Giornale di diritto amministrativo Sommario EDITORIALE Pubblica NOBLEMAIRE, RENZI E LE RETRIBUZIONI PUBBLICHE amministrazione di Stefano Battini 561 NORME Unione europea LE POLITICHE DI COESIONE E LA GESTIONE DEI FONDI STRUTTURALI EUROPEI NELLA PROGRAMMAZIONE 2014-2020 Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013, n. 1303 Commento di Carlo Notarmuzi 563 RASSEGNA DELLA NORMATIVA STATALE a cura di Umberto G. Zingales 579 RASSEGNA DELLA NORMATIVA REGIONALE a cura di Corrado Cardoni, Luca Castelli, Francesca Di Lascio, Chiara Lieto 581 GIURISPRUDENZA Diritti dell’uomo PRINCIPIO DI PRECAUZIONE E OBBLIGHI DI INFORMAZIONE A PROTEZIONE DEI DIRITTI UMANI Corte europea dei diritti dell’uomo, I sezione, sentenza 5 dicembre 2013, ricorso n. 52806/09 e altri Commento di Marco Pacini Giustizia amministrativa L’INTERESSE COLLETTIVO: NUOVE DISTINZIONI, VECCHIE PERPLESSITA` Consiglio di Stato, sez. IV, 18 novembre 2013, n. 5451 Commento di Antonio Cassatella Edilizia ed urbanistica 586 592 600 LA PROGRAMMAZIONE TERRITORIALE E LE NORME DI ‘‘LIBERALIZZAZIONE’’ Tar Lombardia, Milano, sez. I, 10 ottobre 2013, n. 2271 Commento di Giuliano Fonderico 611 Osservatori OSSERVATORIO CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO a cura di Marco Pacini 617 CORTE DI GIUSTIZIA E TRIBUNALE DELL’UNIONE EUROPEA a cura di Edoardo Chiti e Susanna Screpanti 619 CONSIGLIO DI STATO - DECISIONI a cura di Luigi Carbone e Mario D’Adamo 621 CONSIGLIO DI STATO - PARERI a cura di Diego Sabatino e Licia Grassucci 624 TRIBUNALI AMMINISTRATIVI REGIONALI a cura di Giulia Ferrari 627 CORTE DEI CONTI a cura di Laura D’Ambrosio e Francesco Battini 632 AUTORITA` GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI a cura di Chiara Lacava 635 COMMISSIONE PER L’ATTUAZIONE DELLA LEGGE SULLO SCIOPERO NEI SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI a cura di Massimiliano Mariani Giornale di diritto amministrativo 6/2014 638 559 Giornale di diritto amministrativo Sommario DOCUMENTI Universita` LA SCIENTIFICITA` DELLE PUBBLICAZIONI NELLE PRONUNCE DEL CONSIGLIO UNIVERSITARIO NAZIONALE Consiglio universitario nazionale, adunanza del 22 ottobre 2013 Commento di Carla Barbati 642 LIBRI 646 SEGNALAZIONI E RECENSIONI OPINIONI Giurisdizione LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA SPORTIVA di Alessandro Enrico Basilico 647 I PRINCIPI EUROPEI DI PRECAUZIONE, PREVENZIONE E ‘‘CHI INQUINA PAGA’’ di Massimo Nunziata 656 INDICI 668 INDICE AUTORI, CRONOLOGICO E ANALITICO ‘‘I contributi pubblicati in questa Rivista sono sottoposti, in forma anonima, alla valutazione di ‘‘referees’’ Per informazioni in merito a contributi, articoli ed argomenti trattati scrivere o telefonare a: Casella Postale 12055 - 20120 Milano telefono (02) 82476.024 – telefax (02) 82476.079 Per informazioni su gestione abbonamenti, numeri arretrati, cambi d’indirizzo, ecc., scrivere o telefonare a: IPSOA Servizio Clienti Casella postale 12055 – 20120 Milano telefono (02) 824761 – telefax (02) 82476.799 Servizio risposta automatica: telefono (02) 82476.999 indirizzo e-mail: [email protected] EDITRICE Wolters Kluwer Italia S.r.l. 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PRIVACY Centro Direzionale Milanofiori Strada 1-Palazzo F6, 20090 Assago (MI), o inviando un Fax al numero: 02.82476.403 Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Editoriale Pubblica amministrazione Noblemaire, Renzi e le retribuzioni pubbliche di Stefano Battini Secondo il principio “Noblemaire”, che prende il nome di un diplomatico francese in servizio alla Società delle Nazioni, le retribuzioni dei funzionari internazionali non devono essere inferiori a quelle percepite dai funzionari amministrativi nello Stato in cui essi sono meglio pagati. Secondo il principio stabilito dal governo Renzi, fissato dall’art. 13 del decreto legge n. 66 del 2014, per i funzionari amministrativi italiani «il limite massimo retributivo riferito al primo presidente della Corte di cassazione […] è fissato in euro 240.000 annui al lordo dei contributi previdenziali ed assistenziali e degli oneri fiscali a carico del dipendente». Ecco due modi di regolare le retribuzioni pubbliche. Entrambi rinviano a un termine di comparazione, ricavandone una soglia. La prima norma fissa una soglia minima. Essa guarda alle retribuzioni in ragione del loro effetto sulla qualità dei funzionari: non devono essere troppo basse, altrimenti i più capaci si rivolgerebbero altrove. La seconda norma fissa invece una soglia massima. Essa guarda alle retribuzioni in ragione del loro effetto sulla finanza pubblica: non devono essere troppo alte, per non aumentare la spesa, e, vien detto, per esigenze di giustizia sociale e di sobrietà, le quali non tollererebbero eccessive differenze di reddito fra coloro che esercitano funzioni pubbliche e i cittadini che ne sostengono il costo. Quale delle due idee deve prevalere? Bisogna fissare una soglia minima o una soglia massima? O entrambe? E come quantificarle? Soprattutto, ci deve essere una sola soglia, o più soglie, distinguendo secondo i posti e le funzioni? Non è facile stabilire la “giusta” retribuzione dei funzionari amministrativi, conciliando Renzi e Noblemaire. Ma quel che colpisce, nel dibattito pubblico italiano, è soprattutto un deficit di riflessione critica sulla “politica” delle retribuzioni pubbliche. Si tratta di un dibattito affetto da “genericità”. Anche le analisi che si basano sui dati reali, più che su quelli “percepiti”, considerano, in genere, le retribuzioni pubbliche come un grande aggregato macroeconomico; ne rilevano gli andamenti, il peso Giornale di diritto amministrativo 6/2014 complessivo sugli equilibri di finanza pubblica. Sotto tale profilo, la spesa italiana per le retribuzioni del personale amministrativo, come emerge dall’ultima relazione sul costo del lavoro pubblico della Corte dei conti, è sostanzialmente in linea con la media europea, sia in rapporto alla popolazione residente (Italia: 2.717; Media Europea: 2.736), sia in rapporto al PIL (Italia: 10,6; Media europea: 10,7), sia in rapporto alla spesa corrente (Italia: 24,8; Media Europea: 24,9). Più raramente, però, quelle analisi si misurano anche con i dati disaggregati delle retribuzioni pubbliche, esaminando le differenze stipendiali fra una posizione e l’altra, interrogandosi sulla logica che le giustifica. Può essere istruttivo esaminare in questa prospettiva i dati del Conto Annuale della Ragioneria generale dello Stato, spingendosi oltre la relazione illustrativa delle tendenze principali, avventurandosi per cifre e per tabelle. Facciamo qualche esempio. Primo: un insegnante guadagna, in media, 31.150 euro all’anno, cioè circa un settimo di un professionista legale di un ente previdenziale, il quale percepisce, sempre in media, 214,770 euro annui. Secondo: un ricercatore universitario guadagna 44.000 euro annui, sensibilmente meno di un coordinatore di biblioteca di conservatorio, che percepisce 53,000 euro annui. Terzo: un magistrato ordinario guadagna, sempre in media, la metà di un avvocato dello Stato, cioè 133.176 contro 268.913 euro annui (di cui circa 121.000 di indennità varie). Quarto: un dirigente di seconda fascia di un ente pubblico non economico guadagna in media circa il doppio (135.295 euro annui) di un dirigente di seconda fascia del ministero degli esteri (76.290 euro annui). Quale logica ispira queste differenze retributive? Noblemaire potrebbe rispondere che la società italiana considera più importante avere buoni avvocati dell’INPS, piuttosto che buoni insegnanti; che attribuisce maggior rilievo al funzionamento delle biblioteche dei conservatori rispetto alle lezioni di musica che vi si impartiscono; che reputa più delicata la funzione di difesa legale dello Stato rispetto a quella del giudice; che considera la gestione degli 561 Editoriale Pubblica amministrazione uffici dell’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) un compito più difficile e complesso di quella dei corrispondenti uffici del ministero degli esteri. In realtà, non è questa la spiegazione. Non si possono considerare gli stipendi delle categorie, senza conoscerne le dimensioni. Lo stesso Noblemaire, del resto, propose il “suo” principio quando i funzionari della Società delle Nazioni erano poche centinaia, o addirittura decine. Gli insegnanti, in Italia, sono invece circa 600.000, mentre gli avvocati di enti previdenziali sono 552: se si dimezzasse lo stipendio dei secondi, si potrebbe aumentare di appena 100 euro annue lo stipendio dei primi (anche se non è detto che non ne varrebbe comunque la pena). I magistrati ordinari sono 9.000; gli avvocati dello Stato 347: un aumento della retribuzione dei primi costa alla collettività 25 volte più dello stesso aumento dello stipendio dei secondi. In tutta Italia, poi, c’è un solo coordinatore di biblioteca di conservatorio, la cui posizione individuale occupa un’apposita casella del conto annuale: se anche gli si centuplicasse lo stipendio, nessuno se ne accorgerebbe, a parte lui naturalmente. Emerge così una prima logica che governa la dinamica delle retribuzioni pubbliche: possono essere più elevate, secondo quanto auspicato da Noblemaire, le retribuzioni di alcune categorie di personale, a condizione che esse siano poco numerose; per le categorie più numerose prevalgono, inevitabilmente, preoccupazioni di contenimento della spesa. Ma se è così, allora il punto di partenza di una politica delle retribuzioni pubbliche non può che essere quello della definizione delle categorie. Il coordinatore di biblioteca di conservatorio dovrebbe confluire in una categoria più ampia, agganciando ad essa il proprio trattamento economico e, all’opposto, è possibile che nel settore dell’istruzione vi sia spazio per qualche più ristretta categoria, a cui assegnare funzioni particolarmente delicate, con stipendi più elevati. Se i posti a cui attribuire retribuzioni elevate sono inevitabilmente scarsi, allora bisogna soprattutto sceglierli con cura: dove vogliamo davvero l’eccellenza? Quali sono le possibili isole amministrative dove conviene che viga il principio di Noblemaire? Vi è poi un’ulteriore considerazione: anche il rispetto del principio di sobrietà delle retribuzioni, cui si ispira la soglia Renzi, richiede una ponderazione in base alle dimensioni delle categorie interessate: quel principio, infatti, può essere violato sia da pochi che guadagnano troppo, sia da troppi 562 che guadagnano tanto. Si prenda la dirigenza statale. Essa conta: 20 capi dipartimento o segretari generali, ciascuno dei quali guadagna, in media, 247.143 euro annui; 273 dirigenti di prima fascia, ciascuno dei quali guadagna, sempre in media, 178.194 euro annui; 2.374 dirigenti di II fascia, ciascuno dei quali guadagna 86.204 euro annui. La norma Renzi riguarda solo i primi e, forse, qualcuno dei secondi; ma resta il dubbio che la cifra meno sobria sia proprio quella dei terzi: non per la loro retribuzione, ma per il loro numero. Proprio gli stipendi della dirigenza statale di seconda fascia sollecitano, infine, un’ultima osservazione. Come detto, essi guadagnano 86.204 euro annui. In media. Ma dietro quella media vi è una considerevole diversificazione delle retribuzioni: si va dai 76.290 euro del ministero degli esteri, ai 108.289 del ministero della salute, passando per i 95.874 euro del ministero delle politiche agricole. Il dato è sorprendente. Si tratta di persone che hanno la stessa qualifica e alle quali si applica lo stesso contratto collettivo. Perché non hanno, più o meno, anche la stessa retribuzione media? Sembra che la spiegazione abbia a che vedere con i c.d. FUA (fondi unici di amministrazione), che sono alimentati da fonti diverse per ciascun ministero, in ragione di vecchie e meno vecchie previsioni micro-normative, e che dunque hanno consistenza diversa. Le risorse dei FUA vengono ripartite fra i dirigenti di ciascun ministero, che, quindi, meno sono e più guadagnano, secondo la regola aurea delle retribuzioni pubbliche: i pochi battono i molti. Ma, al di là della spiegazione, non sarebbe il caso di affermare il principio che, a parità di funzioni, deve esservi parità di retribuzioni, anche se cambia l’amministrazione di appartenenza? E, con l’occasione, non si dovrebbe affermare lo stesso principio anche se cambia l’amministrazione di provenienza, evitando galleggiamenti o altre astruserie? Se si fa il professore universitario provenendo da un’autorità indipendente, non si dovrebbe avere la stessa retribuzione degli altri professori universitari? Si sono indicate domande e impressioni, non tesi o proposte. Ma l’occasione del principio stabilito dal governo Renzi potrebbe essere raccolta per avviare una riflessione più attenta, e più analitica, sulla politica delle retribuzioni pubbliche. I risultati delle riforme di oggi non si leggeranno sui giornali di domani, ma sul conto annuale dell’anno venturo. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Norme Unione europea Fondi strutturali Le politiche di coesione e la gestione dei fondi strutturali europei nella programmazione 2014-2020 REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO DEL 17 DICEMBRE 2013, N. 1303 Disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, e che abroga il regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio - (GUUE 20 dicembre 2013, L347/320) Omissis. IL COMMENTO di Carlo Notarmuzi (*) Con la deliberazione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio dei regolamenti per la gestione delle risorse dei fondi strutturali europei ha inizio la nuova stagione di programmazione 2014-2020. Un regolamento generale e sei regolamenti specifici, tre in materia di fondi strutturali e tre relativi agli altri strumenti di investimento europeo (Sie) definiscono i compiti, gli obiettivi prioritari e l'organizzazione dei fondi, le norme generali, nonché le disposizioni necessarie per garantire il perseguimento degli obiettivi comuni della politica di coesione europea nonché per garantire l'efficacia e il coordinamento dei fondi tra loro e con gli altri strumenti finanziari esistenti. Con la deliberazione di regolamenti che disciplinano il quadro finanziario pluriennale 2014-2020 degli strumenti di investimento dell’Unione euro- pea termina la fase dei negoziati tra gli Stati e gli organi dell’Unione durati due anni e mezzo e si da l’avvio ai nuovi programmi di finanziamento a valere sui fondi strutturali a partire dal 1° gennaio 2014 (2). (*) Ringrazio il Pres. Francesco Battini e la Prof.ssa Rita Perez per i commenti ad una prima versione di questo scritto e la dott.ssa Barbara Balzano per la documentazione fornitami. (1) Oltre al fondo sociale europeo, fondo europeo di sviluppo regionale, si aggiunge ai fondi strutturali il fondo di coesione, regolamento Ue 17 dicembre 2013 n.1300, destinato ai paesi in particolari situazioni di povertà. Completano l’insieme dei fondi europei di investimento - Sie, il fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca, regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del in corso di pubblicazione (Feamp) che abroga il regolamento (Ce) n. 1198/2006 e il fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale, regolamento (Ue) n. 1305/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (Feasr) e che abroga il regolamento (Ce) n. 1698/2005 del Consiglio. (2) La politica dei fondi strutturali è stata contraddistinta da tre fasi: all’inizio degli anni ’70 ha mirato al raggiungimento di un riequilibrio tra le varie regioni con l’istituzione da parte della Comunità europea del Fesr. Dal 1988 (regolamento quadro n. 2052/88 e regolamento di coordinamento n. 4253/88), sono mutate le logiche di gestione delle risorse destinate alla politi- La nuova programmazione dei fondi strutturali verso “Europa 2020” (1) Giornale di diritto amministrativo 6/2014 563 Norme Unione europea L’Atto unico europeo ha inserito nel Trattato la previsione di una specifica azione di coesione economica e sociale legata ai principi della convergenza e della solidarietà tra gli Stati e tra le varie regioni che compongono gli Stati dell’Unione per un nuovo equilibrio europeo (3). L’Unione europea ha sempre annoverato tra i suoi compiti, sin dai tempi della propria istituzione, lo sviluppo delle regioni con difficoltà economiche strutturali (4). Il trattato di Lisbona ha aggiunto la coesione territoriale agli obiettivi della coesione economica e sociale, con ciò determinando un nuovo ed importante rilievo delle città e delle aree interne e conseguentemente un significativo coinvolgimento delle realtà locali pubbliche e private. La politica di coesione a sua volta si innesta, con un ruolo prioritario, negli obiettivi della strategia denominata “Europa 2020”, quale condizione essenziale per la sua efficace attuazione (5). La Commissione Europea nel quadro di tale strategia ha delineato una politica economica dell’Unione per il prossimo decennio, finalizzata a superare il difficile momento di crisi che a partire dal 2008 ha coinvolto anche i Paesi dell’Unione. Tale strategia si basa su tre motori di crescita, da mette- re in atto mediante azioni concrete a livello europeo e nazionale: crescita intelligente (promuovendo la conoscenza, l’innovazione, l’istruzione e la società digitale); crescita sostenibile (rendendo la produzione più efficiente sotto il profilo delle risorse e rilanciando contemporaneamente la competitività); crescita inclusiva (incentivando la partecipazione al mercato del lavoro, l’acquisizione di competenze e la lotta alla povertà) (6). In tale articolato quadro, all’obiettivo principale dei fondi strutturali se ne aggiunge un secondo, di natura qualitativa, rappresentato dalla flessibilità dei fondi strutturali, vale a dire la possibilità che i fondi stessi possono essere riorientati per rispondere ai problemi che uno Stato debba affrontare. La coesione economica e sociale si presenta quindi come una priorità politica delle istituzioni comunitarie e si attua, principalmente, attraverso i fondi strutturali (7), con l’obiettivo di promuovere uno sviluppo, armonioso e sostenibile dell’Unione. Le politiche europee di coesione sono perseguite con l’insieme degli strumenti di investimento europeo (Sie) costituiti dai fondi strutturali e dagli altri strumenti di investimento (8). Elemento di raccordo tra i vari fondi ed i relativi regolamenti che li disciplinano è il regolamento n. 1303/2013 c.d. ca regionale, principalmente in funzione del nuovo corso apertosi con l’adozione dell’Atto unico europeo. La successiva programmazione del periodo 1993/1999 è stata definita con i regolamenti 2081/93 e 2082/93. La terza fase che ha avuto inizio nel ciclo di programmazione 2000 - 2006 è stata caratterizzata dalla nuova politica di coesione economica e sociale; i testi di riferimento erano il regolamento n.1260/99 insieme ai regolamenti nn.1253, 1263, 1783 e 1784, dello stesso anno relativi ai 4 fondi. Nel periodo 2007-2013 la programmazione è stata realizzata con un regolamento generale che stabilisce le disposizioni comuni per le fonti di finanziamento delle azioni strutturali (reg. 1083/2006); un regolamento specifico per ciascun fondo: fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr), fondo sociale europeo (Fse). Fondo di coesione (Regolamenti n. 1080, 1081, 1084/2006); un regolamento relativo all’istituzione di uno strumento di assistenza pre-adesione (Ipa) reg. n. 1085/2006, ed un regolamento relativo alla creazione di un gruppo europeo di cooperazione territoriale (Gect - reg. 1082/2006). (3) L'art. 174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (Tfue), come modificato il 13 dicembre 2007 a Lisbona, sancisce che, per rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale al suo interno, l'Unione deve mirare a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e il ritardo delle regioni meno favorite o insulari, e che un'attenzione particolare deve essere rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, tra cui le regioni ultraperiferiche, le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna. Ancor prima della modifica del tratto del 2008, la Costituzione italiana ha introdotto nell’ordinamento i principi della coesione e della solidarietà sociale nell’art. 119 come modificato dalla legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3 di riforma del titolo V. Il concetto di azione di coesione mette in evidenza aspetti sia di carattere economico sia di carattere sociale e più in particolare la convergenza si riferisce ad aspetti di politica economica in senso stretto e di politica monetaria, mentre la solidarietà si richiama a valori morali ed affettivi a sostegno di categorie socialmente svantaggiate. Sul punto si vedano A. Claroni, Le politiche di sviluppo territoriale e la coesione economica e sociale, in Riv. Giur. del Mezzogiorno, 2000, 1325 ss. e M.R. Spasiano, V. Capezio, Assegnazione di fondi comunitari: programmazione negoziata e inapplicabilità delle regole dei procedimenti ad evidenza pubblica, in Foro amministrativo - TAR, 2005, 3, 676. (4) Già nell’ambito del Trattato di Roma del 1957 (istitutivo della Cee), infatti, i paesi costituenti assunsero l’impegno di rafforzare l’unità delle loro economie e di assicurarne lo sviluppo armonioso, riducendo le disparità fra le differenti regioni ed il ritardo di quelle più svantaggiate. Tali obiettivi sono perseguiti mediante i fondi strutturali che costitiscono uno dei principali strumenti delle politiche di coesione economica e sociale, con i quali si mira a ridurre il divario socio-economico presente tra le zone più ricche e quelle più povere dell'Unione europea, attraverso interventi migliorativi sulle infrastrutture, di stimolo sulle aree depresse e di riqualificazione delle risorse umane. G. D’Alfonso, Fondi strutturali, Italia fanalino di coda, in PMI, n. 4/2004, p.15. e A. Giordano, Finanziamenti comunitari - Fondo sociale europeo, in Ipsoa Diritto & Pratica del lavoro n. 1/2003. (5) Strategia Europa 2020, Conclusioni del Consiglio europeo 17 giugno 2010. (6) Comunicazione della Commissione europea, “Europa 2020, Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva” Bruxelles, 3 marzo 2010, COM (2010) 2020. (7) M.R. Spaziano - V. Capezio, Assegnazione di fondi comunitari: programmazione negoziata e inapplicabilità delle regole e dei procedimenti ad evidenza pubblica, cit., 678. (8) Vedi nota n. 1. 564 Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Norme Unione europea “disposizioni comuni” che, diversamente dall’analogo regolamento della precedente programmazione (n. 1083/2006), realizza il coordinamento e l’armonizzazione dei fondi attraverso un quadro normativo unico per tutti i fondi, idoneo a superare un contesto di disposizioni troppo spesso inspiegabilmente diverse Tale scelta è stata dettata dalla necessità di garantire un’uniformità di interpretazione, nonché di definire chiaramente le varie interrelazioni delle diverse parti del regolamento, nonché tra quest’ultimo ed i regolamenti specifici relativi ai singoli fondi, al fine di garantire l’efficace utilizzazione dei fondi anche per quanto attiene al coordinamento interno e con altri strumenti dell’Unione. Il regolamento n. 1303/2013 nasce inoltre da un negoziato dalla duplice connotazione come negoziato normativo e negoziato programmatorio. Il biennio che ha preceduto l’adozione del regolamento è stato caratterizzato da un intensa attività negoziale più strettamente normativa volta a definire i contenuti del regolamento medesimo. Dopo numerosi cicli di programmazione, il quadro normativo, ormai completamente definito, prevede alcune parziali modifiche che derivano, da un lato dalla correzione di regole che nel tempo hanno mostrato limiti ed incongruenza nella loro operatività, da altro lato da mutamenti normativi derivanti da nuovi assetti politico istituzionali. Il contenuto strategico, frutto di un fitto e costante negoziato non solo tra gli organi dell’Unione e i vari Stati, ma anche con significativi momenti di confronto tra le varie componenti istituzionali dei vari Stati, costituisce il cuore del regolamento. Il quadro programmatorio assume, in tal modo, natura formalmente normativa, ma sostanzialmente negoziale, così assicurando una “governance rafforzata” tra i vari attori della programmazione ed una condivisione di responsabilità nelle scelte e nei risultati, introducendo un ulteriore principio di questa nuova programmazione identificabile nella complementarità. Fattori esogeni, quali la crisi economica che ha interessato tutto il continente a partire dal 2008, hanno reso necessaria, nella nuova programmazione, una stretta sinergia tra la politica di coesione e le varie iniziative nazionali. E’ stata, quindi, previ- sta una verifica annuale della coerenza tra le azioni sottese all’utilizzo dei fondi strutturali ed il Programma nazionale di riforma. Le scelte economiche dei singoli Stati e le azioni da essi poste in essere concorrono congiuntamente ad una politica economica comune (9). Corollario dell’attività di negoziato nella definizione del quadro operativo delle politiche di coesione è il principio di partenariato, già previsto nelle precedenti programmazioni, che diventa cardine della programmazione 2014-2020. A tale principio dovrà essere data concreta attuazione, sia estendendolo alla fase discendente della programmazione (al disegno dei bandi in primo luogo), sia coinvolgendo nella “valutazione pubblica aperta”, oltre alle parti economiche e sociali, tutti i soggetti che dalle azioni sono potenzialmente influenzati o che alle azioni possano dare un contributo di conoscenza. Alcuni principi di riferimento si ritrovano nel “Codice europeo di condotta sul partenariato nell’ambito dei fondi strutturali e di investimento europei” (10), predisposto dalla Commissione europea. La mobilitazione per ogni intervento anche dei soggetti detentori delle conoscenze rilevanti, sarà soddisfatta indicando in ogni programma i “centri di competenza” rilevanti e il modo in cui essi sono coinvolti. L’aspetto più importante per la corretta applicazione del principio è l’individuazione dei soggetti rappresentativi per ciascuna categoria coinvolta, quali organismi pubblici esponenziali degli interessi dei vari enti, associazioni di categoria e sindacali. La partecipazione di tali soggetti non deve essere considerata come meramente consultiva ma partecipativa a tutti gli effetti tenuto conto che il regolamento prevede il loro coinvolgimento anche nei comitati di sorveglianza, che costituiscono il momento di collegialità nella valutazione dell’andamento delle attività. Per tale motivo è anche previsto che lo Stato si impegni nel rafforzare la capacità istituzionale di tali soggetti, al fine di sviluppare il loro potenziale contributo alla efficacia del partenariato. Tra le critiche che più frequentemente sono state rivolte alla utilizzazione, da parte dell'Italia, dei fondi strutturali, le più significative hanno riguardato da un lato lo scarso uso di tali fondi e la resti- (9) Il Programma Nazionale di Riforma - Pnr è previsto dall’art. 9 della legge 7 aprile 2011, n. 39, che introduce nella legge di contabilità (31 dicembre 2008, n. 196), disposizioni europee in materia di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri. Tale documento, che è parte integrante del documento di economia e finanza - Def, definisce annualmen- te gli interventi da adottare per il raggiungimento degli obiettivi nazionali di crescita, produttività, occupazione e sostenibilità previsti dalla strategia Europa 2020. (10) Regolamento delegato della Commissione europea del 7 gennaio 2014 n. 240, pubblicato nella gazzetta ufficiale dell’Unione europea serie L 74/1 del 14 marzo 2014. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 565 Norme Unione europea tuzione agli organi dell’Unione delle risorse non utilizzate (c.d. disimpegno), dall’altro lato la frammentazione degli interventi realizzati. Per tali motivi la programmazione che sta per iniziare è caratterizzata da quella che potremmo definire una “programmazione blindata”. Gli atti e le azioni che scandiscono il percorso attuativo dei fondi strutturali, come di seguito esaminato, sono caratterizzati da obiettivi definiti (il regolamento ne prevede 11), nonché da un’ulteriore innovazione (condizionalità ex ante), che consiste nel subordinare l’approvazione dell’accordo di partenariato ed i programmi alla accertata e verificata presenza di pre-condizioni relative, all’esistenza nello Stato di situazioni normative, di qualità dell’amministrazione, di innovazione, di ricerca e di lavoro tali da consentire un efficace utilizzo dei fondi (11). In una prima versione del regolamento tali condizionalità costituivano fattore abilitante a tutta la filiera di atti programmatori, progetti e di finanziamenti. Successivamente tale posizione è cambiata prevedendo la possibilità per ciascuno Stato di dover individuare i fattori di condizionalità, ma anche la possibilità di adottare misure idonee a svilupparle per raggiungere un risultato ottimale, abilitante il concreto utilizzo dei fondi. Ciascun programma individua quali delle condizionalità ex ante sono applicabili, se sono soddisfatte ed eventualmente le azioni per raggiungerle. La Commissione valuta la coerenza e l'adeguatezza delle informazioni fornite dallo Stato sull'applicabilità delle condizionalità ex ante e sull'adempimento di dette condizionalità nell'ambito della sua valutazione dei programmi e, se del caso, dell'accordo di partenariato (12). La stessa Commissione, peraltro, mantiene poteri di controllo e di sanzione relativamente al reale adempimento degli obblighi assunti, nell’ambito dell’attuazione della programmazione, e può anche sospendere i pagamenti in attesa che siano completate le azioni per il soddisfacimento della condizionalità. L’avvio della programmazione 2014-2020 La deliberazione da parte del Parlamento e del Consiglio europeo dei regolamenti relativi ai fondi di investimento e strutturali e, principalmente del (11) Guidance document on ex-ante evaluation, il documento in italiano è pubblicato in http//www.dps.tesoro.it/documentazione/snv/Documento_CE_guida_valutazione_ex_ante_gennaio _2013.pdf. (12) Art. 15, c. 3. (13) Position Paper dei Servizi della Commissione sulla pre- 566 regolamento recante disposizioni comuni ai vari fondi, costituisce un momento di cerniera tra fase preparatoria della programmazione dell’Unione e la fase di programmazione vera e propria in cui lo Stato italiano, in raccordo con la Commissione, attua e rende operativa la programmazione stessa. Tali fasi sono contraddistinte da una sequenza di atti tra loro collegati cui fanno seguito le attività che caratterizzano il percorso di realizzazione dei progetti. Position paper della Commissione. Anche se temporalmente antecedente l’approvazione dei regolamenti il position paper della Commissione sulla preparazione dell’accordo di partenariato costituisce il primo ed importante documento sulla base del quale si realizza tutta la programmazione. Il position paper rappresenta una novità della programmazione e costituisce un atto di indirizzo il cui contenuto ha valore politico vincolante nel negoziato. Tale documento è finalizzato a delineare il quadro di dialogo tra i servizi della Commissione e l’Italia sulla preparazione dell’Accordo di partenariato e dei programmi. In esso viene esaminata la situazione socio-economica dell’Italia ed indicate le priorità di finanziamento da realizzarsi con i fondi strutturali (13). Il documento identifica le seguenti quattro priorità: a) lo sviluppo di un ambiente favorevole all’innovazione delle imprese, b) la realizzazione di infrastrutture performanti che assicurino una gestione efficiente delle risorse naturali, c) una aumentata partecipazione al mercato del lavoro, promuovendo l’inclusione sociale d) il miglioramento della qualità del capitale umano; sostegno alla qualità, efficienza ed efficacia della pubblica amministrazione. Il secondo documento di rilievo, formalmente adottato come allegato al regolamento n. 1303/2013, ma i cui contenuti sono stati definiti come corollario del position paper è il Quadro strategico comune (Qsc) (14). Esso è finalizzato ad agevolare il coordinamento settoriale e territoriale degli interventi dei vari fondi, in linea con gli obiettivi individuati dall’Unione come fulcro della programmazione: crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. nonché la missione specifica di ciascun fondo, compresa la coesione economica e sociale. Inoltre il Qsc tiene conto delle principali necessità parazione dell’accordo di partenariato e dei programmi in Italia per il periodo 2014-2020, su http://ec.europa.eu/regional_policy/what/future/pdf/partnership/it_position_paper_it.pd. (14) Previsto dall’art. 10 del regolamento n. 1303/2013 costituisce l’allegato I al regolamento medesimo. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Norme Unione europea per le diverse tipologie di territori che compongono l’Unione e fornisce orientamenti finalizzati al conseguimento di un utilizzo integrato dei fondi strutturali con gli altri strumenti finanziari dell’Unione europea (15). Proprio la necessità di ottimizzare l’uso dei fondi, aspetto questo che nelle precedenti programmazioni non è stato adeguatamente sviluppato, e di rendere sinergiche le connesse attività ha indotto gli organi dell’Unione all’adozione del quadro strategico. Sulla base di questi due documenti il Ministro per la coesione territoriale ha presentato al Consiglio dei ministri un documento di indirizzo con i quale l’Italia ha avviato il confronto con gli altri soggetti nazionali coinvolti nella programmazione, Regioni innanzitutto, per la preparazione dell’accordo di partenariato ed i piani operativi (16). Il documento di indirizzo evidenzia in modo compiuto i principi fondamentali di una corretta progettazione (c.d. innovazioni di metodo sull’uso dei fondi europei) e individua tre opzioni strategiche territoriali: oltre al mezzogiorno, tradizionale ambito di intervento dei fondi strutturali, anche le città metropolitane e le aree interne. Accordo di partenariato. La tappa successiva è costituita dalla predisposizione dell’accordo di partenariato, che costituisce lo strumento volto a definire la strategia, le priorità ed i metodi di intervento, le modalità di impiego dei fondi ed i risultati che si attendono dagli interventi oggetto della programmazione. Esso contiene, infatti, la selezione degli obiettivi tematici su cui si concentreranno gli interventi, le missioni specifiche di ciascun fondo, individua e delinea le singole esigenze di sviluppo di ciascun ambito di intervento, descrive la sintesi delle valutazioni ex ante effettuate, l’elenco partner, i settori e le aree territoriali oggetto dei vari interventi. Mediante tale documento si trasferiscono gli elementi del quadro strategico comune nel contesto nazionale e si fissano gli impegni necessari per il raggiungimento degli obiettivi stabiliti dell'Unione europea. Tale rigida cornice concentra le risorse su pochi obiettivi ben definiti in modo da ridurre la frammentazione che in passato ha limitato l’impatto complessivo degli interventi. Per quanto attiene i profili procedurali la proposta di accordo, secondo una rigida tempistica fissata dai regolamenti, è sottoposta alla Conferenza unificata per l’intesa, sottoposta all’esame Cipe e inviata alla Commissione europea per l’approvazione formale. L’accordo nel corso dei sette anni di programmazione può anche essere modificato su richiesta della Commissione o dello Stato per poter adeguare questo strumento di governance alle mutate condizioni economiche (17). Programmi operativi nazionali e regionali. Poiché il contenuto dei programmi è strettamente interconnesso con quello dell'accordo di partenariato, parallelamente alla stesura degli accordi di programma sono stati redatti i programmi operativi nazionali e regionali, anche in questo caso con scadenze ben definite. Con la predisposizione dei piani le attività iniziano ad assumere concretezza, selezionando i risultati attesi tra quelli individuati dalla bozza di Accordo di partenariato, corredati da pertinenti indicatori, ed esplicitando le singole azioni da finanziare. Si tratta quindi di una puntuale individuazione dei risultati attesi da ciascun programma unitamente alla esplicitazione delle azioni necessarie al loro conseguimento. Un'altra componente fondamentale e imprescindibile dei singoli programmi operativi è poi la definizione di cronoprogrammi di attuazione, indispensabili per assicurare una piena sostenibilità, e quindi credibilità, delle scelte effettuate, così da evitare le criticità emerse nel precedente ciclo di programmazione e derivanti da una non sufficiente considerazione della tempistica di attuazione degli interventi. In aggiunta alle condizionalità già indicate, che impongono la massima attenzione alle linee guida predisposte dalla Commissione europea, il regolamento comunitario prevede anche l’adozione di norme nazionali sull’ammissibilità della spesa. A questo fine, nella passata programmazione l’Italia ha adottato il decreto del Presidente della Repubblica 3 ottobre 2008, n. 196, recante disposizioni generali sul fondo europeo di sviluppo regionale Fesr, sul fondo sociale europeo - Fse e sul fondo di coesione. Tali disposizioni potranno essere adeguate o mantenute se ritenute conformi alla nuova programmazione. (15) Anche in questo caso si tratta di un’innovazione nei profili di programmazione. Nella precedente programmazione 2007-2013 erano previsti gli orientamenti strategici, che tuttavia costituivano un documento di indirizzo e non avevano la valenza che riveste il quadro strategico comune come documento allegato al regolamento “disposizioni comuni”. (16) Consiglio dei ministri del 27 dicembre 2012. (17) Art. 3, decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 L’organizzazione Il sistema dei fondi strutturali configura un’articolazione particolarmente complessa. 567 Norme Unione europea Le disposizioni contenute nel regolamento n. 1303/2013 sono strutturate in modo che tutti i paesi europei gestiscano i fondi seguendo le medesime procedure, ma, nello stesso tempo, delineano un’organizzazione sufficientemente flessibile da poter essere recepita dai diversi ordinamenti nazionali. I ruoli assegnati a ciascun organismo sono talvolta difformi dalla configurazione dell’organizzazione amministrativa nazionale, determinando, a volte, difficoltà di interpretazione di istituti pensati in chiave europea che vengono interpretati alla luce dell’ordinamento nazionale. A livello europeo i livelli decisionali sono prevalentemente accentrati nella Commissione ma, in considerazione di quanto detto sulla stretta connessione tra gestione dei fondi strutturali e politica economica dell’Unione, anche il Parlamento ed il Consiglio intervengono nella fase di disciplina della normativa di sistema e nella fase di verifica delle politiche per il tramite di relazioni periodiche. Gran parte delle funzioni della Commissione sono, tuttavia, espressamente delegate dal Parlamento e dal Consiglio, ai quali le decisioni della Commissione vanno notificate. Esse assumono validità se entro due mesi dalla notifica i due organi legislativi non abbiano manifestato il loro dissenso. La Commissione per questo suo specifico ruolo di organismo delegato riferisce periodicamente al Parlamento ed al Consiglio fornendo indicazione sulle attività realizzate con i fondi strutturali, i progressi compiuti nella realizzazione della coesione economica, sociale e territoriale, anche fornendo indicazione delle politiche necessarie per realizzare le priorità dell'Unione e delle possibili future misure da adottare (18). Di ben altro peso il ruolo che riveste la Commissione in tutta la fase della programmazione, gestione e vigilanza dei fondi strutturali. Essa costituisce infatti l’organo preposto ai necessari contatti con gli Stati membri e incaricato di svolgere funzioni di impulso e coordinamento, nonché di controllo sugli organi e controlli sugli atti. Con riferimento alle funzioni di impulso e coordinamento la Commissione adotta gli atti di indi- rizzo per la programmazione, gli atti di esecuzione che stabiliscono i modelli per le relazioni, procede a rettifiche finanziarie mediante atti di esecuzione, sopprimendo in tutto o in parte il contributo dell'Unione a un programma, interviene chiedendo la modifica di quei programmi che dalle relazioni pervenute e dai controlli effettuati non siano rispondenti alle strategie di coesione dei fondi strutturali, ma anche dei programmi che non perseguano gli obiettivi loro assegnati. Per quanto riguarda i controlli sugli organi la Commissione riceve la designazione degli organismi responsabili della gestione e del controllo e ne verifica la correttezza nella filiera procedurale declinata dal regolamento, sia in termini di collocazione che di livello funzionale nell’ambito di tali organismi. Relativamente ai controlli sugli atti, ad essa sono notificati per l’approvazione gli atti programmatori, quali l’accordo di partenariato, i programmi operativi e sono inviate tutte le relazioni periodiche sulle attività svolte, le relazioni di controllo, i rapporti annuali di esecuzione predisposte, al fine di offrire un quadro informativo sullo stato d’attuazione dei programmi, evidenziando i risultati più significativi della loro esecuzione (19). La Commissione effettua anche controlli sulle attività. Ogni anno a partire dal 2016 e fino al 2023 compreso, sarà organizzata una riunione annuale di riesame tra la Commissione e ciascuno Stato membro, al fine di esaminare i risultati di ciascun programma. Quello tra Commissione e Stati non è un rapporto di sovra ordinazione, in quanto i principi della gestione concorrente prevedono che gli Stati membri e la Commissione abbiano reciproche responsabilità nella gestione e nel controllo dei programmi (20). Ma la Commissione, dialoga direttamente con gli organismi e le istituzioni interne cui sono affidate dallo Stato specifiche funzioni nella gestione dei fondi strutturali. In tal senso riceve le relazioni di spesa, svolge funzioni di vigilanza partecipando, senza diritto di voto, ai comitati di sorveglianza sui programmi, svolge attività di audit ed effettua controlli in loco per verificare la correttezza (18) Ai sensi dell’art 175 del Trattato, la Commissione è tenuta a presentare ogni tre anni al Parlamento europeo, al Consiglio, al comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni una relazione sui progressi compiuti nella realizzazione della coesione economica, sociale e territoriale. (19) Relazione di attuazione prevista dall’art. 50 del Regolamento 1303/2013. (20) I regolamenti europei dedicati ai fondi strutturali usano genericamente la locuzione “Stato” per dar modo a ciascun Paese di dotarsi dell’organizzazione più adeguata per i rapporti da tenere con gli organi della Commissione. Per l’Italia l’espressione “Stato” non si riferisce ad un organismo specificamente individuato, bensì, ma in modo assolutamente generico, ai vari organismi (autorità di gestione ecc.) di volta in volta chiamati a dialogare con la Commissione. 568 Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Norme Unione europea dell’organizzazione di ciascun paese, la correttezza della gestione finanziaria, l'efficacia dell'attuazione dei fondi. Inoltre, la Commissione verifica l'efficace funzionamento dei sistemi di gestione e controllo di un programma, anche chiedendo a ciascuno Stato di adottare i provvedimenti eventualmente necessari. Nell'esercizio delle sue varie attribuzioni la Commissione è assistita dal Comitato di coordinamento dei fondi strutturali e di investimento europei (Coesif), organo ristretto costituito nell’ambito della Commissione con la partecipazione dei funzionari delle varie direzioni interessate alla gestione dei fondi (DG occupazione, affari sociali e integrazione, DG politica regionale) e gli Stati membri rappresentati dai funzionari della Rappresentanza permanente e ove occorra anche dai funzionari delle amministrazioni nazionali (21). Il ruolo che gli Stati membri assumono ha avuto una graduale espansione nelle varie programmazioni che si sono succedute. Nel tempo, infatti, il baricentro della gestione si è spostato da un sistema organizzativo che vedeva al centro della sua fase di gestione e controllo gli uffici della Commissione ad un sistema di programmazione che ha affidato la gestione ed il controllo a ciascuno Stato. Il regolamento n. 1303/2013 delinea la cornice della struttura organizzativa, individuando i diversi soggetti competenti e le loro funzioni; saranno poi i singoli piani operativi predisposti dagli Stati membri, a configurare le attribuzioni di ciascuno di tali soggetti. L’organizzazione nazionale di vertice ha previsto a suo tempo una struttura dipartimentale incardinata presso il Ministero dell’economia, successivamente trasferita al Ministero dello sviluppo economico ed infine al Presidente del Consiglio dei ministri. Nei governi Monti e Letta il dipartimento è stato affidato ad Ministro senza portafoglio per la coesione territoriale (22). La Commissione europea, tuttavia, alla luce delle difficoltà emerse nelle precedenti programmazioni sia sotto il profilo della capacità di programmazione e realizzazione, sia sotto il profilo della capacità di spesa da parte delle Regioni, ha rappresentato la “necessità dell’individuazione di un forte presidio nazionale” (23). Per rispondere a questa esigenza l’articolo 10, c. 1, del decreto legge 31 agosto 2013, n. 101 ha istituito l'agenzia per la coesione territoriale sottoposta alla vigilanza del Presidente del Consiglio dei ministri, le cui funzioni relative alla politica di coesione sono ripartite con la Presidenza del Consiglio dei ministri. In particolare l’agenzia effettua il monitoraggio sull’uso dei fondi, fornisce sostegno e assistenza tecnica alle amministrazioni interessate nella gestione dei programmi, potendo anche svolgere compiti diretti di gestione di progetti, soprattutto in caso di gravi inadempienze e ritardi di alcune autorità di gestione (24). La principale responsabilità che grava su ciascuno Stato riguarda l'attuazione e il controllo delle operazioni dei programmi. Per questo motivo compete al singolo Stato designare in ciascun programma i vari organismi previsti, individuandone i ruoli conformemente alle funzioni declinate dal regolamento delle disposizioni comuni e dal regolamento finanziario dell’Unione europea. Si tratta in primo luogo di tre autorità indispensabili per la gestione di ciascun programma: l'autorità di gestione, l'autorità di certificazione e l'autorità di audit. E’ possibile poter designare organismi intermedi cui affidare taluni compiti dell'autorità di gestione o dell'autorità di certificazione, indicando contestualmente le rispettive responsabilità e funzioni. L'autorità di gestione è la principale figura nel processo di attuazione dei fondi e svolge un’elevata quantità di funzioni connesse alla scelta dei progetti, alla gestione del programma, ed ai controlli finanziari. La designazione dell’autorità di gestione avviene a seguito di una valutazione di un organismo indipendente che verifica l’adeguatezza dell’autorità alla corretta gestione, controllo e vigilanza di tutte le operazioni. La sua designazione avviene con provvedimento dell’organo politico al cui interno è individuata l’autorità per ciascun programma operativo, anche se è possibile che la stessa autorità di gestione possa essere designata per più di un programma. Tale designazione non è soggetta ad ap- (21) Nella precedente programmazione tale ruolo era svolto dal COCOF - Comitato di coordinamento dei fondi commissione permanente della Commissione europea, La cui funzione era quella di discutere le questioni relative all'attuazione dei regolamenti che disciplinano i fondi strutturali. (22) L’art. 24, c. 1, l. c), del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 aveva affidato le politiche di coesione al Ministero dell’economia; l’art. 1, c. 2, del decreto legge 18 maggio 2006, n. 181, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, legge 17 luglio 2006, n. 233, ha trasferito tali funzioni al Ministero dello sviluppo economico, funzioni che l’art 7, c. 26 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito in legge convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e al decreto legislativo 31 maggio 2011, n. 88 ha trasferito al Presidente del Consiglio dei ministri. (23) Pag. 32 del Position paper, cit. in nota 13. (24) Art. 1, c. 18, legge 27 dicembre 2013, n. 147. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 569 Norme Unione europea provazione da parte della Commissione, ma nel corso degli auditing la Commissione può chiedere ed ottenere modifiche agli assetti gestionali. L'autorità di gestione è responsabile della gestione del programma operativo, e conformemente al principio della sana gestione finanziaria, assicura il corretto utilizzo delle risorse sia in termini di legittimità dell’uso dei fondi sia in termini di buona esecuzione delle azioni previste. In particolare svolge le funzioni di interlocutore con il comitato di sorveglianza e con la Commissione elaborando e presentando le relazioni di attività sui programmi. Dialoga con gli organismi intermedi e i beneficiari che concorrono all’attuazione del programma; in particolare vigila sul rispetto delle regole fissate dai regolamenti e dalle normative di secondo livello che disciplinano l’ordinato e legittimo andamento della spesa, nonché dell’avanzamento e dell’attuazione dei singoli interventi previsti dal programma. A tal fine, svolge anche attività di controllo contabile sia di natura documentale (c.d. on desk) sia con verifiche e ispezioni finalizzate principalmente alla corretta conservazione della documentazione. Spetta inoltre all’autorità di gestione predisporre un piano di valutazione finalizzato a valutare l'efficacia, l'efficienza e l'impatto di un programma, informandone il comitato di sorveglianza e la Commissione. Tra i vari organi previsti dal sistema di gestione dei fondi strutturali, l’autorità di gestione svolge un ruolo centrale, essendo anche l’interlocutore del programma con la Commissione europea, curando la convocazione del comitato di sorveglianza e l’istruttoria dei contenuti del comitato medesimo. All'autorità di gestione spetta, inoltre l’indirizzo l’attuazione, il monitoraggio, la valutazione, la sorveglianza e la comunicazione del programma (25). Si aggiunga che l'autorità di gestione svolge anche funzioni sanzionatorie potendo sospendere i pagamenti laddove verifichi irregolarità o incompletez- ze documentali e può, per lo svolgimento di interventi specifici o per materia o per attinenza territoriale, affidare la gestione di parte di un programma operativo a un organismo intermedio mediante un accordo scritto (26). L'organismo intermedio è individuato in base alla propria competenza nel settore interessato e alla capacità di gestione amministrativa e finanziaria. Si tratta di due aspetti assolutamente connessi tra loro. Infatti, la competenza istituzionale, non accompagnata da una capacità nel gestire i fondi, pregiudica i risultati del programma. Il beneficiario è un organismo pubblico o privato responsabile della realizzazione delle operazioni previste dal programma (27). L’attuatore è il fornitore pubblico o privato che realizza i contenuti del programma e dei singoli progetti. E’ individuato secondo i meccanismi dell’evidenza pubblica, anche se in alcuni casi molte amministrazioni soprattutto statali si avvalgono di organismi in house, ai quali affidare in via convenzionale la realizzazione del progetto. L’organismo in house talora svolge anche la funzione della stazione appaltante. E’ opportuno evidenziare che la distinzione tra i vari organismi impegnati nella gestione dei fondi si basa non sulla natura dell’organismo stesso, bensì sulla diversità dei ruoli: qualora l’autorità di gestione espleti la gara e stipuli direttamente il relativo contratto di fornitura assume il ruolo di beneficiario; occorre verificare l’attività svolta a prescindere dalla denominazione, e ciò assume rilievo soprattutto alla luce dell’esercizio dei controlli. Destinatari finali delle attività sono i soggetti nei cui confronti agiscono gli interventi, che possono essere rivolti uti singuli ad un gruppo di persone, come ad esempio gli interventi di carattere formativo, di sostegno all’occupazione, o di sostegno finanziario, ovvero possono essere rivolti in modo indifferenziato ad una collettività, come accade per gli interventi del Fesr, con i quali possono essere (25) Un quadro d'insieme sull'attuazione del Programma è fornito dal Rapporto Annuale di Esecuzione (RAE) trasmesso dall'Autorità di Gestione alla Commissione europea. (26) L’espressione accordo contenuta nel regolamento necessita di una corretta trasposizione nell’ordinamento italiano. Più che un accordo in senso stretto ai sensi dell’art. 15 della legge 8 agosto 1990, n. 241, sarebbe opportuno parlare di atto di delega, dato che l’autorità di gestione delega parte delle sue attribuzioni all’organismo intermedio, conferendogli anche le risorse necessarie per la realizzazione del programma. Proprio in quanto atto di delega e non di accordo o convenzione, l’organismo intermedio agisce sotto la responsabilità dell’autorità di gestione ed esercita nei confronti dei soggetti che attuano le operazioni le medesime funzioni attribuite dal regolamento all’autorità di gestione. In tal senso di esprime nel senso della delega anche l’allegato 1 all’Accordo di partenariato concernente gli elementi salienti della proposta di SI.GE.CO. 2014/2020. (27) L’espressione beneficiario non deve trarre in inganno in quanto parlando di beneficiario non si intende colui il quale trae beneficio dall’intervento, bensì del “responsabile dell'avvio o dell'avvio e dell'attuazione delle operazioni”. Con questa espressione il regolamento intende distinguere l’ipotesi in cui il beneficiario eserciti un’attività contrattuale, acquisti cioè il bene, il servizio o la prestazione ed in tale caso è il responsabile dell’avvio delle operazioni, dall’ipotesi in cui il beneficiario fornisca il bene, servizio o prestazione. 570 Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Norme Unione europea realizzati progetti infrastrutturali per le città, sistemi viari, gestione di beni storici ed archeologici Quanto, poi, agli organismi che partecipano alle attività di gestione dei fondi strutturali, la gestione dei flussi finanziari è affidata al Ministero dell’economia e delle finanze - ispettorato per i rapporti finanziari con l’Unione europea - Igrue, il quale riceve dalle autorità di gestione le domande di pagamento ed eroga il relativo importo ai soggetti che hanno sostenuto la spesa. Dopo che l’autorità di certificazione ha effettuato i necessari controlli, l’Igrue provvede ad acquisire, sotto forma di rimborso, le quote di contributo assegnate dall'Unione europea all'Italia. Analogamente il medesimo ispettorato provvede a erogare le corrispondenti quote di parte nazionale a carico del fondo di rotazione della legge 16 aprile 1987, n. 183. Attraverso il monitoraggio così effettuato, si rendono disponibili le informazioni necessarie per il funzionamento dei comitati di sorveglianza; i dati rilevati vengono, poi, utilizzati anche dagli organismi di valutazione per verificare l'impatto socio-economico delle azioni realizzate attraverso i fondi strutturali. Un ulteriore organismo la cui posizione assume rilievo nel sistema di gestione dei fondi strutturali è l’autorità di certificazione. Tale soggetto, individuato necessariamente nell’amministrazione pubblica, cura la gestione dei sistemi di contabilità e la correttezza delle procedure di pagamento da parte della Commissione europea, predispone i bilanci, ne certifica la completezza, l'esattezza e la veridicità e certifica che la spesa iscritta nel bilancio rispetta le norme nazionali e quelle dell'Unione. Analogamente all’autorità di gestione, l’autorità di certificazione è designata per ciascun programma operativo, o, anche, per più programmi. In applicazione dei principi di semplificazione e riduzione degli oneri l’attuale programmazione, diversamente da quanto previsto in passato, consente che gestione e certificazione siano un’unica struttura. Il comitato di sorveglianza è un organo collegiale misto costituito da rappresentanti della Commissione e dello Stato, che ha il compito di vigilare sull’efficienza e la qualità dell’intervento, approvando i criteri di selezione delle operazioni finan(28) G. De Seta, Riflessioni in tema di controlli sulla gestione dei fondi comunitari strutturali, in Rivista della Corte dei conti, 1999, 6, 273. (29) Per un’analisi descrittiva dei comitati di sorveglianza si veda G. D’Alfonso, Fondi strutturali, Italia fanalino di coda, in, PMI, 2002, 4, 16. (30) Una prima proposta di bilancio pluriennale dell'UE è stata presentata dalla Commissione europea nel giugno 2011. Tale proposta è stata successivamente modificata nel luglio Giornale di diritto amministrativo 6/2014 ziarie e valutando periodicamente il raggiungimento dei risultati previsti (28). Il comitato esamina, inoltre, le relazioni di attuazione e i rapporti finali, nonché le proposte di modifica riguardanti la partecipazione al fondo (29). Esso svolge, quindi, una funzione di coordinamento propositivo e di impulso, tenendo sotto osservazione l'andamento degli interventi, funzione che è anche di stimolo nei confronti dell’autorità di gestione per la valutazione e l’attuazione del programma, utilizzando i dati finanziari della spesa nonché degli indicatori di ciascun programma. Il comitato ha anche un ruolo consultivo su eventuali modifiche dei programmi (art. 110). Per agevolare il coordinamento tra i programmi il regolamento prevede anche la possibilità di effettuare comitati congiunti. Ogni programma ha regole organizzative e di processo proprie. Sulla base dell'organizzazione delineata dal regolamento vengono individuati i diversi soggetti competenti e vengono declinati i singoli procedimenti per tutte le attività previste. Per ogni procedimento è configurata la sequenza procedurale con le singole attività da compiere, i puntuali controlli da effettuare ed un diagramma di flusso che disegna la sequenza procedurale. Ciascun programma operativo ha un suo sistema di gestione e controllo che fotografa ogni singolo procedimento amministrativo. Si tratta di un atto amministrativo generale adottato dall'autorità di gestione che individua, delinea e precisa tutte le attività amministrative previste. Per ciascun procedimento è allegato al sistema di gestione e controllo (SI.GE.CO.) un diagramma di flusso definito pista di controllo. Le risorse finanziarie e l’impiego nei fondi Il quadro finanziario pluriennale 2014-2020 adottato dal Consiglio dota l’Unione europea di 959.99 miliardi di euro per impegni di spesa e 908.40 miliardi di euro per i pagamenti da effettuare nei i prossimi sette anni di programmazione. Queste due voci corrispondono rispettivamente al 3.5% e al 3.7% in meno di quanto stanziato nel precedente quadro finanziario 2007-2013 (30). 2012 sulla base della disponibilità di nuovi dati statistici e per tener altresì conto dell'entrata della Croazia nell'Ue, prevista per il 1 luglio 2013. Al Consiglio europeo del 7 e 8 febbraio 2013, i 27 stati membri dell'Ue hanno trovato un accordo sul Qfp 2014-2020, che però non è stato approvato dal Parlamento. Solo dopo mesi di complesse negoziazioni, il Parlamento ha approvato il 19 novembre 2013 il bilancio Ue per il periodo 2014-2020 (Quadro finanziario pluriennale – Qfp). 571 Norme Unione europea Per la politica di coesione dell’intera Ue, lo stanziamento è pari a 325,1 miliardi, pari al 35% dell’intero bilancio (31). Di tale somma l’Italia beneficerà di un totale di risorse pari a 32,2 miliardi di euro (incluse le risorse destinate alla cooperazione territoriale per 1,1 miliardi e 659 milioni al fondo per gli indigenti), con un lieve incremento dai 29,4 miliardi del 2007-2013. Sulla base della somma complessiva fissata dal quadro finanziario pluriennale è stato predisposto dalla Commissione l’accordo finanziario sulla ripartizione delle risorse tra le tre categorie di regioni in cui è divisa l’Italia: 7,7 milioni di euro per le regioni più sviluppate, 1,1 milioni di euro per le regioni in transizione, e 22,4 milioni di euro per le regioni meno sviluppate, cui si aggiunge 1 miliardo per la cooperazione territoriale. L’ammontare di risorse europee a valere sul FSE è pari a 10.378 milioni di euro, a valere sul Fesr è pari a 20.741 milioni di euro. A tali cifre vanno aggiunti gli importi del cofinanziamento nazionale a carico del fondo di rotazione (32) per il quale la legge di stabilità per il 2014 (33) ha autorizzato la spesa di 5 miliardi di euro per il 2014 e il 2015, di 4,5 miliardi per il 2016 e 20 miliardi per il 2017 e gli anni successivi. Tali somme costituiscono il settanta per cento dell’intera quota di cofinanziamento nazionale. Il restante trenta per cento è a carico delle regioni in proporzione al finanziamento europeo ricevuto (34). Il cofinanziamento consentirà, in pratica, di raddoppiare il volume di risorse assegnato dall’Unione Europea. Nel complesso le politiche di sviluppo e coesione conteranno su circa 100 miliardi di euro. Tali risorse devono svolgere, nel ciclo 2014-2020, un ruolo duplice, ma strettamente integrato: da un lato continuare nell’azione di potenziamento e miglioramento dei contesti regionali; dall’altro assicurare un sostegno, strutturale e non congiunturale, ai processi di rafforzamento delle imprese, di incremento dell’occupazione, di miglioramento del tessuto sociale. L’Italia è tra i paesi c.d. contribuenti netti del bilancio Ue. Ciò significa che versa al bilancio più di quanto riceve. Tale condizione è andata intensificandosi nel tempo. I dati più significativi, che emergono dall’analisi dei flussi finanziari intercorsi tra l’Italia e l’Unione europea (Ue) nell’esercizio 2011, mostrano incremento pari al 4,9% rispetto al 2010 dell’apporto del nostro paese al finanziamento del bilancio comunitario. Nello specifico, l’Italia nel 2011 ha versato all’Ue, a titolo di risorse proprie, la complessiva somma di 16 miliardi, importo che rappresenta il massimo storico del settennio 2005-2011 (35). Nel nuovo quadro finanziario 2014-2020, l’Italia mantiene lo stato di contribuente netto, pur se in misura minore, grazie all’aumento relativo delle risorse a carico della politica di coesione assegnate al nostro paese, in controtendenza rispetto ad una generalizzata riduzione dei finanziamenti (tra l’8% e il 10 % a seconda degli Stati membri). La coesione economica ha per sua natura e caratteristica rilievo territoriale. Essa, infatti, è rivolta a ridurre il divario tra le varie regioni e il ritardo (31) I fondi strutturali europei nei due ultimi cicli (settennali) hanno avuto a disposizione circa un terzo del bilancio della Ue; nel 2000-2006 circa 195 miliardi di euro che nel 20072013 sono diventati circa 335 miliardi. (32) L’art. 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, ha istituito nell’ambito del Ministero del tesoro-Ragioneria generale dello Stato, un fondo di rotazione con amministrazione autonoma e gestione fuori bilancio, ai sensi dell’articolo 9 della legge 25 novembre 1971, n. 1041. Il suddetto fondo si avvale di un apposito conto corrente infruttifero, aperto presso la tesoreria centrale dello Stato. In tale fondo sono, tra l’altro, versate le somme erogate dalle istituzioni dell’Unione Europea per contributi e sovvenzioni a favore dell’Italia, le somme individuate annualmente con la legge di stabilità, nonché le somme determinate con la legge di approvazione del bilancio dello Stato. (33) Art. 1 c. da 13 a 17, legge 23 dicembre 2013, n. 147. (34) Art. 1, c. da 240 a 250 della legge n. 147/2013. Nel caso di interventi realizzati delle amministrazioni centrali, l’intera quota è a valere sul Fondo. A tali somme vanno aggiunti anche gli stanziamenti del fondo sviluppo e coesione, strumento finanziario nazionale finalizzato a promuovere la coesione territoriale e che ha una allocazione nella legge di stabilità per il 2014 pari a 54,8 miliardi distribuiti nel periodo 2014-2020. Tali risorse del fondo saranno destinate per il 20 per cento alle regioni del centro-nord e per l’80 per cento a quelle del mezzo- giorno per il finanziamento delle grandi infrastrutture, in particolare nel campo dei trasporti e dell’ambiente. Per la sua flessibilità nella gestione temporale, si presta bene a sostenere gli investimenti infrastrutturali considerati prioritari nel prossimo periodo di programmazione, ma la cui tempistica di progettazione e attuazione confligge con l’orizzonte temporale dei cicli di programmazione comunitaria e con le regole dei fondi. Una parte di queste risorse sarà inoltre destinata al finanziamento degli interventi di messa in sicurezza del territorio, di bonifica di siti d’interesse nazionale e di altri interventi in materia di politiche ambientali. Inoltre, il 5 per cento delle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione può essere destinata, nell’ambito della programmazione, a interventi di emergenza con finalità di sviluppo anche nel settore agricolo. Inoltre il fondo concorre, nell’ambito delle risorse disponibili, al finanziamento dei programmi aventi la stessa finalità di quelli cofinanziati (programmi complementari), ma che vengono finanziati esclusivamente con risorse nazionali. C. Trigilia, Ministro per la coesione territoriale, La programmazione del nuovo ciclo dei fondi europei 2014-2020, audizione alle Commissioni V e XIV della Camera dei deputati, 19 novembre 2013, p.4. (35) Relazione annuale 2012 della Corte dei Conti sui rapporti finanziari con l’Unione Europea e l’utilizzo dei Fondi comunitari. 572 Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Norme Unione europea tra le regioni meno favorite (36). Sulla scorta di tale principio il regolamento n. 1303/2013 individua tre diverse tipologie di regioni, classificandole sulla base della media del prodotto interno lordo Pil calcolato sull’Europa a 27 paesi, e distinguendo tra regioni meno sviluppate, il cui Pil pro capite è inferiore al 75% della media, regioni in transizione, il cui Pil pro capite è compreso tra il 75% e il 90% della media e regioni più sviluppate, il cui Pil pro capite è superiore al 90% della media del Pil dell'UE-27. Le regioni il cui Pil pro capite è inferiore al 75% della media del Pil dell’UE-27, denominate nella precedente programmazione “obiettivo convergenza” assumono nella nuova programmazione la denominazione di “Regioni meno sviluppate”. Per l’Italia le Regioni che rientrano in questa categoria sono le stesse che facevano parte dell’analoga categoria nella precedente programmazione e cioè Sicilia, Calabria, Puglia e Campania, a cui si aggiunge la Basilicata. Le Regioni il cui PIL pro capite è compreso tra il 75% e il 90% della media del Pil dell’UE-27, fanno parte di una nuova categoria denominata delle “Regioni in transizione”; in questa categoria rientrano Abruzzo e Molise che facevano parte del gruppo di Regioni obiettivo competitività, nonché la Sardegna. Tutte le altre regioni con un Pil superiore al 90% della media UE-27 assumono la denominazione di regioni più sviluppate. Oltre a questa distinzione, rilevante sotto il profilo finanziario, il rilievo territoriale contenuto nell’accordo di partenariato individua le città e le aree interne quali punti nevralgici sui quali concentrare le azioni dei fondi strutturali. Si tratta di dimensioni della programmazione, ambiti cioè che necessitano di un approccio mirato con azioni integrate su tutti gli obiettivi. L’assegnazione alle diverse categorie di regioni avviene a livello UE sulla base del quadro finanziario pluriennale. L’effetto di tale assegnazione su base statistica ha determinato per le regioni “in transizione” una forte riduzione in termini percentuali (del 18,4%), mentre le regioni più sviluppate e quelle meno sviluppate hanno visto incrementare le risorse loro assegnate, rispettivamente del 54,6% e del 3,2%. Per ovviare a tale inconveniente, il regolamento prevede una norma “di correzione” in (36) Articolo 174 del Trattato. Quando la legislazione europea fa riferimento all’espressione “regioni “ il concetto cui riferirsi è quello di “estensione di superficie territoriale” e non quello di “tipologia di ente territoriale” come declinato dall’articolo 114 della Costituzione. (37) Il Fondo sociale europeo, istituito con il trattato di Ro- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 base alla quale, sebbene le risorse dei fondi non possano essere trasferite fra le varie categorie di regioni, per giustificati motivi e comunque per importi non superiori al 3% dello stanziamento complessivo può essere operato un trasferimento di risorse. Lo Stato italiano ha quindi proposto, in sede di accordo di partenariato, l’applicazione di tale deroga prevista all’art. 93, punto 2, regolamento n. 1303/2013. L’importo proposto, oggetto del trasferimento, viene prelevato per il 50% dalle risorse destinate alle regioni meno sviluppate e per il restante 50% dalle risorse delle regioni più sviluppate. L’assegnazione delle risorse tra le singole regioni avviene invece a livello nazionale costruendo “chiavi di riparto” sulla base di indicatori oggettivi (variabili) e dati aggiornati, di fonte statistica ufficiale, appropriati a individuare il fabbisogno relativo di intervento delle singole unità territoriali, considerando la natura delle politiche e i loro obiettivi. Il Fondo sociale europeo - FSE ed il Fondo europeo di sviluppo regionale - Fesr I due fondi strutturali che interessano l’Italia sono il fondo sociale europeo - Fse, di cui al regolamento n. 1304/2013 e il fondo europeo di sviluppo regionale di cui al regolamento n. 1299/2013 (37). Obiettivo tradizionale del Fse è l’aumento del tasso occupazionale, tuttavia nel tempo sono stati adeguati gli indirizzi per rispondere alle diverse mutate esigenze europee. Il fondo sociale rappresenta, infatti, lo strumento finanziario volto a sostenere la strategia per l’occupazione, per prevenire e combattere la disoccupazione e per investire nelle risorse umane. Il fondo è stato impiegato per dare sostegno a coloro che incontrano particolari difficoltà nel trovare lavoro, come le donne, i giovani, gli anziani, gli immigrati e i disabili, ma anche per sostenere le imprese e i lavoratori consentendo loro di adattarsi al cambiamento, sostenendo l’innovazione sul posto di lavoro, la formazione e la mobilità dei lavoratori. Il fondo sociale rappresenta lo strumento per attuare la terza delle linee dettate dalla strategia Euma nel 1957, è stato il primo tra i fondi strutturali ad essere istituito. Previsto dall’articolo 164 del Trattato, è deliberato con procedura legislativa ordinaria dal Parlamento europeo e dal Consiglio previa consultazione del comitato economico e sociale e del comitato delle regioni. 