 4.21
Diagramma dei raggi per la deduzione della distanza focale dello
specchio concavo.
raggio p
N
q
q
V
a
F
C
raggio f
R
2
R
Immaginiamo che il raggio principale p incida sulla superficie riflettente nel
punto N: quindi il raggio riflesso attraversa l’asse ottico nel punto di fuoco F.
Per la legge della riflessione, gli angoli di incidenza e di riflessione  sono
uguali. L’angolo  è uguale a , essendo entrambi angoli alterni del rettangolo
immaginario formato dalle rette parallele raggio incidente e asse ottico tagliato dalla diagonale NC . Il triangolo FNC è un triangolo isoscele.
UNITÀ F4 - OTTICA GEOMETRICA
A questo punto ricorriamo all’approssimazione (b) di Gauss. Se l’apertura dello
specchio è piccola, la distanza VN è molto minore del raggio di curvatura, e
quindi FN è circa uguale a FV . Di conseguenza possiamo ritenere che
CF  FN  FV
(4.2.2)
Quindi:
R  CF  FV  2FV  2 f
da cui la (4.2.1).
Problema svolto 4.3
Una matita è collocata in posizione verticale a p = 60,0 cm dal vertice di
uno specchio sferico concavo di distanza focale f = 40,0 cm. Determinare:
1) la posizione dell’immagine;
2) l’ingrandimento determinato dallo specchio;
3) il diagramma dei raggi.
1) La distanza q dell’immagine dal vertice dello specchio si ricava dalla (4.4)
1 1 1
 
p q f
f p
q
p f
da cui
Sostituendo i dati otteniamo
q
(40,0 cm) (60,0 cm)
 120 cm
60,0 cm  40,0cm
2) L’ingrandimento dello specchio si calcola con la (4.5b).
G
Sostituendo i dati
G
q
p
120 cm
 2, 00
60,0 cm
Il valore assoluto di G è maggiore di 1 e quindi l’immagine è ingrandita e il
segno meno indica che l’immagine è capovolta.
3) Qui di seguito il diagramma dei raggi per la costruzione dell’immagine.
raggio c
B
raggio p
V
F
A
oggetto
C
A'
immagine
B'
697
698
MODULO F - ONDE
Usiamo solo due raggi principali: il raggio p parallelo all’asse ottico e il raggio
c passante per il centro di curvatura.
L’intersezione dei raggi definisce il punto immagine B' di B; il punto immagine
di A è A'. L’immagine è ingrandita e capovolta come previsto. Inoltre è reale,
perché creata dai raggi principali senza usufruire dei loro prolungamenti.
Secondo il principio di reciprocità del percorso ottico del modello a raggio, se
l’oggetto si trovasse in A'B', l’immagine si formerebbe in AB e, quindi, sarebbe
ancora reale e capovolta.
Il fenomeno della riflessione è sempre accompagnato da un altro fenomeno
chiamato rifrazione. Della sua esistenza ci accorgiamo ogni volta che in barca
immergiamo i remi in acqua o quando guardiamo l’arcobaleno.
4.4
Figura 4.22
Un righello immerso nell’acqua
appare piegato per il fenomeno
della rifrazione.
Rifrazione ottica
La rifrazione è un fenomeno che sicuramente abbiamo osservato più di una
volta. Basta pensare a un righello immerso in una bacinella d’acqua: esso appare piegato nella parte immersa (fig.
4.22). Il fenomeno è dovuto ai raggi
luminosi, che nel passaggio dall’acqua all’aria non si mantengono rettilinei, ma si piegano all’interfaccia dei
due mezzi di propagazione (in questo
caso l’acqua e l’aria).
In generale, la rifrazione avviene quando i raggi luminosi attraversano due
mezzi trasparenti di natura diversa. Studiamo il fenomeno prendendo come
riferimento la figura 4.23: abbiamo due mezzi trasparenti, il mezzo superiore
1 (per esempio aria) e il mezzo inferiore 2 (per esempio acqua).
Figura 4.23
Il fenomeno della rifrazione
all’interfaccia di due mezzi trasparenti con indici di rifrazione
diversi (in questo caso n1 < n2):
(a) raggio di luce da mezzo trasparente con n1 a mezzo trasparente con n2; (b) raggio di luce
da mezzo trasparente con n2 a
mezzo trasparente con n1.
n
raggio
incidente
mezzo 2
indice di
rifrazione n2
a
i
n
mezzo 1
indice di
rifrazione n1
mezzo 1
indice di
rifrazione n1
qr
qi
raggio
rifratto
qr
raggio
incidente
r
i
qi
r
raggio
rifratto
mezzo 2
indice di
rifrazione n2
b
Il raggio luminoso che si propaga nel mezzo 1 incide all’interfaccia sul mezzo
2 (fig. 4.23a). Quando il raggio entra nel mezzo 2 cambia direzione, avvicinandosi alla retta normale alla superficie di separazione. Il raggio che si propaga
nel mezzo 2 si chiama raggio rifratto.
UNITÀ F4 - OTTICA GEOMETRICA
Indichiamo con i e r, rispettivamente, gli angoli che il raggio incidente e quello rifratto formano con la normale alla superficie di separazione. Questi angoli
saranno utili a breve. Per il momento, una prima sommaria spiegazione della
piegatura del raggio incidente quando entra nel mezzo 2 è che
la velocità v della luce, massima nel vuoto (v = c), diminuisce quando si propaga in un materiale trasparente (v < c).
Partiamo da questa asserzione per costruire, dapprima, un parametro che
quantifichi questa diminuzione, quindi una legge che interpreti il fenomeno
della rifrazione, in modo analogo a quanto svolto per quello della riflessione.
 Indice di rifrazione, dispersione e velocità nel mezzo
Per un materiale trasparente esiste un parametro intrinseco, definito indice di
rifrazione n, dato dal rapporto tra la velocità della luce nel vuoto c e la velocità
v della luce nell’attraversare il mezzo trasparente
n
c
v
(4.6)
A causa del rapporto tra velocità, l’indice di rifrazione è una grandezza fisica
adimensionale.
Dalla (4.6) rileviamo che il vuoto ha indice di rifrazione uguale a 1, essendo
nel vuoto v = c.
In qualsiasi altro mezzo trasparente, essendo v < c, abbiamo sempre n > 1.
L’indice di rifrazione quantifica la trasparenza di un materiale. Più il mezzo
è trasparente, minore è il suo indice di rifrazione: per esempio nell’aria
n = 1,0003 (praticamente pari al valore nel vuoto); nel vetro invece n = 1,58.
Riassumendo:
più il mezzo è trasparente, minore è il suo indice di rifrazione n e maggiore
è la velocità v di propagazione della luce nel mezzo (v rimane comunque
inferiore a c).
A questo punto occorre fare un’osservazione importante sulla velocità con cui la luce si propaga in un
generico mezzo di propagazione. Dall’Unità F1 ricordiamo che la velocità di propagazione di un’onda è
data da
v   fr
vetro flint denso
1,7
indice di rifrazione n
Occorre precisare che il valore dell’indice di rifrazione
dipende dalla lunghezza d’onda dell’onda-luce che lo
attraversa. Questo fenomeno si chiama dispersione:
ne studieremo un caso al termine di questo paragrafo.
In figura 4.24 si vede come l’indice di rifrazione di
alcuni materiali trasparenti varia a seconda della lunghezza d’onda del raggio luminoso che li attraversa.
Figura 4.24
Valori di indici di rifrazione per
alcuni materiali trasparenti in funzione della lunghezza d’onda del
raggio luminoso che li attraversa.
1,6
vetro flint leggero
quarzo cristallino
1,5
vetro crown al borosilicato
quarzo vetroso
1,4
0
200
400
600
800
lunghezza d’onda l (nm)
dove con fr indichiamo la frequenza dell’onda (per non confonderla con f,
distanza focale).
1000
699
700
MODULO F - ONDE
La frequenza fr dell’onda rimane costante qualsiasi sia il mezzo di propagazione, perché dipende solo dalla natura della sorgente che genera l’onda stessa;
quindi, la grandezza fisica che cambia nell’attraversare un mezzo è la lunghezza d’onda , che per l’onda-luce è una funzione dell’indice di rifrazione (fig.
4.24). La variazione di  si ripercuote quindi sulla velocità di propagazione.
 Leggi della rifrazione (leggi di Snell)
In analogia al fenomeno della riflessione, definiamo le due leggi della rifrazione, leggi sperimentali attribuite al fisico-matematico olandese W. Snell
(1580-1626). Possiamo riferirci alla figura 4.23 per la visualizzazione.
Ipotizziamo che il mezzo trasparente superiore abbia indice di rifrazione n1
e il mezzo trasparente inferiore un indice n2 (non interessa quale dei due sia
maggiore o minore).
La prima legge afferma che:
il raggio incidente, il raggio rifratto e la retta normale alla superficie nel punto
di incidenza giacciono sul medesimo piano.
La seconda legge afferma che:
il rapporto tra il seno dell’angolo di incidenza i e quello dell’angolo di rifrazione
r è costante, ed è uguale al rapporto tra l’indice di rifrazione del mezzo attraversato dal raggio rifratto e quello del mezzo attraversato dal raggio incidente
sen i n2

sen  r n1
(4.7)
La seconda legge definisce la relazione tra gli angoli formati dal raggio incidente e da quello rifratto: applicando la (4.7) con diverse coppie di indici di
rifrazione e con un valore conosciuto dell’angolo di incidenza, si osserva il
seguente comportamento:
quando un raggio di luce entra o, meglio, si rifrange in un mezzo con indice
di rifrazione n maggiore, cioè in un mezzo meno trasparente rispetto a quello
da cui proviene, l’angolo di rifrazione è minore dell’angolo di incidenza, e
viceversa.
Inoltre
maggiore è la differenza tra gli indici di rifrazione, maggiore è la deviazione
del raggio rifratto rispetto a quello incidente.
La figura 4.23a mostra il caso in cui il raggio luminoso entra in un mezzo di
propagazione con un indice di rifrazione maggiore: il raggio rifratto si avvicina
alla retta normale, cioè presenta un angolo di rifrazione minore di quello di
incidenza.
Comportamento opposto in figura 4.23b, dove il raggio luminoso entra in un
mezzo con n minore. Il comportamento descritto è coerente con la legge fisica
espressa dalla (4.7).
Il rapporto n2/n1 della (4.7) è definito indice di rifrazione relativo del mezzo
di propagazione 2 rispetto al mezzo di propagazione 1.
UNITÀ F4 - OTTICA GEOMETRICA
Dalla (4.6), ricordando che v = fr, possiamo ricavare l’indice di rifrazione relativo come rapporto tra le lunghezze d’onda nei due mezzi
c
n2 v2 1


