da lectorinfabula a eurozine Ovvero dalla Puglia all’Europa, passando per il Mediterraneo, ovviamente. Meno ovvio il fatto che nessuno di noi dieci anni fa, quando è iniziata l’avventura di Lectorinfabula, avrebbe mai potuto immaginare di “festeggiare” due lustri di festival ospitando sempre a Conversano nel giro di un mese il meglio della cultura italiana, europea e internazionale. Ancora meno per chi ha vissuto tutto dall’esterno, non potendo comprendere appieno cosa stava accadendo, anno dopo anno, intorno alla Fondazione Di Vagno e al Festival. Eppure qualcosa si muoveva, lentamente cresceva, piano, passo dopo passo. Non è stato facile tenersi lontani dai salotti e dalla mondanità, dalla ricerca del successo facile, per inseguire un nome o un titolo sul giornale. Sarebbe però da ipocriti negare che ci sarebbe dispiaciuto. Ma non era quello, l’obiettivo che ci eravamo preposti di raggiungere. Intanto era necessario stabilire una connessione tra una piccola comunità che cresceva e il territorio circostante. Creare un’identità. Quando con Rocco De Benedictis abbiamo cominciato a ragionare, questo inverno, su chi e quali mostre allestire siamo partiti anche sul senso da dare a questi dieci anni di Lectorinfabula cercando nello stesso tempo di immaginare quale nuovo percorso avremmo avuto davanti, partendo proprio da Eurozine. Sliding doors. Volevamo fare le cose in grande, sì ma non troppo. Solo qualcosa in più rispetto alle precedenti edizioni. Ma poi la realtà, come avviene sovente, ha di fatto superato la nostra stessa immaginazione. Passando tra queste porte scorrevoli rimaneva di fondo il tema, tra confini e frontiere, dell’Europa come casa comune. O come fortezza, (quasi) inespugnabile! Con due guerre ai suoi margini, e altri focolai di rivolte e guerriglie. Con il rinnovo del parlamento e l’avanzata di nuovi populismi e spiriti nazionalistici. 1814, 1914, 2014. In questo rincorrersi di anni, celebrazioni, in questo ripetersi quasi ciclico di fatti storici, non potevamo non dedicare lo spazio del racconto fotografico a chi in fondo di tutti questi avvenimenti, di tutto questo ne è stato solo attore non protagonista. Così è nata l’idea di un racconto corale: quattro fotoreporter, un giornalista d’inchiesta e un geografo insieme per cercare di far comprendere i punti di vista. Non certo i nostri, ma quelli degli «altri». Il punto di vista di chi davanti trova solo muri invalicabili, come quelli raccontati da Giovanni Cocco, in un reportage sui confini d’Europa, tra la Grecia e la Turchia e nelle enclave spagnole in Marocco. Passando per Lampedusa, naturalmente. Di quel viaggio, alle volte anche solo immaginario, attraverso il deserto o per mare, sempre in condizioni assurde e disumane, sono stati testimoni diretti Fabrizio Gatti e Massimo Sestini. Troppo facile dire “respingiamoli”, troppo facile dire “stessero a casa loro”. Poi rubiamo le loro esistenze e la loro dignità, come quella dei braccianti ripresi da Rocco de Benedictis, uomini curvi sui campi a raccogliere l’oro rosso, in cambio di pochi euro. Ci sono poi casi di fortuna e case in cui, per fortuna, si riesce a trovare un risposta di umanità come “casa Felix”, raccontata da Emiliano Mancuso. I loro problemi sono i nostri (nel senso anche che nascono da noi) e per troppo tempo abbiamo fatto finta di niente, nascondendo la polvere sotto il tappeto. Cosa può fare la cultura? Certamente non può risolvere i nodi politici e le questioni economiche. Ma sicuramente può aiutare ad affrontare con occhio critico le questioni. Può aiutare la politica a non rincorrere “l’effetto”, può aiutare l’opinione pubblica a ragionare meglio e più approfonditamente sulle tante questioni in campo. Che non debbono mai essere guardate da un unico punto di vista, come ci insegna Philippe Rekacewicz attraverso i suoi studi cartografici e le sue mappe. Vere opere d’arte e trattati di geopolitica al tempo stesso. Abbiamo voluto far diventare disumano un viaggio che esiste da millenni. In fondo, per noi dovrebbe essere sufficiente ricordare che Europa era una fanciulla che abitava sulle sponde della antica Siria e che, rapita da Zeus sotto forma di un toro bianco, fu condotta oltre il Mediterraneo a dare il nome al continente che noi oggi abitiamo. Filippo Giannuzzi Direttore di Lectorinfabula, parole in festival L’articolo 1 dello Statuto della CGIL, recita: “La Cgil è un’organizzazione sindacale generale … unitaria e democratica, plurietnica …”. L’immigrazione per la Cgil di Bari non è dunque solamente un tema, ma fa parte della vita quotidiana dell’Organizzazione, è diventata una nuova frontiera per la contrattazione collettiva di primo e secondo livello, con la rivendicazione di diritti specifici per gli immigrati, che non entrano in conflitto con i diritti generali dei lavoratori, anzi, li rafforzano. I temi dell’integrazione sono anche parte integrante della nostra contrattazione sociale territoriale. La presenza straniera infatti tende ormai a stabilizzarsi sempre più massicciamente nella nostra città e nella provincia; dobbiamo pertanto ragionare in termini di progetto migratorio che non risponde più allo schema di una permanenza breve, ma ad un modello di stabilizzazione. Lo straniero sta rapidamente passando dallo status di “produttore” a quello di “consumatore” e di “fruitore” di servizi: è in atto insomma una trasformazione della società da mono-culturale a interculturale. A Bari non siamo nell'anno zero sui temi dell’immigrazione, in quanto da anni la città si sforza di dare sostegno ai cittadini immigrati in termini di accoglienza ed assistenza. Ma Bari è anche la città del CIE e del CARA, elementi strutturali di un sistema di accoglienza condannato dalla Corte di Giustizia Europea per la sua inadeguatezza al rispetto dei diritti basilari delle persone. Occorre una politica seria e vicina ai bisogni reali dei cittadini, con politiche di integrazione e di inclusione che guardino al futuro di un Paese meno conflittuale, aperto al contributo ed alla partecipazione di tutti, dove nelle azioni dell’amministrazione volte a dare risposte ai bisogni dei cittadini vengano presi in considerazione anche i cittadini stranieri come pezzo integrante della società. Pino Gesmundo Segretario Camera del Lavoro CGIL Bari Monastero S. Benedetto - Conversano 11 settembre / 5 ottobre 2014 orari di apertura 10.00/13.00 e 17.00/21.00 Mostre Produzione Direzione Curatela Coordinamento editoriale Allestimenti Logistica Service Installazioni artistiche Progetto grafico Traduzioni Ufficio stampa Coordinamento organizzativo Web Ringraziamenti Borders, migrants and refugees di Philippe Rekacewicz Il viaggio di Bilal di Fabrizio Gatti, Massimo Sestini e Rocco De Benedictis Moving walls di Giovanni Cocco Il diario di Felix di Emiliano Mancuso Fondazione Giuseppe Di Vagno (1889-1921), Lectorinfabula, Eurozine, Lettera Internazionale in collaborazione con Officine Fotografiche di Roma, l’Espresso, Glänta, Le Monde Diplomatique e con la partecipazione di Radio Ghetto AMISnet.org (Agenzia Multimediale di Informazione Sociale) Filippo Giannuzzi Rocco De Benedictis Laura Labate Annalisa Simone Francesco Di Lorenzo, Giuseppe Di Lorenzo, Vittorio Di Lorenzo Maurizio Dipierro, Roberta Pinto Sonika di Lello Coletta Daniela Giglio, Ambra Abbaticola e