Raccolta interrogazioni a Camera e Senato 31/2014

Attività Parlamentare
Raccolta delle interrogazioni presentate alla
Camera e al Senato e al Parlamento europeo
n. 31/2014
2014
INDICE
CAMERA ............................................................................................................................................ 4
Interrogazione a risposta orale sul monitoraggio delle emissioni in atmosfera di alcune
centrali biogas nella regione Marche e sulla sospendere del versamento dei contributi
relativi alla produzione di energia elettrica da parte del GSE a quelle centrali in cui sono
stati rilevati valori di emissioni di sostanze inquinanti ............................................................... 4
Interrogazione a risposta in Commissione sul progetto presentato dalla Gas Natural per un
impianto di rigassificazione del metano liquido (GNL) a Zaule, nel porto di Trieste ............. 6
Interrogazione a risposta scritta sull’arenamento di alcuni capodogli a Vasto (Chieti) e sulle
tecniche di prospezione per la ricerche di idrocarburi nell'Adriatico ...................................... 8
Risoluzione in Commissione sul rilancio dell'uso del pagamento elettronico .......................... 10
Interrogazione a risposta in Commissione sulla tassazione dei prodotti energetici nella
navigazione delle acque interne .................................................................................................. 14
Interrogazione a risposta scritta sui requisiti tecnici dei sistemi di accumulo connessi in rete,
anche in riferimento al GSE ........................................................................................................ 16
Risposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Gian Luca Galletti,
all’interrogazione a risposta scritta sul progetto relativo al rifacimento dell'invaso sul torrente
Sessera ........................................................................................................................................... 17
Risposta del Viceministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, all’interrogazione a risposta
scritta sugli accordi di libero scambio tra USA e EU Transatlantic Trade and Investment
Partnership (TTIP) ....................................................................................................................... 22
Interrogazione a risposta scritta sul metanodotto rete adriatica e sulla costruzione della
centrale di compressione della Snam a Sulmona ....................................................................... 25
Risposta del Viceministro per l’economia e le finanze Luigi Casero all’interrogazione a risposta
immediata sull’esenzione delle accise del combustibile utilizzato per la navigazione di
trasporto di passeggeri nelle acque interne ................................................................................ 26
Interrogazione a risposta in Commissione sulla proposta di operare una selezione dei progetti
volta
a
escludere
la
verifica
di
assoggettabilità
alla
valutazione
di
impatto
ambientale (VIA) .......................................................................................................................... 30
2
Interrogazione a risposta in Commissione sui permessi di ricerca di idrocarburi richieste dalla
Global Petroleum Limited, in prossimità delle coste pugliesi .................................................. 33
Interrogazione a risposta in Commissione sulla procedura di valutazione di impatto
ambientale del progetto “Variante Piano di Gestione terra e rocce da scavo - Raffineria di
Taranto, progetto Tempa Rossa” dell’ENI ................................................................................ 37
Interrogazione a risposta scritta sulla pubblicazione del valore dei cosiddetti certificati di
immissione al consumo dei biocarburanti .................................................................................. 40
SENATO ............................................................................................................................................ 41
Mozione sull'obiettivo del Governo di incrementare l'estrazione di idrocarburi dal mare e
dal territorio italiani ..................................................................................................................... 41
Interrogazione a risposta scritta sulla tutela dei piccoli gestori di stazioni di servizio, sulla
revisione dell'attuale regime di imposizione fiscale e sulla concertazione di un livellamento
dei prezzi del carburante ............................................................................................................. 50
Interrogazione a risposta scritta sulla realizzazione del gasdotto Trans Adriatic
pipeline (TAP) ............................................................................................................................... 53
Interrogazione a risposta scritta sul mancato investimento da parte di ENEL sulla