c 2
n1
v1
Con le nozioni apprese in questo paragrafo, spieghiamo un classico caso
di rifrazione: la piegatura (apparente) di un oggetto immerso parzialmente
nell’acqua. Prendiamo come riferimento la figura 4.25 che mostra una matita
in parte immersa in una bacinella d’acqua.
P'
P
Consideriamo la propagazione dei due raggi campione che partono dal punto
P come indicato in figura: usciti dall’acqua, si trovano in aria e, quindi, in un
mezzo con indice di rifrazione minore. Questo comporta che i due raggi si
piegano allontanandosi dalla normale della superficie dell’acqua. I due raggi
campione giungono all’osservatore che, però, vede la punta della matita nell’incrocio dei prolungamenti dei raggi rifratti (linee a tratto), quindi in un punto
P' più alto di quello che è in realtà. Ripetendo la costruzione per tutti i punti
della porzione di matita sommersa, ci rendiamo conto del perché l’osservatore
veda la matita come se fosse spezzata.
 Angolo limite del raggio incidente
Esistono condizioni nelle quali il fenomeno di rifrazione si manifesta in un
fenomeno solo di riflessione. Innanzitutto occorre precisare che un raggio
incidente su un mezzo trasparente viene sempre in parte anche riflesso oltre
a essere rifratto: finora, nel descrivere il fenomeno di rifrazione, abbiamo trascurato il raggio riflesso, come del resto abbiamo trascurato il raggio rifratto
nella descrizione della riflessione.
In generale
l’intensità luminosa del raggio incidente si distribuisce tra il raggio riflesso
e il raggio rifratto.
Valutiamo un particolare caso in cui, per certi valori dell’angolo di incidenza, la
distribuzione di intensità privilegia il raggio riflesso piuttosto che quello rifratto.
Figura 4.25
I raggi provenienti dal punto P
immerso nell’acqua appaiono all’osservatore provenire dal
punto P'. Estendendo la costruzione a tutti i punti della matita sommersa, abbiamo il tipico effetto di
piegamento dovuto al fenomeno
di rifrazione.
701
702
MODULO F - ONDE
La figura 4.26 descrive la propagazione luminosa da un mezzo con indice di
rifrazione n1 più alto a uno più basso n2, come per il caso di propagazione
dall’acqua all’aria.
n2
qr
n2
qi < q L
n1
qr
n2
qi < q L
n1
q r = 90°
qi = q L
n1
n2
q i q rs
qi > q L
n1
qi
q i q rs
q rs
q i q rs
a
Figura 4.26
Comportamento della propagazione luminosa in due mezzi trasparenti con n1 > n2: (a) presenza
del raggio rifratto; (b) allontanamento del raggio rifratto dalla
normale; (c) condizione di angolo
limite; (d) condizione di riflessione totale.
b
d
c
Esiste un angolo di incidenza definito angolo limite L per cui scompare il
raggio rifratto. Avviciniamoci gradualmente a questo angolo e studiamo cosa
succede.




Per i < L (fig. 4.26a): il raggio incidente si scompone in un raggio rifratto
e uno riflesso secondo le leggi di rifrazione.
Per i → L (fig. 4.26b): aumenta l’angolo di incidenza e, per la (3.7), aumenta anche l’angolo rifratto. Il raggio rifratto si avvicina alla superficie di separazione.
Per i = L (fig. 4.26c): l’angolo di incidenza ha raggiunto il valore dell’angolo limite. Il raggio rifratto diventa parallelo alla superficie di separazione,
cioè r = 90°.
Per i > L (fig. 4.26d): il raggio rifratto scompare e tutta l’intensità luminosa
del raggio incidente si riversa nel raggio riflesso: tale condizione è definita
riflessione totale.
A questo punto è naturale determinare una formula che consenta di calcolare
l’angolo limite in funzione di una coppia qualsiasi di indici di rifrazione n1 ed
n2. Ricordiamo che n1 si riferisce al mezzo da cui proviene il raggio incidente.
Nella (4.7) poniamo r = 90° (condizione che identifica l’inizio della riflessione
totale, cioè i = L). Abbiamo dunque
sen  L
n
 2
sen 90 n1
Poiché sen 90°= 1, otteniamo
sen  L 
n2
n1
(4.8)
Il seno di un angolo è sempre minore di 1 e, in questo caso, deve essere anche
maggiore di 0, essendo n1 ed n2 positivi: quindi, come già ipotizzato, n1 deve
essere per forza maggiore di n2. In altri termini
la riflessione totale può avvenire solo se il raggio luminoso entra in un mezzo
con indice di rifrazione minore rispetto a quello del mezzo da cui proviene.
UNITÀ F4 - OTTICA GEOMETRICA
Applicando la formula inversa del seno di un angolo, dalla (4.8) ricaviamo il
valore dell’angolo limite
 L  arc sen
n2
n1
(4.9)
Alcuni esempi di valori dell’angolo limite sono: 49° per l’acqua, 41° per il vetro
e 24° per il diamante.
Una sezione di approfondimento al termine dell’unità sarà dedicata a una
applicazione pratica della riflessione totale: le fibre ottiche.
 Doppia rifrazione su lastra a facce parallele
Abbiamo descritto il fenomeno di rifrazione nel passaggio del raggio luminoso
attraverso due mezzi trasparenti con diverso indice di rifrazione. Passiamo alla
rifrazione che avviene in un mezzo immerso in un altro mezzo. Come esempio,
consideriamo una lastra di vetro a facce piane parallele immersa nell’aria (fig.
4.27). In questo caso abbiamo due superfici di separazione tra aria e vetro,
dove il raggio di luce subisce una rifrazione: nel punto A, passando dall’aria al
vetro e nel punto B, passando dal vetro all’aria.
Figura 4.27
Rifrazione della luce attraverso
una lastra di vetro a facce piane e
parallele immersa nell’aria.
qi
n1
A
n2
qr
qr
n2
n1
B
qe
L’indice di rifrazione n2 della lastra di vetro è maggiore di quello dell’aria n1:
quindi, per le leggi della rifrazione, l’angolo di rifrazione r è minore dell’angolo di incidenza i nel punto A, e il raggio si avvicina alla retta normale.
Il raggio rifratto nel vetro subisce la seconda rifrazione nel punto B passando a
un mezzo con indice di rifrazione minore e, dunque, l’angolo e (che definiamo
angolo di emergenza) è maggiore dell’angolo incidente (che è uguale a r).
Nel punto B il raggio si allontana dalla retta normale alla superficie.
Applichiamo la legge di Snell (4.7) per dedurre la relazione fra l’angolo di incidenza e quello di emergenza.
Nel punto A
sen i n2

sen  r n1
e nel punto B
sen  r n1

sen  e n2
703
704
MODULO F - ONDE
da cui è immediata la seguente uguaglianza
sen i sen  e

sen  r sen  r
Semplificando e sapendo che gli angoli sono compresi tra 0° e 90°, otteniamo
un’unica uguaglianza possibile
i   e
(4.10)
In altre parole:
nella doppia rifrazione a facce parallele, l’angolo di incidenza è uguale a
quello di emergenza, cioè il raggio luminoso esce dalla lastra in direzione
parallela a quello incidente sulla faccia opposta. L’effetto risultante consiste
solo in uno spostamento laterale del raggio luminoso uscente rispetto a
quello incidente.
Impieghiamo le nozioni raccolte in questa analisi per continuare con un ulteriore esempio di doppia rifrazione dove, però, le facce del mezzo a indice di
rifrazione maggiore rispetto all’aria non sono più parallele.
 Doppia rifrazione su lastra a facce non parallele (prisma)
Consideriamo la doppia rifrazione del raggio luminoso in un mezzo a facce
non parallele prendendo un solido particolare: il prisma. In figura 4.28 è
mostrato un prisma trasparente (ad esempio di vetro) con indice di rifrazione
n maggiore di quello dell’aria; le facce non parallele formano un angolo  chiamato angolo di rifrangenza. È tracciato il percorso di un raggio luminoso che
incide sulla faccia laterale di sinistra del prisma nel punto A ed emerge dalla
faccia opposta nel punto B.
Figura 4.28
Doppia rifrazione creata da un prisma. Sono evidenziati il percorso
del raggio luminoso e gli angoli
significativi.
a
d
qi
A
B
qr
qr
qe
Gli angoli di incidenza e di rifrazione nei punti A e B ubbidiscono alle leggi della
riflessione. L’analisi della traiettoria del raggio luminoso è analoga a quanto visto
nel caso della lastra a facce parallele: nel punto A il raggio entra nel prisma, che
ha n più elevato, e quindi il raggio rifratto si avvicina alla normale; nel punto B il
raggio emerge in aria (n più basso) e si allontana dalla retta normale. In questo
caso, quindi, le facce non parallele comportano una deviazione angolare del raggio
emergente rispetto a quello incidente quantificata dall’angolo di deviazione .
UNITÀ F4 - OTTICA GEOMETRICA
In altri termini, l’angolo  misura la deviazione complessiva del raggio incidente dopo che ha subito la doppia rifrazione.
Dalla costruzione del raggio e dagli angoli indicati in figura, appare evidente
che l’angolo di deviazione  dipende dall’angolo di incidenza i, dall’angolo di
rifrangenza  e, per la legge di Snell (4.7), anche dall’indice di rifrazione n del
prisma. Pertanto, è possibile misurare l’indice di rifrazione di un mezzo trasparente a forma di prisma facendo passare un raggio luminoso e misurando
l’angolo di deviazione, come si vedrà nella dimostrazione 4.3.
 Dispersione della luce bianca
La dipendenza dell’angolo di deviazione  rispetto all’indice di rifrazione n è il
motivo dell’importante fenomeno ottico della dispersione della luce bianca che
andiamo a spiegare.
Ricordiamo che l’indice di rifrazione n, specifico di un mezzo trasparente, dipende dalla lunghezza d’onda del raggio luminoso che lo attraversa,
come descritto dalla figura 4.24. Per quanto scritto precedentemente, l’angolo di deviazione  dipende da n e, quindi, anche dalla lunghezza d’onda.
Evidenziamo questa dipendenza con la seguente espressione
  f ( )
(4.11)
Prima di introdurre il fenomeno di dispersione, invitiamo il lettore a una
ulteriore premessa riguardo la definizione di luce bianca: è la luce prodotta
da una qualsiasi lampadina o dallo stesso Sole, ed è definita bianca perché
non possiede un colore proprio. Si tratta di una luce policromatica, cioè
composta da più onde elettromagnetiche, ciascuna con una lunghezza d’onda
che corrisponde visivamente ad un colore. Un’onda elettromagnetica contraddistinta da una sua lunghezza d’onda e, dunque, da un certo colore è definita
luce monocromatica; l’insieme delle luci monocromatiche che compongono
la luce policromatica bianca è definito spettro della luce bianca.
I colori che compongono lo spettro
della luce bianca sono elencati nella
tabella 4.1: ogni colore può avere
diverse sfumature a seconda della
lunghezza d’onda della luce monocromatica. Per esempio, onde elettromagnetiche con lunghezza d’onda
compresa tra 620 nm e 700 nm sono
accomunate dall’essere visibili all’occhio come raggi di luce con tonalità
di colore vicine al rosso.
Colore
lunghezza d’onda (nm)
Rosso
620÷700
Arancione
580÷620
Giallo
560÷580
Verde
490÷560
Azzurro
460÷490
Indaco
430÷460
Violetto
400÷430
A questo punto siamo pronti a trattare il fenomeno della dispersione.
Torniamo al nostro prisma (figura 4.29a). Se facciamo incidere sulla sua
superficie un raggio di luce bianca, ogni raggio di luce monocromatica che la
compone subirà un angolo di deviazione diverso in funzione della lunghezza
d’onda del raggio di luce, come evidenziato dalla (4.11).
Tabella 4.1
Relazione fra i colori e le lunghezze d’onda delle luci monocromatiche che compongono lo spettro
della luce bianca.
705
706
MODULO F - ONDE
Questo fenomeno è definito dispersione della luce bianca, e in figura è
visualizzato da una serie di raggi colorati che emergono dal prisma con angoli
di deviazione diversi.
Il raggio di colore violetto è quello che subisce la maggiore deviazione, e il raggio di colore rosso è quello invece con un angolo di deviazione minore.
Infatti (tabella 4.1) la lunghezza d’onda della luce monocromatica violetta è
minore di quella della luce monocromatica rossa e, a parità di mezzo trasparente, l’indice di rifrazione è sempre maggiore per la lunghezza d’onda più
bassa, come si ricava dalla figura 4.24. Quindi, ricordando che maggiore è la
differenza degli indici di rifrazione, maggiore è la deviazione dei raggi rifratti
rispetto a quelli incidenti: ciò spiega la maggiore deviazione del violetto.
L’effetto di dispersione spiega anche il fenomeno dell’arcobaleno: i raggi di sole
attraversano le goccioline di pioggia che agiscono come se fossero microscopici prisma (fig. 4.29b).
Figura 4.29
(a) Dispersione della luce bianca
nel prisma; (b) fenomeno dell’arcobaleno.
rosso
arancione
giallo
verde
azzurro
indaco
violetto
a
b
Continuiamo l’analisi del fenomeno della dispersione facendo interagire una
coppia di prisma. In figura 4.30a osserviamo che, se poniamo un prisma capovolto sul percorso del fascio di raggi colorati prodotti dalla dispersione del
primo prisma, le luci monocromatiche vengono ricomposte nell’originale raggio di luce bianca. Il secondo prisma dunque annulla la dispersione del primo.
In figura 4.30b, sul secondo prisma arriva invece una singola luce monocromatica emergente dal primo prisma: la luce non viene scomposta ulteriormente in
altre luci monocromatiche, a conferma che il fenomeno della dispersione è un
fenomeno che avviene solo in presenza di luce policromatica, cioè composta
da due o più luci monocromatiche.
Figura 4.30
Dispersione della luce bianca con
doppio prisma ottico: (a) scomposizione e ricomposizione della luce
bianca; (b) assenza di dispersione
per la luce monocromatica.
a
b
UNITÀ F4 - OTTICA GEOMETRICA
Dimostrazione 4.3
Dimostriamo come dalla misura dell’angolo di deviazione  si possa determinare l’indice di rifrazione n del mezzo di cui è costituito un prisma.
In altri termini, ricaviamo la formula che pone in relazione le due grandezze  e n.
Per ricavare la relazione, occorre porre la seguente condizione sull’angolo di
deviazione , che varia a seconda dell’angolo di incidenza del raggio luminoso:
si dimostra (ma qui non lo facciamo) che  assume il minimo valore min quando gli angoli di incidenza e di emergenza sono uguali. Questa è la condizione
di deviazione minima e può essere formulata così:
i   e   min
(4.3.1)
In figura 4.31 è mostrata questa condizione, che è caratterizzata dal fatto che
il raggio luminoso attraversa il prisma in modo orizzontale o, meglio, parallelamente alla base del prisma.
Figura 4.31
Costruzione del percorso del raggio luminoso nella condizione di
deviazione minima.
a
2
C
qi
A
d min
q
qr
B
q
qr
qe
Dalla costruzione del percorso del raggio luminoso, osserviamo che
r 

