L’ultima dottrina filosofica di Pasolini: la mutazione antropologica di Enrico Petris Indice Introduzione Il discorso di Pasolini Il discorso di Cefis Il discorso delle BR La dimensione filosofica del discorso di Pasolini 2 pag. 3 pag. 6 pag. 11 pag. 19 pag. 22 Introduzione Di una mutazione antropologica, in senso lato, in Italia parlano a metà degli anni Settanta pressoché contemporaneamente tre diversi soggetti: Pasolini, Cefis e le Brigate rosse. In un passo delle Lettere luterane Pasolini dice che nella mutazione antropologica “si tratta…della perdita dei valori di una intera cultura: valori che però non sono stati sostituiti da quelli di una nuova cultura”1. Ne parla cioè in termini non troppo dissimili da quelli in cui Nietzsche parla della morte di dio. Se volessimo condensare, come si fa per esempio proprio con Nietzsche2, l’opera di Pasolini in quattro grandi dottrine, potremmo dire che esse sono la sua religiosità naturale aconfessionale ed ateistica, l’insistenza sulla realtà fisica del mondo intesa come linguaggio naturale3, l’utilizzo in modalità criptate della teoria critica francofortese e la critica del presente politico come mutazione antropologica. Essa è l’ultima, anche in termini temporali, è la più nuova e matura, delle sue grandi dottrine, è l’ultimo grande discorso di Pasolini. È necessario però ricordare, oltre ai temi, anche le indicazioni di metodo che Pasolini fornisce in apertura del famoso articolo su "Il Mondo" dell'agosto 1975 in cui chiedeva di processare la 1 P. Pasolini, Lettere luterane, Torino 1976, pag. 90. 2 Per Nietzsche le quattro dottrine fondamentali, come è noto, sono la morte di dio, l’oltreuomo, la volontà di potenza e l’eterno ritorno dell’identico. Pasolini, I sintagmi viventi e i poeti morti, “Rinascita” 33 (1967) ora in Empirismo eretico, Milano 1972, pp. 254-259. 3 3 Democrazia Cristiana4. Possiamo qui trovare infatti una vera e propria indicazione metodologica di indagine storiografica. È il ‘discorso sul metodo’ questo articolo di Pasolini. Per limitarci solo al confronto con il discorso del metodo degli albori della modernità, quello della chiarezza e distinzione di Descartes, quello di Pasolini mantiene la chiarezza ma afferma la necessità di cogliere i nessi e l’intreccio. Non la distinzione e l’isolamento ma il rapporto e le connessioni sono ciò che lo caratterizza. Pasolini afferma che la verità del potere è nota, cioè è chiara, ma resta opaca perché i fatti vengono presi in considerazione singolarmente senza concatenarli. "Del resto tale verità del potere è già nota, ma è nota come è nota la realtà del Paese: è nota cioè attraverso una interpretazione che divide i fenomeni, e attraverso la decisione irrevocabile, nelle coscienze di tutti, di non concatenarli."5 Anche in Che cos’è questo dell’intellettuale come di colui golpe? Pasolini parlava “che coordina fatti anche lontani, che rimette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.”6 La verità sta nella ricerca dei nessi e non nella divisione dei fenomeni. La dicibilità della verità è possibile solo dopo aver intrapreso la hegeliana fatica del concetto per determinare il vero come intero7. Da giovane, il sistematico Hegel aveva definito la totalità come “legame del legame e del non legame”, e aveva preso nettamente le distanze dall’intelletto illuministico che scinde e 4 Ora in Lettere luterane, cit. pp. 107-113. ivi, pag. 108. 6 Pasolini, Scritti corsari, Milano 1975, pag. 75. 7 Fatica del concetto e vero come intero sono espressioni che Hegel usa nella Fenomenologia dello spirito. Di analogie formali tra il testo hegeliano e il romanzo postumo di Pasolini parla E. Capodaglio, Congetture sugli appunti di “Petrolio”, “Strumenti Critici”, 3 (1996), pp. 331-367. 5 4 separa8. E non è forse Pasolini quello che afferma che il suo sogno è la Semiologia generale della Realtà9? Anche l’antisistematico Adorno della ultima fase pensava al complesso sociale in termini di industria culturale da analizzare secondo la logica includente e connettente della dialettica negativa10. Al culmine della sua maturità intellettuale Pasolini ammonisce a non dividere, a concatenare, a metter assieme, a connettere. Come avrebbe detto Gregory Bateson, ad individuare la struttura che connette11. La struttura che connette è una teoria sul presente storico pessimistica quanto quella di Adorno sulla società totalmente amministrata. La struttura che connette nell’ultimo Pasolini si chiama “mutazione antropologica”. La dottrina della mutazione antropologica ogni tanto compare con delle variazioni, per esempio nella forma di “degradazione antropologica”12, che è però il significato specifico della mutazione antropologica, essendo essa considerata da Pasolini una forma del male, un vero e proprio genocidio antropologico, come nell’articolo Verso il genocidio, e quindi una vera e propria 8 La totalità come legame del legame e del non legame si trova nel Frammento sistematico dell’idealismo tedesco del settembre del 1800, attribuito a Hegel. La critica dell’intelletto illuministico, analitico, si trova in molti testi hegeliani, ma soprattutto nella Fenomenologia dello spirito. Non stupisca trovare citato Hegel in punti di alta densità teorica di Petrolio, (Pasolini, Petrolio, Torino 1992) come per es. a pag. 410, e poi più diffusamente durante il discorso della festa della Repubblica dell’intellettuale F. in casa Miceli, su cui si v. le pp. 523-525. 