Serena Montanaro Vincenzo Perillo Achille Caradonna, Jole De Bellis Maria Grazia Rongo, Teresa Serripierro Antonio Lacandela lectorinfabula.eu a cura di Adriana Pagliara e Simone Boccuzzi Tiziana Faraoni, Carl Henrik Fredriksson, Göran Dahlberg, Biancamaria Bruno, Bruno Manfellotto, Enzo Toma Per esigenze di pubblicazione è stato riportato il testo originale in francese di P. Rekacewicz. La traduzione italiana è di Biancamaria Bruno I testi di “Il viaggio di Bilal” sono tratti da Bilal. Viaggiare, lavorare, morire da clandestini, Fabrizio Gatti, Rizzoli Le foto di Giovanni Cocco sono stampate da Fiorito Project Bari su carta Canson baryta photographique 310 gr Foto di copertina Mare Nostrum operation, Navy Fremm Bergamini, for the first time in this kind of operation, rescue of shipwrecked 2014 © Massimo Sestini Questo catalogo è stato realizzato con il contributo della Camera del Lavoro CGIL Bari Fondazione “Giuseppe Di Vagno (1889-1921)” Onlus, presidente Gianvito Mastroleo via S. Benedetto, 18 - Tel. 080.4959372 - [email protected] stories without borders Ci sono persone che non possono gestire liberamente la loro esistenza né godere dei diritti fondamentali. Vivono in povertà e subiscono guerre ingiuste. A un certo punto, varcano i confini. Fuggono alla ricerca di un’opportunità di vita, che altrove non sempre è migliore. E ci sono anche adolescenti con problemi familiari e penali che abitano in comunità, temporaneamente. Tutto questo è Storie senza confini, il percorso espositivo multiforme, a cura di Rocco De Benedictis, prodotto da Lectorinfabula, Eurozine e Lettera internazionale in collaborazione con Officine Fotografiche di Roma, l’Espresso, Glänta e Le Monde Diplomatique. E così, dall’11 settembre fino al 5 ottobre 2014, fotografie, parole e cartografie di alto valore sociale si incontrano, presso il monastero di San Benedetto, per far rivivere tranches de vie in movimento. Raccontano e tracciano, a più voci, storie di migranti contemporanei che vanno per mare e per terra alla ricerca di accoglienza, di protezione e di un’esistenza possibile. Ma la maggior parte di loro naviga in balia di un destino ignoto. Lo scenario messo in forma per la decima edizione di Lectorinfabula si compone di realtà sostanzialmente vicine, quali: Borders, migrants and refugees di Philippe Rekacewicz, Il viaggio di Bilal di Fabrizio Gatti, Massimo Sestini e Rocco De Benedictis, Moving Walls di Giovanni Cocco e Il Diario di Felix di Emiliano Mancuso. Appare come una premessa tangibile al viaggio in un “altrove” tanto privato quanto pubblico. E offre, nel contempo, ai visitatori un’occasione unica di approfondimento e di riflessione sul tema migrazione. Laura Labate There are people who have lost control of their lives, who are deprived of their fundamental rights. They live in poverty and suffer unjust wars. At some point they cross borders. They flee, looking for opportunities, only to discover that life is not always better elsewhere. Then there are adolescents who are from problem families and have criminal records, who live in temporary accommodation in group homes. All of which features in Stories without borders, a versatile visual pathway curated by Rocco De Benedictis, produced by Lectorinfabula, Eurozine and Lettera internazionale with the support of Officine Fotografiche di Roma, l’Espresso, Glänta and Le Monde Diplomatique. And so from 11 September to 5 October 2014 photos, words and cartographies with a high social impact convene at the Monastery of San Benedetto, offering vivid glimpses of life on the move. They tell and trace, with multiple voices, stories of contemporary migrants who travel over sea and land searching for hospitality, protection and a decent existence. But most of these migrants are at the mercy of an unknown destiny. The exhibitions assembled for the 10th Lectorinfabula festival deal with realities that are not at all far away: Borders, migrants and refugees by Philippe Rekacewicz, Bilal’s journey by Fabrizio Gatti, Massimo Sestini and Rocco De Benedictis, Moving Walls by Giovanni Cocco and Felix’s Diary by Emiliano Mancuso. All of which provides a tangible premise for a journey to an “elsewhere”, both private and public. At the same time it offers visitors a unique occasion to analyze and reflect upon the topic of migration. nobili luoghi da rivivere noble places worth reliving Il monastero maschile di S. Benedetto, sorto nella metà del sec. X accanto alle mura megalitiche, più di un secolo dopo tra il 1072 e il 1098 era stato arricchito a più riprese dal conte normanno Goffredo di privilegi esenzioni e terre nonché della giurisdizione di tutta la Terra di Castellana; e anche i papi l'avevano privilegiato rendendolo immediatamente soggetto a Roma. Quando verso la metà del '200 i pochi monaci abbandonarono la sede, vi si insediarono prontamente nel 1266 le benedettine provenienti dalla Grecia con la badessa Dameta Paleologo, confermata nel 1271 dal papa Gregorio X: essa, assumendo l'ampia giurisdizione, inaugurò una secolare serie badessale; la loro graduale ascesa segnò non solo la storia di Conversano ma anche quella delle donne: le badesse, fregiandosi di mitra e pastorale, avevano poteri quasi vescovili, e in segno di sottomissione e obbedienza tutta Castellana e gli ecclesiastici si piegavano al rituale del baciamano alle badesse. Ovviamente la giurisdizione badessale entrava in collisione con quella vescovile e di qui un'interminabile serie di conflitti portati a Roma tra i vescovi di Conversano e le badesse, ma che videro sempre vincenti le donne. Con la loro accresciuta potenza economica si ampliarono le strutture abitative del monastero per l'incremento delle religiose, costituite in gran parte dalle figlie dei conti di Conversano e dei nobili del circondario, e inoltre si volle dare un risvolto per così dire mediatico con superbe strutture architettoniche, quali lo svettante campanile barocco, e panoramiche come il Belvedere, esecrato dal vescovo conversanese come luogo di mondanità. Nessuna autorità né papale né vescovile riuscì a scalzarle dal loro potere, ma solo un colpo di mano di Gioacchino Murat che nel 1810 decretò l'abolizione della loro giurisdizione; di qui cominciò un lungo periodo di declino che si concluse con l'abbandono del monastero, successivamente rilevato dalle Figlie di S. Anna; ma la progressiva diminuzione del numero delle religiose determinò alcuni decenni dopo un nuovo abbandono del monastero. Seguì un breve periodo di parziale utilizzo comunale delle strutture al termine del quale il monastero fu risucchiato in un lento e progressivo scivolamento verso il degrado più completo, preda dei colombi, dell'incuria e del vandalismo ottuso. Appena da qualche anno è stato avviato un timido e limitato recupero degli storici e gloriosi spazi. Angelo Fanelli Next to the megalithic walls of the town of Conversano rises the Monastery of St. Benedict, which was built in the second half of the Xth century. More than a century later, between 1072 and 1098, the Norman count Goffredo favored the monastery on numerous occasions by granting privileges, exemptions, and lands as well as the entire jurisdiction of the Land of Castellana. The monastery even enjoyed privileges from the popes, who immediately subjected it to