(4.3.2)
2
dove  è l’angolo di rifrangenza del prisma. Studiamo il triangolo ABC dove
min è un angolo esterno e gli angoli  sono quelli interni. Ricordiamo la proprietà degli angoli esterni di un triangolo, dove in ogni triangolo un angolo
esterno vale la somma dei due angoli interni non adiacenti ad esso. Quindi
 min  2
(4.3.3)
Osserviamo che nel punto A l’angolo i è opposto al vertice dell’angolo dato
dalla somma di r e  e dunque
i   r   

2

 min
2
(4.3.4)
Per la legge di Snell (4.7), considerando l’indice di rifrazione dell’aria uguale
a 1, abbiamo che
sen i  n sen  r
707
708
MODULO F - ONDE
e, applicando la (4.3.1) e la (4.3.2), otteniamo
    min
sen 
2


 
  n sen  
2

    min 
sen 

2 

n
 
sen  
2
da cui
Abbiamo quindi ottenuto una relazione che consente di determinare l’indice
di rifrazione di un prisma, nel caso in cui sia verificata la condizione di deviazione minima.
Problema svolto 4.4
In figura 4.32, una pallina è appoggiata sul fondo di una vaschetta contenente acqua alla profondità di 20 cm. Determinare la profondità apparente della pallina rilevata dall’osservatore in O. L’indice di rifrazione
dell’aria è naria = 1,0 e quello dell’acqua è nacqua = 1,333.
Figura 4.32
La profondità della pallina per un
osservatore esterno è minore di
quella reale.
Essendo nacqua > naria, il raggio che
parte dalla pallina attraversa la superficie di separazione fra acqua e aria
ed emerge dall’acqua come raggio
rifratto, allontanandosi dalla retta
normale.
L’osservatore percepisce la pallina
nella direzione del raggio che arriva
al suo occhio. Quindi la posizione
apparente della pallina è nel punto C,
più in alto di quella reale nel punto B.
Studiamo i triangoli rettangoli APC e
APB. Dal secondo teorema dei triangoli rettangoli abbiamo che
e
O
aria
qi
A
acqua
P
qi
qr
C
qr
B
AP  PC tg i
(1)
AP  PB tg  r
(2)
Se supponiamo che la pallina venga vista dall’osservatore con un angolo di
incidenza piccolo (al contrario, in figura gli angoli sono grandi per renderla
più chiara) possiamo considerare valida l’approssimazione
tg i sen i

tg  r sen  r
Dalla (1) e dalla (2) e dalla legge di Snell (4.7), abbiamo che
PC 
n
tg  r
sen  r
AP
 PB
 PB
 PB aria
tg i
tg i
sen i
nacqua
UNITÀ F4 - OTTICA GEOMETRICA
Sostituendo i dati forniti dal testo dell’esempio, e rilevando dalla figura che la
profondità reale della pallina è PB = 20 cm, si ha che
PC  (20 cm)
1, 0
 15 cm
1,333
Quindi l’osservatore, a causa della rifrazione, “crede” che la pallina sia cinque
centimetri più in alto di quello che è in realtà.
Probabilmente per leggere queste righe qualcuno si è messo o si sta mettendo
un paio di occhiali da vista: ecco come funzionano.
4.5
Rifrazione con lenti
Introduciamo il principale e più conosciuto strumento ottico: la lente. Si tratta
di un mezzo trasparente limitato da due superfici, di cui almeno una è sferica.
Affronteremo l’analisi in modo simile a quella svolta per gli specchi, con i quali
incontreremo alcune analogie, come il concetto di fuoco.
 Lenti convergenti e divergenti
Le lenti si classificano in base alla curvatura delle loro superfici e sono di due tipi:

le lenti convergenti (fig. 4.33a) sono più spesse al centro rispetto agli estremi;

le lenti divergenti (fig. 4.33b) sono più sottili al centro rispetto agli estremi.
La figura 4.33 mostra la sezione dei vari tipi di lente.
Nella nostra analisi tratteremo le lenti con le superfici entrambi sferiche, cioè
la lente biconvessa per la classe delle lenti convergenti e la lente biconcava per
la classe delle lenti divergenti.
Nel seguito del paragrafo useremo indistintamente i seguenti termini che considereremo tra loro equivalenti, almeno nell’ambito della nostra analisi:
convergente
divergente
biconvessa
biconcava
lenti convergenti
menisco
lente
lente
convesso piano-convessa biconvessa
a
Figura 4.33
Tipologia delle lenti:
(a) convergenti; (b) divergenti.
lenti divergenti
menisco
concavo
b
lente
piano-concava
lente
biconcava
709
710
MODULO F - ONDE
Prima di motivare i termini convergente e divergente, applichiamo al sistema
ottico lente alcuni parametri già definiti per lo specchio sferico. Con riferimento alla figura 4.34 (per la lente biconvessa) abbiamo le seguenti definizioni.