9 Pasolini, I sintagmi viventi e i poeti morti, in Dialogo con Pasolini. Scritti 1957-1984, Roma 1985, pp. 122-123. 10 Th. W. Adorno, Negative Dialektik, trad. it. di C. Donolo, Dialettica negativa, Torino 1980.2 11 G. Bateson, Mind and nature, trad. it. di G. Longo, Mente e natura, Milano 1984, pag. 21. 12 Come nelle Lettere luterane, cit. pag. 114. 5 degradazione. In una occasione Pasolini arriva all’iperbole parlando del “cataclisma antropologico” del consumismo13. Indipendentemente dall’intensificazione emotiva del sintagma usato, quella della mutazione antropologica di Pasolini non è una tesi completamente originale, come vedremo, ma al contempo è capace di illuminare un lato del concetto che i suoi predecessori non avevano intravisto e che costituisce l’autentica novità apportata da Pasolini. Il discorso di Pasolini Gli articoli in cui Pasolini utilizza la formula “mutazione antropologica”, argomentandola tematicamente in modo ampio, risalgono all’ultimo periodo della vita del poeta. Si tratta di tre testi14 usciti sul “Corriere della sera” e sul “Mondo” tra il giugno e il luglio del 1974. Essa viene poi ripresa nel corso del suo ultimo anno di vita in numerosi articoli arricchendola di ulteriori sfumature di significato, facendolo insomma diventare, da breve formula, vero discorso. È però nei tre articoli di giugno-luglio 1974 che si trova per la prima volta quell’espressione originale di Pasolini, usata da lui per primo e poi destinata ad un utilizzo diffuso, anche se spesso con contorni diversi da quelli usati da Pasolini. Quello sulla mutazione antropologica è l’ultimo grande 13 Pasolini, Scritti corsari, cit. pag. 89. 14 Sono lo Studio sulla rivoluzione antropologica in Italia sul “Corriere” del 10 giugno 1974 col titolo Gli italiani non sono più quelli, Il vero fascismo e quindi il vero antifascismo sul “Corriere” del 24 giugno 1974, con il titolo di Il potere senza volto, e l’ Ampliamento del “bozzetto” sulla rivoluzione antropologica in Italia su “Il mondo” del 11 luglio 1974. Rispettivamente alle pp. 35-39, 40-44 e 49-55 degli Scritti corsari, cit. 6 discorso di Pasolini, è il discorso dell’ultimo Pasolini. Mutazione antropologica è espressione da saggista della cultura, è propria cioè di colui che si solleva dallo stretto orizzonte dell’attualità per abbracciare spazi vasti della cultura mondiale al fine di individuarne il suo senso e la sua direzione. Ce la si può aspettare da un filosofo più che da un poeta. Ma Pasolini nella sua veste saggistica è anche filosofo, è in grado cioè di leggere la realtà nella sua complessità, di leggerla come semiologia generale. Se il sintagma è pertanto originale, l’idea a cui esso rimanda non può essere senz’altro considerata nuova. C’è un modo precedente a quello di Pasolini, direi addirittura antico di intendere un concetto così moderno come quello di mutazione antropologica, ed è quello che si ritrova nei richiami di saggezza dei filosofi antichi che hanno la loro miglior espressione nel conosci te stesso delfico e poi socratico. La pratica della filosofia nell’antichità era caratterizzata da un insieme di esercizi sul sé tali da permettere una autentica trasformazione della propria natura. Una tale insistenza sul mutar pelle era anche quella del cristianesimo e delle filosofie della saggezza, che dagli stoici a Montaigne arriva all’oltreuomo nietzscheano. La proposta nietzscheana del passaggio dall’ultimo uomo all’oltreuomo era forse una visione sulla società in trasformazione di fine ottocento. La più importante mutazione antropologica fra i due secoli non è data tanto dalla guerra quanto dalla società di massa. Nonostante la grande enfasi sulle trasformazioni indotte dalla grande guerra, è forse opportuno cercare in fenomeni di più lunga durata e più pervasivi, come la formazione della società di massa, il vero indicatore delle trasformazioni epocali. Non hanno mancato di ricordarcelo, tra gli altri, soprattutto Adorno e Marcuse, forse i critici più spietati della società di massa, o società totalmente amministrata, della tecnica e dell’omologazione culturale. In Italia le tematiche dei francofortesi, benché mai citate direttamente, erano pensate e ridiscusse frequentemente da Pasolini che ne condivideva, per esempio, l’aspetto di critica della tecnica. Rivelatrice della inaffidabilità della tecnica è la chiusura di un importante articolo 7 dal taglio decisamente filosofico di Pasolini I sintagmi viventi e i poeti morti dove, tra le altre cose, egli si chiede se sia possibile un cinema di poesia lirica15, e risponde che qualora lo fosse non sarebbe di certo per i nuovi mezzi che la tecnologia mette a disposizione. È questa uno dei tanti esempi della affinità tra Pasolini e la teoria critica francofortese, la cui avversione alla tecnica è troppo nota per dover essere qui richiamata. Basti dire che Adorno16, ma anche Horkheimer17 e Marcuse18, hanno sempre dimostrato un forte sospetto nei confronti dello sviluppo della tecnica, che essi consideravano tutto interno al processo di accumulazione capitalistica. Ed è altrettanto nota la critica continua, un vero e proprio leit motiv, che Pasolini rivolge ai nuovi strumenti tecnologici che, se è vero che in parte migliorano la nostra esistenza, hanno però anche il compito di trattenerci all’interno del “penitenziario del consumismo19”. 