573 Norme Unione europea ropa 2020: oltre alla crescita intelligente e sostenibile è, infatti, prevista “una crescita inclusiva che promuova l’occupazione e che favorisca la coesione sociale e territoriale”. Alla luce di tale indicazione strategica, sono quattro i temi affidati al fondo sociale: l’occupazione ed il sostegno alla mobilità dei lavoratori, la lotta alla povertà e l’inclusione sociale, cioè la possibilità che tutti gli individui possano godere di standard di vita essenziali, l’investimento nell’istruzione, nelle competenze e nell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita e, infine, il miglioramento della capacità istituzionale ed efficienza dell’amministrazione pubblica. Tali obiettivi saranno perseguiti tenendo conto della necessità di promuovere il rispetto delle pari opportunità, anche con azioni mirate a persone a rischio di discriminazione e a persone con disabilità. In particolare, si cercherà di migliorare l’accesso al mercato del lavoro, di facilitare il loro adattamento ai cambiamenti industriali e a quelli del sistema produttivo necessari per gli sviluppi sostenibili, riducendo le ineguaglianze anche in termini di opportunità nella formazione. La programmazione dovrà assicurare che tutte le regioni concentrino almeno il 20% delle risorse del fondo sull’obiettivo di promuovere l’inclusione sociale e combattere la povertà (attualmente la media è del 13%). Si tratta di una novità che la Commissione ha introdotto per combattere la disoccupazione giovanile, fornire sostegno all’invecchiamento attivo, creare opportunità per gli individui e i gruppi più svantaggiati. Inoltre, il fondo punta all’ammodernamento del mercato del lavoro. Per perseguire tali finalità sono previsti nella programmazione anche cinque obiettivi volti a consentire? che il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni abbia un lavoro; che il 3% del Pil dell’UE sia investito in ricerca e sviluppo; che il tasso di abbandono scolastico sia inferiore al 10% e che almeno il 40% dei giovani consegua una laurea o un diploma; che 20 milioni di persone in meno devono essere a rischio di povertà. Il fondo europeo di sviluppo regionale - Fesr (istituito nel 1975) è previsto dal’articolo 176 del Trattato ed è destinato a contribuire alla correzione dei principali squilibri regionali esistenti nell'Unione, partecipando allo sviluppo e all'adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo Due degli aspetti maggiormente caratterizzanti la gestione dei fondi strutturali sono l’attività di valutazione e quella di controllo, attraverso le quali vengono verificate, da un lato la piena riuscita dei progetti, dall’altro lato la legittimità della spesa sostenuta. Quando si parla di valutazione si intende far riferimento al raffronto tra obiettivi prefissati e risultati ottenuti. A tal fine occorre distinguere la valutazione ex ante, la valutazione in itinere e la valutazione ex post. La valutazione ex ante è finalizzata a migliorare la qualità e l'elaborazione di ciascun programma, ed è volta a verificare la congruenza degli obiettivi e delle priorità previste nell’accordo di partenariato. A tal fine dovranno anche essere individuati meccanismi di valutazione e monitoraggio come ad esempio gli indicatori, che siano chiari e pertinenti, da utilizzare nelle successive forme di valutazione per monitorare lo stato di avanzamento e l’effettiva realizzazione delle attività stesse e in che modo i risultati attesi contribuiranno al conseguimento degli obiettivi previsti. Attraverso la valutazione e i relativi indicatori potranno e dovranno essere predisposti sistemi di monitoraggio efficienti che soddisfino i requisiti di valutazione. Un altro aspetto di rilievo per la valutazione ex ante riguarda l’analisi della coerenza e la congruità tra gli obiettivi e le risorse attribuite alla luce del contesto economico territoriale (39). Allo Stato membro la responsabilità della valutazione ex ante è affidata sulla base di criteri definiti quali la coerenza, riferita agli obiettivi e alla strategia, e l’efficacia quale confronto tra previsione e (38) Art. 176 reg. n. 1303/2013. (39) G. Marchesi, L. Tagle, B. Befani, Approcci alla valutazio- ne degli effetti delle politiche di sviluppo regionale, Materiali Uval, 2011. 574 nonché alla riconversione delle regioni industriali in declino. Le risorse del fondo rientrano tra quelle destinate alla cooperazione territoriale europea nelle più specifiche forme della cooperazione transnazionale, transfrontaliera ed interregionale (38). Al fondo sono assegnate risorse da destinare finalità ambientali: energia, mobilità sostenibile, prevenzione dei rischi, servizi ambientali e asset naturali. A queste risorse saranno aggiunti anche parte degli stanziamenti destinati agli interventi volti al recupero dei ritardi competitivi del sistema delle imprese, attraverso il sostegno alla green economy e alla riduzione dei consumi energetici nei cicli produttivi. Le attività di valutazione e controllo Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Norme Unione europea realizzazione. Questa fase di valutazione deve essere completata prima che l'autorità di gestione eroghi i contributi previsti dal programma ed è presentata al comitato di sorveglianza a scopo informativo. La valutazione in itinere si inserisce nella fase di realizzazione dei programmi ed è volta a verificare che gli interventi adottati forniscano i risultati attesi. Grazie alla valutazione in itinere è possibile intervenire per apportare eventuali correzioni alla realizzazione delle attività e questa costituisce il corollario per la verifica della valutazione ex ante ed il presupposto per la valutazione ex post. L’attività di valutazione si svolge sulla base di appositi piani predisposti dall’autorità di gestione, ma è effettuata da esperti interni o esterni funzionalmente indipendenti dall’ autorità responsabile dell'attuazione del programma. Gli esiti della valutazione sono sottoposti all’esame dei comitati di sorveglianza. La valutazione finale detta anche ex post verifica il conseguimento o meno degli obiettivi prefissati dal programma o dall'intervento. Tale valutazione è effettuata dalla Commissione o dagli Stati membri in stretta cooperazione con la Commissione. Le valutazioni ex post prendono in esame l'efficacia e l'efficienza dei fondi Sie e il loro contributo alla strategia dell'Unione. La valutazione ex post è utilizzata anche per fornire raccomandazioni per le future programmazioni. La Commissione ha svolto da questo punto di vista un ruolo di continuo stimolo alla riflessione ed alla diffusione di buone pratiche sulla valutazione. Con l'approssimarsi del nuovo periodo di programmazione sono state rilasciate nuove linee guida sul monitoraggio e la valutazione che sintetizzano concetti e raccomandazioni (40). La normativa comunitaria, introducendo elementi propri delle discipline aziendalistiche quali la programmazione e i diversi stadi di valutazione della spesa in rapporto agli obiettivi prefissati, ha precorso la riforma dei controlli italiana del 1994 (41). Ciò che caratterizza il sistema dei controlli sui fondi strutturali, infatti, è la previsione di una funzione di controllo per ogni funzione di amministrazione attiva, prevedendo sia controlli sull’organiz- zazione, sia controlli sugli atti, sia controlli sulle attività, intesa come valutazione dei risultati e della spesa sostenuta. Il regolamento n.1033/2013 suddivide la responsabilità del controllo tra gli Stati membri e gli organi dell’Unione europea in primis della Commissione. Gli stati membri sono tenuti a predisporre un sistema di gestione e controllo in modo da assicurare un impiego efficiente e regolare dei fondi e, allo stesso tempo, verificare la correttezza delle richieste di pagamento dei beneficiari finali, esaminando i sistemi contabili e i documenti giustificativi delle spese sostenute. A livello europeo il sistema dei controlli sui fondi strutturali distingue controlli di I livello che potremmo definire “interni” in analogia al sistema amministrativo italiano, cioè svolti dagli organismi impegnati nella gestione dei fondi e controlli di II livello o “esterni svolti da organismi terzi, tra i quali rientrano le autorità di audit, la Commissione europea, la Corte dei conti europea e quella italiana (42). Gli stati membri sono tenuti a predisporre un sistema di gestione e controllo in modo da assicurare un impiego efficiente e regolare dei fondi ed allo stesso tempo verificare la correttezza dell’impiego delle risorse. L’autorità di gestione o l’organismo intermedio delegato, ove presente, effettuano i controlli di I livello sulle procedure, sulle spese e sulle attività realizzate dal soggetto che ha posto in essere l’operazione (beneficiario o attuatore). Si tratta di controlli di carattere contabile (sulla legittimità della spesa), di carattere amministrativo sulle procedure e, anche in questo caso, di controlli sulla legittimità. I controlli di I livello si possono suddividere in controlli “on desk” svolti in via successiva sulla documentazione della spesa e i controlli “in loco” volti a verificare la veridicità delle operazioni realizzate, la loro corrispondenza con il programma, nonché la completezza delle azioni poste in essere. Questi controlli si definiscono in loco perché vengono effettuati presso la sede del beneficiario, che ha l’obbligo di conservare la documentazione di spesa. Le verifiche in loco possono essere svolte a campione (43). (40) European Commission The Programming Period 20142020 monitoring and evaluation of European cohesion policy. Guidance document on ex-ante evaluation January 2013. (41) G. De Seta, Riflessioni in tema di controlli sulla gestione dei fondi comunitari strutturali, cit., 271. (42) La disciplina dei controlli definita nei regolamenti europei per la gestione dei fondi strutturali, infatti, non sostituisce i controlli lasciati alla discrezionalità normativa dei singoli Stati, ma costituisce «pur sempre una trama che esprime la logica di base del metodo di gestione e di controllo delle iniziative cofinanziate», così G. De Seta, Riflessioni in tema di controlli sulla gestione dei fondi comunitari strutturali, cit., 268. (43) Art.125, c. 6 del Regolamento n. 1303/2013. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 575 Norme Unione europea I controllo di II livello sono esercitati dall’autorità di audit. Per ciascun programma operativo è designata un'autorità pubblica o un organismo pubblico funzionalmente indipendente dall'autorità di gestione e dall'autorità di certificazione (44). L'autorità di audit garantisce lo svolgimento di attività di controllo sui sistemi di gestione e di controllo su un campione adeguato di operazioni e sui conti. I soggetti preposti all’audit effettuano, a tale scopo, verifiche nei confronti delle autorità di gestione degli organismi intermedi e dei beneficiari. Si tratta di verifiche preventive che riguardano l’idoneità della singola autorità di gestione; in particolare, esse sono soprattutto verifiche sul corretto funzionamento del sistema di gestione e controllo del programma operativo che prendono in considerazione anche singole operazioni, in armonia con gli standard in materia di audit accettati a livello internazionale. La stessa autorità di audit può essere designata per più di un programma operativo. Le attività sostenute a valere sui fondi europei, quanto pur essendo risorse aggiuntive extra bilancio, sono sottoposte agli ordinari controlli preventivi di spesa effettuati dagli uffici di bilancio istituiti presso le varie amministrazioni, nonché della Corte dei conti. La disciplina dei controlli minuziosamente prevista dal regolamento, infatti, non è sostitutiva di quella dettata dalla normativa di ciascuno Stato. In particolare ciò assume rilievo per quanto riguarda la quota di cofinanziamento nazionale ed i possibili relativi controlli preventivi ai sensi dell’articolo 3, c. 1, della legge n. 20/1994. La natura di gestione fuori bilancio del fondo di rotazione aveva ritenuto escluso detto controllo, sulla scorta della giurisprudenza consolidata della Corte dei conti. Secondo questa giurisprudenza le gestioni fuori bilancio e i fondi di provenienza europea sono soggetti unicamente al controllo successivo sulla gestione ai sensi del c. 4 del citato articolo 3, mediante la verifica della rispondenza dei risultati conseguiti e gli obiettivi fissati dalla legge sotto gli aspetti dell’efficienza, dell’efficacia ed economicità dell’azione comunitaria e conseguentemente esclusi dal controllo preventivo di legittimità (45). Tale orientamento è mutato dapprima con una delibera- zione della sezione controllo e successivamente con una pronuncia dell’adunanza generale. In tali decisioni la Corte ha ritenuto di dover sottoporre a controllo preventivo anche i decreti che approvano i contratti delle amministrazioni dello Stato ai sensi della lettera g) dell’art. 3, comma 1, della citata legge n. 20/1994 a prescindere dal fatto che tali atti fossero relativi alle gestioni fuori bilancio ed ai fondi di provenienza europea. La Corte ha, infatti, stabilito che la disposizione di cui al comma 4 del citato art. 3 non si pone in alternativa o in contrasto con quanto stabilito dal comma 1 del medesimo articolo, nel senso che «la previsione di un controllo successivo sulla complessiva gestione non fa venir meno la assoggettabilità di singoli provvedimenti al controllo preventivo, laddove sussistano i requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti dalla normativa in materia di controllo preventivo» (46), «atteso che non sussiste alcuna alternativa tra le disposizioni di cui al comma 1, dell’articolo 3 ed al successivo comma 4, in base al quale la Corte svolge, anche in corso di esercizio, il controllo successivo sulle gestioni fuori bilancio e sui fondi di provenienza comunitaria» (47). La Corte ha evidenziato che i decreti e i contratti adottati dalle amministrazioni a valere su tali fondi fossero sottratti, senza motivo, ai prescritti controlli di legittimità. La stessa Corte ha ritenuto necessario tale controllo anche perché le modalità di controllo proprie della sede comunitaria non prevedono forme di controllo preventive fungibili rispetto al controllo di legittimità. Tale aspetto, senza inficiare la giustezza della decisione della magistratura contabile, tuttavia, non appare condivisibile alla luce del complesso e articolato sistema dei controlli previsto dai regolamenti che nel tempo si sono succeduti e, da ultimo il regolamento n. 1303/2013. Più recentemente la normativa ha ampliato la casistica degli atti sottoposti al controllo preventivo di regolarità amministrativa e contabile aggiungendo la lettera g-bis all’articolo 5 del decreto legislativo 30 giugno 2011, n. 123. Tale nuova disposizione prevede che detto controllo sia svolto sui contratti passivi, convenzioni, decreti ed altri provvedimenti riguardanti interventi a titolarità delle amministrazioni centrali dello Stato, cofinanziati (44) Il coordinamento nazionale delle autorità di audit è assicurato dall’Igrue, con lo specifico obiettivo di assicurare le condizioni necessarie per l’efficace espletamento delle funzioni delle autorità di audit istituite presso le amministrazioni titolari di programmi, Accordo partenariato versione 9 dicembre 2013, 156. (45) Da ultimo Corte dei conti, sez. centrale di controllo di legittimità sugli atti del governo, 25 marzo 2010, n 7/2010/P. (46) Corte dei conti, sez. centrale di controllo di legittimità sugli atti del governo 6 luglio 2012 n. 16/2012/P. (47) Corte dei Conti, sez. centrale di controllo di legittimità sugli atti del governo, 25 marzo 2010, n 7/2010/P. 576 Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Norme Unione europea in tutto o in parte con risorse dell’Unione europea, ovvero aventi carattere di complementarità rispetto alla programmazione europea, giacenti sulla contabilità del Fondo di rotazione di cui all’articolo 5, della legge n. 183/1987 (48). Si delinea così un doppio sistema di controlli, uno definito dalla normativa comunitaria suddiviso tra i vari organi che a vario titolo partecipano alla filiera di utilizzo dei fondi (autorità di gestione, autorità di certificazione, autorità di audit, Commissione europea e Corte dei conti europea) ed uno definito dalla normativa nazionale, i cui tempi di realizzazione non sono coordinati tra loro. Un ulteriore profilo di controllo è costituito dall’attività di vigilanza sulle irregolarità amministrative e contabili. A livello nazionale, un ruolo importante nella difesa delle finanze comunitarie hanno la Guardia di finanza e il comitato per la lotta contro le frodi nei confronti dell'Unione europea che opera presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (49) e cura il coordinamento delle attività di contrasto delle frodi e delle irregolarità attinenti in particolare al settore dei fondi strutturali. Un apposito Nucleo della guardia di finanza svolge attività ispettiva e di indagine per la tutela degli interessi finanziari dell’Unione. Per quanto riguarda le irregolarità amministrative e contabili, a livello europeo presso la Commissione è istituita una particolare unità denominata Olaf - office de lutte antifraude (ufficio per la lotta antifrode) con compiti di coordinamento delle azioni assunte dei singoli stati in materia di lotta contro la frode e sul corretto uso dei finanziamenti europei. Tale Ufficio, che gode di una particolare autonomia e indipendenza anche dalla Commissione stessa, ha una competenza anche investigativa in materia di lotta contro la frode, la corruzione e tutte le attività illegali che determinano un pregiudizio agli interessi europei. La Corte dei conti europea effettua controlli successivi sulla gestione sulla correttezza della spesa dell’Unione europea e quindi anche sui fondi strutturali (50). Come gli altri organi di II livello effettua audit, cioè controlli a campione su singole operazioni sulla base di un piano annuale predisposto dalla stessa Corte. Dalla sua attività possono scaturire sanzioni a carico dei singoli paesi, quali il blocco dei pagamenti o anche il blocco dei programmi. Diversamente dalla Corte dei conti italiana, la Corte dei conti europea non svolge attività giurisdizionale sulle responsabilità contabili rilevate, rinviando per tali attività alle singole Corti dei conti nazionali. (48) Art. 1, c. 247, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014). (49) Art. 54 della legge 24 dicembre 2012, n. 234. (50) Per un’analisi sulla Corte dei conti europea si veda E. Bonelli, Il ruolo della Corte dei conti europea nella prospettiva costituzionale, in Giur. Italiana, 2005, 12; C. Astraldi de Zorzi, Le Corti dei conti europee: esperienze a confronto, in Associazione magistrati della Corte dei conti, rivista internet di contabilità pubblica. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Quali prospettive Le procedure di attuazione della programmazione 2014-2020 sono certamente più uniformi e mirate, ma basterà questo per far fruttare le ingenti risorse messe a disposizione? Le novità introdotte dal nuovo regolamento in tema di semplificazione delle procedure, della maggiore attenzione ai prodotti e non solo alla legittimità della spesa e ad una nuova procedura per l’individuazione dei progetti costituiscono sicuramente elementi che migliorano le prospettive della nuova programmazione, tuttavia le norme esaminate sono comuni a tutti i paesi europei e non è sufficiente una buona base normativa per la migliore utilizzazione dei fondi da parte dell’Italia. Solo con l’accordo di partenariato e con la nuova progettazione che seguirà potrà realizzarsi un efficiente settennato di gestione dei fondi. Non si può, peraltro, trascurare il ruolo che le singole amministrazioni coinvolte dovranno svolgere, tenuto conto che nella precedente programmazione ad un maggior investimento di risorse è corrisposto una peggior utilizzazione dei fondi a dimostrazione che una macchina efficiente non dipende dai regolamenti europei. 577 Spese e costi detraibili per l’avvocato Le finalità del volume sono di riportare le conoscenze utili per gestire correttamente le relazioni con il fisco e di fornire una cultura e consapevolezza fiscale. L’opera è aggiornata a tutto il 2013 con le innovazioni e modifiche legislative e di prassi, sia normative sia procedurali di accertamento. Consente all’avvocato di gestire gli adempimenti quotidiani, gli obblighi e le scadenze, i diversi regimi, gli aspetti fiscali delle forme giuridiche con cui opera nell’attività professionale in un’ottica di autonomia della gestione fiscale e di padronanza della fiscalità quotidiana operativa. I capitoli del libro esaminano le più importanti tematiche fiscali del momento: le società professionali, il nuovo accertamento redditometro, le procedure esecutive e cautelari con un’ottica sintetica ma esaustiva. Si è voluto dedicare un capitolo alla figura dell’avvocato tributarista, la cui attività professionale richiede a cura di Giuseppe Cassano, Corrado Marvasi, Luigi Figari delicatezza e una specializzazione con competenza pluridisciplinare. Il volume è disponibile anche nel formato eBook. pagg. 352, 32,00 Compili subito il coupon, e lo invii via fax allo 02.82476403. Può acquistare anche on line su www.shopwki.it oppure può contattare l’Agenzia della Sua zona (www.shopwki.it/agenzie) o rivolgersi alle migliori librerie della Sua città. (00148855) Sì, desidero acquistare il volume Spese e costi detraibili per l'avvocato a cura di G. Cassano, C. Marvasi, L. Figari a € 32,00. Cognome e NomeAzienda/Studio Via Città CAP Tel. Fax e-mail (obbligatoria): Partita IVA Cod. cliente C.F. q (1002) Pagherò con bollettino postale premarcato sul c.c. n° 412205, intestato a Wolters Kluwer Italia s.r.l. Gestione abbonamenti Ipsoa, allegato alla fattura q Addebitare l'importo di € .................... sulla mia carta di credito: q Mastercard (16 cifre) q American Express (15 cifre) n° Nome e indirizzo titolare carta di credito Timbro e firma Y60EG_LE.indd 1 q VISA (16 cifre) q Diner's (14 cifre) Data di scadenza Trattamento dati personali ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, La informiamo che i suoi dati personali saranno registrati su database elettronici di proprietà di Wolters Kluwer Italia S.r.l., con sede legale in Assago Milanofiori Strada 1 - Pal. F6, 20090 Assago (MI), titolare del trattamento e saranno trattati da quest’ultima tramite propri incaricati. Wolters Kluwer Italia S.r.l. utilizzerà i dati che La riguardano per finalità amministrative e contabili. I Suoi recapiti postali e il Suo indirizzo di posta elettronica saranno utilizzabili, ai sensi dell’art. 130, comma 4, del Dlgs. 196/03, anche a fini di vendita diretta di prodotti o servizi analoghi a quelli oggetto della presente vendita. Lei potrà in ogni momento esercitare i diritti di cui all’art. 7 del D.Lgs. n. 196/2003, fra cui il diritto di accedere ai Suoi dati e ottenerne l’aggiornamento o la cancellazione per violazione di legge, di opporsi al trattamento dei Suoi dati ai fini di invio di materiale pubblicitario, vendita diretta e comunicazioni commerciali e di richiedere l’elenco aggiornato dei responsabili del trattamento, mediante comunicazione scritta da inviarsi a: Wolters Kluwer Italia S.r.l. - PRIVACY - Centro Direzionale Milanofiori Strada 1 - Pal. F6, 20090 Assago (MI), o inviando un Fax al numero: 02.82476.403. Clausola di ripensamento diritto di recesso ai sensi dell’art. 5 D.lgs. n. 185/1999- Decorsi 10 giorni lavorativi dalla data di ricevimento del bene da parte del cliente senza che questi abbia comunicato con raccomandata A.R. inviata a Wolters Kluver Italia S.r.l. (o mediante e-mail, fax o facsimile confermati con raccomandata A.R. nelle 48 ore successive), la propria volontà di recesso, la proposta si intenderà impegnativa e vincolante per il cliente medesimo. In caso di recesso da parte del cliente, entro lo stesso termine (10 giorni lavorativi dal ricevimento) il bene dovrà essere restituito per posta a Wolters Kluver Italia S.r.l., Milanofiori, Strada 1 Pal. F6, 20090 Assago (MI) - telefax 02.82476.799. Y60EG LE 22/01/14 11:03 Norme Novità in sintesi Rassegna della normativa statale a cura di Umberto G. Zingales Riforma degli enti locali Legge 7 aprile 2014, n. 56 «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni» - in G.U. 7 aprile 2014, n. 81 La legge, composta di un articolo con 151 commi, detta disposizioni in materia di città metropolitane, province, unioni e fusioni di comuni al fine di adeguare il loro ordinamento ai princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Si tratta, in sintesi, di un’ampia riforma degli enti locali che prevede l’istituzione delle città metropolitane (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria, oltre a Roma capitale), la ridefinizione del sistema delle province - in attesa della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione - con organi ad elezione indiretta, una nuova disciplina in materia di unioni e fusioni di comuni e singole modifiche della disciplina degli organi comunali. Ospedali psichiatrici giudiziari Decreto-legge 31 marzo 2014, n. 52 «Disposizioni urgenti in materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari» - in G.U. 1 aprile 2014, n. 76 Il decreto proroga, al 31 marzo 2015, i termini relativi ai programmi regionali per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, anche al fine di consentire alle regioni e alle province autonome di completare tutte le misure e gli interventi strutturali già programmati, finalizzati ad assicurare l’assistenza terapeutico-riabilitativa per il recupero e il reinserimento sociale dei pazienti internati provenienti dagli ospedali psichiatrici giudiziari. Scambio elettorale politico mafioso Legge 17 aprile 2014, n. 62 «Modifica dell’articolo 416-ter del codice penale, in materia di scambio elettorale politico-mafioso» - in G.U. 17 aprile 2014, n. 90 La legge sostituisce l’art. 416-ter del codice penale, relativo allo scambio elettorale politico-mafioso, estendendo le tipologie sanzionabili e innalzando la pena nel minimo e nel massimo. Scuola Decreto-legge 7 aprile 2014, n. 58 «Misure urgenti per garantire il regolare svolgimento del servizio scolastico» - in G.U. 8 aprile 2014, n. 82 Con questo decreto - nelle more della rinnovazione e del completamento, a seguito di annullamento giurisdizionale, della procedura concorsuale a posti di dirigente scolastico (bandito nel 2011) - sono emanate disposizioni finalizzate a consentire la continuità dell’esercizio delle funzioni dirigenziali, in via transitoria e nelle sedi di assegnazione, dai soggetti già dichiarati vincitori delle medesime procedure concorsuali. Competitività e razionalizzazione della spesa pubblica Decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 «Misure urgenti per la competitivita' e la giustizia sociale» - in G.U. 24 aprile 2014, n. 95 Il decreto, composto di 51 articoli, è stato adottato, tra l’altro, al fine di intervenire in materia di revisione della spesa pubblica, attraverso la riduzione delle spese per acquisti di beni e servizi, garantendo al contempo l’invarianza dei servizi ai cittadini, nonché per assicurare la stabilizzazione della finanza pubblica, anche attraverso misure volte a garantire la razionalizzazione, l’efficienza, l’economicità e la trasparenza dell’organizzazione degli apparati politico istituzionali e delle autonomie locali. Sono previste varie disposizioni di natura fiscale (Titolo I), in tema di risparmi ed efficienza della spesa pubblica (Titolo II), riguardanti i pagamenti dei debiti delle pubbliche amministrazioni (Titolo III) e altre norme finanziarie (Titolo IV). Tra le varie disposizioni, si segnala quella relativa al limite del trattamento economico del personale pubblico, ora pari a 240.000,00 euro annui lordi (corrispondente al limite massimo retributivo riferito al primo presidente della Corte di cassazione). Giornale di diritto amministrativo 6/2014 579 Norme Novità in sintesi Bilancio degli Stati membri dell’Ue Decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 54 «Attuazione della direttiva 2011/85/UE relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri» - in G.U. 1 aprile 2014, n. 76 Il decreto dà attuazione alla direttiva 2011/85/Ue, del Consiglio, dell’8 novembre 2011, relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri, con disposizioni integrative di quelle già contenute nella legge n. 196/2009 (recante la legge di contabilità e finanza pubblica) e nella legge n. 243/2012 (concernente disposizioni per l’attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell’articolo 81, sesto comma, della Costituzione). L’obiettivo dell’intervento regolatore è quello di rafforzare, attraverso l’adozione di regole contabili trasparenti ed uniformi, la sorveglianza dei bilanci dei Paesi membri dell’Unione europea. Disposizioni tributarie varie Legge 28 marzo 2014, n. 50 «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 gennaio 2014, n. 4, recante disposizioni urgenti in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero, nonché altre disposizioni urgenti in materia tributaria e contributiva e di rinvio di termini relativi ad adempimenti tributari e contributivi» - in G.U. 29 marzo 2014, n. 74 La legge converte, con modificazioni, il d.l. n. 4/2014, con il quale sono state adottate disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero e per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale, nonché altre disposizioni urgenti in materia tributaria e contributiva, anche riguardanti il rinvio di termini previsti per i relativi adempimenti. 580 Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Norme Novità in sintesi Rassegna della normativa regionale a cura di Corrado Cardoni, Luca Castelli, Francesca Di Lascio, Chiara Lieto Ambiente e beni culturali Legge Regionale Marche, 24 febbraio 2014, n. 2 «Sistema regionale per la difesa dall’inquinamento di idrocarburi o altre sostanze nocive causato da incidenti marini» - in BU 6 marzo 2014, n. 25 Il provvedimento è volto a ridurre il rischio costiero e ad incrementare la lotta all’inquinamento della costa. In quest’ottica, si prevede la collaborazione tra Regione e autorità marittime competenti e l’integrazione tra il sistema di difesa delle coste e quelli di protezione civile comunali e provinciali. Sono anche individuati siti idonei all’installazione di sensori di rilevamento delle attività in grado di determinare la dispersione di sostanze inquinanti ed è costituita una rete di allertamento per la rilevazione di informazioni relative alla presenza di tali sostanze in mare. Legge Regionale Abruzzo, 4 gennaio 2014, n. 3 «Legge organica in materia di tutela e valorizzazione delle foreste, dei pascoli e del patrimonio arboreo della regione Abruzzo» - in BURA 10 gennaio 2014, n. 3, speciale Il provvedimento mira alla conservazione, tutela, valorizzazione e sviluppo del patrimonio forestale e dei pascoli presenti sul territorio regionale, in accordo coi principi statali ed europei, nonché con gli impegni assunti in sede internazionale. A tal fine, è valorizzata la collaborazione con enti, istituzioni ed organizzazioni a vario titolo interessati, tra cui il Corpo forestale dello Stato, ed è istituita la Consulta forestale. Le prescrizioni di massima per la tutela e per la gestione dei sistemi silvo - pastorali, anche con riguardo all’uso dei boschi, dei pascoli e degli altri terreni soggetti al vincolo idrogeologico, saranno definite con successivo regolamento approvato dal Consiglio su proposta della Giunta. Governo del territorio Legge Regionale Liguria, 24 febbraio 2014, n. 1 «Norme in materia di individuazione degli ambiti ottimali per l’esercizio delle funzioni relative al servizio idrico integrato e alla gestione integrata dei tributi» - in BUR 26 febbraio 2014, n. 2 La legge contiene disposizioni relative all’individuazione degli ambiti territoriali ottimali per l’esercizio delle funzioni concernenti il servizio idrico integrato e la gestione integrata dei rifiuti. In particolare, attribuisce i compiti connessi alla gestione del servizio così da introdurre migliori pratiche a tutela e salvaguardia dell’ambiente e superare la frammentazione delle gestioni, anche attraverso l’attribuzione delle funzioni ai comuni facenti parte di ogni ATO e l’istituzione di enti d’ambito che operano in nome e per conto dei medesimi comuni, in essi associati. Relativamente ai rifiuti, la Regione ha disposto la separazione delle funzioni amministrative di organizzazione e di controllo da quelle di erogazione dei servizi, fissando al contempo, l’obiettivo di riduzione della produzione dei rifiuti urbani, anche attraverso il potenziamento dello sviluppo della raccolta differenziata. Quanto all’organizzazione dei servizi di RSU, la norma prevede che avverrà su un ambito regionale unico, corrispondente all’intero territorio regionale ma articolato in aree territoriali omogenee. Ordinamento Legge Regionale Friuli Venezia Giulia, 14 febbraio 2014, n. 2 «Disciplina delle elezioni provinciali e modifica all’articolo 4 della legge regionale 3/2012 concernente le centrali di committenza» - in BUR 19 febbraio 2014, n. 8 In vista del riordino del sistema delle autonomie locali e in attesa della conclusione del procedimento di modificazione dello Statuto, volto a sopprimere il livello ordinamentale delle province, la Regione Friuli Venezia Giulia disciplina il sistema di elezione degli organi provinciali e il relativo procedimento elettorale. Sono organi della Provincia l'assemblea dei sindaci, il consiglio provinciale, il presidente della provincia e la giunta provinciale. Il consiglio provinciale è eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali dei comuni della provincia con voto diretto, libero e segreto, attribuito a liste concorrenti di candidati, in un unico collegio corrispondente al territorio della provincia. Il presidente della provincia e la giunta provinciale sono eletti dal consiglio provinciale nel suo ambito, nella prima seduta. Gli incarichi di consigliere provinciale e di membro dell'assemblea dei sindaci assunti sono esercitati a titolo gratuito. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 581 Norme Novità in sintesi Legge Regionale Basilicata, 21 gennaio 2014, n. 2 «Norme di prima attuazione della Legge 2 luglio 2004, n. 165 - Disposizioni di attuazione dell’art. 122, primo comma, della Costituzione» - in BUR 21 gennaio 2014, n. 2 Fatte salve le esclusioni stabilite dalle norme vigenti, è incompatibile con la carica di Consigliere regionale, di componente della Giunta e di Presidente della Regione colui che è parte attiva di una lite con l’Ente. Qualora il soggetto non sia parte attiva della lite, l’incompatibilità sussiste esclusivamente nel caso in cui la lite medesima sia conseguente o sia promossa a seguito di giudizio definito con sentenza passata in giudicato. Tale disposizione si applica anche ai procedimenti in corso. Legge Regionale Sardegna, 9 gennaio 2014, n. 2 «Razionalizzazione e contenimento della spesa relativa al funzionamento degli organi statutari della Regione» - in BUR 16 gennaio 2014, n. 3 La Regione Sardegna adotta ulteriori misure in materia di razionalizzazione e contenimento della spesa relativa al funzionamento degli organi statutari. Tali misure concernono, fra l’altro, il trattamento economico dei componenti della Giunta regionale che non siano consiglieri, la disciplina dell'assegno di fine mandato, la pubblicità dello stato patrimoniale di consiglieri e assessori, il funzionamento dei gruppi consiliari. Legge Regionale Sicilia, 4 gennaio 2014, n. 1 «Misure in materia di controllo, trasparenza e contenimento della spesa relativa ai costi della politica» - in GURS 17 gennaio 2014, n. 3, S.O. n. 2. Anche la Regione Sicilia introduce una serie di misure in materia di controllo, razionalizzazione e contenimento della spesa relativa ai costi della politica e dell'Amministrazione regionale, riguardanti, tra le altre cose, il trattamento economico dei deputati regionali e dei componenti della Giunta regionale, la pubblicità del loro stato patrimoniale, il loro sistema previdenziale; nonché i contributi in favore dei Gruppi parlamentari per le spese di funzionamento, di personale e la relativa rendicontazione di tali spese. Protezione civile Legge Regionale Puglia, 10 marzo 2014, n. 7 «Sistema regionale di protezione civile» - in BUR 10 marzo 2014, n. 33 La legge disciplina e riordina le funzioni relative alla protezione civile, cui la regione provvede insieme agli enti locali, anche associati, nonché ad ogni altra istituzione e organizzazione pubblica o privata esercente sul territorio regionale compiti di interesse in materia. Nello specifico, il provvedimento regola il coordinamento e l’integrazione dei diversi livelli di governo istituzionale nell’esercizio delle funzioni di propria spettanza e, inoltre, dispone in merito all’organizzazione e all’impiego del volontariato. Le funzioni regionali sono espletate con il supporto consultivo del Comitato regionale di protezione civile, mentre il coordinamento tecnico-operativo regionale delle attività necessarie a fronteggiare gli eventi calamitosi spetta al Comitato operativo regionale per l’emergenza (COREM), appositamente istituito. Legge Regionale Lazio, 26 febbraio 2014, n. 2 «Sistema integrato regionale di protezione civile. Istituzione dell'Agenzia regionale di protezione civile» - in BURA 27 febbraio 2014, n. 17 Anche questo provvedimento dispone la disciplina e il riordino delle funzioni in materia di protezione civile e l’istituzione del Sistema integrato regionale, costituito dalla Regione, dalle province, dai comuni e da altri soggetti pubblici o privati. Il Sistema opererà in modo flessibile per tutelare la comunità regionale dagli eventi calamitosi e di origine antropica, secondo la ripartizione delle attività e dei compiti tra i diversi livelli di governo. La Regione disciplina altresì le funzioni relative all’impiego del volontariato di protezione civile, istituendo un’apposita Consulta quale forma di partecipazione tra le organizzazioni presenti sul territorio e le amministrazioni coinvolte. Lo svolgimento delle attività e dei servizi connessi all'esercizio delle funzioni amministrative regionali sono, invece, rimesse ad un’Agenzia regionale, istituita come strumento operativo di raccordo per le strutture organizzative regionali competenti in materia. Servizi alla persona Legge Regionale Lazio, 19 marzo 2014, n. 4 «Riordino delle disposizioni per contrastare la violenza contro le donne in quanto basata sul genere e per la promozione di una cultura del rispetto dei diritti umani fondamentali e delle differenze tra uomo e donna» - in BUR 20 marzo 2014, n. 23 La Regione disciplina e sostiene interventi e misure per la tutela della libertà, dignità e integrità di ogni donna e per la promozione della cultura del rispetto dei diritti umani fondamentali e delle differenze di genere, in attuazio- 582 Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Norme Novità in sintesi ne del principio di uguaglianza sostanziale. In particolare, istituisce, presso la Presidenza della Giunta regionale, la cabina di regia per la prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne, con funzioni di coordinamento degli interventi sul territorio regionale e di attivazione di una rete regionale antiviolenza, in raccordo con la rete nazionale; istituisce altresì l'Osservatorio regionale sulle pari opportunità e la violenza sulle donne al fine di monitorare lo stato di applicazione delle politiche di pari opportunità con indagini, studi e ricerche in materia. Sviluppo economico Legge Regionale Campania, 10 marzo 2014, n. 11 «Valorizzazione dei locali, dei negozi, delle botteghe d’arte e degli antichi mestieri a rilevanza storica e delle imprese storiche ultracentenarie» - in BUR 10 marzo 2014, n. 17 La legge prevede che la Regione, al fine di salvaguardare il proprio patrimonio storico, artistico, sociale e culturale, promuova iniziative per la valorizzazione degli esercizi commerciali a rilevanza storica e delle imprese storiche ultracentenarie, delle botteghe d’arte e degli antichi mestieri, dei negozi e dei locali a rilevanza storica, nonché delle imprese ultracentenarie, connotate da particolare valenza storica, artistica e culturale. Stabilisce, quindi, che la Regione istituisca un elenco, nel quale, previo censimento, vengano iscritte tali attività, alle quali attribuire uno specifico logo. Infine, introduce sistemi di contribuzione a loro beneficio, finalizzati a finanziare progetti di intervento per il recupero, la valorizzazione ed il rifacimento delle unità immobiliari. Legge Regionale Lombardia, 19 febbraio 2014, n. 11 «Impresa Lombardia: per la libertà di impresa, il lavoro e la competitività» - in BUR 20 febbraio 2014, n. 8, supplemento Sono introdotti nuovi strumenti di promozione della competitività e della capacità di innovazione del sistema produttivo. Oltre agli strumenti negoziali per favorire lo sviluppo e la valorizzazione delle risorse produttive, alla riduzione del carico fiscale ed alla promozione degli interventi per la facilitazione dell’accesso al credito da parte delle imprese, di particolare importanza sono le disposizioni dirette alla semplificazione burocratica ed amministrativa. Si tratta delle procedure sulla semplificazione, che prevedono lo strumento della comunicazione unica, per l’avvio, lo svolgimento, la trasformazione e la cessazione delle attività economiche, nonché per l’installazione, l’attivazione, l’esercizio degli impianti e l’agibilità degli edifici funzionali alle attività economiche. Legge Regionale Campania, 9 gennaio 2014, n. 1 «Nuova disciplina in materia di distribuzione commerciale» - in BUR 10 gennaio 2014, n. 2 La legge reca i principi e le norme generali sull’esercizio delle attività commerciali, richiamando espressamente le norme comunitarie e statali in materia di concorrenza, di libertà di stabilimento e di prestazione di servizi. Riafferma, quindi, il principio generale, secondo il quale l’apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio regionale non soggiace a contingenti, limiti territoriali o vincoli di qualsiasi altra natura, fatti salvi quelli connessi alla tutela della salute dei lavoratori, dell’ambiente, incluso l’ambiente urbano e dei beni culturali. Si occupa di tutte le tipologie del commercio al dettaglio, in sede fissa, nonché sulle aree pubbliche e delle forme speciali di vendita, dettando, da ultimo, anche la disciplina sanzionatoria. Tutela del lavoro Legge Regionale Puglia, 10 marzo 2014, n. 8 «Norme per la sicurezza, la qualità e il benessere sul lavoro» - in BUR 10 marzo 2014, n. 33 Il legislatore regionale promuove la realizzazione di un sistema integrato di sicurezza, miglioramento e tutela della vita lavorativa, anche sotto il profilo della integrità psico-fisica della persona, al fine di contrastare i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, favorendo la stipula di accordi territoriali e settoriali con gli enti locali, le parti sociali e gli enti istituzionali competenti in materia e con le istituzioni europee e nazionali. Per contrastare i fenomeni di illegalità sui luoghi di lavoro, la Regione prevede l’adozione, nelle procedure di affidamento di pubblici appalti, concessioni e convenzioni di ogni natura, di specifiche misure volte a garantire la migliore tutela delle condizioni di salute, sicurezza, igiene, regolarità del lavoro e ricerca del benessere lavorativo; inoltre, disciplina la concessione di contributi in conto capitale per interventi realizzati da micro e macro imprese, costituite anche in forma di cooperativa, operanti sul territorio regionale nei settori di maggiore rischio. Legge Regionale Calabria, 13 gennaio 2014, n. 1 «Indirizzi volti a favorire il superamento del precariato di cui al D.L. 31 agosto 2013, n. 101 convertito in legge 30 ottobre 2013, n. 125» - in BUR 2 gennaio 2014, n. 1, S.S. 15 gennaio 2014, n. 5 La Regione istituisce l’elenco regionale previsto dall’art. 4, c. 8, d.l. n. 101 conv. in l. n. 125/2013, al fine di promuovere l’assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori impegnati in lavori socialmente utili e nei settori di pubblica utilità. L’art. 2 della legge in commento consente agli enti territoriali e alle altre pubbliche amministrazioni, con vuoti in organico per le qualifiche di cui all’art. 16, l. n. 56/87, di procedere, sino al 31 dicembre 2016, al- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 583 Norme Novità in sintesi l’assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori inseriti nell’elenco regionale, i quali maturano il diritto alla stabilizzazione con precedenza rispetto agli altri lavoratori utilizzati presso l’ente che procede alla stabilizzazione. La medesima previsione è introdotta per le qualifiche superiori rispetto a quelle di cui al citato art. 16, l. n. 56/87. Ai fini della stabilizzazione sono richiamati i criteri dettati dal d.l. n. 101/2013, conv. con mod. dalla legge n. 125/2013. Tutela della salute Legge Regionale Friuli Venezia Giulia, 14 febbraio 2014, n. 1 «Disposizioni per la prevenzione, il trattamento e il contrasto della dipendenza da gioco d’azzardo, nonché delle problematiche e patologie correlate» - in BUR 19 febbraio 2014, n. 8 In collaborazione con i Comuni, le aziende per i servizi sanitari, le istituzioni scolastiche, le associazioni a tutela dei diritti dei consumatori e quelle di rappresentanza delle imprese e degli operatori di settore, la Regione garantisce attività di progettazione territoriale sociosanitaria per la prevenzione e il contrasto delle dipendenze dal gioco d’azzardo e da quello praticato con apparecchi per il gioco lecito, monitorando i fenomeni di dipendenza e adoperandosi con gli Osservatori istituiti a livello nazionale per la definizione di metodiche di intervento e prevenzione. La Regione promuove altresì il marchio regionale “Slot-Free-FVG” da rilasciare agli esercizi pubblici, commerciali e ai circoli privati che scelgono di non installare o rimuovere apparecchi per il gioco lecito, prevedendo, in favore delle attività che conseguono il marchio, riduzioni dell’aliquota dell’IRAP da introdurre con la legge finanziaria regionale. Legge Regionale Abruzzo, 4 gennaio 2014, n. 4 «Modalità di erogazione dei farmaci e dei preparati galenici magistrali a base di cannabinoidi per finalità terapeutiche» - in BUR 10 gennaio 2014, n. 3, speciale La legge, rivolta a tutte le strutture pubbliche regionali e alle strutture private accreditate, titolari di accordi contrattuali con il Servizio Sanitario Regionale (SSR), che erogano prestazioni in regime ospedaliero, disciplina l’impiego di medicinali e di preparati galenici magistrali a base dei principi attivi riportati nella tabella II, sez. B, art. 14 d. P.R. n. 309/90. Il trattamento può avere inizio in ambito ospedaliero, in strutture assimilabili e in ambito domiciliare, con acquisto dei medicinali cannabinoidi, a carico del SSR, da parte della farmacia ospedaliera o dell’Azienda sanitaria di appartenenza dell’assistito qualora l’avvio del trattamento avvenga nelle strutture ospedaliere e in quelle ad esse assimilabili e anche nei casi di prolungamento della cura dopo la dimissione. 584 Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Giurisprudenza Diritti dell’uomo Obbligazioni a carico degli Stati Principio di precauzione e obblighi di informazione a protezione dei diritti umani Corte europea dei diritti dell’uomo, I sezione, sentenza 5 dicembre 2013, ricorso n. 52806/09 e altri - Pres. Vajić- Vilnes e altri c. Norvegia Il diritto alla vita congiuntamente al diritto al rispetto della vita privata impongono alle autorità pubbliche, in presenza di rischi scientificamente incerti per la salute delle persone, di assumere un atteggiamento prudente e adottare misure preventive volte ad attenuare simili rischi, nonché assicurare che i soggetti ad essi esposti ne siano adeguatamente informati. ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI Conforme Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 19 febbraio 1998, ricorso n. 14967/89, Guerra e altri c. Italia; Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 27 gennaio 2009, ricorso n. 67021/01, Tatar c. Romania; Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 9 giugno 1998, ricorso n. 21825/93, McGinley e Egan c. Regno Unito; Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, sentenza 19 ottobre 2005, ricorso n. 32555/96, Roche c. Regno Unito. Difforme Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, sentenza 10 aprile 2007, ricorso n. 6339/05, Evans c. Regno Unito. Omissis. IL COMMENTO di Marco Pacini Con questa sentenza, la Corte europea si richiama al principio di precauzione, individuandone presupposti di operatività ed effetti sul piano giuridico; afferma, in particolare, l’obbligo per le autorità pubbliche di assicurare che i soggetti esposti a rischi scientificamente incerti ne siano informati; collega alla inosservanza del principio di precauzione una responsabilità patrimoniale a carico degli Stati. In questo modo, essa fa proprio il paradigma, ancora in formazione, dello Stato protettore e informatore; la cui concreta attuazione, però, richiede di realizzare un difficile equilibrio tra progresso scientifico e salvaguardia della salute, tra anoressia e bulimia informativa, tra costi e benefici a carico di autorità e individui. Premessa La sentenza è volta a dare una risposta a una fitta trama di interrogativi relativi alle attività pericolose per la salute umana e, più in generale, per il godimento dei diritti umani. In particolare: a quali condizioni può uno Stato essere considerato responsabile per i danni cagionati da un soggetto privato svolgente un’attività dai rischi scientificamente incerti? Ovverosia, ribaltando la questione: fino 586 a che punto dovrebbe uno Stato impedire a tale soggetto lo svolgimento di simili attività? E ancora: esiste un obbligo per le autorità pubbliche di assicurare che i soggetti esposti ai rischi scientificamente incerti ne siano adeguatamente informati? In definitiva: in che termini può un’adeguata informazione ai soggetti esposti ai rischi scientificamente incerti sollevare le autorità competenti dalla responsabilità per i danni cagionati dall’esercizio di attività da essi consentite? La sentenza si pone nel- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Giurisprudenza Diritti dell’uomo la scia di una sempre più ricca giurisprudenza della Corte europea (1), che ha rinvenuto una violazione della Cedu in casi, tra l’altro, di autorizzazione alla produzione di sostanze inquinanti rilasciata senza diffondere informazioni tra gli abitanti (2) e di omessa comunicazione delle informazioni sugli effetti di esperimenti nucleari ai militari esposti alle radiazioni (3). La sentenza presenta, inoltre, interesse per varie ragioni. Impone, innanzitutto, agli Stati l’obbligo di adottare misure volte a individuare e gestire i rischi ancora scientificamente incerti derivanti dall’esercizio di attività pericolose. Dà, quindi, lo spunto per esaminare la particolare qualificazione del principio di precauzione (4) adottata dalla Corte europea e di valutarne le implicazioni per il diritto nazionale. Richiede, inoltre, alle autorità pubbliche di assicurare che i soggetti esposti a tali rischi ne siano adeguatamente informati. Offre, quindi, l’opportunità di inquadrare gli obblighi di disclosure in materia di attività pericolose nel più ampio quadro degli obblighi di trasparenza a carico delle pubbliche amministrazioni. Si conclude, infine, con la condanna di uno Stato al risarcimento dei danni derivanti dalla mancata osservanza del principio di precauzione. Permette, quindi, da un lato, di soffermare l’attenzione su una delle opzioni attraverso le quali rendere giuridicamente vincolante tale principio; dall’altro, di individuare alcuni dei caratteri del sistema di responsabilità patrimoniale di diritto internazionale introdotto dalla Cedu e dai rapporti con le discipline nazionali sulla responsabilità extracontrattuale delle amministrazioni. I fatti e la decisione Alla ricerca di petrolio sui fondali del Mare del Nord, un gruppo di sommozzatori norvegesi venivano sottoposti dalle compagnie petrolifere per cui (1) Su questa giurisprudenza, più di recente, D. Xenos, Asserting the Right to Life (Article 2, ECHR) in the Context of Industry, in German Law Journal, n. 3/2007, 231 ss. (2) Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 19 febbraio 1998, ricorso n. 14967/89, Guerra e altri c. Italia, nonché, più di recente, Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 27 gennaio 2009, ricorso n. 67021/01, Tatar c. Romania. (3) Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 9 giugno 1998, ricorso n. 21825/93, McGinley e Egan c. Regno Unito. In senso analogo, Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, sentenza 19 ottobre 2005, ricorso n. 32555/96, Roche c. Regno Unito. La Corte europea ha, invece, escluso una violazione nel caso di approvazione di una legge in materia di inseminazione artificiale, adottata in esito ad ampio dibattito pubblico e sulla base di approfonditi studi, che subordina l’accesso a simile pratica al consenso informato dei richiedenti. In tal Giornale di diritto amministrativo 6/2014 lavoravano alla pratica di “decompressione rapida”, senza che venissero loro comunicate in anticipo tempi e modalità mediante le cd. “tavole di decompressione”, che venivano aggiornate e rese pubbliche solo nel 1990. In ragione dei gravi danni alla salute di molti sommozzatori, il governo disponeva l’avvio di una inchiesta indipendente, che riconosceva la nocività della pratica e ipotizzava una responsabilità delle autorità competenti. A dispetto delle forme di indennizzo frattanto introdotte dal governo, i sommozzatori chiedevano consistenti risarcimenti contro lo Stato avanti la corte di Oslo, all’Alta Corte e alla Suprema corte, che rigettavano le pretese. Adivano, dunque, la Corte europea, lamentando, tra l’altro, una violazione del diritto alla vita e del diritto al rispetto della vita privata. La Corte accoglie parzialmente il ricorso. È altamente probabile che i danni alla salute dei ricorrenti fossero dipesi dalla pratica di decompressione rapida, alla quale erano stati a lungo esposti. Se, dunque, le autorità competenti avessero agito più rapidamente nell’impedire il ricorso a tale pratica, avrebbero rimosso più celermente la causa dei danni. Un simile ritardo deve però essere considerato, ai fini del giudizio, sotto l’angolo non del diritto alla vita (art. 2, Cedu), non essendoci state vittime, bensì del diritto al rispetto della vita privata (art. 8, Cedu), che include il diritto a essere informati dei rischi per la vita e la salute. In proposito, le autorità avevano a lungo autorizzato le immersioni senza richiedere le tavole di decompressione alle compagnie petrolifere; in seguito, una volta esaminate le tavole e rilevato l’eccessiva brevità dei tempi di decompressione, avevano omesso di assicurare che esse fossero trasmesse ai sommozzatori, in modo da metterli in condizione di valutare autonomamente i rischi cui erano esposti. In conclusione, tenuto conto del ruolo rivestito dalle autorità nell’autorizzare le immersioni e dell’assenza di consensenso, Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, sentenza 10 aprile 2007, ricorso n. 6339/05, Evans c. Regno Unito. (4) … in virtù del quale, in presenza di attività che comportano rischi non ancora scientificamente certi per la salute e più in generale per il godimento di alcuni diritti, le autorità pubbliche possono consentirne lo svolgimento solo subordinatamente alla raccolta di dati che escludano ragionevolmente la probabilità di gravi danni, nel rispetto dei principi di proporzionalità, non discriminazione e coerenza, e assicurando una adeguata informazione agli interessati. Sul principio di precauzione, in generale, F. de Leonardis, Il principio di precauzione nell’amministrazione di rischio, Milano, 2005; in chiave più filosofica, L. Marini, L. Palazzani, a cura di, Il principio di precauzione tra filosofia, biodiritto e biopolitica, Roma, Studium, 2008. 587 Giurisprudenza Diritti dell’uomo Come anticipato, la sentenza si segnala per tre motivi principali. In primo luogo, la Corte europea si richiama implicitamente al principio di precauzione, traendone specifici requisiti sostanziali e procedurali in capo alle autorità pubbliche. A tal fine, essa richiama la propria giurisprudenza, secondo la quale il diritto alla vita impone obbligazioni positive in carico allo Stato, tra cui quella di predisporre un apparato regolatorio, sia legislativo che amministrativo, idoneo ad assicurare una effettiva deterrenza di ogni minaccia a tale diritto. Un simile dovere trova applicazione con riferimento a ogni attività, pubblica o privata, suscettibile di incidere sul diritto alla vita; a fortiori, dunque, alle attività industriali, che sono pericolose per natura. Con particolare riguardo a queste ultime, l’apparato regolatorio deve essere calibrato sul tipo di attività, tenendo conto del rischio potenziale per la vita umana; deve disciplinare l’autorizzazione, lo svolgimento e il controllo sulle attività stesse; deve prevedere l’obbligo per tutti i soggetti coinvolti di adottare misure adeguate per assicurare la protezione dei soggetti esposti al rischio. Tra queste misure, particolare enfasi deve essere, poi, attribuita al diritto del pubblico di essere informato; così come devono essere previste procedure efficaci per individuare eventuali malfunzionamenti nei processi o errori dei soggetti competenti. In questi termini, il principio di precauzione appare, dunque, non aver ancora acquisito piena coscienza della propria identità, essendo piuttosto frammentato nella giurisprudenza della stessa Corte europea, che ancora non lo individua univocamente né lo riconnette agli strumenti giuridici che lo riconoscono (5) a livello nazionale (6), UE (7) e ultranazionale (8). A dispetto di ciò, esso presenta alcuni elementi di specificità. Ha applicabilità soggettiva generale ma destinatari limitati, nel senso che vincola formalmente soltanto le autorità pubbliche, che sono però sostanzialmente tenute non solo a osservare tale principio ma anche a farlo osservare ai soggetti privati. Deriva la sua sfera di applicabilità oggettiva dal fine perseguito, nel senso che riguarda tutte le attività pericolose per la vita umana (latamente intesa) e richiede l’adozione di tutte le misure ragionevolmente necessarie per attenuare tale pericolo. Ha contenuto sufficientemente definito, nel richiedere alle autorità pubbliche l’adozione di specifiche misure, come l’obbligo (5) Con l’unica eccezione, forse, della citata Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza Tatar c. Romania, nella quale la Corte richiama la principale normativa e giurisprudenza internazionale ed europea in materia. Simile normativa e giurisprudenza, né la stessa sentenza nel caso Tatar, sono state tuttavia richiamate nel caso in esame. Questo atteggiamento può forse esser fatto risalire all’intento da parte della Corte europea di rifondare il principio direttamente sulle basi giuridiche offerte dalla Cedu, al duplice scopo, da un lato, di ricomprendere nella sua sfera temporale di applicabilità anche vicende anteriori al riconoscimento del principio nel diritto internazionale, dall’altro di riservarsi la facoltà di definire in modo autonomo i confini e i caratteri di simile principio. Sulla giurisprudenza della Corte europea in materia ambientale, E. Ruozzi, La tutela dell’ambiente nella giurisprudenza della corte europea dei diritti umani, Napoli, 2011. (6) Nel diritto italiano, il principio di precauzione si è progressivamente fatto spazio, dapprima nella giurisprudenza, in seguito anche nella legislazione, soprattutto in materia ambientale e di inquinamento elettromagnetico. In tema, oltre a quanto indicato in nota, S. Cassese, La nuova disciplina sulla protezione dall’esposizione a campi elettromagnetici, in questa Rivista, 2001, 4, 329 ss.; F. Merusi, Dal fatto incerto alla precauzione: la legge sull’elettrosmog, in Foro amministrativo, 2001, 221 ss.; F. Trimarchi, Principio di precauzione e “qualità” dell’azione amministrativa, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2005, 6, 1673 ss.; B. Delfino, Una nuova nozione di 'si- curezza' nel diritto pubblico: riflessioni, rapporti con i principi di prevenzione e di precauzione e sua forza espansiva, in Il Foro amministrativo, 2008, 11, 3183 ss. Più di recente, F. Merusi, V. Giomi, a cura di, Principio di precauzione e impianti petroliferi costieri, Torino, 2011. (7) Nel diritto UE, il principio di precauzione ha costituito oggetto di una corposa giurisprudenza, nonché della importante Comunicazione della Commissione sul principio di precauzione, COM/2000/001. Il principio è, inoltre, più o meno esplicitamente recepito in una varietà di atti legislativi europei, soprattutto in materia alimentare, ambientale e farmaceutico. Sul principio di precauzione nel diritto europeo, J. Scott, The Precautionary Principle Before the European Courts, in R. Macrory, a cura di, Principles of European Environmental Law, Groningen, Europa, 2004; V. Heyvaert, Facing The Consequences of the Precautionary Principle in European Community Law, in European Law Review, 2006, 185 ss.; M.L. Antonioli, Precauzionalità, gestione del rischio e azione amministrativa, in Rivista Italiana di Diritto Pubblico Comunitario, 2007, 1, 51 ss. (8) Sul principio nel diritto globale, D. Bevilacqua, I limiti della scienza e le virtù della discrezionalità: il principio di precauzione nel diritto globale, in G. della Cananea, a cura di, I principi dell’azione amministrativa nello spazio giuridico globale, Napoli, ESI, 2007, nonché, più di recente, C. E. Forster, Science and the Precautionary Principle in International Courts and Tribunals: Expert Evidence, Burden of Proof and Finality, Cambridge, Cambridge University Press, 2013. so scientifico sugli effetti della decompressione rapida, sarebbe stato necessario adottare un approccio molto cauto per minimizzare la possibilità di danni. Più in dettaglio, sarebbe stato ragionevole che le autorità avessero adottato tutte le precauzioni per assicurare che le compagnie osservassero una regola di totale trasparenza circa le tavole di decompressione utilizzate e che i sommozzatori ricevessero informazioni sulle differenze tra le diverse tavole e sui rischi per la loro salute e sicurezza. Vi è stata, pertanto, violazione dell’art. 8, Cedu. Il principio di precauzione secondo la Corte europea 588 Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Giurisprudenza Diritti dell’uomo di assicurare ex ante una adeguata informazione al pubblico nonché di definire procedure per la individuazione ex post di cause e responsabili di eventuali danni. Esplica i propri effetti sul piano non meramente persuasivo o politico, bensì anche su quello giuridico, la sua mancata osservanza comportando la responsabilità patrimoniale dello Stato (9). L’obbligo per le autorità di assicurare che i soggetti esposti al rischio ne siano informati In secondo luogo, la Corte europea individua il contenuto dei requisiti sostanziali e procedurali derivanti dal principio di precauzione (anche) nel dovere delle autorità pubbliche di assicurare un’adeguata informazione agli interessati. A questo proposito, essa si rifà alla propria giurisprudenza sul diritto al rispetto della propria vita privata (art. 8, Cedu), secondo cui tale diritto impone agli Stati una obbligazione positiva di assicurare accesso alle informazioni essenziali per consentire agli individui di valutare i rischi per la propria vita e salute. Una simile obbligazione può, in determinati casi, includere il dovere di fornire simili informazioni, connesso a un autentico diritto del pubblico a essere informato. Un simile dovere, per vero, è stato sinora riconosciuto soltanto con riguardo alle minacce al diritto alla vita (art. 2, Cedu). Secondo la Corte, tuttavia, non vi sono ostacoli a che essa possa trovare applicazione anche con riguardo alle minacce al diritto al rispetto della propria vita privata. Simili informazioni, d’altro canto, non devono limitarsi ai rischi che si siano già materializzati; né possono essere taciute in relazione ai cosiddetti rischi professionali. Nel caso concreto, dunque, sebbene le immersioni rappresentassero una minaccia al solo diritto al rispetto della vita privata e non anche (9) Sulla giurisprudenza della Corte europea in materia di rischio per la salute, C. Hilson, Risk and the European Convention on Human Rights: Towards a New Approach, in Cambridge Yearbook of European Legal Studies, vol. 11, 2008 - 2009, 353 ss., che intravede nell’accresciuta sensibilità della Corte europea al tema del rischio un influsso dei principi affermati nella Convenzione di Aarhus in materia ambientale. Più di recente, O. W. Pedersen, The Ties that Bind: The Environment, the European Convention on Human Rights and the Rule of Law, in European Public Law, n. 4/2010, 571 ss., che esprime scetticismo sulla possibilità che gli strumenti a tutela dei diritti umani siano da soli un efficace strumento per promuovere un’efficacia protezione dell’ambiente e della salute. (10) Sul diritto a essere informati nella giurisprudenza della Corte europea, M. McDonagh, The Right to Information in International Human Rights Law, in Human Rights Law Review, 2013, 1 ss. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 al diritto alla vita, lo Stato aveva comunque un obbligo di informare gli interessati dei rischi cui erano esposti. Il dovere di assicurare una adeguata disclosure secondo il diritto Cedu presenta, in effetti, alcuni caratteri distintivi. Vincola tutte le autorità pubbliche, a prescindere dal fatto che esercitino direttamente le attività potenzialmente rischiose o che siano espressamente o implicitamente investite del controllo sulle stesse. Rappresenta un’obbligazione complessa di risultato, nel senso che può dirsi osservata allorché i soggetti interessati siano posti in condizione di valutare il potenziale rischio cui sono esposti e conseguentemente di decidere se correre tale rischio, sottrarvisi o opporvisi. Richiede, dunque, alle autorità competenti di identificare, valutare e gestire ogni potenziale rischio incerto, attraverso una varietà di possibili azioni, tra cui: raccogliere e processare eventuali indizi su simile rischio, condurre o avvalersi di studi scientifici atti a verificare l’esistenza e l’entità dello stesso, sentire i soggetti esposti in ordine agli eventuali danni subiti per effetto dell’esposizione e ai possibili strumenti per l’attenuazione degli stessi, non consentire lo svolgimento di attività per le quali non vi siano elementi per escludere la sussistenza di rischi troppo elevati. Ha l’effetto di esimere le autorità pubbliche dalla responsabilità civile per i danni cagionati a terzi da attività consentite (10). In questi termini, gli obblighi di trasparenza assumono quindi una rilevanza in parte differente rispetto a quella comunemente loro riconosciuta (11), di controllo diffuso sull’azione pubblica anche in vista della partecipazione alle decisioni e di prevenzione della corruzione (12). (11) Sul principio di trasparenza amministrativa, i contributi raccolti in F. Merloni, a cura di, La trasparenza amministrativa, Milano, 2008; A. Sandulli, La trasparenza amministrativa e l’informazione dei cittadini, in G. Napolitano, a cura di, Diritto amministrativo comparato, Milano, 2007, 158 ss.; A Bonomo, Informazione e pubbliche amministrazioni Dall’accesso ai documenti alla disponibilità delle informazioni, bari, Cacucci, 2012. Più di recente, con particolare riguardo alla disciplina italiana, M. Savino, La nuova disciplina della trasparenza amministrativa, in questa Rivista, 2013, 8-9, 795 ss., che pone chiaramente in evidenza, anche in chiave comparativa, le diverse finalità della disciplina sulla trasparenza nelle pubbliche amministrazioni e le soluzioni tecnico-giuridiche (adottate e auspicabili) per metterle in atto. (12) In tema, B.G. Mattarella, La prevenzione della corruzione in Italia, in questa Rivista, 2013, 124. 589 Giurisprudenza Diritti dell’uomo La disciplina Cedu sulla responsabilità patrimoniale della pubblica amministrazione Infine, la Corte europea individua nella inosservanza del principio di precauzione una fonte di responsabilità patrimoniale di diritto internazionale delle autorità pubbliche, autonoma rispetto alle discipline nazionali (13). In tal senso, essa richiama la propria giurisprudenza sul diritto alla vita, secondo cui gli Stati godono di un ampio margine di apprezzamento nella scelta delle misure idonee ad assicurare la protezione del diritto alla vita. Alle autorità non può, nondimeno, essere imposto un carico eccessivo o comunque sproporzionato, tenuto conto delle scelte operative effettuate in termini di priorità e risorse. Nel valutare l’atteggiamento dello Stato occorre, dunque, considerare tutte le circostanze del caso concreto, avendo riguardo, tra l’altro, alla legittimità delle azioni e omissioni, al procedimento decisionale seguito, all’effettivo svolgimento di analisi e studi appropriati, alla complessità della vicenda. L’estensione delle obbligazioni positive imputabili allo Stato dipenderanno, infine, dall’origine delle minacce e dall’intensità con cui il rischio è suscettibile di essere mitigato. Nel caso concreto, la Corte europea accerta una inosservanza del principio di precauzione, sub specie di obbligo di informare, facendone conseguire una violazione del diritto alla vita, letto congiuntamente al diritto al rispetto della propria vita familiare, e ordinando pertanto il risarcimento del danno alle vittime. Alla luce di quanto osservato, la responsabilità patrimoniale di diritto internazionale disegnata dalla Corte europea presenta alcuni tratti distintivi. Trova fondamento direttamente nelle disposizioni Cedu (14). Produce effetti obbligatori non soltanto sul piano del diritto internazionale, ma anche su quello di diritto interno, nella misura in cui la Cedu e la giurisprudenza della Corte europea sono ormai permeate nella gerarchia nazionale del(13) Sui legami tra principio di precauzione e responsabilità patrimoniale, il lavoro pionieristico di P. Trimarchi, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961. Più di recente, G. Comandé, a cura di, Gli strumenti della precauzione: nuovi rischi, assicurazione, e responsabilità, Milano, 2006; E. Al Mureden, Principio di precauzione, tutela della salute e responsabilità civile, Bologna, 2008. (14) … che stabiliscono l’obbligo per gli Stati di rispettare i diritti umani (art. 1) e il potere della Corte europea di ordinare un equo indennizzo in caso di violazione (art. 46). (15) ... come la Francia, in cui il principio di precauzione è stato costituzionalizzato e costituisce oggetto di particolari disposizioni in materia di responsabilità patrimoniale delle pub- 590 le fonti. Conseguentemente, integra o modifica dall’alto le omologhe discipline nazionali (di fonte legislativa e giurisprudenziale), obbligando i giudici nazionali a una delicata opera di composizione. Vincola le pubbliche amministrazioni non soltanto nell’esercizio della funzione propriamente “esecutiva”, ma anche di quella lato sensu “normativa”, quando il danno derivi da carenze e vizi del quadro regolatorio. Interviene a operare in tutti i casi in cui a un fatto illecito consegua un danno ingiusto, a prescindere dalle cause di immunità di diritto interno (salve quelle di diritto internazionale). Estende, tuttavia, la sua operatività ai soli “danni” cagionati ai diritti fondamentali, risultandone dunque escluse tutte le pretese di altra natura. In questi termini, essa presenta caratteri non dissimili da quella di alcuni Stati europei (15) e della UE sulla responsabilità extracontrattuale (16). Verso uno Stato protettore e informatore In conclusione, attraverso la giurisprudenza sul principio di precauzione, la Corte europea sembra fare propri i tratti di un nuovo paradigma, ancora in formazione, dello Stato contemporaneo, che diviene Stato protettore (17), informatore e formatore. Secondo questo paradigma, le autorità pubbliche sono oggi chiamate a farsi carico non più solo della riparazione dei danni da eventi imprevisti derivanti dalle attività umane, ma anche della previsione della possibilità che simili eventi si verifichino, della determinazione della loro probabilità (rischio), della prevenzione e protezione delle persone. A tal fine, però, esse non sono chiamate a operare unilateralmente, bensì a promuovere l’azione coordinata di tutti i soggetti coinvolti. Così, i soggetti produttori di rischio ne informano i soggetti esposti; questi possono effettuare scelte informate e consapevoli in merito alla loro esposizione al rischio; le autorità pubbliche, sentiti i soggetti produttori dei, ed esposti ai, rischi assumono le decisioni in merito alla loro gestione. Questo paradigbliche amministrazioni. In tema, M. Boutunnet, Le principe de précaution en droit de la responsabilità civile, Paris, LGDJ, 2005, nonché D. Grison, Qu'est-ce que le principe de précaution?, Paris, Vrin, 2012. (16) La responsabilità patrimoniale degli Stati per violazione della Cedu non ha costituito sinora oggetto di studi monografici. In tema, anche in comparazione con la responsabilità per violazione del diritto europeo, M. Macchia, Legalità amministrativa e violazione dei diritti non statali, Milano, 2012. (17) … ovvero Stato di precauzione, secondo l’espressione adottata dal Consiglio di Stato francese in F. Ewald, L’Etat de précaution. Rapport public du Conseil d’Etat pour l’année 2005, Parigi, 2006. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Giurisprudenza Diritti dell’uomo ma trova, dunque, fondamento anche sui principi di trasparenza e di partecipazione; i quali, tuttavia, appaiono orientati a fini non tanto e non solo di controllo e legittimazione, quanto piuttosto di attivazione dei soggetti privati per la migliore protezione dei propri diritti e l’assunzione delle più appropriate decisioni pubbliche. Il paradigma dello Stato protettore e informatore non trova certo la sua prima espressione in materia di attività pericolose per la salute (18). Come ogni paradigma, tuttavia, esso deve essere concretamente attuato in modo da conseguire un giusto equilibrio tra alcuni delicati punti di tensione. Siccome, infatti, un atteggiamento troppo prudente nell’assunzione di rischi scientificamente incerti può comportare un rallentamento del progresso scientifico, si deve far sì che tali rischi siano sperimentati su un numero limitato di soggetti informati e con- senzienti (19). Poiché, poi, sovra-informare sui rischi equivale nella sostanza a dis-informare, occorre anche assicurare che le informazioni rese pubbliche siano solo quelle rilevanti, o che chi le riceve abbia sufficienti mezzi per comprenderle. E ancora, dal momento che informare (e essere informati) ha un costo, bisogna che i meccanismi di informazione garantiscano il miglior rapporto costi-benefici (20). In definitiva, nella logica del principio di precauzione, gli obblighi di informazione intervengono a bilanciare lo squilibrio tra benefici e rischi del progresso scientifico. Dopo di che, resta da chiedersi se, con i vincoli imposti dalla complessità del mondo contemporaneo, ogni individuo, quand’anche adeguatamente informato, possa effettivamente essere posto nella condizione di decidere in modo autonomo del grado di rischio incerto che intende accettare. (18) Ha goduto, al contrario, di una grande fioritura in una varietà di materie nei quali si è avvertita l’esigenza di attenuare le asimmetrie informative tra i soggetti privati o pubblici, e si è conseguentemente agito nella forma della cd. “regulation by information”, soprattutto in campo medico, ambientale, societario e finanziario. Sull’evoluzione dei paradigmi e delle funzioni dello Stato, più di recente, in prospettiva storica, S. Cassese, P. Schiera, A. von Bogdandy, Lo Stato e il suo diritto, Bologna, 2013. (19) In tema, M. Marchese, Il principio di precauzione tra luci e ombre, che richama, altresì, la nota tesi propugnata da H. Jonas, Il principio di responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Torino, 2002, che fa ricadere su ogni individuo un dovere inderogabile, di matrice kantiana, di prescegliere i soli com- portamenti che non conducano, nel lungo periodo, alla distruzione della natura e della vita sulla terra. (20) Sull’applicazione dell’analisi costi-benefici alla individuazione e gestione del rischio in materia ambientale, il controverso volume di C.R. Sunstein, Risk and Reason: Safety, Law and the Environment, Cambridge, Cambridge University Press, 2002, secondo cui l’individuazione e la gestione dei fattori di rischio suscettibili di produrre danni nel lungo periodo, lungi dal poter essere condotta da ogni singolo individuo in applicazione del principio di responsabilità, dovrebbe essere affidata a gruppi di esperti indipendenti e affrontata mediante il ricorso a tecniche di analisi costi-benefici delle diverse politiche di attenuazione. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 591 Giurisprudenza Giustizia amministrativa Enti esponenziali e legittimazione ad agire L’interesse collettivo: nuove distinzioni, vecchie perplessità Consiglio di Stato, sez. IV, 18 novembre 2013, n. 5451 - Pres. P. Numerico - Est. O. Forlenza L’ente esponenziale - oltre ad essere titolare di posizioni giuridiche proprie quale persona giuridica, non diversamente dai singoli soggetti dell’ordinamento - risulta titolare sia di posizioni giuridiche che appartengono anche a ciascun componente della collettività da esso rappresentata, tutelabili dunque sia dall’ente sia da ciascun singolo componente (in questo senso l’interesse collettivo assume connotazioni proprie di interesse “superindividuale”); sia posizioni giuridiche di cui è titolare in via esclusiva, cioè interessi collettivi propriamente detti, la cui titolarità è solo dell’ente, proprio perché risultanti da un processo di soggettivizzazione dell’interesse altrimenti diffuso ed adespota. Mentre nel primo caso in tanto è possibile riconoscere all’ente legittimazione ad agire in quanto l’atto impugnato “leda l’interesse di tutti e non solo di alcuni dei suoi aderenti”; nel secondo caso l’ente, godendo di una titolarità sua propria di posizione giuridica soggettiva, gode ex se di legittimazione ad agire e può anche rappresentarsi il caso che la sua azione, volta alla tutela dell’interesse collettivo della categoria, possa porsi in contraddizione/contrasto con l’interesse del singolo componente della collettività. E’ questo il caso che si verifica allorché venga adottato da una pubblica amministrazione un atto amministrativo che si pone in contrasto con l’interesse collettivo del quale l’ente esponenziale della categoria è titolare (interesse collettivo per come conformato dalla legge), sebbene esso risulti produttivo di effetti favorevoli per una parte (o anche uno solo) degli appartenenti alla categoria medesima. ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI Conforme Tar Lazio, Roma, sez. II, 13 gennaio 2011, n. 260 Difforme Cons. Stato, sez. III, 13 gennaio 2014, n. 97; Cons. Stato, sez. VI, 18 aprile 2012, n. 2208; Cons. Stato, sez. V, 7 settembre 2007, n. 4692; Cons. Stato, sez. VI, 30 gennaio 2007, n. 351 Omissis. Diritto 4. Il Collegio ritiene innanzi tutto necessario disporre la riunione dei tre ricorsi, ex art. 70 c.p.a., stante la evidente connessione, perché gli stessi possano essere decisi con un’unica sentenza. 5. Preliminarmente, il Collegio deve procedere all’esame di una pluralità di questioni (similmente presenti nei tre giudizi riuniti, ovvero in taluno di essi), relative alla sussistenza (o persistenza) delle condizioni dell’azione, in parte riproposte con specifici motivi di appello da parte dell’Agenzia delle Entrate, in parte introdotte con ricorso ex artt. 108 e 109, c. 2, c.p.a., da parte dei funzionari indicati nella esposizione in fatto, in parte proposte da interventori ad opponendum. Tali questioni preliminari, afferenti, come si è detto, alla legittimazione (attiva e passiva) ed all’interesse ad agire, possono essere così indicate: - in primo luogo, si eccepisce la carenza originaria di legittimazione attiva del sindacato D.. Tale questione preliminare costituisce, nella sostanza, l’unico motivo di appello (sub a) da parte dell’Agenzia delle Entrate, non- 592 ché il primo motivo di ricorso (sub b) dei funzionari I. ed altri rispetto alla sentenza n. 260/2011; costituisce altresì motivo di ricorso dei funzionari (I. ed altri; N. ed altri: sub d2), avverso la sentenza n. 6884/2011). Essa costituisce, infine, oggetto del primo motivo di appello (sub a3) della Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 7636/2011; - in secondo luogo, si eccepisce il difetto originario di interesse ad agire della D. per avere impugnato l’atto regolamentare, indipendentemente dagli atti di questo applicativi. Tale questione costituisce l’oggetto del primo motivo di appello (sub a2) dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 6884/2011, nonché il terzo motivo di ricorso dei funzionari S. ed altri, N. ed altri (sub f2); - in terzo luogo, si eccepisce l’inammissibilità del ricorso originario per omessa notifica ad almeno un controinteressato, da identificarsi in uno dei funzionari cui è conferito l’incarico dirigenziale, pur in assenza della relativa qualifica. Tale questione costituisce il secondo motivo di ricorso dei predetti funzionari (sub c) avverso la sentenza n. 260/2011, nonché il secondo motivo di ricorso ( s u b e 2 ) , d e i me d e s i m i a v v e r s o l a s e n t e n z a n . 6884/2011; Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Giurisprudenza Giustizia amministrativa - in quarto luogo, si eccepisce l’improcedibilità dell’appello per sopravvenuto difetto di interesse, essendo stato medio tempore indetto un concorso per posti dirigenziali. Tale questione costituisce oggetto del secondo motivo di appello (sub b2) dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 6884/2011, nonché oggetto del quarto motivo di ricorso (sub g2) dei funzionari più volte citati, avverso la medesima sentenza; - in quinto luogo, si eccepisce, da parte di ulteriori funzionari P. ed altri nel proprio intervento ad opponendum, l’inammissibilità dei ricorsi dei funzionari I. ed altri; N. ed altri, perché gli stessi avrebbero dovuto essere proposti nell’ambito del primo giudizio di appello avverso la sentenza n. 260/2011. 6. Al fine di definire le effettive parti del giudizio di appello, così come risultante dalla disposta riunione dei ricorsi, ed anche al fine di poter conseguentemente vagliare le questioni preliminari da ciascuno proposte, il Collegio ritiene necessario esaminare innanzi tutto l’eccezione relativa alla ammissiblità dei ricorsi proposti dai funzionari I. ed altri e N. ed altri, nell’ambito del giudizio di impugnazione della sentenza n. 6684/2011. Il Collegio ritiene che il ricorso proposto dai funzionari citati sia ammissibile in generale (così come quello proposto per impugnare la sentenza n. 260/2011), e, in particolare, che lo stesso sia ammissibile nell’ambito del secondo giudizio di appello (in tal modo rigettando la relativa eccezione), posto che sussiste un interesse dei medesimi in ordine alla presente pronuncia. Occorre ricordare che i ricorsi sono stati proposti ai sensi degli artt. 108 e 109, c. 2, c.p.a: - il primo disciplina, in generale, il rimedio dell’opposizione di terzo, affermando (comma 1): “Un terzo può fare opposizione contro una sentenza del Tribunale amministrativo regionale o del Consiglio di Stato pronunciata tra altri soggetti, ancorché passata in giudicato, quando pregiudica i suoi diritti o interessi legittimi”; - il secondo (c. 2, primo periodo), prevede che “se è proposto appello contro la sentenza di primo grado, il terzo deve introdurre la domanda di cui all’art. 108 intervenendo nel giudizio di appello”. Orbene, il Codice del processo amministrativo recepisce, quindi - pur con i dovuti adattamenti necessitati dal diverso contesto sostanziale (la presenza nel giudizio amministrativo anche della posizione di interesse legittimo) e processuale - le due classiche figure di opposizione di terzo, disciplinate dall’art. 404 cod. proc. civ., e cioè l’opposizione di terzo ordinaria (primo comma) e l’opposizione di terzo revocatoria (secondo comma). Sul punto, la relazione illustrativa del Codice precisa che si è intesa superare “la giurisprudenza del giudice amministrativo che, in carenza di una disciplina dell’opposizione di terzo, ammetteva l’appello anche di chi non fosse stato parte del giudizio di primo grado”. Come è noto, l’estensione al giudizio amministrativo dell’opposizione di terzo discende dalla sentenza 17 maggio 1995, n. 177 della Corte Costituzionale, con la quale venne dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 28 e 36 della legge n. 1034/1971, nella parte in cui gli stessi non prevedevano l’opposizione di terzo ordina- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 ria tra i mezzi di impugnazione esperibili avverso le sentenze del Consiglio di Stato e dei Tribunali amministrativi regionali. Secondo la Corte costituzionale, “l'esigenza del rimedio è . . . desunta dalla constatazione della possibilità che nonostante la regola generale, dettata dall'art. 2909 del codice civile, dell'inefficacia della sentenza nei confronti di soggetti diversi dalle parti del processo a conclusione del quale essa sia stata pronunciata - si presentino casi in cui, per effetto della cosa giudicata, venga a determinarsi una obbiettiva incompatibilità fra la situazione giuridica definita dalla sentenza e quella di cui sia titolare un soggetto terzo rispetto ai destinatari della stessa. Il mezzo di impugnazione di cui si tratta trae perciò ispirazione da tale evenienza e consente a coloro che non sono stati coinvolti nel processo di far valere le loro ragioni, infrangendo lo schermo del giudicato per rimuovere il pregiudizio che da esso possa loro derivare. Ciò sia nel caso che la situazione vantata dall'opponente ed incompatibile con quella affermata dal giudicato venga considerata dal diritto sostanziale prevalente rispetto a quest'ultima, sia nel caso che la sentenza cui ci si oppone risulti . . . pronunciata senza il rispetto di regole processuali.”. La Corte evidenzia due distinte situazioni: - il caso “in cui un controinteressato, parte necessaria, sia stato pretermesso e non abbia potuto far valere le sue ragioni”; - il caso di soggetti diversi dai destinatari in senso formale della sentenza, posto che vi sono casi in cui “l'azione amministrativa, direttamente o di riflesso, coinvolge per sua natura una pluralità di soggetti che non sempre sono ritenuti parte necessaria nelle controversie oggetto del giudizio”; e poiché il processo amministrativo, “come attualmente configurato, si svolge normalmente tra i soggetti interessati dall'atto impugnato, è possibile che la sentenza che lo conclude possa poi dar luogo, per la sua attuazione, ad altri procedimenti interferenti su rapporti facenti capo a soggetti che non dovevano o, in alcuni casi, addirittura non potevano partecipare al processo e dunque diversi dai destinatari in senso formale della sentenza medesima.”. La giurisprudenza amministrativa ha successivamente approfondito le indicazioni della Corte costituzionale, precisando (Cons. Stato, Ad. plen., 11 gennaio 2007 n. 2), che “la legittimazione a proporre la opposizione di terzo, nei confronti della decisione amministrativa resa tra altri soggetti, va riconosciuta: a) ai controinteressati pretermessi; b) ai controinteressati sopravvenuti (beneficiari di un atto consequenziale, quando una sentenza abbia annullato un provvedimento presupposto all'esito di un giudizio cui siano rimasti estranei); c) ai controinteressati non facilmente identificabili; d) in generale ai terzi titolari di una situazione giuridica autonoma ed incompatibile, rispetto a quella riferibile alla parte risultata vittoriosa per effetto della sentenza oggetto di opposizione.”, specificandosi altresì che “non sono legittimati i titolari di una situazione giuridica derivata ovvero i soggetti interessati solo di riflesso (ad es. soggetti legati da rapporti contrattuali con i legittimati all'impugnazio- 593 Giurisprudenza Giustizia amministrativa ne) (in senso conf. Cons Stato, sez. VI, 29 gennaio 2008 n. 230). In particolare, la posizione del ricorrente in opposizione è tutelata dall’ordinamento giuridico (in quanto fondata su norma di legge e/o regolamento, ovvero su diverso provvedimento amministrativo assistito da presunzione di legittimità) e si caratterizza per un contenuto (il bene che forma oggetto della posizione giuridica, argomentando dall’art. 810 cod. civ.) assolutamente in contrasto con la sentenza pronunciata e che risulta da questa pregiudicato, senza che il titolare abbia avuto la possibilità di agire in giudizio avverso le parti costituite. Ne consegue che solo attraverso l’opposizione di terzo può sanarsi la contraddizione tra “cosa giudicata” in senso sostanziale (ex art. 2909 cod. civ.), che tuttavia, come è noto, definisce e limita l’efficacia dell’accertamento contenuto in sentenza alle “parti” del giudizio, e posizione di colui che tale qualifica di parte non ha potuto incolpevolmente acquisire, risolvendosi così quella “incompatibilità fra la situazione giuridica definita dalla sentenza e quella di cui sia titolare un soggetto terzo rispetto ai destinatari della stessa”, già rilevata dalla Corte costituzionale. Questa situazione, unitamente a quella del soggetto titolare di posizione giuridica fondata su provvedimento amministrativo consequenziale a quello impugnato (situazione, quest’ultima, che può essere ricostruita anche come una specie della precedente), è proprio ciò che più caratterizza il processo amministrativo (nella sua specifica veste di giudizio impugnatorio), rispetto al processo civile, potendosi cioè avere - proprio per la tipicità del giudizio, ma soprattutto per la presunzione di legittimità che assiste i provvedimenti amministrativi, ancorché oggetto di impugnazione e che consente l’ulteriore attività amministrativa - l’insorgenza di posizioni giuridiche successivamente al giudizio instaurato, e quindi possibili legittimazioni ad opposizione di terzo derivanti, non già dal mancato rispetto del principio del contraddittorio, bensì dalla sopravvenienza di nuovi atti fondativi di posizioni giuridiche. Alla luce di quanto esposto: - per un verso, appare del tutto normale la possibilità che, a fronte della sussistenza di legittimazione ed interesse ad agire in opposizione, i soggetti per i quali tali condizioni sussistono, ben possono non avere posizione di controinteressati nel giudizio conclusosi con la sentenza avverso la quale ora essi esperiscono il rimedio impugnatorio straordinario; - per altro verso, appare del tutto evidente la sussistenza di legittimazione ed interesse ad agire dei soggetti che hanno proposto opposizione di terzo nella presente sede, per il tramite di intervento nel giudizio di appello già instaurato. Si tratta di funzionari già destinatari di conferimento di incarico dirigenziale, ancorché privi della relativa qualifica, che vedrebbero frustrata ogni ulteriore possibilità di conferimento per intervenuto annullamento della deliberazione di modifica della norma regolamentare. D’altra parte (e ad abundantiam), anche prima del riconoscimento dell’opposizione di terzo nel giudizio ammi- 594 nistrativo, si è affermato che la legittimazione ad appellare le sentenze del giudice amministrativo di primo grado spetta anche a soggetti che, pur non essendo controinteressati in senso proprio, in quanto non direttamente contemplati dall'atto, o comunque da esso non facilmente identificabili, sono tuttavia portatori di una situazione di vantaggio in ordine ad un bene della vita, dipendente dal potere amministrativo esercitato, ma dotato di autonomia (Cons. Stato, Sez. V, 11 aprile 1990 n. 372). Da quanto esposto consegue che non può trovare accoglimento l’eccezione proposta dagli interventori ad opponendum, ed occorre affermare la sussistenza della legittimazione ed interesse ad agire, in entrambi i giudizi di appello in cui - ex art. 109, c. 2 c.p.a. - ciò è avvenuto, in capo ai ricorrenti I. ed altri e N. ed altri. 7. Il Collegio ritiene infondati i motivi di appello con i quali, evidenziando l’error in iudicando della sentenza n. 260/2011 e, dunque, della successiva sentenza n. 6884/2011, si ribadisce l’inammissibilità del ricorso instaurativo del giudizio di I grado per difetto di legittimazione attiva del sindacato D.. Tali motivi si fondano, in sostanza, sulle seguenti ragioni: - in primo luogo, si sostiene che la sentenza ha disatteso il tradizionale insegnamento giurisprudenziale “secondo cui deve escludersi la legittimazione a ricorrere delle associazioni di categoria quando le stesse facciano valere in giudizio gli interessi peculiari di una sola parte dei propri associati e non della totalità dei propri componenti, trascurando quelli eventualmente di segno contrario, come avvenuto nel caso di specie”. Peraltro, ciò comporterebbe - poiché nel caso di specie, D. “non ha chiarito . . . a tutela di quale interesse, secondo le finalità stabilite nel proprio statuto, il sindacato agisce in giudizio”, una sostanziale impossibilità di verifica dell’interesse ad agire (v. app. Agenzia, pagg. 12 -24); - in secondo luogo, si sostiene l’erroneità della sentenza, poiché la legittimazione dell’associazione non può essere definita come “originaria ed esclusiva”, posto che ciò comporterebbe che “ogni qualvolta venisse in rilievo la lesione di un interesse che in astratto riguarda una categoria di soggetti, i privati non sarebbero singolarmente legittimati ad agire per la sua tutela bensì dovrebbero necessariamente aderire ad una associazione di categoria, la quale poi dovrebbe agire per loro conto”; al contrario “la legittimazione dell’associazione sussiste in quanto si rinviene un interesse del privato che risulta comune a tutta una categoria di cittadini e che, oltre ad essere tutelabile uti singuli, può essere oggetto di tutela per mezzo dell’ente esponenziale”; il che esclude (ancora una volta) la possibilità di tutela, da parte dell’associazione, di interessi “disomogenei” (e segnatamente da parte di D. che, per Statuto, raccoglie tra i suoi iscritti sia dirigenti sia funzionari); - in definitiva, “gli interessi individuali che confluiscono all’interno di D., trovando astratta esplicitazione nello Statuto, e per la cui tutela essa si adopera, si sublimano in quelli del genus “pubblico dipendente che ricopre posizioni apicali e di elevata qualificazione”, e Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Giurisprudenza Giustizia amministrativa non in quelli specifici delle varie categorie di pubblici dipendenti che vi aderiscono” (v. ricorso in opposiz., I. e altri, pag. 24). Il Collegio ritiene tali argomentazioni non condivisibili e, dunque, ritiene di dover confermare - pur con le precisazioni in ordine alla motivazione, di seguito esposte le sentenze di I grado, stante l’infondatezza dei motivi proposti e precisamente: sub a) da parte dell’Agenzia delle Entrate; primo motivo di ricorso (sub b) dei funzionari I. ed altri rispetto alla sentenza n. 260/2011; motivo sub d2) dei funzionari I. ed altri, N. ed altri avverso la sentenza n. 6884/2011; motivo sub a3) della Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 7636/2011. 8. Occorre innanzi tutto osservare che ad un soggetto dell’ordinamento è attribuita la qualifica di ente esponenziale di collettività (cd. ente collettivo), in ragione di una possibilità di individuazione di tale collettività, attraverso l’appartenenza - giuridicamente definita e persistente nel tempo - di coloro che le compongono a un medesimo territorio, ovvero ad una medesima categoria produttiva. Tali enti possono essere sia riconosciuti come tali dall’ordinamento giuridico (gli enti territoriali trovano il proprio riconoscimento negli articoli 5 e 114 Cost.; le organizzazioni sindacali nell’art. 39 Cost.), sia manifestarsi per effetto della libertà di associazione, espressamente riconosciuta dall’ordinamento (art. 18 Cost.). In quest’ultimo caso, tuttavia, perché la loro costituzione possa renderli titolari di interessi collettivi, occorre che i singoli associati si caratterizzino non già per essere una aggregazione meramente seriale ed occasionale, ma per essere identificabili in relazione ad un vincolo che, in quanto afferente ad una realtà territoriale o ad una medesima manifestazione non occasionale della vita di relazione, si presenti come concreto (quanto al suo oggetto) e temporalmente persistente (quanto alla sua durata). Gli enti collettivi - oltre ad avere caratteristiche diverse quanto alla personalità giuridica - possono quindi essere titolari sia (al pari dei soggetti singoli) di posizioni giuridiche proprie (diritti soggettivi ed interessi legittimi), sia di posizioni giuridiche “collettive” (appunto, interessi collettivi). In questa seconda ipotesi, si è affermato (Cons. Stato, comm. spec., parere 26 giugno 2013 n. 3014, medio tempore pubblicato), che: “in capo all’ente esponenziale l’interesse diffuso, se omogeneo, in quanto comune (ai) rappresentati, si soggettivizza, divenendo interesse legittimo, nella forma del c.d. “interesse collettivo”, fermo restando che “l’interesse diffuso (che attraverso l’ente esponenziale diviene interesse collettivo e quindi interesse legittimo) è, per sua natura, indifferenziato, omogeneo, seriale, comune a tutti gli appartenenti alla categoria”. In tale contesto, si è affermato che “l’ente esponenziale è lo “strumento” elaborato dalla giurisprudenza per consentire la giustiziabilità dei c.d. “interessi diffusi”, cioè degli interessi omogenei e indifferenziati degli appartenenti alla categoria. È attraverso la costituzione dell’en- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 te esponenziale che l’interesse diffuso, sino a quel momento adespota e indifferenziato, si soggettivizza e si differenzia, assurgendo al rango di interesse legittimo meritevole di tutela giurisdizionale”. Sulla base di tale premessa, “l’ente collettivo non può agire a tutela degli interessi di alcuni appartenenti al gruppo contro gli altri. Al contrario, verrebbero meno la sua funzione e la sua stessa ragion d’essere e, quindi, l’interesse collettivo del quale l’ente è titolare”; di modo che “è proprio questo profilo che consente di introdurre un “filtro” o un criterio di selezione al riconoscimento della legittimazione al ricorso degli enti esponenziali: condizione imprescindibile è che l’ente faccia valere un interesse omogeneo della categoria, ovvero che l’atto impugnato leda l’interesse di tutti e non solo di alcuni dei suoi aderenti”. In coerenza con tali premesse, la legittimazione ad agire degli enti in esame si fonda, secondo la giurisprudenza, sulla titolarità di interessi collettivi, individuati come interessi propri della intera categoria da essi rappresentata e sempreché gli interessi individuali degli iscritti o degli appartenenti alla categoria siano univocamente conformi a quello a tutela del quale l’associazione agisce (in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 14 gennaio 2003, n. 93; sez. IV 2 aprile 2004 n. 1826; sez. V, 20 febbraio 2009, n. 1032; sez, IV, 27 maggio 2002, n. 292). Di modo che è stato anche ritenuto che la legittimazione ad agire non è configurabile per la salvaguardia di interessi propri di una parte sola degli iscritti, ove, appunto, non sia ravvisabile una omogeneità di posizioni soggettive (Cons. Stato, Sez. VI, n. 7792 del 2004). Il Collegio, pur condividendo in linea generale le considerazioni sopra riportate, ritiene tuttavia che le stesse debbano costituire il presupposto per ulteriori riflessioni, volte a meglio precisare la posizione giuridica definita quale “interesse collettivo”, anche al fine di evitare possibili disomogeneità in tema di conseguente determinazione della legittimazione ad agire. Ed infatti, se per interesse collettivo si intende - come sopra riportato - l’interesse diffuso comune a tutti i soggetti facenti parte della collettività (e dall’ente rappresentati) - interesse diffuso che, proprio perché comune, si “soggettivizza” - ne consegue: - per un verso, che tale interesse non costituisce (né può mai costituire) posizione soggettiva dei singoli, ma esso sorge quale posizione sostanziale direttamente e solo in capo all’ente esponenziale; - per altro verso, che esso, soggettivizzandosi in capo all’ente esponenziale, costituisce posizione propria (e solo) di questo. Esso è una “derivazione” dell’interesse diffuso per sua natura adespota, non già una “superfetazione” o una “posizione parallela” di un interesse legittimo comunque ascrivibile anche in capo ai singoli componenti della collettività. In questo contesto, dunque, sul piano della tutela giurisdizionale, non sussiste la ontologica possibilità di ipotizzare che “l’ente collettivo non può agire a tutela degli interessi di alcuni appartenenti al gruppo contro gli altri”. 595 Giurisprudenza Giustizia amministrativa E ciò in quanto, in questa ipotesi, si dà (contraddicendo la tesi) per assunto che sussistano interessi legittimi differenti tra gli appartenenti alla collettività, laddove l’interesse collettivo non costituisce posizione sostanziale di alcun componente della collettività medesima, ma solo della collettività in quanto tale. Ne consegue che, se - al fine di riconoscere la legittimazione ad agire - è condivisibile l’affermazione che “condizione imprescindibile è che l’ente faccia valere un interesse omogeneo della categoria”, perché questa è un caratteristica dell’interesse collettivo, non necessariamente, invece, tale interesse si relaziona ad un atto amministrativo che “leda l’interesse di tutti e non solo di alcuni dei suoi aderenti”. Questo “interesse di tutti” è diverso dall’ “interesse collettivo”, come interesse della collettività indistinta (e quindi entità diversa dalla pluralità dei suoi componenti). Meglio analizzando, si avverte che, con l’espressione (atecnica) “interesse di tutti” può definirsi, infatti, sia un interesse coincidente di ciascun componente della categoria (un interesse legittimo identico e replicato per ciascun componente della categoria medesima), sia un interesse collettivo in senso proprio, in titolarità esclusiva dell’ente esponenziale. Si intende affermare che l’ente esponenziale - oltre ad essere titolare di posizioni giuridiche proprie quale persona giuridica, non diversamente dai singoli soggetti dell’ordinamento, persone fisiche e giuridiche - risulta altresì titolare: - sia di posizioni giuridiche che appartengono anche a ciascun componente della collettività da esso rappresentata, tutelabili dunque sia dall’ente sia da ciascun singolo componente (ed in questo senso l’interesse collettivo assume connotazioni proprie di interesse “superindividuale”; - sia posizioni giuridiche di cui è titolare in via esclusiva, cioè interessi collettivi propriamente detti, la cui titolarità è solo dell’ente, proprio perché risultanti da un processo di soggettivizzazione dell’interesse altrimenti diffuso ed adespota. Da ciò consegue che, mentre nel primo caso, la tutela giurisdizionale può essere attivata sia dall’ente esponenziale, sia dal singolo componente della categoria, nel secondo caso la tutela giurisdizionale è azionabile solo dall’ente esponenziale, quale unico titolare della posizione giuridica lesa. Mentre nel primo caso, per ragioni che appaiono evidenti, in tanto è possibile riconosce all’ente legittimazione ad agire in quanto l’atto impugnato “leda l’interesse di tutti e non solo di alcuni dei suoi aderenti” (in quanto la posizione giuridica di cui l’ente esponenziale è titolare è in questo caso “sovrapponibile” alla posizione giuridica di cui è titolare ogni singolo componente); nel secondo caso, l’ente, godendo di una titolarità sua propria di posizione giuridica soggettiva, gode ex se di legittimazione ad agire e può anche rappresentarsi il caso che la sua azione, volta alla tutela dell’interesse collettivo della categoria, possa porsi in contraddizione/- 596 contrasto con l’interesse del singolo componente della collettività. In definitiva, come è noto che il risultato finale di una somma costituisce entità distinta dai singoli, identici addendi che la compongono (assumendo esso conformazioni ontologiche sue proprie, pur condividendo aspetti dei suoi singoli addendi), allo stesso modo l’ente esponenziale ha sia legittimazione ad agire per la tutela di posizioni giuridiche per le quali ha titolarità tanto quanto i singoli componenti (che in questo caso sono titolari - ciascuno di essi - di identiche posizioni giuridiche), sia legittimazione ad agire per la tutela di posizioni giuridiche (interessi collettivi) di cui ha titolarità esclusiva. Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, il Collegio non intende discostarsi da quanto sin qui affermato (come sopra succintamente riportato) dalla giurisprudenza amministrativa, ma ritiene che tali affermazioni non esauriscano gli aspetti del problema (se si vuole, del rapporto tra ente esponenziale e singoli associati, con le rispettive posizioni giuridiche), cogliendo solo un tratto (probabilmente, il più ricorrente) di tale complesso rapporto. Di modo che, mentre con rispetto ad una delle (possibili) posizioni giuridiche di cui l’ente esponenziale è titolare, può affermarsi il difetto di legittimazione ad agire allorché l’interesse tutelato non coincida con l’interesse di ciascun associato/componente dell’ente, al tempo stesso può ben affermarsi, in altri casi (quelli dove è più tecnicamente utilizzabile l’espressione “interesse collettivo”), la sussistenza della legittimazione ad agire ancorché l’interesse collettivo “contrasti” con l’interesse di un singolo appartenente. E’ questo il caso che si verifica allorché venga adottato da una pubblica amministrazione un atto amministrativo che si pone in contrasto con l’interesse collettivo del quale l’ente esponenziale della categoria è titolare (interesse collettivo per come conformato dalla legge), sebbene esso risulti produttivo di effetti favorevoli per una parte (o anche uno solo) degli appartenenti alla categoria medesima. Ritenere che la legittimazione ad agire sussiste solo qualora l’atto leda l’interesse di tutti e non solo di alcuni appartenenti alla categoria (a prescindere dal problema dell’esatta configurazione dell’interesse collettivo, di cui si è detto), comporta che l’ente esponenziale non è legittimato ad impugnare un atto, ritenuto illegittimo, e lesivo degli interessi collettivi, sol perché esso porta vantaggi (magari verosimilmente illegittimi) ad una parte dei suoi componenti. Orbene, se non è corretto sostenere che l’ente esponenziale sia l’unico legittimato ad impugnare un atto che lede interessi legittimi di tutti i suoi aderenti, dovendosi ragionevolmente affiancare la legittimazione ad agire di questi ultimi a quella dell’ente, non è altrettanto corretto ritenere che l’interesse collettivo (come interesse dell’intera collettività e/o categoria) possa ricevere tutela solo allorquando coincida con l’interesse (benché meramente materiale e fondato sugli effetti di attività ammi- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Giurisprudenza Giustizia amministrativa nistrativa illegittima) di tutti i componenti della collettività. Tale apparente “contraddizione” sul piano sostanziale (che tuttavia si presenta produttiva di conseguenze in tema di definizione della legittimazione ad agire) si risolve laddove, come si è avuto modo di considerare, si evidenzia la duplicità di situazioni giuridiche indistintamente riunite sotto la definizione di “interesse collettivo”. 9. La presenza di una “duplicità” di situazioni giuridiche esistenti sotto l’unitaria definizione di “interesse collettivo”, è percepibile anche nella motivazione della prima delle sentenze appellate (n. 260/2011), tuttavia determinandosi - per il fatto che tale duplicità non è pienamente e consapevolmente evidenziata - talune contraddizioni. Ed infatti, si afferma che “la legittimazione al ricorso di associazioni rappresentative di categorie di lavoratori si fonda . . . sul presupposto della rappresentatività di un interesse collettivo riferibile in maniera generica ed indistinta a tutti gli appartenenti al gruppo o alla categoria rappresentata”; affermazione condivisibile, purché si convenga, alla luce delle considerazioni sopra espresse, sul fatto che la “riferibilità generica ed indistinta a tutti gli appartenenti del gruppo” è una situazione giuridica diversa dalla “riferibilità alla categoria rappresentata”. Proprio (e solo) cogliendo tale distinzione, può condividersi quanto affermato in sentenza, secondo la quale l’interesse collettivo “per tale sua caratterizzazione ontologica è destinato ad essere tutelato soltanto da parte di soggetti superindividuali, esponenziali e rappresentativi del gruppo, che ne assumano l’obiettivo di salvaguardia a livello statutario; e la legittimazione ad agire dell’associazione rappresentativa o dell’ente esponenziale si atteggia come originaria ed esclusiva, ovvero non soltanto indipendente ed autonoma rispetto a quella dei singoli, ma anche riservata esclusivamente all’associazione o all’ente in relazione ai suoi scopi statutari”. Una legittimazione ad agire “originaria ed esclusiva” può conseguire solo ad una titolarità originaria ed esclusiva di posizione soggettiva. Ma tale ipotesi - che si è affermata esistente - è solo una delle due situazioni giuridiche che (a volte confusamente) vengono assemblate sotto la comune denominazione di “interesse collettivo”. Non evidenziare che essa è solo una delle ipotesi possibili (anzi, quella che propriamente fonda la definizione di “interesse collettivo”), espone al rilievo (in concreto effettuato, nel presente giudizio, dai ricorrenti in opposizione), in base al quale “ogni qualvolta venisse in rilievo la lesione di un interesse che in astratto riguarda una categoria di soggetti, i privati non sarebbero singolarmente legittimati ad agire per la sua tutela bensì dovrebbero necessariamente aderire ad una associazione di categoria, la quale poi dovrebbe agire per loro conto”. Così come, per le medesime ragioni, non può specularmente condividersi quanto sostenuto dai ricorrenti in opposizione, laddove affermano che “la legittimazione dell’associazione sussiste in quanto si rinviene un interesse del privato che risulta comune a tutta una catego- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 ria di cittadini e che, oltre ad essere tutelabile uti singuli, può essere oggetto di tutela per mezzo dell’ente esponenziale”; e ciò in quanto tale situazione è, come più volte affermato, solo una delle due ipotizzzabili. Occorre, anzi, aggiungere che tale ultima prospettazione finisce con il far riconoscere, sul piano concreto, la legittimazione attiva solo ad organizzazione caratterizzate da forte omogeneità dei propri componenti, in tal modo finendo per delimitare fortemente, sul piano generale, la libertà di associazione e, sul piano concreto della tutela sindacale, le possibili aggregazioni di lavoratori. In tale ultimo caso, infatti, seguendo la suddetta prospettazione, ci si limiterebbe a riconoscere legittimazione ad agire solo ad associazioni di ristrette categorie di lavoratori dello stesso settore, se non ad associazioni di lavoratori della stessa area o qualifica (così determinando, ab esterno, una forte compressione della tutela dei lavoratori per il tramite delle loro associazioni, che si risolve in una indiretta compressione della libertà sindacale, assicurata dall’art. 39 Cost.). In conclusione, è alla luce delle considerazioni sin qui rappresentate che può convenirsi con la conclusione della sentenza n. 260/2011, laddove essa afferma che “la possibile disomogeneità degli interessi dei singoli componenti il gruppo o la categoria rappresentata non può incidere sulla legittimazione ad agire dell’associazione rappresentativa o dell’ente esponenziale a tutela dell’interesse collettivo oggettivato e tipizzato”. Per tutte le ragioni sin qui esposte, nel confermare sul punto, e con le integrazioni motivazionali espresse nella presente sede, la sentenza appellata, n. 260/2011, devono essere rigettati i motivi di appello, come sopra puntualmente indicati, con i quali si afferma il difetto di legittimazione attiva dell’organizzazione sindacale ricorrente. 10. L’impugnazione di un atto generale a contenuto normativo, di un regolamento, costituisce un esempio evidente della esistenza di un interesse collettivo, distinto dagli interessi dei singoli componenti della collettività (ente territoriale, organizzazione di categoria, associazione), e tutelabile indipendentemente dalla sua coincidenza con l’interesse “di tutti”. Questo Consiglio di Stato (sez. IV, 12 febbraio 2012 n. 812) ha già avuto modo di precisare, in tema di esercizio di potestà regolamentare ed impugnabilità dei regolamenti: “La natura amministrativa dell’atto regolamento - non riconducibile alla categoria degli atti politici per i quali (ora ai sensi dell’art. 7, c. 1, c.p.a.) non è ammesso sindacato giurisdizionale amministrativo - consente la impugnazione dello stesso e, quindi, la sua sindacabilità da parte del giudice amministrativo, in ciò adempiendo a quanto prescritto dall’art. 113, secondo comma Cost.. Ma poiché la tutela nei confronti degli atti amministrativi è dall’art. 113 sempre ammessa - in concreta attuazione del generale diritto alla tutela giurisdizionale ex art. 24 Cost. - per i diritti soggettivi e gli interessi legittimi, ciò comporta che non può in concreto richiedersi tutela (al giudice ordinario o al giudice amministrativo, secondo la disposizione costituzionale), se non per tute- 597 Giurisprudenza Giustizia amministrativa la di quelle posizioni soggettive avverso una lesione e/o pregiudizio che dall’atto amministrativo esse subiscono. Da ciò consegue che la concreta ammissibilità dell’impugnazione del regolamento (e, quindi, anche la necessità di impugnarlo entro il termine decadenziale previsto) non può che presupporre la sussistenza dell’interesse ad agire (art. 100 c.p.c.), che sorge in presenza di una lesione e/o pregiudizio attuale. Anzi, nel caso del regolamento, stante la sua natura di fonte normativa - e quindi la insussistenza, al momento dell’esercizio del potere regolamentare, di destinatari definibili e concretamente individuabili - ciò che sorge, in un momento successivo all’esercizio del potere regolamentare e per il tramite dell’atto applicativo, non è il solo interesse ad agire, ma anche la posizione stessa di interesse legittimo. . . Con riferimento ai regolamenti, ciò comporta che, al momento dell’esercizio della potestà regolamentare, non solo non si producono immediatamente (attualmente) lesioni di posizioni soggettive, ma generalmente non sono configurabili posizioni sostanziali di interesse legittimo, le quali - come posizioni circoscritte dall’essere “personali” e “dirette” - insorgono normalmente in un momento successivo all’esercizio del potere (se il regolamento presuppone l’instaurazione di un procedimento ad istanza di parte, al momento di proposizione della domanda di autorizzazione o concessione). Al contrario, laddove ricorra l’ipotesi di un “regolamento-provvedimento”, l’identificabilità concreta del destinatario rende sussistente, al momento stesso dell’esercizio del potere regolamentare (ma si tratta, nella sostanza, di un potere affatto diverso), sia l’interesse legittimo sia l’interesse ad agire. In definitiva, al momento dell’adozione del regolamento, ciò che manca non è la lesione di una posizione soggettiva di interesse legittimo (e quindi l’interesse ad agire a sua tutela), bensì lo stesso interesse legittimo, che non può che sorgere in un momento successivo, in dipendenza di fatti o atti che pongono l’interessato a contatto con l’esercizio di un potere amministrativo diverso da quello regolamentare, e che proprio nella norma regolamentare trova il suo fondamento. . . Solo l’atto di concreta specificazione dell’esercizio dell’ulteriore potere amministrativo, non già regolamentare ma conferito all’amministrazione dal regolamento, fa sorgere, ove non favorevole all’interessato, l’interesse ad agire all’impugnazione del provvedimento applicativo e, per suo tramite (se necessario) della norma regolamentare sulla quale tale atto si fonda. Che poi dalla pronuncia del giudice, che investe la norma regolamentare quale presupposto dell’atto applicativo impugnato, derivi l’annullamento (totale o parziale) dell’atto regolamento, e quindi un’efficacia della pronuncia che trascende il rapporto processuale inter partes, ciò deriva dalla natura dell’atto, dal suo contenuto normativo, dall’efficacia esterna ed erga omnes delle sue disposizioni (Cass. civ., sez. I, 13 marzo 1998 n. 2734).” Orbene, con riferimento ai regolamenti, mentre la posizione di interesse legittimo generalmente sorge in capo al singolo per effetto dell’esercizio in concreto del pote- 598 re amministrativo fondato (anche) sulla norma regolamentare, ben può sorgere immediatamente una posizione di interesse collettivo della quale è titolare l’ente esponenziale. Come questo Consiglio di Stato (parere n. 3014/2013 cit.) ha avuto modo di affermare, con considerazioni che si intendono condivise e riproposte nella presente sede: “La legittimazione al ricorso deve, infatti, essere valutata in relazione alla situazione giuridica soggettiva fatta valere e si atteggia, quindi, diversamente a seconda che venga dedotto in giudizio un interesse individuale oppure un interesse collettivo. . . Non vi è dubbio che la norma regolamentare, pur non potendo, per il suo carattere di generalità e astrattezza, provocare un pregiudizio immediato in capo al singolo (che sarà inciso solo dal provvedimento applicativo), può, tuttavia, essere fonte di prescrizioni che colpiscono indistintamente e in maniera indifferenziata, l’interesse omogeneo di tutti gli appartenenti alla categoria. È questo interesse omogeneo che è oggetto della situazione giuridica soggettiva della quale è titolare l’ente esponenziale. . . La lesione di tale interesse omogeneo, proprio perché indifferenziato e seriale, non può essere fatta valere dal singolo (essendo questi privo, appunto, di legittimazione al ricorso), ma può certamente essere fatta valere dall’ente in capo al quale quell’interesse si soggettivizza. In questo caso, infatti, la legittimazione al ricorso nasce proprio dalla lesione dell’interesse collettivo (da intendersi come interesse omogeneo degli appartenenti alla categoria rappresentata). Tale lesione non è potenziale e futura, ma attuale e immediata, verificandosi come immediata e diretta conseguenza dell’introduzione nell’ordinamento di una prescrizione che, in maniera generale e astratta, arreca un vulnus agli interessi indifferenziati, e quindi omogenei, della categoria. In questo caso, non è necessario attendere il provvedimento applicativo affinché la lesione si attualizzi. Il provvedimento applicativo adottato nei confronti di una determinata impresa avrà, infatti, l’effetto di differenziare la posizione del soggetto che ne è destinatario, consentendogli di adire autonomamente gli organi di giustizia per tutelare la propria posizione individuale. Al contrario, trattandosi di tutelare gli interessi del gruppo, quest’ultimo è leso per il solo fatto dell’introduzione nell’ordinamento di una norma il cui contenuto arreca una menomazione a tutti gli appartenenti alla categoria rappresentata”. In sostanza, ciò che determina la differenziazione tra ente esponenziale e singolo componente nei confronti del regolamento, con immediata proiezione sulla tutela giurisdizionale nei confronti del medesimo, è costituito con riferimento al caso sopra riportato (analogo a quello in esame) - l’insorgenza immediata dell’interesse collettivo per effetto del mero esercizio della potestà regolamentare, a fronte della insorgenza successiva dell’interesse legittimo, in capo al singolo componente, per effetto del concreto esercizio del potere amministrativo provvedimentale. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Giurisprudenza Giustizia amministrativa Quanto ora evidenziato rende evidente come, a fronte del medesimo atto, possono esservi posizioni soggettive diversificate, e precisamente l’interesse collettivo dell’ente esponenziale e, solo successivamente e mediatamente, l’interesse legittimo del singolo componente della collettività. Rende altresì evidente l’autonomia dell’interesse collettivo come “interesse della collettività”, che ben può porsi in contrasto con situazioni soggettive di singoli associati che - per effetto di successiva applicazione del regolamento - potranno singolarmente giovarsi della previsione regolamentare illegittima. Infine, è proprio l’insorgenza, temporalmente diversificata, di due distinte posizioni a rendere possibile l’immediata lesione dell’interesse collettivo, e dunque l’immediata impugnazione del regolamento, e a diversificare la lesione, quanto alla sua attualità, tra sfera dell’ente esponenziale e sfera del singolo componente. 11. Le considerazioni espresse al precedente par. 10 sostengono anche la reiezione dei motivi di appello con i quali, nel censurare la sentenza impugnata n. 6884/2011, si evidenzia l’inammissibilità del ricorso instaurativo del giudizio di I grado per difetto di interesse ad agire, avendo la D. impugnato l’atto regolamentare indipendentemente dagli atti di questo applicativi (motivo di appello sub a2) dell’Agenzia delle Entrate; motivo di ricorso dei funzionari S. ed altri, N. ed altri sub f2). Si è detto che con la delibera impugnata con il ricorso instaurativo del giudizio di I grado, il Comitato di gestione dell’Agenzia delle Entrate, modificando l’art. 24 del regolamento di amministrazione, ha consentito il conferimento, fino al 31 dicembre 2010, di incarichi dirigenziali in favore di funzionari non in possesso della relativa qualifica. Appare, dunque, evidente come la deliberazione assunta costituisce, nella prospettazione della organizzazione sindacale ricorrente, un atto immediatamente lesivo dell’interesse collettivo (del quale essa è titolare) alla corretta attribuzione, nell’ambito del rapporto di lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione, degli incarichi dirigenziali. E in quanto tale, l’atto determina, sul piano delle condizioni dell’azione (impregiudicata ogni valutazione nel merito), la sussistenza della legittimazione ad agire. Né, per le ragioni esposte, rileva che tale disposizione potrebbe eventualmente favorire, in sede di propria concreta applicazione, (anche) funzionari iscritti alla stessa organizzazione sindacale ricorrente, posto che ciò che rileva è: sul piano sostanziale, la sussistenza ed identificabilità di un interesse collettivo; sul piano processuale: - la sussistenza di legittimazione ad agire, che consegue alla sussistenza del titolo (e non è revocata in dubbio dalla eventuale - presente o futura - insorgenza di posizioni di interesse legittimo difforrmi dall’interesse collettivo in capo ai singoli; - l’attualità della lesione che evidenzia l’interesse ad agire. 12. Le ragioni che hanno innanzi consentito di ritenere sussistenti le condizioni dell’azione in capo ai ricorrenti Giornale di diritto amministrativo 6/2014 in opposizione di terzo sono le medesime che fondano il rigetto dei motivi da questi stessi proposti, e relativi alla ritenuta inammissibilità del ricorso della D. instaurativo del giudizio in I grado (cui fanno seguito le sentenze appellate nn. 260 e 6884 del 2011), per omessa notifica ad almeno un controinteressato [secondo motivo di ricorso dei predetti funzionari (sub c) avverso la sentenza n. 260/2011, e secondo motivo di ricorso (sub e2), dei medesimi avverso la sentenza n. 6884/2011]. Si è innanzi rilevato come sussiste la legittimazione ad agire dei ricorrenti in opposizione di terzo, ancorché gli stessi - secondo gli insegnamenti della Corte costituzionale. (sent. n. 177/1995) e dell’Adunanza plenaria (sent. n. 2/2007) costituiscano “controinteressati sopravvenuti”, cioè soggetti (in questo caso potenzialmente beneficiari di un atto consequenziale), quando una sentenza abbia annullato un provvedimento presupposto all'esito di un giudizio cui siano rimasti estranei, e comunque non facilmente identificabili come tali. Le ragioni che consentono di affermare la legittimazione ad agire dei ricorrenti in opposizione di terzo impediscono di ritenere inammissibile il ricorso instaurativo del giudizio per omessa notifica ad almeno un controinteressato, posto che, in sede di impugnazione della delibera di modifica regolamentare non sussistevano controinteressati. Tale conclusione risulta viepiù avvalorata alla luce di quanto si è affermato in ordine alla insussistenza di posizioni di interesse legittimo di singoli a fronte dell’esercizio della potestà regolamentare (par. 8/10 precedenti). Infine, devono essere rigettati anche il motivo di appello (sub b2) dell’Agenzia delle Entrate, nonché il motivo di ricorso sub g2), dei funzionari più volte citati, avverso la sentenza n. 6884/2011, motivi con i quali si sostiene l’improcedibilità dell’appello per sopravvenuto difetto di interesse, essendo stato medio tempore indetto un concorso per posti dirigenziali. Appare evidente, alla luce di tutto quanto sin qui esposto, l’irrilevanza dell’intervenuta indizione di un concorso per qualifiche dirigenziali sulla persistenza dell’interesse ad agire per ottenere l’annullamento della delibera di modifica regolamentare impugnata. 13. Esaurito l’esame dei motivi di appello e di ricorso afferenti ai profili di inammissibilità e di improcedibilità, ai fini dell’esame degli ulteriori motivi, relativi al merito, e dunque alla prospettata illegittimità degli atti impugnati, il Collegio deve rilevare che, nelle more del giudizio, è entrato in vigore l’art. 8, c. 24, d.l. 2 marzo 2012 n. 16, conv. in l. 26 aprile 2012 n. 44, recante “Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento”. Tale disposizione prevede: “Fermi i limiti assunzionali a legislazione vigente, in relazione all'esigenza urgente e inderogabile di assicurare la funzionalità operativa delle proprie strutture, volta a garantire una efficace attuazione delle misure di contrasto all'evasione di cui alle disposizioni del presente articolo, l'Agenzia delle dogane, l'Agenzia delle entrate e l'Agenzia del territorio sono autorizzate ad espletare 599 Giurisprudenza Giustizia amministrativa procedure concorsuali da completare entro il 31 dicembre 2013 per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, secondo le modalità di cui all'articolo 1, comma 530, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e all'articolo 2, comma 2, secondo periodo, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248. Nelle more dell'espletamento di dette procedure l'Agenzia delle dogane, l'Agenzia delle entrate e l'Agenzia del territorio, salvi gli incarichi già affidati, potranno attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso. Gli incarichi sono attribuiti con apposita procedura selettiva applicando l'articolo 19, comma 1-bis, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Ai funzionari cui è conferito l'incarico compete lo stesso trattamento economico dei dirigenti. A seguito dell'assunzione dei vincitori delle procedure concorsuali di cui al presente comma, l'Agenzia delle dogane, l'Agenzia delle entrate e l'Agenzia del territorio non potranno attribuire nuovi incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 19, comma 6 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Agli oneri derivanti dall'attuazione del presente comma si provvede con le risorse disponibili sul bilancio dell'Agenzia delle entrate, dell'Agenzia delle dogane e dell'Agenzia del territorio. Alla compensazione degli effetti in termini di fabbisogno e di indebitamento netto, pari a 10,3 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013, per l'Agenzia delle dogane e per l'Agenzia del territorio si provvede mediante corrispondente utilizzo del Fondo di cui all'articolo 6, comma 2, del decreto-legge 7 ottobre 2008, n. 154, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 2008, n. 189. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.” Giova osservare che la disposizione in esame, nell’autorizzare l’espletamento di procedure concorsuale da parte delle Agenzie fiscali, ed in particolare da parte dell’Agenzia delle Entrate, prevede che “nelle more dell'espletamento di dette procedure l'Agenzia delle dogane, l'Agenzia delle entrate e l'Agenzia del territorio, salvi gli incarichi già affidati, potranno attribuire incarichi dirigenziali a propri funzionari con la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, la cui durata è fissata in relazione al tempo necessario per la copertura del posto vacante tramite concorso”. Per un verso, dunque, la norma autorizza l’attribuzione di incarichi dirigenziali a funzionari delle stesse Agenzie nelle more dello svolgimento dei concorsi; per altro verso, fa salvi gli incarichi “già affidati”, vale a dire gli incarichi dirigenziali già affidati a funzionari privi di qualifica dirigenziale. Appare evidente come la norma ora richiamata, legittimando ex post l’attribuzione di incarichi dirigenziali a funzionari privi della relativa qualifica, si pone quale factum principis sopravvenuto, tale da determinare la declaratoria di improcedibilità degli appelli per sopravvenuto difetto di interesse alla decisione. Non a caso, a seguito dell’entrata in vigore della norma in esame, la D., parte appellata, ha proposto “motivi aggiunti” nell’ambito del presente giudizio, al fine di eccepire l’illegittimità costituzionale di detta norma, per violazione degli artt. 3, 24, 97, 101, 111, 113 e 117 Cost., nonché dell’art. 6, par. 1 CEDU. Il Collegio ritiene che occorre rimettere alla Corte Costituzionale, stante la sua rilevanza ai fini della decisione e la sua non manifesta infondatezza, la questione relativa alla legittimità costituzionale dell’ articolo 8, c. 24, d.l. 2 marzo 2012 n. 16, conv. in l. 26 aprile 2012 n. 44, per le ragioni meglio esplicitate con separata ordinanza. Ogni decisione in merito alle spese, diritti ed onorari di giudizio è riservata alla sentenza definitiva. …Omissis… IL COMMENTO di Antonio Cassatella La nota esamina premesse teoriche e conseguenze pratiche della pronuncia, sottolineando alcuni aspetti critici della distinzione fra interessi super-individuali e interessi collettivi profilata dai giudici ai fini del riconoscimento della legittimazione ad agire delle formazioni sociali. Si osserva, in particolare, come in caso di conflitto di interessi fra i membri del gruppo non sussistano i requisiti per affermare una legittimazione ad agire dell’ente esponenziale, salvo che ciò non sia espressamente previsto dalla legge, sulla base dei principi desumibili dall’art. 81 c.p.c.. Il caso e la sua soluzione Un sindacato rappresentativo di diverse categorie di dipendenti pubblici impugnava di fronte dal Tar Lazio un regolamento dell’Agenzia delle Entrate che consentiva il conferimento di incarichi dirigenziali a favore di soggetti privi della relativa qua- 600 lifica sino alla fine del 2011 (c.d. temporanea reggenza, già in atto dal 2006). La difesa dell’amministrazione e i numerosi intervenienti ad opponendum contestavano, tuttavia, l’ammissibilità del ricorso, promosso a tutela di una sola categoria professionale di iscritti - ossia i diri- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Giurisprudenza Giustizia amministrativa genti - in manifesto contrasto con gli interessi delle categorie restanti. Le richieste di resistente e opponenti venivano respinte sia in primo che in secondo grado, seppur con diverse argomentazioni, contro gli orientamenti della prevalente giurisprudenza (1). Il Consiglio di Stato ha sottolineato la rilevanza costituzionale degli interessi collettivi, riconducibili all’esercizio di libertà fondamentali garantite dalla Costituzione e tutelate anche attraverso l’attività delle formazioni sociali di riferimento (2). Sulla base di questa premessa, il giudice d’appello ha tracciato una nuova distinzione fra interessi superindividuali e interessi collettivi “in senso proprio”: mentre i primi sono gli interessi di tutti gli appartenenti ad un gruppo sociale, tutelabili in caso di lesione sia dal singolo che dall’ente esponenziale, i secondi sono gli interessi di cui l’ente è titolare in via autonoma ed esclusiva, al punto di essere l’unico soggetto legittimato ad agire nei confronti di atti lesivi di tale posizione giuridica (3). Da questa distinzione si è fatta discendere un’essenziale conseguenza: proprio in quanto autonoma ed astratta dagli interessi dei singoli membri, la tutela dell’interesse collettivo può essere legittimata pure nell’ipotesi in cui determinati atti abbiano ef- fetti negativi nei confronti di una sola parte degli appartenenti alla formazione sociale. Ciò, anche nel caso in cui la tutela giurisdizionale si ponga in contraddizione, o in radicale contrasto, con gli interessi dell’altra parte dei membri, o di un singolo componente della collettività, come accade nella tipica ipotesi di impugnazione di atti amministrativi a doppio effetto: ipotesi che si ravvisa nella controversia instaurata contro l’Agenzia delle Entrate (4). Si tratta di affermazioni di indubbio interesse, sia perché introducono sottili distinzioni nel crinale fra diritto sostanziale e processuale, sia perché si collocano in un più ampio contesto normativo e concettuale: mutandone la struttura, ma ponendo anche una serie di interrogativi circa la complessiva praticabilità dell’innovazione profilata nella sentenza di appello. (1) Per tale orientamento, cfr. fra le altre Cons. Stato, sez. III, 13 gennaio 2014, n. 97; Tar Calabria, Reggio Calabria, 19 giugno 2013, n. 430; Tar Piemonte, sez. I, 7 febbraio 2013, n. 171; Tar Lazio, Roma, sez. II ter, 17 settembre 2012, n. 7823; Tar Lazio, Roma, sez. II ter, 9 maggio 2011, n. 3992; Cons. Stato, sez. V, 23 settembre 2010, n. 7074; Tar Lazio, Roma, sez. III bis, 5 maggio 2008, n. 3663; Cons. Stato, sez. V, 7 settembre 2007, n. 4692. Secondo questo indirizzo, ove si ammettesse che il sindacato possa agire a tutela di una parte della categoria, sarebbe configurabile non già un’azione a tutela dell’interesse collettivo, ma una (inammissibile) forma di legittimazione straordinaria ad agire nell’interesse di una parte degli scritti, in contrasto con il principio generale desumibile dall’art. 81 c.p.c.. (2) Si sono in particolare richiamate le conclusioni di Cons. Stato, comm. spec., parere 26 giugno 2013 n. 3014. Nei termini della dottrina che ha più approfondito la connessione fra realtà socio-economica e qualificazione giuridica, le formazioni sociali sono quindi i “centri di riferimento” degli interessi degli appartenenti: cfr. M.S. Giannini, Diritto amministrativo, I, Milano, 1993, 115 ss.. (3) Secondo il Consiglio di Stato, «l’interesse collettivo costituisce posizione propria del solo ente esponenziale: [si tratterebbe, quindi,] di “derivazione” dell’interesse diffuso per sua natura adespota, non già una “superfetazione” o una “posizione parallela” di un interesse legittimo comunque ascrivibile anche in capo ai singoli componenti della collettività». Da questa premessa si fa derivare la conseguenza per cui «non sussiste la ontologica possibilità di ipotizzare che l’ente collettivo non può agire a tutela degli interessi di alcuni appartenenti al gruppo contro gli altri. E ciò in quanto, in questa ipotesi, si dà (contraddicendo la tesi) per assunto che sussistano interessi legittimi differenti tra gli appartenenti alla collettività, laddove l’interesse collettivo non costituisce posizione sostanziale di alcun componente della collettività medesima, ma solo della collettivi- tà in quanto tale» (corsivi miei). (4) Su questa categoria, ricalcata sul concetto di Doppelwirkung, cfr. G. Greco, Argomenti di diritto amministrativo. Parte generale, I, Milano, 2013, 145 e 166. (5) Il dibattito prende avvio a partire dagli anni ’70 - a partire dal leading case deciso da Cons. Stato, sez. V, 9 marzo 1973, n. 253 sulla c.d. vicenda Italia Nostra - specie nei contributi trasversali ai vari ambiti dell’ordinamento raccolti in AA.VV, Le azioni a tutela degli interessi collettivi. Atti del convegno di studio (Pavia 11-12 giugno 1974), Padova, 1976, nell’ambito dei quali si fa innanzitutto rinvio a V. Denti, Relazione introduttiva, 3 ss.. Per un’impostazione generale della problematica cfr. già E. Bonaudi, La tutela degli interessi collettivi, Torino, 1911, e successivamente A. Angiuli, Interessi collettivi e tutela giurisdizionale, Napoli, 1986; B. Caravita, Interessi diffusi e collettivi (problemi di tutela), in Dir. Soc., 1982, 167 ss.; R. Ferrara, Interessi collettivi e diffusi (ricorso giurisdizionale amministrativo), in Dig. Disc. Pubbl., VIII, Torino, 1993-2011, con agg. a cura di F. Pavoni, ad vocem; L. Lanfranchi, a cura di, La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, Torino, 2003; P. Salvatore, Il problema della legittimazione: interesse legittimo, interesse collettivo, interesse diffuso, interesse di fatto, in AA.VV., Studi per il centenario della Quarta Sezione del Consiglio di Stato, II, Roma, 1989, 489 ss.; F.G. Scoca, Interessi protetti, in Enciclopedia giuridica, XVII, Roma, 1989, ad vocem; N. Trocker, Interessi collettivi e diffusi, in Enciclopedia giuridica, XVII, Roma, 1989, ad vocem. Nella dottrina più recente, cfr. C. Cudia, Gli interessi plurisoggettivi fra diritto e processo amministrativo, Santarcangelo di Romagna, 2012, specie 34 ss.; R. Donzelli, La tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, Napoli, 2008; R. Lombardi, Le azioni collettive, in F.G. Scoca, a cura di, Giustizia amministrativa, V. ed., Torino, 2013, 208 ss.; Id., La tutela delle situazioni giuridiche meta-individuali nel processo amministrativo, Torino, 2008, 76 ss.. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 La tutela degli interessi collettivi e i suoi sviluppi: la necessità di differenziare l’analisi del fenomeno La pronuncia si inserisce della dibattuta tematica della tutela giudiziale di interessi diffusi e collettivi (5): materia che riflette le generali problemati- 601 Giurisprudenza Giustizia amministrativa che inerenti alla rilevanza costituzionale delle posizioni giuridiche meta-individuali ed alle modalità della loro tutela, nei limiti garantiti dagli artt. 2, 24, 103 Cost. e dal sistema processuale vigente. Si tratta di un fenomeno ampiamente discusso da diversi decenni: se l’art. 2 Cost. riconosce e tutela i diritti dell’individuo anche come membro delle formazioni sociali, ciò non toglie che, ai più ristretti fini della tutela giurisdizionale, gli artt. 24 e 103 Cost. facciano espresso riferimento a situazioni individuali, come il diritto soggettivo e l’interesse legittimo (6). Su questo sfondo si innesta il confronto fra teorie che hanno assimilato la tutela di interessi diffusi e collettivi alla tutela di posizioni giuridiche soggettive (7), e teorie che hanno più realisticamente evidenziato come si tratti di un fenomeno irriducibile alla rigida e sorpassata dicotomia contenuta nell’art. 24 Cost., a sua volta espressivo dell’apertura dell’ordinamento alla tutela di posizioni metaindividuali comunque riconducibili ai valori espressi dalla Costituzione (8). I problemi inerenti alla qualificazione delle posizioni giuridiche soggettive implicano anche più specifiche riflessioni attinenti alle modalità di tutela giudiziale degli interessi dei gruppi sociali organizzati (9). La vicenda dimostra la difficoltà di ricostruire il sistema processuale vigente nell’unico filtro del modello individualistico e soggettivistico sotteso all’art. 24 Cost.: se ciò non giustifica il ritorno a concezioni puramente oggettivistiche del processo amministrativo, lascia quantomeno trasparire la necessità di nuove categorie ricostruttive e concettuali, aderenti ad un contesto economico-sociale che sempre più spesso rimarca l’inefficacia di meccanismi processuali affidati alla sola iniziativa e tutela del singolo (10). Nella prassi giudiziale, molti di questi problemi restano tuttavia in secondo piano, per essere semmai colti nel filtro della legittimazione ad agire delle singole formazioni sociali. Si pone quindi la necessità di distinguere le posizioni meta-individuali dalle situazioni giuridiche soggettive tradizionali già tutelate dal sistema e dagli interessi di mero fatto (11), insuscettibili di protezione da parte di un ordinamento che nega pur sempre l’ammissibilità di azioni popolari a tutela della legittimità o del buon andamento dell’azione amministrativa (12): problemi che si rispecchiano nelle divisioni fra chi ha ammesso un’ordinaria legittimazione delle formazioni sociali sulla base di un’interpretazione estensiva delle libertà costituzionali e dell’art. 24 Cost. (13) e chi ha ritenuto che le singole formazioni sociali agiscano a tutela di diritti o interessi degli individui che ne fanno parte, nello schema della legittimazione straordinaria ex lege stabilito dall’art. 81 c.p.c. (14). (6) Per un’impostazione degli specifici problemi sollevati dal riconoscimento della tutela degli interessi diffusi e collettivi nel processo amministrativo, oltre ai contributi appena menzionati, cfr. M.S. Giannini, La tutela degli interessi collettivi nei procedimenti amministrativi, in AA.VV, cit., 23 ss.; F.G. Scoca, La tutela degli interessi collettivi nel processo amministrativo, ivi, 43 ss.. (7) Per una ricostruzione del dibattito cfr. anche V. Vigoriti, Interessi collettivi e processo. La legittimazione ad agire, Milano, 1979, 17 ss.. (8) Sul riconoscimento degli interessi diffusi e collettivi come forma di “apertura” dell’ordinamento rispetto alle rigidità delle situazioni giuridiche soggettive individuate anche a livello costituzionale, anche in ottica di politica del diritto, cfr. già V. Denti, op. cit., 13. (9) La connessione fra tutela degli interessi collettivi e struttura del processo amministrativo era evidenziata già da F.G. Scoca, op. cit., 46, anche alla luce della tradizionale giurisprudenza del Consiglio di Stato. (10) Nei termini della teoria generale del processo, si profilerebbe la possibilità di qualificare il giudizio amministrativo a tutela di interessi collettivi come giudizio a contenuto (parzialmente) oggettivo, come profilato da E. Allorio, L’ordinamento giuridico nel prisma dell’accertamento giudiziale, in Id., L’ordinamento giuridico nel prisma dell’accertamento giudiziale e altri studi, Milano, 1958, 118 ss.. Sulla presenza di tratti “oggettivistici” della giustizia amministrativa, anche in rapporto all’emersione di posizioni meta-individuali, cfr. R. Lombardi, op. cit., 65 ss.; B. Marchetti, Il giudice amministrativo tra tutela soggettiva e oggettiva: riflessioni di diritto comparato, in Dir. Proc. Amm., 2014, 74 ss.; per ulteriori spunti in tal senso, legati al rapporto fra giurisdizione e amministrazione, cfr. G. Napolitano, Il grande contenzioso economico nella codificazione del processo amministrativo, in questa Rivista, 2011, 677 ss.. Coglie in chiave problematica l’intera vicenda V. Domenichelli, Le parti del processo, in (diretto da) S. Cassese, Trattato di diritto amministrativo. Parte speciale, IV, Milano, 2000, 3278 ss.. (11) Si tratta di un aspetto già avvertito, nei suoi risvolti problematici, da V. Denti, op. cit., 6 ss.. e, più ampiamente, da F.G. Scoca, op. cit., 44 ss., che bene sottolineava l’incerta collocazione degli interessi diffusi e collettivi, in una “zona grigia” fra interesse legittimo e di mero fatto. (12) Sull’inammissibilità delle azioni popolari nell’attuale sistema di giustizia amministrativa, salvo ipotesi specifiche, cfr. da ultima C. Cudia, op. cit., 239 ss.; in giurisprudenza, l’orientamento costante è ribadito da Cons. Stato, sez. IV, 6 dicembre 2013, n. 5830; Cons. Stato, sez. IV, 13 dicembre 2012, n. 6411; Cons. Stato, sez. VI, 16 febbraio 2011, n. 983. (13) Specie con riferimento alla giurisprudenza più risalente, cfr. F.G. Scoca, op. cit., 57 ss.. Per una sintesi del dibattito e delle problematiche sottese cfr. R. Ferrara, op. cit., 486 ss., che puntualmente osserva come, almeno nelle originarie teorizzazioni, l’interesse collettivo si risolvesse in una variante dell’interesse legittimo, da cui si differenziava soprattutto sotto il profilo funzionale, permettendo un risparmio di costi e tempi nell’accesso alla giustizia. (14) Cfr. C. Punzi, La tutela giudiziale degli interessi diffusi e degli interessi collettivi, in L. Lanfranchi, a cura di, op. cit., 17 ss.; Id., Le animulae vagulae blandulae e l’altra faccia della luna, in Id., a cura di, op. cit., XIX ss., cui si rinvia anche per ulteriori approfondimenti bibliografici. Per una critica a tale concezione cfr. però V. Denti, op. cit., 15, secondo il quale il fenomeno si 602 Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Giurisprudenza Giustizia amministrativa Su questo fondale si stagliano pure gli sforzi definitori di giurisprudenza e dottrina, che hanno innanzitutto distinto gli interessi diffusi dagli interessi collettivi, qualificando i primi come interessi adespoti e indifferenziati (15) ed i secondi come interessi che hanno come portatore un ente esponenziale di un gruppo non occasionale (16). Nell’ambito un percorso evolutivo pluridecennale, si è riconosciuto come la legittimazione ad agire delle formazioni sociali - specialmente associazioni e sindacati - possa essere riconosciuta ex lege, o sulla base di indici inerenti al radicamento territoriale ed alla capacità rappresentativa dei singoli centri di imputazione, superando quindi lo schema restrittivo della legittimazione straordinaria e riconoscendo ai gruppi sociali sufficientemente strutturati una legittimazione ordinaria ad agire a tutela di interessi meta-individuali (17). La sentenza in commento si pone su questa stessa linea evolutiva, laddove precisa come l’interesse collettivo sia una posizione giuridica che va riferita in via esclusiva al solo ente esponenziale, senza potersi confondere o sovrapporre con i diritti sogget- tivi o gli interessi legittimi dei singoli membri (18). Da tale premessa deriva che l’affermata titolarità dell’interesse collettivo è criterio di legittimazione ad agire dell’ente stesso, senza che vi sia la necessità di ricorrere alle figure della legittimazione straordinaria o della sostituzione processuale a sensi dell’art. 81 c.p.c. (19). Si tratta di una posizione che si può condividere in astratto, ma che nondimeno impone di approfondire le concrete caratteristiche del fenomeno. Se, infatti, si passa ad un esame dettagliato dell’intera questione, può osservarsi come i concetti di interesse diffuso e collettivo finiscano per accomunare sotto categorie generali una pluralità di fenomeni distinguibili sul piano sostanziale e processuale (20): basti far qui riferimento ai temi e problemi della legittimazione delle associazioni ambientalistiche (21), o della tutela dei consumatori (22) e degli utenti dei servizi pubblici (23), della class action verso le amministrazioni prevista dal d.lgs. n. 198/2009 (24). In tutte queste vicende possono scorgersi diverse dinamiche economico-sociali, a propria volta in- risolverebbe in una sorta di circolo vizioso, dato che la legittimazione ad agire postula a propria volta determinate concezioni dell’azione, ricostruibili solo alla luce delle posizioni giuridiche sostanziali rispetto alle quali si chiede tutela; un’analoga critica è espressa da R. Ferrara, op. cit., 486 ss.. (15) Per le principali questioni definitorie, a partire da M. S. Giannini, La tutela, cit., 23 ss. cfr. R. Ferrara, op. cit., 486 ss., nonché - nei contributi più recenti - C. Cudia, op. cit., 25 ss.; (16) Cfr. già E. Bonaudi, op. cit., 5 ss.; B. Caravita, op. cit., 183 ss.; R. Ferrara, op. cit., 486 ss.; M.S. Giannini, La tutela, cit., 23, che individuava come portatori di interessi collettivi gli enti pubblici su base associativa, le associazioni private riconosciute, gli enti associativi cc.dd. di privilegio (fra cui i sindacati) e le associazioni di fatto. Per una critica alla tesi gianniniana cfr. però V. Vigoriti, op. cit., specie 37 ss.. (17) Per una sintesi delle problematiche inerenti alla tutela degli interessi diffusi cfr. B. Caravita, op. cit., 167 ss.; C. Cudia, op. cit., 50 ss.. (18) Si tratta di una linea evolutiva già ampiamente tratteggiata, proprio con riferimento alle associazioni sindacali, da R. Ferrara, op. cit., 486 ss. (19) Nella pronuncia in commento, questa chiave di lettura ha consentito di superare pure gli ostacoli inerenti alla necessità di qualificare la legittimazione ad agire a tutela di una parte degli iscritti al sindacato nei termini di legittimazione straordinaria ad agire ex art. 81 c.p.c., la cui fonte andrebbe individuata in una specifica norma di legge, assente nel caso di specie. Questo ostacolo viene riconosciuto dalla giurisprudenza maggioritaria, che nega quindi la legittimazione ad agire delle associazioni sindacali: cfr. Cons. Stato, sez. III, 11 aprile 2014, n. 1787; Cons. Stato, sez. VI, 18 aprile 2012, n. 2208, con ulteriori richiami giurisprudenziali. (20) Essenziali, a questo riguardo, le notazioni di U. Pototschnig, Intervento, in AA.VV., op. cit., 323 ss.; F.G. Scoca, La tutela, cit., specie 47 ss.. (21) Cfr. per tutti R. Donzelli, op. cit., 675 ss., nonché L. Di Cola, La tutela dell’ambiente, in L. Lanfranchi, a cura di, op. cit., 253 ss., e G. Bonato, La tutela dell’ambiente secondo la l. n. 349 del 1986, con le successive modificazioni del d.lgs. n. 267/2000, ivi, 299 ss., cui si rinvia per ulteriori approfondimenti bibliografici. Sul punto, a partire dalle previsioni della l. n. 349/1986, cfr. pure M. Nigro, Le due facce dell’interesse diffuso: ambiguità di una formula e mediazioni della giurisprudenza (1987), ora in Id., Scritti giuridici, III, Milano, 1996, 1858 ss.. (22) Cfr. fra gli altri C. Consolo, L. Zuffi, L’azione di classe ex art 140 bis Cod. Cons.. Lineamenti processuali, Padova, 2012; T. Febbrajo, L’azione di classe a tutela dei consumatori, Napoli, 2012; R. Donzelli, op. cit., 754 ss.; E. Odorisio, La tutela giurisdizionale dei diritti dei consumatori e degli utenti: concorso di azioni e “giusto processo” civile, in L. Lanfranchi, op. cit., 487 ss.. Da ultimo, cfr. anche G. Afferni, Recenti sviluppi nell’azione di classe, in Contr. e Impresa, 2013, 1275 ss.. (23) Per un’impostazione della problematica, cfr. tra gli altri A. Corpaci, a cura di, La tutela degli utenti nei servizi pubblici, Bologna, 2003, ss.; G. Napolitano, Servizi pubblici e rapporti di utenza, Padova, 2001, specie 594 ss.; M. Ramajoli, La tutela dell’utente nei servizi pubblici a carattere imprenditoriale, in Dir. Amm., 2000, 383 ss.; R. Rinaldi, La posizione giuridica soggettiva dell’utente di servizi pubblici, Padova, 2011, specie 149 ss.. (24) Tra gli altri, cfr. A. Bartolini, La class action nei confronti della p.a. tra favole e realtà, in GiustAmm, 2009; F. Cintioli, Note sulla c.d. class action amministrativa, in Giust.Amm, 2010; C. Cudia, op. cit., 286 ss.; C. E. Gallo, La class action nei confronti della pubblica amministrazione, in Urb. e app., 2010, 501 ss.; R. Lombardi, op. cit., 143 ss.; D. Giuliani, La c.d. class action pubblica: una tutela potenziale, in Corr. merito, 2013, 96 ss.; F. Manganaro, L’azione di classe in un’amministrazione che cambia, in GiustAmm, 2010; G. Marena, La tutela collettiva degli interessi privati in relazione all’efficienza pubblicistica: la class action, in Danno e Resp., 2011, 1160 ss.; S. Pellizzari, Gli interventi di riforma della pubblica amministrazione: misurazione delle performance pubbliche, qualità dei servizi e ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici, in Dir. & For., 2010, 90 ss.; C. Tubertini, La prima applicazione della class action amministrativa, in questa Rivista, 2011, 862 ss.. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 603 Giurisprudenza Giustizia amministrativa quadrabili nel più ampio contesto del pluralismo giuridico-amministrativo riconosciuto dalla Costituzione e dalle fonti sovranazionali di riferimento: situazioni che sembrano giustificare un trattamento differenziato dei singoli fenomeni, o, almeno, una specifica analisi di ciascuna posizione meta-individuale e dei problemi che ne caratterizzano la protezione, anche in rapporto con la tutela delle posizioni giuridiche soggettive di tipo tradizionale (25). Ciò obbliga a considerare la tutela dell’interesse collettivo (e diffuso) non tanto in rapporto ad astratte categorie ordinatorie, ma in relazione alle diverse modalità di tutela delle posizioni giuridiche individuali e meta-individuali che fronteggiano l’esercizio del potere amministrativo, ponendosi anche in potenziale concorrenza (26). Restringendo il campo d’analisi alle vicende sottese alla pronuncia in esame, dove vengono in gioco questioni attinenti all’organizzazione interna delle amministrazioni ed alla disciplina del pubblico impiego, pare indubbio il conflitto fra diverse esigenze di tutela: quella del dipendente pubblico individualmente considerato, che fa valere posizioni soggettive riconducibili al diritto al lavoro riconosciuto dagli artt. 4, 35 e 36 Cost.; quella del dipendente pubblico che appartiene ad un determinato gruppo o sotto-gruppo professionale, a sensi degli artt. 2, 18 e 39 Cost.; quella del sindacato stesso, inteso come organizzazione sociale rappresentativa dell’interesse collettivo dei propri iscritti, a sensi degli artt. 2 e 39 Cost. (27). Un simile schema ricorre pure nella controversia in esame. Il regolamento dell’Agenzia delle Entrate originariamente impugnato innanzi al Tar Lazio risultava infatti lesivo dei diritti o interessi dei singoli dirigenti danneggiati dalla c.d. “temporanea reggenza”; dei diritti o interessi dell’intera catego- La scelta compiuta dal giudice non riguarda la sola qualificazione della posizione giuridica fatta valere dal sindacato, ma, a monte, la struttura complessiva della tutela esperibile a fronte di atti lesivi di una pluralità di situazioni giuridiche soggettive. Si è visto si sia riconosciuta la legittimazione ad agire del sindacato anche nell’ipotesi in cui l’ente esponenziale faccia valere il diritto di una sola parte dei propri iscritti, in potenziale contrasto con quello della parte residua, e come il Consiglio di Stato abbia ricondotto all’interesse “collettivo” anche questa tipologia di situazioni (28). La conclusione è finemente argomentata, e fa leva su un’interpretazione evolutiva dei concetti di (25) Su questo fenomeno cfr. M.S. Giannini, Il pubblico potere, Bologna, 1986, 69 ss., nonché S. Cassese, L’arena pubblica. Nuovi paradigmi per lo Stato, in Id., La crisi dello Stato, Roma-Bari, 2002, 74 ss.; Id., La formazione e lo sviluppo dello Stato amministrativo in Europa, in S. Cassese, P. Schiera, A. Von Bogdandy, Lo Stato e il suo diritto, Bologna, 2013, 36 ss.. La conclusione pare giustificata se si ritiene che il fatto organizzatorio costituisca l’elemento ordinatore dell’interesse collettivo: in un ordinamento caratterizzato da una pluralità di valori ed interessi, da una pluralità di centri di imputazione in possibile conflitto e da una pluralità di “fatti organizzatori”, la disciplina giuridica del fenomeno non può che essere differenziata, al netto dell’utilità di nozioni onnicomprensive come quella di interesse collettivo. Sul punto cfr. anche R. Ferrara, op. cit., 486 ss. (26) Su questo piano potrebbe quindi tentarsi un inquadramento delle possibili soluzioni dei problemi sollevati da R. Ferrara, op. cit., 488, circa il rapporto fra tutela dell’interesse collettivo e tutela delle posizioni individuali di chi non si riconosca in una determinata associazione o, nel caso in cui ne sia parte, in alcune iniziative di quest’ultima: caso che, in effetti, si riscontra nella controversia in esame. Si tratta di interrogativi posti recentemente anche da C. Cudia, op. cit., 87. Restano essenziali le osservazioni di M. Nigro, Formazioni sociali, poteri privati e libertà del terzo (1975), ora in Id., Scritti giuridici, II, Milano, 1996, 1132 ss. (27) Con riguardo alla controversia in esame, il tema si interseca con le più ampie problematiche inerenti all’attività processuale delle associazioni sindacali e degli stessi lavoratori: cfr. R. Donzelli, op. cit., 505 ss., e, in precedenza, U. Romagnoli, Le associazioni sindacali nel processo, Milano, 1969; G. Tarzia, Le associazioni di categoria nei processi civili con rilevanza collettiva, in Riv. Dir. Proc., 1987, 774 ss.. (28) Nei termini di B. Caravita, op. cit., 186, il Consiglio di Stato sembra ritenere che l’interesse collettivo derivi dalla sintesi - non dalla mera somma - degli interessi individuali, e non coincida quindi con l’interesse superindividuale della totalità degli iscritti all’associazione. 604 ria dei soggetti in possesso di qualifiche dirigenziali; degli interessi del sindacato come ente esponenziale della categoria dei dirigenti. Al contempo, lo stesso regolamento conteneva prescrizioni favorevoli ad un’altra parte degli iscritti, ossia ai soggetti che, pur privi di idonea qualifica, potevano ricoprire ad interim mansioni dirigenziali. La situazione appare dunque più complessa di quanto non risulti dalle argomentazioni dei giudici, dove si enfatizza la distinzione fra interessi superindividuali e collettivi, senza tener conto di altre posizioni giuridiche concorrenti. Interessa sottolineare la rilevanza degli interessi dei singoli sotto-gruppi sindacali, dato che la linea di demarcazione fra le singole situazioni soggettive è una variabile idonea a condizionare l’esito dell’intera controversia e la più generale plausibilità delle conclusioni cui è giunto il Consiglio di Stato. Il problema dei conflitti interni alle formazioni sociali: interessi collettivi, omogenei, individuali Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Giurisprudenza Giustizia amministrativa interesse superindividuale e collettivo, che, nel silenzio della legge, può ritenersi potenzialmente ammissibile, oltre che astrattamente coerente con una lettura combinata degli artt. 2, 39 e 24 Cost.. Occorre tuttavia analizzarne alcuni dettagli. In uno dei passaggi più interessanti della sentenza si afferma che l’interesse collettivo non nasce dalla sommatoria delle singole posizioni individuali (29), e non è quindi espressivo di una ipotetica ed ideale volontà generale della totalità dei membri delle singole organizzazioni sociali, ma è il frutto di una valutazione compiuta dall’ente esponenziale: valutazione che esprime la discrezionalità propria di un ordinamento giuridico privato, che assume su di sé il potere di stabilire quali interessi di gruppo siano meritevoli di tutela (30). Ci si può tuttavia chiedere se l’ordinamento statuale sia davvero indifferente alle modalità attraverso cui viene individuata, all’interno delle singole formazioni sociali, la posizione giuridica soggettiva (o plurisoggettiva) di cui si chiede tutela: in tal caso, infatti, si affida alla decisione eteronoma di organismi privati la facoltà di selezionare le posizioni giuridiche astrattamente meritevoli di protezione, giungendo, in ultima analisi, ad ampliare o restringere senza un limite definito l’ambito della tutela giurisdizionale usualmente garantita dal sistema (31). Il problema si pone con particolare evidenza nell’ambito di formazioni sociali in cui la decisione di agire in giudizio non è necessariamente il frutto di una scelta presa dalla maggioranza dei membri, ma spetta ad organismi apicali tendenzialmente liberi di stabilire se sia opportuno o meno agire in giudizio a tutela dei propri iscritti o - come nel caso in esame - di una parte di essi: a prescindere dalle problematiche inerenti alla legittimazione degli organi delle formazioni sociali, preme qui rilevare co- me la scelta di agire in giudizio sia pur sempre riferibile all’esercizio di un potere privato potenzialmente lesivo degli interessi di determinati gruppi interni alla formazione o di minoranze dissenzienti (32). La questione va risolta muovendo dal diritto positivo, verificando in quali casi sia già ammessa la legittimazione ad agire di formazioni sociali a tutela di una specifica parte dei propri iscritti. Una distinzione affine a quella profilata dal Consiglio di Stato pare contenuta nell’art. 4 dello Statuto delle imprese (l. n. 180/2011), che riconosce alle associazioni imprenditoriali la legittimazione ad agire tanto a tutela di interessi riferibili alla generalità dei soggetti appartenenti alla categoria professionale, quanto a tutela di interessi omogenei, riferibili solo ad alcuni di essi (33): gli interessi omogenei cui fa riferimento il legislatore sarebbero perciò assimilabili agli interessi collettivi in senso proprio cui si riferisce la sentenza in commento, proprio per il fatto che, in entrambi i casi, i centri di imputazione non sono dati dall’intero gruppo organizzato, ma da una frazione omogenea del gruppo che si identifica nel sindacato. Diviene allora essenziale chiedersi se le previsioni di legge siano ricognitive di un principio generale che riconosce alle associazioni la più ampia legittimazione ad agire anche a tutela degli interessi omogenei di un proprio sotto-gruppo, o se non si tratti, piuttosto, del riconoscimento di una legittimazione straordinaria ad agire nell’interesse altrui, in coerenza con le previsioni dell’art. 81 c.p.c.: il fatto che la legittimazione ad agire a tutela di interessi super-individuali non abbia bisogno di un esplicito riconoscimento normativo non implica, infatti, che lo stesso valga per la tutela degli interessi omogenei, o collettivi in senso proprio (34). (29) Si tratta di una problematica ampiamente approfondita dalla dottrina: se negli scrittori liberali si tendeva a negare la stessa esistenza dell’interesse collettivo come entità distinta dalla somma degli interessi individuali, in altri scrittori di età successiva si riconosceva pacificamente come l’interesse collettivo trascendesse la posizione dei singoli fino a rappresentare la loro “sintesi”. Per un richiamo alle posizioni della dottrina, anche di epoca corporativa, cfr. V. Vigoriti, op. cit., specie 44 ss.. (30) L’esistenza di una siffatta discrezionalità, comunque riconducibile all’autonomia privata, è evidenziata da B.G. Mattarella, Discrezionalità, in S. Cassese, a cura di, Dizionario di diritto pubblico, III, Milano, 2006, 1993 ss.. Si tratta di una vicenda consequenziale all’esistenza di ordinamenti giuridici privati, contraddistinti da norme interne che conferiscono potestà latu sensu valutative agli organi di ciascun gruppo organizzato, nei termini di Sal. Romano, Ordinamenti giuridici privati (1955), in Id., Scritti minori, I, Milano, 1980, 449 ss.. (31) Questo aspetto è colto, fra gli altri, da V. Domenichelli, op. cit., 3279. (32) Il fenomeno si riscontra anche con riferimento a determinati enti pubblici: nel caso paradigmatico dei Comuni, il Sindaco valuta se sia opportuno agire in giudizio senza la necessaria autorizzazione della Giunta o del Consiglio, in forza di una legittimazione che proviene solo indirettamente dal voto popolare: il che non sembra tuttavia sufficiente a legittimare qualsiasi scelta effettuata dal legale rappresentante dell’ente, specie se in contrasto con gli interessi della popolazione locale o di determinate minoranze. Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 8 gennaio 2013, n. 40; Cons. Stato, sez. V, 15 ottobre 2012, n. 5277, con specifici approfondimenti del problema subito infra. (33) Sul punto, e sulla necessità di qualificare la legittimazione delle associazioni di categoria come straordinaria ed ex lege, cfr. G. Tanzarella, Lo Statuto delle imprese, in Urb. e app., 2012, 161 ss. (34) Per un’impostazione del problema cfr. M. Nigro, Le due facce, cit., 1865 ss.. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 605 Giurisprudenza Giustizia amministrativa Se non vi è dubbio che il primo periodo dell’art. 4 della l. n. 180/2011 sia ricognitivo di un principio ormai consolidato, per cui un’associazione di categoria può normalmente agire in giudizio a tutela degli interessi della totalità dei propri iscritti, trattandosi della tipica ipotesi di interesse collettivo tradizionalmente inteso (35), più arduo è riconoscere una valenza ricognitiva al secondo periodo della disposizione, che conferisce autonoma rilevanza agli interessi omogenei. E’ vero che una locuzione similare viene utilizzata anche dall’art. 1, c. 4, del d.lgs. n. 198/2009, con riferimento alla legittimazione ad agire di comitati e associazioni di utenti e consumatori, ma ciò non pare sufficiente per individuare un principio generale sottostante ad entrambe le previsioni, applicabile in altre ipotesi non previste dalla legge (36). Il tenore testuale delle due disposizioni appena richiamate pare, semmai, confermare come si tratti di ipotesi di legittimazione straordinaria, proprio perché gli interessi omogenei appartengono ad un gruppo che non coincide integralmente con la formazione sociale che agisce in giudizio, e che si distingue - o, addirittura, si contrappone - ad altri sotto-gruppi interni ad essa (37). Si tratta di una condizione di alterità che infirma, già sul piano logico e pre-giuridico, la possibilità di qualificare gli interessi omogenei come situazioni riferibili in via esclusiva alla formazione sociale di riferimento, tali da giustificare una legittimazione ordinaria ad agire a loro tutela. Ciò implica, quindi, che nel caso di specie una legittimazione ad agire del sindacato si potrebbe profilare, in via straordinaria, solo a fronte di previsioni legislative di tenore analogo a quello dell’art. 4 dello Statuto delle imprese, mentre non pare che il giudice possa liberamente conferire rilevanza e protezione degli interessi omogenei oltre i limiti stabiliti dal legislatore: è indubbia l’esistenza del problema socio-politico sollevato dai giudici, secondo i quali il riconoscimento degli interessi omogenei consente l’accesso alla giustizia di associazioni sindacali rappresentative di una pluralità di categorie lavorative, ma pare evidente come la sua soluzione spetti al legislatore, con interventi normativi che estendano ai sindacati dei lavoratori un regime analogo a quello delle associazioni datoriali (38). Nei confronti di questa operazione interpretativa possono comunque addursi ulteriori rilievi critici. Quando si fa riferimento agli interessi omogenei, viene sottaciuta la posizione di soggetti che, pur appartenendo alla stessa formazione sociale, non rientrano nella categoria di riferimento: o per essere del tutto indifferenti alla situazione controversa, o per avere un interesse omogeneo di segno contrario a quello fatto valere dall’organizzazione sociale (39). Il tema è stato avvertito in giurisprudenza con riferimento alla legittimazione ad agire in giudizio degli enti territoriali che si affermano portatori di interessi collettivi riferibili alla propria popolazione. Lo stesso Consiglio di Stato ha puntualmente chiarito come questi ultimi agiscano nell’esercizio di una volontà “presunta” del corpo sociale di riferimento, senza dare riconoscimento a posizioni di minoranza o dissenzienti, che restano assorbite dall’iniziativa giudiziale (40). Si tratta di un assunto che vale per ogni organizzazione complessa, compresi i sindacati (41). Nella controversia inerente alla legittimazione dell’ente territoriale, il Consiglio di Stato ha risolto la questione verificando se l’atto contestato determinasse una lesione a carico di tutta la collettività, così da individuare un interesse oppositivo a rilevanza collettiva che giustificasse l’azione del Comune (42). (35) Cfr. per tutti F. Santoro Passarelli, Autonomia collettiva, in Enciclopedia del diritto, IV, Milano, 1959, 369 ss. (36) Cfr. C. Tubertini, op. cit., 862 ss.; G. Urbano, I nuovi poteri processuali delle autorità indipendenti, in questa Rivista, 2012, 1022 ss.. (37) Sulla perdurante efficacia di questo ordine di argomentazioni, con riferimento alla legittimazione ad agire delle associazioni sindacali, cfr. Cons. Stato, sez. III, 11 aprile 2014, 1787; Cons. Stato, sez. III, 28 febbraio 2013, n. 1221. (38) In tal senso, cfr. Tar Lazio, Roma, sez. II, 19 luglio 2013, n. 7332, con ampio richiamo a precedenti giurisprudenziali dello stesso Consiglio di Stato. (39) Cfr. M. Nigro, op. cit., 1134 ss., specie laddove si ammette che anche il socio o l’associato possano essere “terzi” rispetto alla formazione sociale di appartenenza. (40) Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 9 dicembre 2010, n. 8683, anche a fronte della difficoltà di individuare i reali orientamenti della maggioranza del corpo elettorale, con implicito riferimento al c.d. “paradosso” di Condorcet e al teorema di Arrow. Sul punto cfr. M. Abrescia, Scelte collettive e vincoli costituzionali, in G. Napolitano, M. Abrescia, Analisi economica del diritto pubblico, Bologna, 2009, 105 ss.. (41) Sul punto cfr. le distinzioni profilate da B. Caravita, op. it., 186. (42) Il collegio riteneva, infatti, che la legittimazione dovesse essere verificata in concreto, e che dovesse essere necessariamente collegata all’esistenza di un danno, diffuso seppure di entità contenuta, che potesse ricadere sulla “intera collettività”, escludendo quindi che in concreto si potessero frazionare gli interessi. Per un commento alla pronuncia, cfr. C. Formenti, Legittimazione processuale degli enti territoriali: il “tragitto concettuale” del Consiglio di Stato. Il caso delle tariffe autostradali, in Foro Amm.-CdS, 2011, 1192 ss.. 606 Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Giurisprudenza Giustizia amministrativa Quanto osservato non implica necessariamente che tutti i membri del gruppo debbano condividere la posizione giuridica fatta valere in giudizio, così da subordinare la tutela alla sussistenza di una posizione unanime interna alla formazione sociale. Sembra, però, che il giudice debba quantomeno appurare come all’interno di una data collettività non sussistano gruppi portatori di interessi contrapposti alla posizione giuridica di cui si chiede tutela, come tali potenzialmente idonei ad assumere la posizione di controinteressati nell’ambito del giudizio promosso dalla stessa formazione sociale (43). Ciò porta a ritenere che il concetto - altrimenti sfuggente - di interesse omogeneo (o collettivo in senso proprio) coincida con una situazione giuridica riferibile ad una parte del gruppo sociale di riferimento, cui non si contrappongano gli interessi di altra parte del gruppo sociale; il che esclude in limine l’esistenza di un interesse omogeneo nell’ipotesi di conflitto di interessi fra diverse categorie di membri (44). Ne deriva che, pure nell’inconcessa ipotesi in cui la tutela degli interessi omogenei fuoriesca dallo schema della legittimazione straordinaria ex art. 81 c.p.c., e sia ammessa dall’ordinamento in forza di un generale principio di favor per la tutela di ogni situazione giuridica effettivamente lesa da comportamenti illegittimi o illeciti, sarà necessario verificare se all’interno del gruppo di riferimento sussistano o meno situazioni di conflitto di interessi idonee ad inibire l’esercizio dell’azione da parte dell’ente esponenziale. Dai conflitti interni ai conflitti di interessi nelle formazioni sociali: un necessario filtro alla legittimazione ad agire In conclusione, può evidenziarsi come il Consiglio di Stato abbia omesso di valutare la sussistenza di un palmare conflitto fra dirigenti del sindacato ricorrente - portatori di un interesse omogeneo alla contestazione del regolamento - ed iscritti privi di (43) Su tecniche e modalità di individuazione dei controinteressati, come soggetti che hanno un vantaggio diretto ed immediato dall’atto impugnato, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 29 maggio 2012, n. 3212; Cons. Stato, sez. V, 2 febbraio 2012, n. 567; Cons. Stato, sez. IV, 6 giugno 2011, n. 3380; Cons. Stato, sez. V, 20 maggio 2008, n. 2356. (44) Per alcuni precedenti in termini, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 31 luglio 2013, n. 4034; Cons. Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3824; Cons. Stato, sez. V, 20 febbraio 2009, n. 1032. (45) Secondo il Consiglio di Stato, infatti, ritenere che la legittimazione ad agire sussista solo quando l’atto sia lesivo del- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 funzioni dirigenziali, interessati alla conservazione degli effetti favorevoli dell’atto impugnato. Il problema è stato solo incidentalmente avvertito dai giudici, che si sono limitati ad osservare come la presenza di un interesse alla conservazione dell’atto impugnato non possa precludere la legittimazione ad agire dell’associazione sindacale (45). Sarebbe stato invece auspicabile che, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, il giudice avesse vagliato pure l’estrinseca sussistenza di un conflitto di interessi in seno all’associazione di categoria, sufficiente ad escludere l’esistenza di un interesse collettivo in senso stretto, e a rigettare in rito le doglianze del sindacato. Questa conclusione trova avvallo nella stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato, che ha recentemente negato la legittimazione di associazioni sindacali che agivano in conflitto di interessi con una parte dei propri iscritti, non sussistendo in tali ipotesi una posizione giuridica omogenea interna alla formazione sociale (46). L’orientamento cui si fa rinvio consente, in particolare, di profilare una distinzione fra conflitti di interessi in senso improprio - che non precludono la legittimazione ad agire - e conflitti di interesse in senso proprio, che inibiscono la tutela giurisdizionale delle formazioni sociali (47). Un conflitto in senso improprio sussiste qualora una parte dei membri della formazione sociale sia potenzialmente danneggiata dall’accoglimento delle censure promosse da quest’ultima, idonee ad incidere su posizioni giuridiche soggettive individuali derivanti dall’atto favorevole impugnato. La posizione giuridica sostanziale che legittima l’opposizione o la resistenza di questi ultimi soggetti, tuttavia, non ha origine nella loro appartenenza alla formazione sociale, ma li coinvolge uti singuli, e differenzia la loro condizione rispetto a quella del gruppo e del sindacato. L’effetto è quello di riconoscere la legittimazione al ricorso dell’associazione di categoria, consentendo, al contempo, che i singoli individui siano qualificabili come controinteressati o possano intervel’interesse di tutti, e non solo di alcuni appartenenti alla categoria, comporta che l’ente esponenziale «non è legittimato a impugnare un atto, ritenuto illegittimo, e lesivo degli interessi collettivi, sol perché esso porta vantaggi (magari illegittimi) ad una parte dei suoi componenti». (46) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 17 gennaio 2014, n. 178. (47) La necessità di distinguere le due diverse tipologie di conflitti di interessi è evidenziata anche da Cons. Stato, sez. V, 12 agosto 2011, n. 4776; Cons. Stato, sez. V, 7 aprile 2011, n. 2148; Cons. Stato, sez. VI, 9 febbraio 2009, n. 710. 607 Giurisprudenza Giustizia amministrativa nire ad opponendum nel giudizio, facendo valere le proprie posizioni giuridiche individuali anche nei confronti della formazione sociale di appartenenza. Ciò spiega come, nella prassi giurisdizionale, sia stata riconosciuta la legittimazione al ricorso di un’associazione di categoria che contestava la formulazione di un bando di gara in quanto lesiva dell’interesse dei propri iscritti, non sussistendo un conflitto di interessi rispetto al singolo professionista che aveva ottenuto l’aggiudicazione della procedura (48). Sempre in tal senso deve interpretarsi l’Adunanza Plenaria n. 10/2011, in cui è stata riconosciuta la legittimazione ad agire di un ordine professionale per l’annullamento di varie delibere volte alla costituzione e scissione di una serie di società a partecipazione pubblica, alle quali partecipavano uti singuli anche alcuni dei propri iscritti (49). Un conflitto di interessi in senso proprio, tale da escludere in radice la legittimazione al ricorso, si ha invece quando la formazione sociale tutela gli interessi di una parte dei propri iscritti contro gli interessi di altri membri, che traggono beneficio da un atto non tanto uti singuli, ma in quanto parte di una categoria a propria volta tutelata dal medesimo sindacato (50). Ove, infatti, il sindacato agisse a tutela della sola categoria danneggiata dall’atto, facendo valere un interesse collettivo, la posizione giuridica sarebbe contraddistinta da una ineliminabile contraddizione interna, risolvendosi in una contestazione dell’atto che garantisce determinate utilità alla stessa formazione sociale; ciò finisce per incidere non so- lo sulla legittimazione, ma anche sullo stesso interesse al ricorso, dato che l’annullamento dell’atto sarebbe al contempo vantaggioso e svantaggioso per la formazione sociale (51). Questa contraddizione logico-giuridica preclude al sindacato la possibilità di far valere un interesse riconducibile ad una parte dei propri iscritti, anche se non impedisce la tutela delle categorie professionali effettivamente pregiudicate dall’atto lesivo: tutela che, tuttavia, non sarà garantita nelle forme del ricorso dell’associazione di categoria, ma nella più coerente forma del ricorso individuale o collettivo dei soggetti effettivamente danneggiati, senza quindi comprimere il loro diritto di difesa o altri diritti tutelabili dall’ordinamento (52). Gli artt. 24 e 2 Cost. ed il sistema processuale consentono infatti a gruppi omogenei di individui di ricorrere al giudice, qualora ritengano pregiudicati interessi comuni, senza che, allo scopo, sia necessaria la mediazione di una formazione sociale (53). Proprio nel solco di tali argomentazioni, recente giurisprudenza ha ritenuto che un sindacato rappresentativo di varie categorie professionali interne all’amministrazione pubblica non fosse legittimato ad impugnare una serie di delibere ritenute lesive degli interessi dei soli dirigenti, posto che tale azione si sarebbe posta in conflitto con gli interessi della categoria dei funzionari direttivi, parimenti rappresentati dal sindacato (54). Si ritiene, in conclusione, che all’interno della già tormentata nozione di interesse collettivo non sia del tutto produttivo individuare ulteriori distin- (48) Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 9 febbraio 2009 n. 710; Cons. St., sez. IV, 23 gennaio 2002 n. 391. (49) Cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 3 giugno 2011, n. 10, dove si è puntualmente osservato come non potesse negarsi che fra gli interessi istituzionali degli ordini ricorrenti vi fosse anche l’esigenza di assicurare il rispetto della par condicio nell’esercizio della libera professione, non sussistendo quindi un conflitto di interesse rispetto a singoli iscritti che “rivestendo ruoli particolari” come quello del docente universitario, traevano vantaggio da una serie di provvedimenti e delibere (corsivo mio, con riferimento al fatto che quei ruoli erano occupati uti singuli, non certo in quanto membri dell’ordine). (50) Cfr. B. Caravita, op. cit., 190, secondo il quale si tratterebbe di interessi c.d. “plurimi”, comuni ad alcuni membri ma in opposizione ad altri. Cfr. anche V. Simi, Categoria professionale, in Enciclopedia del diritto, VI, Milano, 1960, 516 ss.. (51) Sull’interesse al ricorso, cfr. L.R. Perfetti, Diritto di azione ed interesse ad agire nel processo amministrativo, Padova, 2004; B. Spampinato, L’interesse a ricorrere nel processo amministrativo, Milano, 2004, nonché R. Ferrara, Interesse e legittimazione a ricorrere (ricorso giurisdizionale amministrativo), in Dig. Disc. Pubbl., VIII, Torino, 1993-2011, con aggiornamenti di E. Grillo, ad vocem. In giurisprudenza, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 16 maggio 2011, n. 2961; Cons. Stato, sez. V, 31 gennaio 2001, n. 358. (52) Sul ricorso collettivo e le sue condizioni, anche in rapporto al litisconsorzio facoltativo previsto dall’art. 103 c.p.c., cfr. M. D’Orsogna, F. Figorilli, La fase introduttiva, in F.G. Scoca, a cura di, op. cit., 303 ss.. Per un’originaria impostazione del fenomeno, anche in rapporto alla tendenziale convergenza di interessi dei singoli co-ricorrenti, cfr. E. Guicciardi, La giustizia amministrativa, Padova, 1942, 183. Nella recente giurisprudenza, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 11 luglio 2013, n. 3747; Cons. Stato, sez. V, 21 giugno 2013, n. 3418; Cons. Stato, sez. IV, 29 dicembre 2011, n. 6990, dove si sottolinea come il ricorso collettivo presupponga che i ricorrenti agiscano a tutela di posizioni analoghe, lese dagli stessi provvedimenti. (53) Cfr. anche Cons. Stato, comm. speciale, parere 26 giugno 2013 n. 3014, secondo il quale, nelle ipotesi che si sono profilate, viene in questione l’interesse particolare di una parte degli iscritti contro l’interesse particolare di altri, con la conseguente legittimazione ad agire dei singoli (o gruppi di singoli) e non dell’organizzazione rappresentativa dei lavoratori. Che l’appartenenza ad una formazione sociale non precluda l’esercizio autonomo dell’azione da parte di individui (o gruppi di individui) ad essa appartenenti è evidenziato, da ultima, da C. Cudia, op. cit., 88 ss. (54) Cfr. Cons. Stato, sez. V, 17 gennaio 2014, n. 178, conferma di Tar Lazio, Roma, sez. I ter, 18 gennaio 2012, n. 611. 608 Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Giurisprudenza Giustizia amministrativa zioni fra posizioni riconducibili a determinate categorie di membri delle formazioni sociali: ai fini della legittimazione al ricorso, è forse preferibile qualificare l’interesse collettivo come l’interesse di tutti i membri, come derivante da una ricognizione delle posizioni dei singoli gruppi interni e dall’assenza di conflitti di interessi in senso proprio fra differenti gruppi. La soluzione non preclude tutele individuali o collettive, anche se comprime indubbiamente la legittimazione ad agire delle formazioni sociali caratterizzate da alta conflittualità interna: si tratta una scelta che rispecchia la pluralità degli interessi in gioco e delle rispettive tutele, a propria volta espressiva della complessità stessa dell’ordinamento (55). (55) A riprova della relatività delle conclusioni cui giunge il Consiglio di Stato, si osservi come una concezione restrittiva della legittimazione a ricorrere delle associazioni sindacali possa essere intesa come un fattore di sviluppo del sistema, sempre nell’ambito del pluralismo istituzionale e organizzativo, va- lorizzando il ruolo delle piccole e medie associazioni: cfr. già M. Nigro, Formazioni sociali, cit., 1155 ss., con accenti critici nei confronti di quello che veniva incisivamente descritto come “l’imperialismo delle grosse formazioni”. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 609 Course of Legal English L’ebook per tutti i professionisti che desiderano migliorare le loro capacità linguistiche di conversazione, ascolto, lettura e scrittura. La didattica utilizza un ricco parco di argomenti legali, inclusi i contratti, la costituzione di una società, civil law versus common law, diritto societario e diritto del lavoro. 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Mariuzzo - Est. Gisondi Gli atti di pianificazione urbanistica che dispongono limiti o restrizioni all’insediamento di nuove attività economiche in determinati ambiti territoriali, sono sindacabili, anche attraverso un’analisi degli atti preparatori e delle concrete circostanze di fatto che a tali atti fanno da sfondo, per verificare se effettivamente i divieti imposti possano ritenersi correlati e proporzionati a effettive esigenze di tutela dell’ambiente urbano o afferenti all’ordinato assetto del territorio, dovendosi, in caso contrario, reputare che le limitazioni in parola non siano riconducibili a motivi imperativi di interesse generale e siano, perciò, illegittime. Una volta decorso il periodo assegnato dai d.l. n. 201/2011 e n. 1/2012 agli enti territoriali per recepire i principi di liberalizzazione dei mercati nei propri ordinamenti, le norme regolamentari e gli atti amministrativi generali con essi incompatibili debbono considerarsi automaticamente abrogati e, quindi, non più applicabili anche nei giudizi concernenti l’impugnazione di atti applicativi. ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI Conforme Tar Lombardia, Milano, sez. II, 10 marzo 2014, n. 612 Difforme Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 18 febbraio 2013, n. 130 Omissis. IL COMMENTO di Giuliano Fonderico La sentenza del Tar Lombardia propone un test stringente di proporzionalità per gli atti di programmazione territoriale che ostacolano le attività economiche, come i divieti di insediare medie o grandi strutture di vendita in determinate zone. Se l’ente non dimostra che le misure sono necessarie per tutelare esigenze imperative di interesse generale, opera l’abrogazione prevista dalle norme di “liberalizzazione” degli ultimi anni. Questa interpretazione, oltre ad accentuare l’apertura concorrenziale del mercato, potrebbe indurre un mutamento anche nei tratti più tradizionali della programmazione territoriale. Il caso Un’impresa della grande distribuzione commerciale chiedeva a un comune un’autorizzazione per l’ampliamento della superficie di vendita di un proprio esercizio, da 600 a 804 mq. L’estensione sarebbe avvenuta con la sola redistribuzione degli spazi interni, riducendo la superficie a magazzino e ampliando quella commerciale. Il volume e la sagoma dell’edificio non sarebbero mutati. Il comune rigettava l’autorizzazione in virtù di una disposizione del piano di governo del territorio che, nelle aree della tipologia interessata, a prevalente destinazione residenziale, escludevano l’inse- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 diamento delle strutture di vendita con superficie superiore a 600 mq (definite “strutture di vendita di secondo livello”). L’impresa impugnava dinanzi al Tar il diniego di autorizzazione e le disposizioni urbanistiche che lo avevano giustificato. I motivi riguardavano la violazione del decreto di recepimento della direttiva “servizi” (d.lgs. n. 59/2010) dei decreti legge “stabilizzazione e sviluppo” (n. 138/2011), “salva Italia” (n. 201/2011), e “cresci Italia” (n. 1/2012), per la parte in cui tali norme hanno precluso le restrizioni alle attività imprenditoriali non motivate da interessi pubblici primari o legate a finalità economiche. Gli atti impugnati, secondo la ricorrente, non 611 Giurisprudenza Edilizia ed urbanistica erano giustificati da motivi imperativi di interesse generale e, in ogni caso, non rispettavano il principio di proporzionalità. La stessa distinzione tra strutture di superficie inferiore e superiore a 600 mq aveva origine nella disciplina sulle autorizzazioni commerciali e dipendeva da un’analisi del rapporto tra la domanda e l’offerta che non poteva trovare collocazione negli strumenti urbanistici. La normativa sul commercio ha visto succedersi nel tempo vari regimi di accesso al mercato. Alla sostanziale libertà della disciplina post-unitaria, che incontrava eccezioni per singole tipologie di esercizi (ad esempio, per esigenze di polizia (1)), ha fatto seguito per un lungo periodo il potere comunale di valutare per ciascuna istanza l’equilibrio tra domanda e offerta (d.l. n. 2174/1926) (2). Il potere è stato poi iscritto in una più ampia funzione di programmazione “razionale” della rete distributiva, attribuita sempre ai comuni (l. n. 426/1971). I comuni esaurivano la loro discrezionalità negli atti di programmazione - denominati “piani di sviluppo e adeguamento” - il rilascio delle singole autorizzazioni commerciali aveva carattere vincolato. Un primo punto di svolta si è avuto con il d.lgs. n. 114/1998. Il decreto non ha più previsto i piani del commercio come atti autonomi di programmazione e ha alleggerito sensibilmente i regimi di accesso all’attività, specie per gli “esercizi di vicinato” passati alla comunicazione preventiva. Il decreto non ha tuttavia rinunciato a ogni forma di programmazione del commercio. Sono stati conservati vari strumenti tipici della cosiddetta “urbanistica commerciale”, quali le “zonizzazioni” vincolanti e gli standard urbanistici (spazi pubblici, parcheggi ecc.) per gli insediamenti delle strutture di vendita. Le amministrazioni dovevano sempre verificare che le attività commerciali non eccedessero determinate soglie di sostenibilità né snaturassero la vocazione della “zona” prescritta dagli atti di programmazione urbanistica. La riforma lasciava altresì spazio per programmazioni più propriamente eco- nomiche, riproducendo criteri presenti nella normazione anteriore (es., l’equilibrato sviluppo delle diverse tipologie distributive, la produttività del sistema) ed esplicitandone altri (come la tutela degli esercizi di vicinato e artigianali nei centri storici) che, pur riguardando prioritariamente obiettivi non economici, potevano sempre alterare gli equilibri spontanei tra domanda e offerta (3). Quello che sembrava scomparso dalla nuova programmazione del commercio era il potere generale di bilanciare la domanda con l’offerta e, a tal fine, di porre contingenti e limiti quantitativi alla offerta del servizio. Il decreto n. 114 non aveva più previsto la fissazione di «limiti massimi in termini di superficie locale», che invece potevano essere indicati dai precedenti piani comunali, e ragionava in termini di “obiettivi” tendenziali di offerta da raggiungere, senza tuttavia preclusioni al loro superamento. Gli effetti più intensi del decreto n. 114 si sono fatti sentire per gli esercizi di vicinato, che hanno beneficiato dell’eliminazione di quei poteri di micro regolazione - es., sui requisiti professionali dell’esercente, sui limiti all’assortimento - che più ne limitavano la nascita e la differenziazione. I soli centri storici hanno continuato a vedere, anche a tale livello dimensionale, regimi specifici maggiormente restrittivi. Per le strutture di vendita mediograndi, le regioni e i comuni hanno talvolta rinunciato a svolgere in forme coercitive gli spazi di programmazione economica in senso proprio consentiti dal d.lgs. n. 114/1998. Molti comuni hanno continuato ad adottare “piani del commercio”, che però, a dispetto del loro nome, si sono per lo più tramutati in regolamenti sulle zonizzazioni e sugli standard di urbanistica commerciale, eventualmente associati a ricognizioni e previsioni sullo stato della domanda e dell’offerta, sulle sue evoluzioni possibili, sugli obiettivi ecc. Nella legislazione regionale e negli atti comunali, ciò nonostante, hanno trovato espressione numerose macro regolazioni - contingenti, rapporti predefiniti tra esercizi di diverse classi dimensionali ecc. (4) - che hanno continuato a intercettare gli esercizi di maggiori di- (1) La legge di pubblica sicurezza 30 giugno 1889, n. 6144, richiedeva la licenza dell’autorità di pubblica sicurezza per l’esercizio di alberghi, ristoranti, rivendite di alcolici e sale giochi (art. 50). Condizioni per ottenerla erano la capacità di contrarre e alcuni requisiti di moralità (art. 53). La legge ammetteva limitazioni quantitative solo per lo smercio di bevande alcoliche, dovendosi in tal caso valutare se «in vista del numero degli esistenti, non [convenisse] negare l’apertura di nuovi esercizi» (art. 52). (2) Il rilascio della licenza comunale dipendeva dai requisiti di capacità a contrarre e di moralità fissati dall’art. 53 della l. n. 6144/1889, e dalla valutazione sulla sufficienza «degli spacci già esistenti […] alle esigenze del comune, tenuto conto dello sviluppo edilizio, della densità della popolazione, dell’ubicazione dei mercati rionali» (art. 3). (3) Sulla coesistenza, nel d.l. n. 114/1998, di profili di programmazione economica accanto alle misure di urbanistica commerciale, v. G. Caia, Governo del territorio e attività economiche, in Dir. amm., 2003, 707-733, 721-722. (4) V. L. Pellegrini, La liberalizzazione delle attività commer- Il contesto normativo e i suoi sviluppi 612 Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Giurisprudenza Edilizia ed urbanistica mensioni. Gli effetti, in termini di limiti all’accesso al mercato, non sono stati molto diversi da quelli dei vecchi piani del commercio (5). Alle vicende di questa nuova forma di programmazione è corrisposto nella legislazione un ulteriore movimento, che ha spinto in avanti il disegno avviato dal d.lgs. n. 114/1998 attenuando i poteri di intervento degli enti territoriali. Vi sono state alcune discipline specifiche per la materia del commercio (si v. il d.l. n. 223/2006, art. 3, e il d.l. n. 201/2011, art. 31), oltre a norme orizzontali di “liberalizzazione” dei servizi e delle attività economiche in generale (d.l. n. 138/2011 e d.l. n. 1/2012, art. 1), riconducibili anche al recepimento della direttiva servizi (d.lgs. n. 59/2010, specie artt. 1112). Combinando le varie disposizioni, emerge una griglia assai complessa di limiti per i poteri territoriali, limiti che si prestano a essere ordinati secondo una pluralità di criteri. Si può partire dalle tecniche di intervento, essendovi una prima distinzione tra i limiti decisi caso per caso in ragione del “bisogno economico” e quelli applicati in base a criteri generali e predeterminati (incorporati o meno in atti di programmazione in senso proprio). I primi - che, per fare alcuni esempi, ricorrevano nelle più risalenti discipline del commercio sopra richiamate, della panificazione (l. n. 1002/1956, art. 2) e dei servizi di vigilanza privata (r.d. n. 773/1931, art. 136) - sono senz’altro vietati. I secondi non sono sottoposti a un divieto di principio ma devono confrontarsi con gli altri criteri di ammissibilità fissati dalle norme (6). Un’altra distinzione emerge in relazione al fine tipico dell’intervento. Le norme vietano le misure che mirino a finalità economiche o prevalentemente economiche, la cui ragion d’essere sia il raggiungimento di un dato equilibrio tra domanda e offerta del servizio. Per contro, le norme ammettono limiti del medesimo genere che derivino da programmazioni con finalità di per sé non economiche (o non prevalentemente tali) (7). Si consideri, ad esempio, una misura che intenda garantire una copertura territoriale “universale” di un servizio e che, a tal fine, condizioni le autorizzazioni rilasciabili nel rapporto con uno o più indicatori del livello di domanda (es., popolazione, spesa complessiva ecc.). Anche in passato, peraltro, le limitazioni del primo tipo erano raramente riscontrabili, essendovi quasi sempre nelle norme un fine pubblico non strettamente economico (es., la limitazioni di attività con esternalità negative ecc.). Diviene così più rilevante una terza distinzione, rispetto all’oggetto e al livello della tutela ammissibile. Mutuando, anche al di là delle disposizioni di vero e proprio recepimento, una soluzione propria del diritto europeo, le norme tipizzano alcuni interessi pubblici in grado di giustificare restrizioni alle attività economiche (come la salute, l’ambiente, il patrimonio culturale) o stabiliscono parametri di rilevanza per gli interessi non tipizzati (il carattere “imperativo”, la protezioni di situazioni di rilevanza costituzionale) (8). Una volta individuato l’interesse tutelabile, l’intervento deve rispettare il principio di proporzionalità. L’ultima distinzione che le disposizioni compiono attiene alle prescrizioni puntualmente adottate. Talune di esse, come le distanze minime obbligato- ciali, in B.G. Mattarella, A. Natalini, La regolazione intelligente, Firenze, 2013, 199-209, 201-202. (5) Cfr. D.M. Traina, Disciplina del commercio, programmazione, urbanistica, in Riv. giur. edilizia, 2011, 119-139, 127 ss. (6) Il decreto n. 59/2010 ha posto tra i requisiti delle autorizzazioni senz’altro vietati (la c.d. lista nera), «l’applicazione caso per caso di una verifica di natura economica che subordina il rilascio del titolo autorizzatorio alla prova dell’esistenza di un bisogno economico o di una domanda di mercato, o alla valutazione degli effetti economici potenziali o effettivi dell’attività o alla valutazione dell’adeguatezza dell’attività rispetto agli obiettivi di programmazione economica stabiliti». La norma precisa subito dopo che il divieto «non concerne i requisiti di programmazione che non perseguono obiettivi economici, ma che sono dettati da motivi imperativi d’interesse generale» (art. 11, c. 1, lett. e). Tra le restrizioni ammissibili, purché proporzionate a “motivi imperativi di interesse generale”, il decreto n. 59 comprende le «restrizioni quantitative o territoriali sotto forma, in particolare, di restrizioni fissate in funzione della popolazione o di una distanza geografica minima tra i prestatori» (art. 12, c. 1, lett. a). (7) I decreti n. 138 del 2011 e n. 1 del 2012 hanno disposto l’abrogazione delle norme che pongano limiti numerici e atti preventivi di assenso per le attività economiche, divieti e restrizioni, pianificazioni e programmazioni territoriali «con prevalente finalità economica o prevalente contenuto economico», controlli che «ritardano l’avvio di nuove attività economiche o l’ingresso di nuovi operatori economici ponendo un trattamento differenziato rispetto agli operatori già presenti sul mercato» (v. l’art. 1, commi 1-2, d.l. n. 1/2012). (8) Nel d.lgs. n. 59/2010, i motivi imperativi di interesse generale includono, tra gli altri, «la tutela dell’ambiente, incluso l’ambiente urbano, [...] la conservazione del patrimonio nazionale storico e artistico, gli obiettivi di politica sociale e di politica culturale» (art. 8, comma 1, lett. h). Il d.l. n. 201/2011 ha previsto come «principio generale dell’ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente, ivi incluso l’ambiente urbano, e dei beni culturali» (art. 31, c. 2). Nel d.l. n. 1/2012, l’abrogazione opera per le misure “irragionevoli”, non proporzionate a interessi generali quali la salute, l’ambiente, il patrimonio artistico culturale, la sicurezza, la libertà e la dignità umana e in generale l’utilità sociale. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 613 Giurisprudenza Edilizia ed urbanistica rie o i limiti per quote di mercato, sono vietate senz’altro (9). Per altre, come l’interdizione di determinate aree alle installazioni di servizi o attività industriali o il confinamento di attività in aree determinate, si prevede l’ammissibilità in termini di principio purché si rispetti il principio di parità di trattamento (10). Le norme sembrano ritenere le prescrizioni del primo tipo tendenzialmente rivolte a fini economici, quelle del secondo astrattamente indirizzabili alla cura di altri interessi. La decisione del Tribunale Il quadro sopra illustrato produce una pluralità di ricadute sull’azione dei poteri pubblici: l’arroccamento delle funzioni intorno a una schiera di interessi “forti”, la focalizzazione sulla cura di tali interessi, il superamento della pretesa di definire gli equilibri commerciali complessivamente considerati, la soggezione - posta con particolare enfasi - al principio di proporzionalità, una serie di divieti puntuali da rispettare in ogni caso. La vicenda affrontata dal Tribunale ha offerto un’occasione per verificare l’incidenza di queste ricadute sulle funzioni tradizionali di programmazione del territorio, anche quando esse seguano schemi tutto sommato consolidati di azione. La sentenza si fonda su una ratio apparentemente lineare. Il Tribunale, a partire dalle norme del d.l. n. 223/2006 e del d.lgs. n. 59/2010, costruisce la decisione intorno alla distinzione tra programmazioni che abbiano o meno finalità economiche. Le prime sarebbero in linea di principio vietate, le seconde potrebbero essere introdotte per la tutela di «motivi imperativi d’interesse generale», nel rispetto del principio di proporzionalità. Questa distinzione, prosegue la sentenza, va applicata anche agli atti di programmazione territoriale, non solo a quelli che riproducano criteri espressamente vietati dalla legislazione - ad esempio, i contingenti numerici alle licenze - ma anche a quelli che impongano limiti di altra natura come i divieti di insediamento in determinati territori. Il nucleo della decisione non sta però nell’ascrizione formale della misura all’una o all’altra categoria, dalla quale poi desumere in modo meccanico (9) Il d.l. n. 223/2006 ha rimosso, tra gli altri, le misure recanti «distanze minime obbligatorie tra attività commerciali appartenenti alla medesima tipologia di esercizio» nonché «limiti riferiti a quote di mercato predefinite o calcolate sul volume delle vendite a livello territoriale sub regionale» (art. 3, c. 1, lett. b, e d). Si v. anche i limiti introdotti dal d.l. n. 201/2011, richiamati in precedenza. 614 il regime applicabile. La decisione si concentra sugli effetti che l’atto di programmazione produce i quali, ove consistano in restrizioni all’insediamento di nuove attività commerciali, impongono al giudice «di effettuare un riscontro molto più penetrante di quello che si riteneva consentito in passato» per verificare «se effettivamente i divieti imposti possano ritenersi correlati e proporzionati a effettive esigenze di tutela dell’ambiente urbano o afferenti all’ordinato assetto del territorio». La sentenza svolge un sindacato particolarmente intenso sotto due differenti angolazioni. Essa, sul piano procedurale, riesamina i principali passaggi che hanno preceduto l’adozione della misura, osservando che l’istruttoria compiuta dall’ente si era concentrata più sugli aspetti socio economici dell’adeguatezza della domanda che sui problemi dell’assetto territoriale. Sul piano sostanziale, la decisione affronta anche le ragioni ulteriori espresse in giudizio dall’amministrazione, che spiegavano il divieto per l’esigenza di migliorare l’accessibilità nelle zone interdette, salvaguardare la “rete distributiva storica”, indirizzare i servizi commerciali verso aree produttive dismesse e promuoverne la riqualificazione. Qui la sentenza individua per più profili un difetto di proporzionalità. Il giudice mette anzitutto in dubbio l’idoneità della misura. La sentenza nega una generale incompatibilità tra le zone residenziali e la presenza di medie strutture di vendita, essendo al contrario “dato di comune esperienza” che tale presenza possa ricorrere senza conseguenze significative per l’abitato. Il giudice rileva anche il mancato apprezzamento delle soluzioni meno restrittive, come l’adeguamento agli standard urbanistici al quale si era impegnato il richiedente. Il giudice osserva che per altre zone urbane la disciplina comunale sottoponeva l’insediamento delle medie strutture di vendita a una verifica di compatibilità urbanistica caso per caso, soluzione preferibile a un divieto generalizzato che non tenga conto degli specifici contesti viari e abitativi. La sentenza affronta poi un altro tema, legato al succedersi delle fonti di disciplina e alla loro incidenza sugli atti impugnati. Il piano di governo del territorio su cui si basava il diniego era infatti anteriore alle disposizioni che più puntualmente vieta(10) Sempre il d.l. n. 201/2011 ha disposto, con un’integrazione inserite in sede di conversione del decreto, che le Regioni e gli enti locali possono prevedere «senza discriminazioni tra gli operatori, anche aree interdette agli esercizi commerciali, ovvero limitazioni ad aree dove possano insediarsi attività produttive e commerciali» (art. 31, c. 2). Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Giurisprudenza Edilizia ed urbanistica La sentenza del Tribunale può avere due livelli di lettura, con riflessi d’intensità crescente sull’applicazione delle discipline coinvolte. Il primo livello è quello che emerge con più chiarezza dalla pronuncia e che conferma le previsioni compiute da diversi studiosi sul rapporto tra la programmazione urbanistica, il commercio e le misure più recenti di “liberalizzazione”. Il punto nevralgico di tale rapporto non sta tanto nelle residue misure di programmazione economica in senso stretto, per le quali non sembra restare molto spazio (11), né in quelle misure che incontrino divieti tipizzati nella legislazione (12). I problemi maggiori nascono dall’uso di previsioni formalmente indirizzate alla tutela dell’ambiente urbano o di altri interessi non economici che possano avere ricadute significative sugli equilibri di mercato o dissimulare “effetti equivalenti” a quelli vietati dalla legislazione (13). La soluzione che si dà a questi casi dipende in larga misura dalla selezione degli interessi tutelabili - essendosi già formata una casistica al riguardo (14) e dall’intensità del sindacato sulla proporzionalità della misura (15). Questa intensità, a sua volta, si lega al grado di analiticità con il quale il giudice ripercorre i singoli passaggi istruttori e mette a confronto ciascuno degli obiettivi perseguiti con gli strumenti approntati, stringendo o allargando le maglie della verifica di idoneità e necessità. Affermatasi una determinata soglia di sindacato, c’è comunque da attendersi che le amministrazioni affinino di conseguenza la loro azione e dunque orientino le istruttorie e le motivazioni verso soluzioni attaccabili in giudizio con minore facilità. La sentenza si presta tuttavia a un secondo livello di lettura che accentua le possibili frizioni con le funzioni di programmazione territoriale, almeno per come comunemente intese. Se l’orientamento del Tar trovasse seguito (16), e fosse dunque “presa sul serio” l’enfasi posta dalla legislazione sulla libertà di accesso al mercato, come principio base (17), (11) Si v. Corte cost., 18 aprile 2014, n. 104, che ha ritenuto costituzionalmente illegittima, per invasione della competenza esclusiva statale in tema di concorrenza nell’applicazione datane dal d.l. n. 201/2011, art. 31, una norma regionale che introduceva «obiettivi di equilibrio della rete distributiva in rapporto alle diverse categorie e alla dimensione degli esercizi, con particolare riguardo alle grandi strutture di vendita, tenuto conto della specificità dei singoli territori nell’interesse dei consumatori alla qualità, alla varietà, all’accessibilità e alla convenienza dell’offerta» (legge regione Valle d’Aosta, 25 febbraio 2013, n. 5, art. 2, di modifica della l.r. n. 12/1999 sul commercio). (12) Ad esempio, le previsioni di distanze minime (v. Tar Lombardia, Milano, sez. I, 29 gennaio 2014, n. 326, relativa a un diniego di trasferimento di una rivendita di stampa e periodici per assenza della distanza minima da un altro esercizio dello stesso genere) o di quote predefinite (Cons. Stato, sez. V, 31 marzo 2011, n. 1972, su una misura che ripartiva il territorio regionale prevedendo parametri massimi per autorizzare grandi strutture di vendita). (13) In dottrina si è distinto tra le autorizzazioni «a scopo precauzionale» e quelle «a scopo di conformazione del mercato» (v. F. Trimarchi Banfi, Lezioni di diritto pubblico dell’economia, Torino, 2012, 145-148), potendosi poi avere casi di autorizzazioni che per scopi “precauzionali” dispongono la conformazione del mercato (si v. la disciplina delle farmacie) o di autorizzazioni che invochino scopi precauzionali insussistenti dissimulando una restrizione all’accesso al mercato. Su simili distinzioni v. A. Negrelli, Economia di mercato e liberalizzazioni: le (principali) ricadute sul sistema amministrativo italiano, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 2013, 679-718, 711 ss. (14) Si v. le decisioni sui limiti per gli esercizi di gioco e scommesse, tra le quali Tar Lombardia, Milano, sez. I, 13 marzo 2014, n. 381 (ord.), relativa a restrizioni motivate (anche) per ragioni di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblici. (15) Cfr. tra gli altri F. Cintioli, Commercio e liberalizzazione, in Concorrenza, istituzioni e servizio pubblico, Milano, 2010, 293-320, 316-317. (16) Il Tar Lombardo, per parte sua, ha confermato l’approccio seguito dalla sentenza in commento, di svolgere in modo analitico e approfondito il test di proporzionalità, con la decisione della sez. II, 10 marzo 2014, n. 612. (17) Questo a fronte del diffuso scetticismo che ha accompagnato i decreti più recenti di “liberalizzazione”, la loro capacità di incidere effettivamente sulle regolazioni esistenti (v., tra i vari, A. Argentati, La storia infinita della liberalizzazione dei servizi in Italia, in Mercato concorrenza regole, 2012, 337-365, 355 ss., e, chi scrive, Libertà economiche e controlli amministrativi, in questa Rivista, 2012, 18-22) e di fare emergere un indirizzo preciso di politica della regolazione (v. N. Longobardi, Liberalizzazioni e attività d’impresa, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, vano l’introduzione di limitazioni territoriali. Il comune aveva perciò eccepito che tali norme non potessero costituire un parametro di legittimità degli atti amministrativi precedenti, la cui efficacia, in difetto di un’impugnazione tempestiva, non avrebbe più potuto essere messa in discussione nei ricorsi sugli atti applicativi. La questione, verosimilmente, si poteva risolvere facendo riferimento al momento in cui era sorto l’interesse all’azione, tenuto conto che comunque il ricorrente aveva impugnato come atto presupposto la previsione dello strumento urbanistico. La decisione ha tuttavia preferito approfondire i meccanismi di adeguamento del diritto esistente previsti dalle norme di “liberalizzazione”, basati su abrogazioni esplicite - ancorché non determinate puntualmente nell’oggetto - e su termini per gli enti territoriali per allineare i propri atti di regolazione. Decorsi inutilmente tali termini, il Tribunale ha ritenuto che scattasse l’effetto abrogativo e venisse dunque meno l’efficacia della previsione urbanistica sulla quale si era basato il diniego. La programmazione territoriale dopo le norme di liberalizzazione Giornale di diritto amministrativo 6/2014 615 Giurisprudenza Edilizia ed urbanistica si sarebbe portati a guardare agli altri interessi pubblici che ne giustificano la limitazione in termini essenzialmente protettivi, come interessi che rilevano se e in quanto la libertà di accesso possa lederli in modo apprezzabile. In questa prospettiva, potrebbe divenire difficile giustificare una misura restrittiva dell’accesso di nuove imprese solo perché non coerente con un determinato progetto di sviluppo del tessuto territoriale, espresso in positivo dall’ente pianificante. Occorrerebbe sempre individuare, in negativo, un interesse ambientale, culturale ecc. che subisce un pregiudizio. Si potrebbero così ammettere divieti di installare determinate attività merceologiche in zone di particolare valore culturale, dimostrando la capacità “ricorrente” delle prime di pregiudicare le seconde (18). Ma al di fuori di aree circoscritte e fortemente omogenee, per le quali pare ammissibile un certo grado di generalizzazione, i principi di proporzionalità, trasparenza e non discriminazione dovrebbero rendere tendenzialmente preferibili gli interventi caso per caso (19), ancorati a criteri predeterminati puntualmente (20). Resterebbe lo spazio per arricchire la previsione di standard urbanistici, anche stringenti quando si tratti di contenere le congestioni e tutelare l’ambiente (21). I comuni vedrebbero invece attenuata di molto la loro capacità di definire le “vocazioni” delle singole aree in coerenza con un programma “organico” di sviluppo territoriale (22). Gli orientamenti del giudice amministrativo sulla programmazione urbanistica, quando non si con- frontano direttamente con le misure di liberalizzazione, sembrano tuttavia abbracciare una visione della funzione più ampia e ambiziosa. La programmazione mirerebbe non solo alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli ma anche a realizzare «finalità economico-sociali della comunità locale […]», dovendo tenere conto «in definitiva, del modello di sviluppo che si intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazione della loro storia, tradizione e ubicazione e di una riflessione “de futuro” sulla propria stessa essenza svolta - per autorappresentazione ed autodeterminazione - dalla comunità medesima, attraverso le decisioni dei propri organi elettivi e, prima ancora, attraverso la partecipazione dei cittadini al procedimento pianificatorio […]» (23). Insomma, una visione organica e “programmata” delle interazioni nell’ambiente urbano che pare l’opposto dei meccanismi di coordinamento spontaneo incorniciati in regole di contenimento che emergono per la materia del commercio. Non sarebbe la prima volta che l’urbanistica in senso stretto e l’urbanistica “commerciale” affrontino una convivenza difficile. Nel nuovo quadro, tuttavia, occorrerà raggiungere una soluzione unitaria. Non solo nel senso che l’applicazione della disciplina del commercio non assorba la disciplina territoriale e debba comunque tenere conto dei suoi divieti, ma anche che la stessa disciplina territoriale non possa essere costruita in modo da contrastare i principi sulle attività commerciali. 2013, 603-639). L’invito a “prendere sul serio” le norme sulle liberalizzazioni è stato espresso da A. Travi, proprio commentando la sentenza in esame. V. Attività commerciali e strumenti urbanistici: ovvero “il diritto preso sul serio”, in Urb. e app., 2014, 101-104. (18) V. il caso deciso di recente da Cons. Stato, sez. V, 16 aprile 2014, n. 1861, che ha ritenuto legittimo il divieto di aprire agenzie di scommesse, sale bingo e per apparecchi VLT (le c.d. “slots machine”) nel centro storico di un comune. La prescrizione si basava su un potere previsto dalla legge della Toscana sul commercio, n. 20/2005, art. 98, che però il giudice per un difetto di tempestività nella formulazione dei motivi non ha posto a confronto diretto con le norme più recenti di liberalizzazione. (19) Cfr. in tal senso S. Ciervo, Rapporti tra disciplina commerciale e urbanistica alla luce della liberalizzazione del commercio, in Riv. giur. edilizia, 2013, 167 ss.. (20) D.M. Traina, Disciplina del commercio, programmazione, urbanistica, cit., 139. Per l’illegittimità di divieti generalizzati di apertura di medie strutture di vendita, sull’intero territorio comunale, v. Tar Sicilia, Catania, sez. I, 29 maggio 2013, n. 1556, e Tar Piemonte, Torino, sez. II, 12 gennaio 2012, n. 32. (21) Anche qui con possibili varianti concrete che andrebbero apprezzate in ciascun caso. V. ad esempio Tar Toscana, sez. III, 19 marzo 2014, n. 532, che ha ritenuto legittima non solo la previsione di aree di sosta come condizione per l’autorizzazione ma anche, nell’impossibilità di realizzare tali aree, la loro “monetizzazione”. Il che, in mancanza di indicazioni puntuali sull’uso delle risorse così “monetizzate”, potrebbe mettere in dubbio che la previsione delle aree di sosta fosse concretamente indispensabile per tutelare esigenze ambientali. (22) V. sempre S. Ciervo, Rapporti tra disciplina commerciale e urbanistica alla luce della liberalizzazione del commercio, cit., passim. (23) Cons. Stato, sez. IV, 27 maggio 2010, n. 2710. Della stessa sezione, in termini, v. la sentenza del 28 novembre 2012, n. 4060. Su questi orientamenti si v., in senso adesivo, P. Urbani, Le nuove frontiere del diritto urbanistico: potere conformativo e proprietà privata, in Dir. e proc. amm., 2014, 9-25. 