Centri di curvatura C1 e C2: sono i centri delle sfere a cui appartengono le
superfici esterne delle lenti.
Asse di simmetria verticale e asse ottico: sono le rette che dividono la lente
in parti uguali rispetto alla dimensione larghezza e alla dimensione altezza.
Centro ottico O: è il punto di incrocio tra l’asse di simmetria verticale e
l’asse ottico (divide a metà lo spessore della lente a livello dell’asse ottico).
Raggi di curvatura R1 e R2: sono i raggi delle sfere con centro in C1 e C2 a
cui appartengono le superfici esterne delle lenti.
La lente biconcava e biconvessa, oggetti di studio in questo paragrafo, hanno
uguali raggi di curvatura: R1 = R2 = R.
Figura 4.34
I parametri geometrici della lente
biconcava e biconvessa.
R2
C1
F1
F2
O
C2
asse ottico
R1
asse di simmetria verticale
A questo punto siamo in grado di comprendere i significati di convergente e divergente, con l’aiuto delle figure 4.35 e 4.36. La distinzione si basa sul comportamento della
lente quando su una delle sue superfici incide un fascio di raggi luminosi paralleli.
Per la lente convergente (fig. 4.35a), i raggi che fuoriescono convergono in un
punto dell’asse ottico chiamato fuoco F della lente. Per la lente divergente (fig.
4.36a), i raggi che fuoriescono divergono: i loro prolungamenti però si incrociano in un punto dell’asse ottico chiamato fuoco virtuale. Il termine virtuale,
come per gli specchi, significa che i raggi non passano realmente in quel punto.
Figura 4.35
Definizione di fuoco (reale) per
lente convergente: (a) convergenza di raggi paralleli; (b) produzione
di raggi paralleli.
F2
F1
a
Figura 4.36
Definizione di fuoco (virtuale) per
lente divergente: (a) convergenza
di raggi paralleli; (b) produzione di
raggi paralleli.
b
F2
F1
a
b
UNITÀ F4 - OTTICA GEOMETRICA
La distanza tra il fuoco e il centro ottico della lente è definita distanza focale f.
Per la reciprocità del percorso ottico, con le medesime lenti possiamo produrre
un fascio di raggi paralleli all’asse ottico: se poniamo una sorgente puntiforme
nel fuoco di una lente convergente, i raggi fuoriescono dalla lente con direzione
parallela all’asse ottico (fig. 4.35b). Il medesimo fenomeno avviene per la lente
divergente, a patto che i raggi incidenti abbiano i loro prolungamenti convergenti nel fuoco virtuale (fig. 4.36b).
Appare evidente che nella lente abbiamo due punti di fuoco, collocati uno a
sinistra e uno a destra rispetto all’asse di simmetria verticale. Solitamente i due
fuochi sono indicati con F1 ed F2 partendo da sinistra.
 Approssimazione della lente sottile
Nelle figure 4.35 e 4.36 abbiamo tracciato i raggi luminosi senza preoccuparci
di come si comportino all’interno della lente. Analizziamo con precisione il
comportamento del raggio luminoso quando attraversa una lente.
A questo punto, prendiamo come riferimento la lente convergente e facciamo
incidere due raggi: un raggio perpendicolare all’asse di simmetria verticale e un
raggio obliquo rispetto all’asse ottico passante per il centro O.
In figura 4.37a è evidenziato il caso di un raggio incidente parallelo all’asse
ottico. Osserviamo che esso subisce rifrazione nei punti 1 e 2. Essendo l’indice
di rifrazione del vetro della lente maggiore di quello dell’aria, il raggio si avvicina alla normale nel punto 1 e se ne allontana nel punto 2. In figura 4.38a
abbiamo la medesima doppia rifrazione (punti 1 e 2) per il raggio che passa in
modo obliquo per il centro O. Questa doppia rifrazione è la medesima di quella
riscontrata nella lastra a facce parallele. Infatti, il raggio emergente si sposta
parallelamente rispetto a quello incidente.
1
2
O
Figura 4.37
Rifrazione della lente per un raggio
che incide parallelamente all’asse
ottico: (a) doppia rifrazione; (b)
singola rifrazione nell’approssimazione di lente sottile.
O
a
b
Figura 4.38
Rifrazione della lente per raggio
che incide in prossimità del centro:
(a) doppia rifrazione; (b) singola
rifrazione nell’approssimazione di
lente sottile.
1
O
O
2
a
b
711
712
MODULO F - ONDE
Queste doppie rifrazioni rendono l’analisi delle lenti complessa. Senza perdere
in rigorosità, è possibile una semplificazione con la seguente approssimazione della lente sottile:
una lente è considerata sottile quando lo spessore, misurato a livello dell’asse ottico, è trascurabile rispetto al raggio di curvatura.
Se una lente si può considerare sottile, si può ritenere che un raggio parallelo
all’asse ottico subisca una singola rifrazione sull’asse di simmetria verticale
(fig. 4.37b). Nel caso del raggio obliquo, lo stretto spessore della lente avvicina
i percorsi del raggio incidente e di quello emergente: quindi possiamo considerarli un unico raggio passante per il centro O (fig. 4.38b).
Riassumendo:
nell’approssimazione di lente sottile, avviene una singola rifrazione sull’asse
di simmetria verticale; se il raggio luminoso attraversa l’asse nel centro ottico, non subisce rifrazione.
A volte la lente sottile si rappresenta schematicamente con un segmento verticale limitato da due frecce, che con la loro orientazione indicano se la lente è
convergente o divergente (fig. 4.39).
Figura 4.39
Rappresentazione semplificata
della lente sottile: (a) lente convergente; (b) lente divergente.
raggio
incidente
O
raggio
rifratto
a
raggio
incidente
O
raggio
rifratto
b
 Costruzione dell’immagine nella lente
In modo analogo allo specchio sferico, anche la lente costruisce un’immagine
dell’oggetto osservato. Basta pensare a una lente di ingrandimento posta sopra
un francobollo, dove il francobollo è l’oggetto e la copia ingrandita del francobollo, che appare ai nostri occhi, è l’immagine costruita dalla lente.
Anche per la lente esistono tre raggi incidenti, chiamati raggi principali, che
consentono la costruzione dell’immagine. Nella figura 4.40 sono indicati i
raggi principali per la lente convergente e per quella divergente.
Definiamo questi tre raggi singolarmente: ogni raggio deve soddisfare la condizione di generare un preciso raggio rifratto rispettando le leggi della rifrazione
(come spunto didattico invitiamo a confrontare queste definizioni con quelle
dello specchio sferico).
UNITÀ F4 - OTTICA GEOMETRICA
Nella figura 4.40a si notano:



raggio p, raggio incidente parallelo all’asse ottico: determina un raggio
rifratto fuoriuscente passante per il fuoco;
raggio f, raggio incidente passante per il fuoco: determina un raggio rifratto
fuoriuscente parallelo all’asse ottico;
raggio m, raggio incidente passante per il centro ottico: determina un raggio rifratto fuoriuscente nella stessa sua direzione.
raggio p
raggio f
raggio m
raggio p
raggio m
F
Figura 4.40
Raggi principali per (a) lente convergente; (b) lente divergente.
F
F
F
raggio f
a
b
Per la lente divergente, occorre considerare i prolungamenti dei raggi (linee a
tratto), come mostrato nella figura 4.40b:



raggio p, raggio incidente parallelo all’asse ottico: determina un raggio
rifratto fuoriuscente il cui prolungamento passa per il fuoco;
raggio f, raggio incidente il cui prolungamento passa per il fuoco: determina un raggio rifratto fuoriuscente parallelo all’asse ottico;
raggio m, raggio incidente passante per il centro ottico: determina un raggio rifratto fuoriuscente con la stessa direzione del raggio incidente.
Andiamo a costruire l’immagine per la lente convergente e divergente.
Per la lente divergente, la costruzione dell’immagine è indipendente dalla posizione dell’oggetto ed è quindi unica. Nella figura 4.41 l’oggetto è rappresentato,
come al solito, da una freccia rossa: scegliamo come punto-oggetto campione
la punta della freccia da cui facciamo partire i tre raggi principali. Essendo la
lente divergente, l’immagine è determinata dall’intersezione dei prolungamenti
dei raggi rifratti, ed è quindi virtuale. La lente divergente genera quindi un’immagine virtuale e rimpicciolita rispetto alle dimensioni dell’oggetto.
Figura 4.41
Costruzione dell’immagine nella
lente divergente.
raggio p
raggio f
oggetto
F
immagine
O
F
raggio m
713
714
MODULO F - ONDE
In figura 4.42 si vede la costruzione dell’immagine per la lente convergente. In
questo caso la forma dell’immagine dipende dalla posizione che occupa l’oggetto rispetto alla lente. Presentiamo due casi significativi.
Oggetto esterno al fuoco (fig. 4.42a): l’immagine si colloca oltre il fuoco a
destra ed è capovolta. Essendo la costruzione dovuta all’intersezione di
raggi rifratti non prolungati, si tratta di immagine reale.

Oggetto tra fuoco e centro ottico (fig. 4.42b): l’immagine è dritta, ingrandita e
virtuale, dato che la costruzione è dovuta ai prolungamenti dei raggi riflessi.

Figura 4.42
Costruzione dell’immagine nella
lente convergente: (a) oggetto
esterno al fuoco; (b) oggetto tra
fuoco e centro ottico.
raggio p
raggio m
oggetto
F
raggio f
F
immagine
O
immagine
F
a
F
oggetto
O
b
La costruzione delle immagini per la lente mette in evidenza la seguente caratteristica comune:
l’immagine virtuale si colloca sempre dalla medesima parte dell’oggetto.
 Equazione delle lenti sottili
Figura 4.43
Deduzione dell’equazione delle
lenti per la lente convergente:
(a) percorso del raggio principale
p; (b) percorso del raggio principale m.
In modo analogo a quanto svolto per lo specchio sferico, ricaviamo una formula che metta in relazione la distanza dell’oggetto e dell’immagine dalla lente:
in altri termini, cerchiamo una equazione “sorella” della (4.4a), dove di nuovo
con p indichiamo la distanza dell’oggetto dalla lente e con q la distanza dell’immagine. Analizziamo la lente convergente (fig. 4.43). L’approccio all’analisi è
uguale per quella divergente.
f
raggio p
ho
oggetto
q
F
p
a
O
F
q
ho
immagine
oggetto
hi
j
F
O
j
immagine
F
hi
raggio m
p
q
q
b
La rifrazione del raggio p forma i due triangoli colorati alla destra della lente in
figura 4.43a: per il primo criterio di similitudine, i due triangoli sono fra loro
simili. Il rapporto tra i rispettivi cateti è dunque uguale, cioè
ho
hi

f q f
(4.12)
UNITÀ F4 - OTTICA GEOMETRICA
Anche in questo caso, per convenzione, l’altezza dell’immagine capovolta si esprime con un valore negativo: pertanto scriveremo –hi per rendere l’altezza positiva.
La “mancata” rifrazione del raggio m forma i due triangoli colorati di figura
4.43b: per il criterio precedente sono anch’essi simili, e dunque
ho hi

p
q
(4.13)
Riscriviamo la (4.12) come

ho
f

hi q  f
e nel medesimo modo la (4.13)

ho p

hi q
Uguagliamo le due espressioni ottenute e, invertendo numeratore e denominatore, otteniamo

q q f

p
f
Eliminando i due denominatori e dividendo gli addendi per il prodotto p q f,
otteniamo l’equazione delle lenti sottili
1 1 1
 
p q f
(4.14)
che mette in relazione la distanza dell’oggetto dalla lente sottile con quella
dell’immagine. Da notare che:
le distanze tra lente e immagine virtuale (q) e tra lente e fuoco virtuale (f)
nell’equazione delle lenti risultano con segno negativo.
Il termine 1/f è definito potere diottrico della lente. Se il fuoco è espresso in
metri, l’unità di misura del potere diottrico è la diottria.
Il segno algebrico del fuoco della lente determina quello del potere diottrico: è
positivo per la lente convergente e negativo per quella divergente.
Infine, il potere diottrico di un sistema di lenti è la sommatoria del potere diottrico di ciascuna lente: ciò consente di calcolare facilmente la distanza focale
di un sistema composto da più lenti.
 Ingrandimento lineare
In modo analogo agli specchi, determiniamo l’ingrandimento lineare per la lente.
Abbiamo impiegato come prototipo dell’oggetto per la costruzione dell’immagine per la lente un segmento perpendicolare all’asse ottico. In certe condizioni
l’immagine di questo segmento si allunga, in altre si accorcia. A riguardo
si definisce ingrandimento lineare G il rapporto tra la lunghezza dell’immagine e la lunghezza dell’oggetto
cioè
G
hi
ho
(4.15a)
715
716
MODULO F - ONDE
Esprimendo la formula in funzione dei parametri q e p contenuti nell’equazione delle lenti sottili (4.14), otteniamo
G
q
p
(4.15b)
Per convenzione si stabilisce che
l’ingrandimento G è negativo se l’immagine è capovolta.
Secondo la (4.15b), il valore di G indica se l’immagine, rispetto all’oggetto, è
ingrandita, rimpicciolita o rimane inalterata. Infatti se