15 Un cinema di poesia lirica potrebbe forse oggi essere considerato quello di Silvio Soldini o di Aki Kaurismäki. 16 La critica alla società tecnologica in Adorno mi pare frutto del suo antiobiettivismo husserliano latente. Il testo più celebre è senz’altro il capitolo su L’industria culturale, contenuto nella Dialektik der Aufklärung. Philosophische Fragmente, Amsterdam 1947, trad. it. di L. Vinci, Dialettica dell’illuminismo, Torino 19762, opera scritta con Horkheimer. Di diverso parere sul rapporto Pasolini-Adorno è A. Brossat, De l’inconvénient d’être prophète dans un monde cynique et désenchanté, “Lignes” 18 (2005), pag. 62. In Max Horkheimer la critica è più sfumata ma si può trovare in Eclipse of Reason, New York 1947, trad. it. di E. Vaccari Spagnol, Eclisse della ragione, Torino 19696. 18 Per Marcuse si v. per es. Alcune implicazioni sociali della moderna tecnologia, in A.R.L Gurland, O. Kirchheimer, H. Marcuse, F. Pollock, Tecnologia e potere nelle società post-liberali, Napoli 1981. 17 19 Pasolini, Lettere luterane, cit. pag. 96. 8 Una ulteriore prova della vicinanza teorica di Pasolini alle tematiche francofortesi può essere trovata nell’Appunto 84 di Petrolio, intitolato Il gioco, dove vi è un chiaro esempio dell’uso della dialettica negativa: “Chi irride una parte del mondo sociale, mettiamo la borghesia conformista che senza capir nulla passa da una fase all'altra, dalla pace alla guerra, dal benessere alla strage, dalle abitudini all'annientamento totale, non può non irridere insieme chi fa questo. L'irrisione non può che riguardare tutta l'intera realtà e infatti è tutta la intera realtà che dal momento che è irrisa- è riaccettata. La realtà non si divide, da una parte, nella società conformista, che segue l'evolversi del capitalismo, e nell'altra parte, in coloro che si oppongono a questo attraverso la lotta di classe: la realtà comprende e integra tutte due queste parti, perché la realtà, lei, non è manichea, non conosce soluzione di continuità. Lo sguardo irridente ad essa, riesce a conciliare l'integrazione inevitabile al suo ordine e, insieme, la critica più radicale e rivoluzionaria ad esso. In fondo assomiglia al gesto meccanico di un operaio: che è insieme un gesto della produzione a cui egli collabora come un ordinato ingranaggio, e un gesto carico di minaccia rivoluzionaria: questa ambivalenza del suo gesto comprende quindi l'intera realtà. Mai un borghese potrà compiere un simile gesto. Ma il borghese può pervenire all'accezione della realtà sociale come un 'nulla', e all'identificazione del vivere con l'irridere tale realtà. Questa irrisione è l'equivalente del gesto meccanico dell'operaio: contiene l'integrazione, ma la svaluta di ogni senso20” Non deve sembrare fuori luogo questa lunga citazione dal romanzo postumo di Pasolini. Che ci fosse infatti una stretta relazione tra la sua scrittura saggistica e quella letteraria è lui stesso a confermarcelo in un articolo del settembre 1974 su “Rinascita” intitolato Verso il genocidio. Qui Pasolini facendo riferimento a Petrolio dice che in quel lavoro sta allestendo una galleria allegorica di esistenze pervertite dalla mutazione antropologica che genera edonismo interclassista, falsa tolleranza e perdita di capacità linguistica. È la descrizione dei modi della mutazione antropologica come si svilupperanno poi nel romanzo nella famosa visione del Merda. 20 Pasolini, Petrolio, cit. pag. 396. 9 Le analogie con la filosofia contemporanea potrebbero continuare cercando nelle teorie del Foucault biopolitico21 o nell’antropotecnica di Sloterdijk22. Non sembra un caso né che il filosofo francese abbia scandagliato uno degli ambiti che più interessavano Pasolini, quello del corpo, né che il filosofo tedesco consideri Pasolini uno dei pochi kinici del presente nel suo volume sulla ragion cinica. Se le suggestioni provenienti dalla filosofia europea d’avanguardia, il marxismo francofortese o il poststrutturalismo parigino, sono sufficientemente documentate, si tratterà di capire se anche in Italia c’era qualcuno che anticipava Pasolini su questi temi. Io credo che alcuni temi prima di Pasolini ed in un ambiente sociale e culturale diverso li avesse già sperimentati con la vita agra dell’integrazione Luciano Bianciardi. Lo dico condensando i due titoli più famosi della sua produzione e senza la pretesa di illustrare più analiticamaente la questione in questa occasione. 21 M. Foucault, Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978-1979), trad. it. di M. Bertani e V. Zini, Milano 2005, è un corso tenuto alla prestigiosa scuola francese di pochi anni successivo. Su Foucault in rapporto a Pasolini si v. M. Nicoli, L’innocenza del potere. Una riflessione su “Petrolio”, in “aut aut” 345 (2010), pp. 99-115. Nello stesso fascicolo della rivista è contenuta la recensione del 1978 di Foucault ai Discorsi d’amore (1963) di Pasolini. 