riconversione a carbone della centrale di Porto Tolle (Rovigo) ............................................... 54
Interrogazione a risposta in 8a Commissione permanente sul progetto di un elettrodotto Terna
tra Cordignano (Treviso) e Lienz in Austria ............................................................................. 55
Interrogazione a risposta scritta sulla richiesta di estrazione a largo della costa abruzzese,
formulata dalla società "Enel Longanesi developments” ......................................................... 60
Interrogazione a risposta scritta sulla gestione dei rifiuti costituiti da scarti di materiale
legnoso e sull’incentivazione dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili .................. 61
Interrogazione a risposta scritta sulla bonifica del sito di interesse nazionale di Broni
(Pavia) ............................................................................................................................................ 63
Risposta del Viceministro per lo sviluppo economico, Claudio De Vincenti, all’interpellanza
urgente sulla normativa europea in materia di energie rinnovabili .......................................... 65
Interrogazione a risposta orale sull’autotrasporto ........................................................................ 71
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CAMERA
Interrogazione a risposta orale:
sul monitoraggio delle emissioni in atmosfera di alcune centrali biogas nella regione Marche e
sulla sospendere del versamento dei contributi relativi alla produzione di energia elettrica da
parte del GSE a quelle centrali in cui sono stati rilevati valori di emissioni di sostanze
inquinanti
TERZONI e altri (M5S)
— Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo
economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
nella regione Marche è iniziata da alcune settimane l'attività di monitoraggio delle emissioni in
atmosfera di alcune centrali biogas da parte dell'ARPAM;
in diverse centrali sottoposte a questo tipo di analisi sono stati registrati dei valori che superano
quelli di soglia previsti per legge;
si tratta in particolare dei valori relativi alla concentrazione di COT (carbonio organico totale) e di
NOx (ossidi di azoto) che compongono la parte fine ed ultrafine delle polveri emesse dai cicli di
combustione;
proprio per le loro caratteristiche granulometriche rappresentano la componente più dannosa per la
salute. Una delle principali espressioni di tossicità conseguente all'esposizione ripetuta per via
inalatoria a polveri ultrafini è riferita al tratto respiratorio;
gli effetti sull'apparato respiratorio dipendono, oltre alla composizione chimica delle polveri, dai
tempi di esposizione. Esposizione a breve termine provocano disturbi e infiammazioni all'apparato
respiratorio (bronchiti, mal di gola, asma), infiammazioni alle mucose (allergie, congiuntiviti),
disturbi al sistema vascolare, mentre esposizione a lungo termine possono portare a malattie
polmonari ostruttive croniche, riduzione della funzione polmonare, manifestazioni cancerose
(tumore al polmone);
l'agenzia internazionale per la ricerca sul Cancro (IARC) ha riclassificato alcune sostanze della lista
di cancerogeni noti e fra queste ha ufficializzato l'entrata delle polveri sottili (PM) e in generale
dell'inquinamento atmosferico inserendoli nella categoria 1, e quindi certamente cancerogeni;
un caso eclatante di quello che sta avvenendo nella regione Marche è rappresentato dalla centrale
biogas sita in località Pezze del comune di Matetica, un comune inserito in fascia «A» ossia un
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comune dove la soglia massima di concentrazione delle polveri sottili in atmosfera è superata per
più di 30 giorni l'anno;
l'ARPAM, su richiesta della provincia di Macerata il 5 agosto 2014 ha effettuato un sopralluogo
nell'impianto ed ha anche prelevato i necessari campioni dei fumi allo scarico del combustore;
il 13 agosto l'ARPAM ha comunicato i seguenti risultati analitici all'Amministrazione comunale di
Matelica, agli uffici regionali e provinciali competenti, all'ASUR ed alla autorità giudiziaria:
COT (carbonio organico totale): 2359,6 mg/Nm3 (valore massimo consentito 150 mg/Nm3);
NOx (ossidi di azoto): 561,3 mg/ Nm3 (valore massimo consentito 500 mg/Nm3);
l'ARPAM con lo stesso documento di comunicazione dei dati sopra citati, ha rilevato che
l'impianto, in deroga ai requisiti progettuali ed autorizzativi, non risultava dotato del previsto post
combustore. Pur trascurando il problema del noto mancato rispetto della procedura VIA (oggetto di
una indagine giudiziaria), riferendosi soltanto alla marcia dell'impianto si può affermare che:
a)
gli effluenti inquinanti in fase gassosa dell'impianto non stanno rispettando i limiti di legge;
b) l'impianto evidenzia la mancanza di una apparecchiatura (il post combustore) di notevole
importanza prevista in fase di progetto autorizzato.