Rome's authority. When the few remaining monks had abandoned the monastery towards the second half of the 1200's, it quickly became occupied in 1266 by the Benedictines from Greece, whose abbess was Dameta Paleologo, and was later confirmed in 1271 by Pope Gregory X. During this time, the monastery's jurisdiction spread widely, ushering in a rule of the abbesses that lasted a century. Their gradual ascent not only marked the history of Conversano but women's history as well. Adorning themselves with mitre and crosier, the abbesses had invested themselves with almost the same power as that of the bishops, and as a sign of submission and obedience the inhabitants of Castellana along with ecclesiastics bowed to the ritual of kissing their hand. Naturally, the abbesses' jurisdiction collided with that of the bishops' leading to an interminable series of conflicts between both sides, which were brought before the Roman Curia but unfailingly won by the women. Given the growing number of the religious and their increasing economic power, the housing facilities of the monastery had to be expanded. Most of the women came from noble families in the district of Conversano, while others were daughters of the count of Conversano himself. Furthermore, the town was to undergo a new, almost extrasensorial, transformation with the building of splendid architectural structures, such as the soaring Baroque belltower, and scenic views like Belvedere, which was condemned by the bishop of Conversano as a worldly site. No authority whatsoever, neither papal nor episcopal, was capable of undermining the power of the Benedictine abbesses, except for Gioacchino Murat who, in 1810, dealt a sudden blow by decreeing the jurisdiction be abolished. Thus began a long period of decline that ended in the abandonment of the monastery, which was successively taken over by the Daughters of St. Anne. Nevertheless, the continuous decline in the number of the religious decades later led to another wave of abandonment. For a short time, the municipality made partial use of the monastery's facilities, but soon after it gradually slid into a state of total degredation - prey to pigeons, neglect, and vandalism. Only a few years ago, limited restoration work began on the historic and glorious spaces of this monastery. borders, migrants and refugees philippe rekacewicz In questo mondo in movimento, gli spostamenti degli uomini, forzati o no, sono sempre più intensi, sempre più diversi. Farne la contabilità è una sfida: come decidere chi includere e chi escludere, come fanno le Nazioni Unite secondo criteri opinabili? C'è chi fugge dalle guerre, dalle discriminazioni, ma anche dalla povertà, perché gli stati violano i diritti umani. C'è chi viene espulso dai grandi progetti di sviluppo (siti industriali, grandi dighe, piantagioni). Sono apolidi che, senza nazionalità, sono spogliati di una cittadinanza che assicurerebbe loro i diritti fondamentali, dal diritto di andare a scuola a quello di lavorare. A seconda dei parametri, sono tra i dieci e i duecento milioni di persone. È impossibile parlare delle migrazioni degli esseri umani senza parlare dei confini innalzati da altri esseri umani. Il rapporto è stretto, il confine è l'ostacolo più pericoloso contro cui si scontra il migrante, clandestino o meno, nel corso del suo viaggio. Il confine si inscrive per contrasto nel paesaggio: talvolta si innalza come barriera spessa, talaltra finge di scomparire. Dà l'illusione di un mondo perfettamente organizzato in regioni o in paesi. Tuttavia, i confini separano gli uomini tanto quanto li raggruppano. E quando la storia scuote la geografia, si muovono nel tempo e nello spazio. Le carte esposte sono schizzi a matita il cui aspetto incerto è dimostrazione di ciò che è il confine stesso: ambivalente e paradossale. E di ciò che è l'universo della migrazione: al tempo stesso, permanente ed effimero. Lo schizzo prefigura la carta, permette di esprimere più liberamente e più soggettivamente il carattere fluttuante e arbitrario di queste linea di demarcazione e la diversità del loro statuto. Così, la cartografia va a incontrare l'arte; il cartografo allora diventa più diretto, più incisivo. Le carte rispondono innanzitutto alla domanda "dove?" e permettono poi di comprendere "che cosa", cioè come le comunità umane producano il loro territorio. Dietro ogni carta c'è un'intenzione. La carta nasce da un'idea; prima di esistere sulla carta, è una costruzione mentale. Lo schizzo mostra l'umore e le esitazioni del cartografo che vi annota disordinatamente le idee che costituiranno la trama della storia che racconta - schizzo che si concepisce e si assembla come si assembla un gioco di costruzioni: ogni pezzo è in contatto con tutti gli altri. Cambiare posto a un pezzo vuol dire ricomporre il paesaggio. Lo schizzo è una "opera di transizione" malleabile, è il luogo di sperimentazioni grafiche, un rivelatore più autentico, più fedele al pensiero del cartografo di quanto non lo sia il computer che tende a pervertire, fissando freddamente e artificialmente situazioni che sono spesso in atto. Lo schizzo è anche più dinamico: i movimenti, le forme, i colori vi trovano espressione con più vita. Si può rafforzare il tratto, giocare sui contrasti, insistere sul carattere aleatorio della geografia. Ed è questo che lo rende un'emozione artistica - ma anche politica. Our world is constantly on the move. The displacement of people, whether forced or voluntary, is becoming evermore widespread and diverse. It is a challenge to keep track of the numbers (the United Nations tries to, but its criteria are open to question): because how do you decide who to include and who to exclude? There are those fleeing war and discrimination, others poverty or systems that deny them their human rights. There are those driven from their homes by large-scale development projects (industrial sites, hydro-electric dams and plantations). Then there are stateless people, those with no nationality, denied the citizenship that would guarantee them their basic rights - including the right to go to school or get a job. Depending on how you count, there are between ten million and 200 million. We cannot talk about the migration of humans without talking about the borders that other humans put in their way. The two are intimately linked, because the border is the most dangerous obstacle that migrants - whether clandestine or not - will come up against during their journey. Borders vary in kind: some appear as insurmountably solid barriers, others seem evasive. They create the illusion of a world neatly organized into regions and countries. But borders divide people just as much as they bring them together. They shift in time and space, whenever history upsets geography. The maps exhibited are hand-drawn sketches, the wavering appearance of which illustrates the ambivalent and paradoxical nature of borders themselves, as well as the nature of migration - which is simultaneously permanent and transient. The sketch prefigures the map, and allows the changing or arbitrary nature of dividing lines, in all their variety, to be expressed more freely and subjectively. This is where cartography meets art, where the cartographer can be more direct, more incisive. Maps first