22 Il filosofo tedesco ha concentrato la sua attenzione negli ultimi anni sull’antropo-tecnica, di lui si v. in particolare Du muβt dein Leben ändern. Über Anthropotechnik, 2009, trad. it. di S. Franchini, Devi cambiare la tua vita. Sull’antropotecnica, Milano 2010. Ma già nella Kritik der zynischen Vernunft, Berlin 1983, trad. it. parziale di A. Ermano, Critica della ragion cinica, Milano 20132, dopo aver sottolineato la pepatezza del Pasolini corsaro, lo aveva accomunato ad Adorno mettendolo nel novero degli sconfitti, cfr. ivi, pp. 8-9. Di un Pasolini in salsa piccante, Parma 2010, parla anche M. Belpoliti. 10 Comunque sia, all’interno del pensiero filosofico, in tutte le declinazioni che abbiamo preso in considerazione, la mutazione dell’uomo è vista come una prospettiva di liberazione da raggiungere e come una meta di perfezione. La mutazione antropologica, intravista da Bianciardi e teorizzata da Pasolini, descrive invece un processo non di avanzamento virtuoso ma di degradazione umana. Mentre il mutar natura nell’antichità e nell’intero corso del pensiero filosofico veniva visto in termini positivi, la mutazione antropologica, “il passaggio dall’era della pietà a quella dell’edoné”23, determina un vero e proprio genocidio culturale, che è la formula più incisiva usata da Pasolini quando riflette intorno alla tematica della mutazione. Entrando maggiormente nel dettaglio dell’analisi dei tre articoli, è facile osservare che il punto di partenza e il presupposto del ragionamento di Pasolini sono due eventi, l’uno per tanti versi, drammatico, l’altro tragico avvenuti di recente. Il referendum sul divorzio di metà maggio e la strage di Brescia. Questi paiono essere le vicende da cui muove l’idea della mutazione antropologica. Il primo, il referendum sul divorzio, viene letto da Pasolini come il segno dell’avvenuto distacco tra le masse popolari e contadine e la cultura cattolica, il secondo come il colpo di coda del vecchio fascismo. Il referendum ha lasciato sorpresi sia la DC sia il partito comunista, ed è soprattutto l’interpretazione di Pasolini di quest’ultimo che genera meraviglia. Il PCI infatti aveva sostenuto e vinto il referendum, ma Pasolini lo ritiene comunque una sconfitta per il partito di Berlinguer perché, secondo lui, i comunisti erano incerti sull’esito e questo significava non aver interpretato correttamente il cambiamento radicale avvenuto nella cultura italiana. Il PCI cioè non aveva compreso la mutazione antropologica. Con tale espressione, possiamo finalmente tentarne una definizione, Pasolini intende sostanzialmente il fenomeno della omologazione culturale dettato dal nuovo potere dell’immagine, della televisione e della pubblicità, interpretati come potenti 23 Lettere luterane, cit. pag. 170. 11 veicolatori del nuovo edonismo consumistico. La grande e nuova trasformazione è voluta da un potere che è esso stesso nuovo. È sul concetto di nuovo potere, il potere senza volto, che Pasolini si sofferma senza peraltro darne una compiuta delineazione, ma rimandando ad un testo significativo per la sua esposizione in termini compiuti. Il discorso di Cefis Si tratta di un testo due volte citato nello stesso articolo di Pasolini24, un discorso tenuto agli allievi dell'Accademia militare di Modena da Eugenio Cefis il 23 febbraio del 1972. Eugenio Cefis era friulano come Pasolini, la vita di questi due uomini si intreccia più volte e secondo molteplici e misteriose relazioni, peraltro sempre indirette perché probabilmente non si sono mai incontrati. Pasolini, Il genocidio in Scritti corsari, cit. pag. 188: “I nuovi valori vengono sostituiti a quelli antichi di soppiatto, forse non occorre nemmeno dichiararlo dato che i grandi discorsi ideologici sono pressoché sconosciuti 24 alle masse (la televisione…non ha certo diffuso il discorso di Cefis agli allievi dell’Accademia di Modena); e pag. 189: “Qual è invece lo sviluppo che questo potere vuole? Se volete capirlo meglio, leggete il discorso di Cefis agli allievi di Modena…”. Il discorso venne pubblicato per la prima volta sul numero 6 del giugno-luglio1972 della rivista “L’Erba Voglio” di Elvio Facchinelli, il quale inviò copia della rivista e del noto libro di Giorgio Steimetz su Cefis a Pasolini nel settembre 1974. Non risulta essere stato ripubblicato in seguito se non sul web al seguente url: http://mvlmonteverdelegge.blogspot.it/2013/12/pasolini-e-il-discorso-di-cefis-storia.html .Tutte le citazioni sono tratte da quel link che riproduce fotostaticamente il testo apparso su rivista. 