Questi sono i fatti che non lasciano spazio ad interpretazioni. È un caso tipico nell'ambito della
tecnica degli impianti; trattasi di due violazioni di legge importanti ed entrambi di notevole impatto
sulla salute;
è del 17 settembre la notizia secondo la quale il procuratore capo Giovanni Giorgio avrebbe inviato
una diffida all'Arpam per sapere se gli impianti a biogas sono realmente un pericolo per
l'ambiente–:
se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra esposto;
se e come il Ministro dello sviluppo economico intenda assumere iniziative per quanto di sua
competenza per sospendere il versamento dei contributi relativi alla produzione di energia elettrica
da parte del GSE a quelle centrali in cui sono stati rilevati valori di emissioni di sostanze inquinanti
fuori norma evidentemente non dichiarate in fase di autorizzazione all'inizio attività e in particolare
alla centrale situata nel comune di Matelica nella quale è stata rilevata l'assenza del post combustore
che rappresentava elemento utile per l'ottenimento dell'autorizzazione stessa;
se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga opportuno intervenire
per quanto di sua competenza anche mediante iniziative di carattere normativo che prevedano
effettivamente l'applicazione del principio di precauzione come previsto dalle normative europee e
nazionali per evitare che possa essere autorizzata l'attività di centrali per la produzione di energia
elettrica alimentate da biogas e biomasse che non rispettano i limiti di legge relativi alle emissioni
in atmosfera;
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quali iniziative intenda assumere il Governo al fine di individuare parametri di riferimento idonei a
rendere più chiara la responsabilità nei casi di grave inquinamento dell'aria, in modo da assicurare
la piena applicazione del principio «chi inquina paga». (3-01038)
Interrogazione a risposta in Commissione:
sul progetto presentato dalla Gas Natural per un impianto di rigassificazione del metano
liquido (GNL) a Zaule, nel porto di Trieste
PRODANI (M5S)
— Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo
economico. — Per sapere – premesso che:
il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del Governo Monti, Corrado Clini,
nel mese di aprile 2013 ha firmato il decreto che sospende per sei mesi l'efficacia della valutazione
di impatto ambientale (VIA, rilasciata il 17 luglio 2009) sul progetto presentato dalla Gas Natural
per un impianto di rigassificazione del metano liquido (GNL) a Zaule, nel porto di Trieste;
il provvedimento ha accolto il parere contrario della Commissione Via del dicastero che ha recepito
i pareri negativi del comitato portuale di Trieste e dalla regione Friuli-Venezia Giulia, prendendo
atto delle mutate situazioni del traffico marittimo triestino e delle prospettive di potenziamento
previste dal piano regolatore portuale. Il rigassificatore, se realizzato con le modalità progettate
dalla Gas Natural, non sarebbe compatibile con il traffico portuale attuale e con gli sviluppi futuri;
dal 15 ottobre 2013 il rigassificatore di Zaule non figura più nella lista dei potenziali progetti di
interesse comunitario nell'ambito della proposta di regolamento sugli orientamenti per le reti
transeuropee di infrastrutture energetiche, essendo presente solo il riferimento a una infrastruttura
non meglio localizzata nell'Alto Adriatico;
questa circostanza è confermata dalla consultazione del sito della GIE (Gas Infrastructure Europe),
dove risulta che rimpianto progettato dalla società Gas Natural per la località Zaule (TS), viene ora
indicato da realizzare genericamente nel Nord Adriatico, con inizio della produzione previsto nel
2019. Nel frattempo il 23 luglio 2014 è stata presentata una istanza di valutazione di impatto
ambientale per un nuovo progetto relativo a un terminale di stoccaggio, rigassificazione e
distribuzione del GNL nel golfo di Trieste, a Monfalcone;
il 18 ottobre 2013 è scaduta la sospensione di sei mesi della valutazione di impianto ambientale per
Zaule, senza che si sia verificata nessuna delle due condizioni indicate dal decreto per un esito
positivo della valutazione: la multinazionale spagnola Gas Natural non ha presentato proposte di
localizzazioni alternative e l'Autorità portuale di Trieste non ha rivisto al ribasso le stime di traffico
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marittimo che, già a fine 2012, hanno portato a sostenere l'incompatibilità dell'infrastruttura con le
prospettive di sviluppo dello scalo;