address the question as to "where", and then permit us to understand "what", or how human communities create their territory. Behind every map there is an intention. The map is born of an idea, it is an intellectual construct before it exists on paper. The sketch reveals the cartographer's moods and hesitations, as he jots down the ideas that will provide the framework for the story he is telling. It is devised and put together as you would assemble a toy construction set: each piece is in contact with the others so that, if you move one piece, you reconstruct the entire landscape. The sketch is a "transitional work", malleable, a medium for experimenting with graphics. It reveals the cartographer's thoughts more faithfully and authentically than a computer, which perverts them and fixes artificially in time situations that in reality are in flux. The sketch is also a more dynamic form, such that movements, shapes and colors can be expressed with more liveliness. You can intensify lines, sharpen contrasts, and emphasize the unpredictable nature of geography. That is what makes it as much about art and emotions as politics. Nato nel 1960, Philippe Rekacewicz è un geografo franco-americano, cartografo e giornalista. Dopo gli studi in Geografia alla Sorbona, nel 1988 è diventato collaboratore fisso di Le Monde diplomatique a Parigi. Dal 1997 al 2007 ha anche diretto l'unità cartografica dell'UNEP (United Nations Environment Programme) in Norvegia (UNEP/GRIDArendal). Dal 2006 al 2009, ha anche insegnato all'Università di Bologna presso il Dipartimento di Studi storici e geografia. Dal 1988, ha pubblicato più di 2.000 carte tematiche originali, 15 atlanti e ha scritto molti articoli che riflettono il senso della sua ricerca e le sue visioni sulla cartografia e come rappresentare il mondo. Partecipa spesso a esposizioni che mettono in relazione cartografia e arte in Europa. Si interessa in particolare dei temi connessi alla demografia, ai rifugiati e ai profughi, alla migrazione e alla condizione di apolide. Più in generale, dei temi legati alla geopolitica e alla geostrategia, alla guerra e ai conflitti, come anche ai territori sociali, allo spazio pubblico e privato. Born in 1960, Philippe Rekacewicz is a French/American geographer, cartographer and journalist. After the completion of his studies in geography at Paris Sorbonne University, he became a permanent contributor to Le Monde diplomatique in Paris in 1988. From 1996 to 2007, he was head of the cartographic unit office of UNEP (United Nations Environment Programme) in Norway (UNEP/GRID-Arendal). He also taught at the University of Bologna, in the department of historical studies and geography, from 2006 to 2009. He has, since 1988, published more than 2000 original thematic maps, 15 atlases and written numerous articles dealing with research into and visions of cartography and how to represent the world. He also often participates in exhibitions linking cartography to art in Europe. He follows particularly issues concerning demography, refugees and displaced persons, migration and statelessness; and, more broadly, geopolitics and geostrategy, war and conflicts as well as social territories, public and private space. fabrizio gatti il viaggio di bilal massimo sestini rocco de benedictis Fabrizio Gatti (Milano, 1966) è un giornalista d’inchiesta e scrittore italiano. Scrive per il settimanale italiano “l’Espresso”, i suoi servizi e le sue inchieste da infiltrato sono state tradotte in tutto il mondo. Gatti ha viaggiato lungo la maggior parte delle rotte dell’immigrazione verso l’Europa. Tra il 2003 e il 2007 ha anche attraversato il deserto del Sahara per quattro volte con centinaia di migranti, si è infiltrato in una banda di trafficanti di esseri umani nel nord Africa come autista personale di uno di loro, è stato salvato in mare, è stato rinchiuso nel centro di accoglienza temporanea di Lampedusa come immigrato clandestino iracheno, e ha lavorato come bracciante schiavizzato in un campo di pomodori in Italia. Gatti ha raccontato tut- te le sue esperienze da infiltrato dall’Africa all’Europa nel libro “Bilal. Lavorare, viaggiare, morire da clandestini” (Rizzoli). Il libro è stato pubblicato anche in francese, tedesco, norvegese e svedese. Le fotografie esposte in questa mostra sono state scattate da Fabrizio Gatti nei deserti del Ténéré e del Sahara lungo il tragitto da Agadez, Niger, al confine meridionale della Libia nel marzo 2005, mentre migliaia di migranti stavano ancora cercando di raggiungere il Mar Mediterraneo con i camion e altre migliaia venivano rispediti indietro dopo che l’Unione Europea aveva dato il proprio appoggio all’accordo fra il colonnello libico Muammar Gheddafi e il primo ministro italiano Silvio Berlusconi. Fabrizio Gatti (Milan, 1966) is an Italian investigative journalist and author. He writes for the Italian weekly "l'Espresso" and his reportage and undercover investigations have been translated all over the world. Gatti has travelled most of the routes of immigration to Europe. Between 2003 and 2007 he also crossed the Sahara desert four times with hundreds of migrants, infiltrated a gang of human traffickers in Northern Africa as a gangster's personal driver, was rescued at sea, jailed in the Lampedusa detention centre as an Iraqi illegal migrant, and worked as a slave laborer on a tomato farm in Italy. Gatti related all his undercover experience from Africa and Europe in the book "Bilal. Travelling, working, dying as illegal migrants" (Rizzoli). The book was also published in French, German, Norwegian and Swedish. The photos in this exhibition were shot by Fabrizio Gatti in the Ténéré and the Sahara deserts along the route from Agadez, Niger, to the Southern Libyan border in March 2005, while thousands of migrants were still trying to reach the Mediterranean Sea by truck even as thousands of other migrants were deported back, after the European Union supported an agreement between Libya's colonel Muammar Gaddafi and Italy's Prime Minister, Silvio Berlusconi. fabrizio gatti "Io avevo due bidoni, quaranta litri in tutto. Nel deserto puoi avere anche un milione di dollari, ma se hai finito l'acqua non sei nessuno. Durante il mio viaggio ogni tanto qualcuno veniva abbandonato sulla sabbia. Ma vedi io sono magro come te. L'importante è avere il cuore forte perché lassù fa caldissimo... Là fuori troveremo soltanto la sabbia e Dio". "I had two barrels, forty liters in all. In the desert you can even have a million dollars, but if you run out of water you are nothing. During my journey now and then someone was dropped on the sand. But, you see, I'm as thin as you. What's important is that you have a strong heart because up there it's very hot…out there we'll find only sand and God". "Una nuvola di fumo denso solleva il coperchio del tubo di scarico, dritto come un comignolo sul fianco della cabina del grande camion. Bisogna chinarsi, per non respirare il gas. Al secondo colpo di acceleratore, il mondo intorno galleggia dolcemente. Si muove. Barcolliamo, perfettamente sincronizzati con il dondolio e lo scricchiolio di bidoni e bagagli. Mani e braccia si appoggiano sulle schiene accanto. L'ammasso di corpi deve ancora assestarsi. Bisogna spingere un po' con i piedi, un po' con