|G| > 1, l’immagine risulta ingrandita

0 < |G| < 1, l’immagine risulta rimpicciolita

|G| = 1, immagine è identica
Per ingrandimento lineare di una lente sottile si intende il rapporto tra la misura di una dimensione dell’immagine e la corrispondente dimensione dell’oggetto (lunghezza con lunghezza, larghezza con larghezza, altezza con altezza).
Problema svolto 4.5
Un oggetto si trova alla distanza di 1,5 m da una lente convergente che
produce un immagine reale delle stesse dimensioni. Determinare:
1) la distanza dell’immagine dalla lente;
2) la distanza focale;
3) il diagramma dei raggi.
1) Se l’oggetto e l’immagine hanno le stesse dimensioni abbiamo
G
q
 1
p
da dove rileviamo che l’immagine è capovolta e che p e q hanno lo stesso valore (ricordiamo che è sempre p > 0 e che è q > 0 perché l’immagine è reale).
Essendo p = 1,5 m, otteniamo la distanza dell’immagine
q  1,5 m
Ciò significa che l’immagine si forma alla stessa distanza dell’oggetto rispetto alla lente.
2) Ricaviamo la distanza focale dalla formula (4.14)
1 1 1
 
p q f
Inserendo i valori di p e di q, abbiamo
1
1
1
2



f 1,5 m 1,5 m 1,5 m
UNITÀ F4 - OTTICA GEOMETRICA
da cui si ricava la distanza focale f = 0,75 m.
Un metodo alternativo per ricavare f è quello di considerare che la condizione di uguaglianza p = q si manifesta quando l’oggetto è posto a una distanza
doppia di quella focale. L’immagine, di conseguenza, si forma dalla parte
opposta dell’oggetto, a una distanza doppia di quella focale.
q2f
Quindi si può scrivere
f 
da cui si ricava
p 1,5 m

 0, 75 m
2
2
3) La figura 4.44 mostra il diagramma dei raggi. Osserviamo la doppia
distanza focale dell’oggetto e dell’immagine, cioè
pq2f
A
oggetto
F1
F2
B
f
B'
immagine
reale
A'
f
p>0
q>0
Problema svolto 4.6
Un oggetto è posto a 8,0 cm di distanza da una lente divergente con
distanza focale di –6,0 cm. Determinare:
1) la posizione e la tipologia dell’immagine;
2) l’ingrandimento della lente;
3) il diagramma dei raggi.
1) La distanza q dell’immagine dalla lente si ricava dall’equazione delle lenti
(4.14)
1 1 1
 
p q f
da cui otteniamo
q
pf
p f
Inserendo i dati noti troviamo
q
(8, 0 cm) (6, 0 cm)
 3, 4 cm
(8, 0 cm)  (6, 0 cm)
Poiché risulta q < 0, l’immagine è virtuale.
Figura 4.44
Diagramma dei raggi per la lente
convergente, dove sono utilizzati
solo due raggi principali: il raggio p
e il raggio m.
717
718
MODULO F - ONDE
2) L’ingrandimento si calcola con la (4.15b)
G
q
p
Inserendo i valori noti, si ottiene
G
(3, 4 cm)
 0, 43
8, 0 cm
L’ingrandimento positivo indica che l’immagine è diritta. L’altezza dell’immagine è 0,43 volte l’altezza dell’oggetto, quindi minore di 1: l’immagine è
dunque rimpicciolita.
3) La figura 4.45 mostra il diagramma dei raggi. Osserviamo che l’immagine è
virtuale perché realizzata con i prolungamenti dei raggi, come annunciato
dal valore negativo di q. Inoltre è diritta, come previsto dal valore positivo
di G.
Figura 4.45
Diagramma dei raggi per la lente
divergente dove sono utilizzati solo
due raggi principali: il raggio p e il
raggio m.
A
A'
oggetto
B
F
immagine
virtuale
B'
F
UNITÀ F4 - OTTICA GEOMETRICA
APPROFONDIMENTO
Fibre ottiche
Una applicazione tecnologica del fenomeno della
riflessione totale è il trasporto dei segnali con
la fibra ottica: si tratta di un cavo sottile costituito da un nucleo interno di materiale plastico
trasparente (core) ricoperto esternamente da un
rivestimento (cladding) di materiale con indice di
rifrazione minore di quello del materiale interno.
Quest’ultimo materiale è rivestito da una pellicola protettiva di plastica (coating). Il diametro del
core è compreso tra 5 e 100 nm e il diametro del
rivestimento tra 100 e 150 nm (il capello umano
ha un diametro di circa 100 nm). Una fibra ottica
è in pratica uno specchio tubolare dove un raggio
luminoso entra nel core con un angolo superiore
all’angolo limite e si propaga nella fibra attraverso un certo numero di riflessioni totali. La scelta
dei materiali utilizzati e la lavorazione accurata
consentono al raggio luminoso di propagarsi per
lunghe distanze con una perdita per assorbimento trascurabile (fig. 4.46b).
Nei primi prototipi di fibra ottica l’assorbimento
della luce da parte dei materiali utilizzati comportava una attenuazione sensibile del segnale
 Fenomeni di rifrazione nell’occhio
La funzione dell’occhio comporta una riduzione
dell’oggetto. In figura 4.47 il diagramma dei
raggi mostra la lente biconvessa che nell’occhio
è formata da tre parti:
1) cornea - 2) cristallino - 3) umore acqueo.
Figura 4.46
Propagazione di un raggio luminoso
lungo il nucleo (core) di una fibra
ottica: (a) sezione trasversale; (b)
sezione longitudinale.
a
b
trasportato, e quindi prestazioni non soddisfacenti. L’avvento di materiali particolarmente
puri e trasparenti (circa diecimila volte più trasparenti del vetro comune), con coefficienti di
assorbimento estremamente bassi, ha reso possibile la produzione di fibre ottiche a bassissimo
assorbimento. Le fibre ottiche attuali subiscono
una riduzione dell’intensità della luce inferiore
di un fattore 2 su una lunghezza di 6 km.
La riduzione dell’oggetto all’immagine avviene
in due fasi successive: nel sistema corneale,
composto dalla cornea e dall’umore acqueo,
e nel sistema lenticolare composto dall’umore
acqueo, dal cristallino e dall’umore vitreo (fig.
4.48).
indice di rifrazione (assoluto)
A
1,00
cornea
oggetto
1,38
1,33
1,38 - 1,40
1,34
B'
immagine
cristallino
A'
B
Figura 4.47
Diagramma dei raggi per la lente-occhio (cornea - cristallino - umore
acqueo).
aria cornea umor acqueo
cristallino
Figura 4.48
L’indice di rifrazione all’interno della lente-occhio.
umor vitreo
719
720
MODULO F - ONDE
Nel sistema corneale, per effetto della geometria
dell’occhio e dell’indice di rifrazione relativo
umore acqueo-cornea, si ha, in condizioni di
normalità, un potere diottrico uguale a +42 diottrie. Nel sistema lenticolare il potere diottrico è
di +16 diottrie.
Complessivamente, il potere diottrico dell’occhio umano è di +58 diottrie, valore piuttosto
alto (coerente con l’esigenza di un forte effetto
convergente).
Nell’occhio umano, la distanza q tra lente e
immagine, cioè tra il sistema cornea-cristallino e
la retina, è costante. L’occhio, però, deve essere
in grado di mettere a fuoco sulla retina oggetti
che si trovano a una distanza p molto variabile,
cosa che non sarebbe possibile se il sistema
ottico fosse rigido. Invece l’occhio è in grado
di modificare la geometria del cristallino tramite i muscoli ciliari: il cervello, in presenza di
immagini sfocate, invia ai muscoli una serie di
impulsi che lo spingono a contrarsi, deformando il cristallino. La variazione di curvatura del
cristallino altera la distanza focale, modificando
il potere diottrico del sistema e determinando
la correzione necessaria per la migliore messa a
fuoco dell’immagine sulla retina. Questo processo, che coinvolge il cervello e i muscoli ciliari,
si chiama accomodamento, ed è decisivo per la
messa a fuoco.
Definite le seguenti distanze.