lo stesso giorno, come riportato da un articolo pubblicato dal quotidiano Il Piccolo di Trieste e
intitolato «Rigassificatore, il Ministero revoca il permesso ambientale per Zaule»; si riferisce che il
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avrebbe inviato una missiva alla
società Gas Natural concedendo 10 giorni di tempo per presentare le proprie osservazioni al fine di
evitare la revoca delle valutazioni di impatto ambientale;
è passato quasi un anno dalla missiva summenzionata ma ad oggi il Ministero competente, a quanto
consta all'interrogante, non ha ancora emanato il decreto di revoca della valutazione di impatto
ambientale, confermando un silenzio assordate sul destino di questa infrastruttura la cui
realizzazione ufficialmente non è stata ancora cancellata;
l'interrogante aveva ricevuto rassicurazioni da rappresentanti del Governo in risposta ad alcune
interrogazioni presentate in materia, come nel caso della n. 4-00914 a cui ha replicato in forma
scritta il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico Claudio De Vincenti;
secondo la risposta pubblicata martedì 3 giugno 2014 nell'allegato B della seduta n. 238
dell'Assemblea della Camera: «Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per
quanto di sua competenza, ha precisato che lo schema di decreto di revoca in questione, già firmato
dal Ministro pro tempore, Andrea Orlando, era stato inoltrato per la firma del Ministro dei beni e
delle attività culturali e del turismo, in data 13 febbraio 2014, ma, essendo nel frattempo mutata la
compagine governativa, lo stesso decreto è stato restituito dal Ministero dei beni e delle attività
culturali e del turismo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ai fini
dell'acquisizione della firma dei Ministri ora in carica. Lo schema di decreto è attualmente al vaglio
del nuovo Gabinetto, in quanto il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare
appena insediato sta procedendo ai controlli e agli approfondimenti procedurali e amministrativi di
rito sulla questione prima della firma –:
se non si ritenga opportuno emanare immediatamente il decreto di revoca della valutazione di
impatto ambientale relativa al progetto summenzionato, nel rispetto delle disposizioni normative
vigenti;
se s'intenda chiarire quale località del Nord Adriatico, così come riportata nei documenti
comunitari, sarà interessata dal progetto di realizzazione di un rigassificatore. (5-03600)
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Interrogazione a risposta scritta:
sull’arenamento di alcuni capodogli a Vasto (Chieti) e sulle tecniche di prospezione per la
ricerche di idrocarburi nell'Adriatico
BENEDETTI e altri (M5S)
— Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo
economico. — Per sapere – premesso che:
il 12 settembre a Vasto (Chieti) si sono spiaggiati 7 capodogli, di cui 3 morti e 4 salvati grazie ai
cittadini e alla marineria vastese; la presenza di gas nel sangue dei mammiferi fa supporre che la
causa siano le ricerche di idrocarburi nell'Adriatico, la cui tecnica di ispezione air-gun provoca
esplosioni che danneggiano i mammiferi;
con atto n. 4-03492 dell'11 febbraio 2014 si interrogavano i Ministri dell'ambiente e della tutela del
territorio e del mare e degli affari esteri relativamente alle scansioni avviate dal Governo croato in
Adriatico, elencando gli studi che dimostrano come le tecniche di prospezione danneggino gli
«abitanti del mare» e chiedendo garanzie a difesa del patrimonio marino;
si prevede che, per valorizzare i non trascurabili giacimenti di idrocarburi presenti sul territorio
nazionale, vengano sbloccati investimenti, ipotizzabili in 15 miliardi di euro, vengano semplificate
le procedure di rilascio dei titoli minerari, e tolto agli enti locali il potere di veto sulle trivellazioni;
si tratta di un giro di affari che attirerà gli interessi economici di un considerevole numero di
imprese già operanti e di tutte quelle nuove compagnie che faranno presto a essere qualificate come
«petrolifere»;
le nuove procedure di semplificazione che si prospettano potrebbero comportare il diffondersi
rapidamente di trivelle in mare che dall'Alto Adriatico (dove ne sono già previste 19)
proseguirebbero lungo tutta la dorsale, fino alla Sicilia. In tutto potrebbero essere sbloccate 44
istanze per permesso di ricerca e 9 istanze di coltivazione depositate dalle compagnie, che si
andrebbero ad aggiungere alle 105 piattaforme e ai 366 pozzi attivi oggi nell’offshore italiano. Solo
