Articolo Oltre - Il Pirellino

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S P A Z I
A R C H I T E T T U R E
Il Pirellino
vestito di nuovo
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Sposa la contemporaneità di tecnologia e design
l’opera di Gio Ponti a Voghera
Marcella Bricchi
uell’edificio che nel cuore della città sovrasta
con una certa imponenza i palazzi circostanti,
nascosto negli ultimi anni dalle impalcature
che ne hanno celato l’opera di restyling, simbolo nel decennio del boom economico del nuovo che avanza, di una modernità a cui la città di
Voghera ha sempre anelato, ma mai coraggiosamente perseguito fino in fondo, è l’unico progetto
realizzato in provincia di Pavia da Gio Ponti, uno dei maggiori
architetti del ‘900.
Q
Un progetto d’autore
per guardare al futuro
lo chiamano “il
Pirellino”, probabilmente perIchévogheresi
coevo del “fratello maggio-
re”, opera universalmente nota,
dello stesso architetto, il grattacielo Pirelli di Milano, per i
milanesi “il Pirellone”. L’opera
vogherese fu commissionata allo
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Studio di Architettura PontiFornaroli-Rosselli di Milano
nella seconda metà degli anni ‘50
dal Pio Istituto Agricolo Carlo
Gallini. Il progetto presentato era
decisamente ambizioso e, rispetto
a quanto realizzato, prevedeva un
complesso di edifici ben più
articolato, la cui costruzione
avrebbe mutato radicalmente il
volto del centro storico cittadino. L’ingresso alla via Emilia da
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Sopra:
“Amate l’Architettura”,
1957;
a sinistra:
maquette del progetto
“Centro Gallini”, lato
nord, sulla via Emilia;
a destra:
il progetto Ponti del
palazzo edificato;
sotto:
uno scorcio dell’edificio
negli anni Ottanta
piazza Meardi, racchiuso tra due alti
palazzi di cemento armato e vetro, si
sarebbe chiamato “porta del sole”
(V.G.Bono, “Voghera palazzi e chiese”). Nel 1957 l’ufficio tecnico del
comune di Voghera comunica al Pio
Istituto Agricolo Carlo Gallini l’approvazione alla lottizzazione della proprietà di via Emilia e via Bellocchio e
del progetto esecutivo di una parte del
piano presentato per “il Centro Gallini” (in Via Bellocchio).
In quello stesso anno viene pubblicato
“Amate l’Architettura” un volumetto
scritto da Ponti, importante testimonianza storica dell’architettura italiana,
in cui compare anche l’idea del progetto vogherese.
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La proposta di Gio Ponti
accolta a metà
innovativo progetto, assolutamente coerente con la visione
di Gio Ponti, prevedeva la costruzione di un complesso composto da due
palazzi di dieci e cinque piani da adibire a uffici e una struttura di collegamento orizzontale pensata per negozi.
La proprietà Gallini sulla via centrale
della città sarebbe stata abbattuta per
lasciare spazio al nuovo complesso.
Tuttavia il progetto di Ponti venne
accolto solo in parte, la residenza
ottocentesca fu “risparmiata”, come
ricorda Vittorio Emiliani in una lette-
L’
ra pubblicata sulla Provincia Pavese
nel 2005, grazie “all’intervento della
Soprintendenza ai Monumenti (allora
si chiamava così) di Milano, sollecitato da un personaggio vogherese [...] il
nobile don Jacopo Lauzi de Ro, ispettore onorario della Soprintendenza
stessa per Voghera”. Furono abbattuti
i rustici di casa Gallini e venne realizzato soltanto il palazzo di cinque piani che avrebbe ospitato uffici amministrativi, abitazioni e al piano
terra un auditorium, come
riportato sui cartigli
tecnici dei layout
di progetto.