12 Sono state illustrate più volte25 soprattutto in relazione alla fine tragica di Pasolini. Meno si è invece prestato attenzione a quel discorso che Pasolini richiama più volte come quello che meglio esemplifica lo stato presente del mondo e del suo nuovo potere. Che cosa dice Cefis in quel discorso ricco di dati? Contrariamente a come è stato finora interpretato e cioè come una sorta di elogio del capitalismo multinazionale con venature massoniche e golpistiche, il discorso di Cefis è innanzitutto quello di un grande manager di una delle più importanti aziende di stato, con una vasta esperienza e conoscenza dei rapporti economici internazionali. Parla di fronte agli allievi di una accademia militare che lui vede come protagonisti del futuro economico della nazione. È il discorso di un uomo al vertice del potere economico e probabilmente anche politico dell'Italia di allora, che nel cruciale 1972, getta uno sguardo sul futuro delle società occidentali il cui destino dipende in larga parte dalle multinazionali. Nel tentativo quindi di disegnare uno scenario non solo possibile ma altamente probabile dell'immediato futuro, Cefis inizia tracciando un quadro storico dello sviluppo delle multinazionali individuandolo nella costituzione delle compagnie per il commercio orientale sorte in Europa nel XVII secolo. “La tendenza delle imprese a guardare al di là dei confini nazionali è assai remota e può essere fatta risalire alle compagnie commerciali del ‘600, come la famosa Compagnia delle Indie, che pur facendo capo ad un paese europeo possedevano e sfruttavano concessioni negli altri continenti con bandiera propria ed anche con facoltà di disporre di proprie forze armate” È dall'Inghilterra e dalle Province Unite che vengono quindi le prime società economiche multinazionali. Esse si sono evolute nel corso dei secoli successivi in modo lineare almeno fino allo sviluppo dell'industria petrolifera, la quale ha impresso una torsione significativa alla storia dello sviluppo delle multinazionali. 25 Per esempio da Gianni D’Elia, Il Petrolio delle stragi, Milano 2006. 13 “Successivamente, nei primi anni di questo secolo, con l’avvento del motore a scoppio, presero a svilupparsi sempre più le società petrolifere, principalmente di origine Americana, che avevano il problema di aumentare costantemente le proprie fonti di approvvigionamento. La filosofia delle società petrolifere portava direttamente alla multinazionalità” Sono industrie del petrolio le più importanti multinazionali del Novecento, e dopo la seconda guerra mondiale hanno saputo far fronte con nuove strategie alla perdita dei domini coloniali. Dal Congo all'Algeria, dall'Indonesia al Honduras, ogni volta che un regime sorretto dalle grandi compagnie è caduto o ha nazionalizzato beni economici cruciali, le multinazionali hanno rivisto le loro strategie e hanno saputo riposizionarsi con profitto su quegli stessi paesi magari in settori diversi e più avanzati, dove la loro tecnologia era appetita dai nuovi regimi nazionalisti. È a questo punto che si apre il problema più inquietante nel discorso di Cefis, ovvero quello delle relazioni fra multinazionali dell’economia e potere politico. Se le multinazionali hanno avuto ed hanno tanto potere, quali sono le relazioni ipotizzabili con il potere politico? L'idea di Cefis è quella di una crisi dello stato nazionale. I vecchi stati nazionali non ce la fanno in termini numerici a reggere il confronto con le grandi multinazionali. Pertanto il loro destino è segnato a meno che non decidano di associarsi, di fare massa critica. L'Europa sarebbe il più grande mercato del mondo. È pertanto il discorso di un europeista quello di Cefis e per niente con tentazioni golpiste perché parla a dei militari. Sia in apertura sia in chiusura mette in rilievo l'importanza della fedeltà alla costituzione repubblicana, lui che quella repubblica aveva contribuito a fondarla. “E’ più che mai importante il senso del dovere; ma intendo quel senso del dovere che può nascere soltanto in un Paese libero, con quella libertà che in Italia è garantita dalla Costituzione repubblicana che Voi siete impegnati a difendere” Vede inoltre il ruolo dei militari non tanto come difensori di un ordine costituito, magari neppure tanto democraticamente, ma 14 come dei futuri tecnici e consulenti di settori avanzati dell'industria, della ricerca e della comunicazione. “Da un lato, Egli (il militare) deve essere cittadino del mondo, perché ha un compito di dimensione mondiale per la difesa della pace; dall’altro deve comprendere sempre meglio i meccanismi politici e soprattutto economici che più della potenza militare influenzano il nostro futuro” Insomma una visione moderna ed anticipatrice degli sviluppi successivi della storia ed inoltre neanche completamente tenera nei confronti dell'operato storico delle multinazionali, i cui eccessi antidemocratci vengono condannati. “Può accadere talvolta che qualche governo proceda alla nazionalizzazione di singole unità produttive appartenenti alle multinazionali. Ma è difficile che un tale governo riesca a reggere alla pressione politica che le multinazionali possono esercitare” Il venir meno dello stato non sarà infatti sostituito completamente e perfino assorbito dalle multinazionali, esse infatti dovranno contrattare le loro esigenze anche con il mondo del lavoro rappresentato dai sindacati. Due sono pertanto i soggetti sulla scena del dominio nel futuro prossimo, le multinazionali e i sindacati. Cefis non pensa quindi ad una sostituzione del potere politico degli stati nazionali con quello economico delle multinazionali, ma ad una collaborazione fra produttori e rappresentanti dei lavoratori, fra multinazionali e sindacato. In fondo si tratta della tematica liberale dello stato minimo. Dall'enfasi con cui vi fa solo