i fianchi. Giusto per guadagnare qualche millimetro. Fanno tutti così. Il Mesallaje, il grande minareto sopra le case rosse di Agadez celebra solenne anche questa partenza. Le ruote affondano e risalgono nelle buche come la prua di una barca nel mare agitato. Chi sta seduto ai bordi deve aggrapparsi ai corpi vicini. La strada gira a sinistra e corre parallela alla pista dell'aeroporto. Finita la pista, finisce la strada. Finisce Agadez. Finisce il Sahel. Finisce l'Africa nera. Finisce un mondo. Davanti al muso del camion si apre una spianata di pietre e sabbia senza orizzonte". "A cloud of thick smoke lifts the cover of the tailpipe, straight like a chimney on the side of the cabin of the big truck. We have to stoop down not to breathe gas fumes. Upon the second kick of the accelerator, the world around gently floats. It moves. We sway, perfectly synchronized with the swinging and the squeaking of barrels and luggage. Hands and arms lean on the backs nearby. The mass of bodies still have to settle. We have to push a little with feet and hips. Just to gain some millimeters. Everybody does this. The Mesallaje too, the large minaret above the red houses of Agadez, solemnly marks this departure. The wheels sink and rise again through the holes, like the bow of a ship crossing heavy seas. Whosoever sits on the edges must cling to the bodies of those next to them. The road turns to the left and runs parallel to the runway. At the end of the runway, the road ends. Agadez ends. Sahel ends. Black Africa ends. A world ends. In front of the truck a vast expanse of sand and stones with no horizon begins". massimo sestini Massimo Sestini. Nasce a Prato nel 1963. È presente e scatta le foto esclusive di avvenimenti italiani e internazionali degli ultimi 30 anni tra cui l'incursione sulla Moby Prince in fiamme e le foto aeree degli attentati a Borsellino e Falcone. Riesce a fotografare Licio Gelli a Ginevra mentre viene scortato in carcere e, il 23 dicembre 1984, è il solo fotografo a entrare nel vagone del Rapido 904 annientato da una bomba nella Galleria di San Benedetto Val di Sambro. Immortala anche il funerale di Casiraghi nel 1990 e il bikini di Lady D. Manterrà a lungo una doppia funzione, fotografo e agente, coordinando il suo staff. Massimo Sestini was born in Prato in 1963. He has shot exclusive pictures of Italian and international events over the last 30 years, including images of the Moby Prince disaster and aerial photographs of the sites in which Borsellino and Falcone were assassinated. He photographed Licio Gelli in Geneva being escorted to jail and, on 23 December 1984, he was the only photographer to access the carriage of the Rapido 904 wiped out by a bomb in the tunnel of San Benedetto Val di Sambro. He also immortalized scenes from Casiraghi's funeral in 1990 and glimpses of Lady Di's bikini. For a long time he worked simultaneously as a photographer and agent, coordinating his staff. "L'unica luce sul mare è la pupilla brillante di Marte. Il pianeta rosso splende sopra Kerkennah, l'isola della Circe, di Ulisse, di Annibale in esilio. L'isola del naufragio di duecentocinquanta eroi che per due cartoncini e trentadue pagine in mezzo non avevano alternative nell'inseguire la propria ambizione. Duecentocinquanta eroi sicuri di quello che stavano facendo. Perché a poche ore dall'Europa, come dicevano ad Agadez, Dio non ti può abbandonare. "Lo senti questo profumo?" chiede Mohamed all'improvviso, "lo senti, amico mio? A quest'ora della notte il vento viene dall'Italia. Questo è il profumo dell'Italia." E fa un respiro profondo". "The only light on the sea is the bright pupil of Mars. The red planet shines over Kerkennah, the island of Circe, Ulysses and Hannibal in exile. The Island of the shipwreck of two hundred and fifty heroes who, in order to get two pieces of cardboard with thirty-two pages sandwiched between them, had no alternative but to follow their own ambition. Two hundred and fifty heroes sure of what they were doing. Because a few hours from Europe, as they said in Agadez, God can't abandon you. "Can you smell this scent?" Mohamed asks suddenly, "can you smell it, my friend? At this time at night the wind comes from Italy. This is the scent of Italy." And he takes a deep breath”. "Lampedusa appare all'orizzonte come una tavola inclinata. Quella che affiora dal mare non è soltanto un'isola. Per migliaia e migliaia di uomini e donne è il mito della propria vita. È l'illusoria statua della libertà dell'Unione Europea. La mostruosa dea che decide a caso, nella sua roulette diurna e notturna, chi vive e chi muore. Lampedusa è il volto contemporaneo di Circe. E come la maga di Ulisse, fa ancora prigionieri tra gli eroi che la sfidano dal mare. Ma Lampedusa è anche quel sentir comune che ci unisce come individui liberi di pensare. Che non fa differenze tra gli uomini e le donne. E dimentica cosa sono. Amici o nemici. Connazionali o stranieri. Cittadini o clandestini". "Lampedusa emerges from the horizon like a sloping board. What comes out of the sea is not just an island. For thousands and thousands of men and women it is the myth of their own lives. It is the illusory Statue of Liberty of the European Union. The monstrous goddess who decides at random, in her daytime and nighttime roulette, who lives and who dies. Lampedusa is the contemporary face of Circe. And like the witch of Ulysses, it captures prisoners among the heroes that challenge it from the sea. But Lampedusa is also that common feeling that unites us as freethinking people. That doesn't distinguish between men and women. And forgets what they are. Friends or enemies. Compatriots or foreigners. Citizens or illegals". rocco de benedictis Rocco De Benedictis. Dopo gli studi presso l'Università degli Studi di Urbino, dal 1989 al 1994 ha insegnato Cinematografia presso la stessa Università. Rientrato in Puglia nel 1992 fonda con Paola Ciriello l'Agenzia Fotogiornalistica Today. Ha col- laborato con diverse agenzie fotografiche e testate nazionali ed internazionali: Grazianeri (1995-2010), Olycom (1994 2003) e Agenzia Sintesi (19872014), Panorama, L'Espresso, Oggi, Gente, Geo, Sette, Corriere della Sera, la Repubblica. Rocco De Benedictis. After his studies at the University of Urbino, from 1989 to 1994 he taught Cinematography at the same university. Back in Apulia in 1992, he established with Paola Ciriello the photojournalistic agency Today. He collaborated with different photographic agencies and national and international journals: Grazianeri (1995-2010), Olycom (19942003) and Agenzia Sintesi (1987-2014), Panorama, l'Espresso, Oggi, Gente, Geo, Sette, Corriere della Sera, la Repubblica. "Pavel, 39 anni, raccoglitore di pomodori e ortaggi, è stato aggredito con una spranga dal suo caporale. Pavel si è protetto la testa per non essere ucciso. I colpi gli hanno frantumato i gomiti e le braccia. Pavel ha denunciato il caporale. E la polizia lo ha arrestato perché era clandestino. Non il caporale, hanno arrestato Pavel. Il caporale si è preso un buon avvocato e vive da uomo libero". "Pavel, 39, tomato and vegetables picker, was attacked with a bar by his recruiter. Pavel protected his head in order not to be killed. The strokes shattered his elbows and his arms. Pavel informed on his