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Sopra:
maquette del progetto
“Centro Gallini”,
vista d’insieme;
a sinistra:
la planimetria
indica i tre edifici
dell’intero complesso
(A - B - C),
quello in seguito
costruito
è contraddistinto
dalla lettera A
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A sinistra e sotto:
ceramiche
“a diamante”
disegnate da Gio Ponti
negli anni Cinquanta
e prodotte
da Ceramica Joo;
al centro:
uno scorcio
del grattacielo Pirelli;
in basso:
uno scorcio
del Pirellino
Gio Ponti
Centro Gallini
e grattacielo Pirelli:
analogie stilistiche
è un concetto che sottende al
lavoro creativo di mio padre –
afferma Letizia Ponti – che è filo
conduttore, il concetto dell'illusione,
un elemento forte: suggerire l’idea di
leggerezza; in un edificio, in una
costruzione, in un oggetto, l’illusione che siano ancora più leggeri di
quello che sono”.
L’illusione in questo caso nasce da
una percezione ottica. Linearità,
dinamicità, ritmo, scansione degli
spazi concorrono a raggiungere l’obiettivo. Angoli ottusi o acuti, geometrie romboidali che creano prospettiche linee di fuga snellendo gli
elementi. La nuova forma a diamante, che Ponti applica nei suoi proget-
“C’
ti diventa un'icona della modernità.
La “pelle” dell’edificio; una ricerca
che Ponti sviluppa per accentuare
ritmo e dinamicità con la complicità
della luce sulle superfici.
La facciata del Centro Gallini era
rivestita di piastrelle ceramiche grigie
dal taglio “a diamante”, prodotte da
Ceramica Joo, le stesse del grattacielo
Pirelli, rivestimento che utilizza successivamente anche nel progetto della chiesa di San Francesco al Fopponino di Milano.
Conferisce dinamicità anche la
sequenza di fasce orizzontali, con le
tipiche finestre a nastro, senza soluzione di continuità sull’intero prospetto dell’edificio. Finestre che
furono prodotte dalla ditta Sculponia di Casteggio, con l’innovativo
sistema basculante brevettato dalla
ditta stessa.
A sinistra:
uno schizzo
prospettico, disegnato
su lucido,
del “Centro Gallini” dello studio di architettura
Ponti Fornaroli Rosselli
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A sinistra:
uno scorcio della scala
del Pirellino
in una foto
degli anni Ottanta;
a destra:
lampade disegnate
da Ponti per
l’auditorium
del Centro Gallini,
prodotte da Candle;
sotto:
alcuni schizzi di studio
delle lampade e
la plafoniera a forma
di sole, anch’essa
disegnata da Ponti
per l’auditorium
e prodotta da
Arredoluce
Una progettazione
a 360 gradi
alla struttura al dettaglio degli
arredi e delle finiture, il progetto di Ponti era un pacchetto completo, così anche per il Centro Gallini.
Luigi Canevari, appassionato di
modernariato, ha raccolto copie dei
progetti e testimonianze fotografiche
di come si presentavano gli interni
prima della ristrutturazione.
Per i serramenti maniglie modello
“lama”, disegnate da Ponti e tuttora
prodotte da Olivari; porte a soffietto,
realizzate in modern-fold, che ricordano le pareti scorrevoli che l’architetto ha adottato in molti suoi progetti, dalla sua casa di via Dezza a
Milano, ora sede dell’Archivio Ponti,
D
Sotto:
la poltroncina “Airone”
di Arflex;
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alla Villa Nemazee di Teheran, così
anche nell’auditorium del Centro
Gallini per separare all’occorrenza la
sala riunioni (250 posti) dall’atrio
d’ingresso.
Sempre per l’auditorium sono state
disegnate lampade da terra e applique con diffusori curvi in alluminio
anodizzato dorato con luci a incandescenza, sistema linestra, prodotte
da Candle e lampadari in ottone a
forma di sole prodotti da Arredoluce, impiegati nel 1964 anche negli
interni dell’Hotel Parco dei Principi
di Roma. Tra gli arredi della sala riunioni erano previste le poltroncine
da ufficio “Airone”, rivestite in vinilpelle grigio, disegnate da Gio Ponti
& Alberto Rosselli e prodotte nel
1955 da Arflex.