Distanza di punto remoto: distanza dell’oggetto infinita, per cui i raggi luminosi arrivano
all’occhio fra loro paralleli.
Distanza di punto normale: distanza dell’oggetto di 25 cm.
Distanza di punto prossimo: distanza dell’oggetto di 8 cm.
Possiamo osservare che, in condizioni normali, senza accomodamento, il muscolo ciliare
è rilasciato e il cristallino ha la minima curvatura: l’occhio è a fuoco nel punto remoto.
Contraendo il muscolo ciliare, si aumenta la
curvatura del cristallino fino a formare sulla
retina l’immagine nitida di oggetti che si
trovano alla distanza di punto prossimo. In
questo caso l’occhio compie un certo sforzo.
L’occhio, al contrario, può rimanere accomodato senza particolare sforzo alla distanza di
punto normale.
 Difetti visivi
L’occhio, ovviamente, è soggetto a patologie che
ne inficiano la funzionalità. Presentiamo i difetti
visivi più comuni che, come sappiamo, sono corretti indossando occhiali con lenti convergenti o
divergenti a seconda della patologia. Aiutiamoci
con le figure.
La miopia consiste nell’incapacità dell’occhio di
mettere a fuoco sulla retina gli oggetti distanti
(fig. 4.49a). Può essere corretta con occhiali
con lenti divergenti (fig. 4.49b): in questo modo
i raggi provenienti dal punto remoto sono fatti
divergere quanto basta perché l’occhio li riporti
a fuoco sulla retina.
Figura 4.49
(a) Miopia e (b) sua correzione.
cristallino
raggi da
oggetti distanti
fuoco
(non corretto)
a
cristallino
raggi da
oggetti distanti
lente concava
addizionale
b
fuoco
(corretto)
UNITÀ F4 - OTTICA GEOMETRICA
L’ipermetropia è una riduzione del potere
convergente dell’occhio che comporta la messa
a fuoco degli oggetti distanti non sulla retina,
come dovrebbe essere, ma in un punto posteriore alla retina. Tramite il processo di accomodamento, l’ipermetrope riesce a mettere a fuoco
gli oggetti lontani, mentre quelli vicini, per i
quali occorre un maggiore effetto convergente,
appaiono sfocati (fig. 4.50a). Questo difetto si
correggere con occhiali con lenti convergenti:
aumentano il potere convergente complessivo,
permettendo la messa a fuoco sulla retina anche
degli oggetti vicini (fig. 4.50b).
oggetto
vicino
fuoco
(non corretto)
a
La presbiopia è un difetto degenerativo. Con
l’età la capacità di accomodamento diminuisce,
e non si riesce più a mettere a fuoco le immagini vicine. Come l’ipermetropia, la presbiopia si
corregge con lenti convergenti, che compensano
la riduzione di potere accomodante dell’occhio.
L’astigmatismo è un difetto di visione che
deriva dalla non perfetta sfericità dell’occhio:
l’immagine di un oggetto risulta a fuoco in
alcuni punti e non in altri. Si corregge con
lenti a curvatura variabile, realizzate in modo
da riportare a fuoco l’immagine in tutti i punti
della retina.
cristallino
oggetto
vicino
cristallino
lente convessa
addizionale
fuoco
(corretto)
b
Figura 4.50
(a) Ipermetropia e (b) sua correzione.
APPROFONDIMENTO
Strumenti ottici
Descriviamo brevemente due strumenti ottici
che almeno una volta abbiamo avuto modo di
usare: il cannocchiale e il microscopio. Essi
sono costituiti fondamentalmente da una coppia di lenti, identificate come lente obbiettivo
e lente oculare. Il loro funzionamento si può
riassumere nel seguente modo:
la lente obbiettivo crea una prima immagine
che viene catturata dalla lente oculare, la quale
la trasforma nell’immagine che sarà percepita
dall’occhio.
Per quanto riguarda il cannocchiale, ne esistono
due tipi, il cannocchiale astronomico o telescopio
e il cannocchiale terrestre.
 Telescopio a rifrazione
Il cannocchiale astronomico più semplice è il
telescopio a rifrazione, adatto per osservare
oggetti molto lontani. La lente obiettivo e la lente
oculare sono entrambe convergenti (fig. 4.51).
Con questo strumento ottico la distanza dell’oggetto è molto elevata: i raggi che provengono da
esso giungono quasi paralleli sulla lente obiettivo
e quindi convergono nel fuoco della lente stessa.
La lente oculare è posizionata in modo che il suo
fuoco coincida con quello della lente obiettivo:
per questo motivo l’immagine secondaria, che si
forma sul piano focale comune, diventa l’oggetto della lente oculare, e si proietta in direzione
dell’occhio dell’osservatore come un fascio di
raggi paralleli (fig. 4.51).
721
722
MODULO F - ONDE
In questo modo l’immagine finale appare a
distanza infinita comportando un completo rilassamento dell’occhio dell’osservatore.
Osserviamo come l’immagine sia capovolta e
come l’angolo ‚ che i raggi luminosi uscenti dal
cannocchiale formano con l’asse ottico, sia maggiore dell’angolo  formato dai raggi entranti.
fobiettivo
lente obiettivo
l’oggetto si
trova all’infinito
Per valori non elevati di questi angoli, l’ingrandimento G del cannocchiale si può calcolare dalla
relazione
G
f obiettivo
f oculare
foculare
lente oculare
fuoco principale
delle due lenti
b
a
una immagine intermedia
si forma nel piano focale
comune alle due lenti
l’immagine appare
a distanza infinita
 Telescopio a riflessione
Nel telescopio a riflessione, la lente obiettivo è
sostituita da uno specchio concavo. Al contrario
di una lente, uno specchio può assumere grandi
dimensioni, e questo costituisce uno dei vantag-
l’oggetto si
trova all’infinito
Figura 4.51
Diagramma dei raggi per il telescopio
a rifrazione.
gi del telescopio a riflessione rispetto a quello
di rifrazione, perché può concentrare una maggiore quantità di luce rispetto a una lente (fig.
4.52). Inoltre osserviamo come la geometria del
telescopio a riflessione permetta la costruzione
di strumenti più compatti di quello a rifrazione.
specchio obiettivo
specchio piano
posizione dell’immagine (virtuale)
formata dallo specchio curvo
la lente oculare proietta
l’immagine finale all’infinito
Figura 4.52
Diagramma dei raggi per il telescopio
a riflessione.
UNITÀ F4 - OTTICA GEOMETRICA
 Cannocchiale terrestre di Galilei
Nel cannocchiale di Galilei, la lente oculare è
divergente (fig 4.53). Le due lenti sono posi-
lente obiettivo
fuoco principale,
comune all’obiettivo e
all’oculare
lente oculare
l’oggetto si
trova all’infinito
a
zionate in modo che il loro fuoco coincida.
Questo strumento produce un’immagine diritta
e, a parità di altre condizioni, un ingrandimento
maggiore del cannocchiale astronomico.
F
b
Immagine intermedia.
In questo punto si
formerebbe l’immagine
se non ci fosse la lente
oculare
l’immagine intermedia diventa l’oggetto della lente oculare
che forma l’immagine finale all’infinito
 Microscopio
Esistono due tipi di microscopio. Il microscopio semplice è costituito da una lente convergente che produce dunque un’immagine virtuale
e ingrandita dell’oggetto. Il fatto che l’immagine
sia virtuale, implica che l’immagine rimanga a
fuoco anche se l’occhio dell’osservatore si sposta
avanti e indietro.
Il microscopio composto è strutturato in modo
“classico” con la lente obbiettivo e la lente oculare, entrambe convergenti. Come il microscopio
semplice, produce un’immagine virtuale dell’oggetto, ma ingrandita. Le distanze focali delle due
lenti sono diverse e, a differenza del telescopio
astronomico, la lente obiettivo è quella che ha la
immagine
intermedia
lente obiettivo
FO
oggetto
FE
Figura 4.53
Diagramma dei raggi per il cannocchiale terrestre di Galilei.
distanza focale minore. I piani focali delle due
lenti non coincidono, comportando quindi due
immagini, una che identifichiamo come intermedia e una come finale (fig. 4.54).
Analizziamo con maggiore dettaglio il diagramma dei raggi con l’aiuto della figura. La lente
obiettivo forma una prima immagine, l’immagine intermedia, che è reale, ingrandita e capovolta
e si trova appunto in una posizione intermedia,
tra la lente oculare e il suo fuoco. A sua volta,
l’immagine intermedia costituisce l’oggetto per
la lente oculare che forma una seconda immagine, l’immagine finale, che è virtuale ingrandita
e capovolta rispetto all’oggetto. Quindi con il
microscopio composto l’immagine dell’oggetto è
virtuale e ingrandita.
lente oculare
FE
FO
le linee tratteggiate nere servono a determinare
la posizione dell’immagine finale
Figura 4.54
Diagramma dei raggi per il microscopio
composto.
723
724
MODULO F - ONDE
APPROFONDIMENTO
Eclissi di Sole
Le sorgenti luminose si possono suddividere
in due classi: quelle puntiformi come il laser,
e quelle estese come la lampadina a incandescenza. Nel seguente esperimento le utilizziamo
entrambe per dimostrare che la propagazione
della luce è rettilinea.
In figura 4.55a tra una sorgente puntiforme S e
uno schermo si trova un corpo che blocca i raggi
luminosi (corpo opaco). Da S parte un fascio di
raggi: quelli che impattano contro il corpo sono
compresi tra le rette a e b e si crea una zona
d’ombra sullo schermo. Questo dimostra che
i raggi non aggirano l’ostacolo come potrebbe
avvenire se non si propagassero in modo rettilineo.
In figura 4.55b la sorgente S è estesa, e anche in
questo caso, abbiamo una zona d’ombra a conferma della propagazione rettilinea della luce.
Inoltre, osserviamo che intorno alla zona d’ombra c’è una zona di penombra, dove arrivano
solo i raggi provenienti dai bordi della sorgente.
Per costruire ombra e penombra si tracciano le
rette che sono tangenti al corpo e che partono
dai punti A e B della sorgente.
a
A
S
S
B
b
a
b
Figura 4.55
(a) Ombra proiettata su uno schermo da un corpo opaco illuminato da una sorgente puntiforme S. (b) Ombra e penombra nel caso di sorgente
estesa.
La formazione di ombra e penombra, che conferma la propagazione rettilinea della luce, avviene
durante l’eclisse di Sole, cioè quando la Luna
si trova allineata tra Sole e Terra (fig. 4.56). La
zona della Terra che si trova nella zona d’ombra
è in completa oscurità (eclissi totale), quella in
zona di penombra è parzialmente illuminata
solo da uno spicchio di Sole (eclissi parziale).
Luna
Sole
Terra
Figura 4.56
Eclissi di Sole. Essendo
il Sole, la Luna e la Terra
allineati fra loro, sul
nostro pianeta è proiettato il cono d’ombra della
Luna.
unità
4.1 Modello a raggio della luce
modello a raggio: la luce si propaga secondo
traiettorie rettilinee come raggi di spessore trascurabile (ad esempio il raggio laser).
intensità luminosa:
I
E
S t
interazione tra luce e mezzo di propagazione: l’intensità luminosa del raggio incidente si
suddivide in intensità trasmessa, assorbita e
riflessa.
mezzi di propagazione: possono essere trasparenti, opachi o riflettenti a seconda della ripartizione dell’intensità luminosa incidente tra rifrazione, assorbimento e riflessione.
F4
Riepilogo
specchio concavo: il centro di curvatura e la
superficie riflettente sono dalla medesima parte
dello specchio.
specchio convesso: il centro di curvatura e la
superficie riflettente si trovano in parti opposte
dello specchio.
equazione degli specchi:
1 1 1
 
p q f
dove p è la distanza dell’oggetto dallo specchio, q
la distanza dell’immagine ed f la distanza focale.
ingrandimento lineare dello specchio sferico:
G
q
p
4.2 Fenomeni di riflessione e diffusione
segno algebrico per i parametri f, G e q:
leggi della riflessione: (1) il raggio incidente e
riflesso sono complanari alla retta normale alla
superficie riflettente; (2) l’angolo di incidenza e
l’angolo di riflessione sono uguali.
diffusione: fenomeno di riflessione che avviene
su una superficie scabra; consente la visione di
un qualsiasi oggetto da qualsiasi posizione di
osservazione.
specchio concavo:
f>0
specchio convesso:
f<0
immagine dritta:
G>0
immagine capovolta:
G<0
immagine reale:
q>0
immagine virtuale:
q<0
4.3 Formazione immagine per riflessione
(specchi piano e sferico)
specchio piano: produce un’immagine simmetrica e speculare.
immagine: reale se costruita con l’intersezione
dei raggi riflessi, virtuale se costruita con i prolungamenti dei raggi riflessi.
specchio sferico: specchio la cui superficie
riflettente è una porzione di una sfera di raggio
R (definito raggio di curvatura).
4.4 Fenomeno di rifrazione
indice di rifrazione: parametro caratteristico
di un mezzo trasparente: minore è il suo valore,
maggiore è la trasparenza. È funzione della lunghezza d’onda del raggio luminoso.
leggi della rifrazione (leggi di Snell): (1) il
raggio incidente e il raggio rifratto sono complanari alla retta normale alla superficie di separazione tra i due mezzi di propagazione; (2) l’ango-
726
MODULO F - ONDE
lo di incidenza e l’angolo di rifrazione rispettano la seguente formula
sen i n2

sen  r n1
versamento di un prisma trasparente; ogni componente monocromatica, di lunghezza d’onda e
colore diversi, emerge dal prisma con un differente angolo di deviazione.
4.5 Rifrazione nella lente
indice di rifrazione relativo:
lente convergente: converge nel fuoco i raggi
luminosi incidenti paralleli all’asse ottico.
n2 1