cenno Pasolini, perché non sembra che sia tornato più diffusamente negli scritti successivi, a meno di non voler trovare qualche suggestione di esso in Petrolio26, non 26 C’è un punto nel discorso di Cefis in cui egli per stigmatizzare l’assurdità della guerra adopera una metafora cosmonautica: “In un’epoca in cui si pensa che la terra sia una nave spaziale che fa parte di un convoglio assieme agli altri pianeti e che in un futuro non tanto lontano, per rifornirsi di materie prime ci si potrà rivolgere alle altre navi di questo convoglio, cioè gli altri 15 sembra che lo abbia interpretato nei termini appena esposti. È per la palese e continua diffidenza nei confronti dell'uomo Cefis che Pasolini non riesce ad apprezzare lo sforzo intellettuale del cividalese. Ma allora come può averlo interpretato Pasolini quel discorso a cui rinvia più volte e sul quale non ha tempo di tornare in futuro più ampiamente? Non è difficile da indicare nel discorso di Cefis quello che per Pasolini era il nuovo potere, quell’intreccio di edonismo, consumo, industria culturale e falsa tolleranza che è il fulcro del potere delle multinazionali. Pasolini non si fida di Cefis, ma sa che quello che lui ha descritto nel discorso di Modena è lo scenario del futuro27. E questo futuro è il peggiore possibile per il poeta. Se ancora fino agli anni Cinquanta egli aveva sperato negli umili ignoranti e negli accattoni come esempio morale di rigenerazione, ora non è più possibile alcuna speranza di riscossa. Lo strapotere delle multinazionali era stato in grado di produrre una mutazione antropologica attraverso l'uso perverso della tecnologia e della cultura. Niente meglio del seguente passo, esemplifica ciò che pensa Pasolini: pianeti, il pensare a una guerra per sottrarre risorse ad un’altra nazione è tanto assurdo quanto criminale”. Questo passo ha forti analogie con quello dell’astronave delle spie Klaus Patera e Misha Pila nell’Appunto 102a intitolato L’Epoché. Storia di un volo cosmico in Petrolio. 27 Una testimonianza indiretta di quanto Pasolini abbia appreso dalla lettura del discorso di Cefis si trova ne Il processo delle Lettere luterane. Qui in un passo Pasolini scrive: “Ora la chiesa altro non è che una potenza finanziaria: e quindi una potenza straniera” (pag. 122); che ricorda molto da vicino la descrizione che Cefis fa della chiesa cattolica come prima multinazionale: “la posizione delle imprese (multinazionali) è sotto certi aspetti analoga a quella della Chiesa cattolica in passato. Spesso re e imperatori temevano che la loro posizione di potere fosse indebolita dalla organizzazione internazionale della chiesa, dalla sua influenza sulle politiche nazionali e dalle sue immense ricchezze…” 16 “…la televisione, e forse ancora peggio la scuola dell’obbligo, hanno degradato tutti i giovani e i ragazzi a schizzinosi, complessati, razzisti borghesucci di seconda serie…” 28 Se una sola volta29 Pasolini allarga lo sguardo fuori dall’Italia per dire che nei paesi a più alto tasso di sviluppo, e in particolare in Francia, la mutazione antropologica è già un fatto avvenuto, riconosciuto e accettato dagli intellettuali di destra e di sinistra; è all’Italia che rimandano tutti gli altri esempi. Ed in Italia sarebbe stato il miracolo economico a determinare la mutazione antropologica e cioè il passaggio repentino, avvenuto infatti in circa un decennio, e largamente inavvertito dal mondo contadino, che aveva caratterizzato l’Italia liberale e fascista, a quello industriale dell’Italia repubblicana a partire dai tardi anni Cinquanta. L’omologazione culturale, che tra le altre cose, si specifica per la impossibilità di distinguere destra e sinistra, ovvero l’innesto di sane dosi di pragmatismo americano, avrebbe prodotto la mutazione antropologica nel suo duplice aspetto di trasformazione ideologica e di vero e proprio cambiamento somatico, di trasformazione dei corpi degli italiani. Si trattava allora, secondo il poeta, di assumere un punto di vista propriamente semiologico, ma che sconfina quasi nel 28 Lettere luterane, cit. pag. 74. 29 ivi, pp. 75-76: “Fuori dall’Italia, nei paesi «sviluppati» - specialmente in Francia – ormai i giochi sono fatti da un pezzo. E’ un pezzo che il popolo antropologicamente non esiste più. Per i borghesi francesi, il popolo è costituito dai marocchini o dai greci, dai portoghesi o dai tunisini. I quali, poveretti, non hanno altro da fare che assumere al più presto il comportamento dei borghesi francesi. E questo lo pensano sia gli intellettuali di destra che gli intellettuali di sinistra, allo stesso identico modo”. 