nell'Adriatico centro meridionale sono oltre 12.290 i chilometri quadrati interessati da permessi di
ricerca, istanze di coltivazione o per nuove attività di esplorazione di petrolio che si aggiungono alle
8 piattaforme già attive e da cui nel 2013 sono state estratte 422.758 tonnellate di greggio;
il rischio per il nostro Paese è il moltiplicarsi incontrollato di nuove piattaforme e nuovi giacimenti,
che preoccupa esperti e associazioni ambientaliste. Gli operatori economici, dai proprietari di
alberghi ai viticoltori, sono inoltre preoccupati dell'impatto economico negativo su produzioni di
qualità e turismo che garantiscono il sostentamento per centinaia di migliaia di lavoratori;
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negli ultimi due anni sono scesi in piazza diocesi, enti locali, regioni, associazioni di categoria dei
commercianti ed esercenti, per difendere settori economici che saranno gravemente impattati con
conseguenti perdite di posti di lavoro, sacrificati sull'economia del passato che, peraltro, è a
bassissima intensità di lavoro;
è dimostrato infatti che le trivellazioni, per ogni milione di euro investito, portano 0,5-0,8 posti di
lavoro, mentre l'agricoltura, il commercio e il turismo hanno moltiplicatori economici 10 volte
maggiori; a dimostrazione di ciò si porta l'esempio della Basilicata che dal 1998 è stata trasformata
in un distretto petrolifero e a 16 anni da questa scelta gli indicatori economici sono tra i peggiori
d'Italia, con un'emigrazione costante di migliaia di persone che evidentemente non traggono
beneficio dai pozzi di petrolio e dalle centrali di raffinazione che invece scoraggiano la nascita del
turismo e danneggiano le produzioni agricole di qualità;
il recente rapporto annuale della World Meteorological Organization indica che il 2013 è stato
l'anno più inquinato degli ultimi trent'anni facendo registrare un nuovo record nella presenza di
anidride carbonica e altri gas effetto serra nell'atmosfera terrestre; si starebbe inoltre verificando
un'acidificazione senza precedenti degli oceani e quindi della loro capacità di assorbire la stessa
CO2;
il volume di anidride carbonica, il principale gas a effetto serra emesso dalle attività umane,
presente nell'atmosfera terrestre, nel 2013 è stato pari a 396 parti per milione (Ppm), 2,9 Ppm in più
rispetto al 2012. Si tratta del più grande aumento dal 1984, ovvero da quando la situazione mondiale
è monitorata in maniera affidabile. Il secondo gas serra più importante, il metano (meno diffuso, ma
molto più potente) ha continuato a crescere ad un ritmo simile a quello degli ultimi cinque anni,
raggiungendo una media mondiale di 1.824 parti per miliardo (Ppb). L'altro principale gas dannoso,
il protossido di azoto, ha raggiunto 325,9 Ppb, ma la sua crescita è rimasta stabile e nella media
negli ultimi dieci anni;
il segretario generale del WMO, Michel Jarraud, a proposito del rapporto annuale Greenhouse Gas,
ha dichiarato che «senza alcun dubbio il nostro clima sta cambiando, sta diventando sempre più
estremo e la causa sono le attività umane, come la combustione di carbone fossile. Le emissioni di
CO2 del passato, quelle di oggi e del futuro si accumuleranno e avranno un impatto globale sia sul
surriscaldamento che sull'acidificazione degli oceani. Le leggi della fisica non sono negoziabili, sta
scadendo il tempo –:
se alla luce degli studi scientifici, degli obiettivi del «Piano 20-20-20» approvato nel marzo 2007
dai Governi europei e della recente denuncia del WMO, non ritengano in totale controtendenza,
anacronistica e antieconomica la direzione intrapresa dal Governo verso lo sfruttamento delle
energie fossili, e quali misure intendano adottare a difesa dell'intero ecosistema marino. (4-06086)
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Risoluzione in Commissione:
sul rilancio dell'uso del pagamento elettronico
CAPEZZONE e altri (FI)
Le Commissioni VI e X,
premesso che:
il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, ha ridotto, all'articolo 12, il limite di utilizzo del contante
e dei titoli al portatore, con decorrenza dal 6 dicembre 2011 ad un importo inferiore ad euro 1.000;
ha altresì previsto, all'articolo 12, comma 9, che l'Associazione bancaria italiana, le associazioni dei
prestatori di servizi di pagamento, la società Poste italiane spa, il Consorzio bancomat, le imprese
che gestiscono circuiti di pagamento e le associazioni delle imprese maggiormente significative a
livello nazionale dovessero definire entro il 1o giugno 2012, ed applicare entro i tre mesi successivi,
le regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in
relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, tenuto conto della necessità di
assicurare trasparenza e chiarezza dei costi, nonché di promuovere l'efficienza economica nel
rispetto delle regole di concorrenza; non essendosi pervenuto, secondo le modalità e nei termini
previsti dal citato articolo 12, comma 9, del decreto-legge n. 201, all'elaborazione delle suddette
regole condivise, ai sensi dell'articolo 12, comma 10, del medesimo decreto-legge n. 201, la loro
definizione è stata demandata a un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto
con il Ministro dello sviluppo economico, sentite la Banca d'Italia e l'Autorità garante della
concorrenza e del mercato; il comma 4 dell'articolo 15 del decreto-legge n. 179 del 2012, ha
stabilito che, a decorrere dal 1o gennaio 2014, i soggetti che effettuano l'attività di vendita di
prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, fossero tenuti ad accettare anche pagamenti
effettuati attraverso carte di debito; il successivo comma 5 del medesimo articolo 15 ha stabilito
che, con uno o più decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro
dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, venissero disciplinati gli eventuali importi
minimi, le modalità e i termini, anche in relazione ai soggetti interessati, per l'attuazione della
disposizione previste dal citato comma 4: con i medesimi decreti poteva essere disposta l'estensione
degli obblighi a ulteriori strumenti di pagamento elettronici anche con tecnologie mobili;
successivamente, al fine di consentire alla platea degli interessati di adeguarsi alle nuove
disposizioni normative, è intervenuto l'articolo 9, comma 15-bis, del decreto-legge n. 150 del 2013
(cosiddetto decreto «Milleproroghe»), con il quale è stato prorogato al 30 giugno 2014 il termine di
entrata in vigore dell'obbligo di accettazione dei pagamenti mediante carte di debito;
ai sensi dell'articolo 15, comma 5, del decreto-legge n. 179 del 2013 è stato emanato il decreto del
10
Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, che,
all'articolo 2, comma 2, stabiliva che, in sede di prima applicazione e fino al 30 giugno 2014,
l'obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso carte di debito si applicasse a tutti i pagamenti
di importo superiore a trenta euro e limitatamente ai pagamenti effettuati a favore degli esercenti il
cui fatturato dell'anno precedente a quello nel corso del quale è effettuato il pagamento fosse
superiore a duecentomila euro; tale disposizione, per effetto della proroga introdotta dal citato
decreto-legge «Milleproroghe», è stata tuttavia vanificata; successivamente è stato adottato il
decreto 14 febbraio 2014 del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro
dell'economia e delle finanze, recante il regolamento sulle commissioni applicate alle transazioni
effettuate mediante carte di pagamento: tale provvedimento si limita ad enunciare alcuni principi di
carattere generale, dettando regole solamente in materia di trasparenza e di pubblicità; in
particolare, l'articolo 4 del decreto ministeriale stabilisce una maggiore pubblicità delle
commissioni d'interscambio imponendo ai gestori dei circuiti «di rendere noti e aggiornati in
maniera chiara, completa, trasparente attraverso il proprio sito internet le eventuali commissioni
d'interscambio applicate alle operazioni di pagamento», l'articolo 5 prescrive «la confrontabilità
delle commissioni» per gli esercenti obbligati dal 30 giugno di avere una apparecchio POS (Point of
Sale) in negozi, aziende e studi, mentre l'articolo 6 stabilisce una revisione periodica almeno
annuale
delle
commissioni,
correlate
al
volume
e
al
valore
delle
operazioni;
a pochi mesi dall'entrata in vigore dell'obbligo di dotarsi del POS il meccanismo stenta a decollare
e, contestualmente, l'applicazione delle previste disposizioni normative sta creando notevoli disagi a
commercianti, artigiani e liberi professionisti, in quanto i costi di installazione e gestione delle
apparecchiature incidono in maniera significativa sul fatturato e rischiano di essere, in questa
congiuntura economica, proibitivi per molti piccoli e medi imprenditori, come denunciato anche
dalle associazioni di categoria: in particolare, il provvedimento del Governo avrebbe dovuto
incentivare l'utilizzo della moneta elettronica sia dal punto di vista dei consumatori sia da quello
delle imprese, evitando che uno strumento introdotto per la condivisibile lotta all'evasione si