n1 2
riflessione totale: l’intensità luminosa del raggio incidente è convogliata completamente nel
raggio riflesso, annullando il raggio rifratto;
avviene quando il raggio luminoso entra in un
mezzo con indice di rifrazione minore rispetto a
quello di provenienza. L’angolo di incidenza
deve essere maggiore o uguale all’angolo limite
dato da
 L  arc sen
n2
n1
lente divergente: diverge raggi luminosi incidenti paralleli all’asse ottico; i loro prolungamenti convergono nel fuoco che si trova dalla
medesima parte da cui arrivano i raggi paralleli.
lente biconvessa: lente convergente con raggi
di curvatura uguali.
lente biconcava: lente divergente con raggi di
curvatura uguali.
approssimazione di lente sottile: lo spessore
della lente a livello dell’asse ottico è trascurabile
rispetto ai raggi di curvatura.
equazione delle lenti:
doppia rifrazione su lastra a facce parallele:
l’effetto risultante è lo spostamento parallelo del
raggio emergente rispetto a quello incidente.
doppia rifrazione su prisma: l’effetto risultante è un angolo di deviazione  che è funzione
dell’angolo di incidenza e della lunghezza d’onda del raggio luminoso che attraversa il prisma
1 1 1
 
p q f
dove p è la distanza dell’oggetto dalla lente, q la
distanza dell’immagine e f la distanza focale.
ingrandimento lineare della lente:
  f ( )
unità
F4
Riepilogo
luce bianca: onda elettromagnetica policromatica, cioè composta da più onde monocromatiche caratterizzate ciascuna da una precisa lunghezza d’onda.
spettro della luce bianca: insieme delle onde
monocromatiche che compongono la luce bianca; ogni lunghezza d’onda si traduce visivamente in un colore.
dispersione della luce bianca: scomposizione
della luce bianca nel suo spettro tramite attra-
G
q
p
segno algebrico per i parametri f, G e q
lente convergente:
f>0
lente divergente:
f<0
immagine dritta:
G>0
immagine capovolta:
G<0
immagine reale:
q>0
immagine virtuale:
q<0
unità
TEST
1
2
3
4
5
6
7
Una sorgente luminosa illumina un corpo
opaco. La formazione dell’ombra del corpo è
una conseguenza
a) dell’assorbimento dell’intensità luminosa da
parte del corpo
b) della propagazione rettilinea dei raggi luminosi
c) della presenza dell’aria che circonda il corpo
d) della reciprocità del cammino ottico
Un’immagine virtuale
a) è sempre capovolta
b) è sempre rimpicciolita
c) è formata dai raggi riflessi
d) non si può raccogliere su uno schermo
The image of an object that a plane mirror
forms is
a) virtual and upright
b) real and inverted
c) virtual and inverted
d) real and upright
Il raggio di curvatura di uno specchio sferico è
40 cm. La distanza focale dello specchio è
a) 20 cm
b) 40 cm
c) 60 cm
d) 80 cm
Un raggio luminoso incide su uno specchio
sferico passando per il centro di curvatura. Il
raggio riflesso
a) passa per il fuoco dello specchio
b) torna indietro seguendo il medesimo percorso
c) è parallelo all’asse ottico
d) è inclinato di 30° rispetto alla retta normale
nel punto di incidenza
L’immagine di un oggetto posto tra il fuoco e il
vertice di uno specchio concavo è
a) virtuale, capovolta e ingrandita
b) virtuale, diritta e ingrandita
c) reale, capovolta e rimpicciolita
d) reale, capovolta e ingrandita
In uno specchio sferico p è la distanza oggettospecchio e q è la distanza immagine-specchio.
L’ingrandimento G dello specchio è
F4
a) G 
q
p
c) G  
Verifiche
b) G 
q
p
p
q
d) G  
p
q
8
Quando un raggio luminoso si rifrange passando da un mezzo a uno più trasparente, la
velocità di propagazione
a) diminuisce
b) aumenta
c) rimane costante
d) tende ad annullarsi
9
La riflessione totale si verifica quando l’angolo
incidente è
a) maggiore o uguale dell’angolo limite
b) minore dell’angolo limite
c) uguale all’angolo riflesso
d) il doppio dell’angolo riflesso
10 For a thin lens, the image distance that corresponds to an infinite object distance is called
a) focal length
b) radius of curvature
c) object distance
d) virtual distance
11 Con una lente convergente è possibile ottenere
un’immagine diritta e ingrandita se
a) l’oggetto si trova tra il fuoco e il doppio della
distanza focale
b) l’oggetto si trova sul vertice
c) l’oggetto si trova nel fuoco
d) l’oggetto si trova tra il fuoco e il vertice
12 Se la distanza dell’oggetto dal centro ottico di
una lente convergente è due volte la distanza
focale, l’immagine è
a) virtuale e dritta
b) reale e dritta
c) reale e capovolta
d) virtuale e capovolta
13 Una lente convergente ha una distanza focale
di 12 cm. Il potere diottrico della lente è
a) 12 diottrie
b) 10 diottrie
c) 8,3 diottrie
d) 8,3 · 10–2 diottrie
728
MODULO F - ONDE
QUESITI
14 Quando un corpo opaco proietta, assieme ad
una zona d’ombra, anche una zona di penombra?
15 Quando si verifica il fenomeno della diffusione?
29 Quando una lente è considerata sottile?
30 È possibile raccogliere su uno schermo l’immagine prodotta da una lente divergente?
31 Per accendere il fuoco, sfruttando i raggi del
Sole, è necessaria una lente convergente o
divergente?
16 Cosa affermano le leggi della riflessione?
17 Come si comporta il raggio riflesso originato
da un raggio incidente parallelo all’asse ottico
di uno specchio concavo?
18 Un oggetto è posto davanti a uno specchio
convesso. In quale direzione si muove l’immagine quando l’oggetto è allontanato dallo
specchio?
19 Com’è l’immagine di un oggetto posto nel centro di uno specchio concavo?
20 Gli specchietti retrovisori degli autoveicoli
sono concavi o convessi?
21 For a mirror, if q is negative, where is the
image?
22 Quali sono le unità di misura dell’ingrandimento lineare di uno specchio sferico?
23 Uno specchio sferico è caratterizzato da un
ingrandimento negativo. Com’è l’immagine
fornita dallo specchio?
24 What is the SI unit for the index of refraction?
unità
F4
Verifiche
25 Quando un raggio rifratto si allontana dalla
retta normale alla superficie di separazione di
due mezzi trasparenti?
PROBLEMI
Modello a raggio della luce (4.1)
Riflessione ottica (4.2)
32 Due superfici riflettenti sono ad angolo retto.
Un raggio luminoso colpisce il primo specchio
con un angolo di incidenza di 20°. Determinare
l’angolo di riflessione del raggio dalla seconda
superficie.
33 Due superfici riflettenti H e K formano fra loro
un angolo di 110°. Un raggio luminoso colpisce la superficie H con un angolo di incidenza
di 60°. Determinare l’angolo di riflessione del
raggio dalla superficie K.
34 A light ray incident on a surface makes an
angle of 10° with the surface. Find the angle
of incidence and the angle of reflection.
35 Un raggio luminoso è riflesso da una superficie riflettente con un angolo di incidenza di
30°. La superficie è poi ruotata di un angolo
di 20°. Determinare di quale angolo ruota il
raggio riflesso.
Riflessione con specchi (4.3)
26 Un raggio di luce incide su una lastra di vetro
a facce piane parallele con un angolo di 30°.
Qual è l’angolo con cui il raggio emerge dalla
lastra?
36 Due specchi piani lunghi 60 cm sono posti uno
di fronte all’altro a una distanza di 10 cm. Se
un raggio di luce incide su un estremo di uno
specchio con un angolo di 45°. Determinare
quante volte il raggio luminoso è riflesso
prima di uscire dall’altro estremo.
27 Perché si abbia riflessione totale, quale dei due
mezzi di propagazione deve avere un indice di
rifrazione maggiore e per quale motivo?
37 A girl stands 3 m from a plane mirror. Find the
distance between the girl and her mirror image.
28 Due raggi luminosi, di colore rosso e violetto,
attraversano un prisma trasparente. Quale
raggio luminoso è maggiormente deviato dal
prisma?
38 Un raggio di sole colpisce uno specchio piano a
un’altezza dal suolo di 1,4 m. Il raggio riflesso
forma un punto luminoso al suolo a una distanza di 2,5 m dalla parete. Dopo un certo interval-
UNITÀ F4 - OTTICA GEOMETRICA
lo di tempo il punto si è spostato a una distanza
di 3,75 m dalla parete. Calcolare la variazione
subita dall’angolo di elevazione del Sole.
729
col etilico (indice di rifrazione di 1,36), colpisce la superficie di separazione tra alcol e
vetro crown (indice di rifrazione di 1,41) e si
rifrange con un angolo di rifrazione di 35°.
Trovare l’angolo di incidenza.
39 Un oggetto, disposto sull’asse ottico di uno
specchio sferico concavo di raggio 2,0 m,
dista dal vertice 60 cm. Dopo aver costruito il
diagramma dei raggi, determinare la distanza
dell’immagine e l’ingrandimento lineare.
48 A light ray is hits the surface of water (n = 1.33)
at an angle of 60°. Calculate the angle of the
refracted ray.
40 Una penna è disposta sull’asse ottico di uno
specchio concavo di raggio 1,2 m. La sua
immagine è tre volte più alta. Determinare
la distanza della penna e della sua immagine
dallo specchio.
49 In figura, il sasso S si trova 2,00 m sotto la
superficie del mare. Calcolare a quale profondità il ragazzo sulla riva vede l’immagine del
sasso. (L’indice di rifrazione dell’acqua salata
è 1,42).
41 Un oggetto alto 45 cm è posizionato a una
distanza di 2,0 m davanti a uno specchio
convesso che ha distanza focale –50 m. Dopo
aver costruito il diagramma dei raggi, determinare la posizione e l’altezza dell’immagine.
L’immagine è diritta o capovolta?
Rifrazione ottica (4.4)
45 La velocità della luce nell’alcol è 2,20 · 108 m/s.
Determinare l’indice di rifrazione dell’alcol.
46 Un raggio luminoso colpisce la superficie di
separazione tra aria e benzene con un angolo
di incidenza di 43°; il raggio rifratto forma un
angolo di rifrazione di 27°. Calcolare l’indice
di rifrazione del benzene.
47 Un raggio di luce gialla, che si propaga nell’al-
51 Un raggio luminoso attraversa le pareti in
vetro (n1 = 1,60) di una vasca d’acqua salata
(n2 = 1,55). Calcolare l’angolo limite per il raggio luminoso che attraversa il vetro ed entra
nell’acqua salata. Quanto vale l’angolo limite
nel caso di un raggio luminoso che esce dalla
vasca?
52 Un raggio di sole incide con un angolo di
60,0° su una lastra di cristallo spessa 10,0 cm.
L’indice di rifrazione del cristallo è di 1,607
per la luce violetta, mentre è di 1,569 per la
luce rossa. Determinare gli angoli di rifrazione
per i due raggi. Di quanto sono distanziati i
punti di uscita dei due raggi quando emergono
dal vetro?
53 Un prisma ha per sezione un triangolo rettangolo isoscele ed è impiegato per deviare un
fascio di luce ad angolo retto mediante rifles-
Verifiche
44 Gli specchietti retrovisori delle automobili
sono specchi convessi. Uno specchietto retrovisore ha distanza focale –2,25 m. Costruire
il diagramma dei raggi e determinare dove si
forma l’immagine di una bicicletta che si trova
a 5,00 m dallo specchio.
50 Un raggio luminoso colpisce con un angolo di
incidenza di 45° una lastra di vetro con spessore di 0,70 cm e indice di rifrazione di 1,41.
Calcolare la lunghezza del tratto percorso
all’interno della lastra.
F4
43 Uno specchio da barba è uno specchio concavo. Un uomo si rade ponendosi a 15 cm
dal suo specchio di distanza focale 30 cm.
Determinare l’ingrandimento dello specchio.
S
unità
42 Uno specchio concavo, con distanza focale
di 30 cm, forma l’immagine capovolta di una
matita con un ingrandimento 3. Calcolare di
quanto occorre spostare la matita, e in quale
verso, per avere un’immagine capovolta con
ingrandimento 2.
730
MODULO F - ONDE
sione totale. Determinare il minimo valore
dell’indice di rifrazione del prisma.
54 In figura, un raggio di luce monocromatica
incide su un prisma trasparente di indice di
rifrazione n  2 con un angolo di incidenza
di 45°. Il prisma ha per sezione un triangolo
equilatero. Tracciare il percorso del raggio e
calcolare l’angolo che il raggio emergente dalla
seconda faccia forma con la relativa normale.
45°
Rifrazione con lenti (4.5)
55 L’immagine di un oggetto che dista 1,5 m da
una lente convergente si forma a una distanza
di 3 m dalla lente. Determinare la distanza focale della lente e tracciare il diagramma dei raggi.
56 An object 10 cm high is placed 1.0 m in front
of a converging lens whose focal length is
20 cm. Determine the image height. Is the
image inverted or upright?
unità
F4
Verifiche
57 Una torcia elettrica, alta 10 cm e disposta
a 20 cm da una lente, origina un’immagine
virtuale alta 25 cm. Calcolare la posizione dell’immagine e la distanza focale della
lente. Determinare se la lente è convergente
o divergente.
58 Un ragazzo vuole fotografare una ragazza
alta 1,6 m, perciò la mette a 3,0 m di distanza dalla macchina fotografica. La lunghezza
focale della macchina è 4,0 cm. Determinare
la distanza dall’obiettivo dell’immagine che si
forma sulla pellicola e la sua altezza.
59 Un oggetto è disposto a 8,0 cm di distanza da
una lente divergente che ha lunghezza focale
–6,0 cm. Costruire il diagramma dei raggi e
determinare la posizione dell’immagine e l’ingrandimento della lente.
60 Una lente di ingrandimento è una lente convergente, di piccola distanza focale, che viene
collocata in modo che l’oggetto da osservare
sia disposto tra il fuoco e la lente stessa. Si
usa una lente di ingrandimento, con distanza
focale 2,5 cm, per osservare un francobollo.
Se si pone la lente a 2,0 cm dal francobollo,
calcolare di quanto risulta ingrandito.
61 Una lente di ingrandimento ha distanza focale 6 cm. Determinare a quale distanza da un
oggetto si deve tenere questa lente per ottenere
un ingrandimento pari a 3.
62 Anna è miope. La sua distanza della visione
distinta è 15,0 cm. Per leggere un libro alla
distanza di 25,0 cm, deve usare lenti divergenti. Determinare quale distanza focale hanno le
sue lenti e il loro potere diottrico.
63 Luca è ipermetrope, cioè non riesce a distinguere gli oggetti a meno di 1,0 m dai suoi
occhi. Per leggere un libro alla distanza di
25 cm, deve usare lenti convergenti che formino un’immagine virtuale. Determinare quale
distanza focale hanno le sue lenti e il loro
potere diottrico.
UNITÀ F4 - OTTICA GEOMETRICA
731
LABORATORIO
Verifica sperimentale
delle leggi della riflessione
 Obiettivo
Verificare sperimentalmente che l’angolo di incidenza di un raggio luminoso
su una superficie riflettente è uguale all’angolo del raggio riflesso, entrambi
misurati rispetto alla normale alla superficie nel punto di incidenza.
 Materiali