616 Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Osservatorio Corte europea dei diritti dell’uomo Osservatorio della Corte europea dei diritti dell’uomo a cura di Marco Pacini DIRITTI DELL’UOMO SANZIONI AMMINISTRATIVE DELLA CONSOB Corte europea dei diritti dell’uomo, II sezione, sentenza 4 marzo 2014, ricorso n. 18640/10 e altri - Pres. Karakas - Grande Stevens e altri c. Italia Viola il diritto a un processo equo e il divieto di ne bis in idem la disciplina sostanziale e procedimentale italiana in materia di manipolazione del mercato, in quanto le previste sanzioni amministrative sono irrogate nell’ambito di un procedimento avanti alla Consob non rispettoso della separazione tra istruttoria e decisione, sono impugnabili nell’ambito di un giudizio non aperto alla pubblicità delle udienze e possono essere accompagnate da sanzioni penali riguardanti la medesima fattispecie. Al fine di finanziare la società quotata di riferimento senza perderne il controllo, un gruppo di soci, esponenti e consulenti procedevano alla rinegoziazione di un finanziamento, senza informarne il mercato. Ricevutone notizia, la Divisione mercati della Consob avviava una istruttoria per l’illecito amministrativo di manipolazione del mercato. A conclusione dell’istruttoria, l’Ufficio Sanzioni trasmetteva le proprie conclusioni soltanto alla Commissione, la quale irrogava senz’altro incisive sanzioni ai ricorrenti. Questi ultimi impugnavano le sanzioni avanti la Corte di appello, la quale, con decisione in camera di consiglio, le confermava pur riducendone l’importo. I ricorrenti sono tuttora sottoposti a processo penale per il corrispondente reato di manipolazione del mercato. Ricorrevano, pertanto, alla Corte europea lamentando diverse violazioni. La Corte europea accoglie parzialmente il ricorso. Il procedimento per l’irrogazione delle sanzioni amministrative da parte della Consob non è stato rispettoso dei principi di parità delle armi e di imparzialità del giudice. Da un lato, i ricorrenti non avevano ricevuto comunicazione delle conclusioni trasmesse dall’ufficio contenzioso alla Commissione; dall’altro, non era stata assicurata una sufficiente separazione tra la funzione istruttoria del primo e quella decisoria della seconda. Il successivo processo di impugnazione, per parte sua, non ha osservato il principio di pubblicità del processo, in quanto i ricorrenti non hanno avuto l’opportunità di essere personalmente sentiti in un’udienza pubblica nel giudizio di merito avanti la Corte di appello. Vi è stata, pertanto, una violazione dell’articolo 6, Cedu. L’irrogazione delle sanzioni amministrative non è stato, invece, lesivo del diritto al rispetto dei propri beni, in quanto simili sanzioni trovano una solida base nel diritto italiano, perseguono il fine pubblico legittimo di tutelare la fiducia dei risparmiatori e sono state commisurate alla gravità delle violazioni commesse. Non vi è stata, quindi, violazione dell’articolo 1, Protocollo 1, Cedu. Il processo penale, infi- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 ne, non è stato rispettoso del principio del ne bis in idem sostanziale, in quanto i ricorrenti sono tuttora perseguiti per reati riferibili agli stessi fatti per i quali sono stati già colpiti in via definitiva dalle sanzioni amministrative, che presentano, per la loro gravità, una “coloritura penale”. Vi è stata, pertanto, una violazione dell’articolo 7, Protocollo 4, Cedu. IMPARZIALITÀ DELLA CORTE AMMINISTRATIVA SUPREMA Corte europea dei diritti dell’uomo, II sezione, sentenza 4 marzo 2014, ricorso n. 36073/04 - Pres. Raimondi Fazli Aslaner c. Turchia Contrasta con il diritto a un giudice imparziale la partecipazione alla decisione definitiva assunta dall’Adunanza plenaria della suprema corte amministrativa turca da parte di giudici che hanno già conosciuto del merito della controversia come componenti di una Divisione della medesima corte. Inserito nella graduatoria di merito per il posto di cancelliere capo presso un tribunale, che veniva però ricoperto dal vincitore del concorso, il ricorrente chiedeva di essere assegnato ad analoga funzione presso altro tribunale. Stante il rifiuto del Ministero della giustizia, ricorreva al Tribunale amministrativo di Ankara, che accoglieva le sue pretese. Il Ministero adiva, allora, la Suprema Corte amministrativa, che, con decisione adottata da una Divisione composta da cinque giudici, annullava la sentenza e rinviava al Tribunale amministrativo. Quest’ultimo confermava la precedente sentenza, che il Ministero impugnava di nuovo avanti la Suprema Corte amministrativa. L’impugnazione veniva trattata dall’Adunanza plenaria, composta di trentuno giudici, tra cui tre dei cinque componenti della Divisione, che rigettava le pretese del ricorrente. Quest’ultimo si rivolgeva, pertanto, alla Corte europea, lamentando una violazione del diritto a un giudice imparziale. La Corte accoglie il ricorso. L’imparzialità di un collegio decidente non dipende soltanto da elementi soggettivi, legati all’orientamento dei suoi componenti, ma anche da elementi oggettivi, tra cui la partecipazione degli stessi a precedenti decisioni sulla medesima questione. Nel caso concreto, la decisione dell’Adunanza Plenaria, che aveva avuto sostanzialmente lo stesso oggetto di quella della Divisione, era stata adottata con la partecipazione di tre giudici che avevano già partecipato a quest’ultima. Uno di questi giudici, per di più, rivestiva in Adunanza plenaria il ruolo di presidente. In proposito, a nulla rileva il fatto che l’Adunanza Plenaria fosse composta di un numero elevato di componenti e che la sua decisione fosse, quindi, meno influenzabile. Vi è stata, pertanto, una violazione dell’articolo 6, Cedu. 617 Osservatorio Corte europea dei diritti dell’uomo RESPONSABILITÀ DELLO STATO PER ABUSI SESSUALI NELLE SCUOLE OBBLIGHI DI INFORMAZIONE A CARICO DELLE PUBBLICHE Corte europea dei diritti dell’ uomo, Grande Camera, sentenza 28 gennaio 2014, ricorso n. 35810/09 - Pres. Spielmann - O’Keeffe c. Irlanda Corte europea dei diritti dell’uomo, I sezione, sentenza 5 dicembre 2013, ricorso n. 52806/09 e altri - Pres. Vajić - Vilnes e altri c. Norvegia Il divieto di tortura e trattamenti degradanti impone alle autorità competenti in materia scolastica di predisporre meccanismi efficaci di monitoraggio dei rapporti tra docenti e discenti delle scuole elementari e di facilitazione delle denunce di abuso sessuale da parte dei minori. Il diritto al rispetto della vita privata impone alle autorità pubbliche di adottare un atteggiamento prudente nel disciplinare lo svolgimento di attività pericolose per la salute dei lavoratori e di imporre alle imprese l’obbligo di comunicare adeguatamente ai lavoratori i rischi ai quali questi ultimi sono esposti. Vittima di reiterati abusi sessuali da parte del direttore laico di una scuola elementare religiosa, la ricorrente e i genitori reclamavano più volte con il prete titolare della stessa, che si limitava a comunicare al Ministero dell’Educazione le conseguenti dimissioni del direttore, senza ulteriori dettagli. A distanza di molti anni, la ricorrente, frattanto affetta da gravi disturbi comportamentali, veniva citata a deporre contro il direttore nell’ambito di un processo intentato da altri. Acquisita piena consapevolezza delle violenze subite, adiva, dunque, le corti competenti, le quali, con decisioni confermate dall’Alta Corte, accoglievano le sue pretese nei confronti del direttore e della scuola, ma non anche del Ministero dell’Educazione. Si rivolgeva, dunque, alla Corte europea, lamentando, tra l’altro, una violazione del divieto di trattamenti degradanti. La Corte accoglie il ricorso. Considerata la particolare vulnerabilità dei bambini, le autorità pubbliche sono tenute a istituire meccanismi efficaci di monitoraggio dei rapporti tra docenti e discenti e di indagine conseguenti alle denunce di abuso, anche nel caso in cui l’insegnamento sia formalmente affidato a scuole private. Nel sistema irlandese dell’epoca, vi era conoscenza del grado di incidenza di abusi sessuali nelle scuole; ciò nonostante, non erano previste forme di controllo sulla correttezza dei comportamenti dei docenti, non esistevano strumenti volti a facilitare reclami dei discenti, non vi era accesso a scuole alternative a quelle nazionali. Il complesso di questi fattori ha impedito che la ricorrente e molti altri bambini subissero gravi e reiterati abusi sessuali. Vi è stato, pertanto, violazione dell’articolo 3, Cedu. Alla ricerca di petrolio sui fondali del Mare del Nord, un gruppo di sommozzatori venivano sottoposti dalle compagnie petrolifere per cui lavoravano alla pratica di “decompressione rapida”, senza che venissero loro comunicate in anticipo tempi e modalità mediante le cd. “tavole di decompressione”. In ragione dei gravi danni alla salute di molti sommozzatori, il governo disponeva l’avvio di una inchiesta indipendente, che riconosceva la nocività della pratica e ipotizzava una responsabilità delle autorità competenti. A dispetto delle forme di indennizzo frattanto introdotte dal governo, i sommozzatori chiedevano consistenti risarcimenti contro lo Stato avanti la corte di Oslo, all’Alta Corte e alla Suprema corte, che rigettavano le pretese. Adivano, dunque, la Corte europea, lamentando, tra l’altro, una violazione del diritto al rispetto della vita privata. La Corte accoglie parzialmente il ricorso. Come osservato dalla stessa Alta Corte, è altamente probabile che i danni alla salute dei ricorrenti fossero dipesi dalla pratica di decompressione rapida alla quale erano stati a lungo esposti. Tale pratica era perseguita dalle compagnie petrolifere incriminate alle scopo di ottenere un vantaggio competitivo, senza comunicare ai sommozzatori le “tavole di decompressione”. Essa era stata autorizzata dalle competenti autorità di vigilanza, che erano al corrente dei seppur non univoci studi sui rischi per la salute umana. Se le autorità avessero adottato un orientamento più prudente, imponendo alle compagnie di rendere pubbliche dette tavole, i danni alla salute dei sommozzatori sarebbero stati ridotti da molto più tempo. Vi è stata, pertanto, una violazione dell’articolo 8, Cedu. 618 AMMINISTRAZIONI Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Osservatorio Corte di giustizia Ue Osservatorio della Corte di giustizia e del Tribunale dell’Unione europea a cura di Edoardo Chiti e Susanna Screpanti UNIONE EUROPEA possibilità di beneficiare di un tasso d’interesse più basso o di fornire una cauzione meno elevata. AIUTI DI STATO LIBERTÀ DI SOGGIORNO Corte di giustizia dell’Unione europea, sentenza 3 aprile 2014, causa C-559/12 P - Giud. rel. A. Tizzano - Avv. gen. N Jääskinen, Repubblica francese contro Commissione europea. Corte di giustizia dell’Unione europea, Grande sezione, sentenza 12 marzo 2014 - Giud. rel. K. Lenaerts - Avv. gen. E. Sharpston, causa C-456/12 - O. contro Minister voor Immigratie, Integratie en Asiel, e Minister voor Immigratie, Integratie en Asiel contro B.; causa C-457/12 S. contro Minister voor Immigratie, Integratie en Asiel, e Minister voor Immigratie, Integratie en Asiel contro G. Una garanzia implicita e illimitata concessa dallo Stato a un ente pubblico a carattere commerciale e industriale costituisce un aiuto di Stato illegittimo. La Commissione europea constatava l’esistenza di un aiuto di Stato illegittimo, costituito da una garanzia implicita e illimitata dello Stato francese a favore di La Poste, ente pubblico a carattere industriale e commerciale, trasformato in società per azioni nel marzo del 2010. La Corte di giustizia, adita dallo Stato francese, conferma la sentenza del Tribunale Ue e, dunque, la legittimità della decisione della Commissione europea. Quest’ultima, infatti, ha sufficientemente dimostrato l’esistenza di una garanzia statale, implicita e illimitata e di un vantaggio selettivo per l’ente beneficiario dell’aiuto di Stato. In particolare, la Commissione ha provato l’esistenza di una garanzia illimitata, prendendo in considerazione una serie di elementi concordanti. Inoltre, secondo la Corte, per dimostrare l’esistenza di una garanzia implicita, la Commissione può fondarsi sul metodo del complesso d’indizi seri, precisi e concordanti e verificare se esista, nel diritto interno, un obbligo in capo allo Stato di impegnare le proprie risorse per coprire le perdite di un ente pubblico a carattere industriale e commerciale insolvente e, quindi, un rischio economico sufficientemente concreto di oneri gravanti sul bilancio statale. Quanto alla prova di un vantaggio selettivo, derivante dalla garanzia statale, esiste una presunzione semplice: la concessione di una garanzia implicita e illimitata a favore di un’impresa, che non è soggetta ai procedimenti di amministrazione controllata e di liquidazione ordinaria, ha per conseguenza un miglioramento della sua situazione finanziaria, dovuto all’alleggerimento degli oneri che di norma gravano sul bilancio. Una tale garanzia statale procura un vantaggio immediato e costituisce un aiuto di Stato, in quanto è concessa senza contropartita e consente di ottenere un prestito a condizioni finanziarie migliori di quelle previste dal mercato. Pertanto, il Tribunale ha correttamente considerato che la Commissione abbia rispettato l’onere e il livello di prova necessari per dimostrare l’esistenza di un vantaggio procurato dalla garanzia implicita e illimitata dello Stato, precisando che tale garanzia offre al soggetto finanziato la Giornale di diritto amministrativo 6/2014 II cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino europeo che circoli o svolga la propria attività in uno Stato membro diverso dal proprio, ha il diritto di soggiornare nello Stato del proprio familiare. Con queste due sentenze, la Corte di giustizia affronta il problema del riconoscimento del diritto di soggiorno di alcuni cittadini di paesi terzi nello Stato dei propri familiari, cittadini europei, che abbiano sviluppato la vita familiare o svolto l’attività professionale in uno Stato diverso dal proprio. La prima pronuncia prende le mosse da un caso in cui le autorità olandesi negavano il diritto di soggiorno a due cittadini di paesi terzi che avevano sviluppato una vita familiare con due cittadini olandesi in uno Stato membro diverso dai Paesi bassi. Nella controversia che ne seguiva, il giudice nazionale chiedeva alla Corte di giustizia di chiarire in via pregiudiziale se, in base all’art. 21 Tfue e alla direttiva 2004/38, spetti ai cittadini dei paesi terzi un diritto di soggiorno derivato nello Stato membro in cui il familiare, cittadino europeo, abbia la cittadinanza. Secondo la Corte di giustizia, il diritto europeo non conferisce alcun diritto di soggiorno, autonomo o derivato, a favore di cittadini di paesi terzi nello Stato membro in cui il familiare, cittadino dell’Unione, possieda la cittadinanza. La direttiva europea prevede un diritto di soggiorno derivato per il familiare straniero soltanto quando il cittadino europeo circoli o soggiorni in uno Stato membro diverso da quello in cui abbia la cittadinanza. Tuttavia, al fine di non limitare la libertà di circolazione dei cittadini europei, l’art. 21, par. 1, Tfue deve essere interpretato nel senso che la direttiva 2004/38 si applica per analogia ai casi in cui un cittadino dell’Unione ritorni con il familiare straniero nel proprio Stato membro di origine, dopo aver sviluppato o consolidato una vita familiare nel corso di un soggiorno effettivo in uno Stato diverso da quello di cui possiede la cittadinanza. 619 Osservatorio Corte di giustizia Ue Spetta al giudice nazionale verificare se il soggiorno del cittadino europeo e del familiare straniero, nello Stato in cui è stata sviluppata o consolidata la vita familiare, sia stato effettivo e in linea con le condizioni della direttiva europea. La seconda pronuncia trae origine da una fattispecie parzialmente simile, in quanto le autorità nazionali negavano il diritto di soggiorno a due cittadini di paesi terzi che avevano un legame familiare con due cittadini olandesi. Questi ultimi prestavano parte della propria attività lavorativa in un paese diverso dal proprio. Il giudice del rinvio chiedeva alla Corte di giustizia di chiarire se il diritto europeo attribuisca al familiare straniero un diritto di soggiorno derivato nello Stato del cittadino europeo che si reca regolarmente in un altro Stato membro nell’ambito delle sue attività professionali. Secondo la Corte, la direttiva 2004/38 consente a uno Stato di rifiutare il riconoscimento di un diritto di soggior- 620 no derivato in un caso come quello di specie. Tuttavia, l’art. 45 Tfue deve essere interpretato nel senso che può attribuire al cittadino di un paese terzo, familiare di un cittadino dell’Unione, un diritto di soggiorno derivato nello Stato membro di cui quest’ultimo possiede la cittadinanza: ciò quando egli risiede in quest’ultimo Stato, ma si reca regolarmente in un altro Stato membro per l’attività professionale. Il diniego del diritto di soggiorno derivato, infatti, comporterebbe un effetto dissuasivo sull’esercizio effettivo dei diritti che al lavoratore derivano dall’art. 45 Tfue. Spetta al giudice nazionale verificare se la concessione di un diritto di soggiorno derivato al cittadino di un paese terzo sia necessaria al fine di assicurare al familiare, cittadino europeo, l’esercizio effettivo della libertà di circolazione dei lavoratori, garantita dall’art. 45 Tfue. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Osservatorio Consiglio di Stato Osservatorio delle decisioni del Consiglio di Stato a cura di Luigi Carbone e Mario D’Adamo CONTRATTI PUBBLICI APPALTI - REQUISITI DI ORDINE GENERALE Consiglio di Stato, Sez. V, 30 aprile 2014 n. 2271 - Pres. Maruotti - Est. Lotti È illegittima l’aggiudicazione in favore di una società di capitali che, pur avendo dichiarato, ex art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, l’esistenza di un sentenza di condanna penale ostativa alla partecipazione alla gara nei confronti di un amministratore cessato dalla carica, non abbia in concreto adottato un comportamento idoneo a configurare la dissociazione da tale amministratore. La sentenza che si segnala tratta della dissociazione di una società dalla condotta dell’ex amministratore privo dei requisiti morali e di affidabilità, richiesta dall’art. 38 del Codice dei contratti pubblici e della sufficienza o meno, ai fini del rispetto della norma, della proposizione di una mera azione di responsabilità nei confronti di quest’ultimo. Per il Collegio è necessaria l’effettività della dissociazione. L’art. 38 del d.lgs. n. 163/2006, infatti, si presta a facili elusioni, potendo rivestire le attività di dissociazione la qualità di mere ‘operazioni di facciata’ che consentono il perpetrarsi di illeciti e il rischio che diventi contraente con la pubblica amministrazione un soggetto inaffidabile. L’obiettivo di interesse pubblico perseguito dalla norma, dunque, non può essere eluso con argomenti formalistici, quali il venir meno della carica al momento della condanna o la mancanza di strumenti per modificare coattivamente la compagine sociale. La dissociazione, pur potendo aver luogo in svariate forme, non essendo un istituto giuridico codificato deve comunque risultare esistente, univoca e completa. L’azione di responsabilità, che nelle situazioni ordinarie può dirsi modalità sufficiente di dissociazione, nel caso di specie invece non è sufficiente a sterilizzare l’elemento di segno contrario, dato dall’essere l’ex amministratore titolare del 95% del capitale sociale della società partecipante, sia pur senza poteri di rappresentanza verso terzi. Occorreva, invece, che la società operasse qualcosa di più significativo, come, per esempio, almeno la richiesta di un provvedimento di sequestro a garanzia dell’azione assieme con l’individuazione di un nuovo amministratore della società che fosse del tutto indipendente e desse garanzie serie di perseguire e proseguire nell’azione di responsabilità intrapresa. REVISIONE PREZZI Consiglio di Stato, Sez. V, 23 aprile 2014 n. 2052 - Pres. Torsello - Gaviano Nei contratti ad esecuzione periodica o continuativa la revisione prezzi è ammissibile nonostante l’indisponibi- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 lità dei costi standardizzati determinati dall’Osservatorio dei contratti pubblici ai sensi degli artt. 115 e 7, commi 4, lett. c), e 5 del Codice dei contratti pubblici. La mandataria e una mandante dell’ATI aggiudicataria dell’appalto bandito dalla Regione Calabria per il servizio di elisoccorso per sei anni, trattandosi di un contratto ad esecuzione continuativa, chiedono, al secondo anno, la revisione del prezzo contrattuale. Il diniego è impugnato al Tar Calabria, cui si domanda anche l’emanazione di un decreto ingiuntivo per una somma corrispondente all’adeguamento dei corrispettivi contrattuali. L’annullamento del diniego e il relativo decreto ingiuntivo sono confermati al Consiglio di Stato. Non trova accoglimento la tesi dell’amministrazione secondo cui - poiché l’art. 115 del d.lgs. n. 163/2006 impone di avere riguardo, ai fini revisionali, ai costi standardizzati determinati annualmente dall’Osservatorio dei contratti pubblici avvalendosi dei dati forniti dall’Istat, giusta l’art. 7, commi 4, lett c.), e 5 dello stesso Codice - nella carenza di tali elementi non sarebbe possibile utilizzare ai fini del conteggio revisionale dati diversi da quelli prescritti dalla legge (in particolare, meri indici Istat). Fintanto che i detti costi standardizzati non siano stati resi disponibili, e conformemente alla consolidata giurisprudenza formatasi con la precedente disciplina (art. 6, l. n. 537/1993), che aveva delineato un meccanismo operativo rimasto parimenti inattuato, l’istituto della revisione prezzi deve comunque trovare per quanto possibile riconoscimento, attesa la logica imperativa e cogente che lo connota. Rimangono sostanzialmente immutate, infatti, la struttura del conflitto di interessi determinato dalla inerzia amministrativa e la necessità di una soluzione che possa coniugare con equilibrio le esigenze della finanza pubblica e quelle imprenditoriali che costituiscono lo sfondo della problematica in esame. Si può pertanto affermare che il disconoscimento di qualsivoglia adeguamento dei prezzi contrattuali finché non siano stati resi disponibili i dati dei costi standardizzati è incompatibile con il dato normativo di principio, rappresentato dalla necessità di accordare una revisione periodica del prezzo per tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture. Parimenti, risulta incompatibile con la ratio che lo assiste, tanto più in quanto il fatto omissivo è di un terzo, quale l’Osservatorio dei contratti pubblici. Quanto all’indice che dovrebbe fungere da base del computo revisionale, infine, il Consiglio di Stato conferma la precedente e uniforme giurisprudenza che riteneva di poter applicare l’indice Foi (Famiglie di operai ed impiegati), cioè un criterio oggettivo che permette di conferire un principio di salvaguardia al sinallagma contrattuale e, nello stesso tempo, preservare gli equilibri della finanza pubblica. 621 Osservatorio Consiglio di Stato GIURISDIZIONE COMPRAVENDITA DI BENI IMMOBILI DELLA AMMINISTRAZIONE Consiglio di Stato, Sez. VI, 11 aprile 2014 n. 1781 Pres. Barra Caracciolo - Est. Pannone Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia relativa alla mancata stipulazione, da parte della amministrazione, di un contratto di compravendita di immobile aggiudicato con asta pubblica. Una società vincitrice dell’asta pubblica indetta dalla S.C.I.P. s.r.l. (Società cartolarizzazione immobili pubblici) per la cessione di un immobile in Roma ricorre al Tar Lazio per ottenere la stipula del contratto di compravendita, non essendo intervenuta l’amministrazione proprietaria innanzi al notaio il giorno fissato per il rogito. Il giudice di prime cure dichiara l’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione, qualificando la posizione giuridica della società come diritto soggettivo. La sentenza è ribaltata in secondo grado dal Consiglio di Stato che, invece, ritiene sussistere la giurisdizione. Secondo una precedente decisione del giudice amministrativo, infatti, controversie del genere rientrano nella giurisdizione generale di legittimità, agevolmente riconoscibile nell’esercizio della funzione della contrattazione della pubblica amministrazione con i privati, dalla quale esulano i soli atti o comportamenti relativi alla fase propriamente esecutiva del rapporto generato dalla stipula del contratto. Il suddetto orientamento è confermato dalla Corte di cassazione, secondo la quale nelle procedure concorsuali aventi ad oggetto la conclusione di contratti da parte della amministrazione spetta al giudice amministrativo la cognizione dei comportamenti ed atti assunti prima dell'aggiudicazione e nella successiva fase compresa tra l'aggiudicazione e la stipula del contratto (Cass., sez. un., n. 391/2011). PROCESSO AMMINISTRATIVO TRANSLATIO IUDICII E APPELLO Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 22 aprile 2014 n. 12 - Pres. Giovannini - Est. Corradino Il principio della translatio iudicii non si applica anche al giudizio di appello avverso le sentenze del Tar Sicilia, per cui l’impugnazione dichiarata inammissibile per difetto di competenza funzionale inderogabile del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia rispetto al Consiglio di Stato comporta il passaggio in giudicato della sentenza impugnata. Un candidato al concorso per dirigente amministrativo presso l’Azienda sanitaria di Siracusa impugna, dapprima, gli atti di esclusione innanzi al Tar Sicilia, quindi la sentenza di rigetto del giudice di primo grado innanzi al Consiglio di Stato. La questione relativa alla ammissibilità dell’appello promosso al Consiglio di Stato e non al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia - viene rimessa all’Adunanza plenaria. Il combinato disposto di cui agli art. 6, c. 6, e 100 c.p.a. insieme all’art. 4, c. 3, del d.lgs. n. 373/2003 stabilisce che 622 gli appelli contro le sentenze pronunziate dal Tar Sicilia devono essere proposti innanzi al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia. Pur essendovi, pertanto, giurisprudenza costante in merito alla inammissibilità del gravame proposto al Consiglio di Stato, non vi è completa unanimità rispetto alle conseguenze che discendono dalla dichiarata inammissibilità: se vi sia passaggio in giudicato della sentenza, poiché si è consumato il potere di impugnazione; o se si possa procedere a riassunzione, senza consumazione del potere di impugnare, anche alla luce dell’art. 15, c. 4, del c.p.a. che, con norma dettata per il primo grado di giudizio, disciplina l’ipotesi in cui, in caso di incompetenza del giudice adito, il processo continua davanti al giudice competente. L’Adunanza plenaria ritiene condivisibile l’indirizzo prevalente e più recente della Cassazione, che esclude l’applicazione al giudizio di appello dell’art. 50 c.p.c., relativo alla translatio iudicii avanti al giudice competente in primo grado (Cass., sez. un., n. 23594/2010). Anche nel rito del processo amministrativo, infatti, l’erronea individuazione del giudice di appello da parte del ricorrente non determina un problema di competenza territoriale. Sin dalla sua istituzione, con l’emanazione del decreto legislativo presidenziale n. 654/1948, attuativo dell’art. 23 dello Statuto della Regione Siciliana, il Consiglio di Giustizia amministrativa assolve nella Regione siciliana alle stesse funzioni consultive e giurisdizionali del Consiglio di Stato. Del pari, il d.lgs. n. 376/2003, stabilisce che le sezioni del Consiglio di giustizia amministrativa funzionano come sezioni staccate del Consiglio di Stato e che in sede giurisdizionale il Consiglio di giustizia amministrativa esercita le funzioni del giudice di appello avverso le pronunce del Tar Sicilia. Il Consiglio di giustizia amministrativa è pertanto titolare di un’attribuzione specifica che può essere sintetizzata nella formula «competenza funzionale inderogabile». Così, l’appello al Consiglio di Stato, che è un giudice diverso da quello individuato dalla legge, determina la consumazione del potere di impugnare, ove siano decorsi i termini per il gravame, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza impugnata. REGOLAMENTO DI COMPETENZA NEI GIUDIZI DI INTERESSE DEL TAR SICILIA Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 22 aprile 2014 n. 11 - Pres. Giovannini - Est. Corradino I conflitti di competenza di interesse del Tar Sicilia si risolvono secondo la ordinaria disciplina del regolamento di competenza stabilita dal c.p.a. e non quella, di cui al d.lgs. n. 373/2003, propria dei conflitti di competenza tra il Consiglio di giustizia amministrativa ed il Consiglio di Stato. La questione esaminata dall’Adunanza plenaria - sorta in merito ad una controversia tra il beneficiario di aiuti comunitari residente nella Regione Sicilia e l’Agea, che ne aveva disposto la caducazione - attiene all’individuazione dell’autorità giudiziaria chiamata a risolvere i conflitti di competenza nei quali sia interessato il Tar Sicilia. Nella sentenza segnalata si afferma che detti conflitti non rientrano nella disciplina dell'art 10, c. 5, del d.lgs. n. 373/2003, la quale attribuisce all'Adunanza plenaria, integrata da due magistrati della Sezione giurisdizionale del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, la cognizione dei conflitti di competenza, in sede giuri- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Osservatorio Consiglio di Stato sdizionale, tra il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia ed il Consiglio di Stato. In tal modo viene assicurato che i conflitti di competenza che coinvolgano il Consiglio di giustizia amministrativa, le cui prerogative sono garantite dallo Statuto della Regione siciliana, trovino tutela nella composizione allargata dell'Adunanza plenaria che vede la presenza dei membri della sezione giurisdizionale del massimo consesso siciliano. Analoga esigenza non si riscontra invece nei conflitti di competenza che vedano coinvolto il Tar Sicilia i quali, pertanto, sono sottoposti alla disciplina del regolamento di competenza ordinariamente stabilita dal codice del processo amministrativo, e cioè innanzi al Consiglio di Stato. SILENZIO DELLA AMMINISTRAZIONE TUTELA Consiglio di Stato, Sez. V, 28 aprile 2014 n. 2184 - Pres. Pajno - Est. Caringella Le due domande di cui si compone l’azione avverso il silenzio della amministrazione - dichiarativa e di condanna - sono parti di un giudizio unitario, dove l’accertamento è strumentale alla condanna ad un facere pubblicistico. Possono, tuttavia, essere autonome se la condanna non risulti più ammissibile o utile ma residui, a fini risarcitori, l’interesse ad una declaratoria di illegittimità dell’inerzia amministrativa. Il Consiglio di Stato si occupa della legittimità del silenzio tenuto dalla Regione Puglia sull'istanza di rilascio di auto- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 rizzazione unica per la realizzazione di un impianto eolico. Ribalta la sentenza con cui il Tar Puglia aveva dichiarato improcedibile il ricorso promosso dalla società interessata, ritenendo che la comunicazione di avvio del procedimento - a quasi tre anni dalla presentazione dell’istanza - avesse messo fine all’inerzia. Il Collegio premette che l’azione avverso il silenzio, di cui all’art. 31 del c.p.a., è concettualmente scindibile in due domande. La prima, di natura dichiarativa, è volta all’accertamento dell’obbligo, in capo all’amministrazione destinataria dell’istanza presentata dal titolare dell’interesse pretensivo, di definire il procedimento nel termine prescritto dalla disciplina legislativa o regolamentare a sensi dell’art. 2 della l. n. 241/1990. La seconda, inquadrabile nel novero delle azioni di condanna, è diretta ad ottenere una sentenza che condanni l’amministrazione inadempiente all’adozione di un provvedimento esplicito, previo accertamento della spettanza del bene della vita nei casi in cui venga in rilievo l’esplicazione di un potere discrezionale. Le due domande, normalmente conosciute nell’ambito di un giudizio unitario dove l’accertamento è strumentale alla condanna ad un facere di stampo pubblicistico, sono autonome nell’ipotesi in cui la sentenza di condanna non risulti più ammissibile o utile, ma residui, a fini risarcitori, l’interesse ad una declaratoria di illegittimità dell’inerzia amministrativa, come nel caso di specie. Ne è conferma la norma dettata dall’art. 34, c. 3, c.p.a. relativamente all’azione di annullamento, che esprime, però, una regula iuris valida anche per il giudizio avverso il silenzio, riconnettendosi al principio generale di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale e al corollario dell’ammissibilità di azioni di accertamento anche atipiche. 623 Osservatorio Consiglio di Stato / Pareri Osservatorio dei pareri del Consiglio di Stato a cura di Diego Sabatino e Licia Grassucci DOCUMENTAZIONE AMMINISTRATIVA CODICE DELLE LEGGI ANTIMAFIA. BANCA DATI NAZIONALE. ACCESSO TELEMATICO Consiglio di Stato, sez. atti normativi, parere 6 marzo 2014, n. 419/2014 In attuazione all’art. 99, c. 1, decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, recante “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli artt. 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136”, è introdotta la disciplina delle modalità di funzionamento, di accesso e consultazione della Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia. Il Ministero dell'economia e delle finanze chiede parere sullo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri recante disposizioni concernenti le modalità di funzionamento, accesso, consultazione e collegamento con il CED, di cui all’art. 8 della legge 1° aprile 1981, n. 121, della Banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, istituita ai sensi dell’art. 96 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159. Lo schema disciplina il funzionamento della Banca dati, la quale, attraverso un innovativo procedimento telematico, consente alle amministrazioni richiedenti (stazioni appaltanti e altre amministrazioni interessate individuate dagli artt. 83, c. 1 e 2, 87 e 97 del d.lgs. n. 159/2011) di ottenere il rilascio automatico della documentazione antimafia. L’eventuale esistenza di circostanze ostative o indizianti derivanti da decisioni dell’Autorità giudiziaria è effettuato dalla Banca dati attraverso collegamenti ad altri sistemi informativi della pubblica amministrazione capaci di fornire una risposta in via automatica. Inoltre, sono previsti accessi differenziati a secondo delle esigenze conoscitive di ogni categoria di soggetti autorizzati a connettersi con la Banca dati; infine, conformemente ai principi di tutela della privacy, le amministrazioni richiedenti sono legittimate a ricevere unicamente la documentazione antimafia liberatoria, ovvero “messaggi” generati automaticamente dal sistema che informano dell’impossibilità dell’immediato rilascio del provvedimento. Soltanto gli uffici del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’interno, le Forze di polizia, la Direzione nazionale antimafia, nonché la Segreteria tecnica del Comitato di coordinamento per l’alta sorveglianza delle grandi opere (CCASGO) hanno una completa visibilità della Banca dati, senza però poter modificare le informazioni in essa contenute. Quest’ultimo potere è riservato soltanto alle Prefetture, le quali sono autorizzate a immettere gli aggiornamenti derivanti dalle attività di propria competenza. Solo apposite unità organizzative, a livello centrale e presso ciascuna Prefettura, garantiscono il funzionamento della 624 Banca dati, rilasciano le credenziali di accesso, opportunamente differenziate, e vigilano sulla corretta fruizione della Banca dati. Il regolamento indica le informazioni che possono essere contenute nella Banca dati, prevedendone la cifratura (art. 4), i periodi massimi di conservazione di ciascuna tipologia dei dati immessi nel sistema (art. 5), le tipologie di informazioni che, attraverso i collegamenti telematici, possono essere attinte dalle piattaforme informatiche detenute da altre amministrazioni (art. 6). Sono costituiti, all’interno della Banca, due distinti archivi magnetici: uno destinato ad accogliere i dati relativi alla documentazione antimafia rilasciata e l’altro dedicato alla conservazione delle informazioni riguardanti gli accertamenti del Prefetto. E’ stabilito, inoltre, che le interrogazioni alla Banca dati possono essere effettuate esclusivamente attraverso i terminali di collegamento apprestati presso le sedi dei soggetti istituzionali e di quelli legittimati a collegarsi con la Banca dati. Sullo schema, composto di trenta articoli, la Sezione si è pronunciata favorevolmente sebbene con talune osservazioni e suggerimenti. Con il regolamento, la comunicazione e l'informazione antimafia sono acquisite direttamente dalle amministrazioni che le richiedono al Prefetto, unica autorità competente al rilascio della documentazione antimafia con effetto liberatorio o interdittivo. In attuazione del principio della “decertificazione” sancito dall'art. 15 della legge 11 dicembre 2011, n. 183, invece, non è più consentito ai soggetti privati interessati di chiedere al prefetto la documentazione antimafia. Il regolamento consente alla Banca dati di entrare in funzione con immediatezza. Al tempo stesso, nel disciplinarne le modalità di funzionamento, limita all’essenziale il trattamento dei dati prevedendo una apposita struttura organizzativa orientata a rilasciare credenziali di accesso differenziate e a vigilare sulla corretta fruizione della stessa. SISTEMA PUBBLICO DI PREVENZIONE DELLE FRODI NEL SETTORE DEL CREDITO AL CONSUMO E SUL FURTO D'IDENTITÀ Consiglio di Stato, sez. atti normativi, adunanza del 6 febbraio 2014, n. 3199/2013 Sostanzialmente accolte le riserve espresse sul primo schema di regolamento, recante “Istituzione di un sistema pubblico dì prevenzione, sul piano amministrativo, delle frodi nel settore del credito al consumo, con specifico riferimento al furto d'identità”, è favorevole con osservazioni il parere alla proposta sulla disciplina di attuazione dell'art. 30-octies, c. 1, del decreto legislativo 11 aprile 2011, n. 64. Dopo una prima richiesta di riformulazione inoltrata al Ministero dell’economia e delle finanze, la Sezione per gli atti Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Osservatorio Consiglio di Stato / Pareri normativi ha espresso parere favorevole sullo schema di regolamento di attuazione dell'art. 30-octies, c. 1, del decreto legislativo 11 aprile 2011, n. 64, recante “Istituzione di un sistema pubblico dì prevenzione, sul piano amministrativo, delle frodi nel settore del credito al consumo, con specifico riferimento al furto d'identità”. L’art. 30-ter del decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 141, come introdotto dall'art. 1 del decreto legislativo 11 aprile 2011, n. 64, ha istituito, nell'ambito del Ministero dell'economia e delle finanze, un sistema centralizzato di riscontro dei dati e di condivisione di informazioni. Il sistema è basato su due componenti: un archivio informatico, che consente di verificare, tramite l'interrogazione di database pubblici, i dati forniti da chi richiede una qualsiasi facilitazione finanziaria e di memorizzare informazioni sulle frodi subite e sui casi che configurano un rischio di frode; e un gruppo di lavoro, preposto alla definizione delle strategie di prevenzione delle frodi identitarie e delle linee guida per l'elaborazione statistica dei dati archiviati. Con un primo parere interlocutorio, la Sezione rilevava la valenza dell’interrelazione tra i soggetti aderenti e le banche dati detenute dagli enti e dalle amministrazioni pubbliche. Inoltre, anche sulla base del parere dato dal Garante per la protezione dei dati personali, evidenziava la necessità di un equo bilanciamento tra l'obiettivo di prevenire i comportamenti fraudolenti e il rischio che la diffusione di dati personali possa risultare lesiva per i soggetti ai quali le informazioni si riferiscono. A tal fine, richiedeva una riformulazione dello schema, evidenziando, tra l’altro, la necessità: di una norma di apertura che definisca i confini di operatività del provvedimento, ne precisi le finalità e sottolinei la funzione strumentale del trattamento dei dati personali rispetto alle stesse; di una più puntuale indicazione degli obblighi ricadenti sui soggetti che partecipano al sistema quali “aderenti diretti”, da precisare già nel testo del regolamento senza ulteriore rinvio all’atto di adesione; di introdurre nel testo una disposizione di coordinamento, diretta a chiarire se, in attesa del perfezionamento della convenzione tra MEF e aderenti indiretti, gli aderenti diretti possano avvalersi delle prestazioni delle imprese indicate nel formulario di adesione al sistema; di una specifica disposizione volta ad adeguare la possibilità di accesso dei diversi aderenti ai singoli livelli di sicurezza del sistema in relazione alle necessità effettive; di regolamentare, all’interno del servizio gratuito, telefonico e telematico, di ricezione di segnalazioni da parte di soggetti che hanno subito o temono di aver subito frodi configuranti ipotesi di furto d'identità, le procedure di trattamento dei dati e le modalità di inserimento degli stessi nell'archivio centrale informatizzato. Nuovamente sottoposto a esame lo schema come emendato, la Sezione riscontrava il sostanziale recepimento delle proprie indicazioni e, pur sollevando ulteriori osservazioni di carattere sostanziale e formale (in particolare, in merito alla necessità di pubblicare il decreto sulla Gazzetta Ufficiale corredato dell’elenco analitico dei nuovi oneri informativi posti a carico dell’Amministrazione, ai sensi del d.P.C.M. 14 novembre 2012, n. 252), formulava parere favorevole. FONDI PENSIONE CRITERI E LIMITI DI INVESTIMENTO DELLE RISORSE E REGOLE IN MATERIA DI CONFLITTI DI INTERESSE Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Consiglio di Stato, sez. atti normativi, adunanza del 23 gennaio 2014, n. 78/2014. Lo schema regolamentare per la disciplina degli investimenti dei Fondi pensione e delle regole in materia di conflitti di interesse è coerente con i poteri di normazione secondaria che la legge affida al Ministro dell’economia e delle finanze e in linea con gli obiettivi della funzione di regolazione, sia riguardo il sostegno dei mercati finanziari, con un flusso aggiuntivo di risorse destinate a sostenere gli investimenti e ad allargamento della base finanziaria dei mercati stessi, sia per la tutela rigorosa dei partecipanti ai Fondi stessi. La Sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato si esprime sullo schema di decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di attuazione dell’art. 6, c. 5-bis, del decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252, recante norme sui criteri e i limiti di investimento delle risorse dei fondi pensione e sulle regole in materia di conflitti di interesse. Pur sottolineando la necessità di alcuni interventi correttivi (anche non solo di drafting, tanto da premere per una espressa definizione dei “fondi pensioni aperti” e per una più chiara indicazione dell’attività del fondo come funzionalizzata all’interesse dell’iscritto) esprime una favorevole considerazione della proposta disciplinare. In particolare, riconosciuta la necessità di adeguare le disposizioni al nuovo quadro normativo, dato dal d.lgs n. 252 del 2005 (Disciplina delle forme pensionistiche complementari), e alle esigenze di investimento dei Fondi stessi, superando una impostazione basata sul prevalente rispetto di limiti quantitativi, inefficienti quando il mercato evolve rapidamente, la nuova disciplina richiama il principio comunitario della “persona prudente” che si caratterizza per adeguata professionalità, attenzione ai processi, conoscenza e gestione dei rischi inerenti gli investimenti, al fine di conseguire l’obiettivo dell’ottimizzazione del rapporto redditività/rischio. La Sezione dà atto che lo schema di decreto è stato sottoposto a consultazione pubblica ed è stato adottato dopo un’intensa consultazione con la Covip Commissione di vigilanza sui fondi pensione, in funzione di autorità di vigilanza. Esamina, quindi, sia gli strumenti tesi ad assicurare la comprensione, il controllo e la gestione continua di tutti i rischi cui il fondo può essere esposto nell’amministrare le risorse, identificando nel contempo le relative responsabilità, sia la nuove proposte in tema di conflitti di interesse, essenzialmente fondate sul principio secondo cui, non essendo possibile garantire in assoluto la prevenzione del conflitto, la tutela degli interessi del fondo pensione e, quindi, degli aderenti, può essere perseguita mediante obblighi di trasparenza. Inquadrato l’intervento regolamentare a valle dell’ambito di applicazione dell’art. 117, c. 2, Cost. (sulla scorta del triplice criterio della competenza esclusiva nella materia della disciplina dei mercati finanziari, della definizione del sistema complessivo della previdenza sociale anche con riferimento alle sue interazioni con i mercati finanziari; e dell’unificazione del sistema giuridico - economico), la Sezione esprime quindi parere favorevole, con osservazioni e proposte di modifiche e integrazioni. 625 Osservatorio Consiglio di Stato / Pareri GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA RICORSO STRAORDINARIO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA. MORTE DEL RICORRENTE Consiglio di Stato, sez. I, parere 8 gennaio 2014, n. 3916/2013. Il decreto del Presidente della Repubblica che definisce il ricorso straordinario è formalmente un provvedimento amministrativo, soggetto nei modi e nei termini alle formalità di quest’ultimo anche ai fini della sua notificazione. Il Ministro dell’interno chiede parere al Consiglio di Stato circa gli eventuali adempimenti dell’amministrazione referente ai fini della conclusione del procedimento e specificatamente della notifica del decreto del Presidente della Repubblica di decisione del ricorso straordinario in caso di morte del ricorrente. Ritiene la Sezione che, in considerazione delle peculiarità del gravame straordinario, non è richiesta alcuna attività alla parte interessata dopo la presentazione del ricorso; non sono richiesti né l’assistenza di un difensore, né specifici adempimenti formali anche ai fini di far constatare la conoscenza legale dell’evento interruttivo. Quindi, anche se il parere del Consiglio di Stato è divenuto vincolante (art. 69 legge 18 giugno 2009, n. 69), assumendo forma di atto giustiziale, il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica nel suo complesso e in particolare il provvedimento che definisce il gravame, cioè il decreto del Presidente della Repubblica, è da classificare formalmente come provvedimento amministrativo, soggetto alle formalità del procedimento amministrativo. Ne consegue che il ricorso straordinario non è soggetto alla disciplina dell’interruzione e che l’amministrazione deve procedere alla notifica del decreto che ha definito il gravame nei modi e nei termini previsti per i provvedimenti amministrativi. La notifica, dunque, dovrà essere eseguita agli eredi del defunto, ovvero, se risulta oltremodo difficoltoso individuare i possibili eredi, per pubblici proclami ai sensi dell’art. 150 c.p.c. Qualora il soggetto non sia deceduto da oltre un anno, infine, la notifica può essere rivolta collettivamente ed impersonalmente agli eredi nell’ultimo domicilio del defunto, secondo la previsione di cui all’art. 303, c. 2, c.p.c. nel caso in cui generalità e residenza degli eredi non siano state comunicate al Ministero competente o all’Amministrazione che aveva adottato l’atto impugnato. MILITARI ASSISTENZA AI PORTATORI DI HANDICAP. REQUISITI PER IL TRASFERIMENTO Consiglio di Stato, sez. II, adunanza del 22 gennaio 2014, n. 5943/2012. Ai fini della concessione al dipendente del beneficio del trasferimento per l’assistenza al familiare portatore di handicap occorrono due requisiti: le esigenze organiz- 626 zative dell’Ufficio lo consentono e l’effettiva necessità del trasferimento. Il Ministero dell'economia e delle finanze - Comando Generale Guardia di Finanza - chiede parere al Consiglio di Stato a proposito della portata delle modifiche introdotte dalla legge 4 novembre 2010, n. 183, in materia di permessi per l’assistenza a portatori di handicap in situazioni di gravità e alla loro applicabilità al personale delle Forze Armate, nella specie Corpo della Guardia di Finanza. Il parere formulato evidenzia come la nuova disciplina, prevista dall’art. 24 della legge 4 novembre 2010, n. 183, modificando l’art. 33 della legge n. 104/1992, in materia di permessi per l’assistenza a portatori di handicap in situazione di gravità, abbia eliminato l’esplicito richiamo ai requisiti della “continuità” e dell’“esclusività” dell’assistenza quali presupposti necessari ai fini della fruizione di tali permessi da parte dei beneficiari. Pertanto, le uniche due esigenze che l’Amministrazione è tenuta a valutare ai fini di concedere o meno al lavoratore istante il beneficio del trasferimento per l’assistenza al familiare portatore di handicap sono, da un lato, le esigenze organizzative ed operative dell’amministrazione di appartenenza, rispetto alle quali il trasferimento deve risultare “possibile”, e, dall’altro lato, l’effettiva necessità del trasferimento del lavoratore per l’assistenza del familiare disabile, onde impedire un uso strumentale, improprio ed eventualmente opportunistico della normativa a tutela dei disabili gravi. Tale orientamento è stato, peraltro, già recepito negli atti di alcune amministrazioni competenti, come per esempio il Ministero della giustizia (circolare Min. Giustizia, DAP, del 28 dicembre 2012). SPESE DI GIUSTIZIA RECUPERO DELLE SPESE DEL PROCESSO PENALE ANTICIPATE DALL’ERARIO Consiglio di Stato, sez. atti normativi, adunanza del 23 gennaio 2014, n. 57/2014. Parere sul nuovo regolamento in materia di recupero delle spese del processo penale e abrogazione del decreto ministeriale 8 agosto 2013, n. 111. Il Ministero della giustizia chiede parere sullo schema di regolamento volto ad abrogare il decreto ministeriale 8 agosto 2013, n. 111 e a ridefinirne il contenuto onde ovviare a dubbi applicativi e incertezze interpretative che quest’ultimo poteva ingenerare. Sullo schema di regolamento, composto di tre articoli, la Sezione si è pronunciata favorevolmente, sia con talune osservazioni sui singoli articoli (recupero forfetizzato, art. 1; recupero per intero e per quota, art. 2; disposizioni transitorie, art. 3), sia con suggerimenti necessari quali l’individuazione delle modalità e delle forme con cui procedere alla disciplina della materia del recupero delle spese per la custodia e la conservazione delle cose sequestrate e per l’amministrazione dei beni sottoposti a sequestro preventivo atteso che, in ragione della sua peculiarità, la materia non può trovare adeguata collocazione nello schema di regolamento in esame. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Osservatorio Tribunali amministrativi regionali Osservatorio dei Tribunali amministrativi regionali a cura di Giulia Ferrari ENTI LOCALI ICI E IMU T.A.R. Lazio, sez. I, 8 aprile 2014, n. 3804 - Pres. Tosti Est. Polidori Sono illegittimi le note metodologiche del Ministero dell’economia e delle finanze in materia di “revisione stime Ici e Imu” e i provvedimenti con i quali sono state disposte le variazioni nelle assegnazioni a valere sul fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) per l’anno 2012. L’Associazione nazionale dei Comuni italiani propone ricorso al Tar Lazio in relazione agli effetti dell’istituzione dell’Imu sulle attribuzioni ai Comuni a valere sui Fondi (Fondo sperimentale di riequilibrio e Fondo di perequazione) istituiti con la normativa in materia di federalismo fiscale municipale al fine di garantire il corretto svolgersi del processo di devoluzione dei tributi ai Comuni. In particolare impugna le note metodologiche predisposte dal Ministero dell’economia e delle finanze in tema di revisione delle stime Ici e Imu da far valere sul fondo sperimentale di riequilibrio (FSR) per l’anno 2012, nonché i provvedimenti con i quali sono state disposte le conseguenti variazioni nelle assegnazioni a valere sul FSR per l’anno 2012. L’adito Tar Lazio accoglie il ricorso. Dichiara illegittimi gli atti impugnati sul rilievo che i Ministeri competenti illegittimamente hanno: a) trasformato anche il gettito Ici in un’entità oggetto di stima, facendo applicazione di criteri approssimativi e ottenendo un risultato lontano da quello dei certificati di conto consuntivo; b) tenuto conto, ai fini della stima del gettito Imu, di componenti aggiuntive di gettito non dovute (immobili di proprietà comunale); c) proceduto a tali «operazioni integrative» nell’intento di allineare le risorse da assegnare ai Comuni per le finalità di cui all’art. 2, decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 con le risorse disponibili sul FSR dopo il taglio operato con l’art. 13, c. 17, ultimo periodo, decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201. Aggiunge il Tar che i provvedimenti impugnati contrastano con l’art. 2, d.m. 8 agosto 2012, perché il Ministero dell’economia e delle finanze, in ragione dell’incompletezza dei dati relativi a taluni Comuni, risultanti dai predetti certificati di conto consuntivo, ha ritenuto di poter superare con operazioni correttive, per tutti i Comuni, i dati cristallizzati in tali certificati. REGISTRO AMMINISTRATIVO DELLE UNIONI CIVILI T.A.R. Liguria, sez. I, 4 aprile 2014, n. 518 - Pres. Balba - Est. Ponte E’ inammissibile il ricorso proposto da un’Associazione avverso il regolamento comunale che istituisce il Registro amministrativo delle unioni civili. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Un’Associazione impugna la delibera del Consiglio comunale di Genova che ha approvato il Regolamento di istituzione del Registro amministrativo delle unioni civili di persone, indipendentemente dal sesso, legate da vincoli affettivi e di reciproca solidarietà, conviventi ed aventi dimora abituale nel Comune di Genova. Il Tar dichiara inammissibile il ricorso. Ricorda che il regolamento non è atto di per sé impugnabile, essendo - proprio per il suo contenuto normativo, astratto e programmatico - privo di disposizioni immediatamente lesive, a nulla rilevando che le sue disposizioni possano prefigurare un’incisione futura sulla sfera giuridica di chi ne risulterà in concreto destinatario. Conseguentemente, può formare oggetto di impugnazione solo insieme agli atti applicativi, perché è con tali atti che si realizza il pregiudizio della sfera soggettiva degli effettivi destinatari e, quindi, si attualizza l’interesse a ricorrere. Unica eccezione a tale regola è rinvenibile nell’ipotesi in cui il regolamento contenga anche disposizioni immediatamente lesive, incidendo direttamente e unilateralmente sulla sfera giuridica di uno o più soggetti individuati, emergendo in tal caso un contenuto provvedimentale. Il Tribunale esclude che il Regolamento impugnato contenga alcuna disposizione immediatamente lesiva di situazioni giuridiche, non potendosi certo censurare in sede di legittimità le scelte politiche e di valore sottese al testo. Altro profilo di inammissibilità è da riconnettere al difetto di legittimazione attiva dell’Associazione, atteso che nel suo Statuto manca l’indicazione che il fine perseguito è la tutela della famiglia fondata sul matrimonio. DIMISSIONI ULTRADIMIDIUM DI CONSIGLIERI COMUNALI T.A.R. Pescara 3 aprile 2014, n. 150 - Pres. Eliantonio Est. Balloriani Ai sensi degli artt. 38 e 141, decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nel caso di dimissioni di consiglieri comunali in numero superiore alla metà dei componenti l’organo collegiale, è ammissibile una comunicazione delle stesse mediante un soggetto delegato a presentarle al protocollo del Comune. E’ impugnato dinanzi al Tar Pescara il decreto del Presidente della Repubblica di scioglimento di un Consiglio comunale per dimissioni contestuali dei consiglieri in numero superiore alla metà. Si deduce che le dimissioni sono state presentate per delega e che ciò non sarebbe possibile. Infatti, in caso di ripensamento di uno dei deleganti, gli altri potrebbero restare inconsapevolmente legati ad un atto i cui effetti mutano, nel senso di non determinare più lo scioglimento dell’Ente ma soltanto la surroga dei rinunciatari. Il Tar respinge il ricorso. Chiarisce che il art. 38, decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, pur evidenziando la natura personale dell’atto di dimissioni, specifica espressamente la possibilità di avvalersi di un nuncius per il deposi- 627 Osservatorio Tribunali amministrativi regionali to del medesimo. Il successivo art. 141 dello stesso Testo unico degli enti locali, che integra la disciplina del cit. art. 38, non aggiunge nulla in ordine alla natura personale dell’atto di dimissioni, con la conseguenza che, nel caso di dimissioni contestuali di più della metà dei consiglieri, è ammissibile una comunicazione delle stesse mediante un soggetto delegato a presentarle al protocollo del Comune e proprio l’utilizzo di tale mezzo di comunicazione della dichiarazione garantisce la contestualità e quindi il realizzarsi della funzione specifica che i dichiaranti mirano ad ottenere. Il ripensamento di uno dei dimissionari, comunicato al nuncius, obbligherebbe del resto quest’ultimo ad avvisare gli altri tempestivamente di tale circostanza sopravvenuta prima di depositare l’atto collettivo, secondo il principio di buona fede e in analogia a quanto previsto dall’art. 1710, c. 2, c.c.. Aggiunge il Tar che il cit. art. 38, pur disciplinando per alcuni versi l’atto di dimissioni in generale, laddove impone che le dimissioni personali siano indirizzate al Consiglio comunale, non può che riferirsi al caso specifico delle dimissioni individuali. A tale conclusione si perviene sia sulla base di un’interpretazione teleologica, giacché solo nel caso di dimissioni individuali è il Consiglio comunale che deve provvedere alla surroga del dimissionario, mentre nel caso di dimissioni contestuali l’effetto tipico è lo scioglimento immediato dell’organo collegiale al momento della presentazione delle stesse al protocollo; sia secondo un’interpretazione letterale, atteso che il cit. art. 141 c. 1, d.lgs. n. 267 del 2000 non prevede alcun altro requisito di efficacia se non la presentazione contestuale delle dimissioni ultra dimidium al protocollo dell’Ente. TARES T.A.R. Toscana, sez. I, 1 aprile 2014, n. 627 - Pres. Buonvino - Est. Cacciari E’ legittimo il Regolamento comunale che determina una quota fissa e variabile del tributo comunale sui rifiuti e servizi in base a coefficienti di produzione potenziale, basandosi sull’assunto secondo cui tale produzione è, di norma, più elevata nelle utenze alberghiere rispetto a quelle domestiche. Un’Associazione albergatori e ristoratori impugna dinanzi al Tar Toscana il Regolamento, approvato dal Consiglio comunale, per l'istituzione e l'applicazione del tributo comunale sui rifiuti e servizi (Tares) nonché la deliberazione con la quale lo stesso Consiglio comunale ha approvato le tariffe anno 2013 di tale tributo. Afferma che l’art. 18 del Regolamento stabilisce la determinazione della quota fissa e variabile del tributo in base a coefficienti di produzione potenziale i quali sarebbero sproporzionati tra utenze domestiche e alberghiere e di ristorazione, basandosi sull’errato assunto che le seconde producano più rifiuti dei residenti. Illegittimamente non si sarebbe tenuto conto che gli alberghi siti nel Comune esercitano attività in modo stagionale e rimangono chiusi in gran parte dell’anno. Aggiunge che non si comprende perché gli occupanti di una camera d’albergo dovrebbero produrre rifiuti in misura maggiore rispetto a quelli di un’abitazione civile. Deduce quindi la violazione del principio di cui all’art. 15 della direttiva CE 12/2006, secondo cui il costo dello smaltimento dei rifiuti deve gravare sul soggetto che li produce. Tale principio risulta violato anche per la mancata previsione di una riduzione del costo per le attività stagionali, che invece è stata stabilita per i detentori di locali o aree pubbliche o ad uso pubblico che li 628 occupano per periodi non superiori a 183 giorni l’anno, come chioschi o bancarelle, determinando quindi un’ingiustificata disparità di trattamento. Il Tar respinge il ricorso. Afferma che l’art. 14, decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, successivamente abrogato a decorrere dal 1° gennaio 2014 dall’art. 1 comma 704, legge 27 dicembre 2013, n. 147, prevedeva al c. 9, richiamato nell’impugnato Regolamento, che la tariffa venisse commisurata alle quantità di rifiuti prodotti per unità di superficie sulla base dei criteri previsti dal d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158. Detto provvedimento è stato ritenuto legittimo e conforme alla normativa comunitaria (Cons. Stato, sez. VI, 4 dicembre 2012, n. 6208), in quanto il diritto comunitario non impone agli Stati membri un metodo preciso per il finanziamento del costo dello smaltimento dei rifiuti urbani. La stessa giurisprudenza del giudice amministrativo ha affermato che, in sede di fissazione delle tariffe comunali per il pagamento dei rifiuti, è legittimo addebitare un maggior carico agli esercizi alberghieri rispetto alle utenze domestiche perché costituisce dato di comune esperienza la maggiore capacità produttiva di rifiuti di un esercizio alberghiero rispetto ad un’abitazione (Tar Sardegna II, 12 aprile 2011 n. 348). Il Tar Toscana aderisce a tale orientamento giurisprudenziale in quanto il carico dell’esercizio alberghiero o di ristorazione, pur se operante in pochi mesi dell’anno, è riferibile ad una moltitudine di persone nell’ambito di un medesimo edificio, diversamente da quanto accade per le utenze domestiche. AVVOCATI DEGLI ENTI LOCALI T.A.R. Palermo, sez. I, 28 marzo 2014, n. 931 - Pres. D’Agostino - Est. Lamberti E’ illegittimo l’inquadramento retroattivo di alcuni avvocati cassazionisti, dipendenti di Ente locale nella seconda qualifica dirigenziale, con immotivata esclusione di altri che versano in identica situazione. Un dipendente comunale con la qualifica di "avvocato cassazionista" impugna la delibera dirigenziale che ha inquadrato, con effetto retroattivo, sei colleghi di pari qualifica nella seconda qualifica dirigenziale, senza estendere a lui tale beneficio. Premessa la giurisdizione del giudice amministrativo per essere stato il gravame proposto prima del 15 settembre 2000, il Tar Palermo accoglie il ricorso. Afferma che nella specie risulta violato il principio, di diretta derivazione costituzionale (art. 97 Cost.), di parità di trattamento in presenza di parità di condizioni. Infatti, a fronte di una dedotta e non contestata equivalenza del percorso professionale del ricorrente e dei sei avvocati cassazionisti, solo costoro sono stati inquadrati nella più favorevole seconda qualifica dirigenziale, senza che l’Amministrazione abbia addotto elementi concreti atti a fondare e giustificare tale discriminazione. Il Tribunale esclude che la propria decisione possa costituire un inammissibile sindacato giudiziale ab interno sulle scelte discrezionali della pubblica amministrazione in punto di gestione (allora ancora autoritativa) del rapporto di lavoro, essendo censurato ab externo l’irragionevole ed immotivata disparità di trattamento pur in presenza di situazioni analoghe. E’ noto infatti che l’azione dell’Amministrazione si dispiega entro il limes ultimo rappresentato (tra l’altro) dal principio di logicità e di non contraddittorietà, il cui superamento ben può essere conosciuto, sindacato e censurato dal giudice amministrativo. All’accoglimento del ricorso consegue l’obbligo del Comune di pagare le connesse differenze retributive, assistenzia- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Osservatorio Tribunali amministrativi regionali li, previdenziali e contributive a decorrere dalla data in cui l’inquadramento è stato fatto retroagire, con integrale ricostruzione della carriera ai fini retributivi e previdenziali. Sulle somme dovute spettano gli interessi legali al tasso anno per anno vigente, nonché la rivalutazione monetaria. EDILIZIA CONDONO DI ABUSI EDILIZI T.A.R. Marche 4 aprile 2014, n. 415 - Pres. (f.f.) Morri Est. Ruiu L'aerofotogrammetria non è elemento sempre decisivo per la decisione delle controversie riguardanti la data di costruzione degli immobili, ai fini del condono di abusi edilizi. Un Comune rigetta un’istanza di condono di cinque manufatti riscontrando dubbi sulla corrispondenza dei fabbricati, come presentati nella domanda e la cartografia in proprio possesso, risalente al 1989, basata su rilievi aereo fotogrammetrici e dalla quale risulterebbe che due dei cinque manufatti da sanare e le loro dimensioni sarebbero difformi da quanto dichiarato. Avverso il diniego è proposto ricorso al Tar Marche, che lo accoglie per difetto di istruttoria e di motivazione. Secondo il Tribunale, infatti, l'aerofotogrammetria non è elemento sempre decisivo per la soluzione delle controversie riguardanti la data di costruzione degli immobili, ai fini della sanatoria degli abusi edilizi, dovendo la stessa essere inserita nel contesto di riferimento e considerata unitamente a tutte le risultanze probatorie, anche fornite dalla parte. Si tratta di strumento che non ha una valenza maggiore di quanto essa possa oggettivamente averne, proprio in ragione del fatto che, come strumento in sé, può non essere del tutto preciso. Le risultanze fattuali vanno calate in un preciso contesto di riferimento, tenuto conto che l'aerofotogrammetria è pur sempre una fotografia che riporta un dato oggettivo (quello colto dall'immagine), che va poi interpretato - sia dai tecnici che dai giudici in ragione degli strumenti utilizzati, del contesto di riferimento e di tutte le altre risultanze probatorie in possesso dell'Amministrazione. Osserva il Tar che, nel caso al suo esame, la documentazione appare insufficiente, in quanto rimane indimostrato che i manufatti minori potessero essere visibili nella foto aerea e le difformità dei manufatti di maggiori dimensioni sono solo elencate in maniera apodittica, senza alcuna analisi al riguardo, con riferimento all’epoca e alla genesi delle difformità. In assenza di qualsiasi ulteriore indagine da parte del Comune, quanto riscontrato non è sufficiente a ritenere la falsa rappresentazione della realtà nella domanda di condono edilizio. E’, infatti, domanda dolosamente infedele e costituisce motivo di diniego del condono edilizio l’istanza che presenti inesattezze ed omissioni tali da configurare un'opera completamente diversa per dimensione, natura e modalità dell'abuso dall'esistente, sempre che detta difformità risulti preordinata a trarre in errore il Comune su elementi essenziali dell'abuso quali la data della sua commissione e la qualificazione giuridica dell'illecito. Il Comune avrebbe dovuto quindi verificare se le difformità riscontrate nella cartografia fossero effettivamente decisive e se le opere fossero in parte condonabili, dato che il provvedimento comunale rimane perplesso sul fatto che gli immobili di cui ai rilevi aerofogrammetri- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 ci fossero o meno corrispondenti a quelli oggetto della domanda. PERMESSO DI COSTRUIRE T.A.R. Salerno, sez. I, 25 marzo 2014, n. 617 - Pres. Urbano - Est. Palliggiano L’art. 5, c. 9, decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, non prevede un legame di concatenazione tra la riqualificazione delle aree degradate e quella degli edifici dismessi, in modo da ritenere che il recupero di questi ultimi debba necessariamente rappresentare un posterius rispetto alla riqualificazione complessiva di un’area in quanto degradata, costituente il prius. In occasione dell’impugnazione del diniego di rilascio di un permesso di costruire, chiesto per l’ampliamento di un immobile ed opposto per non essere questo sito in area urbana degradata, il Tar Salerno preliminarmente esclude che siano stati violati i termini di conclusione del procedimento. I termini, infatti, sono stati interrotti dalla comunicazione del preavviso di rigetto ex art. 10 bis, legge 7 agosto 1990, n. 241 e sono nuovamente iniziati a decorrere dalla data di presentazione delle osservazioni o, in mancanza, dalla scadenza del termine a tal fine assegnato. Il Tar giudica invece illegittimo l’impugnato diniego del permesso per l’ampliamento di un immobile, motivato con riferimento alla carenza dei presupposti richiesti dall’art. 5, c. 9, decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, e, in particolare, perché il fabbricato da ampliare non insiste in area urbana degradata. Precisa il Tribunale che il fabbricato oggetto di ampliamento insiste in zona immediatamente contigua all’area interessata dal Piano di recupero urbanistico (P.R.U.). Aggiunge il Tar che l’art. 5, c. 9, del citato d.l. n. 70 autorizza il compimento di determinate attività edilizie, quali bonus volumetrico, cambio di destinazione, delocalizzazione delle volumetrie, modifiche di sagoma, senza subordinarle all’insistenza dell’edificio interessato in aree degradate. Più precisamente la norma intende promuovere la riqualificazione delle aree urbane degradate anche tramite interventi di demolizione e ricostruzione con riconoscimento dell’aumento di volumetria quale misura premiale. In questo senso va correttamente interpretata la congiunzione "nonché", contenuta nel richiamato art. 5 c. 9, la quale costituisce un’opportunità edificatoria che il legislatore prevede, in via alternativa, nel caso di demolizione e ricostruzione senza che, in via cumulativa, lo stabile debba necessariamente insistere nelle aree degradate. GIURISDIZIONE SANZIONI DISCIPLINARI A MAGISTRATI AMMINISTRATIVI T.A.R. Lazio, sez. II, 26 marzo 2014, n. 3318 - Pres. Tosti - Est. Martino Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia avente a oggetto la sanzione disciplinare inflitta a un magistrato amministrativo. Un magistrato amministrativo impugna dinanzi al Tar Lazio la sanzione disciplinare inflittagli dal Consiglio di Presidenza della Giustizia amministrativa. Alla vigilia dell’udienza di trattazione del merito della causa deduce la carenza di giu- 629 Osservatorio Tribunali amministrativi regionali risdizione del giudice adito. Il Tar afferma preliminarmente che, ai sensi degli artt. 24, c. 1, Cost. e 100 c.p.c., costituiscono condizioni dell'azione, sotto forma d’interesse a ricorrere, la prospettazione di una lesione concreta ed attuale dell'interesse sostanziale dedotto in giudizio e l'idoneità del provvedimento richiesto al giudice a tutelarlo e soddisfarlo. La decisione giurisdizionale, in particolare, deve costituire strumento per apprestare rimedio alla lesione della situazione giuridica tutelata, in quanto idoneo ad arrecare un vantaggio concreto al ricorrente in relazione alla sua posizione legittimante. Nel caso in esame, dalla pronuncia giurisdizionale richiesta, di natura puramente processuale e di contenuto negativo, il ricorrente non trarrebbe utilità pratica o vantaggio alcuno in relazione alla posizione giuridica legittimante dedotta in giudizio. Il Tar affronta comunque d’ufficio la questione di giurisdizione e conclude nel senso di essere il giudice competente a decidere la controversia. Chiarisce che, con la sentenza 27 marzo 2009, n. 87, la Corte costituzionale ha ribadito che la natura giurisdizionale o amministrativa del procedimento disciplinare dipende dai caratteri che il legislatore ha scelto di attribuire al procedimento stesso e agli organi in esso coinvolti. Il giudice delle leggi ha quindi aggiunto che mentre il procedimento disciplinare relativo ai magistrati ordinari ha natura giurisdizionale, “quello relativo ai magistrati amministrativi ha natura di procedimento amministrativo”. Secondo la Corte costituzionale, questa diversa configurazione del procedimento dipende da una scelta del legislatore, che ben può articolare diversamente l'ordinamento delle singole giurisdizioni, a patto che siano rispettati i principi costituzionali comuni. Indipendentemente dalla natura che la legge attribuisce al procedimento e all'autorità disciplinare, dalla garanzia costituzionale d’indipendenza deriva una particolarità di questo procedimento, quando esso riguardi un magistrato, in quanto per quest'ultimo, a differenza di quanto accade per altre categorie di personale pubblico (sentenza 19 maggio 2008, n. 182), la Costituzione impone che sia assicurata, anche in sede disciplinare, la massima espansione del diritto di difesa. NOMINA COLLEGIO DEI REVISORI DEI CONTI T.A.R. Basilicata 22 marzo 2014, n. 193 - Pres. (ff.) Est. Pennetti Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia avente a oggetto la nomina dei componenti il Collegio dei revisori dei conti. Il Tar Basilicata afferma la propria giurisdizione nella controversia avente ad oggetto la nomina dei componenti il Collegio dei revisori dei conti di un ente locale, sussistendo in capo all’aspirante all’incarico una posizione di interesse legittimo e non di diritto soggettivo. A tale conclusione perviene sulla base di molteplici rilievi. In primo luogo la fattispecie configurante la nomina del Collegio dei revisori dei conti per il nuovo triennio (2013-2015) prevede una articolata procedura che, ai sensi dell’art. 5 del decreto del Ministero dell’interno 15 dicembre 2012, n. 23, contempla il sorteggio dei nominativi dei componenti il Collegio la cui nomina però - previa verifica della cause di incompatibilità (art. 236, decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267) o di altri impedimenti (artt. 235 e 238, d.lgs. n. 267 del 2000) spetta esclusivamente al Consiglio comunale. Aggiunge il Tribunale che le cause di vera e propria incompatibilità ed ineleggibilità sono quelle riguardanti lo status di revisore e 630 sono disciplinate dall’art. 236, d.lgs. n. 267 del 2000, secondo cui valgono per i revisori le ipotesi di incompatibilità di cui al c. 1 dell'art. 2399 c.c., intendendosi per amministratori i componenti dell'organo esecutivo dell'ente locale. Passando al merito del ricorso, il Tar lo respinge. Afferma che la corretta interpretazione del c. 1 dell’art. 235, d.lgs. n. 267 del 2000, che prevede che i revisori dei conti sono rieleggibili per una sola volta, porta ad escludere una terza rielezione solo qualora questa sia consecutiva. Ciò in quanto il divieto scatta soltanto a seguito di due elezioni consecutive, posto che la rielezione è tale solo se segue una precedente elezione senza soluzione di continuità, traducendosi altrimenti la disposizione in un irrazionale ed ingiustificato divieto di elezione a vita per chi ha ricoperto l’incarico in un ente per due trienni nell’arco della propria attività professionale. Tale conclusione appare maggiormente aderente alla formulazione della previsione dell’art. 235, c. 1, d.lgs. n. 267 del 2000 che, utilizzando la formulazione “sono rieleggibili per una sola volta”, opera un chiaro riferimento ad elezioni che devono susseguirsi senza soluzione di continuità, e non ad elezioni che si svolgano a distanza di un considerevole periodo di tempo. PROVVISTA FINANZIARIA NECESSARIA A FAR FRONTE AGLI OBBLIGHI DI SERVIZIO PUBBLICO T.A.R. Pescara 19 marzo 2014, n. 127 - Pres. Eliantonio - Est. Balloriani Rientra nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133, c. 1 lett. c), c.p.a., la controversia avente ad oggetto la mancata erogazione, da parte della Regione, dei mezzi finanziari per l'espletamento, da parte della Provincia, del supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap. La Provincia di Pescara propone ricorso perché sia accertato l'obbligo della Regione Abruzzo di garantire un contributo pari al 50% della spesa da essa sostenuta per il supporto organizzativo del servizio di istruzione per gli alunni con handicap. Il Tar Pescara preliminarmente riconosce la propria giurisdizione ai sensi dell’art. 133, c. 1 lett. c), c.p.a., atteso che si verte su aspetti organizzativi e sui limiti dei fondi da destinare all’attuazione di un servizio pubblico. Chiarisce che la controversia non ha carattere solo patrimoniale di mero inadempimento di obblighi predeterminati, ma attiene all’individuazione dei limiti in cui spetta alla Pubblica amministrazione assumere i costi e la gestione del servizio pubblico; garantire cioè lo svolgimento ed il finanziamento del servizio stesso, mediante la provvista di fondi necessari. In altri termini, la controversia riguarda la pretesa inerente i limiti della provvista finanziaria necessaria a far fronte agli obblighi di servizio pubblico, e quindi coinvolge direttamente il profilo organizzativo del servizio, sulla scorta della essenzialità degli apporti finanziari allo scopo del raggiungimento di finalità di interesse collettivo. La provvista finanziaria è concettualmente inscindibile dal servizio, trovando questo nei mezzi di finanziamento la stessa possibilità di esistenza. Non può esistere servizio pubblico se non esiste il correlato finanziamento che lo renda possibile, con la conseguente essenzialità di quest'ultimo in ragione della stretta interdipendenza tra servizio e provvista. Corollario di tale premessa è che la controversia avente a oggetto la mancata erogazione dei mezzi finanziari per l'espletamento del servizio inerisce, per sua Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Osservatorio Tribunali amministrativi regionali stessa natura, alla materia dei pubblici servizi. Ciò premesso, in conformità a quanto statuito da Corte costituzionale con la sentenza 6 luglio 2004, n. 204, una volta che si è accertato che la causa in esame verte su questioni attinenti a profili pubblicistici di organizzazione e finanziamento del servizio pubblico, essa è attratta nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, oggi ai sensi dell’art. 133 c.p.a., a prescindere dalla natura vincolata o meno del potere esercitato. SANZIONE DISCIPLINARE A PROFESSORE UNIVERSITARIO CHE PRESTA SERVIZIO PRESSO A.S.L. T.A.R. Umbria 14 marzo 2014, n. 160 - Pres. Lamberti Est. Amovilli Rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto la sanzione disciplinare disposta da un’Azienda sanitaria locale ad un sanitario che è anche professore universitario presso la Facoltà di medicina. Un professore universitario della Facoltà di medicina impugna dinanzi al Tar la sanzione disciplinare della sospensione per cinque mesi dal servizio, disposta dall’Azienda sanitaria locale presso la quale lavora, per aver effettuato visite specialistiche in regime di attività libero professionale intramoenia in orario di servizio, nonché per aver erogato ai propri assistiti esami diagnostici senza registrazione presso il CUP, con danno per l’erario aziendale. L’adito Tribunale declina la giurisdizione. Afferma infatti che rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto il rapporto lavorativo del personale universitario con un'Azienda sanitaria, poiché l'art. 5, c. 2, decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517, distingue il rapporto di lavoro dei professori e ricercatori con l'Università da quello instaurato dagli stessi con l'Azienda sanitaria e dispone che, sia per l'esercizio dell'attività assistenziale, sia per il rapporto con le aziende, si applicano le norme stabilite per il personale del servizio sanitario nazionale. Segue da ciò che, allorché la parte datoriale s’identifica nell'Azienda sanitaria, la qualifica di professore universitario funge da mero presupposto del rapporto lavorativo e l'attività svolta s’inserisce nei fini istituzionali e nell'organizzazione dell'Azienda, con conseguente operatività del principio generale di cui all'art. 63, c. 1, decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, che sottopone al giudice ordinario le controversie dei dipendenti delle aziende e degli enti del Servizio sanitario nazionale. Precisa infine il Tribunale che, nel caso sottopo- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 sto al proprio esame, la domanda del ricorrente attiene all’annullamento della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio comminata dall’Azienda Ospedaliera per violazione dei doveri assistenziali previsti per il personale del S.s.n. e, quindi, esclusivamente a questioni inerenti il predetto rapporto di lavoro. PROCESSO AMMINISTRATIVO RECLAMO CONTRO L’ATTIVITÀ DEL COMMISSARIO AD ACTA T.A.R. Lazio, sez. III quater, 27 marzo 2014, n. 3383 Pres. Riggio - Est. Ferrari Il reclamo avverso l’attività del Commissario ad acta deve essere depositato entro il termine di sessanta giorni previsto dal c. 6 dell’art. 114 c.p.a.. Con istanza di fissazione di udienza, non notificata, un ricorrente chiede al Presidente di Tar di fissare una nuova camera di consiglio. A supporto di tale richiesta accenna, senza per nulla motivare, che il Commissario ad acta, nominato dal Tribunale, a fronte dell’inerzia dell’Amministrazione soccombente, per dare esecuzione a una propria precedente sentenza a lui favorevole, non avrebbe correttamente adempiuto al proprio incarico. Successivamente propone reclamo formale contro l’attività commissariale. L’adito Tar Lazio dichiara la tardività di tale reclamo perché depositato oltre il termine di sessanta giorni previsto dal c. 6 dell’art. 114 c.p.a.. Afferma di poter prescindere dal verificare il dies a quo della decorrenza del termine di sessanta giorni, termine che il Cons. Stato, sez. IV, 20 gennaio 2014, n. 260 fa partire dalla data del deposito del provvedimento commissariale oggetto del reclamo, ossia dal momento della conoscibilità dell’avvenuto adempimento da parte del Commissario ad acta, sul rilievo che la conoscibilità (e non l’effettiva conoscenza, che invece giova ai terzi esterni) appare un criterio di equa ripartizione dei doveri di diligenza processuale in capo ai soggetti coinvolti. Certo è, infatti, che nel caso sottoposto all’esame del Tribunale alla data dell’invio del reclamo non notificato, id est dell’istanza di fissazione di udienza non notificata, il ricorrente dimostra di conoscere già il provvedimento del Commissario ad acta. Da tale data è ampiamente decorso il termine di sessanta giorni per il deposito del reclamo, peraltro notificato ben oltre il predetto termine. 