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In queste pagine
scorci e particolari
del “nuovo”
Pirellino
Il Pirellino
diventa “Green house”
ove c'è architettura c'è Italia,
perché è la passione antica
nazionale, che ha attraversato tutte le
trasformazioni ed altre ora ne attraversa. Essere conservatori italiani in
architettura (e nel resto), non significa conservare i pensieri negli stili
antichi, io penso, ma significa solo
conservare l’antica energia italiana di
trasformarsi continuamente”. La frase che Gio Ponti ha scritto in “Amate l’Architettura” è stata osservata
alla lettera per l’opera di restyling del
Pirellino.
Acquistato, all’asta indetta da Regione Lombardia per la vendita di proprietà del fondo Gallini, dalla società
immobiliare Le Cinque Porte di Lecco, per l’edificio di via Bellocchio si è
“D
pensato a una concezione dell’abitare
contemporanea, dove tecnologia e
design sono cardini imprescindibili.
La ristrutturazione è stata affidata
all’Architetto Marco Fumagalli.
“Abbiamo lavorato perché l’edificio
fosse dotato delle più moderne soluzioni rese disponibili dalla tecnologia –
scrive la società proprietaria – Il palazzo prima di essere ristrutturato è stato
completamente smantellato e sono stati rimossi sia i vecchi impianti sia tutti i
materiali non idonei a una moderna
concezione di “Green house”.
Stiamo affrontando e vivendo consapevolmente un cambiamento culturale rivolto alla sostenibilità ambientale e al miglioramento della qualità
della vita. Un edificio ecologico, isolato ed efficiente, dovrebbe essere il
punto di partenza di una visione
futuristica nella progettazione edilizia sostenibile.
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A destra e sotto:
vista sulla città
dall’ampia balconata
al piano attico;
nella pagina a lato:
uno scorcio della scala,
dove si è tradotta in
una soluzione
contemporanea
l’ampia vetrata
geometrica
e particolari di un
appartamento arredato
dallo Studio “Spazio
Schiatti” con mobili
di design
Un cappotto isolante applicato
all’immobile e la facciata ventilata
che lo ricopre, mantenendo un flusso d’aria che impedisce agli agenti
atmosferici di aggredire direttamente
la struttura, isolano in modo acustico e termico gli interni.
E’ stato progettato un impianto geotermico che permette un riscaldamento a pavimento e un impianto
di raffrescamento garantendo un
grande risparmio energetico e nessuna emissione di sostanze nocive.
Serramenti dal taglio termico e dalle
finiture innovative, scelti però con
elegante sobrietà.
Gli interventi tecnologici elaborati
hanno permesso di ottenere la certificazione in classe A.
Il “nuovo” Pirellino può essere anche
domotico, è infatti predisposto un
sistema automatizzato che crea
comfort nella quotidianità e ne riduce i costi di gestione.
Massimo comfort abitativo, salubrità
dell’ambiente domestico e risparmio
energetico, uniti alla possibilità di
personalizzazione nella suddivisione
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degli spazi e nelle finiture.
L’edificio attualmente ospita diciotto
appartamenti dalle metrature differenti, forniti con cucina adattabile,
compresa nel progetto d’arredo proposto dallo Studio “Spazio Schiatti”
con una visione d’interni coerente
alla personalità del progetto.
Il vecchio auditorium del Centro
Gallini è stato trasformato in garage
disposto su tre livelli interrati accessibili da montavetture con una
capienza di 25 auto ed è stato istallato un sistema antincendio “a schiuma” di massima sicurezza.
Il sogno di Gio Ponti a Voghera prosegue e il Pirellino continua ad essere
una vera casa del futuro.