proiettore laser tascabile
foglio rigido e piano di cartone di lato 150 cm
specchi piani di piccole dimensioni
goniometro circolare, riga, squadra
spilli con capocchia colorata
 Preparazione
La figura 4.57 è mostrato l’assemblaggio dei materiali per l’esperimento.
Eseguiamo la preparazione nel seguente modo.
Figura 4.57
Schema dell’esperimento.
1. Disegnamo al centro del foglio rigido un segmento
di qualche centimetro di lunghezza e segnamo un
punto (P) ben visibile al centro di esso.
2. Disegnamo la perpendicolare al segmento che passa
per il punto P.
3. Fissiamo verticalmente lo specchio sul foglio, con
la superficie riflettente coincidente con il segmento
tracciato e con il centro dello specchio coincidente
con il punto P.
qi
P
q rs
4. Disponiamo il proiettore in modo che il raggio giaccia sul piano e si diriga verso il punto P.
5. Oscuriamo il più possibile il locale quando il proiettore è acceso.
8. Tracciamo con un pennarello sottile o una matita le due semirette uscenti
dal punto P, con l’aiuto di una riga appoggiata alle coppie di spilli.
F4
7. Segnamo con due spilli la traiettoria del raggio incidente e con altri due
quella del raggio riflesso.
unità
6. Accendiamo il proiettore.
Verifiche
 Esecuzione
732
MODULO F - ONDE
9. Misuriamo con il goniometro l’angolo di incidenza i e l’angolo di riflessione
rs.
10. Ripetiamo la misura dell’angolo di riflessione per un certo numero di angoli
di incidenza, intervallati l’uno dall’altro di 10° (1 = 10°, 2 = 20°, 3 = 30°, …)
 Interpretazione
La legge della riflessione afferma che l’angolo di riflessione è uguale all’angolo
di incidenza. Quindi, per potere verificare la validità della legge, calcoliamo per
ogni coppia di angoli il rapporto
k
i
 rs
(1)
Se le misure sono effettuate correttamente, si dovrebbe ottenere k = 1, quindi
i
1
 rs
per tutti gli angoli misurati.
 Calcolo e verifica
11. Inseriamo in un foglio elettronico i valori in gradi degli angoli i e rs imposti
e misurati durante le successive ripetizioni dell’esperimento.
12. Calcoliamo per ogni ripetizione dell’esperimento il rapporto degli angoli
secondo la formula (1).
13. Tracciamo un piano cartesiano dove riportiamo sull’asse delle ascisse i
valori degli angoli di incidenza e sull’asse delle ordinate i valori calcolati dal
rapporto (1); dalle intersezioni delle coppie di coordinate costruiamo quindi
il grafico.
unità
F4
Verifiche
14. Verifichiamo la legge di riflessione analizzando l’andamento del grafico
ottenuto: idealmente dovrebbe essere una retta parallela all’asse delle ascisse
i cui punti hanno come ordinata il valore 1.
modulo
F
Verifica
di competenze
Lo sviluppo delle tecnologie della luce
L’importanza della luce nella storia del genere umano è un fatto indiscutibile,
ed in questo corso di Fisica ciò è stato sottolineato più volte. In questo modulo,
abbiamo potuto seguire il lungo (ed animato!) dibattito che ha coinvolto grandi
scienziati di tutti i tempi sulla natura della luce. Nell’Unità dedicata al modello
ondulatorio della luce, abbiamo visto vecchi scienziati difendere idee superate
per paura del cambiamento, ed invece giovani scienziati, come Huygens, affrontare coraggiosamente l’ostilità dell’establishment scientifico per proporre nuove
visioni della natura. Non è il solo caso: ai tempi di Galilei, non era successo
qualcosa di simile? La scienza non è solo una raccolta di leggi, regole e formule
matematiche, che si sono formate da sé e che vengono scritte nei libri. È anche
una lunga storia di passioni umane: il fascino della scoperta, la paura del nuovo,
l’attaccamento alla propria posizione sociale, la capacità di assumersi responsabilità, il coraggio di sfidare i pregiudizi, e soprattutto… la capacità di portare a
termine un lavoro anche a costo di fatica e di sacrifici.
 Proposta di ricerca
Una lampada ad olio risalente ai
tempi dell’antica Roma.
Affrontare il tema della luce rispetto allo sviluppo delle tecnologie ad essa correlate.
Dalla preistoria, ai primi scienziati del mondo antico, ai secoli
delle grandi svolte teoriche, fino alle impressionanti innovazioni
degli ultimi anni, scienziati, ricercatori e spesso anche persone
comuni, mosse dallo spirito della scoperta, hanno concepito e
costruito strumenti ed applicazioni basate sul fenomeno luce.
L’illuminazione degli ambienti, i processi industriali, l’analisi
chimico-fisica, la medicina, lo sport e l’intrattenimento sono
alcuni dei campi coinvolti in questa lunga (e non ancora terminata) avventura.
Talvolta (anzi, spesso) l’applicazione pratica delle invenzioni e delle scoperte è
arrivata prima della conoscenza scientifica, e ne ha determinato lo sviluppo
successivo.
Riassumendo, invitiamo a collocare su
una immaginaria linea del tempo, i
momenti corrispondenti allo sviluppo
di tecniche artigianali e di tecnologie
che hanno a che fare con l’utilizzo della
luce per i bisogni umani. La lampada
ad olio delle antiche civiltà è sicuramente una delle prime applicazioni
innovative, il LED è probabilmente
Un LED.
quella più recente (e, nel giro di qual-
734
MODULO F - VERIFICA DI COMPETENZE
che anno, se ne potranno vedere sviluppi oggi impensabili). Tra la lampada
ad olio e il LED ci sono centinaia di piccole o grandi innovazioni: invitiamo a
rintracciarle e documentarle.
Proponiamo di raccogliere i risultati della ricerca e di organizzarli in questo
modo:

la data (precisa o indicativa);

la denominazione (il modo più comune con cui vengono indicate);

la persona, o il gruppo, autore o responsabile dello sviluppo;

una descrizione sintetica degli aspetti tecnici;

un riferimento alle conoscenze scientifiche da cui ha tratto spunto o che ha
stimolato;

le conseguenze scientifiche, sociali, economiche ed etiche;

i riferimenti bibliografici utilizzati per la ricerca.