trasformi in un balzello aggiuntivo per artigiani, commercianti e i liberi professionisti; non è infatti
in discussione il diritto del consumatore di pagare come meglio crede i propri acquisti, ma il fatto
che sia la legge ad imporre agli imprenditori un costo aggiuntivo insostenibile, determinando anche
ripercussioni
negative
nel
rapporto
fiduciario
tra
venditore
e
acquirente;
in tale contesto va inoltre ricordato che i costi per l'installazione dei POS presentano una
componente fissa e una variabile: i costi fissi coprono la disponibilità dell'apparecchiatura POS e
dipendono dalle diverse funzionalità che il terminale può offrire e dal tipo di tecnologia utilizzata
per il collegamento; i costi variabili sono, invece, legati al numero e all'ammontare delle transazioni
11
effettuate dalla clientela e dipendono dal tipo di circuito utilizzato; spesso le due componenti di
costo sono fra loro collegate: a costi fissi più alti possono essere associati costi variabili più bassi (e
viceversa);
nello scorso mese di luglio, presso il Ministero dello sviluppo economico si sono tenute le prime
due riunioni di uno specifico tavolo sul tema della diffusione delle transazioni con carte di
pagamento: a questi incontri hanno preso parte i rappresentanti dell'ABI, dell'Aiip (Associazione
italiana istituti di pagamento e di moneta elettronica), del Consorzio Pagobancomat, dei gestori dei
circuiti internazionali Visa e MasterCard e di alcuni operatori di mercato dei pagamenti elettronici;
nelle prossime settimane, il tavolo proseguirà con la convocazione delle organizzazioni delle
imprese e dei professionisti; gli interventi normativi di questi ultimi anni si inquadrano nella
dichiarata intenzione del legislatore di modernizzare il sistema di pagamenti del nostro Paese ed
avvicinarlo così agli standard europei, agevolando ed incrementando la diffusione e l'utilizzo della
moneta elettronica in funzione di una sensibile riduzione dei costi legati alla gestione del contante
da parte delle imprese, di un più efficace contrasto all'evasione fiscale, al riciclaggio e alla
corruzione, garantendo una maggiore tracciabilità dei pagamenti; di una semplificazione della
contabilità di banche, imprese e pubblica amministrazione, senza considerare la riduzione dei costi
sociali legati a furti, scippi e rapine; l'esigenza di promuovere in Italia l'uso di questi sistemi di
pagamento è confermata dall'evidenza che il sistema italiano dei pagamenti si caratterizza per una
maggiore incidenza delle transazioni regolate attraverso il contante, ben oltre P80 per cento del
controvalore totale, rispetto agli altri principali Paesi europei, dove non si supera il 60 per cento;
a livello europeo, l'Unione europea ha approvato, ad oggi, la direttiva sui sistemi di pagamento del
2007 (2007/64/CE), anche nota come PSD – Payment services directive, che definisce un quadro
giuridico comunitario per i servizi di pagamento elettronici e quella sulla moneta elettronica del
2009 (2009/110/CE), concernente l'avvio, l'esercizio e la vigilanza prudenziale dell'attività degli
istituti di moneta elettronica; la direttiva PSD è stata recepita nell'ordinamento nazionale con il
decreto legislativo n. 11 del 2010, la seconda direttiva con il decreto legislativo n. 45 del 2012:
entrambe le direttive non prendono in considerazione gli aspetti di policy legati agli obiettivi di
diffusione degli strumenti di pagamento elettronico, limitandosi agli aspetti formali legati alla
armonizzazione finanziaria della disciplina dei relativi mercati di riferimento, lasciando ampie
possibilità di deroga ai singoli Stati membri; il quadro normativo comunitario mantiene margini
confusi e criticità tali da aver indotto la Commissione europea ad elaborare e a pubblicare il 24
luglio 2013 un pacchetto di proposte (COM (2013)547 def.) per facilitare l'uso dei pagamenti via
Internet, che aggiorna le disposizioni delle citate direttive sui sistemi di pagamento (2007/64/CE) e
sulla moneta elettronica (2009/110/CE); il 3 aprile 2014 il Parlamento europeo ha approvato in
12
prima lettura una proposta di regolamento che prevede un tetto sulle commissioni interbancarie con
carte di credito e di debito (interchange fee) dello 0,2 per cento della transazione per le carte di
debito e dello 0,3 per cento della transazione per le carte di credito; per i primi 22 mesi il tale tetto
alle commissioni sarà in vigore solo per le transazioni internazionali, successivamente, entro due
anni dalla data di pubblicazione del provvedimento, entrerà in vigore anche per quelle domestiche;