631 Osservatorio Corte dei conti Osservatorio della Corte dei conti a cura di Laura D’Ambrosio e Francesco Battini CONTROLLI INCENTIVI ALLA PROGETTAZIONE Corte dei Conti, sezione delle Autonomie, deliberazione del 4 aprile 2014, n 7/SEZAUT/2014/QMIG Gli incentivi alla progettazione di cui all'art. 92, c. 6, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163 previsti per il dipendente che rediga "un atto di pianificazione comunque denominato" possono essere riconosciuti solo qualora la progettazione sia strettamente connessa alla realizzazione di un'opera pubblica e non per qualsiasi atto di pianificazione. La Sezione delle Autonomie interviene per risolvere un contrasto giurisprudenziale sorto tra numerose Sezioni regionali (Liguria, Toscana, Emilia Romagna, Puglia) e la Sezione per il controllo del Veneto in merito all'interpretazione da dare alla possibilità di riconoscere incentivi economici ai dipendenti che redigono atti di pianificazione. Come è noto, la norma citata era nata con l'intento di consentire agli enti locali e, più in generale, alle stazioni appaltanti, di procedere alla progettazione interna, tramite propri dipendenti qualificati per tale attività, riconoscendo agli stessi anche un incentivo economico; infatti il legislatore ha ritenuto che la progettazione interna, ancorché incentivata, sia più economica e più rispondente alle esigenze dell'ente rispetto a quella effettuata da un soggetto estraneo all'amministrazione. Negli ultimi anni, però, la formulazione legislativa piuttosto ampia e riferita ad atti di "pianificazione comunque denominati" ha condotto molti enti locali a richiedere alle Sezioni regionali se potesse essere riconosciuto l'incentivo per la pianificazione riguardante settori differenti da quello delle opere pubbliche, ad esempio, per i piani dei rifiuti, piani urbanistici, piani ambientali e così via. L'interpretazione costantemente ribadita dalla Sezioni regionali della Corte dei Conti era nel senso di una contestualizzazione della norma, che si colloca nell'ambito della disciplina degli appalti per opera pubblica e non è, dunque, interpretabile in modo estensivo per ciò che riguarda l'incentivo alla progettazione. In questo senso hanno deliberato, tra le altre, la Sezione controllo per la Toscana (n.231 del 2011 e n.15/2013); la Sezione controllo per il Piemonte (n. 290 del 2012); la Sezione controllo per la Puglia (n. 1 del 2012, n.107 del 2012); la Sezione controllo per la Lombardia (n. 452 del 2012 e n. 391 del 2013); la Sezione controllo per la Campania (n.141 del 2013); la Sezione controllo Emilia Romagna (n. 243 del 2013). Solo la Sezione controllo per il Veneto si era discostata nell'interpretazione riconoscendo la possibilità di incentivare anche altre forme di pianificazione, in ragione di un evidente favor legis per la progettazione interna all'ente effettuata da personale dipendente, principio appli- 632 cabile, ad avviso della Sezione, per analogia a tutte le forme di progettazione. La Sezione delle Autonomie, invece, conferma l'indirizzo prevalente delle sezioni regionali ribadendo che la norma deve essere interpretata in maniera restrittiva e solo nei limiti del contesto alla quale è riconducibile. Perciò risulta riconoscibile l'incentivo solo per la progettazione da parte di dipendenti di opere pubbliche che seguano le procedure del Codice degli appalti. LA GESTIONE DI FINTECNA S.P.A. NEL 2012 Corte dei conti, sezione del controllo sugli enti, determinazione e relazione 11-13 marzo 2014, n. 15/2014 La Cassa Depositi e Prestiti, nuovo azionista unico della società, ha avviato processi di riorganizzazione e adottato linee guida relative all’operatività in titoli azionari, alla gestione della liquidità e all’uso di derivati, centralizzando presso la stessa Cassa la gestione di tesoreria. I risultati contabili di Fintecna S.p.A. migliorano, nel complesso, sopra tutto per il significativo apporto della gestione finanziaria, in sensibile crescita (+ 47,1%), derivante soprattutto dai consistenti investimenti in titoli di Stato e obbligazioni a tasso variabile. L’investimento in titoli di Stato - che ha offerto la possibilità di effettuare anche operazioni di “prestito titoli” e “pronti c/termini” trimestrale” - ha costituito ancora una volta l'operazione che più d'ogni altra consente alla società di migliorare la remunerazione finanziaria. Dal 9 novembre 2012, per effetto dell’art. 23 bis della legge n. 135 del 2012 (conversione del d.l. n. 87), la Cassa depositi e prestiti è diventata il nuovo azionista unico della Fintecna s.p.a. e su di essa esercita l’attività di direzione e coordinamento di cui agli artt. 2497 ss. del codice civile. Su richiesta della Cassa, l’Assemblea straordinaria della società ha approvato alcune modifiche statutarie, tra l'altro prevedendo di partecipare esclusivamente in società o enti che risultino in stabile situazione di equilibrio e con adeguate prospettive di redditività. La Cassa ha anche rappresentato l'intenzione di dare corso a un progetto di riorganizzazione dell’attività immobiliare, chiedendo di partecipare direttamente ad alcune società controllate da Fintecna, e ha avviato un progetto di revisione del sistema dei controlli interni del Gruppo. Ha poi ottenuto l’erogazione di un dividendo straordinario di euro 400 milioni, e, nell’ottobre 2013, ha elaborato “linee guida” in materia di rischi connessi all’operatività in titoli azionari, alla gestione della liquidità e all’uso di derivati, centralizzando presso la stessa Cassa la gestione di tesoreria. Sulla base delle “linee guida” e degli orientamenti strategici fissati dall'azionista, è stato approntato il Piano industriale 2013-15 del Gruppo, impostato sul riassetto societario di Fincantieri e della stessa Fintecna, il cui core business è fo- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Osservatorio Corte dei conti calizzato sulla gestione e guida di partecipazioni in società o enti meritevoli di rilancio e/o da liquidare, nonché sul monitoraggio delle partecipate, specialmente, Fincantieri e Fintecna immobiliare, allo scopo di contribuire a preservarne il valore. In particolare, per la controllata Fincantieri, permane la situazione di criticità che ne caratterizza i cantieri, in una situazione condizionata da “vuoti di lavoro” nei siti produttivi italiani. Da rilevare l’acquisizione, con mezzi propri e finanziamenti reperiti sul mercato, per 498 milioni di euro, della quota complessiva (55,63%) di partecipazione in una società norvegese (ora, “VARD a Fincantieri company”) leader nel segmento dei mezzi offshore ad elevata complessità, nonché l’emissione, con ampia sottoscrizione, di un prestito obbligazionario di euro 300 milioni, con scadenza a cinque anni, avente rendimento annuo per gli investitori del 3,875%. Per Fintecna Immobiliare, la focalizzazione permane su operazioni di sviluppo immobiliare - in partnership con privati riguardanti compendi immobiliari interessati da processi di trasformazione urbanistica, con criticità che suggeriscono scelte prudenziali in materia di investimenti. Nel corso del 2013, é stato emanato il provvedimento attuativo della liquidazione di “Cinecittà Luce S.p.A. ” e del conseguente trasferimento, dal 27 agosto successivo, alla società Ligestra Quattro S.r.l. espressamente designata da Fintecnica s.p.a. Circa la situazione di “Tirrenia di Navigazione S.p.A.”, Fintecna vanta crediti per complessivi 98 milioni che non hanno trovato sodisfazione nel primo progetto di ripartizione parziale dell'attivo. La gestione del contenzioso - riferibile a molteplici società già in liquidazione incorporate e rinveniente, in gran parte, da risalenti processi di liquidazione, razionalizzazione e incorporazione, ma anche da cause di lavoro e dal recupero dei crediti - è in progressiva diminuzione, anche per la formalizzazione di accordi transattivi con le controparti. In base ai dati forniti dalla Società, la consistenza delle vertenze si attesta a 671, di cui 403 (= il 60%) di natura giuslavoristica, molti dei quali concernenti malattie professionali a lunga o lunghissima latenza. I 435 contenziosi definiti nel 2012 superano, come in passato, quelli sorti nello stesso periodo (364). La circostanza che il nuovo azionista abbia ottenuto dalla società, a titolo di dividendo ordinario e straordinario, un importo di quasi 20 volte maggiore rispetto ai dividendi in precedenza riconosciuti annualmente al Ministero della economia e delle finanze dimostra che in Fintecna, come in altre società controllate, l’azionista pubblico ha a lungo consentito che si formassero rilevanti attività finanziarie poi impiegate nella sottoscrizione di titoli di Stato, con una sorta di partita di giro che ha però comportato per l’azionista rilevanti oneri finanziari. I risultati contabili di Fintecna s.p.a. migliorano, nel complesso, sopra tutto per il significativo apporto della gestione finanziaria, in sensibile crescita (+ 47,1%), derivante dai consistenti investimenti (in titoli di Stato e obbligazioni a tasso variabile) e, in misura inferiore, dai maggiori interessi attivi sui c/c di corrispondenza con imprese del Gruppo. A fine esercizio, le disponibilità finanziarie di Fintecna s.p.a. hanno registrato un incremento del 178,2% (pari a € milioni 335 in valore assoluto), con un tasso medio di rendimento ponderato che è cresciuto (dall’1,80% del 2010 al 4,33% circa del 2012. L’investimento in titoli di Stato - che ha offerto la possibilità di effettuare anche operazioni di “prestito titoli” e “pronti c/termini” trimestrale” - ha costi- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 tuito ancora una volta l'operazione che più d'ogni altra consente alla società di migliorare la remunerazione finanziaria. Nell’esprimere un giudizio sostanzialmente positivo sulla gestione di Fintecna s.p.a., la Corte rileva che - nell’ottica di un armonico e ordinato rapporto con l'azionista - vadano superate talune iniziali criticità e che occorra, altresì: a) monitorare l’entità delle riserve al fine di non pregiudicare la copertura dei fondi rischi per i contenziosi ancora in atto; b) considerare con la dovuta prudenza i possibili rischi, anche di controparte, connessi alle operazioni di prestito titoli; c) valutare con sempre adeguata prudenza le transazioni, nella materia del contenzioso; d) perseverare nell’azione di indirizzo e di verifica nei confronti delle controllate, in un quadro di coerenza e di compatibilità con gli obiettivi programmati. LA GESTIONE DI POSTE ITALIANE S.P.A. NEL 2012 Corte dei conti, sezione del controllo sugli enti, determinazione e relazione 28 febbraio-6 marzo 2014, n. 13/2014 Il Gruppo Poste italiane - che include Poste italiane s.p.a. (capogruppo) e le 21 società e 6 attività consortili da essa controllate - ha chiuso l’esercizio 2012 con un utile di € 1.032,5 mln, superiore di € 186 mln rispetto al 2011. Anche nel 2012, tali esiti positivi risultano determinati sostanzialmente dal forte calo dei ricavi da mercato del settore postale e dai buoni risultati conseguiti nell’ambito dei servizi finanziari. L’operatività di BancoPosta, in particolare, incentrata sulla gestione della liquidità riveniente dalla raccolta su conti correnti postali e sul monitoraggio delle caratteristiche oscillazioni della raccolta e del trend dei prodotti di collocamento, coniuga i rischi di tasso e di liquidità con le esigenze di rendimento e ha comportato anche nel 2012 interessi in crescita sugli anni precedenti. Criticità provengono da possibili contrasti con la normativa europea e da direttive della Banca d'Italia che richiedono ulteriori iniziative contro i rischi del riciclaggio. I 150 anni trascorsi dalla istituzione della amministrazione postale unitaria sono stati celebrati nel 2012 con varie manifestazioni, nel corso delle quali si è messo in luce il percorso evolutivo degli ultimi venti anni, con la trasformazione nel 1994 della amministrazione statale in ente pubblico economico e poi, nel 1998, con la costituzione della società per azioni. Nell’ultimo decennio, in particolare, Poste italiane, divenuta gruppo di aziende operanti in mercati competitivi, ha realizzato un’infrastruttura tecnologica e di servizio, che integra piattaforme logistiche, di pagamento e di comunicazione digitale e consente di controllare in tempo reale l’efficienza della rete logistico-postale, la qualità dei servizi negli uffici postali, la sicurezza delle operazioni finanziarie e delle comunicazioni. La strategia dell'Azienda - che ha fruttato dal 2002 una serie di risultati positivi, culminati nel 2012 con un utile netto per la Società di 722,2 mln di euro (698,5 mln di euro nel 2011) - si è basata, oltre che sul potenziamento delle infrastrutture e l’innovazione delle piattaforme di servizio, anche sulla capillarità della rete. Sulla disciplina del settore postale e l’assetto del relativo mercato incide tuttavia la normativa comunitaria e alcune scelte attuative della direttiva europea 2008/6/CE, (affidamento e ambito del servizio universale, utilizzo infrastruttura di Poste, esenzione dall'Iva) sono 633 Osservatorio Corte dei conti state considerate incompatibili con le norme comunitarie sia dal Garante della concorrenza e del mercato (Agcm), sia dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom), spingendo quest'ultima ad aprire una serie di procedimenti istruttori. Il Gruppo Poste italiane - che include Poste italiane s.p.a. (capogruppo) e le 21 società e 6 attività consortili da essa controllate - ha chiuso l’esercizio 2012 con un utile di € 1.032,5 mln, superiore di € 186 mln rispetto al 2011. Anche nel 2012, tali esiti positivi risultano determinati sostanzialmente dal forte calo dei ricavi da mercato del settore postale e dai buoni risultati conseguiti nell’ambito dei servizi finanziari. L’operatività di BancoPosta, in particolare, incentrata sulla gestione della liquidità riveniente dalla raccolta su conti correnti postali e sul monitoraggio delle caratteristiche oscillazioni della raccolta e del trend dei prodotti di collocamento, coniuga i rischi di tasso e di liquidità con le esigenze di rendimento e ha comportato nel 2012 interessi in crescita sugli anni precedenti. La liquidità riveniente dalle citate operazioni è stata investita in Titoli di Stato italiani a reddito fisso con l’obiettivo di anticipare il rinnovo dell’impiego di quella derivante dai titoli in scadenza nel prossimo triennio. L’offerta commerciale BancoPosta è stata, inoltre, orientata allo sviluppo della raccolta del Risparmio postale. D’accordo con Cassa Depositi e Prestiti, sono stati lanciati sul mercato nuovi prodotti, più competitivi rispetto ai precedenti. Tali iniziative hanno dato origine a un’inversione di tendenza sulla raccolta con incremento del 9,6% della remunerazione percepita dalla Cassa per le attività di emissione e rimborso dei buoni fruttiferi postali, nonché di versamento e prelievo su libretti postali. Il settore della monetica ha registrato un incremento di tutte le tipologie di carte offerte alla clientela, con un aumento del 16,3%, in particolare, della carta prepagata Postepay, leader del settore. Premesso che il d.l. n. 172 del 2012, ha tra l'altro previsto la possibilità per Poste di stabilire succursali negli altri Stati comunitari ed extracomunitari, di svolgere attività di promozione e collocamento di prodotti e servizi bancari e finanziari fuori sede, nonché di svolgere in via professionale il commercio d’oro, si rileva che una ispezione disposta dalla Banca d’Italia ha segnalato la necessità di potenziare le verifiche anti-riciclaggio e di rafforzare il sistema di controlli di secondo livello finalizzato ad intercettare andamenti anomali. Pur non risultando ancora BancoPosta soggetto a vincoli in termini di requisiti patrimoniali, Poste ha conseguentemente predisposto la “Policy ICAAP” che delinea l’insieme dei principi su cui BancoPosta fonda il processo di valutazione della propria adeguatezza patrimoniale in re- 634 lazione ai rischi assunti e alle strategie aziendali, definendo i ruoli e le responsabilità dei diversi organi/strutture aziendali coinvolti nel processo e le relative modalità di interazione. Con l’approvazione del bilancio 2012, si è chiuso il primo anno di effettiva operatività della Banca del Mezzogiorno/Medio Credito Centrale s.p.a. (anche BdM/MCC s.p.a.) sotto il controllo di Poste italiane s.p.a, chiusosi con un risultato di 7,1 mln di euro. Le criticità riscontrate risiedono principalmente nella significativa componente di rischio rappresentata da gestioni in perdita, oppure, in presenza di bilanci in utile, da elevate posizioni creditorie vantate nei confronti di enti locali e/o di pubbliche amministrazioni. I risultati dell’esercizio evidenziano ancora una volta, per i servizi postali di corrispondenza e filatelia, una contrazione dei volumi e dei ricavi rispettivamente del 12,1% e del 10,4% rispetto al 2011. Le verifiche condotte dal controllo interno hanno rilevato il permanere di criticità relativamente al recapito e alle giacenze, in ordine alle quali è stato previsto il potenziamento dei sistemi di controllo mediante iniziative di sensibilizzazione dei responsabili dei Centri di recapito e verifiche esterne sull’operatività dei portalettere. Anche nel 2012 si conferma invece positivo l’andamento del settore assicurativo del Gruppo: il Gruppo Poste Vita, rappresentato da Poste Vita s.p.a. e dalla controllata Poste Assicura s.p.a., ha totalizzato premi assicurativi per 10.530 mln di euro, con una crescita dell’11% sugli omologhi valori registrati alla chiusura della gestione 2011. La modifica dell’articolo 4 dello Statuto di Poste italiane s.p.a., deliberata nel corso dell’assemblea straordinaria del 20 novembre 2013, ha sancito l’estensione della operatività della società ai servizi di trasporto aereo; tale provvedimento ha integrato formalmente un’attività già assolta nell’ambito del Gruppo Poste Italiane dalla controllata Mistral Air s.r.l. Ma alla modifica si è proceduto in concomitanza con l’avvio di approfondimenti da parte del Consiglio di amministrazione finalizzati a valutare l’opportunità di un eventuale ingresso nel capitale sociale di Alitalia, con la sottoscrizione dell’eventuale inoptato fino alla concorrenza di 75 milioni di euro. L'operazione si è poi concretata e la Corte, al riguardo, ha preso atto della complessità della fase preparatoria diretta a verificare la sussistenza delle condizioni legittimanti e giustificanti l’intervento. Poste italiane s.p.a. rimane anche per il 2012 la prima azienda italiana per numero di dipendenti anche se l’esercizio in parola ha evidenziato una diminuzione delle unità medie pari all’1,5% rispetto al 2011. Ammonta a 5.819,3 milioni di euro il costo del personale per il 2012 ed è stato sostenuto per l’impiego in azienda di 142.229 unità medie. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Osservatorio Autorità indipendenti Osservatorio dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali a cura di Chiara Lacava PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI TRATTAMENTO DEI DATI NEI PARTITI POLITICI Garante per la protezione dei dati personali - Provvedimento 6 marzo 2014 Partiti e movimenti politici più trasparenti sull'uso dei dati personali di iscritti, simpatizzanti, partecipanti alle "primarie", semplici cittadini. Cittadini informati e messi in condizione di esercitare agevolmente i loro diritti. Con un intervento a carattere generale il Garante ha fissato un quadro organico di regole per la tutela della riservatezza in un ambito delicato e cruciale come quello dei partiti politici. Di seguito, in sintesi, le regole alle quale le formazioni politiche dovranno attenersi nello svolgimento della loro normale attività e non solo in occasione degli appuntamenti elettorali. Uso dei dati di aderenti e cittadini che hanno contatti regolari con i partiti Partiti, movimenti, comitati per le "primarie" possono utilizzare senza consenso i dati di aderenti o di cittadini con cui intrattengono contatti regolari, purché gli scopi che intendono raggiungere siano individuati nello statuto o nell'atto costitutivo. Serve invece il consenso scritto per comunicare i dati all'esterno (ad. es., ad altri partiti appartenenti alla stessa coalizione) o per diffonderli. La stessa regola vale per i comitati di promotori o sostenitori che devono avere il consenso degli aderenti per comunicare i dati a terzi. Uso dei dati di simpatizzanti e partecipanti a singole iniziative I dati personali raccolti in occasione di petizioni, proposte di legge, richieste di referendum possono essere utilizzati ed eventualmente comunicati e diffusi solo con il consenso scritto dei cittadini e a condizione che abbiano ricevuto una informativa dettagliata. Stessa regola vale per la comunicazione a terzi e la diffusione dei dati di coloro che erogano finanziamenti e contributi, salvo i casi previsti dalla legge (ad es. obbligo per i partiti di tramettere alla Presidenza della Camera dei deputati l'elenco dei propri sovventori). Informativa chiara e puntuale L'informativa deve essere resa al momento dell'adesione al partito o al movimento politico o prima della raccolta dei dati in occasione di singole iniziative (petizioni, proposte di legge, referendum). Nell'informativa devono essere indicate le finalità della raccolta dei dati, l'ambito di circolazione all'interno del partito o del movimento e l'eventuale possibilità di comunicazione all'esterno. Per agevolare il compito il Garante ha predisposto e messo a disposizione un modello di informativa agile e di immediata comprensione. Garanzie per i cittadini e misure di sicurezza Giornale di diritto amministrativo 6/2014 L'iscritto, l'aderente, il semplice cittadino, chi sovvenziona il partito o il movimento ha diritto di accedere ai propri dati personali, ad aggiornarli o rettificarli; può conoscere i soggetti cui possono essere comunicati, e opporsi, in ogni momento, alla ricezione di materiale elettorale. Regole per la propaganda elettorale Confermate in massima parte le regole già stabilite per precedenti consultazioni elettorali: utilizzabili liberamente le liste elettorali; serve il consenso per sms, e-mail, mms, telefonate preregistrate e fax; non possono essere mai utilizzati gli archivi dello stato civile, l'anagrafe dei residenti, le liste elettorali già utilizzate nei seggi o in cui vi siano dati annotati dagli scrutatori. Nel caso in cui si avvalgano di società che forniscono liste di nominativi o servizi di propaganda elettorale, i partiti hanno l'obbligo di verificare il corretto trattamento dei dati. In un'ottica di semplificazione e contemperamento degli interessi, il Garante ha esonerato in via definitiva partiti, movimenti, comitati e singoli candidati, che fanno propaganda elettorale utilizzando fonti pubbliche (ad es. le liste elettorali), dall'obbligo di rendere l'informativa dal sessantesimo giorno precedente la data delle consultazioni politiche, amministrative, referendarie o delle "primarie" al sessantesimo giorno successivo. Nel materiale inviato dovrà essere comunque indicato un recapito per l'esercizio dei diritti riconosciuti dal Codice della privacy. TELEFONATE MUTE Garante per la protezione dei dati personali - Provvedimento 20 febbraio 2014 Prescritte specifiche misure agli operatori di telemarketing per ridurre il fenomeno delle cd. “telefonate mute” nelle quali la persona contattata non viene messa in comunicazione con alcun interlocutore. A conclusione della consultazione pubblica avviata nel 2013 sulle misure da adottare per ridurre drasticamente il fenomeno delle cd. “telefonate mute”, quelle cioè nelle quali la persona contattata, dopo aver sollevato il ricevitore, non viene messa in comunicazione con alcun interlocutore, il Garante ha varato in via definitiva un provvedimento che impone agli operatori di telemarketing di adottare specifiche misure. Come messo in luce dalle verifiche effettuate, il problema deriva dalle impostazioni dei sistemi centralizzati di chiamata dei call center, rivolte a massimizzare la produttività degli operatori. Per eliminare tempi morti tra una telefonata e l'altra, infatti, il sistema genera in automatico un numero di chiamate superiore agli operatori disponibili. Queste chiamate, una volta ottenuta risposta, possono essere 635 Osservatorio Autorità indipendenti mantenute in attesa silenziosa finché non si libera un operatore. Il risultato è appunto una "chiamata muta", che può indurre comprensibili stati di ansia e disagio nei destinatari. Di seguito, le regole fissate dal Garante per eliminare gli effetti distorsivi di questa pratica commerciale, senza penalizzare l'efficienza delle imprese di telemarketing: 1) i call center dovranno tenere precisa traccia delle "chiamate mute", che dovranno comunque essere interrotte trascorsi 3 secondi dalla risposta dell'utente; 2) non potranno verificarsi più di 3 telefonate "mute" ogni 100 andate "a buon fine". Tale rapporto dovrà essere rispettato nell'ambito di ogni singola campagna di telemarketing; 3) l'utente non potrà più essere messo in attesa silenziosa, ma il sistema dovrà generare una sorta di rumore ambientale, il cosiddetto "comfort noise" (ad es. con voci di sottofondo, squilli di telefono, brusio), per dare la sensazione che la chiamata provenga da un call center e non da un eventuale molestatore; 4) l'utente disturbato da una chiamata muta non potrà essere ricontattato per 5 giorni e, al contatto successivo, dovrà essere garantita la presenza di un operatore; 5) i call center saranno tenuti a conservare per almeno due anni i report statistici delle telefonate "mute" effettuate per ciascuna campagna, così da consentire eventuali controlli. Gli operatori di telemarketing hanno sei mesi di tempo per mettersi in regola e adottare le misure prescritte dall'Autorità. LAVORO SU INTERNET Garante per la protezione dei dati personali - Provvedimento 5 dicembre 2013 Maggiore trasparenza e correttezza nel mercato del lavoro via Internet. Vietata ad una società l'uso dei dati personali di aspiranti lavoratori raccolti e gestiti in modo illecito. La situazione di illeceità è emersa nel corso di verifiche ispettive disposte dal Garante a seguito di alcune segnalazioni in cui si lamentavano irregolarità nel trattamento dei dati personali. I candidati denunciavano il fatto che per poter completare la procedura di registrazione al sito e concorrere così alle offerte di lavoro erano obbligati a dare il consenso, tramite un'opzione preselezionata, alla ricezione di informazioni promozionali per posta, telefono, email, sms. L’azienda non si limitava a mettere a disposizione una mera “bacheca digitale” in cui rendere pubbliche le offerte di lavoro e le candidature, ma offriva veri e propri servizi di intermediazione (consultazione di un database con centinaia di migliaia di curricula, comunicazione di informazioni sui candidati, invio di offerte di lavoro “su misura”, ecc.). Un'attività effettuata, peraltro, senza fornire agli utenti che si registravano al sito una informativa trasparente con l'indicazione di tutte le operazioni realmente svolte. La società che svolgeva attività di intermediazione attraverso il proprio sito web senza la prescritta autorizzazione ministeriale, non aveva neppure conferito, come necessario, i dati dei candidati all’apposito portale del Ministero del lavoro che costituisce la Borsa continua nazionale del lavoro. Alla luce delle verifiche svolte, il Garante oltre ad inibire l'uso dei dati raccolti senza autorizzazione, ha dichiarato illeciti e ha vietato anche questi trattamenti perché effettuati in violazione del Codice della privacy che garantisce a 636 chiunque la possibilità di esprimere un consenso libero e informato per ogni tipo di operazione che la società intende svolgere. A seguito del provvedimento, inviato al Ministero del lavoro per le valutazioni di competenza, la società non potrà più utilizzare le informazioni raccolte né per attività di intermediazione né per attività promozionali. I dati potranno essere solo conservati in vista di un'eventuale acquisizione da parte dell'autorità giudiziaria o per la tutela dei diritti in sede giudiziaria. PRESIDI SANITARI Garante per la protezione dei dati personali - Provvedimento 21 novembre 2013 Le aziende sanitarie devono adottare specifiche misure ed accorgimenti per la consegna dei presidi sanitari che il Servizio sanitario nazionale riconosce ai pazienti che versano in particolari condizioni cliniche. Con un provvedimento a carattere generale, il Garante ha definito un quadro unitario di misure, di seguito descritte, a tutela della riservatezza e della dignità delle persone interessate, che integra quanto già prescritto nel 2005, e risponde alle numerose segnalazioni pervenute. La consegna del presidio sanitario deve avvenire nel luogo e negli orari stabiliti dal paziente, preferibilmente nelle sue mani, e in ogni caso non può essere lasciato incustodito nelle vicinanze del luogo indicato. Il presidio deve essere confezionato in un contenitore non trasparente, senza indicazioni esterne e non può essere consegnato al vicino di casa, a un parente o al portiere senza autorizzazione espressa del paziente. Se l'interessato o il delegato non sono presenti al momento della consegna il personale incaricato - che non deve indossare divise o utilizzare automezzi con scritte da cui si possa evincere cosa sta recapitando - deve lasciare un avviso privo di indicazioni in grado di identificare il prodotto. L'azienda sanitaria poi, che appalti all'esterno la fornitura e la distribuzione dei presidi deve designare responsabile del trattamento la società di cui si avvale, specificando analiticamente e per iscritto i compiti affidati, e vigilare sulla puntuale osservanza delle istruzioni impartite. All'azienda spetta anche il compito di informare il paziente dei trattamenti di dati, anche sanitari, connessi alla consegna dei presidi a domicilio. Il provvedimento è stato inviato anche alle Regioni e alle Province autonome per la divulgazione presso le aziende sanitarie competenti. DATI PERSONALI NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Garante per la protezione dei dati personali - Provvedimenti 10 ottobre 2013 I dati personali, specie se sensibili, devono essere comunicati, anche nell'ambito del rapporto di lavoro, esclusivamente alle persone o agli uffici che ne possono legittimamente avere conoscenza. Lo ha ribadito il Garante in una serie di provvedimenti che hanno riguardato nello specifico trattamenti di dati effettuati dalla pubblica amministrazione. Alcuni dipendenti avevano infatti segnalato la violazione della propria privacy avendo le amministrazioni di appartenenza comunicato a Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Osservatorio Autorità indipendenti terze persone dati sulla propria salute o altre informazioni riservate, come quelle relativa a procedimenti disciplinari che li vedevano coinvolti. In un caso, un ente regionale aveva inviato una unica email non solo ai dipendenti da sottoporre a ulteriori accertamenti per verificare se continuava a sussistere l'idoneità al lavoro, ma anche a vari uffici dell'amministrazione, alcuni dei quali peraltro non competenti sulla questione. Dal tipo di esami prescritti, ogni destinatario poteva evincere informazioni sulle condizioni di salute del personale interessato. Secondo il Garante, tale comunicazione, giustificata dall'ente con la necessità di organizzare i turni di lavoro del personale in servizio, costituisce invece un illecito trattamento di dati sensibili. Un altro caso di violazione della privacy dei lavoratori ha coinvolto una Azienda sanitaria provinciale che, per supposte ragioni di "speditezza ed economicità", aveva inviato una nota di sollecito al Comitato di verifica per le cause di servizio di dieci dipendenti. Anche in questa occasione non era stata effettuata una comunicazione individuale poiché tutti i dipendenti della Asl erano infatti stati messi in copia ed erano venuti a conoscenza di informazioni idonee a rivelare le condizioni di salute degli altri lavoratori. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Il Garante ha accolto anche il reclamo della dipendente di una autorità portuale che protestava perché l'ente, in occasione della liquidazione del premio di risultato al personale, aveva reso noto ai suoi colleghi le note valutative e due sanzioni disciplinari da lei ricevute. La comunicazione di tali informazioni ad altre persone non era prevista da alcuna specifica norma di legge o regolamento, e sarebbe dovuta rimanere riservata. Nei vari provvedimenti adottati, il Garante ha ricordato che il trattamento dei dati deve sempre garantire un adeguato rispetto del diritto alla dignità e alla riservatezza del lavoratore, privilegiando forme di comunicazione individualizzate, come da tempo indicato nelle apposite linee guida emanate in materia di rapporto di lavoro. Per quanto riguarda le informazioni di carattere sensibile relative ai dipendenti, ha sottolineato che la trasmissione a terzi può avvenire solo in presenza di una idonea base giuridica e solo laddove esse siano realmente indispensabili per perseguire le specifiche finalità di rilevante interesse pubblico. Il Garante ha prescritto a tutte le amministrazioni che hanno trattato illecitamente i dati dei lavoratori di adottare opportune e idonee misure per adeguare le procedure interne alla normativa sulla privacy e ha avviato nei loro confronti specifici procedimenti sanzionatori. 637 Osservatorio Autorità indipendenti Osservatorio della Commissione per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali a cura di Massimiliano Mariani SCIOPERI NEI SERVIZI PUBBLICI ESSENZIALI L’ASTENSIONE DEI CONDUCENTI DEL SERVIZIO TAXI Comm. Garanzia attuaz. sciopero nei servizi pubblici essenziali - Delibera n. 14/181 del 3 marzo 2014 Ai sensi dell’art. 2-bis della legge 12 giugno 1990, n. 146, nel suo testo vigente, la Commissione è chiamata ad intervenire in presenza di astensioni collettive dalle prestazioni lavorative, realizzate anche da lavoratori autonomi, professionisti ovvero piccoli imprenditori, che incidano sull’erogazione dei servizi pubblici essenziali, laddove attuate in violazione delle regole legali o convenzionali. L’effettuazione di una manifestazione con corteo nel centro della città di Palermo, con conseguente blocco del servizio taxi, che avrebbe avuto quale modalità la concentrazione sotto il Comune di Palermo con sosta dei veicoli a ridosso della carreggiata, con gravi ripercussioni sulla circolazione stradale dei veicoli e dei mezzi pubblici, ha sollecitato la Commissione ad attivare un iter istruttorio, ai fini della possibile valutazione del comportamento tenuto dai conducenti taxi, ai sensi dell’art. 13, c. 1, lett. c) della legge 12 giugno 1990, n. 146, nel suo testo vigente. In base all’apposita richiesta della Commissione, il Comune di Palermo ha asserito di non aver ricevuto alcuna comunicazione ufficiale sulla manifestazione dei conducenti, supponendo che l’iniziativa fosse inerente alla proposta di delibera consiliare riferibile al servizio di noleggio con conducente di motocarrozzette. Sempre in esito alla stessa richiesta di informazioni, un’Organizzazione sindacale ha precisato che l’istanza di autorizzazione per la manifestazione era stata inoltrata alla Questura, la cui iniziativa prevedeva un corteo da parte di conducenti taxi liberi dal servizio per chiedere un incontro con il Sindaco, in ordine allo svolgimento di servizio con conducente con motocarrozzette. Nel confermare tale circostanza, la Questura ha però precisato che i manifestanti hanno parzialmente disatteso le prescrizioni formulate, procedendo al rallentamento del traffico veicolare. Dopo aver acquisito le prime informative, la Commissione ha deliberato l’apertura di un procedimento di valutazione del comportamento tenuto dai conducenti dei taxi di Palermo, in base a quanto previsto dagli artt. 4, c. 4-quater, e 13, c. 1, lett. i) della legge, nei confronti delle Organizzazioni sindacali proclamanti, rilevando le seguenti violazioni le- 638 gali e della Regolamentazione provvisoria del settore taxi, adottata dalla Commissione con delibera n. 2/11 del 24 gennaio 2002: mancato rispetto dell’obbligo del preavviso; mancata predeterminazione della durata dell’astensione; mancato rispetto del limite di durata massima della prima astensione; mancata garanzia delle prestazioni indispensabili. All’esito dell’attivazione di tale procedimento, le Organizzazioni interessate hanno precisato che la manifestazione si è svolta senza ripercussioni sulla circolazione stradale e con la partecipazione soltanto dei conducenti fuori dal turno di servizio, senza realizzare, quindi, alcuna astensione dalle prestazioni lavorative. In fase di valutazione del comportamento sindacale, la Commissione ha preliminarmente sottolineato come il proprio intervento ai sensi dell’art. 2-bis della legge venga previsto in presenza di astensioni collettive dalle prestazioni dal lavoro poste in essere anche da lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, suscettibili di incidere sull’erogazione dei servizi pubblici essenziali, laddove realizzate in violazione delle regole legali e convenzionali previste nei vari settori. La Commissione ha però rilevato che il corteo dei lavoratori taxi era stato regolarmente richiesto ed autorizzato, tanto che le competenti Autorità non hanno ritenuto necessario intervenire con eventuali provvedimenti di competenza. Di conseguenza, considerando che tale iniziativa non ha comportato il blocco del servizio di trasporto taxi nel Comune di Palermo, registrando la partecipazione all’iniziativa soltanto dei conducenti fuori dal turno di servizio, la Commissione ha deliberato di non procedere ad una valutazione negativa del comportamento sindacale, provvedendo all’archiviazione del relativo procedimento. IL REGOLAMENTO SUL PERSONALE DELLA COMMISSIONE DI GARANZIA Comm. Garanzia attuaz. sciopero nei servizi pubblici essenziali - Delibera n. 14/65 del 17 febbraio 2014 La legge 12 giugno 1990, n. 146, nel suo testo vigente, attribuisce alla Commissione di garanzia la possibilità di avvalersi di un contingente di personale per lo svolgimento delle attività istituzionali, stabilendo le modalità del funzionamento. A tal fine, la stessa Commissione ha adottato un Regolamento per l’inquadramento del proprio personale. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Osservatorio Autorità indipendenti L’entrata in vigore dell’art. 1, c. 323, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per l’anno 2014) ha modificato il testo della legge 12 giugno 1990, n. 146, prevedendo l’introduzione di un art. 6-bis che statuisce il trasferimento del personale in servizio in posizione di comando presso la Commissione alla data del 30 giugno 2013 nel ruolo organico della stessa Commissione. Tale trasferimento, secondo il tenore della norma, deve essere effettuato senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. In base a tale disposizione normativa, la Commissione ha predisposto l’avvio del procedimento amministrativo di adozione del provvedimento di inquadramento del personale dipendente nel ruolo organico della stessa Autorità, provvedendo prioritariamente a richiedere ai collaboratori di esprimere l’eventuale assenso a tale inquadramento, ed effettuando successivamente - all’esito positivo di tale interpello - la richiesta alle Amministrazioni interessate delle copie dei fogli matricolari di ciascun dipendente interessato. L’ulteriore fase dell’iter amministrativo ha previsto l’istituzione del ruolo del personale dipendente della Commissione, con la formale adozione dell’atto di inquadramento del personale avente diritto nel ruolo organico dell’Autorità, in base e nelle condizioni previste dall’introduzione dell’art. 6-bis nell’articolato della legge 12 giugno 1990, n. 146. Proprio sulla scorta di tale disposizione normativa, infatti, l’inquadramento del personale viene effettuato nella stessa posizione funzionale ricoperta da ciascun dipendente presso l’Amministrazione di provenienza, con mantenimento dello stato giuridico e del trattamento economico fondamentale e accessorio in godimento, atteso il rispetto della garanzia dell’invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica per questa attività. La Commissione ha ritenuto inoltre di definire contemporaneamente il proprio ordinamento professionale, giusta la previsione dell’art. 12, c. 4, della legge n. 146/1990, e di individuare il profilo professionale dei dipendenti da inserire nel ruolo organico, in stretta connessione con la natura dei compiti previsti dalla legge istitutiva, con le peculiari attività svolte dall’Autorità e con la conseguente caratterizzazione organizzativa. Per tale motivo, la Commissione ha adottato l’apposito Regolamento riguardante l’inquadramento del personale nel ruolo organico ed il relativo ordinamento professionale. In particolare, oltre all’individuazione analitica delle aree funzionali di posizionamento del personale in dipendenza della professionalità posseduta, della responsabilità, dell’autonomia, della complessità delle mansioni attribuite, nel Regolamento viene stabilito che l’Autorità è strutturata in Servizi, afferenti alle aree amministrativa, giuridica, economico-contabile e tecnico-informatica. ACCORDO PER IL PERSONALE ADDETTO ALLE ATTIVITÀ DI RIGASSIFICAZIONE E DISTRIBUZIONE DEL GAS NATURALE LIQUEFATTO Comm. Garanzia attuaz. sciopero nei servizi pubblici essenziali - Delibera n. 14/43 del 27 gennaio 2014 L’attività di rigassificazione e distribuzione del gas naturale liquefatto rientra nel novero dei servizi pubblici essenziali, come espressamente individuati dalla legge 12 giugno 1990, n. 146, tra i quali sono previsti l’approv- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 vigionamento di energie, prodotti energetici, risorse naturali e beni di prima necessità, nonché la gestione e manutenzione dei relativi impianti. La Società Ecos Spa ha trasmesso alla Commissione l’accordo raggiunto con le Organizzazioni sindacali sulle prestazioni indispensabili da garantire in caso di sciopero per il proprio personale, ai fini della prevista valutazione di idoneità, ai sensi dell’art. 13, c. 1, lett. a) della legge 12 giugno 1990, come riformato dalla legge 11 aprile 2000, n. 83, necessaria alla verifica del giusto contemperamento dell’esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. In particolare, la Società Ecos svolge attività di imbarco del gas naturale liquefatto da apposita nave gasiera, rigassificazione a bordo e successiva trasmissione del gas alla rete nazionale di distribuzione mediante il terminale rigassificatore denominato FSRU Toscana, ormeggiato nel Porto di Livorno. L’accordo in argomento è stato inviato dalla stessa Commissione alle Organizzazioni degli utenti, ai fini dell’acquisizione del previsto parere, senza ottenere riscontro nel termine assegnato per la risposta. In fase di esame del documento, la Commissione ha preliminarmente osservato che l’art. 1, c. 2, lett. a) della legge 12 giugno 1990, n. 146, nel suo testo vigente, espressamente individua tra i servizi pubblici essenziali l’approvvigionamento di energie, prodotti energetici, risorse naturali e beni di prima necessità, compresa la gestione e manutenzione dei relativi impianti. L’accordo trasmesso per la valutazione della Commissione riguarda l’attività svolta dal personale dipendente della Società a bordo del rigassificatore FSRU Toscana. Nello specifico, individua l’attivazione di un’apposita procedura di raffreddamento e di conciliazione, da svolgersi prima della proclamazione dello sciopero, pur essendo comunque possibile fare ricorso alla procedura amministrativa, prevista ai sensi dell’art. 2, c. 2, della legge. Sul versante del preavviso, viene previsto un termine di almeno quindici giorni dall’effettuazione dello sciopero, la cui comunicazione deve essere inviata, oltre all’azienda, al Prefetto di Livorno ed alla competente Capitaneria di Porto. Inoltre, viene previsto che la durata di ciascuna azione di sciopero non possa essere inferiore ad un’ora, né superiore a dieci ore, oltre ad essere programmata all’interno della fascia oraria 7-19. L’articolato dell’accordo prevede altresì: i periodi di franchigia durante i quali non è possibile effettuare scioperi; l’intervallo di almeno quindici giorni tra l’effettuazione di uno sciopero e la proclamazione di quello successivo, con il divieto di proclamazioni plurime; le modalità di revoca e sospensione delle astensioni; le prestazioni indispensabili da garantire in caso di sciopero, con il corrispondente contingente di personale da esonerare dall’astensione. La Commissione ha valutato idoneo l’accordo sulle prestazioni indispensabili per il personale addetto della Società Ecos, ai sensi dell’art. 13, c. 1, lett. a) della legge 12 giugno 1990, n. 146, nel suo testo vigente, in quanto in grado di garantire il giusto contemperamento dell’esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. 639 Osservatorio Autorità indipendenti ASTENSIONE DEGLI ADDETTI AI SERVIZI DI RISTORAZIONE E DI PULIZIA IN AMBITO AEROPORTUALE Comm. Garanzia attuaz. sciopero nei servizi pubblici essenziali - Delibera n. 14/42 del 27 gennaio 2014 Le astensioni degli addetti ai servizi strumentali e accessori rispetto ai servizi pubblici essenziali devono sottostare alle previsioni della legge 12 giugno 1990, n.146, nel suo testo vigente, in quanto direttamente suscettibili di modificare l’erogazione dei servizi essenziali, con evidente potenziale compromissione dei diritti costituzionalmente tutelati dell’utenza. In occasione della proclamazione di uno sciopero immediato per il personale addetto alle attività di ristorazione e di pulizie all’interno dell’Aeroporto di Napoli Capodichino, la Commissione ha ritenuto di richiedere alle Società datoriali e alle Organizzazioni sindacali interessate urgenti informazioni sull’astensione e sugli effetti causati, con riferimento alla garanzia delle prestazioni indispensabili e ai disagi all’utenza, nonché sull’eventuale misura dei provvedimenti disciplinari adottati nei confronti dei lavoratori. Dalla documentazione pervenuta, sono emersi ulteriori elementi informativi sulla mancanza di ricezione della proclamazione dello sciopero da parte datoriale, la cui astensione si stava svolgendo da ormai diversi giorni, e del disconoscimento della paternità della comunicazione di proclamazione da parte delle Organizzazioni sindacali, che peraltro hanno affermato di aver conosciuto dell’astensione proprio dalla nota istruttoria della Commissione. In fase di valutazione del comportamento tenuto dai soggetti proclamanti l’astensione, la Commissione ha rammentato come i servizi di bar e ristorazione, nonché quello di pulizia presso gli scali aeroportuali costituiscono servizi accessori all’erogazione del servizio pubblico essenziale del trasporto aereo, previsto dall’art. 1, c. 2, lett. b) della legge 12 giugno 1990. n. 146, nel testo riformato dalla legge 11 aprile 2000, n. 83. Peraltro, tali indicazioni sono state anche richiamate nella specifica Regolamentazione provvisoria del trasporto aereo, adottata dalla Commissione con delibera n. 01/92 del 19 luglio 2001 in mancanza di un accordo tra le parti, che si impone al rispetto di tutti gli attori che con la propria attività contribuiscono direttamente o indirettamente alla normale erogazione di questo servizio, e che indica espressamente tra i servizi accessori le attività di pulizia dell’aerostazione e delle toilettes, nonché i bar e i ristoranti. Sulla base dell’istruttoria condotta, la Commissione ha evidenziato che l’astensione improvvisa realizzata dagli addetti ai servizi di pulizia e di ristorazione è da ritenersi palesemente illegittima, per la mancata osservanza agli obblighi legali nonché quelli derivanti dalla Regolamentazione provvisoria vigente per il settore aereo. In particolare, le violazioni che vengono evidenziate sono: mancato esperimento delle procedure di raffreddamento e di conciliazione, da attivare prima della proclamazione dello sciopero; mancato rispetto dell’obbligo di preavviso minimo; mancata predeterminazione della durata dell’astensione, ritenuta peraltro eccessiva; mancata garanzia delle prestazioni indispensabili in costanza di astensione. La Commissione ha avuto modo di appurare dalle fasi di istruttoria che comunque non sussistano elementi di prova tali da ricondurre i comportamenti lamentati alle Organizzazioni sindacali, potendo piuttosto rilevare che l’astensione sia da imputare alla condotta spontanea dei lavoratori. 640 Di conseguenza, secondo l’orientamento già espresso con la delibera n. 08/518 del 16 ottobre 2008, in presenza di astensioni illegittime collettive di lavoratori in ordine alle quali non sia possibile individuare il soggetto promotore, la Commissione promuove nei confronti del datore di lavoro l’attivazione dell’iter per l’adozione dei provvedimenti disciplinari nei confronti dei singoli dipendenti. In base a quanto previsto dagli artt. 4, c. 1, e 13, c. 1, lett. i), della legge, la Commissione ha pertanto invitato le Società interessate ad adottare i provvedimenti disciplinari nei confronti dei lavoratori che si sono astenuti dalle prestazioni lavorative presso l’Aeroporto di Napoli, prescrivendo alle stesse l’obbligo di fornire alla stessa Commissione la prova documentale entro trenta giorni dalla conclusione degli stessi provvedimenti, e riservandosi di procedere, in caso di inottemperanza, all’applicazione di sanzioni nei confronti dei soggetti datoriali. LA VALUTAZIONE DEL COMPORTAMENTO DATORIALE ALL’OBBLIGO DI FORNIRE INFORMAZIONI SU VERTENZE E RELATIVI CONFLITTI Comm. Garanzia attuaz. sciopero nei servizi pubblici essenziali - Delibera n. 14/29 del 20 gennaio 2014 L’art. 2, c. 6, della legge 12 giugno 1990, n. 146, prevede l’obbligo per la parte datoriale di fornire su richiesta della Commissione ogni utile informazione in ordine a scioperi e relative motivazioni, nonché a cause di insorgenza dei conflitti. In relazione ad una vertenza in atto presso una Società che svolge servizio di igiene ambientale presso diversi Comuni della bassa Sabina, su istanza sindacale la Prefettura di Rieti ha provveduto a richiedere alla parte datoriale se fossero state esaurite e con quale esito le procedure di raffreddamento e conciliazione previste dall’art. 64 del CCNL FISE-Assoambiente, per poter procedere all’effettuazione della convocazione in via amministrativa presso l’Ufficio di Governo. A fronte di mancate risposte da parte della Società, è intervenuta anche la Commissione, che, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, c. 6, della legge 12 giugno 1990, n. 146, ha richiesto alla stessa parte datoriale di fornire notizie sullo stato e nel merito della vertenza, rammentando quanto previsto dal suddetto articolo di legge in caso di inottemperanza a tale obbligo. La continua assenza di riscontri da parte della Società ad ulteriori solleciti, ha comportato da parte della Commissione l’apertura del procedimento di valutazione del comportamento datoriale, ai sensi degli artt. 4, c. 4 quater, e 13, c. 1, lett. i), della legge, per il mancato rispetto dell’obbligo di informazione, previsto per le amministrazioni e le imprese erogatrici dei servizi dall’art. 2, c. 6, della legge. La Commissione ha previamente considerato che il settore dell’igiene ambientale è ricompreso nel campo di applicazione della legge n. 146/1990 ed è disciplinato dall’Accordo nazionale dell’ 1 marzo 2001, quale regolamentazione dell’esercizio del diritto di sciopero nello stesso settore, valutato idoneo con delibera n. 1/312 del 19 aprile 2001. Inoltre, ha ravvisato che sia nel corso dell’istruttoria, sia successivamente alla notifica del procedimento di valutazione, la Società ha perseverato nell’omettere di fornire le informazioni richieste dalla Commissione, oltre al nominativo del proprio rappresentante legale. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Osservatorio Autorità indipendenti La Commissione, pertanto, ha deliberato la valutazione negativa del comportamento datoriale, ai sensi degli artt. 4, c. 4-quater, e 13, c. 1, lett. i) della legge, per il mancato rispetto dell’obbligo di fornire informazioni richieste dalla Commissione sulla vertenza in atto, irrogando nel contempo una sanzione amministrativa a carico del legale rappre- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 sentante della Società, per il cui importo è stato tenuto conto della reiterata violazione di tale obbligo. Per l’applicazione di tale sanzione, la Commissione ha invitato la Direzione territoriale del lavoro di Rieti ad adottare apposita ordinanza-ingiunzione in esecuzione alla deliberazione e a comunicare l’avvenuto versamento delle somme. 641 Documenti Università Scientificità pubblicazioni La scientificità delle pubblicazioni nelle pronunce del Consiglio universitario nazionale CONSIGLIO UNIVERSITARIO NAZIONALE, ADUNANZA DEL 22 OTTOBRE 2013 Proposta CUN su “I criteri identificanti il carattere scientifico delle pubblicazioni e degli altri prodotti della ricerca”, ai sensi dell’art. 3, comma 2, della legge 9 gennaio 2009, n.1 e successive modificazioni VISTI il parere espresso dal Consiglio Universitario Nazionale nell’Adunanza del 19 novembre 2009 e la proposta formulata dal CUN nell’Adunanza del 24 febbraio 2010 in merito ai possibili contenuti e criteri per l’ANPRePS; ESAMINATI E VALUTATI gli esiti della Consultazione Pubblica telematica per l’istituzione dell’ANPRePS promossa dal CUN e svoltasi dal 23 aprile 2013 al 23 luglio 2013; CONSIDERANDO QUANTO SEGUE (1) Un punto di partenza per stabilire criteri internazionalmente condivisi è costituito dal «Manuale di Frascati» (Frascati Manual: Proposed Standard Practice for Surveys on Research and Experimental Development), redatto per conto dell’ Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), più volte rivisto sino alla sesta e ultima edizione del 2002, nella quale si definisce la ricerca come «lavoro creativo svolto su base sistematica al fine di accrescere la conoscenza, inclusa la conoscenza dell’uomo, della cultura e della società», si precisano, fra l’altro, le nozioni di ricerca di base e applicata ( punto 64), si elencano le attività che devono essere escluse dalle nozioni di ricerca e sviluppo ( punto 66) e rese oggetto di una dettagliata analisi ( punti 68-84) al fine precipuo di permetterne la separazione dall’attività scientifica vera e propria. Omissis. (5) L’obiettivo di tali definizioni non è e non può essere la formulazione di giudizi di qualità scientifica, né assoluti né comparativi, ma solo l’individuazione di «requisiti minimi» di facile applicazione e verifica, che permettano di analizzare i prodotti con una logica binaria (accettazione/rigetto); a tal fine risulta inevitabile prestare attenzione non soltanto al singolo documento ma anche al contesto e alle modalità di pubblicazione, non potendosi prevedere, anche per ragioni organizzative, 642 un processo che comporti la valutazione individuale di «scientificità» dell’intera produzione nazionale. Omissis (7) I criteri di scientificità tuttavia non sono, né possono diventare settoriali: se un prodotto si qualifica come scientifico, tale qualificazione deve valere in tutti i contesti ai quali il prodotto stesso risulti pertinente, e tale principio si estende naturalmente alla relativa sede editoriale. FORMULA LA SEGUENTE PROPOSTA Elementi caratterizzanti la scientificità di una pubblicazione Una pubblicazione è scientifica se soddisfa tutti i seguenti requisiti: a) Essere un’esposizione argomentata e sistematica dei risultati originali o delle rielaborazioni originali di un lavoro di ricerca; b) Essere dotata di riferimenti a fonti bibliografiche e/o documentali; c) Riportare i risultati in una forma atta alla verifica e/o al riutilizzo in altre attività di ricerca; d) Essere stata sottoposta a una procedura formalizzata ex ante e resa pubblica di revisione; Una pubblicazione scientifica deve avere anche una congrua diffusione che la renda idonea a essere sottoposta al vaglio della comunità scientifica. A tal fine deve inoltre: e) Essere presente nelle biblioteche universitarie italiane e/o nelle principali biblioteche universitarie internazionali, oppure essere pubblicamente accessibile per mezzo di infrastrutture elettroniche digitali; f) Essere scritta in una lingua veicolare per la comunità scientifica di riferimento che la renda fruibile per la maggior parte dei ricercatori potenzialmente interessati. Riviste Scientifiche Affinché una rivista possa essere considerata scientifica: Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Documenti Università a) Deve aderire ai criteri generali di cui ai punti (1) e (2) delle Considerazioni di premessa; b) Deve prevedere, per l’accettazione dei contributi, una procedura di revisione formalizzata, resa pubblica ex ante e garantita da un Comitato Scientifico i cui membri appartengano in prevalenza al mondo della ricerca; c) Deve adottare una procedura per l’accettazione dei contributi che preveda l’anonimato dei revisori; d) In alternativa può adottare una procedura di revisione/ accettazione che preveda la pre-pubblicazione e la successiva raccolta di pareri pubblici, volontari e/o sollecitati; e) Deve garantire una periodicità regolare delle uscite; f) Deve imporre il rispetto degli standard richiesti internazionalmente per la sua indicizzazione (titolo, abstract e parole chiave in inglese). Ai soli fini dell’inserimento nell’ANPRePS, per garantire l’operatività dell’Anagrafe, tenendo conto di quanto precisato al punto (5) delle Considerazioni di premessa, e senza che ciò implichi in alcun modo una valutazione di «qualità» in merito al suo contenuto scientifico, una pubblicazione può essere definita scientifica per il solo fatto di apparire in una rivista considerata scientifica, alla stregua dei criteri sopra indicati. Il soddisfacimento dei criteri di scientificità di una rivista dovrà essere periodicamente controllato. Alle riviste che sono considerate scientifiche dalle comunità di riferimento, ma che attualmente non dovessero formalmente soddisfare tutti i criteri stabiliti per l’attribuzione dello status di riviste scientifiche, dovrà essere concessa una moratoria per permettere loro di adeguarsi a tali criteri. Tipologie di pubblicazioni diverse dagli articoli su riviste scientifiche Per essere considerate scientifiche le pubblicazioni diverse dagli articoli su rivista devono comunque rispettare le condizioni di cui al punto (1) delle Considerazioni di premessa. Ogni pubblicazione scientifica deve inoltre: a) Consistere in un’esposizione argomentata di risultati aventi carattere di originalità, riportati in una forma atta alla verifica e/o al riutilizzo; b) Deve essere supportata da riferimenti che ne segnalino i fondamenti documentali, bibliografici e metodologici; c) Deve essere pubblicata in una sede che ne assicuri una congrua diffusione e che sia dotata di un comitato scientifico/editoriale i cui membri appartengono in prevalenza al mondo della ricerca e garantiscano l’esistenza di una procedura formalizzata ex ante e resa pubblica di revisione. La modalità di accettazione fondata sulla revisione effettuata da revisori anonimi è da considerarsi adeguata per tutte le tipologie di pubblicazione. La modalità di accettazione fondata sul giudizio di un comitato scientifico/editoriale, senza il ricorso a revisori esterni, è da considerarsi adeguata, purché siano soddisfatte tutte le altre condizioni ricordate ai punti a), b), c), in partico- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 lare nei casi in cui sia riconoscibile la responsabilità di un committente scientifico terzo rispetto all’Autore. I soggetti preposti all’accettazione dei contributi per la pubblicazione in sedi editoriali che intendano farsi garanti della scientificità devono tendere ad assicurare la coerenza con i principi generali sopra enunciati, oltre che con i seguenti criteri specifici per le varie tipologie. Monografia: è una pubblicazione scientifica se è un’opera di consistente estensione, da imputare per intero alla responsabilità scientifica di uno o più autori, e se si propone quale studio approfondito e caratterizzato da un approccio critico. Contributo a un volume o capitolo di libro (nel caso di opere collettive): è una pubblicazione scientifica se è provvisto di autonomia concettuale e potenzialmente anche editoriale ed è imputato a uno o più autori chiaramente identificabili. Edizione critica: è una pubblicazione scientifica se si propone quale opera in cui la constitutio textus è accompagnata dalla presenza di un apparato critico in cui si riportano le fonti documentali e bibliografiche utilizzate per la ricostruzione del testo. Traduzione di testi: è una pubblicazione scientifica se si connota come opera ermeneutica, caratterizzata da approccio critico da parte del traduttore. Relazione a un convegno/simposio/congresso: è una pubblicazione scientifica se pubblicata in forma estesa, nonché previa revisione e accettazione da parte del comitato scientifico del convegno. Contributo a opere di carattere lessicografico o enciclopedico: è una pubblicazione scientifica se si propone come esposizione sistematica e critica delle conoscenze specialistiche sviluppate in merito al soggetto identificato dal lemma o dalla voce ed è parte di un’opera che esprima un progetto di sistemazione delle conoscenze riferite ad ambiti dotati di interesse scientifico ed è imputato a uno o più autori chiaramente identificabili. Prefazione, introduzione, postfazione o excursus: è una pubblicazione scientifica se offre un’analisi originale di temi, substrati e linguaggi del testo offrendo una linea interpretativa del medesimo. Curatela: è una pubblicazione scientifica se è connotata da un impegno di ideazione e coordinamento che si manifesta in un’introduzione almeno di carattere metodologico. Nota a sentenza: è una pubblicazione scientifica se propone un’ampia e approfondita analisi critica del tema oggetto della sentenza commentata. Commento a norme: è una pubblicazione scientifica se si propone come studio esegetico di un testo normativo, dotato di sufficiente estensione e supportato dalla presenza di un apparato critico che documenta le fonti giurisprudenziali e dottrinali dell’analisi. Recensione: è una pubblicazione scientifica se si propone come saggio critico, caratterizzato da un’analisi sistematica, e culturalmente contestualizzata, dei temi oggetto del lavoro recensito e da un’adeguata consistenza espositiva. Pubblicazione di fonti inedite: è una pubblicazione scientifica se è caratterizzata da approccio critico ed è accom- 643 Documenti Università pagnata da un’introduzione o da una nota archivistico/ diplomatistica. Edizione critica di scavo: è una pubblicazione scientifica se è la comunicazione dei risultati di una ricerca scientificamente condotta con metodi e finalità specificati e si presenta come un’analisi di apprezzabile estensione anche in termini di consistenza espositiva. Nota illustrativa a una carta geologica o tematica: è una pubblicazione scientifica se si propone come opera caratterizzata da approccio critico e si presenta come un’analisi di apprezzabile estensione anche in termini di consistenza espositiva. Repertorio bibliografico: è una pubblicazione scientifica se è edito come opera autonoma ed è caratterizzato da un approccio critico e ragionato volto a rielaborare e ricostruire, anche tramite note esplicative, gli studi effettuati su uno specifico tema. Concordanza: è una pubblicazione scientifica se si propone come esposizione sistematica e critica, nonché contestualizzata, dei significati concettuali da assegnare a voci ed espressioni di un testo, ed è caratterizzata da rigore metodologico nella presentazione dei risultati. Manuale: è una pubblicazione scientifica se possiede i caratteri di un’opera monografica e rappresenta la sintesi dell’esperienza culturale dell’autore in un determinato ambito di ricerca. Pubblicazione divulgativa o rivolta al mondo delle professioni non sottoposta a revisione: può essere considerata una pubblicazione scientifica solo nel caso in cui si ravvisino tutte le condizioni di originalità, riferimento alle fonti, verifica dei risultati e diffusione cui ai punti (1) e (2) delle Considerazioni di premessa. tutti i casi il prodotto potrà essere censito solo se accompagnato da un’adeguata documentazione scritta. A tal fine si propone il seguente elenco (non necessariamente esaustivo) di prodotti della ricerca: a) Brevetti b) Progettazione di sistemi software c) Progetti e ricerca progettuale nei settori del design e dell’ingegneria d) Manufatti, prototipi e artefatti e) Performance, opere d’arte e loro progetti f) Disegni, rappresentazioni, prodotti cartografici g) Carte geologiche, geografiche e tematiche h) Analisi e ricognizioni territoriali i) Ricerche in ambito museale ed espositivo j) Documenti audiovisivi k) Raccolta critica di dati sperimentali l) Allestimenti di museografia antropologica Il CONSIGLIO UNIVERSITARIO NAZIONALE EVIDENZIA che i criteri identificanti il carattere scientifico delle pubblicazioni enunciati nella presente proposta sono coerenti con i criteri di scientificità esposti nel manuale di Frascati e condivisi in ambito internazionale, sono in linea con i precedenti pronunciamenti del CUN in tema di scientificità e hanno ottenuto un amplissimo consenso dalla comunità scientifica a seguito di Consultazione Pubblica. AUSPICA Prodotti della ricerca diversi dalle pubblicazioni È opportuno che prodotti della ricerca, diversi dalle pubblicazioni e che presentino caratteri di originalità, siano censiti in un’apposita sezione dell’ANPRePS. In che la proposta, sentito il parere dell’ANVUR, possa essere accolta dal Ministro nell’adozione del relativo decreto e che questo permetta altresì di dar corso al più presto alla costituzione dell’ANPRePS. IL COMMENTO di Carla Barbati La proposta formulata dal Consiglio Universitario Nazionale, in esito alla Consultazione Pubblica svoltasi tra l’aprile e il luglio 2013, sui criteri identificanti il carattere scientifico delle pubblicazioni, ai fini della costituzione di ANPRePS, è soltanto l’ultima, in ordine di tempo, di numerosi interventi sul tema da parte dell’organo. Pronunce occasionate sia da provvedimenti legislativi che rinviano alla necessità di una identificazione normativa dei valori e dei criteri della scientificità sia da iniziative assunte da altri organi e capaci di definire una categoria concettuale, qual è quella della scientificità delle pubblicazioni, prodromica alla ricerca e alla fissazione degli indicatori per la loro valutazione. Il Consiglio Universitario Nazionale (CUN) si è occupato più volte, nell’esercizio delle proprie competenze consultive e propositive, di scientificità delle pubblicazioni. A sollecitarne le prime pronunce è stata la legge 9 gennaio 2009, n.1 «Conversione in legge, con 644 modificazioni, del decreto-legge 10 novembre 2008, recante disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca», il cui art. 3ter, intitolato alla «Valutazione dell’attività di ricerca» ha previsto, al c. 2, che «I criteri identifi- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Documenti Università canti il carattere scientifico delle pubblicazioni sono stabiliti con apposito decreto del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, su proposta del Consiglio universitario nazionale e sentito il Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca». È con questa legge, infatti, che s’introduce la necessità di pervenire a un’identificazione normativa dei criteri di scientificità delle pubblicazioni funzionale non solo alla valutazione della ricerca ma anche alla costituzione di quello che, tuttora, appare lo strumento indispensabile al suo esercizio, ossia l’Anagrafe Nazionale Nominativa dei Professori e dei Ricercatori e delle Pubblicazioni Scientifiche (ANPRePS), configurata nell’art. 3-bis della medesima legge quale banca dati contenente, per ciascun soggetto, l’elenco delle pubblicazioni scientifiche prodotte. La previsione, dopo le attenzioni iniziali sempre dedicate alle nuove discipline e che, nel caso, condussero anche alla formulazione di prime proposte per l’istituzione dell’ANPRePS e perciò alle prime pronunce del CUN, entrò nell’oblio che, altrettanto spesso, segna la sorte di molte innovazioni, specie quando esse cedono il passo alle altre innovazioni pensate da un legislatore attratto più dal «riformare le riforme» che dal darvi attuazione. Tuttavia, è stata proprio un’altra riforma, quella avviata dalla legge 30 dicembre 2010, n. 240, a riproporre, con nuova forza, la necessità di identificare i criteri di scientificità delle pubblicazioni. Con questa legge, la categoria delle pubblicazioni scientifiche diventa, infatti, l’oggetto delle tante e nuove valutazioni della ricerca cui si affida l’incentivazione delle qualità e dell’efficienza del sistema universitario. Alle pubblicazioni scientifiche e alla loro valutazione si operano ripetuti riferimenti in relazione alle procedure per il conferimento dell’Abilitazione Scientifica Nazionale (art. 16, c. 3, l. n. 240/2010 e D.M. 7 giugno 2012, n. 76), per il reclutamento dei professori (art. 18, c. 1, lett. d), l. n. 240/2010), per l’attribuzione di assegni di ricerca e di contratti di ricercatore a tempo determinato (artt. 22 e 24, l. n. 240/2010), e sugli esercizi di Valutazione della Qualità della Ricerca svolta dalle strutture (bando Anvur, 7 novembre 2011). Valutazioni nuove anche perché interessate da nuove configurazioni organizzative e funzionali che ne prevedono la sottoposizione a regole non solo Giornale di diritto amministrativo 6/2014 procedurali ma anche sostanziali capaci di orientarne l’esercizio, da parte delle diverse sedi chiamate a effettuarle e per le diverse finalità alle quali servono. È a questo punto, ossia quando la valutazione della ricerca acquista i caratteri di un’attività-funzione, che l’identificazione dei caratteri di scientificità delle pubblicazioni riflette un’esigenza intrinseca al suo esercizio, acquisendo una nuova centralità, quasi a porsi come categoria concettuale presupposta, funzionale allo stesso riconoscimento dei prodotti da valutare. La circostanza che l’identificazione dei caratteri di scientificità debba essere, a questi fini, dedotta a oggetto di regole, provviste dell’efficacia propria degli atti normativi, apre pertanto alla necessità di individuare criteri capaci di fungere da indicatori di processo, sintomatici di una scientificità che non può essere demandata a una valutazione qualitativa del prodotto. È per rispondere a queste nuove e rafforzate esigenze che il CUN ha ritenuto di rinnovare l’esercizio delle competenze assegnategli dalla l. n. 1/2009, avviando il 23 aprile 2013 una Consultazione Pubblica, aperta a tutti i soggetti interessati in ragione delle loro competenze, così da rendere partecipato, e soprattutto obbediente al principio epistemologico in base al quale solo la comunità degli studiosi può definire quali siano i requisiti di scientificità del proprio sapere, il percorso decisionale volto alla formulazione della proposta che, ai sensi della l. n.1/2009, era chiamato a presentare al Ministro. La Consultazione è stata condotta tramite un’indagine online, articolata in 63 domande, uniche per tutte le aree disciplinari, in ossequio al principio della sostanziale unicità del sapere, per il quale se un prodotto è qualificato come scientifico dalla comunità di riferimento esso è scientifico per tutte. Nei 90 giorni di apertura della Consultazione, chiusa il 23 luglio 2013, sono state coinvolte circa 17.000 persone. Sulla base delle indicazioni ricevute e tenendo conto delle precedenti pronunce, il CUN ha elaborato la Proposta presentata il 22 ottobre 2013 (sopra riportata) perché, sentita l’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (Anvur), quale soggetto che ha ricevuto le competenze del Civr, si stabilissero, con decreto, i criteri identificanti il carattere scientifico delle pubblicazioni. 