recruiter. And the police arrested him because he was an illegal. Not the recruiter, they arrested Pavel. The recruiter hired a good lawyer and lives as a free man". "Altri braccianti, come Dariusz, 33 anni, sono stati uccisi. E i loro casi archiviati come morte naturale. Quelli che invece si salvano, quelli che sopravvivono alle botte o agli incidenti nei campi e nelle aziende, ora non vanno più nemmeno all'ospedale. Se non hanno i documenti in regola, rischiano fino a quattro anni di prigione. Sono i nostri schiavi. Ma la legge, la nostra legge, li considera semplicemente criminali". "Other laborers, like Dariusz (33), were killed. And their cases dismissed as natural deaths. And those who save themselves, who live through the beatings or the accidents in the fields and in the factories, don't even go to the hospital. If they haven't got their papers in order, they risk serving a sentence of up to four years in prison. They are our slaves. But the law, our law, considers them only criminals". Schiavi. Non c’è altra categoria della storia. Chi non accetta la schiavitù in Italia, se non viene ucciso come Ion e gli altri, ha due soluzioni. Lasciarsi rinchiudere in una gabbia e farsi rimpatriare. Oppure scappare altrove. Perché chiedere il rispetto delle regole, signica come minimo perdere il lavoro. E a questo punto la vita è già in trappola. La mente continua a viaggiare. A inventarsi un futuro. Una paga dignitosa. La casa. La macchina. La fidanzata da trovare o la moglie da far arrivare. Non più in Italia. Magari in Francia, o in Germania, o Inghilrterra, dove, dicono sempre così, gli stranieri sembra che stiano meglio. Il solito analgesico ai pensieri. Ma il corpo non si accontenta di illusioni. Ha bisogno di mangiare. Subito. Di dormire. Di lavarsi. L’effetto è devastante. è come mettere i piedi su due piattaforme galleggianti che si allontanano. Prima si divaricano le gambe. Fino alla massima distensione dei muscoli, nervi, ossa. Poi si cade. Slaves. There is no other category in this story. Whosoever refuses to accept slavery in Italy, if he's not killed like Ion and the others, has two solutions. Allowing himself to be shut in a cage and repatriated. Or escaping elsewhere. Because asking for the rules to be respected means, at the very least, losing their jobs. At this point life is already a dead end. But the mind keeps travelling. Inventing a future. Decent pay. A house. A car. Finding a girlfriend or a wife upon arrival. No longer in Italy though. Probably in France, or in Germany, or in England, where, as they always say, foreigners seem to be better than here. The usual analgesic for the thoughts. But the body is not satisfied with illusions. It needs to eat. Immediately. To sleep. To wash. The effect is devastating. It's like putting the feet on two floating platforms that are separating. Before the legs open. Up to the maximum extension of muscles, nerves, bones. Then you fall. moving walls giovanni cocco Giovanni Cocco. Nasce a Sulmona nel 1973. Dal 2004 si occupa di reportage di indagine sociale. Selezionato nel programma Mentor dell’Agenzia Internazionale “VII” dal 2010 al 2012, il suo lavoro è stato pubblicato nelle maggiori riviste nazionali ed internazionali. I suoi progetti esplorano mondi e dimensioni differenti. “Vanishing”, ricerca antropologica sul rapporto tra l'uomo e la terra nel sud della Francia, pubblicato su Burn.02 nel 2011. “Burladies”, un ritratto delle donne del Burlesque, pubblicato ed esposto in Italia e all’estero. “Forgotten Memories”, reportage sulla condizione dei monasteri Ortodossi in Kosovo, esposto nel 2013 nel Festival di Roma Fotoleggendo. “Monia”, un progetto a lungo termine sulla vita di sua sorella, disabile dalla nascita. Esposto a Parigi nel 2012, Monia riceve la menzione d’onore del concorso della fondazione Scam, e vince il secondo premio dell’Emerging Photographer Grant di Burn Magazine e Magnum Foundation. Giovanni Cocco. Born in Sulmona, Italy in 1973. After years of photographing his native region, Abruzzo, from an anthropological perspective, the Italian photographer turned his lens to social and environmental reportage, alternat- ing between rich color and dreamlike tableaux in black and white. His work has been published in leading international news magazines. From 2010 to 2012, he took part in the VII Mentor Program. Negli ultimi dieci anni la gestione dei flussi migratori ha creato in Europa un vasto laboratorio di repressione. L’opinione pubblica è sempre stata indotta a considerare la costruzione dell’Unione Europea come la realizzazione di conquiste storiche: abbattimento dei confini, libertà di movimento e prosperità per tutti. In realtà, queste conquiste sono valide solo per i cittadini europei. Oggi, l’Europa è una fortezza fatta di leggi, norme e mura concrete, costruite per impedirne l’accesso. Ho cominciato questo progetto alla fine del 2010 nella regione dell’Evros, in Grecia, con il giornalista Fabrizio Gatti su commissione per l’Espresso. Si parlava della costruzione di una recinzione di 12 km per bloccare i flussi migratori lungo l’unica parte che non si affaccia sul fiume, il confine naturale fra Grecia e Turchia. Circa il 70% degli immigrati sceglie questa lingua di terra per entrare in Europa. L’abbiamo pattugliata per giorni. Ogni notte incontravamo gruppi di persone che la attraversavano con modeste imbarcazioni. Molti arrivavano congelati, con vestiti fradici. In inverno le temperature sono sotto lo zero. Senza alcuna assistenza. Molti di loro non ce la fanno. Il centro di detenzione temporanea, dove saranno trattenuti per mesi in condizioni disumane, li attende. Nessuno può aiutarli senza rischiare di incorrere nel reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina ed essere arrestato. Una storia simile attende coloro che cercano di attraversare il confine in Marocco e di entrare nelle enclave spagnole di Ceuta e Melilla. Nel 2005 un assalto di massa di 600 immigrati circa portò alla morte di dieci persone. Altre cento rimasero ferite. Il risultato: l’Europa ha raddoppiato le barriere metalliche che circondano le enclave. Oggi due muri alti sei metri e lunghi 12 km circondano Ceuta e Melilla. Ma questo non ha fermato le migrazioni. I migranti cercano di attraversarli a nuoto o con l’aiuto di narcotrafficanti, stipati dentro automobili o furgoni modificati in modo speciale, in condizioni di viaggio insostenibili. Alcuni di loro annegano, gli altri rischiano di soffocare. Quest’anno a marzo sono morti gli ultimi due, annegati nella speranza di entrare in Europa. Ho visto i loro corpi che ancora giacevano nella cella refrigerata, in attesa che qualcuno decidesse il tipo di sepoltura. Cristiana o musulmana. Molti immigrati arrivano a Ceuta e Melilla dal sud del Sahara al termine di viaggi estenuanti. Credono di essere già arrivati in Europa, ma le leggi speciali delle enclave spagnole li trattiene lì per anni, in una sorta di limbo. Sono costretti a vivere in baraccopoli per fuggire alla polizia che, con i suoi continui interventi, cerca di identificarli per poi espellerli forzatamente. Da gennaio a maggio 2011 ho documentato anche lo stato d’emergenza in Italia in seguito al massiccio sbarco sulle coste di immigrati provenienti dalla Tunisia durante la cosiddetta