17 fisiognomico30, per decrittare tale mutazione. Essa sarebbe stata infatti più visibile nei gesti, negli atteggiamenti, nelle posture del corpo, piuttosto che nelle idee, nella psicologia e nel linguaggio di un’epoca che è tra l’altro caratterizzata proprio da una estrema povertà linguistica. È sull’impossibilità di trovare un nuovo volto per Accattone, perché anche le facce degli italiani erano cambiate, che Pasolini rintraccia le prove della mutazione antropologica. È questa la vera novità di Pasolini, l’idea cioè che il passaggio epocale che sta descrivendo è più visibile nei corpi che nelle ideologie. “Non c’è più dunque differenza apprezzabile…tra un qualsiasi cittadino italiano fascista e un qualsiasi cittadino italiano antifascista. Essi sono culturalmente, psicologicamente e, quel che è più impressionante, fisicamente, interscambiabili”31 Se la mutazione antropologica infatti consistesse solo nella manipolazione ideologica o psicologica, non si capirebbe perché considerare quella di Pasolini una proposta sostanzialmente diversa da quella francofortese, cioè della critica del conformismo e della mercificazione feticista prodotta dalla società di massa. Pasolini va oltre i marxisti dialettici di Francoforte proprio quando denuncia la trasformazione dei corpi. Ad una cosa del genere a Francoforte non ci aveva ancora pensato nessuno tranne forse Walter Benjamin. Quali siano i tratti fisici rivelatori della mutazione somatica Pasolini lo dice in I giovani infelici: 30 Un esempio di analisi fisiognomica in Pasolini si può trovare nell’articolo Soggetto per un film su una guardia di PS, del 7 agosto 1975 su “Il Mondo”, ora in Lettere luterane, pp. 101-102: “Nel viso di Marra…si possono leggere…quel vago livore e quell’ostilità che deformano fatalmente i lineamenti di chi si considera difensore dell’ordine…egli mi si rivela attraverso un linguaggio somatico, un linguaggio della presenza fisica, un linguaggio dei connotati””. 31 Lettere luterane, cit. pag. 87, corsivi miei. 18 Orribili pelami, capigliature caricaturali, carnagioni pallide, occhi spenti”32 Pasolini dice quella che oggi appare una realtà evidente. La spirale nevrotica del capitalismo ha introdotto il virus consumista fin dentro il nostro corpo imponendo la modellazione della nostra carne attraverso la chirurgia cosiddetta estetica. I corpi degli abitanti del pianeta subiscono sempre maggiori sollecitazioni al cambiamento tanto da introdurre al loro interno sostanze solidificanti. È come se non ci bastasse la bocca per divorare le merci ma nel nostro corpo dovessero essere continuamente introdotte nuove sostanze attraverso orifizi chirurgici. Ma poiché Pasolini non è riuscito a vedere gli effetti mostruosi della chiroestetica di massa, che cosa vedeva nella sua epoca? Vedeva ciò che gli altri non vedevano e cioè il fenomeno della mercificazione del corpo avvenuta col divorzio e con l’aborto. Il divorzio rende scambiabile il corpo oltre il legame durevole del matrimonio, il quale nelle società tradizionali aveva il vantaggio di essere solo valore d’uso e non di scambio. L’aborto rende invece più facile il coito33 come vuole il nuovo potere dei consumi, cioè il nuovo fascismo. L’aborto, come il divorzio, diventa valore di scambio, incitazione all’intensificazione del consumo sessuale. Nell’ultimo passo citato sono soprattutto gli occhi spenti il segno della perdita della felicità dei giovani. I giovani sono infelici perché destinati, come nel teatro greco, a pagare le colpe dei padri. Le colpe dei padri ricadono sui figli anche per demerito di questi ultimi, i quali non sarebbero stati in grado di opporsi al fascismo ereditato dai padri ed inoltre si sono fatti omologare dalla comune paura della povertà. È questa la vera fonte nascosta della mutazione antropologica, è la paura della povertà. E così si capisce meglio il legame di Pasolini con il cristianesimo. Esso passa attraverso il francescanesimo. Solo Francesco infatti si dimostra 32 33 Lettere luterane, cit. pag. 8. Scritti corsari, cit. pag. 83. 19 coraggioso di fronte alla povertà, solo chi è stato ricco e sceglie di diventare povero non ha paura della povertà. Il discorso delle BR Sia nel discorso di Pasolini sia in quello di Cefis ci viene presentata in termini negativi per l’uno, inevitabili per l’altro, la dimensione del capitalismo multinazionale impegnato nell'opera della mutazione antropologica. In quegli anni in Italia si faceva strada a suon di P38 e mitragliette una ideologia operaista anticapitalista e rivoluzionaria che aveva nelle Brigate rosse il maggior punto di elaborazione teorica e di attività politica in una escalation che le porterà a sfidare il cuore dello stato. Sarebbe facile testimoniare non solo la consonanza di vedute sul sistema capitalistico, ma perfino alcune espressioni linguistiche straordinariamente consonanti fra i teorici brigatisti e Pasolini. Per esempio, nel comunicato di rivendicazione delle BR, datato 18 giugno 1974, dell’incursione alla sede del MSI di Padova, dove furono uccise due persone, che si ritiene essere stata compiuta in risposta alla strage di Brescia, ad un certo punto si legge: “Questa strage è stata voluta dalla Democrazia cristiana e da Taviani per tentare di ricomporre le laceranti contraddizioni aperte al suo interno dalla secca sconfitta del referendum” che ha più di una semplice assonanza con quanto scriverà Pasolini nel novembre di quell’anno nel famoso articolo del “Corriere” sul golpe: “Io so i nomi del gruppo di potenti che, con l'aiuto della CIA (e in second'ordine dei colonnelli greci e della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il 1968, e, in seguito, sempre con l'aiuto e per 20 ispirazione della CIA, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del referendum”34. Un'altra somiglianza, non