Marcella Bricchi
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S P A Z I
I N T E R V I S T A
Un incontro con la terzogenita
dell’architetto che ha disegnato il Novecento
Il Ponti
Sara Gabba
di
Letizia
li occhi ancora vivaci e luminosi come nella foto sul
comò che la ritrae in bianco e nero accanto al marito
nel giorno del loro matrimonio, 57 anni fa, una
memoria nitida e appassionata, un sorriso aperto e
sicuro: Letizia è una giovane signora di 81 anni
splendidamente portati, terza dei quattro figli di Giò
Ponti, l’architetto che ha “disegnato il Novecento”.
G
Sopra:
Letizia Ponti, Marcella
Bricchi e Sara Gabba;
a sinistra:
la dedica scritta
da Gio Ponti alla figlia
sul frontespizio
di “Amate
l’Architettura”
La casa milanese dove vive è già di per
sé un pezzo di storia: l’abitazione
occupa infatti uno dei piani della
Domus Livia, progettata dal padre nel
1933, poco meno di un secolo fa. Le
linee del palazzo, la disposizione degli
ambienti nell’appartamento e gli elementi d’arredo ne recano l’inconfondibile impronta, ma anche i volumi
nella libreria parlano della sua persona
e delle sue opere. Sfogliando alcuni di
quei libri, Letizia Ponti racconta:
“Mio padre era del 1891: è nato proprio nel salto fra due secoli ed è vissuto nel periodo in cui l’Italia si è reinventata. C’era voglia di fare, di ricostruire dopo la guerra”. L’idea del rinnovamento era quindi connaturata al
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suo essere curioso e sperimentatore.
“Studiò architettura al Politecnico:
erano solo in 7 allievi – impressionante pensando ai numeri di oggi! – Negli
anni ’30 e ’40 Milano era ‘piccola’: gli
esponenti della borghesia illuminata
di allora e tutti gli artisti si conoscevano e si frequentavano. La città era un
centro culturale in gran fermento, gli
stimoli erano continui”.
Profondo fu il rapporto di amicizia e
di collaborazione che legò Ponti allo
scultore e ceramista Melotti (“Erano
sordi tutti e due: s’intendevano benissimo”, dice Letizia sorridendo) con il
quale realizzò progetti e sperimentazioni importanti. Il legame con
Melotti è anche indicativo della passione che l’architetto nutrì per l’arte
ceramica: era affascinato dall’abilità
manuale sottesa alla sua lavorazione e
dalla perizia artigianale che è in grado
di trasformare un materiale povero in
un’opera d’arte. “Mio padre amava la
creatività e la cercava anche nei piccoli
oggetti. Incoraggiava i ceramisti e gli
artisti a reinventarsi, ad abbandonare
le formule decorative tradizionali, a
schiudere il loro potenziale”.
Dalle parole di Letizia prende forma la
figura di un uomo determinato, con
grande fiducia in se stesso e nel futuro.
“Apprezzava i colori vivaci, in particolare l’azzurro e il giallo: aveva una personalità solare. Era comunicativo, un
animale sociale: gli piaceva circondarsi
di persone” – ricorda Letizia – “Aveva
un’indole ottimista e sperimentatrice.
Si era incendiato di entusiasmo per i
nuovi materiali che proprio allora iniziavano ad essere prodotti: la formica,
la plastica. Rappresentavano un universo nuovo di cui bisognava esplorare
le potenzialità e i limiti”.
Disegnò tutto ciò che poteva sognare:
case, uffici, chiese, alberghi, ceramiche, posate, mobili, accessori d’arredo,
tessuti, costumi per il teatro ed anche
elettrodomestici (la macchina da cucire “Visetta”, commissionatagli dalla
Visa di Voghera nel 1949 spunta, inaspettata, in un angolo dell’appartamento della signora Letizia).