645 Rubriche Libri Segnalazioni e recensioni LE REGOLE DEI GIOCHI. LA DISCIPLINA PUBBLICISTICA DEI GIOCHI E DELLE SCOMMESSE IN ITALIA Alessandra Battaglia, Bernardo Giorgio Mattarella (a cura di), Editoriale Scientifica, Napoli, 2014, p. 502, € 35 La disciplina pubblica dei giochi e delle scommesse, osserva Bernardo Giorgio Mattarella nella sua Introduzione al volume, è un oggetto «alquanto misterioso», che gli studiosi di diritto amministrativo hanno a lungo trascurato. Eppure, essa coinvolge una pluralità di interessi pubblici, dall’ordine pubblico alla lotta al riciclaggio finanziario, alla finanza pubblica. Solleva molti problemi, sia di diritto positivo, sia di disegno della politica, a causa dell’abbondanza e della stratificazione delle fonti che regolano la materia, oltre che dei poteri regolatori attribuiti alla stessa amministrazione. Tende a costruirsi come disciplina a sé stante, capace di sfuggire ai principi generali dell’ordinamento. È prezioso, dunque, il tentativo condotto in questo studio di esaminare le varie componenti della disciplina e di riflettere criticamente sulla loro coerenza complessiva. Il volume, frutto di una ricerca condotta da un gruppo di studiosi dell’Istituto di ricerche sulla pubblica amministrazione - Irpa, adotta una varietà di punti di vista, capaci di restituire una comprensione multidimensionale della realtà giuridica. Così, sono analiticamente descritti i singoli giochi e le loro discipline, ma si offre anche una riflessione sui concetti e sui principi applicabili alla maggior parte dei giochi, sulle ragioni complessive della disciplina pubblicistica, sui caratteri comuni della regolazione dei vari mercati. Sono esaminate le forme di gestione, i titoli abilitativi e le modalità di scelta dei gestori, ma anche l’organizzazione delle amministrazioni competenti. Sul versante degli operatori privati, sono ricostruiti sia le modalità di svolgimento dell’attività, sia i peculiari obblighi a loro carico. La prospettiva è allo stesso tempo descrittiva e critica, volta a individuare i punti di forza e di debolezza della disciplina, anche in vista di un suo auspicabile riordino. L’indagine si segnala per quattro aspetti principali. Anzitutto, per l’attenzione non solo al diritto positivo e alla giurisprudenza, ma anche alle prassi amministrative, che consentono di individuare problemi operativi e di mettere in evidenza le debolezze del sistema. Poi, per l'attenzione ai vincoli europei, nel quadro dei quali la disciplina nazionale viene a posizionarsi. Si segnala, ancora, per l’ampiezza dell’analisi, che copre le numerose discipline speciali, dalle corse dei cavalli al bingo, ai giochi sportivi on line. Da ultimo, è importante l’attenzione all’attività di regolazione dei giochi pubblici, vero fulcro della disciplina, dal quale dipendono, in ultima analisi, gli effetti della politica pubblica. (Edoardo Chiti) LA VALIDITÀ DEL PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO. PROFILI DI TEORIA GENERALE Michele Trimarchi, Edizioni ETS, Pisa, 2013, p. 312, € 28 La scienza giuridica ha sempre messo, al centro dell’analisi dell’invalidità, l’esame dei rimedi alla difformità degli atti giuridici rispetto al paradigma normativo di riferimento. 646 Mentre è passato in secondo piano un approfondimento dedicato alla categoria della validità, letta alla luce del prisma della teoria del provvedimento. Ricorrendo anche a contributi di filosofi del diritto, il volume che si segnala ambisce a cogliere con lenti nuove i rapporti tra validità ed efficacia, nonché il nesso che intercorre con il potere giuridico. La tesi formulata è che l’efficacia del provvedimento dipende dal giudizio di riconoscimento operato dai suoi destinatari come prescrizione giuridica. Ne discende che il provvedimento invalido può essere efficace, quando è riconosciuto dai destinatari come atto proveniente dall’ordinamento; ovvero inefficace, qualora questo riconoscimento manchi. Data l’ampiezza delle problematiche trattate, la ricerca ha il pregio di tentare una ricomposizione dei paradigmi tradizionali, ponendo sotto una luce inconsueta le questioni attinenti al regime del provvedimento amministrativo. (Marco Macchia) LA PARITÀ DI GENERE NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Mariangela Benedetti, Giulia Bertezzolo, Hilde Caroli Casavola, Maurizia De Bellis, Elisabetta Morlino, Silvia Pellizari, Editoriale Scientifica, Napoli, 2013, p. 115, € 10 Il divario tra donne e uomini è pienamente colmato nelle pubbliche amministrazioni? Quanti sono e quali ruoli ricoprono le donne? Guadagnano allo stesso modo? Muovendo dai dati disponibili e dal confronto con altri paesi europei, come Francia, Danimarca, Germania e Svezia, la ricerca mostra come nelle posizioni dirigenziali o apicali la percentuale femminile non superi il trenta per cento, in alcuni settori (come trasporti, ambiente) le competenze femminili siano poco impiegate, e come, infine, sebbene operi il principio del pari salario, le differenze retributive permangano. Esaminando la legislazione (e le azioni positive) volte a rimuovere gli ostacoli che impediscono la piena realizzazione di pari opportunità di lavoro tra uomini e donne, l’indagine restituisce un quadro ricco di informazioni dal quale è possibile trarre le dinamiche e le contraddizioni della realtà attuale, e che fa pulizia delle rappresentazioni semplificate e spesso fuorvianti. (Marco Macchia) LA MISURAZIONE DELLA QUALITÀ NELLA SANITÀ E NELL’ISTRUZIONE Bruno Carotti, Elisa D’Alterio, Tiziana Testoni, Editoriale Scientifica, Napoli, 2013, p. 58, € 6,50 Come si misura la qualità dei servizi erogati ai cittadini? A dispetto di quanto si possa pensare, sono diversi gli strumenti normativi dediti a rilevare il grado di soddisfazione degli utenti, tipo le carte dei servizi, gli standard di qualità, i contratti di servizio. Soffermandosi sui servizi sanitari e scolastici, la ricerca segnalata offre spunti ragionati sul processo di selezione e adozione degli strumenti di misurazione, sul quadro delle regole sulla qualità, nonché sulle ragioni sottostanti alla scarsa attuazione della valutazione delle performance e all’inefficienza del sistema dei controlli. Il volume non manca, infine, di offrire utili indicazioni di policy per migliorare i metodi di valutazione. (Marco Macchia) Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Opinioni Giurisdizione e competenza Giustizia sportiva La riforma della giustizia sportiva di Alessandro Enrico Basilico Il 19 dicembre 2013 il Coni ha approvato la riforma del sistema della giustizia sportiva, sopprimendo l’Alta Corte di giustizia sportiva e il Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport e sostituendoli con il nuovo Collegio di garanzia dello sport, il quale sarà affiancato dall’inedita Procura generale dello sport. La riforma abbandona il modello arbitrale - rendendo così più agevole l’accesso alla giurisdizione amministrativa - riserva agli organi di giustizia federali la competenza sul merito delle controversie e stabilisce che il nuovo Collegio può essere adito solo lamentando una violazione di legge. Inoltre vengono accentrati in capo al Coni poteri d’indagine in materia disciplinare. Con queste innovazioni appaiono rafforzati i caratteri pubblicistici del sistema italiano di giustizia sportiva, in maniera coerente con un ordinamento statuale che, sin dalla Carta costituzionale, riconosce allo sport un interesse pubblico, e nel quale le stesse Federazioni, pur essendo soggetti privati, svolgono attività aventi valenza pubblicistica. Autonomia dell’ordinamento sportivo e risoluzione delle controversie sportive Il mondo dello sport, come ha riconosciuto la Corte costituzionale, ha dato vita a «uno dei più significativi ordinamenti autonomi che vengono a contatto con quello statale» che, oltre a trovare «ampia tutela» negli artt. 2 e 18 della Costituzione, rappresenta «l’articolazione italiana di un più ampio ordinamento autonomo avente una dimensione internazionale». (1) Al suo interno si è costituito e rafforzato nel tempo un sofisticato sistema di giustizia, volto a dirimere le controversie che insorgono tra atleti, associazioni e federazioni sportive (2) limitando per quanto possibile l’intervento delle giurisdizioni ordinarie e la connessa interferenza tra ordinamento statale e diritto sportivo. (3) Di quanto sia stretto il legame esistente tra autonomia dell’ordinamento sportivo, da un lato, e giurisdizione sulle controversie sportive, dall’altro, si è mostrato ben consapevole lo stesso legislatore con l’emanazione del decreto legge n. 220 del 2003, convertito con modificazioni dalla legge n. 280 del 2003, che al fine di «razionalizzare i rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento giuridico dello Stato» ha appunto dettato disposizioni in materia di giustizia sportiva. (4) È chiaro infatti che l’intervento dei giudici statali nelle controversie in cui vengono in rilievo le norme dell’ordinamento sportivo sarà minore quanto più la «forma di tutela giustiziale» apprestata dagli «organismi interni all’ordinamento stesso in cui le norme in questione sono state poste […] secondo uno schema proprio della cosiddetta “giustizia associativa”» (5) assicuri un «giusto processo», confor- (1) Corte cost., sent. n. 49 del 2011. In questa pronuncia è chiara l’influenza della teoria istituzionalistica, per la quale si v. S. Romano, L’ordinamento giuridico, ora in L’ultimo Santi Romano, Milano 2013, 5 e ss.; si v. anche C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, Padova 1991, 3 e ss.; V. Crisafulli, Lezioni di diritto costituzionale, Padova 1970, 16. In particolare, sul rapporto tra ordinamento sportivo e ordinamento statale si v., tra gli altri, W. Cesarini Sforza, La teoria degli ordinamenti giuridici e il diritto sportivo, in Foro it., 1933, I, 1381 e ss.; M.S. Giannini, Prime osservazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Riv. dir. sport, 1949, 1 e ss.; M.S. Giannini, Ancora sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Riv. trim. dir. pubbl., 1996, 671 e ss.; G. Manfredi, Pluralità degli ordinamenti e tutela giurisdizionale, Torino 2007; A. Massera, Sport e ordinamenti giuridici: tensioni e tendenze nel diritto vivente in una prospettiva multilaterale, in Diritto pubblico, 2008, 1, 113 e ss.. (2) Sulla giustizia sportiva si v., tra gli altri F.P. Luiso, La giustizia sportiva, Milano 1975; L. Ferrara, voce Giustizia sportiva, in Enc. Dir., Milano 2010; M. Sanino, F. Verde, Il diritto sportivo, Milano 2008, 431 e ss.. (3) M. Coccia, Fenomenologia della controversia sportiva e dei suoi modi di risoluzione, in Riv. dir. sport., 1997, 605 e ss.. (4) A commento del decreto si v. G. Valori, Il diritto nello sport, Torino 2009, 131 e ss.; M. Serio, Il processo disciplinare sportivo: rapporti tra ordinamento sportivo e ordinamento statale, in “Europa e diritto privato”, 2009, 775 e ss.; E. Lubrano, I rapporti, 32 e ss.; M.R. Spasiano, La giustizia sportiva innanzi al giudice amministrativo: problemi aperti, in R. Lombardi (a cura di), Ordinamento sportivo e calcio professionistico tra diritto ed economia, Milano 2009, 103 e ss.. (5) Corte cost., sent. n. 49 del 2011. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 647 Opinioni Giurisdizione e competenza me ai principi costituzionali e a quelli derivanti dalla Convenzione europea per i diritti dell’uomo. Alla perenne ricerca di quest’obiettivo, il 19 dicembre scorso il Comitato olimpico nazionale italiano (Coni) ha approvato la riforma del sistema della giustizia sportiva, sopprimendo l’Alta Corte di giustizia sportiva e il Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport (Tnas) e sostituendoli con il nuovo Collegio di garanzia dello sport, il quale sarà affiancato dall’inedita Procura generale dello sport. Attualmente le modifiche allo Statuto del Coni, deliberate dal Consiglio nazionale su proposta della Giunta nazionale, devono ancora essere approvate dal Governo, ma si tratta di un assenso molto probabile, considerata la condivisione già espressa pubblicamente dai rappresentanti dell’esecutivo (6) e soprattutto l’autonomia che è sempre stata riconosciuta alle organizzazioni sportive. La riorganizzazione degli istituti di giustizia sportiva dovrà inoltre essere completata mediante l’approvazione dei regolamenti di procedura dei due nuovi organi, la nomina dei loro componenti, nonché la riscrittura dei criteri generali cui i diversi procedimenti e gli svariati codici delle tante Federazioni dovranno ispirarsi. Questi criteri entreranno in vigore il 1 luglio 2014 e daranno vita a un vero e proprio codice unico del processo sportivo, valido per tutte le Federazioni, il quale naturalmente dovrà conformarsi ai principi posti dal d.lgs. n. 242 del 1999 di riordino del Coni. (7) In conclusione, il nuovo sistema dovrebbe essere pienamente operativo a partire dalla stagione sportiva 2014-2015. Si tratta della seconda riforma della giustizia sportiva in sei anni, considerato che già nel 2008 lo Statuto era stato modificato, sostituendo la Camera di conciliazione e arbitrato dello sport con l’Alta Corte e il Tnas. Quella attuale, però, ha il sapore di una vera e propria svolta, sia perché viene abbandonato in maniera netta il modello arbitrale e si riserva agli or(6) L’art. 2, c. 2, del d.lgs. n. 242 del 1999 di riordino del Coni dispone che lo Statuto è approvato a maggioranza dei componenti del Consiglio nazionale, su proposta della Giunta nazionale, ed è approvato entro sessanta giorni dalla sua ricezione dal Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il Ministro dell’Economia. Nella riunione del Consiglio nazionale del 19 dicembre 2013 l’allora Ministro per gli affari regionali del Governo presieduto da Enrico Letta, Graziano Delrio, ha manifestato «condivisione totale» del nuovo sistema (così il comunicato pubblicato sul sito www.coni.it), circostanza cruciale, considerato che questi ha mantenuto la delega allo sport anche nell’esecutivo guidato da Matteo Renzi. (7) Secondo l’art. 7, c. 2, lett. h-bis), del citato decreto, il sistema di giustizia sportiva deve prevedere l’obbligo dei tesserati di rivolgersi agli organi di giustizia federale, per le contro- 648 gani federali il giudizio sul merito delle controversie, sia perché vengono accentrati in capo al Coni poteri d’indagine in materia disciplinare. Una svolta che, lo si anticipa sin d’ora, non è stata accolta con un consenso unanime, ricevendo tre voti contrari particolarmente «pesanti», quello delle Federazioni del calcio, del nuoto e della pallacanestro. Il sistema vigente sino al 2008: la Camera di conciliazione e arbitrato dello sport Sino al 2004 l’ordinamento sportivo era privo di un organo con funzioni giustiziali che presentasse requisiti d’imparzialità e indipendenza paragonabili a quelli degli organi giurisdizionali. A questa lacuna pose rimedio la riforma dello Statuto del Coni di quell’anno, che istituì la Camera di conciliazione e arbitrato, configurata secondo il modello del Tribunale arbitrale dello sport (TasCas), organo del CIO con sede a Losanna e funzioni di risoluzione delle controversie sportive a livello internazionale. (8) Come quest’ultimo, anche la Camera svolgeva funzioni consultive, conciliative e arbitrali. In particolare, essa decideva, «con pronunzia definitiva», sulle controversie che contrapponevano una Federazione agli affiliati, purché fossero stati previamente esauriti i rimedi interni offerti dalla giustizia federale, nonché le dispute sportive che le venivano devolute mediante clausola compromissoria o accordo tra le parti. (9) Le questioni in materia di doping erano invece riservate già allora a un Tribunale specializzato. La Camera era nominata dal Consiglio nazionale del Coni, su proposta della Giunta nazionale, ed era formata da un Presidente, quattro componenti fissi e quattro membri estratti a rotazione da un elenco di trenta esperti di diritto e di sport. La Camera non decideva direttamente le controversie, ma appunto gestiva tale elenco, dal quale versie inerenti l’attività sportiva, deve rispettare «i principi del contraddittorio tra le parti, del diritto di difesa, della terzietà e imparzialità degli organi giudicanti, della ragionevole durata, della motivazione e della impugnabilità delle decisioni», deve comportare una «razionalizzazione dei rapporti tra procedimenti di giustizia sportiva di competenza del Coni con quelli delle singole Federazioni». (8) Sul Tas-Cas si v. L. Casini, Il Tribunale arbitrale dello sport, in Riv. trim. dir. pubbl., 2012, 625 e ss.. Il modello arbitrale, osserva M. Coccia, Fenomenologia, 620, offre svariati vantaggi, i principali dei quali sono la rapidità della procedura e la maggiore specializzazione dei componenti del collegio rispetto a quella del giudice statale. (9) Art. 12 dello Statuto del Coni vigente dal 2004 al 2008. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Opinioni Giurisdizione e competenza venivano scelti i conciliatori e i membri del collegio (o l’arbitro unico) che avrebbe emesso il lodo, (10) analogamente appunto al Tas-Cas (e ad istituti appartenenti ad altri settori dell’ordinamento, quali la Camera arbitrale per i contratti pubblici (11) o la Camera di conciliazione e arbitrato presso la Consob). (12) La circostanza che la decisione non fosse riferibile direttamente alla Camera o al Coni e il fatto che la competenza dell’organo si fondasse sulle clausole compromissorie inserite negli Statuti e nei regolamenti federali aveva indotto parte della dottrina a qualificare il procedimento in esame come un autentico arbitrato, con la rilevante conseguenza che la pronuncia sarebbe stata impugnabile solo dinanzi alla Corte d’appello per nullità. (13) Un altro orientamento obiettava che siccome l’accettazione della giurisdizione della Camera era indispensabile per affiliarsi o tesserarsi per una Federazione, se questi giudizi fossero stati davvero arbitrati, si sarebbe trattato di arbitrati obbligatori e in quanto tali illegittimi. (14) Per questo si riteneva che il procedimento dinanzi alla Camera fosse piuttosto l’espressione di una funzione «di autotutela contenziosa», con la conseguenza che la decisione finale sarebbe stata impugnabile presso il giudice amministrativo. (15) Se la prima opinione - che comportava una limitazione del controllo del giudice statale e quindi una più ampia autonomia per l’ordinamento sportivo era rimasta minoritaria in giurisprudenza, (16) il Consiglio di Stato, poi seguito dal Tar del Lazio, aveva condiviso la qualificazione dei «lodi» della Camera come provvedimenti, «benché emess[i] con le forme e le garanzie tratte dal giudizio arbi(10) Artt. 11 e ss. del Regolamento della Camera. (11) Disciplinata dagli artt. 241 e ss. del d.lgs. n. 163 del 2006. (12) Disciplinata dal d.lgs. n. 179 del 2007. (13) G. Napolitano, Caratteri e prospettive dell’arbitrato amministrato sportivo, in questa Rivista, 2004, 10, 1159; in senso analogo si v. anche G. Verde, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino 2004, 20; L. Fumagalli, La giustizia sportiva, in M. Coccia, A. De Silvestri, O. Forlenza, L. Fumagalli, L. Musumurra (a cura di), Diritto dello Sport, 134 e ss.. (14) Si argomentava soprattutto a partire dalla giurisprudenza costituzionale secondo cui «il fondamento di qualsiasi arbitrato è da rinvenirsi nella libera scelta delle parti» (sent. n. 127 del 1977) e ciò non avviene quando la clausola compromissoria sia racchiusa nei regolamenti di un’associazione a cui è indispensabile aderire per lo svolgimento di una data attività (sent. n. 325 del 1998). (15) F. Goisis, La giustizia sportiva tra funziona amministrativa e arbitrato, Milano 2007, 322 e ss., nonché Id., Verso l’arbitrabilità delle controversie pubblicistiche-sportive?, in Dir. proc. amm., 2010, 1417 e ss.. Sul punto si v. anche G. Manfredi, Giornale di diritto amministrativo 6/2014 trale», sindacabili «in modo pieno» dal giudice amministrativo. (17) Il supremo consesso aveva motivato sia alla luce dell’impossibilità di compromettere in arbitri le controversie aventi a oggetto interessi legittimi, quali quelli lesi dalle Federazioni o dal Coni nell’esercizio di attività aventi valenza pubblicistica, sia in considerazione della natura «obbligatoria» della giurisdizione della Camera. L’orientamento accolto dalla giurisprudenza ridimensionava notevolmente il rilievo del giudizio dinanzi alla Camera, che si riduceva sostanzialmente in un onere che le parti dovevano sostenere prima di adire il giudice amministrativo (e che secondo alcuni poteva addirittura essere evitato nei casi di particolare urgenza). (18) Pertanto, se l’obiettivo di creare un organo giustiziale indipendente e imparziale per le controversie sportive poteva ritenersi raggiunto, altrettanto non poteva dirsi di quello di assicurare una maggiore autonomia all’ordinamento sportivo e ai suoi organi di giustizia, anch’esso perseguito dai promotori della riforma. La riforma del 2008: l’Alta Corte e il Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport Per rendere più chiara la natura arbitrale di diversi procedimenti e così salvaguardare maggiormente l’autonomia dell’ordinamento sportivo, nel 2008 si è proceduto a una modifica delle norme dello Statuto del Coni in materia di giustizia sportiva. Pur senza rinnegare il modello del Tas-Cas, la Camera di conciliazione e arbitrato è stata soppressa e sostituita da due organi distinti, il Tnas e l’Alta Pluralità degli ordinamenti e tutela giurisdizionale, Torino 2007, 287 e ss.; R. Morzenti Pellegrini, L’evoluzione dei rapporti tra fenomeno sportivo e ordinamento statale, Milano, 2007, 341; G. Guarino, Lo sport quale «formazione sociale» di carattere sovranazionale, in Scritti in memoria di Aldo Piras, Milano, 1996, 356 e ss.. (16) Essa è stata in parte accolta da Tar Lazio (Roma), sentt. n. 2571 e n. 4284 del 2005, le quali avevano comunque precisato che se i lodi della Camera erano censurabili solo per nullità presso la Corte d’appello, il provvedimento originario del Coni o della Federazione era impugnabile davanti al giudice amministrativo, una volta esauriti i rimedi interni all’ordinamento sportivo. (17) Cons. Stato, sentt. n. 5025 del 2004 e n. 527 del 2006; Tar Lazio (Roma), sentt. n. 2341 del 2013, n. 13266 del 2010, n. 5492 del 2008, n. 5645 del 2007. (18) E. Lubrano, I rapporti tra ordinamento sportivo ed ordinamento statale nella loro attuale configurazione, in L. Cantamessa, G.M. Riccio, G. Sciancalepore, Lineamenti di diritto sportivo, Milano 2008, 71 e ss.. 649 Opinioni Giurisdizione e competenza Corte di giustizia sportiva, istituiti «in piena e autonomia e indipendenza» presso il Coni. (19) Il giudizio davanti al Tnas era chiaramente pensato come un vero e proprio arbitrato: le dispute venivano decise da un arbitro unico o da un collegio arbitrale di tre membri scelti dalle parti all’interno di una lista di esperti selezionati dall’Alta Corte; l’organo aveva competenza solo sulle controversie «aventi ad oggetto diritti disponibili» che contrapponevano una Federazione a soggetti affiliati o che gli erano state devolute mediante clausola compromissoria; le decisioni erano qualificate dallo Statuto come «lodi arbitrali» impugnabili solo mediante il ricorso per nullità «ai sensi dell’art. 828 del codice di procedura civile». (20) L’Alta Corte invece decideva su «tutte le controversie per le quali non è possibile l’arbitrato», (21) vale a dire quelle che avevano a oggetto interessi legittimi o diritti soggettivi indisponibili, oltre a quelle dispute in cui erano coinvolte posizioni rilevanti solo per l’ordinamento sportivo, e lo Statuto non prevedeva esplicitamente alcun mezzo di gravame avverso le sue decisioni (ragion per cui si riteneva comunque esperibile il ricorso al giudice amministrativo nel caso in cui fossero coinvolti diritti soggettivi o interessi legittimi, secondo quanto previsto in via generale dall’art. 3 del d.l. n. 230 del 2003). L’Alta Corte era composta da cinque giuristi di chiara fama, nominati dal Consiglio nazionale a maggioranza qualificata tra magistrati delle giurisdizioni superiori, professori universitari di prima fascia, avvocati dello Stato con almeno quindici anni di anzianità. Per rafforzare ulteriormente la terzietà degli organi di giustizia sportiva, la riforma del 2008 aveva inoltre istituito una Commissione di garanzia con il compito d’indicare alla Giunta nazionale i nominativi da proporre al Consiglio nazionale per la nomina dei membri dell’Alta Corte. All’Alta Corte e al Tnas si affiancava il Tribunale Nazionale Antidoping competente a decidere sulle violazioni delle norme antidoping del Coni e di quelle del Codice Wada, sul quale la riforma del dicembre 2013 non ha inciso. Tra gli scopi del sistema congegnato nel 2008 vi era quello di salvaguardare l’autonomia degli organi di giustizia sportiva riducendo la possibilità del giudice statale di pronunciarsi sul merito della questione e a questo fine le controversie aventi a oggetto diritti soggettivi disponibili erano state affidate a un Tribunale qualificato come arbitrale: l’espressa previsione secondo cui i «lodi» sarebbero stati impugnabili solo davanti alla Corte d’appello per nullità (22) evitava che il processo davanti al giudice ordinario fosse una riedizione del procedimento contenzioso svolto davanti al giudice sportivo, in quanto il primo avrebbe svolto un controllo meramente «esterno» sulla decisione del secondo. Nell’unico caso che sia stato portato all’attenzione di un giudice statale, l’impostazione e lo spirito della riforma sono stati ben compresi: il TAR del Lazio ha ritenuto che il procedimento che si svolge davanti al Tnas fosse un vero e proprio arbitrato che si conclude con un lodo rituale, argomentando sulla base della limitazione della sua competenza alle controversie aventi a oggetto diritti disponibili e soprattutto dell’espressa indicazione della Corte d’appello quale giudice dell’impugnazione. (23) Una pronuncia che destava qualche perplessità soprattutto in chi riteneva che fosse stato trascurato l’altro argomento usato per escludere la natura genuinamente arbitrale del giudizio davanti alla Camera, vale a dire la natura sostanzialmente obbligatoria della sua competenza (24) e sosteneva quindi che il ricorso al Tnas fosse solo un onere da esperire prima di adire il Tar del Lazio (25) - ma che indubbiamente rafforzava il tentativo di salvaguardare l’autonomia del giudice sportivo, almeno per una parte delle controversie. Nonostante questo, gli organi di governo del Coni hanno ritenuto che il sistema fosse migliorabile e hanno optato per una complessiva riforma. (19) Art. 12 dello Statuto del Coni vigente dal 2008. (20) Art. 12-ter dello Statuto del Coni vigente dal 2008. (21) Art. 12-bis dello Statuto del Coni vigente dal 2008. (22) Sulla competenza della Corte d’appello a giudicare della validità dei lodi arbitrali anche in materie (come le controversie aventi a oggetto atti del Coni e delle Federazioni) attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si v., tra le tante, Cass. civ., sez. un., ordd. n. 6812 del 2007, n. 15204 del 2006, n. 14545 del 2005; Cons. Stato, sentt. n. 2641 del 2013, n. 6812 del 2007. (23) Tar Lazio (Roma), sent. n. 6258 del 2013. In tal senso, in letteratura, si v. L. Ferrara, voce Giustizia sportiva, 515; V. Vigoriti, La giustizia sportiva nel sistema CONI, in Riv. arb., 2009, 403 e ss.; G. Ludovici, Le posizioni, 133 e ss.; T.E. Frosini, L’arbitrato sportivo: teoria e prassi, in Rivista AIC, disponibile sul sito www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2010, 19 e ss.. (24) Sia consentito rinviare ad A.E. Basilico, La natura del giudizio dinanzi al TNAS. Considerazioni critiche e problemi aperti, in questa Rivista, 2014, 2, 161 e ss.. (25) E. Lubrano, Il Tribunale nazionale arbitrale per lo sport, in RDES, 2010, 77 e ss.. 650 Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Opinioni Giurisdizione e competenza Gli obiettivi perseguiti dalla riforma re di vigilanza e di coordinamento attribuito ex lege al Coni nei confronti delle Federazioni medesime». (28) Da qui l’idea di superare il modello dualistico precedente istituendo un unico Collegio di garanzia dello sport con funzioni di «Corte di cassazione dello sport». (29) È stato quindi riscritto l’art. 12 dello Statuto che ora prevede che «sono istituti presso il Coni, in piena autonomia e indipendenza, il Collegio di garanzia dello sport e la Procura generale dello sport». Secondo il Presidente del Comitato, Giovanni Malagò, nel modello vigente fino al 2013 vi era un «terzo grado di giudizio che entrava nel merito delle controversie, riaprendo di fatto i processi» e questo, oltre a ottenere una duplicazione del procedimento (che diveniva una triplicazione laddove veniva poi presentato ricorso al giudice statale), «non poteva più essere lo schema di riferimento». (26) Da un lato, infatti, aveva dato luogo a un numero eccessivo di procedimenti pendenti (oltre sedicimila negli ultimi tre anni, di cui ben diecimila nei confronti della sola Figc), dall’altro l’applicazione del principio fondamentale secondo cui il giudice non può pronunciare oltre i limiti della domanda implicava che l’Alta Corte potesse limitarsi a ridurre o confermare le sanzioni disciplinare inflitte, senza mai aumentarle, con l’effetto di ridurre l’efficacia deterrente del sistema sanzionatorio nel suo complesso. Inoltre, nonostante la citata pronuncia del Tar del Lazio, anche l’obiettivo «di evitare ricorsi alla giustizia ordinaria», che aveva ispirato la distinzione tra l’Alta Corte e il Tnas, aveva mostrato delle pecche, per esempio nel recente caso di Antonella Dallari, divenuta Presidente della Fise a seguito di operazioni elettorali giudicate irregolari dall’Alta Corte con decisione che successivamente era stata annullata dal Tar del Lazio. (27) Senza contare che lo stesso riparto di competenze tra i due organi non era sempre intellegibile, soprattutto per le controversie «amministrative», derivanti dai ricorsi proposti da individui o società avverso misure adottate dalle istituzioni di governo del mondo dello sport, dipendendo dalla qualificazione - come diritto disponibile, diritto indisponibile, situazione rilevante solo per l’ordinamento sportivo, interesse legittimo - della posizione giuridica di cui si domandava tutela. La nuova disciplina mira a preservare l’autonomia delle Federazioni nell’amministrazione della giustizia sportiva, a garantire il rispetto del principio di legalità nell’ordinamento sportivo e, nel contempo, a «responsabilizzare il più possibile gli organi di giustizia federale, ribadendo ed affermando il pote- Il Collegio - oltre a svolgere funzioni consultive per il Coni e per le Federazioni - è competente a decidere sulle impugnazioni di tutte le decisioni non altrimenti impugnabili emesse dagli organi di giustizia sportiva federale, a eccezione di quelle in materia di doping (che rimangono affidate al Tribunale nazionale antidoping, contro le cui decisioni si può ricorrere al Tas-Cas) (30) e di quelle che hanno comportato l’irrogazione di sanzioni tecnico-sportive di durata inferiore a 90 giorni o pecuniarie fino a 10.000 euro. Il gravame può essere esperito esclusivamente «per violazione di norme di diritto, nonché per omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia che abbia formato oggetto di disputa tra le parti», in analogia con il ricorso per cassazione nell’ordinamento statale. L’organo però non ha solamente poteri rescindenti ma quando riforma la decisione impugnata può decidere in tutto o in arte la controversia oppure rinviare all’organo di giustizia federale competente indicando il principio di diritto che questo, in diversa composizione, dovrà applicare pronunciandosi definitivamente entro sessanta giorni. Dal punto di vista dell’organizzazione, il Collegio di garanzia dello sport è costituito in sezioni, le cui competenze saranno definite con un successivo regolamento, anche se s’ipotizzano già quattro sezioni, rispettivamente per le controversie disciplinari, tecniche, amministrative ed economiche, in armonia con la «classificazione» delle dispute sportive operata dal decreto legge n. 220 del 2003 (31) e (26) Si v. il verbale del Consiglio nazionale del 19 dicembre 2013 pubblicato sul sito www.coni.it. (27) Ivi. (28) Così il Documento allegato alla riforma approvata (pubblicato sul sito www.coni.it), il quale si riferisce ai compiti di disciplinare e coordinare l’attività sportiva nazionale «armonizzando a tal fine l’azione delle federazioni sportive nazionali» assegnati al Coni dall’art. 5, primo comma, del d.lgs. n. 242 del 1999. (29) Ivi. (30) Art. 38 delle Norme sportive antidoping adottate dal Coni. (31) Il decreto legge n. 220 del 2003, convertito con modificazioni dalla legge n. 280 del 2003, nel definire il riparto di giu- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Il Collegio di garanzia dello sport 651 Opinioni Giurisdizione e competenza con il sistema elaborato dalla scienza giuridica. (32) L’organo è composto da un Presidente, (33) da Presidenti di sezione e da Consiglieri, i quali durano in carica quattro anni e sono rinnovabili per due soli mandati consecutivi. Essi sono eletti dal Consiglio nazionale del Coni (34) su proposta della Giunta (35) (la quale a sua volta sceglie tra un insieme di nominativi presentato da una Commissione di tutela, che sostituisce la previgente Commissione di garanzia) (36) e sono scelti tra professori ordinari in materie giuridiche, avvocati cassazionisti, magistrati, avvocati dello Stato che vantino una particolare esperienza nel diritto sportivo. Anche se la riforma dovrà essere completata mediante la definizione del regolamento di procedura dell’organo, dal quale dipenderà l’effettivo rispetto del contraddittorio tra le parti e del diritto di difesa, si può osservare sin d’ora come rispetto al passato venga attribuito un maggior potere alle Federazioni, i cui organi di giustizia divengono gli unici competenti a decidere il merito delle controversie. Per questo, nel complesso, la terzietà e imparzialità degli organi giudicanti appare minore rispetto a quando avviene nel modello arbitrale, in cui com’è noto i componenti del collegio sono scelti sulla base dell’accordo tra le parti. Il riferimento non è tanto al Collegio di garanzia dello sport (nella cui nomina svolge un ruolo di garanzia la Commissione di tutela), quanto appunto alle Corti federali, i cui componenti sono nominati dagli stessi organi di governo delle Federazioni, nei quali i rappresentanti degli atleti e dei tecnici sono spesso in minoranza. (37) Le varie commissioni di garanzia istituite a tutela dell’indipendenza degli organi di giustizia federali, pur essendo titolari di potestà disciplinari nei confronti dei giudici sportivi, sono generalmente prive di potere decisionale nel procedimento di nomina. (38) Il problema tuttavia è relativo sia se s’inquadra la giustizia sportiva in un’ottica endoassociativa, non potendo essere richiesta un’effettiva terzietà a organi interni all’associazione stessa, (39) sia se la si considera espressione di attività amministrativa giustiziale, alla quale non si applicano integralmente i principi di terzietà e indipendenza previsti dall’art. 111 Cost. e dall’art. 6 Cedu, in quanto sia comunque garantito l’accesso a un giudice. (40) risdizione per le controversie sportive, ha individuato quattro diversi tipi di controversie: quelle c.d. “tecniche” (relative a «l’osservanza e l’applicazione delle norme […] al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive»), quelle inerenti l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive, quelle sui rapporti patrimoniali e, infine, «ogni altra controversia avente ad oggetto atti» del CONI e delle Federazioni (le c.d. dispute “amministrative”). (32) F.P. Luiso, La giustizia sportiva, 36 e ss.; M. Coccia, Fenomenologia, 614 e ss.; L. Ferrara, voce Giustizia sportiva, 506 e ss.. (33) Come Presidente è già stato designato Franco Frattini, consigliere di Stato e deputato, già Ministro degli affari esteri. (34) Il quale a sua volta è composto dal Presidente del Coni, dai Presidenti delle Federazioni sportive nazionali, dai membri italiani del Cio, da rappresentanti degli atleti e dei tecnici sportivi, dei Presidenti delle strutture territoriali di livello regionale e provinciale del Coni, degli Enti di promozione sportiva, delle Discipline sportive associate, delle Associazioni benemerite riconosciute dal Coni (art. 4, primo comma, d.lgs. n. 242 del 1999). (35) La quale è invece composta dal Presidente del Coni, dai membri italiani del Cio, da rappresentanti delle Federazioni e delle Discipline sportive associate, degli Enti di promozione sportiva e delle strutture territoriali del Coni. (36) Art. 13-ter dello Statuto del Coni. La Commissione di tutela, così come la precedente Commissione di garanzia disciplinata dal medesimo articolo, opera al fine di rafforzare i caratteri di terzietà, autonomia e indipendenza degli organi di giustizia del Coni. La Commissione è composta da tre membri eletti con maggioranza qualificata dal Consiglio nazionale, su proposta della Giunta nazionale, tra magistrati delle giurisdizioni superiori, professori universitari di prima fascia, avvocati dello Stato con almeno quindici anni di anzianità. Come primi componenti sono stati scelti Annibale Marini, già Presidente della Corte costituzionale, Luigi Fumagalli e Carlo Deodato. (37) Si vedano per esempio gli organi di giustizia della Figc, che sono nominati dal Consiglio federale, composto in maggioranza (13 su 19) da esponenti delle Leghe dilettanti e professionistiche, cui si aggiungono quattro atleti e due tecnici (art. 27 dello Statuto); oppure quelli della Fidal, che sono nominati sempre dal Consiglio federale, in cui atleti e tecnici sono solo 3 su 10 (art. 26 dello Statuto). In termini opposti si era espresso, con riferimento all’Alta Corte di giustizia sportiva e al Tnas, F.P. Luiso, Il Tribunale nazionale di arbitrato dello sport. Il punto di vista del processualista, in Riv. arb., 2010, 3 e ss.. Secondo l’A. la presenza di tutte le componenti del mondo dello sport nel Consiglio nazionale assicurava la «neutralità» degli organi di giustizia nominati da questo. (38) Si veda per esempio la commissione di garanzia della Figc, che si limita a verificare che i candidati alla carica di giudice sportivo siano in possesso dei requisiti necessari, oltre ad adottare i provvedimenti disciplinari nei confronti degli organi di giustizia sportiva (inclusa la destituzione per violazione dei doveri di terzietà e riservatezza, reiterata assenza ingiustificata, grave negligenza, gravi ragioni di opportunità) e svolgere compiti consultivi per il Consiglio federale (art. 34 dello Statuto). (39) L. Ferrara, Le controversie nello sport tra situazioni giuridiche soggettive e principi del diritto processuale, in R. Lombardi (a cura di), Ordinamento sportivo, 81. (40) Sul punto si v. Cass., sent. n. 8889 del 2001 e Cons. Stato, sent. n. 1397 del 2006 le quali, con riferimento rispettivamente al Garante dei dati personali e all’Autorità garante della concorrenza, hanno ritenuto che i principi costituzionali sul giusto processo giurisdizionale non riguardano i procedimenti amministrativi contenziosi. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, dal canto suo, è costante nell’affermare che l’art. 6 Cedu non preclude ad autorità amministrative d’infliggere sanzioni, purché l’interessato abbia comunque la possibilità di ricorrere a un giudice terzo e imparziale (tra le tante si v. la sent. 27 settembre 2011, Menarini Diagnostics s.r.l. c. Italia, relativa alle sanzioni inflitte dall’Autorità antitrust, 652 Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Opinioni Giurisdizione e competenza Se la riforma che ha riguardato gli organi giudicanti del Coni è stata accolta con generale favore (fatta salva la «preoccupazione» espressa dal Presidente della Figc), (43) molto più contrastata è stata la nascita della Procura generale dello sport, istituita con il fine - in controtendenza rispetto a quanto fatto con la creazione del Collegio di garanzia - di consentire al Coni d’intervenire anche nel corso dell’indagine svolta dalle procure federali, in modo da evitare - anche attraverso un potere di avocazione - che vi siano omissioni istruttorie tali da pregiudicare l’esercizio dell’azione disciplinare o nei casi in cui l’intenzione di procedere all’archiviazione sia ritenuta irragionevole. (44) Il nuovo organo inquirente è composto dal Procuratore generale (45) e dai Procuratori nazionali dello sport. Il primo è eletto dal Consiglio nazionale su proposta della Giunta tra professori ordinari in materie giuridiche, avvocati cassazionisti, magistrati, avvocati dello Stati, alti ufficiali delle forze di polizia. I secondi sono nominati dal Presidente del Coni su proposta dello stesso Procuratore generale dello sport, in numero non superiore a trenta, tra pro- fessori e ricercatori in materie giuridiche, avvocati e dottori commercialisti con almeno cinque anni d’iscrizione all’ordine o tre anni di servizio nell’ambito degli organi di giustizia sportiva, magistrati, avvocati dello Stato, funzionari delle forze di polizia. La Procura generale si pone in rapporto gerarchico con le procure federali: le seconde devono assicurare un “costante flusso d’informazioni” alla prima, (46) la quale a sua volta, su segnalazione di singoli tesserati, può invitare le seconde ad avviare un’indagine su uno o più fatti specifici. Strumento prezioso - ma anche invasivo rispetto all’autonomia delle Federazioni - è il potere di avocazione attribuito alla Procura generale, che può esercitarlo in caso di superamento dei termini per la conclusione delle indagini (oppure di richiesta di proroga degli stessi), qualora emergano omissioni tali da pregiudicare l’azione disciplinare e infine quando l’archiviazione sia ritenuta irragionevole. Nei casi in cui viene esercitato questo potere, il Procuratore generale applica alla procura federale uno dei procuratori nazionali per l’esercizio della relativa attività inquirente e requirente, anche in sede dibattimentale, finché i gradi di giustizia sportiva relativi a quel caso non siano stati tutti esperiti. Come anticipato, l’istituzione della Procura ha sollevato delle aspre critiche in una minoranza significativa: le perplessità consistono nel fatto che la Procura generale determinerebbe «una sorta di coinvolgimento sull’iter istruttorio prima ancora del deferimento, che espone l’ente di indirizzo e di vigilanza sul versante della fase istruttoria. Ciò non risponde ad una logica di terzietà e rischia di creare confusione» (47) e che comporterebbe un intervento sull’autonomia delle Federazioni, i cui procuratori «diventeranno dei sostituti». (48) Sarebbe tuttavia un errore non inquadrare la Procura generale nel più ampio ambito della riforma, nel quale come si è visto il giudizio sul merito delle e la sent. 4 marzo 2014, Grande Stevens e a. c. Italia, inerente i provvedimenti della Consob; sull’applicabilità delle norme convenzionali sull’equo processo al procedimento amministrativo si v., tra i tanti, M. Pacini, Diritti umani e amministrazioni pubbliche, Milano 2012, 99 e ss.. (41) Art. 3 d.l. n. 230 del 2003, nonché art. 133, primo comma, lett. z), c.p.a.. Tali questioni sono inoltre attribuite alla competenza funzionale del Tar di Roma (art. 134, primo comma, lett. g), c.p.a.) e a esse si applica il rito abbreviato disciplinato dall’art. 119 c.p.a. (così come disposto dallo stesso art. 119, primo comma, lett. g), c.p.a.). (42) Corte cost., sent. n. 49 del 2011. (43) Si v. il Comunicato del 19 dicembre 2013 pubblicato sul sito www.figc.it. (44) Così il Documento allegato alla riforma approvata (pubblicato sul sito www.coni.it). (45) Come primo Procuratore Generale è stato designato Enrico Cataldi, Generale di brigata dei Carabinieri. (46) Così il Documento allegato alla riforma approvata (pubblicato sul sito www.coni.it). (47) Così il Presidente della Figc Abete nel Comunicato del 19 dicembre 2013 pubblicato sul sito www.figc.it. (48) Così il Presidente della Fip Petrucci nel Comunicato del 19 dicembre 2013 pubblicato sul sito www.figc.it. Anche sotto questo profilo è significativo l’abbandono del modello arbitrale, il quale dovrebbe eliminare ogni dubbio circa la possibilità di ricorrere al giudice amministrativo avverso gli atti degli organi di giustizia sportiva in «ogni altra controversia» diversa da quelle «tecniche», riservate a tali organi, e da quelle inerenti i rapporti patrimoniali tra società, associazioni e atleti, di competenza dal giudice ordinario. (41) Un problema di garanzia dei diritti dei tesserati rimane soltanto rispetto alle sanzioni disciplinari, sulle quali la giurisdizione del giudice statale è limitata alla tutela risarcitoria, come stabilito dal legislatore con una previsione giudicata non irragionevole dalla Corte costituzionale. (42) La Procura generale dello sport Giornale di diritto amministrativo 6/2014 653 Opinioni Giurisdizione e competenza controversie (anche) disciplinari è rimesso esclusivamente agli organi di giustizia federali. In quest’ottica, per quanto le funzioni del nuovo organo inquirente potrebbero limitare l’autonomia delle Federazioni, ciò viene appunto compensato mediante un maggior rilievo dei loro organi di giustizia, le cui decisioni possono essere «cassate» solo per violazione di legge dal Collegio di garanzia dello sport. Sotto un altro profilo, i poteri d’intervento riconosciuti alla Procura generale - i cui componenti sono nominati all’interno di un elenco di nominativi predisposto dalla Commissione di tutela - potrebbe assicurare migliori garanzie per i tesserati sottoposti a procedimento disciplinare sin dalla fase istruttoria, oltre ad assicurare, sul piano pratico, una maggior completezza dell’indagine e quindi, auspicabilmente, una riduzione dei ricorsi, raggiungendo così uno degli obiettivi della riforma. Un’accentuazione dei caratteri pubblicistici del sistema Nell’introdurre la riforma si è sottolineato il nesso tra autonomia dell’ordinamento sportivo, da un lato, e capacità dei suoi organi di risolvere le controversie che sorgono dallo svolgimento dell’attività sportiva, dall’altro. Per meglio apprezzare la riforma dello Statuto del CONI, può essere utile volgere un rapido sguardo su come questo legame si declini diversamente nei vari Paesi. Se vi sono ordinamenti in cui non c’è una legislazione organica sullo sport e la regolazione dello materia è rimessa all’autonomia privata (nei limiti stabiliti in via generale dal diritto civile), come negli Stati Uniti, nel Regno Unito o in Germania, in altri, come per esempio in Fran(49) Oltralpe il Code du sport afferma che la promozione e lo sviluppo delle attività sportive «sont d’intéręt général» e dichiara, con una buona dose di contraddittorietà, che le Federazioni esercitano la loro attività «en toute in dépendance» ma prevede comunque un controllo del Ministro dello sport (per quanto questo si sia rivelato in concreto molto rispettoso della loro autonomia). Sul tema si v. anche F. Latty, La lex sportiva. Recherche sur le droit transnational, Leiden-Boston, 2007. (50) In Spagna è la stessa Costituzione ad assegnare ai pubblici poteri il compito di promuovere lo sport. La legge affida poi a un organo pubblico, il Consejo superior de deportes, «la actuaciòn de la Administraciòn del Estado en el ámbito del deporte». (51) Un’efficace sintesi dei rapporti tra ordinamenti statali e ordinamenti sportivi nazionali è offerta dallo studio a cura di P. Passaglia, La risoluzione delle controversie sportive e la giustizi abilità dei relativi provvedimenti di fronte alla giurisdizione comune, disponibile sul sito www.cortecostituzionale.it. (52) È il caso, per esempio, degli Stati Uniti, nei quali le controversie derivanti dall’esercizio dello sport professionistico sono devolute a organi interni alle varie Leagues oppure al giu- 654 cia (49) o in Spagna, (50) il legislatore non ha rinunciato a dettare una disciplina, per quanto generale, sull’organizzazione e l’attività dei soggetti dell’ordinamento sportivo, ritenendo sussistente un interesse pubblico. (51) Dal diverso approccio discendono spesso anche differenti modalità di risoluzione delle controversie sportive: negli ordinamenti del primo tipo esse sono risolte da organi istituiti e regolati dalle Federazioni o mediante arbitrato rituale ed eventualmente con l’intervento del giudice civile, (52) mentre nel secondo caso lo Stato pone quantomeno i principi processuali che gli organi di giustizia sportiva devono seguire e prevede il ricorso al giudice amministrativo contro le loro decisioni. (53) Nella consapevolezza che il diritto dello sport «non sembra più trovare una esauriente spiegazione tramite l’esclusivo ricorso a istituti e principi di diritto privati, ma presenta ormai una natura mista», (54) si può osservare che a modelli in cui ancora prevalgono gli elementi «privatistici» se ne accostano altri in cui vi è una maggior presenza dei caratteri «pubblicistici». La riforma dello Statuto del Coni sembrerebbe avvicinare il sistema italiano di giustizia sportiva verso i secondi, rafforzando il controllo di un soggetto comunque pubblico (per quanto del tutto peculiare) come il Coni (55) nella fase istruttoria del procedimento disciplinare e rendendo più agevole, con l’abbandono del modello arbitrale, l’accesso alla giurisdizione amministrativa (naturalmente dopo il previo esperimento dei rimedi interni all’ordinamento sportivo). (56) Si tratta di una scelta coerente con un ordinamento statuale che, sin dalla Carta costituzionale, ricodice civile, e le controversie relative al Comitato olimpico sono risolte dall’American Arbitration Association. (53) In Francia, per esempio, il rilascio dell’«agrément ministériel» è subordinato all’adozione del un regolamento disciplinare allegato al Code du sport; in Spagna le controversie sono risolte a livello federale mediante sistemi di conciliazioni e arbitrato e contro le loro decisioni è possibile proporre appello prima al Comitato spagnolo disciplina sportiva (collegato al Consejo Superior) e poi al giudice amministrativo. (54) L. Casini, Il Tribunale arbitrale dello sport, 625 e ss.. (55) Com’è noto il Coni ha personalità giuridica di diritto pubblico ed è posto sotto la vigilanza del Ministero per i beni e le attività culturali (art. 1 del d.lgs. n. 242 del 1999). Inoltre l’art. 1 d.lgs. n. 165 del 2001 lo ricomprende tra le amministrazioni cui si applica il T.U. del pubblico impiego «fino alla revisione organica della disciplina di settore». (56) Sulla c.d. pregiudiziale sportiva, prevista dall’art. 2, co. 2, del d.l. n. 220 del 2003 si v., tra le tante, Cons. Stato, sent. n. 3002 del 2013 e n. 302 del 2012; Tar Lazio (Roma), sent. n. 4604 del 2006. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Opinioni Giurisdizione e competenza nosce allo sport un interesse pubblico, (57) e nel quale le stesse Federazioni, pur avendo «natura di associazione con personalità giuridica di diritto pri- vato», svolgono attività aventi «valenza pubblicistica». (58) (57) L’art. 117, c. 3, Cost. conferisce uno specifico rilievo all’«ordinamento sportivo», distinguendolo rispetto all’«ordinamento civile» e inserendolo tra le materie di legislazione concorrente. (58) Art. 15, primo comma, d.lgs. n. 242 del 1999. Sulla duplice natura delle Federazioni si v. Cass. civ., sez. un., sent. n. 13619 del 2012; Cons. Stato, sent. n. 5025 del 2004; Tar Cala- bria (Catanzaro), sent. n. 984 del 2006. In letteratura si v. A.G. Onofrio, Sul preteso rilievo pubblicistico degli atti di nomina dei giudici sportivi, in Giur. it., 2013, 8 e ss.; L. Casini, Il diritto globale dello sport, Milano 2010, 67 e ss.; A.R. Tassone, Pluralità degli ordinamenti giuridici e tutela giurisdizionale, in R. Lombardi (a cura di), Ordinamento sportivo, 65 e ss.; E. Lubrano, I rapporti, 3 e ss.. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 655 Opinioni Ambiente Inquinamento I principi europei di precauzione, prevenzione e “chi inquina paga” di Massimo Nunziata L’ambiente si conferma uno dei settori di maggiore incidenza del diritto europeo sul diritto nazionale.In tale contesto, nell’ottica di una tutela progressiva dei beni ambientali, prosegue l’evoluzione interpretativa in relazione ai principi del “chi inquina paga”, precauzione, prevenzione e correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente. Indicazioni fondamentali potranno arrivare dalla Corte di Giustizia che, come noto, è chiamata a pronunciarsi sulla recente rimessione operata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con l’ordinanza 25 settembre 2013, n. 21, sulla controversa estensione degli obblighi di riparazione al proprietario non responsabile dell’inquinamento. La centralità della questione controversa oggetto della pronuncia Con tre distinti ricorsi in appello, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ha impugnato altrettante sentenze con cui il Tar per la Toscana aveva accolto i ricorsi proposti da alcune società - acquirenti di diverse aree incluse nel sito di interesse nazionale di Massa Carrara, in quanto interessate da gravi fenomeni di contaminazione - e, per l’effetto, aveva annullato i provvedimenti con cui i soggetti pubblici competenti avevano loro ordinato, in qualità di proprietari dei fondi, di avviare specifiche misure di messa in sicurezza di emergenza, nonché di presentare la variante del progetto di bonifica dell’area. Nell’esaminare la fattispecie, la Sesta Sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza 21 maggio 2013, n. 2740, aveva rimesso all’Adunanza Plenaria la questione di diritto se, in base al principio di matrice europea compendiato nella formula “chi inquina paga”, l’Amministrazione nazionale possa imporre al proprietario di un’area inquinata, che non sia anche l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di porre in essere le misure di messa in sicurezza di emergenza di cui all’art. 240, c. 1, lettera m), decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (sia pure in solido con il responsabile e salvo il diritto di rivalsa nei confronti del responsabile per gli oneri sostenuti), ovvero se - in alternativa - in siffatte ipotesi gli effetti a carico del proprie- 656 tario “incolpevole” restino limitati a quanto espressamente previsto dall’articolo 253 del medesimo decreto legislativo in tema di oneri reali e privilegi speciali. Con l’ordinanza 25 settembre 2013, n. 21, l’Adunanza Plenaria ha sciolto il dubbio interpretativo sottoposto optando per la soluzione negativa, nel senso che - alla luce del quadro normativo nazionale - l’Amministrazione non possa imporre al proprietario di un’area inquinata, che non sia anche l’autore della contaminazione, l’obbligo di porre in essere le misure di messa in sicurezza di emergenza e di bonifica, di cui all’art. 240, c. 1, lettere m) e p), d.lgs. n. 152/2006, in quanto gli effetti a carico del proprietario “incolpevole” restano limitati a quanto espressamente previsto dall’art. 253 del medesimo decreto in tema di onere reale e privilegio speciale immobiliare. Ciò anche sulla base della circostanza che le disposizioni contenute nel Titolo V della Parte IV, d.lgs. n. 152/2006 (articoli da 239 a 253) distinguono nettamente la figura del responsabile dell’inquinamento da quella del proprietario del sito che non abbia causato o concorso a causare la contaminazione. Tuttavia, dopo aver ricostruito in questi termini il quadro normativo nazionale, l’Adunanza Plenaria ha dubitato della compatibilità di tale soluzione con il diritto dell’Unione Europea e, in particolare, con i principi “chi inquina paga”, di precauzione, dell’azione preventiva e di correzione, in via priori- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Opinioni Ambiente taria alla fonte, dei danni causati all’ambiente (1). Pertanto, è stata rimessa all’esame della Corte di giustizia la questione se i principi europei in materia ambientale sanciti dall’art. 191, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea e dalla direttiva 2004/35/Ce del 21 aprile 2004 (articoli 1 e 8, n. 3; tredicesimo e ventiquattresimo considerando) ostino ad una normativa nazionale, quale quella delineata dagli articoli 244, 245, 253, d.lgs. n. 152/2006 che, in caso di accertata contaminazione di un sito e di impossibilità di individuare il soggetto responsabile o di impossibilità di ottenere da quest’ultimo gli interventi di riparazione, non consenta all’autorità amministrativa di imporre l’esecuzione delle misure di sicurezza d’emergenza e di bonifica al proprietario non responsabile dell’inquinamento, prevedendo, a carico di quest’ultimo, soltanto una responsabilità patrimoniale limitata al valore del sito dopo l’esecuzione degli interventi di bonifica da parte dell’amministrazione (2). La fondamentale importanza di tale questione di diritto è confermata anche dal fatto che, dopo aver esplicitato le ragioni della rilevanza della domanda di interpretazione pregiudiziale ai fini della definizione del giudizio, l’Adunanza Plenaria ha ribadito l’interesse alla pronuncia della Corte di giustizia al fine di poter enunciare il principio di diritto ai sensi dell’art. 99, c. 5, c.p.a., anche a prescindere dall’incidenza della questione sul caso concreto (3). In altri termini, la rilevanza della questione giuridica oggetto di interpretazione pregiudiziale è stata supportata, oltre che dalla idoneità a condizionare l’esito del giudizio a quo, anche dai penetranti poteri di cui è investita l’Adunanza Plenaria a seguito della recente codificazione della disciplina del processo amministrativo (4). Sotto questo profilo, dunque, la decisione della Corte di Giustizia è destinata ad avere un importante impatto, non solo in ordine alla questione sostanziale oggetto del rinvio pregiudiziale, relativa alla problematica individuazione delle tecniche di tutela dei beni ambientali (5), ma anche in relazione a siffatti risvolti processuali (6). (1) Tutti questi principi sono ormai parte anche del tessuto normativo nazionale, essendo stati espressamente inseriti all’art. 3 ter, d.lgs. n. 152/2006, secondo cui «la tutela dell'ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell'azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché al principio “chi inquina paga” che, ai sensi dell'articolo 174, comma 2, del Trattato delle unioni europee, regolano la politica della comunità in materia ambientale». Sul dibattito in ordine alla effettiva utilità di richiamare espressamente i principi europei nel testo legislativo nazionale, oltre alla posizione consultiva del Consiglio di Stato espressa nel parere Ad. 5 novembre 2007, n. 3838, si vedano fra gli altri, U. Salanitro, I principi generali nel codice dell'ambiente, in questa Rivista, 2009, 103 ss.; M. Meli, Il principio “chi inquina paga” nel codice dell’ambiente, in Il danno ambientale tra prevenzione e riparazione, a cura di I. Nicotra e U. Salanitro, Torino, 2010, 74 ss. Sul recepimento nell’ordinamento interno dei principi europei in materia ambientale, G. Acquarone, L’accertamento del danno ambientale, in Trattato di diritto dell'ambiente, Tomo II. I procedimenti amministrativi per la tutela dell'ambiente, a cura di A. Crosetti, R. Ferrara, C.E. Gallo, S. Grassi, M.A. Sandulli, Milano, 2014, 387 ss.; F. Fracchia, Principi di diritto ambientale e sviluppo sostenibile, in Trattato di diritto dell’ambiente. Vol. I. Principi generali, a cura di E. Picozza, P. Dell’Anno, Padova, 2012, 559 ss. Più in generale, sulla centrale rilevanza dei principi nel diritto amministrativo, M. D’Alberti, Diritto amministrativo e principi generali, in Le nuove mete del diritto amministrativo, a cura dello stesso A., Bologna, 67 ss., in cui si affronta anche il complesso rapporto tra i principi settoriali, quali quelli specifici in materia ambientale, i principi generali del diritto amministrativo e quelli generali del diritto comune. Sul rapporto tra la materia ambientale e le nozioni tradizionali del diritto amministrativo, si vedano i contributi di C.E. Gallo, L’ambiente e le situazioni giuridiche soggettive, in Trattato di diritto dell'ambiente, Tomo I. Le politiche ambientali, lo sviluppo sostenibile e il danno, a cura di A. Crosetti, R. Ferrara, C.E. Gallo, S. Grassi, M.A. Sandulli, Milano, 2014, 399 ss., e di D. Sorace, Tutela dell’ambiente e principi generali sul procedimento amministrativo, in Trattato di diritto dell'ambiente, Tomo II, a cura di A. Crosetti, R. Ferrara, C.E. Gallo, S. Grassi, M.A. Sandulli, cit., 3 ss. (2) Per un commento al CdS, Ad. plen. 25 settembre 2013, n. 21, v. G. Sabato, Le misure di messa in sicurezza e la bonifica a carico del proprietario incolpevole? Parola alla Corte di giustiza, in questa Rivista, 2014, 4, 365 ss. (3) Sotto questo profilo, l’Adunanza Plenaria segnala che, nell’esercizio della propria funzione nomofilattica, intende comunque enunciare il principio di diritto, attesa la particolare importanza della questione in esame, destinata a riproporsi in un numero significativo di giudizi evidenziando, ad esempio, che analoga questione è stata rimessa all’Adunanza Plenaria sempre dalla Sesta Sezione con ordinanza 26 giugno 2013, n. 3515. (4) Sulla funzione pretoria dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, tra gli altri, E. Follieri, L'introduzione del principio dello stare decisis nell'ordinamento italiano, con particolare riferimento alle sentenze dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in Dir. proc. amm., 2012, 4, 1237 ss.; M. Sanino, Funzione pretoria della giurisprudenza amministrativa: la nuova collocazione della Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, in Giurisd. amm., 2011, 2; S. Oggianu, Giurisdizione amministrativa e funzione nomofilattica. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, Padova, 2011; G. Pasquini, A. Sandulli, Le grandi decisioni del Consiglio di Stato, Milano, 2001. Con particolare riferimento ai rapporti tra Corte di giustizia e Adunanza Plenaria, cfr. E.M. Barbieri, Il regolamento preventivo di giurisdizione, la rimessione del ricorso giurisdizionale amministrativo all'adunanza plenaria ed il diritto comunitario, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2011, 6, 1365 ss. (5) Infatti, pur muovendo da un profilo molto particolare relativo all’individuazione del destinatario degli obblighi di bonifica, la soluzione della problematica presuppone un approfondimento Giornale di diritto amministrativo 6/2014 657 Opinioni Ambiente Dopo aver analiticamente ricostruito gli opposti orientamenti giurisprudenziali, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha concluso che, nell’attuale quadro normativo nazionale, l’obbligo di porre in essere le misure di messa in sicurezza di emergenza e bonifica, di cui all’art. 240, c. 1, lettere m) e p), d.lgs. n. 152/2006, non possa essere posto a carico del proprietario di un sito contaminato che non abbia contribuito alla causazione dell’inquinamento. Quest’ultimo, ai sensi dell’art. 245, c. 2, d.lgs. n. 152/2006, è tenuto soltanto ad adottare le misure di prevenzione di cui all’art. 240, c. 1, lett. 1), ovvero «le iniziative per contrastare un evento, un atto o un’omissione che ha creato una minaccia imminente per la salute o per l’ambiente intesa come rischio sufficientemente probabile che si verifichi un danno sotto il profilo sanitario o ambientale in un futuro prossimo, al fine di impedire o minimizzare il realizzarsi di tale minaccia». Le disposizioni contenute nel Titolo V della Parte IV del d.lgs. n. 152/2006, cd. Codice dell’ambiente (7), distinguono nettamente la figura del responsabile dell’inquinamento da quella del proprietario del sito che non abbia causato o concorso a causare la contaminazione, individuando solo il primo qua- complessivo delle modalità di riparazione dei danni causati dall’inquinamento e delle tecniche di tutela dei beni ambientali. Da ultimo, il tema della tutela in relazione ai beni comuni è stato approfondito, anche in chiave storica, da A. Di Porto, Res in usu publico e beni comuni, Torino, Giappichelli, 2013, che, fra l’altro, osserva come la tutela sia il «nodo della disciplina dei beni destinati all’uso pubblico o dei beni comuni. Discutere sull’appartenenza, senza dotare di azione i membri della collettività, riportandoli al ruolo di protagonisti ella difesa di tali beni, significa lasciare nelle sole mani dei cd. pubblici poteri la protezione di detti beni e della loro stessa destinazione» (XXV). (6) Come noto, la rilevanza per la risoluzione del giudizio a quo costituisce una condizione fondamentale per l’ammissibilità della richiesta di interpretazione pregiudiziale alla Corte di giustizia; in alcuni casi, infatti, la Corte ha rifiutato di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale in ragione della irrilevanza per la risoluzione del giudizio del rinvio (cfr. CGCE, ord. 25 febbraio 2003, causa C-445/01). Nel caso di specie, in disparte le ragioni poste dall’Adunanza Plenaria a sostegno della idoneità della questione interpretativa ai fini della decisione del giudizio, non si intravedono particolari ostacoli alla pronuncia della Corte. Come è stato affermato, infatti, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze di ciascuna causa, sia la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere in grado di pronunciare la propria sentenza sia la rilevanza delle questioni che sottopone alla Corte. Di conseguenza, se le questioni sollevate vertono sull’interpretazione del diritto europeo, la Corte, in via di principio, è tenuta a statuire (in termini, si vedano la citata ordinanza 25 febbraio 2003, causa C-445/01 e le sentenze, ivi citate, 15 dicembre 1995, causa C-415/93, Bosman, Racc. pag. I-4921, punto 59; 13 marzo 2001, causa C-379/98, PreussenElektra, Racc. pag. I2099, punto 38, e 22 gennaio 2002, causa C-390/99, Canal Satélite Digital, Racc. pag. I-607, punto 18). Vero è che la Corte ha anche affermato come, in ipotesi eccezionali, ad essa sia attribuito il compito di esaminare le condizioni in cui è adita dal giudice nazionale al fine di verificare la propria competenza; tuttavia, il rifiuto di statuire su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale è possibile solo qualora risulti manifestamente che l’interpretazione del diritto comunitario richiesta non ha alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto della causa principale oppure qualora il problema sia di natura ipotetica, oppure nel caso in cui la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una soluzione utile alle questioni che le vengono sottoposte (cfr. le citate ord. 25 febbraio 2003, causa C445/01; 13 marzo 2001, causa C-379/98; 22 gennaio 2002, causa C-390/99). In argomento, è interessante rammentare che, con l’ord. 5 marzo 2012, n. 1244, la Sesta Sezione del Consiglio di Stato ave- va rimesso alla Corte di giustizia alcune fondamentali questioni concernenti la corretta applicazione dell’art. 267 Tfue. Tale pronuncia è stata commentata, fra gli altri, da M.P. Chiti, Il rinvio pregiudiziale e l'intreccio tra diritto processuale nazionale ed europeo: come custodire i custodi dagli abusi del diritto di difesa?, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2012, 5, 745 ss.; N. Pignatelli, L’obbligatorietà del rinvio pregiudiziale tra primato del diritto comunitario e autonomia processuale degli Stati, in Foro it., 2012, parte III, c. 367 ss.; E. Scoditti, Rinvio pregiudiziale e violazione manifesta del diritto dell’Unione europea, in Foro it., 2012, parte III, c. 371 ss. Tra gli altri, sull’istituto del rinvio pregiudiziale, G. Della Cananea, C. Franchini, I principi dell’amministrazione europea, Torino, 2010, 287 ss.; M.P. Chiti, La tutela giurisdizionale in Diritto amministrativo europeo, a cura dello stesso A., Milano, 2013, 380 ss. e spec., sulle condizioni del rinvio pregiudiziale, 501 ss.; G. Vitale, La logica del rinvio pregiudiziale tra obbligo di rinvio per i giudici di ultima istanza e responsabilità, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2013, 1, 59 ss.; A. Ruggeri, Il rinvio pregiudiziale alla corte dell'unione: risorsa o problema? (nota minima su una questione controversa), in Diritto dell'Unione Europea, 2012, 1, 95 ss.; R. Ciccone, Il rinvio pregiudiziale e le basi del sistema giuridico comunitario, 2011, Editoriale Scientifica; F. Sorrentino, Svolta della corte sul rinvio pregiudiziale: le decisioni 102 e 103 del 2008, in Giur. cost., 2008, 2, 1288 ss. Sul fondamentale ruolo dello strumento del rinvio pregiudiziale per il processo di integrazione europea, B. Nascimbene, Il giudice nazionale e il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, in Riv. it. dir. pubbl. comunit, 2009, 1675 ss. Significativa è la posizione di A. Tizzano, S. Fortunato, La tutela dei diritti, in A. Tizzano (a cura di), Il diritto privato dell'Unione europea, Milano, 2000, vol. II, 1291 ss., secondo cui il rinvio pregiudiziale è il più efficace e diffuso strumento di tutela dei diritti vantati dal singolo nei confronti sia delle istituzioni comunitarie che degli Stati membri. (7) Sulla inadeguatezza dell’utilizzo del termine di codice, con riferimento sia al profilo formale che a quello contenutistico, A. Celotto, Il codice che non c’è: il diritto ambientale tra codificazione e semplificazione, in giustamm.it, 4/2009, e F. Fonderico, La “codificazione” del diritto dell’ambiente in Itali: modelli e questioni, in Riv. trim. dir. pubbl., 2006, 3, 613 ss., secondo cui «non può definirsi tale, non solamente nel senso in cui corrispondono a tale locuzione le grandi codificazioni ‘moderne': sistemi di valori, prima e ancor più che sistemi di norme, tesi a delineare l'organizzazione giuridica di un'intera società. Ma neppure può definirsi tale nel senso, più limitato e corrente, al quale ci si riferisce ragionando delle codificazioni “post-moderne”: ossia a quel movimento teso, in varie forme, al consolidamento e al ‘riassetto' di ampi settori normativi al fine di semplificarli, renderli di più agevole fruibilità e applicabilità da parte dei destinatari e liberare questi ultimi dagli eccessi di regolazione». La soluzione nazionale: esonero del proprietario “incolpevole” dagli obblighi di bonifica e messa in sicurezza 658 Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Opinioni Ambiente le destinatario degli obblighi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale a seguito dell’accertamento di uno stato di contaminazione (8). Al contrario, in capo al proprietario non responsabile dell’inquinamento è prevista solo una specifica obbligazione di facere che ha ad oggetto l’adozione delle misure di prevenzione di cui all’art. 242, d.lgs. n. 152/2006, che, all’ultimo periodo del comma 1, ne specifica l’applicabilità alle contaminazioni storiche che possono ancora comportare rischi di aggravamento della situazione di contaminazione. In altri termini, il proprietario non è tenuto a porre in essere gli interventi di messa in sicurezza d’emergenza e bonifica, ma ha solo la facoltà di eseguirli per mantenere l’area libera da pesi. Ciò non equivale, ovviamente, alla totale obliterazione delle attività di bonifica e di ripristino dello stato originario dei luoghi nei casi in cui non sia possibile esigere tali attività dal colpevole dell’inquinamento. Infatti, nell’ipotesi di mancata individuazione del responsabile, o di mancata esecuzione degli interventi in esame da parte dello stesso - e sempreché non provvedano spontaneamente né il proprietario del sito né altri soggetti interessati - le opere di recupero ambientale sono eseguite dalla pubblica amministrazione che potrà rivalersi sul proprietario del sito nei limiti del valore dell’area bonificata, anche esercitando, ove la rivalsa non vada a buon fine, le garanzie gravanti sul terreno oggetto dei medesimi interventi. In altri termini, solo dopo che gli interventi siano eseguiti d’ufficio dall’autorità competente, le conseguenze sono poste a carico del proprietario anche incolpevole; ciò alla luce della specifica previsione di un onere reale sulle aree che trova giustificazione proprio nel vantaggio economico che il proprietario ricava dalla bonifica dell’area inquinata (9). Di conseguenza, gli effetti a carico del proprietario “incolpevole” restano limitati a quanto espressamente previsto dall’art. 253, d.lgs. n. 152/2006, in tema di onere reali e privilegi speciali immobiliari. Proprio il riferimento all’istituto dell’onere reale piuttosto che a quello dell’obbligazione propter rem ha contribuito a fondare il convincimento dell’Adunanza Plenaria (10). Infatti, pur essendo l’inerenza al fondo un carattere comune ad entrambi gli istituti, nell’obbligazione propter rem non ne caratterizza l’intimo contenuto, essendo funzionale solo all’individuazione dell’obbligato mediante il suo riferimento alla qualità di proprietario (o di titolare di altro diritto reale) sulla res. Quanto al contenuto della prestazione, invece, l’obbligazione propter rem non si distingue da una qualsiasi altra obbligazione, in quanto l’obbligato è tenuto ad adempiere la sua prestazione nei confronti di un altro soggetto che, dal canto suo, non ha un potere immediato sul fondo ma, come creditore, può soltanto pretendere l’adempimento della prestazione. Nell’onere reale, invece, il nesso con la cosa assume prevalentemente un significato di garanzia, nel (8) Il riferimento è, in particolare, all’art. 242, d.lgs. n. 152/2006. In dottrina, sugli obblighi che gravano sul proprietario non responsabile dell’inquinamento, S. Grassi, La bonifica dei siti inquinati, in Trattato di diritto dell'ambiente, Tomo II., a cura di A. Crosetti, R. Ferrara, C.E. Gallo, S. Grassi, M.A. Sandulli, cit., 687 ss.; F. De Leonardis, La bonifica ambientale, in Trattato di diritto dell’ambiente. Vol. II. Discipline ambientali di settore, a cura di E. Picozza, P. Dell’Anno, cit., 345 ss V. Cingano, La responsabilità nei confronti della pubblica amministrazione per contaminazione di un sito: l'individuazione degli oneri che gravano sul proprietario, in Foro amm.-Tar, 2011, 3, 837 ss. Sulla distinzione tra la posizione del proprietario e quella del responsabile, F. Castoldi, La responsabilità dei soggetti coinvolti nelle operazioni di bonifica, in Riv. giur. amb., 2011, 3-4, 515 ss. (9) Da questo punto di vista, l’Adunanza Plenaria ha condiviso le considerazioni dell’orientamento maggioritario della giurisprudenza amministrativa secondo cui, sia in base al d.lgs. n. 22/1997 che al d.lgs. n. 152/2006, l’obbligo di bonifica è posto in capo al responsabile dell’inquinamento che le Autorità amministrative hanno l’onere di ricercare ed individuare, mentre il proprietario non responsabile dell’inquinamento o altri soggetti interessati hanno una mera “facoltà” di effettuare interventi di bonifica; nel caso di mancata individuazione del responsabile o di assenza di interventi volontari, la giurisprudenza aveva affermato che le opere di bonifica restano a carico delle Amministrazioni competenti, salvo, a fronte delle spese da esse sostenute, l’esistenza di un privilegio speciale immobiliare sul fondo, a tutela del credito per la bonifica e la qualificazione degli interventi relativi come onere reale sul fondo stesso, onere destinato pertanto a trasmettersi unitamente alla proprietà del terreno (fra le più recenti, Cons. Stato, Sez. VI^, 18 aprile 2011, n. 2376). Proprio alla luce di tali considerazioni, la giurisprudenza aveva altresì sottolineato la necessità di un rigoroso accertamento - che deve essere fondato su un’adeguata motivazione e su idonei elementi istruttori nonché su prove e non su mere presunzioni - del nesso di causalità fra la condotta del “responsabile” ed il fenomeno dell’inquinamento (Cons. Stato, Sez. VI^, 5 settembre 2005, n. 4525; da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI^, 9 gennaio 2013, n. 56). (10) Con particolare riferimento all’onere reale in materia ambientale, possono vedersi R. Rotigliano, Ancora sui presunti obblighi di facere in capo al proprietario non responsabile del sito contaminato: dove sta il più (il proprietario non è tenuto a fare alcunché), sta il meno (figurarsi l'ex proprietario), in Foro amm.TAR, 2012, 9, 2909 ss.; E. Pomini, L’onere reale nella bonifica dei siti contaminate, in Riv. giur. amb., 2010, 6, 1015 ss.; R. Morzenti Pellegrini, L’abbandono di rifiuti e la (relativa) socializzazione del costo dei conseguenti obblighi ripristinatori, in Foro amm., 2009, 1520 ss.; F. Giampietro, Bonifica di siti contaminati: obblighi e diritti del proprietario incolpevole nel TUA, in Ambiente, 2007, 281 ss.; L. Prati, I criteri di imputazione delle responsabilità per la bonifica dei siti contaminati dopo il D.Lgs. 152/2006, in Ambiente, 2006, 638 ss.; D. Chinello, Bonifica ambientale ex art. 17 del decreto Ronchi: responsabilità del proprietario e onere reale sul bene contaminato, in Foro amm.-TAR, 2005, 6, 1921 ss. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 659 Opinioni Ambiente senso che il creditore può sempre ricavare forzatamente dal fondo il valore della prestazione che gli è dovuta, essendo titolare, nei confronti del soggetto gravato, di un’azione reale di garanzia, con il relativo diritto di prelazione, che si aggiunge all’azione personale contro il diretto debitore della prestazione “garantita” dall’onere (11). Proprio la scelta del legislatore di evocare la figura obsoleta dell’onere reale (12), piuttosto che quella dell’obbligazione propter rem, ha indotto l’Adunanza Plenaria a concludere che il proprietario “incolpevole” non sia onerato di una prestazione di facere, riferita solo al responsabile, ma sia tenuto esclusivamente a garantire, nei limiti del valore del fondo, il pagamento delle spese sostenute dall’Amministrazione che abbia eseguito direttamente gli interventi di messa in sicurezza e di bonifica (13). Né ad una diversa conclusione potrebbe pervenirsi muovendo dai principi civilistici in materia di responsabilità aquiliana e, in particolare, da quello di cui all’art. 2051 c.c. in tema di responsabilità civile del custode, atteso che la constatazione della quali- tà di custode dell’area al momento dell’inquinamento richiederebbe, almeno sotto questo profilo, l’accertamento di una forma di responsabilità in capo al proprietario; inoltre, come si legge nell’ordinanza di rimessione dell’Adunanza Plenaria, il ricorso ai principi civilistici in tema di responsabilità aquiliana «sembra, comunque, porsi in contraddizione con i precisi criteri di imputazione degli obblighi di messa in sicurezza e di bonifica previsti dagli articoli 240 e ss. del decreto legislativo n. 152 del 2006, che dettano una disciplina esaustiva della materia, non integrabile dalla sovrapposizione di una normativa (quella del codice civile, appunto) ispirata a ben diverse esigenze». Nel sistema di responsabilità civile, pur a fronte del progressivo superamento dei criteri di imputazione fondati sulla sola colpa, rimane comunque centrale l’esigenza di accertare il rapporto di causalità tra la condotta e il danno, non potendo rispondere a titolo di illecito civile colui al quale l’evento lesivo non sia imputabile neppure sotto il profilo oggettivo (14). (11) Sotto questo profilo, esemplificativa è la tesi, ripercorsa anche dall’Adunanza Plenaria nell’ordinanza di rimessione, secondo cui, in senso figurato, mentre nelle obbligazioni propter rem, obbligata rimane la persona individuata in base alla proprietà della res, nell’onere reale, obbligata sarebbe la cosa stessa, anche in considerazione del fatto che, come esplicitato nell’art. 253, d.lgs. n. 152/2006, il soggetto gravato dall’onere reale risponde nei limiti di valore della res. La prelazione sul bene, in altri termini, è una caratteristica peculiare dell’onere reale e del relativo credito che giustifica l’accostamento tra onere reale e privilegio, caratterizzato anch’esso dalla assenza di un titolo autonomo, sicché anche per i privilegi la prelazione è una caratteristica inerente al credito, e non un diritto derivante da fonte autonoma. In quest’ottica, è significativo che l’art. 253, dopo aver previsto, al comma 1, che “gli interventi di cui al presente titolo costituiscono onere reale sui siti contaminati”, specifica, al comma 2, che le relative spese sono sostenute da un “privilegio speciale immobiliare sulle aree medesime”. Sull’istituto dell’onere reale, in termini generali, F. Rolfi, Sulla tipicità delle obbligazioni propter rem, in Corr. giur., 1997, 556; V. Mariconda, Vincoli alla proprietà e termini di durata, in Corr. giur., 1987, 955 ss.; V. Bigliazzi Geri, Oneri reali ed obbligazioni propter rem, in Trattato di diritto civile, diretto da A. Cicu, F. Messineo, Milano, 1984; G. Gandolfi, voce Onere reale, in Enc. Dir., XXX, 1980, 127 ss.; B. Biondi, Oneri reali e obbligazioni propter rem, in Foro pad., 1953, I, 163 ss.; C.A. Funaioli, Oneri reali ed obbligazioni propter rem, in Giust. civ., 1953, I, 163 ss.; B. Biondi, I limiti legali della proprietà, servitù, oneri reali, obbligazioni propter rem, in rapporto all'art. 913 c.c., in Foro it., 1950, 617 ss. Quanto all’origine dell’istituto, G. Gandolfi, Onere reale, cit., 129, afferma che esso non risale al diritto romano e, pertanto, non è agevolmente inquadrabile negli schemi concettuali classici che il nostro ordinamento da questo ha ereditato; esso è, invece, un precipitato delle particolari condizioni, anche di ordine economico-politico, della società medievale e trova le sue fonti originarie nelle antiche consuetudini dei popoli germanici (da ciò deriva la sua frequente designazione in termini di servitus iuris germanici). (12) Come affermato da G. Gandolfi, voce Onere reale, cit., 129, le difficoltà di inquadramento e le discordanze tra le ricostruzioni offerte dalla dottrina sono determinate dal fatto che nell’ordinamento italiano l’onere reale non è contemplato e disciplinato come istituto tipico da oltre un secolo. L’A. sostiene, in particolare, che il declino dell’istituto nel nostro ordinamento non è stato determinato da ragioni di carattere dogmatico ma dalla circostanza che, con la Rivoluzione francese, esso fu osteggiato quale iniqua eredità del regime feudale e, all’atto della redazione del code Napolèon, venne ritenuto incompatibile con le concezioni liberistiche della proprietà sottese alla nuova codificazione. Considerazioni analoghe sono state ribadite anche da V. Bigliazzi Geri, Oneri reali e obbligazioni propter rem, Milano, 1984, spec. 22 ss. e da F. Rolfi, Sulla tipicità delle obbligazioni propter rem, in Corr. giur., 1997, 556). (13) Sul punto, significativo è il dato testuale dell’art. 253, c. 4, d.lgs. n. 152/2006, secondo cui «in ogni caso, il proprietario non responsabile dell'inquinamento può essere tenuto a rimborsare, sulla base di provvedimento motivato e con l'osservanza delle disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, le spese degli interventi adottati dall'autorità competente soltanto nei limiti del valore di mercato del sito determinato a seguito dell'esecuzione degli interventi medesimi». (14) Infatti, accogliere la tesi opposta a quella fatta propria dall’Adunanza Plenaria significherebbe gravare il proprietario non semplicemente di una responsabilità oggettiva, ma di una vera e propria “responsabilità di posizione”, in quanto sarebbe tenuto ad eseguire le opere di messa in sicurezza e di bonifica a prescindere non solo dall’elemento soggettivo (dolo o colpa) ma anche di quello oggettivo (nesso eziologico), essendo chiamato a porre rimedio in forma specifica, attraverso la messa in sicurezza d’emergenza o la bonifica, a situazioni di contaminazione che non gli sono imputabili né oggettivamente, né soggettivamente. Proprio per questo, l’Adunanza Plenaria ha ritenuto inconferente il riferimento, da parte dei sostenitori della tesi opposta, ai principi europei che impongono la responsabilità oggettiva in materia di riparazione del danno ambientale e alla relativa procedura di infrazione (n. 2007/4679) aperta contro l’Italia dalla Commissione europea in ragione del carattere 660 Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Opinioni Ambiente Come si è visto nei paragrafi precedenti, nella ricostruzione dell’Adunanza Plenaria il quadro normativo nazionale non consente di porre gli obblighi di ripristino ambientale a carico del proprietario di un fondo che non sia anche il responsabile della contaminazione. Dopo aver affermato tale principio, però, l’autorevole Giudice nazionale si interroga sulla compatibilità di tale statuizione con l’ordinamento dell’Unione Europea in relazione, in particolare, ai principi del “chi inquina paga”, di precauzione, dell’azione preventiva e della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente e, pertanto, investe della relativa questione la Corte di giustizia, cui è stato chiesto di pronunciarsi sulla reale portata precettiva di tali principi fondamentali (15). In primo luogo, il Consiglio di Stato chiede alla Corte di giustizia di chiarire la reale portata precettiva del principio del “chi inquina paga” (16). Come noto, tale principio, dopo essere stato elaborato, in sede internazionale, in due raccomandazioni OCse del 1972 e del 1974, è stato introdotto nel tessuto normativo europeo nel 1987 con l’Atto Unico Europeo e oggi, previsto dall’art. 191, par. 2, Tfue, ne rappresenta il principio fondamentale in materia ambientale. In un primo momento esso aveva una portata prettamente economica, essendo finalizzato, secondo la nota teoria dell’economia del benessere, a far internalizzare all’imprenditore i costi connessi all’inquinamento ambientale provocato dalla propria attività (17); ciò sulla base della circostanza che, in ambito economico, l’inquinamento è considerato un disequilibrio del mercato in quanto trasferisce a carico della collettività, o comunque di un soggetto diverso da quello responsabile della contaminazione, costi che non vengono contabilizzati nell’ambito del processo produttivo (18). Successivamente, anche grazie all’apporto interpretativo della giurisprudenza europea (19), il principio ha assunto un connotato giuridicamente vinco- non oggettivo del regime di responsabilità per danno all’ambiente prevista dalla legislazione italiana. Da ultimo, sulla non compatibilità del regime nazionale con l’impianto della direttiva n. 2004/35/CE, V. Corriero, La «responsabilità» del proprietario del sito inquinato, in Resp. civ. e prev., 12/2011, 2440 ss. (15) In generale sulla fondamentale importanza dei principi del diritto europeo, possono vedersi, tra gli altri, M.P. Chiti (a cura di), Diritto amministrativo europeo, Milano, 2013; G. Della Cananea - C. Franchini, I principi dell’amministrazione europea, Torino, 2013; A. Massera, I principi generali, in Trattato di diritto amministrativo europeo, diretto da M.P. Chiti e G. Greco, parte generale, Milano, 2007; G. della Cananea, Al di là dei confini statuali. Principi generali del diritto pubblico globale, Bologna, Il Mulino, 2009; A. Massera, I principi generali dell’azione amministrativa tra ordinamento nazionale e ordinamento comunitario, in Dir. amm., 2005, 4, 707 ss.; J. Schwarze, Rules and General Principles of European Administrative Law, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2004, 3-4, 1219 ss. Con particolare riferimento ai principi internazionali ed europei in materia ambientale, da ultimo, possono vedersi L.Pineschi, I principi del diritto internazionale dell’ambiente: dal divieto di inquinamento transfrontaliero alla tutela dell’ambiente come common concern, e O. Porchia, Le politiche dell’unione europea in materia ambientale, entrambi in Trattato di diritto dell'ambiente, Tomo I., a cura di A. Crosetti, R. Ferrara, C.E. Gallo, S. Grassi, M.A. Sandulli, cit., 93 ss. e 153 ss.; M. Montini, Profili di diritto internazionale, e R. Rota, Profili di diritto comunitario dell’ambiente, entrambi in Trattato di diritto dell’ambiente. Vol. I, a cura di E. Picozza, P. Dell’Anno, cit., 9 ss. e 151 ss. (16) L’approfondimento della dottrina in merito al principio del “chi inquina paga” è molto nutrito. Fra gli altri, in sede nazionale, si rinvia a M. Lombardo, Il principio “chi inquina paga” e la responsabilità ambientale da inquinamento diffuso nel diritto dell’Unione europea, in Il Diritto dell’Unione Europea, 3/2011, 719 ss.; M. Meli, Il principio “chi inquina paga” nel codice dell’ambiente, in Il danno ambientale tra prevenzione e riparazione, a cura di I. Nicotra e U. Salanitro, Torino, 2010, 69 ss.; U. Salanitro, I principi generali nel codice dell'ambiente, in questa Rivista, 2009, 103 ss.; F. Goisis, Caratteri e rilevanza del principio comunitario “chi inquina paga” nell’ordinamento nazionale, in Foro amm. - Cds, 2009, 2711 ss.; M. Cafagno, Principi e strumenti di tutela dell’ambiente, Torino, 2007, 247 ss.; S. Amadeo, Art. 174 CE, in A. Tizzano (a cura di), Trattati dell’Unione europea e della Comunità europea, Milano, 2004, 174 ss.; F.M. Palombino, Il significato del principio 'chi inquina paga' nel diritto internazionale, in Riv. giur. amb., 2003, 871 ss.; A. De Luca, L’evoluzione del principio “chi inquina paga” nel diritto dell'Unione Europea: questioni in attesa di soluzione uniforme in vista del Libro bianco della Commissione, in Contr. Impr. Europa, 2000, 287 ss.; M. Meli, Il principio comunitario “chi inquina paga”, Milano, 1996; P. Manzini, I costi ambientali nel diritto internazionale, Milano, 1996, 4 ss. Per un primo inquadramento del principio in sede sovranazionale si vedano gli studi di L. Kramer, Manuale di diritto comunitario per l’ambiente, Milano, 2002, 87 ss.; N. De Sadeleer, Les principes du polle-payeur, de prevéntion et de précaution: essai sur la genése et la portée juridique de quelques principes du droit de l'environnement, Bruxelles, 1999; K. Vandekerckhove, The Polluter Pays Principle in the European Community, in Yearbook of European Law, 1993, 201 ss.; H. Smets, Le principe polle-payeur, un principe economique erigé en principe de droit de l'environnement?, in Rev. gen. droit int. public., 1993, 339 ss. (17) Più in generale sul rapporto tra mercato e ambiente, anche per quanto riguarda l’evoluzione in questa materia dell’attività di regolazione dei pubblici poteri, si rinvia a M. Clarich, La tutela dell’ambiente attraverso il mercato, in giustiziaamministrativa.it e in Dir. pubbl., 2007, 219 ss.; R. Lombardi, Ambiente e mercato: note minime per una nuova prospettiva d’indagine sui beni comuni, in Trattato di diritto dell'ambiente, Tomo I., a cura di A. Crosetti, R. Ferrara, C.E. Gallo, S. Grassi, M.A. Sandulli, cit., 67 ss.; M. Cafagno, F. Fonderico, Riflessione economica e modelli di azione amministrativa a tutela dell’ambiente, in Trattato di diritto dell’ambiente. Vol. I, a cura di E. Picozza, P. Dell’Anno, cit., 2012, 487 ss. (18) M. Meli, Il principio “chi inquina paga” nel codice dell’ambiente, cit., 69 ss. . (19) Per un’analisi problematica dell’attività interpretativa della Corte di giustizia sul principio de quo, A. Bleeker, Does I principi fondamentali dell’Unione Europea in materia ambientale Giornale di diritto amministrativo 6/2014 661 Opinioni Ambiente lante ed oggi costituisce, oltre che il perno della politica ambientale dell’Unione Europea, anche una regola giuridica precettiva su cui si fonda tutto il sistema di responsabilità ambientale (20), secondo cui i costi relativi alle misure di prevenzione e di riparazione ambientali devono essere sopportati dal soggetto responsabile dell’inquinamento (21). Il principio “chi inquina paga”, in altri termini, costituisce lo strumento per imputare i costi ambientali - che, come detto, sotto il profilo economico rappresentano costi sociali estranei alla contabilità ordinaria dell’impresa - al soggetto che ha causato la compromissione ecologica oltre i limiti legalmente tollerati (22). Il principio assume una valenza sia repressiva, in una logica risarcitoria ex post factum, che preventiva, essendo volto ad incentivare la generalizzata incorporazione dei costi di alterazione dell’ambiente nelle dinamiche di mercato, attraverso la fissazione dei prezzi delle merci, con conseguente minor prezzo delle merci prodotte senza incorrere nei predetti costi sociali e conseguente indiretta incentivazione per le imprese a non danneggiare l’ambiente (23). Tuttavia, l’aspetto su cui l’Adunanza Plenaria ha chiesto l’apporto interpretativo della Corte di giustizia concerne la precisa delimitazione della portata di tale principio e, in particolare, se le conseguenze patrimoniali del danno ambientale possano essere riferite soltanto a “chi” abbia effettivamente inquinato (di cui sia stata, pertanto, accertata la responsabilità) o se, al contrario, pur in assenza dell’individuazione del soggetto responsabile, ovvero di impossibilità di questi a far fronte alle proprie obbligazioni, il principio “chi inquina paga” postuli, comunque, di evitare che il costo degli interventi gravi sulla collettività, ponendo tali costi a carico del proprietario. In quest’ottica, nell’impossibilità di ottenere la riparazione da parte del responsabile della contaminazione, l’obbligo potrebbe essere imputato al proprietario, «perché quest’ultimo è colui che si trova nelle condizioni di controllare i rischi, cioè il soggetto che ha la possibilità della “cost-benefit analysis” per cui lo stesso deve sopportarne la responsabilità per trovarsi nella situazione più adeguata per evitarlo in modo più conveniente» (24). Da questo punto di vista, ciò che rileverebbe ai fini dell’individuazione del soggetto tenuto alle misure di ripa- the Polluter Pay? The Polluter-Pays Principle in the Case Law of the European Court of Justice, in Europ. Energy Environmental Law Rev., 2009, 289 ss., secondo cui, in conclusione, tale principio «looks good on paper, but there are major hurdles towards its effective application. Most importantly, defining who the polluter is and what he/she should pay for are often particularly difficult. In many ways, it can be said that the ability of the ECJ to answer such questions is limited. Policies, not judgments, are needed to truly implement the PPP at the EC level. Nevertheless, the Court has made a significant contribution to rendering the principle more effective». Di recente, si veda anche la ricostruzione offerta da G. Lo Schiavo, La Corte di Giustizia e l'interpretazione della direttiva 35/2004 sulla responsabilità per danno ambientale: nuove frontiere, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2011, 1, 83 ss.; M. Lombardo, Il principio “chi inquina paga” e la responsabilità ambientale da inquinamento diffuso nel diritto dell’Unione europea, cit., 714 ss. (20) Più in generale sull’evoluzione dell’attività di intervento dei pubblici poteri per la tutela dell’ambiente, si rinvia a W. Giulietti, Danno ambientale e azione amministrativa, Napoli, 2012, 17 ss.; M. Antonioli, Consensualità e tutela ambientale fra transazioni « globali » e accordi di programma, in Dir. amm., 2012, 4, 749 ss.; M. Cafagno, Strumenti di mercato a tutela dell’ambiente, in Diritto dell’ambiente, a cura di G. Rossi, Torino, 2011, 182 ss.; F. Fracchia, I procedimenti amministrativi in materia ambientale, in Diritto dell’ambiente, a cura di A. Crosetti, R. Ferrara, F. Fracchia, N. Olivetti Rason, Bari, 2008; G.M. Esposito, Tutela dell’ambiente e attività dei pubblici poteri, Torino, 2008; M. Cafagno, La cura dell’ambiente tra mercato ed intervento pubblico. Spunti dal pensiero economico, in Ambiente, attività amministrativa e codificazione: atti del primo colloquio di diritto dell’ambiente, a cura di D. De Carolis, E. Ferrari, A. Police, Milano, 2005, 191 ss.; M. Clarich, La tutela dell’ambiente attraverso il mercato, in giustizia-amministrativa.it e in Dir. pubbl., 2007, 219 ss.; F.G. Scoca, Osservazioni sugli strumenti giuridici di tutela dell'ambiente, in Dir. Soc., 1993, 399 ss. (21) Il mutamento di prospettiva è stato ben evidenziato da H. Smets, Le principe polle-payeur, un principe economique erigé en principe de droit de l'environnement?, in Rev. gen. droit int. public., 1993, 339 ss. (22) La questione del cd. livello di inquinamento consentito, ovviamente, trova applicazione soltanto a fronte del cd. danno residuale collettivo (M. Meli, Il principio comunitario “chi inquina paga”, cit., 152-153). Infatti, nei casi in cui, pur restando entro gli standard ritenuti accettabili dall’ordinamento, si verifichi un danno nei confronti dei privati, questi ultimi potranno agire comunque contro il responsabile che non potrà opporre il rispetto della disciplina pubblicistica sullo svolgimento di attività inquinanti (in questi termini, G. Visintini, Il divieto di immissioni e il diritto alla salute nella giurisprudenza odierna e nei rapporti con le recenti leggi ecologiche, in Riv. dir. civ., 1980, 249 ss.; M. Paradiso, Inquinamento delle acque interne e strumenti privatistici di tutela, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1977, 1391 ss.; G. Morbidelli, Strumenti privatistici contro l’inquinamento delle acque interne, in Foro amm., 1971, 380 ss.). Sulla problematica rilevanza, invece, del principio “chi inquina paga” nell’ambito dei rapporti fra privati, ad esempio con riferimento agli accordi con cui si trasferisca il costo del danno ambientale e delle attività di bonifica in capo a chi non lo abbia prodotto, F. Goisis, Caratteri e rilevanza del principio comunitario “chi inquina paga” nell’ordinamento nazionale, in Foro amm. Cds, 2009, 2711 ss. (23) In termini, anche Cons. Stato, sez. V, 16 giugno 2009, n. 3885. (24) Cons. Stato, Ad. Plen., ord. 25 settembre 2013, n. 21, in cui si ripercorre anche la tesi secondo cui il punto di equilibrio fra i diversi interessi di rilevanza costituzionale alla tutela della salute, dell’ambiente e dell’iniziativa economica privata andrebbe ricercato in un criterio di “oggettiva responsabilità imprenditoriale”, in base al quale gli operatori economici che producono e ritraggono profitti attraverso l’esercizio di attività 662 Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Opinioni Ambiente razione non sarebbe tanto la circostanza di aver causato la contaminazione, quanto piuttosto di utilizzare, per motivi imprenditoriali e a scopo di lucro, i siti contaminati in maniera strumentale all’esercizio dell’attività di impresa. Un ulteriore profilo di possibile contrasto della soluzione nazionale con il diritto dell’Unione europea attiene ai principi di precauzione, prevenzione e correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente di cui all’art. 191, par. 2, Tfue. Come noto, l’esigenza sottesa ai principi di precauzione e di prevenzione è connessa a un approccio di tipo anticipatorio per la soluzione dei problemi ambientali, sulla base della considerazione che molti danni causati all’ambiente possono essere di natura irreversibile e, quindi, insuscettibili di riparazione. Pur condividendo il carattere anticipatorio, i due principi si distinguono in ragione del differente grado di certezza in ordine al verificarsi dell’evento di danno (25); il principio di precauzione legittima l’adozione di misure di prevenzione, riparazione e contrasto ad una fase in cui il danno non solo non si è ancora verificato, ma non esiste neanche la piena certezza scientifica che si verificherà (26); il principio di prevenzione, invece, è finalizzato a prevenire gli eventi dannosi rispetto a rischi già conosciuti e scientificamente provati relativi a comportamenti o prodotti per i quali esiste la piena certezza circa la loro pericolosità per l’ambiente. Dopo aver ribadito la finalità di tali principi - ovvero consentire un intervento dell’autorità anche in condizioni di incertezza scientifica (sulla stessa esistenza del rischio o sulle sue ulteriori conseguen- La soluzione delle questioni rimesse all’esame della Corte di giustizia presuppone un complesso approfondimento dei profili problematici che in questa sede è stato possibile soltanto delineare. In particolare, la corretta interpretazione dei principi europei in materia ambientale dovrà cercare di conciliare le esigenze, non sempre convergenti, che i costi derivanti dall’inquinamento, per un ver- pericolose, in quanto ex se inquinanti, o anche in quanto semplici utilizzatori di strutture produttive contaminate e fonte di perdurante contaminazione, sono perciò stesso tenuti a sostenere integralmente gli oneri necessari a garantire la tutela dell’ambiente e della salute della popolazione. (25) Da ultimo, il noto dibattito in merito al rapporto tra questi due principi è stato ripercorso da F. De Leonardis, Principio di prevenzione e novità normative in materia di rifiuti, in Scritti in onore di Alberto Romano, AA.VV., Napoli, Editoriale Scientifica, 2011, 2079 ss., e in Rivista quadrimestrale di Diritto dell’Ambiente, 2/2011, 14 ss. e, spec., 23 ss., secondo cui “sebbene, quindi, non si possa negare che vi sia un pratico collegamento tra i due principi l’auspicabile differenziazione concettuale discende dal fatto che il principio di prevenzione agisce nell’ipotesi in cui i danni temuti sono certi (ammesso che di certezza si possa parlare), mentre quello di precauzione è chiamato ad operare in presenza di danni temuti, che, invece, sono fondamentalmente potenziali. Ne deriva che il principio di precauzione, per cui la soglia di intervento dell’azione preventiva viene ulteriormente anticipata, e in misura tendenzialmente illimitata, s’iscrive in una logica nettamente diversa da quella della prevenzione: quella dell’amministrazione di rischio” (pag. 25). (26) In altri termini, la ricerca di livelli di sicurezza sempre più elevati legittima un arretramento della soglia di intervento dei pubblici poteri a difesa della salute dell’uomo e dell’ambiente, con la conseguenza che la tutela diviene “tutela anticipata” e oggetto dell’attività di prevenzione e di riparazione diventano non soltanto i rischi conosciuti, ma anche quelli di cui semplicemente si sospetta l’esistenza. Per un approfondimento della portata del principio di precauzione sulle attività di bonifica ambientale, può vedersi F. Fonderico, "Rischio" e "precauzione" nel nuovo procedimento di bonifica dei siti inquinati, in Riv. giur. amb., 2006, 3-4, 419 ss. (27) In quest’ottica, a prescindere dalla prova circa la sussistenza del nesso di causalità, i principi di precauzione e di prevenzione potrebbero legittimare l’imposizione in capo al soggetto che, essendo proprietario del sito contaminato, si trova nelle migliori condizioni per attuarle, non solo delle misure di prevenzione descritte dall’art. 240, c. 1, lett. i), d.lgs. n. 152/2006, (già previste a suo carico dall’art. 245, c. 2, decreto legislativo n. 152 del 2006), ma anche di misure di sicurezza di emergenza. Anche queste misure, infatti, hanno una finalità precauzionale ed una connotazione di urgenza, essendo dirette a contenere la diffusione delle sorgenti primarie di contaminazione, impedirne il contatto con altre matrici presenti nel sito e a rimuoverle, in attesa di ulteriori interventi di bonifica o di messa in sicurezza operativa o permanente. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 ze), sul presupposto che il trascorrere del tempo necessario per acquisire informazioni scientifiche certe o attendibili potrebbe determinare danni irreversibili all’ambiente - l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato prospetta un’estensione dell’impostazione precauzionale o preventiva anche ai casi in cui l’incertezza non riguardi solo la verificabilità stessa dell’evento di danno, ma anche quando concerna il nesso causale e, quindi, l’individuazione del soggetto responsabile di un danno certo (27). Infine, quanto al principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente - secondo cui essi devono essere contrastati in una fase il più possibile prossima alla fonte, per evitare che i loro effetti si amplifichino - si potrebbe ritenere che, nelle situazioni di impossibilità di individuare il responsabile o di esigere da questi le misure correttive, la “fonte” cui il principio fa riferimento possa essere ragionevolmente individuata nel soggetto attualmente proprietario del fondo che, proprio in virtù del titolo che lo lega all’area, è quello meglio in grado di controllare la fonte di pericolo rappresentata dal sito contaminato. Osservazioni conclusive 663 Opinioni Ambiente so, siano posti a carico del responsabile del danno e, per altro, non siano sopportati dalla collettività. Quanto al principio “chi inquina paga”, la dottrina ne aveva evidenziato la duplice accezione, individuandone, da un lato, un carattere positivo (“chi ha inquinato deve pagare”) e, dall’altro, un carattere negativo (“non deve pagare chi non ha inquinato”), con la conseguenza che, in quest’ultima accezione esso impedirebbe di porre i costi di riparazione del danno ambientale a carico di un soggetto diverso dal responsabile della contaminazione (28). Tuttavia, è evidente come tra le due sfumature possa residuare un vuoto di tutela, relativo proprio alle ipotesi in cui non si riesca a imporre l’esecuzione delle attività di ripristino a carico del responsabile dell’inquinamento; il che appare configgente con la ratio stessa del principio in esame, tradizionalmente individuata nell’esigenza di escludere che i costi derivanti dal ripristino di siti colpiti da inquinamento vengano sopportati dalla collettività (29). Un’interpretazione dei principi europei che consentisse di porre gli obblighi di riparazione a carico del proprietario “incolpevole” potrebbe dar luogo, come ammonito dal Consiglio di Stato nell’ordinanza di rimessione, a una vera e propria “responsabilità di posizione”, in cui l’obbligo di eseguire le opere di messa in sicurezza e bonifica si radicherebbe a prescindere non solo dall’elemento soggettivo (dolo o colpa) ma anche di quello oggettivo (nesso eziologico). Accedendo a una simile interpretazione, l’imputazione degli obblighi di riparazione ambientale potrebbe affrancarsi quasi completamente dal tema, ampiamente discusso, relativo all’accertamento in tale materia del nesso causale (30), portando alle estreme conseguenze il noto dibattito in ordine ai limiti degli schemi ordinari della responsabilità civile sia per combattere i fenomeni di inquinamento diffuso, in cui è arduo collegare gli effetti ambientali negativi ad atti od omissioni di taluni soggetti, sia, più in generale, ad apprestare una tutela effettiva ai beni collettivi quali l’ambiente, in cui, come è stato osservato, i profili soggettivi sono intimamente connessi con quelli oggettivi (31). Tali difficoltà, del resto, sono state tradizionalmente poste in evidenza negli studi in tema di responsabilità ambientale (32), in cui talvolta si è parlato (28) M. Lombardo, Il principio “chi inquina paga” e la responsabilità ambientale da inquinamento diffuso nel diritto dell’Unione europea, in Il diritto dell’Unione Europea, 3/2011, 723, in cui si sottolinea anche che, nella sua versione positiva, il principio ha una funzione prettamente pubblicistica, rivolgendosi al legislatore perché ne dia concreta attuazione nel disciplinare i presupposti di imputazione della responsabilità in capo al responsabile dell’inquinamento; diversamente, nell’accezione negativa, esso svolge una funzione più privatistica, garantendo i singoli dalle decisioni dei pubblici poteri che attribuiscano i costi ambientali a carico di soggetti diversi dal responsabile dell’inquinamento. (29) Sul punto, in effetti, la dottrina aveva evidenziato che la previsione della colpa ai fini della delimitazione dell’area dell’illecito possa impedire di internalizzare integralmente i costi connessi all’attività di tipo ambientale, residuando un’area di pregiudizio legata a un danno di cui l’autore non risponde e di cui, dunque, deve farsi carico la collettività (cfr. F. Fracchia, I procedimenti amministrativi in materia ambientale, in Diritto dell’ambiente, a cura di A. Crosetti, R. Ferrara, F. Fracchia, N. Olivetti Rason, Bari, 2008, 297). (30) Il tema del nesso causale con particolare riguardo alla riparazione ambientale è stato affrontato, fra gli altri, da F. Parisi, G. Dari Mattiacci, Il nesso causale nell'inquinamento ambientale, in Danno e resp., 2004, 10, 942 ss. Nella letteratura europea, cfr. Y. Moussoux, Causation in the Polluter Pays Principle, in Europ. Energy Environmental Law Rev., 2010, 279 ss.; M. Hinteregger (a cura di), Environmental liability and ecological damage in European Law, Cambridge, Cambridge University Press, 2008. In quest’ultima opera, per un’analisi comparata dei sistemi di responsabilità ambientale, può vedersi M. Hinteregger, International and supranational systems of environmental liability in Europe, 3 ss. (31) M. Lombardo, Il principio “chi inquina paga” e la responsabilità ambientale da inquinamento diffuso nel diritto dell’Unione europea, cit., 734. Il dibattito in merito alla legittimazione ad esperire le azioni a tutela dell’ambiente e degli interessi diffusi è molto nutrito. Da ultimo, fra gli altri, può vedersi il contributo di D. Siclari, Profili di diritto processuale amministrativo: class actions e tutela degli interessi collettivi e diffusi, in Trattato di diritto dell’ambiente. Vol. I, a cura di E. Picozza, P. Dell’Anno, cit., 403 ss. Recentemente, la determinante rilevanza del tema della tutela in relazione ai beni comuni è stata approfondita da A. Di Porto, Res in usu publico e beni comuni, cit., che ha affrontato la problematica muovendo dall’evoluzione del concetto romanistico di res in usu publico sino alle note sentenze della Suprema Corte di Cassazione del febbraio 2011 sulle Valli da pesca della laguna di Venezia. L’A. afferma che, già in età repubblicana, l’idea di “comune” e di “popolare” insita nel concetto di “pubblico” aveva rilevanti implicazioni giuridiche sulle res in usu publico, riflettendosi, più che sul mero piano definitorio e dell’appartenenza, su quello relativo alla tutela. In particolare, già in quell’epoca, la disciplina dei beni destinati all’uso pubblico si caratterizzava per il regime di tutela, incentrato sulla legittimazione popolare; ciò anche alla luce del fatto che il bene è giuridicamente considerato in ragione della sua funzione, incentrata sulla destinazione all’uso pubblico, e, pertanto, la tutela è affidata al civis, titolare dell’uso (op. cit., XIX). La connotazione dei beni comuni fondata sulla funzione del bene, a prescindere dalla sua proprietà, è stata recentemente ribadita anche dalla Suprema Corte di Cassazione secondo cui laddove “un bene immobile, indipendentemente dalla titolarità, risulti per le sue intrinseche connotazioni, in particolar modo quelle di tipo ambientale e paesaggistico, destinato alla realizzazione dello Stato sociale come sopra delineato, detto bene è da ritenersi, al di fuori dell'ormai datata prospettiva del dominium romanistico e della proprietà codicistica, "comune" vale a dire, prescindendo dal titolo di proprietà, strumentalmente collegato alla realizzazione degli interessi di tutti i cittadini” (Cass., sez. un., 16 febbraio 2011, n. 3813). (32) Si veda, ad esempio, M.P. Giracca, Danno ambientale, in Trattato di diritto dell'ambiente, Tomo I., a cura di A. Crosetti, R. Ferrara, C.E. Gallo, S. Grassi, M.A. Sandulli, cit., 571 664 Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Opinioni Ambiente anche di “danno pubblico” (33) e, da ultimo, sono stati oggetto di espresso riconoscimento da parte dello stesso legislatore europeo: come affermato nel considerando n. 13 della direttiva 2004/35/CE, infatti, non a tutte le forme di danno ambientale può essere posto rimedio attraverso la responsabilità civile in quanto, affinché quest’ultima sia efficace, è necessario che vi siano uno o più inquinatori individuabili, vi sia un danno concreto e qualificabile e che si possa accertare la sussistenza di un nesso causale tra il danno e i responsabili individuati. Ad un primo esame, comunque, allo stato attuale sembra potersi condividere la soluzione, prospettata anche dall’Adunanza Plenaria nell’ordinanza di rimessione, secondo cui la corretta interpretazione dei principi europei in materia ambientale non osta alla disciplina nazionale che non consente ai pubblici poteri di imporre misure di messa in sicurezza d’emergenza e di bonifica in capo al proprietario del sito non responsabile della contaminazio- ne, prevedendo in capo al medesimo solo una responsabilità patrimoniale limitata al valore del fondo dopo l’esecuzione degli interventi di bonifica secondo il meccanismo dell’onere reale e del privilegio speciale immobiliare. La soluzione opposta, pur potendo forse costituire un passo in avanti verso la tutela dell’ambiente, inteso quale bene della collettività - che, dunque, verrebbe ad essere esonerata dai costi necessari al ripristino dello status quo ante - dovrebbe passare necessariamente attraverso un rilevante mutamento di interpretazione della disciplina esistente se non addirittura attraverso una nuova valutazione legislativa in tal senso. Del resto, recentemente la Corte di Giustizia ha affermato che, in applicazione del principio “chi inquina paga”, l’obbligo di riparazione incombe sugli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell’inquinamento ed essi, pertanto, non devono farsi carico degli oneri ine- ss.; D. Barbato, La tutela risarcitoria del danno ambientale, in Resp. civ. prev., 2009, 1412 ss.; U. Salanitro, Il risarcimento del danno all’ambiente: un confronto tra vecchia e nuova disciplina, in Riv. giur. amb., 6/2008, 939 ss.; A. Liguori, Il risarcimento del danno ambientale tra indicazioni comunitarie e prospettive di recepimento, in Danno e resp., 2005, 12, 1165 ss.; M. Granieri, R. Pardolesi, Oltre la funzione riparatoria della responsabilità civile nella tutela ambientale, in Danno e resp., 1998, 10, 845 ss.; M. Frontoni, Il danno all’ambiente, in Contratto e impresa, 1992, 1015 ss.; M. Franzoni, Il danno all’ambiente, in Contr. impr., 1992, 1015 ss.; P. Perlingieri (a cura di), Il danno ambientale con riferimento alla responsabilità civile, ESI, 1991; E. Moscati, Il danno ambientale tra risarcimento e pena privata, in Quadr., 1991, 170 ss.; L.V. Moscarini, Responsabilità aquiliana e tutela ambientale, in Riv. dir. civ., 1/1990, 489 ss.; A. Luminoso, Sulla natura della responsabilità per danno ambientale, in Cont,. impr., 1989, 894 ss.; G. Ceccherini, Danno e riduzione in pristino nella legislazione ambientale, in Rass. dir. civ., 1988, 66 ss.; A. Di Cupis, La riparazione del danno all'ambiente: risarcimento o pena?, in Riv. dir. civ., 1988, 2, 401 ss.; F. Giampietro, La responsabilità per danno all’ambiente. Profili amministrativi, civili e penali, Milano, 310 ss.; M. Comporti, La responsabilità per danno ambientale, in Foro it., 1987, III, 266 ss.; G. Alpa, Pubblico e privato nel danno ambientale, in Contr. impr., 1987, 685 ss. Da ultimo, W. Giulietti, Danno ambientale e azione amministrativa, cit., 87 ss., ha osservato come in relazione alla tutela dei beni comuni, quali l’ambiente, sia difficile individuare gli elementi necessari ad un corretto ed efficace funzionamento del sistema di responsabilità, ovvero l’esatta valutazione del pregiudizio suscettibile di essere monetizzato, precisi parametri di imputazione e la coincidenza tra il soggetto titolare del bene e dell’interesse e il soggetto legittimato ad agire. (33) La dottrina ha più volte ravvisato l’incoerenza tra il sistema complessivo della responsabilità civile e la particolare disciplina della responsabilità ambientale, considerata espressiva di una logica sanzionatoria propria del diritto pubblico. Sul punto, fra gli altri, P. Perlingieri, La responsabilità civile tra indennizzo e risarcimento, in Rass. dir. civ., 2004, 1079; F.D. Busnelli, La parabola della responsabilità civile, 1988, ora in F.D. Busnelli, S. Patti, Danno e responsabilità civile, Torino, 2003, 155 ss.; C. Vivani, Il danno ambientale. Profili di diritto pubblico, Padova, 2000, 63 ss.; E. Moscati, Il danno ambientale tra risarcimento e pena privata, 1991, ora in Id., Fonti legali e fonti "private" delle obbligazioni, Padova, 1999, 413 ss.; G. Ponzanelli, Corte costituzionale e responsabilità civile: rilievi di un privatista, in Foro it., 1988, I, 1059; G. Morbidelli, Il danno ambientale nell’art. 18, L. 349/1986. Una introduzione, in Riv. crit. dir. priv., 1987, 614 ss.; G. Alpa, Pubblico e privato nel danno ambientale, in Contr. imp., 1987, 685 ss.; S. Rodotà, Modelli e funzioni della responsabilità civile, in Riv. crit. dir. priv., 1984, 600. Proprio la connotazione prettamente pubblicistica e punitiva della disciplina della responsabilità ambientale ha indotto taluni Autori a ritenere che la condanna al risarcimento del danno potesse andare anche oltre le somme necessarie al ripristino dei luoghi, essendo finalizzata ad eliminare l’illegittimo arricchimento ottenuto dal responsabile. Tra gli altri, C. Castronovo, La nuova responsabilità civile, Milano, 2006, 743 ss.; C. Salvi, La responsabilità civile, in Tratt. dir. priv., a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano 1998, 218 ss.; C. Tenella Sillani, voce Responsabilità per danno ambientale, in Dig. disc. priv., sez. civ., vol. XVII, Torino, 1998, 379 ss.; M. Franzoni, Il danno all'ambiente, in Contr. e impr., 1992, 1021 ss.; L. Francario, Danni ambientali e tutela civile, Napoli, 1990, 301 ss.; A. De Cupis, La riparazione del danno all'ambiente: risarcimento, o pena?, in Riv. dir. civ., 1988, II, 401 ss.; P. Cendon-P. Ziviz, L'art. 18 della legge 349/1986 nel sistema della responsabilità civile, in Riv. crit. dir. priv., 1987, 542 ss.; L. Bigliazzi Geri, A proposito di danno ambientale ex art. 18 L. 8 luglio 1986, n. 349 e di responsabilità civile, in Pol. dir., 1987, 256 ss.; A. Gambaro, Il danno ecologico nella recente elaborazione legislativa letta alla luce del diritto comparato, in Studi parlamentari, 1986, 76 ss. Da ultimo, il tema del risarcimento del danno ambientale è stato affrontato nei contributi di U. Salanitro, Il risarcimento del danno ambientale: profili introduttivi, C. Castronovo, La natura del danno all’ambiente e i criteri di imputazione della responsabilità, S. Patti, La quantificazione del danno ambientale, tutti in il danno ambientale tra prevenzione e riparazione, a cura di I. Nicotra, U. Salanitro, Torino, 2010; E. Follieri, Aspetti problematici della tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente, in giustamm.it, 9/2007. Giornale di diritto amministrativo 6/2014 665 Opinioni Ambiente renti alla riparazione di un inquinamento al quale non abbiano contribuito (34). Più nello specifico, la Corte ha statuito che una normativa nazionale può prevedere che l’autorità competente abbia facoltà di imporre misure di riparazione del danno ambientale presumendo l’esistenza di un nesso di causalità tra l’inquinamento accertato e le attività del singolo o dei diversi operatori, anche in base alla vicinanza degli impianti di questi ultimi con il menzionato inquinamento. Tuttavia, poiché, in ossequio al principio «chi inquina paga», l’obbligo di riparazione incombe agli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell’inquinamento o al rischio di inquinamento (35), per poter presumere l’esistenza di un siffatto nesso di causalità l’autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività (36). Ne deriva, dunque, che, per quanto sia possibile ricorrere al meccanismo delle presunzioni per dimostrare la sussistenza del nesso di causalità, quest’ultimo resti comunque un elemento imprescindibile ai fini dell’applicazione del principio “chi inquina paga” e del sistema complessivo della direttiva 2004/35/CE (37). Tale conclusione, in un’ottica comparata, sembra trovare conferma anche nella considerazione che il principio europeo “chi inquina paga” affonda le sue radici storiche nell’omologo principio del diritto tedesco espresso con il termine «Verursacherprinzip», che letteralmente significa “principio del soggetto causatore” (38). (34) Corte di giustizia delle Comunità europee, Grande Sezione, 9 marzo 2010, C-378/08, commentata, tra gli altri, da G. Lo Schiavo, La Corte di giustizia e l'interpretazione della direttiva 35/2004 sulla responsabilità per danno ambientale: nuove frontiere, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2011, 1, 83 ss.; P. Bertolini, Il principio "chi inquina paga" e la responsabilità per danno ambientale nella sentenza della Corte di giustizia 9 marzo 2010 procedimento C-378/08, in Riv. it. dir. pubbl. comunit., 2010, 6, 1607 ss.; L. Prati, Il danno ambientale dopo la novella del 2009 e la decisione 378/2010 della Corte di giustizia, in Riv. giur. amb., 2010, 6, 957 ss. La pronuncia della Corte trae origine da un rinvio pregiudiziale operato dal Tar Sicilia sul tema se il principio «chi inquina paga» e le disposizioni della direttiva 2004/35 ostino a una normativa nazionale che consente all’autorità competente di imporre ad alcuni operatori, a causa della vicinanza dei loro impianti ad una zona inquinata, misure di riparazione dei danni ambientali, senza avere preventivamente indagato sugli eventi all’origine dell’inquinamento, né avere accertato il nesso di causalità tra detti danni e i citati operatori né il dolo o la colpa di questi ultimi. Va evidenziato che, nello stesso giorno, è stata pubblicata la sentenza Corte di giustizia delle Comunità europee, Grande Sezione, 9 marzo 2010, cause riunite C-379/08 e C-380/08, in cui la Corte si è pronunciata sul diverso aspetto delle modalità di riparazione del danno ambientale e sulle relative garanzie procedimentali. (35) Si veda il riferimento a Corte di giustizia delle Comunità europee, 24 giugno 2008, C-188/07, Commune de Mesquer. (36) Secondo la Corte, quando disponga di indizi di tal genere, l’autorità competente è allora in condizione di dimostrare un nesso di causalità tra le attività degli operatori e l’inquinamento diffuso rilevato. Conformemente all’art. 4, n. 5, della di- rettiva 2004/35, un’ipotesi del genere può rientrare pertanto nella sfera d’applicazione di questa direttiva, a meno che detti operatori non siano in condizione di confutare tale presunzione; viceversa, qualora il giudice del rinvio ritenga che l’inquinamento in questione nelle cause principali presenti un carattere diffuso e che non possa essere dimostrato un nesso di causalità, un’ipotesi del genere potrà rientrare non nella sfera d’applicazione ratione materiae della direttiva 2004/35, bensì in quella dell’ordinamento nazionale. (37) Come affermato da W. Giulietti, Danno ambientale e azione amministrativa, cit., 116, anche per le attività più rischiose, in relazione alle quali la responsabilità è tendenzialmente oggettiva, rimane ferma la necessità che l’evento dannoso sia obiettivamente imputabile all’operatore. (38) Per un approfondimento della tematica del risarcimento del danno ambientale nell’ordinamento tedesco, anche in epoca anteriore all’entrata in vigore della normativa di derivazione europea, tra gli altri, A. Somma, Il risarcimento del danno ambientale nelle esperienze tedesca e nordamericana: Geschaftsfuhrung ohne Auftrag e public trust doctrine, in Riv. giur. amb., 1999, 593 ss.; B. Pozzo, La responsabilità per danni all’ambiente in Germania, in Riv. dir. civ., 1991, 599 ss. Più in generale, per un’analisi comparata di modelli stranieri a tutela dell’ambiente, si vedano i contributi di H. D. Jarass, Il codice dell’ambiente in Germania, V. Heyvaert, Codificazione ed accentramento: un punto di vista inglese, C. A. Botassi, Il diritto dell’ambiente in Argentina, C. Cans, La carta costituzionale dell’ambiente: evoluzione o rivoluzione del diritto francese dell’ambiente, F. Fracchia, Amministrazione, ambiente e dovere: Stati Uniti e Italia a confronto, tutti in Ambiente, attività amministrativa e codificazione: atti del primo colloquio di diritto dell’ambiente, a cura di D. De Carolis, E. Ferrari, A. Police, Milano, 191 ss. 666 Giornale di diritto amministrativo 6/2014 TROVARE NEI TUOI LIBRI LA SOLUZIONE CHE CERCHI, DA OGGI È ANCORA PIÙ SEMPLICE. ■ Il sistema di ricerca intelligente che durante la digitazione suggerisce i concetti più coerenti Y33EF-LE Apple e iPad sono marchi di Apple Inc. ■ La lista dei risultati per rilevanza che mette ai primi posti i capitoli più pertinenti con la tua richiesta ■ La gestione personalizzata dei documenti che consente di memorizzare, annotare e stampare ciò che interessa ■ La ricerca integrata all’interno dei migliori sistemi di banche dati Wolters Kluwer Italia, per un’informazione davvero a 360° Consultabile su PC, iPad e altri tablet. 210x297-RIVISTEIPSOA-bn-LMB.indd 297 Scopri subito la nuova versione e richiedi maggiori informazioni su lamiabiblioteca.com UTET Giuridica© è un marchio registrato e concesso in licenza da De Agostini Editore S.p.A. a Wolters Kluwer Italia S.r.l Trovare le soluzioni dei più autorevoli esperti, dove e quando ti servono, è ancora più semplice con LA MIA BIBLIOTECA, la biblioteca professionale in the cloud di Wolters Kluwer Italia con migliaia di volumi pubblicati da CEDAM, UTET Giuridica, IPSOA, il fisco e LEGGI D’ITALIA. 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Basilico Alessandro Enrico La riforma della giustizia sportiva ....................... 647 Battini Stefano Noblemaire, Renzi e le retribuzioni pubbliche ......... 600 28 gennaio 2014, ricorso n. 35810/09, Grande camera ............................................................. 4 marzo 2014, ricorso n. 18640/10, sez. II ............ 563 4 marzo 2014, ricorso n. 36073/04; sez. II ............ 3 aprile 2014, causa C-559/12 P ........................ 656 12 marzo 2014, grande sezione ......................... 18 novembre 2013, n. 5451 ............................. 586 11 aprile 2014 n. 1781, sez. VI .......................... 22 aprile 2014 n. 12, Ad. plen. .......................... INDICE CRONOLOGICO DEI PROVVEDIMENTI 23 aprile 2014 n. 2052, sez. V ........................... 28 aprile 2014 n. 2184, sez. V ........................... 30 aprile 2014 n. 2271, sez. V ........................... Norme Legge 28 marzo 2014, n. 50 ............................. D.l. 31 marzo 2014, n. 52 ................................ D.l. 7 aprile 2014, n. 58 ................................... Legge 7 aprile 2014, n. 56 ............................... Legge 17 aprile 2014, n. 62 .............................. D.l. 24 aprile 2014, n. 66 ................................. 22 gennaio 2014, n. 5943/2012, sez. II, adunanza ... 625 626 23 gennaio 2014, n. 57/2014, sez. atti normativi, adunanza .................................................... 626 23 gennaio 2014, n. 78/2014, sez. atti normativi, adunanza .................................................... 625 8 gennaio 2014, n. 3916/2013, sez. I, parere ......... 563 580 580 579 579 579 579 579 6 febbraio 2014, n. 3199/2013, sez. atti normativi, adunanza .................................................... 6 marzo 2014, n. 419/2014, sez. atti normativi ....... 10 ottobre 2013, n. 2271, Tar Milano, sez. I .......... Legge Regionale Sicilia, 4 gennaio 2014, n. 1 ........ 14 marzo 2014, n. 160, Tar Umbria .................... Legge Regionale Abruzzo, 4 gennaio 2014, n. 4 ..... Legge Regionale Campania, 9 gennaio 2014, n. 1 ... Legge Regionale Sardegna, 9 gennaio 2014, n. 2 ... Legge Regionale Calabria, 13 gennaio 2014, n. 1 .... Legge Regionale Basilicata, 21 gennaio 2014, n. 2 .. Legge Regionale Friuli Venezia Giulia, 14 febbraio 2014, n. 1 ................................................... 668 582 581 584 583 582 583 582 19 marzo 2014, n. 127, Tar Pescara .................... 22 marzo 2014, n. 193, Tar Basilicata .................. 25 marzo 2014, n. 617, Tar Salerno, sez. I ............ 26 marzo 2014, n. 3318, Tar Lazio, sez. II ............. 27 marzo 2014, n. 3383, Tar Lazio, sez. III quater ... 28 marzo 2014, n. 931, Tar Palermo, sez. I ........... 1 aprile 2014, n. 627, Tar Toscana, sez. I ............. 584 624 624 Tribunali amministrativi Normativa regionale Legge Regionale Abruzzo, 4 gennaio 2014, n. 3 ..... 592 622 622 622 621 623 621 Consiglio di Stato (pareri) Normativa statale D.lgs. 4 marzo 2014, n. 54 ............................... 619 619 Consiglio di Stato (decisioni) 22 aprile 2014 n. 11, Ad. plen. .......................... Regolamento parl. europeo e del consiglio 17 dicembre 2013, n. 1303 .................................... 618 617 617 Corte di giustizia Ue e Tribunale Ue Pacini Marco Principio di precauzione e obblighi di informazione a protezione dei diritti umani ............................... Giurisprudenza 5 dicembre 2013, ricorso n. 52806/09, I sez. .........586; 618 611 Nunziata Massimo I principi europei di precauzione, prevenzione e ‘‘chi inquina paga’’ .............................................. Legge Regionale Puglia, 10 marzo 2014, n. 8 ........ 583 581 581 582 582 583 583 582 Corte europea dei diritti dell’uomo Notarmuzi Carlo Le politiche di coesione e la gestione dei fondi strutturali europei nella programmazione 2014-2020 ..... Legge Regionale Puglia, 10 marzo 2014, n. 7 ........ Legge Regionale Lazio, 19 marzo 2014, n. 4 ......... Fonderico Giuliano La programmazione territoriale e le norme di ‘‘liberalizzazione’’ .................................................. Legge Regionale Lazio, 26 febbraio 2014, n. 2 ....... Legge Regionale Campania, 10 marzo 2014, n. 11 .. 561 Cassatella Antonio L’interesse collettivo: nuove distinzioni, vecchie perplessita` ...................................................... Legge Regionale Liguria, 24 febbraio 2014, n. 1 ..... 581 3 aprile 2014, n. 150, Tar Pescara ...................... 611 631 630 630 629 629 631 628 628 627 Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Giornale di diritto amministrativo Indici 4 aprile 2014, n. 518; Tar Liguria, sez. I ................ 4 aprile 2014, n. 415, Tar Marche ....................... 8 aprile 2014, n. 3804, Tar Lazio, sez. I ................ 627 629 627 Corte dei conti 28 febbraio-6 marzo 2014, n. 13/2014, sez. controllo enti, relazione .............................................. 633 11-13 marzo 2014, n. 15/2014, sez. controllo enti, determinazione ............................................. 632 4 aprile 2014, n 7/SEZAUT/2014/QMIG, sez. Autonomie, deliberazione ......................................... 632 Commissione per l’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali 27 gennaio 2014 n. 14/42, delibera ..................... 27 gennaio 2014 n. 14/43, delibera ..................... 17 febbraio 2014 n. 14/65, delibera .................... 3 marzo 2014 n. 14/181, delibera ....................... Responsabilita` dello stato per abusi sessuali nelle scuole - Osservatorio Cedu .............................. 618 Sanzioni amministrative della Consob - Osservatorio Cedu ......................................................... 617 Codice delle leggi antimafia. Banca dati nazionale. Accesso telematico - Osservatorio CdS (pareri) ...... 624 Sistema pubblico di prevenzione delle frodi nel settore del credito al consumo e sul furto d’identita` Osservatorio CdS (pareri) ................................ 624 Edilizia ed urbanistica Condono di abusi edilizi - Osservatorio Tar ............ La programmazione territoriale e le norme di ‘‘liberalizzazione’’ (Tar Lombardia, Milano, sez. I, 10 ottobre 2013, n. 2271), commento di Giuliano Fonderico .... Permesso di costruire - Osservatorio Tar ............. 640 640 639 638 638 Documenti Proposta Cun, adunanza del 22 ottobre 2013 ........ 586 Diritto di accesso Autorita` garante per la protezione dei dati personali 10 ottobre 2013, provvedimenti ......................... 636 21 novembre 2013, provvedimento .................... 636 5 dicembre 2013, provvedimento 636 20 febbraio 2014, provvedimento ...................... 635 6 marzo 2014, provvedimento .......................... 635 20 gennaio 2014 n. 14/29, delibera ..................... corso n. 52806/09 e altri), commento di Marco Pacini ............................................................. 642 629 611 629 Enti locali Avvocati degli enti locali - Osservatorio Tar ........... Dimissioni ultradimidium di consiglieri comunali Osservatorio Tar ........................................... Ici e Imu - Osservatorio Tar .............................. Registro amministrativo delle unioni civili - Osservatorio Tar ..................................................... Tares - Osservatorio Tar .................................. 628 627 627 627 628 Giurisdizione e competenza INDICE ANALITICO Ambiente Compravendita di beni immobili della amministrazione - Osservatorio CdS .................................... 622 I principi europei di precauzione, prevenzione e ‘‘chi inquina paga’’, di Massimo Nunziata ................... La riforma della giustizia sportiva, di Alessandro Enrico Basilico .................................................. 647 Sanzioni disciplinari a magistrati amministrativi - Osservatorio Tar .............................................. 629 656 Contratti pubblici Appalti - Requisiti di ordine generale - Osservatorio CdS .......................................................... Revisione prezzi - Osservatorio CdS .................... 621 621 L’interesse collettivo: nuove distinzioni, vecchie perplessita` (CdS, sez. IV, 18 novembre 2013, n. 5451), commento di Antonio Cassatella ....................... 592 632 Nomina collegio dei revisori dei conti - Osservatorio Tar ........................................................... 630 632 Provvista finanziaria necessaria a far fronte agli obblighi di servizio pubblico - Osservatorio Tar ............. 630 633 Sanzione disciplinare a professore universitario che presta servizio presso A.s.l. - Osservatorio Tar ....... 631 Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Morte del ricorrente - Osservatorio CdS (pareri) ..... 626 Spese di giustizia. Recupero delle spese del processo penale anticipate dall’erario - Osservatorio CdS (pareri) ....................................................... 626 Controlli Incentivi alla progettazione - Osservatorio Corte conti .............................................................. La gestione di Fintecna s.p.a. nel 2012 - Osservatorio Corte conti .............................................. La gestione di Poste italiane s.p.a. nel 2012 - Osservatorio Corte conti ......................................... Diritti dell’uomo Imparzialita` della Corte amministrativa Suprema Osservatorio Cedu ........................................ 617 Obblighi di informazione a carico delle pubbliche amministrazioni - Osservatorio Cedu ....................... 618 Principio di precauzione e obblighi di informazione a protezione dei diritti umani (Corte europea dei diritti dell’uomo, I sezione, sentenza 5 dicembre 2013, ri- Giornale di diritto amministrativo 6/2014 Giustizia amministrativa Processo amministrativo Reclamo contro l’attivita` del commissario ad acta Osservatorio Tar ........................................... 631 669 Giornale di diritto amministrativo Indici Regolamento di competenza nei giudizi di interesse del Tar Sicilia - Osservatorio CdS ....................... Translatio iudicii e appello - Osservatorio CdS ........ 622 622 Protezione dati personali Dati personali nella pubblica amministrazione - Osservatorio Autorita` Ind. ................................... Telefonate mute - Osservatorio Autorita` Ind. ......... 636 636 636 635 Trattamento dei dati nei partiti politici - Osservatorio Autorita` Ind. ................................................ 635 Lavoro su internet - Osservatorio Autorita` Ind. ....... Presidi sanitari - Osservatorio Autorita` Ind. ............ Astensione degli addetti ai servizi di ristorazione e di pulizia in ambito aeroportuale - Osservatorio Autorita` ind. ........................................................... 640 Il regolamento sul personale della commissione di garanzia - Osservatorio Autorita` ind. ................... 638 L’astensione dei conducenti del servizio taxi - Osservatorio Autorita` ind. ....................................... 638 La valutazione del comportamento datoriale all’obbligo di fornire informazioni su vertenze e relativi conflitti - Osservatorio Autorita` ind. ......................... 640 Aiuti di Stato - Osservatorio Corte Ue ................. Noblemaire, Renzi e le retribuzioni pubbliche, di Stefano Battini ................................................. 561 Silenzio della amministrazione. Tutela - Osservatorio CdS .......................................................... 623 Pubblico impiego Le politiche di coesione e la gestione dei fondi strutturali europei nella programmazione 2014-2020 (Regolamento del parlamento europeo e del consiglio del 17 dicembre 2013, n. 1303), commento di Carlo Notarmuzi ................................................... Liberta` di soggiorno - Osservatorio Corte Ue ......... Militari. Assistenza ai portatori di handicap. Requisiti per il trasferimento - Osservatorio CdS (pareri) ....... Sciopero Accordo per il personale addetto alle attivita` di rigas- 670 639 Unione europea Pubblica amministrazione Hanno collaborato: C. Barbati A.E. Basilico F. Battini S. Battini L. Carbone C. Cardoni A. Cassatella L. Castelli E. Chiti M. D’Adamo L. D’Ambrosio F. Di Lascio G. Ferrari G. Fonderico L. Grassucci C. Lacava C. Lieto M. Mariani C. Notarmuzi M. Nunziata M. Pacini D. Sabatino S. Screpanti U.G. Zingales sificazione e distribuzione del gas naturale liquefatto - Osservatorio Autorita` ind. .............................. 626 619 563 619 Universita` La scientificita` delle pubblicazioni nelle pronunce del consiglio universitario nazionale (Cun, adunanza del 22 ottobre 2013), commento di Carla Barbati ........ 642 Professore ordinario di diritto amministrativo, Universita` IULM di Milano Avvocato e Dottore di ricerca in diritto costituzionale, Universita` degli Studi di Milano Presidente onorario della Corte dei conti Professore di diritto amministrativo nell’universita` della «Tuscia» Presidente di sezione del Consiglio di Stato Funzionario comunale Ricercatore di diritto amministrativo nell’Universita` degli Studi di Trento Ricercatore di diritto pubblico nell’Universita` di Perugia Professore straordinario di diritto amministrativo nell’Universita` della «Tuscia» Dirigente amministrativo presso la regione Campania Consigliere della Corte dei conti Ricercatore di diritto amministrativo nell’Universita` di «Roma Tre» Magistrato dei Tar Avvocato in Roma Dirigente del Consiglio di Stato Dirigente della Presidenza del Consiglio dei Ministri Dottore di ricerca in diritto amministrativo nell’Universita` «Sapienza» di Roma Direttore Centrale Programmazione, bilancio e controllo presso Inail Dirigente generale della Presidenza del Consiglio dei Ministri Assegnista di ricerca in diritto amministrativo nell’Universita` di Roma «Tor Vergata» Dottore di ricerca in organizzazione e funzionamento della p.a. nell’Universita` «Sapienza» di Roma Consigliere di Stato Dottore di ricerca in diritto amministrativo nell’Universita` di «Roma Tre» Consigliere della Corte Costituzionale Giornale di diritto amministrativo 6/2014
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