Primavera araba. Molti di loro diretti verso l’isola di Lampedusa, per molti anni eretta a simbolo della lotta che l’Europa e il governo italiano hanno intrapreso contro l’immigrazione clandestina nella regione mediterranea. Con questo progetto ho cercato di raccontare la storia dei confini d’Europa. Conoscere i luoghi di transito, i conflitti e le contraddizioni della frontiera fra l’Europa e il mondo mi ha segnato e colpito. Le recinzioni con cui l’Europa si è cinta non fermano le migrazioni, anzi rendono la situazione persino più drammatica e violenta. Negli ultimi 14 anni circa 17000 immigrati sono morti nel Mediterraneo cercando di attraversare le mura fisiche e virtuali che circondano l’Unione Europea oggi. 60 volte in più del numero delle persone che hanno perso la vita cercando di superare il muro di Berlino in 28 anni. E le cifre cresceranno anno dopo anno. Giovanni Cocco The management of migration flows over the last ten years has created a vast laboratory of repression in Europe. Public opinion has always been encouraged to consider the European Union an expression of historical achievements: breaking down borders, freedom of movement, and prosperity for everybody. In reality, these achievements are only valid for European citizens. Today, Europe is a fortress made up of laws, regulations, and concrete walls designed to deny entry. I started this project in late 2010 in the region of Evros, Greece, with the journalist Fabrizo Gatti on assignment for L'Espresso. There was talk of building a 12 km long fence, to block the migration flows at the only part of the border not on the river Evros, the natural border between Greece and Turkey. Almost seventy percent of the immigrants choose this stretch of land in order to enter Europe. We patrolled it for days. Every night we met groups of people who crossed it in small boats. Many arrived frozen, with wet clothes. In winter, temperatures are below zero. Without any assistance. Many of them do not make it. Detention centers are waiting for them, where they are detained for months under inhumane conditions. No one can help them without risking the crime of aiding and abetting illegal immigration and being arrested. A similar story applies to those trying to cross the border in Morocco and trying to enter the Spanish enclaves Ceuta and Melilla. In 2005 a mass assault of some 600 migrants led to the deaths of ten people. A hundred more were injured. The result: Europe has reinforced the metal barriers that surround the enclaves. Today two six meter high and 12 km long walls surround Ceuta and Melilla. But this has not stopped migration. Immigrants try to cross by swimming or with the help of drug traffickers who cram them inside cars or specially modified vans in unbearable conditions. Some of them drown, others risk asphyxia. In March this year the last two died, drowned in the hope of entering Europe. I saw their bodies still lying in the cold store waiting for someone to chose the type of burial. Christian or Muslim. Many immigrants arrive at Ceuta and Melilla from the southern Sahara after exhausting journeys. They believe they have already arrived in Europe, but the special laws of the Spanish enclaves manage to hold them there for years, in a sort of limbo. They are forced to live in shantytowns to escape from the police, who seek to identify and then expel them forcibly with their continuous interventions. I also documented from January to May 2011 the state of emergency in Italy after the massive landing of Tunisian migrants on Italian shores during the so-called Arab Spring. Many of them making for the island of Lampedusa, which for years has stood as a prominent symbol of the fight that Europe and the Italian government have waged against irregular migration in the Mediterranean region. With this project I am trying to tell the story of Europe's borders. Getting to know the places of transit, the conflicts and contradictions of the boundary between Europe and the world has shaped and affected me. The fences by which Europe has surrounding itself do not stop migration, but make the situation even more dramatic and violent. Over the past 14 years about 17000 immigrants have died in the Mediterranean trying to cross the material and virtual walls that surround the European Union today. 60 times more people than those who have lost their lives attempting to cross the Berlin Wall in 28 years. And the numbers will increase year by year. il diario di felix emiliano mancuso Emiliano Mancuso è un narratore di storie. Per raccontarle si concede tempo, abita i mondi che racconta, intreccia relazioni con le persone che incontra, condividendone ritmi e abitudini. In questo nuovo lavoro, Il diario di Felix, ha varcato la porta di una casa famiglia e, senza una sceneggiatura, ha iniziato a prendere appunti fotografici e video. Come se stesse componendo un album familiare, si preoccupa di trattenere i ricordi, di non perdere un istante, un gesto, una parola e dunque raccoglie lettere, fotografie e ore e ore di riprese video; sono questi gli elementi di questa storia che parla più linguaggi, ognuno dei quali rimanda all'altro, in un dialogo coerente e autentico tra le anime della scrittura, quella parlata e quella visiva che ci conducono in un microcosmo dove le esistenze mostrano, con disarmante autenticità, paure, angosce, disagio, gioia e dolore. Il diario di Felix è, nell'esplorazione di un mondo racchiuso tra poche mura, un viaggio nell'adolescenza, l'esperienza umana dell'incontro, la percezione dell'universalità delle emozioni. Nel precedente lavoro, Stato d'Italia, l'autore aveva viaggiato per tre anni nel Paese in declino, tra abusivismo, opere incompiute, disastri idrogeologici, scioperi, sbarchi di immigrati, proteste di piazza; si era dedicato a documentare la vita del parlamento berlusconiano realizzando dei ritratti-affreschi del potere che dicevano molto della nostra classe politica del tempo. Sembrava destinato alla testimonianza di denuncia sociale, all'osservazione e all'approfondimento della cronaca dell'Italia, sempre partecipato, emotivo e schierato dalla parte delle vittime delle ingiustizie, da buon fotogiornalista di razza, fotografava per dare voce a chi non ce l'ha. Poi è successo qualcosa. Emiliano Mancuso si è fermato, ha smesso di viaggiare per l'Italia, ha cambiato la sua vita e, per un anno ha percorso ogni giorno la strada che porta a Torre Spaccata, periferia romana, dove si trova Casa Felix, la casa famiglia per minori in difficoltà. Ha conosciuto Giuseppe e Valerio, due ragazzi ospiti della casa e con loro ha imbastito la storia che oggi guardiamo. Giuseppe e Valerio sono diventati i registi e i protagonisti; gli altri, stranieri soprattutto, sono le comparse di un romanzo corale. Mancuso li ha ripresi per migliaia di ore, con poche uscite in esterni, concentrando l'attenzione sul microcosmo della casa come espressione del mondo; ha affidato alle stanze spoglie e ai pochi oggetti personali la scenografia minima per dedicarsi ai corpi e ai volti. Ogni immagine è dettaglio, espressione della parzialità dell'esistenza, della fugacità dei momenti, della fragilità delle emozioni. Le fotografie sono appunti, collezioni di attimi, ritratti condivisi in cui la prospettiva è frontale, la