“Papà ha lasciato moltissimo materiale: bozzetti, disegni, progetti. Una
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miniera, certo, ma anche un’alluvione!
Catalogare tutto è stata un’impresa
ardua. Era però un uomo pratico e
non un teorico. Ha infatti scritto un
solo libro e in esso ha raccolto tutto il
suo pensiero e le sue convinzioni estetiche. Il titolo è indicativo della sua
personalità: ‘Amate l’architettura’,
un’esortazione, quasi un imperativo”.
Aprendo il libro legge la dedica autografa del padre: “Amate la Tita! – questo era il soprannome familiare di
Letizia – E sposatela, o lazzaroni!”. E
sorride con dolcezza, schermendosi.
Ma com’era Giò Ponti nella vita
domestica? “La famiglia – risponde –
era roba della mamma! Lui era completamente assorbito dal suo lavoro e
tutto il resto vi girava intorno. Ma era
come un vortice: trascinava tutti nel
suo turbine. Era rigoroso, esigente,
pignolo, determinato e appassionato”.
Letizia ha lavorato per molti anni al
suo fianco: si occupava delle relazioni
esterne dello studio paterno, curandone soprattutto i rapporti con l’estero.
Ma com’era lavorare con suo padre?
“Sfiancante. Era uno schiavista. Non
si fermava mai. Ricontrollava continuamente i suoi progetti: era un perfezionista. A volte correggeva all’ultimo momento le tavole che i disegnatori, in studio, stavano mettendo in
bella, grattando via la china”.
Illuminante sul carattere meticoloso
dell’architetto è un episodio singolare
relativo a un importante lavoro che lo
impegnò dal 1953 al 1957, ossia il
progetto di villa Planchart a Caracas:
“La prima volta che si recò là per
supervisionare il terreno, non conosceva molto di quel Paese, ma voleva arrivare preparato: partì portando con sé
un volume dell’enciclopedia che parlava del Venezuela e lo studiò durante il
viaggio aereo”.
Osservare ciò che lo circondava era
una continua fonte di ispirazione per
Sopra a sinistra:
uno scorcio della
residenza
di Letizia Ponti, con la
“superleggera”, la sedia
disegnata dal padre;
sopra a destra:
la Visetta, un progetto Ponti
per la Visa di Voghera
lui, soprattutto quando si trovava in
paesi lontani. Per questo amava molto
viaggiare, anche se, all’epoca, spostarsi
non era facile o veloce come lo è adesso. La rivista “Domus” che Ponti
fondò nel 1928 e alla quale si dedicò
con la prima figlia Lisa, fu un’esperienza cruciale per il suo lavoro: “Era
una finestra sul mondo, un momento
di incontro e di confronto con la
realtà straniera e gli artisti che operavano negli altri paesi, in un periodo in
cui i voli low cost non esistevano”.
Non era solo un ideatore: “Lo ha sempre caratterizzato una grande facilità
di disegno, anzi: una gioia del tratto”.
Lo testimoniano i numerosi quadri
che popolano le pareti dell’appartamento di via del Caravaggio: acquerelli “asciutti” e disegni a matita (dolcissimo il profilo della moglie mentre
allatta la piccola Lisa), bozzetti per il
teatro, le maschere (“Gli Arlecchini
non sono seri”, ripeteva), i biglietti
con l’inchiostro sfumato a mano (“Per
un anno papà ha avuto il dito macchiato di nero: stendeva così le gocce
di inchiostro sulla carta”) e i ritratti dei
suoi compagni d’armi che dalla tela
sembrano raccontare la loro storia.
Un vulcano di idee e di energia, guidata da una lucida e rigorosa determinazione: ecco i tratti dell’uomo ed
artista che si ritagliano dai ricordi della
figlia. Una personalità forte ed entusiasta, quella di Giò Ponti, la stessa che
ha ereditato anche la grintosa Letizia.
Sara Gabba
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