così esplicita anche dal punto di vista lessicale, ma di certo da quello dei contenuti, si trova nella prima risoluzione strategica elaborata dalle Brigate Rosse datata aprile 1975, dove viene teorizzato il famoso SIM, lo stato imperialista delle multinazionali. Proprio nella presentazione del concetto di SIM, il documento fa un esempio esplicito di azienda multinazionale italiana indicando la Montedison che, non è banale sottolinearlo, era in quell'anno e per i due successivi sotto la presidenza di Eugenio Cefis. "...in Italia in quest'ultimo decennio (1966-1974) questa caduta tendenziale ha subito un notevole processo di accelerazione dovuto soprattutto al sorgere prepotente dell’industria chimica, come industria imperialista multinazionale (Montedison) ... È chiaro che il processo qui esemplificato per il settore chimico, vale per ogni altro settore in cui domina la struttura capitalistica multinazionale (cioè vale per la Montedison, come per la FIAT, come per la Pirelli) e vale per ogni funzione dello Stato (economica, politica, militare). Lo Stato diventa espressione diretta dei grandi gruppi imperialistici multinazionali, con polo nazionale. Lo Stato diventa cioè funzione specifica dello sviluppo capitalistico nella fase dell’imperialismo delle multinazionali; diventa: Stato Imperialista delle Multinazionali35". Come ha rilevato qualche storico36, già nelle Tesi sulla crisi del 1 febbraio 1974 di Antonio Negri veniva usata una espressione simile: “…Nel regime delle imprese multinazionali il politico, come sfera indipendente di determinazione del consenso, come sfera di mediazione fra forze sociali e politiche conflittuali, ha ben pochi spazi di permanenza…Il governo diviene una funzione subordinata rispetto al sistema di commando internazionale”. 34 Scritti corsari, cit. pag. 74. 35 36 Cfr. A. Ventura, Per una storia del terrorismo, Roma 2010, pag. 52. Per Negri si v. Partito operaio contro il lavoro, in AA. VV., Crisi e organizzazione operaia, Milano 1976, pag. 175. 21 Ma non è di questo che si tratta qui. Non è la vicinanza teorica dell’analisi sul presente del nuovo potere tra Pasolini e la sinistra estremista radicale italiana che ci permette di entrare nell’ineffabile della mutazione antropologica italiana. Anche la sinistra radicale aveva una sua teoria sulla ‘mutazione antropologica’, che essa traduceva dalla critica marcusiana all’integrazione dei partiti operai e dei sindacati in occidente. È la vicinanza teorica con Cefis che importa rilevare. Anche Cefis vede la mutazione: “Quando gli storici futuri esamineranno l’arco di questi venticinque anni (1945-1970), è probabile che tra le caratteristiche principali di questo periodo, che ha trasformato così radicalmente l’economia ed anche il volto politico del nostro pianeta, essi citeranno al primo posto il gigantesco incremento del volume del commercio mondiale” Anche Cefis la vede, ma per lui è una trasformazione economica e non antropologica, e pertanto è drammatica ma non tragica. La dimensione filosofica del discorso di Pasolini La dottrina o il discorso sulla mutazione antropologica di Pasolini è una teoria, una interpretazione che, per l’acume critico e la perseveranza e coerenza tipiche del poeta, deve essere considerata nella sua portata filosofica. Come si è visto essa ha nobili progenitori ma anche un risvolto di originalità. Quel risvolto inserisce Pasolini fra i più avvertiti intellettuali europei del secolo scorso, all’altezza dei massimi pensatori come Foucault e Adorno. Non lo si dice mai, quando si parla di Pasolini, che fu un filosofo. Chi altri mai è colui che 22 “ cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace”? 37 Si preferisce definirlo poeta, scrittore, regista, mai filosofo. Eppure benché non abbia mai scritto un’opera esplicitamente dedicata alla filosofia, l’ascia affilata della sua ragione38 è quella della filosofia. Quanti letterati-filosofi, quanti scrittori-filosofi ci sono nella tradizione culturale italiana? Petrarca, Dante, Machiavelli, Leopardi, Pasolini. E quanti filosofi puri? Vico? Gentile? Non c’è paragone. La tradizione migliore della filosofia italiana è bene cercarla fuori dall’accademia. Se le prove fornite attraverso i testi depongono a favore della ricerca di un un senso unitario nei tre discorsi considerati, quello di Pasolini, quello di Cefis e quello delle BR, allora esso è da rintracciare nel legame tra capitalismo multinazionale e mutazione antropologica che esso produce, e che viene magistralmente definito da Pasolini come il “nuovo modo di produzione che non è solo produzione di merce, ma di umanità”39. Il punto di distinzione dei tre discorsi sta invece nella parzialità dell’ottica capitalistico-multinazionale di Cefis o classistarivoluzionaria delle BR, e nel tentativo invece di giungere ad una visione organica e non divisiva, non manichea come “non manichea è la realtà”, cioè in breve dialettica, filosofica, di Pasolini. 37 38 Scritti corsari, cit. pag. 75. L’immagine dell’ascia affilata della ragione è in W. Beniamin, I “Passages” di Parigi, Torino 2000, pag. 510. 39 Lettere luterane, cit. pag. 133. Corsivi originali. 23
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