relazione chiara, la fiducia reciproca. Nuda, spoglia, domestica, la fotografia genera un racconto personale e autobiografico. Abbandonato il linguaggio del fotogiornalismo, l'azione, il grandangolo, il bianco e nero, i campi larghi, in questo lavoro, l'autore diventa essenziale, privo di formalismo. Utilizza la macchina fotografica, il cellulare, la polaroid, tutto quello che ha a portata di mano per non perdere istanti, per non mancare un gesto, un momento emotivo, un taglio di luce, una nudità rivelatrice d'intimità. La scena quotidiana è lì per essere fotografata e l'immagine restituita è istantanea e naturale. L'autore è invisibile, mentre scorrono le giornate, scompare la sua presenza: i ragazzi dominano il girato e la fotografia, i loro scritti diventano la trama di questa storia. Un documentario nel senso compiuto. Una mostra e un film di testimonianza dove non c'è costruzione e finzione. Ognuno è se stesso in relazione con gli altri. Una narrazione punteggiata da singole storie personali che affiorano per dettagli e battute. Emiliano Mancuso colleziona ricordi, frammenti di vite di passaggio offrendo una galleria di personaggi capaci di rappresentarsi, protagonisti delle loro vite. Credo sia questa la chiave di lettura del lavoro che, attraverso medium differenti, ci conduce in un viaggio nelle vite degli altri, nella marginalità non stereotipata, carica di umanità, equilibrata tra la difficoltà esistenziale e la gioia di vivere. Renata Ferri photo editor di Io Donna il femminile del Corriere della Sera Emiliano Mancuso nasce a Roma nel 1971, dove ancora vive. Ha iniziato tardi a pensare alla fotografia come mezzo espressivo per documentare la storia e rappresentare la realtà. Laureato in Filosofia nel 1997, specializzato in Estetica, era interessato all'immagine soltanto come problema filosofico. Lasciati gli studi postuniversitari, all'età di 28 anni ha iniziato a lavorare nel fotogiornalismo, collaborando con le più importanti testate nazionali ed internazionali: National Geographic, New York Times, Newsweek, Time, L'Espresso, etc. Dal 2009 è membro dell'Agenzia Contrasto (www.contrasto.it). Nel 2011 pubblica il libro "Stato d'Italia" e vince il Picture of the Year, categoria ritratto singolo, per il progetto. Emiliano Mancuso was born in Rome in 1971, where he still lives. He began late in life to think of photography as a means of expression to document history and depict life. He received his degree in Philosophy in 1997, majoring in Aesthetics, when his interest in images was only philosophical. After finishing university at 28 years old, he began to work as a photojournalist with leading national and international publications including National Geographic, The New York Times, Newsweek, Time, L'Espresso, etc. He has been represented by Contrasto (www.contrasto.it) since 2009. In 2011 he published the book "Stato d'Italia" and won the Picture of the Year, Single Portrait, for the project. Emiliano Mancuso is a storyteller. He takes time to tell stories, he experiences the worlds he describes, he becomes entwined in relationships with the people he meets, sharing their rhythms and habits. In this new work, Felix's diary, he crossed the threshold of a group home and, without a screenplay, he started taking photographic and video notes. As if he was making a family album, he carefully preserves memories, not missing a moment, a gesture, a word, and so he collects letters, pictures and hours and hours of shooting; these are the elements of this story that talks different languages, each relating to the other, in a coherent and authentic dialogue between the twin souls of writing, the spoken one and the visual one, that leads us to a microcosm where existences reveal themselves, with disarming genuineness, fears, anguishes, uneasiness, happiness and pain. "Felix's diary" is an exploration of a world shut away within but a few walls, a journey through adolescence, the human experience of meeting, the perception of the universality of feelings. In his previous work, Stato d'Italia, the author had travelled for three years across a country in decline, experiencing illegal activities, unfinished works, hydrogeological disasters, strikes, immigrant landings, demonstrations; he devoted himself to document what was happening in the Parliament during the Berlusconi age, offering some fresco portraits of power that give a meaningful representation of our political class of the time. He seemed destined to witness social issues, to convey and analyze Italian chronicles, always empathizing and siding with the victims of injustice as a true-born photojournalist does. Through his pictures, he gave a voice to those who go unheard. Then something happened. Emiliano Mancuso stopped, he quit travelling across Italy, he changed his life and for one year he walked every day the street that lead to Torre Spaccata, on the outskirts of Rome, where Casa Felix, the group home for troubled minors, lies. He met Giuseppe and Valerio, two kids who lived in the group home, and he put together with them the story that we see today. Giuseppe and Valerio became both directors and protagonists; the others, foreigners for the most part, are the background actors of a choral novel. Mancuso had shot them for thousands of hours, rarely in outdoor settings, focusing instead on the microcosm of the home as an expression of the world; while empty rooms and a few personal possessions constitute the minimalist set design, he draws attention to bodies and faces. Every image is a detail, an expression of the insufficiency of existence, the fleetingness of the moment, the frailty of emotions. Pictures are notes, collections of moments, shared portraits wherein the perspective is one-point perspective, the connection is clear, the trust is mutual. Bare, plain, domestic, pictures produce a personal and autobiographic tale. The language of photojournalism, the action, the wideangle lens, the black and white, the long shots: all of this is eschewed. Devoid of formalism, the author becomes essential in this work. He uses camera, cell phone, Polaroid, everything is close at hand. The thing is not to miss an instant, a gesture, an emotive moment, a ray of light, nudity revealing intimacy. Everyday scenes are there to be photographed and the image won as a result is immediate and natural. The author is invisible for, as the days go by, his presence vanishes: the kids predominate over the shootings, their writings become the plot of this story. A documenatry in every aspect. An exhibition and photographic evidence shorn of any artificial or fictional elements. Each himself in relation to one another. A narration consisting of single personal stories that emerge through details and phrases. Emiliano Mancuso collects memories, fragments of lives in transition, offering a gallery of characters who are able to represent themselves as protagonists of their own lives. I think that this is the key to understanding this work that, through different media, takes us on a journey into the lives of others, a journey in which there is no stereotypical marginality but that is full of humanity, balanced between the existential difficulty and the joy of living.
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