secondo la relazione allegata alla proposta della Commissione europea, il calo dell’interchange fee
dovrebbe ridurre i costi a carico dei commercianti di circa sei miliardi di euro all'anno e rilanciare
l'uso del pagamento elettronico; attualmente, la commissione pagata dalla banca del commerciante
alla banca del consumatore, può essere addirittura pari all'1,5 per cento del totale della transazione;
si calcola che la media europea sia dello 0,9 per cento; la maggiore diffusione degli strumenti di
moneta elettronica rappresenta inoltre un elemento imprescindibile per lo sviluppo del commercio
elettronico e dei servizi online, il quale a sua volta può costituire un notevole elemento di crescita e
di modernizzazione del Paese, in primo luogo sotto il profilo economico ed occupazionali, ma
anche sotto quello sociale; appare necessario colmare in Italia il ritardo tecnologico e
infrastrutturale che attualmente penalizza i consumatori e le imprese italiane rispetto all'accesso alla
banda larga, costituendo un freno allo sviluppo e agli investimenti produttivi nel settore;
in tale contesto si inseriscono le iniziative con la quale la Commissione europea ha indicato una
serie di azioni concrete volte a raddoppiare entro il 2015 la quota di e-commerce delle vendite al
dettaglio, nonché la percentuale del PIL europeo complessivo prodotto dall'economia online,
impegnano il Governo:
a proseguire celermente nelle convocazione e nella tenuta dei tavoli tecnici presso il Ministero dello
sviluppo economico, al fine di promuovere accordi fra sistema bancario e le associazioni
imprenditoriali, volti all'abbattimento dei costi di gestione dei POS, prevedendo anche forme di
defiscalizzazione degli oneri connessi all'installazione ed alla gestione dei dispositivi sotto forma di
credito d'imposta; a prevedere l'innalzamento dell'importo minimo oltre il quale si applica l'obbligo
di accettare pagamenti elettronici (50 euro) o l'esclusione temporanea dal provvedimento dei settori
di attività a basso margine di redditività, individuati attraverso apposito tavolo cui partecipino il
Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'economia e delle finanze e le parti sociali;
ad assumere iniziative volte a incrementare la trasparenza delle diverse proposte commerciali delle
banche, anche attraverso la pubblicizzazione dei valori della commissioni interbancarie della
diverse banche e sviluppando un indice sintetico di costo che consenta agli operatori una facile
comparazione delle diverse offerte; a dare attuazione, nell'ambito della riforma del sistema fiscale,
al principio di delega stabilito dall'articolo 9, comma 1, lettera f), della legge n. 23 del 2014, con
13
particolare
attenzione
alle
forme
incentivanti
l'utilizzo
della
moneta
elettronica;
a verificare lo stato della diffusione dei POS presso le pubbliche amministrazioni;
a provvedere a tenere costantemente e tempestivamente informate le commissioni parlamentari
competenti sugli sviluppi dei tavoli di lavoro presso il Ministero dello sviluppo economico
sull'andamento del monitoraggio degli effetti del decreto sul mercato, sia in termini di volumi sia di
prezzi;
a definire e attuare ogni utile iniziativa per sostenere e diffondere le tecnologie dell'informazione e
della comunicazione, allo scopo di sfruttarne al meglio il potenziale di sviluppo, superando il
cosiddetto digital divide e ponendo le imprese e i cittadini nelle condizioni di utilizzare appieno e in
condizioni di parità sull'intero territorio nazionale tutte le possibilità, non solo economiche, ma
anche sociali, informative e culturali, offerte da Internet;
ad accompagnare e sostenere le imprese, in particolare le piccole e medie imprese, in quel processo
di crescita dimensionale e di modernizzazione produttiva, tecnologica e organizzativa, che
costituisce una condizione importante per consentire loro di operare e competere efficacemente sui
mercati online;
a sostenere in particolare lo sviluppo dell’e-commerce, in una prospettiva di innovazione, sostegno
alla crescita economica e la competitività, superando i ritardi che ancora caratterizzano, anche sotto
questo aspetto, il tessuto economico nazionale;
a rafforzare i sistemi di contrasto delle frodi telematiche nel settore dell’e-commerce, assicurando ai
consumatori un più elevato livello di sicurezza, con specifica attenzione ai profili di trasparenza e
chiarezza delle informazioni commerciali, alla garanzia dei prodotti venduti e dei servizi offerti.
(7-00465)
Interrogazione a risposta in Commissione:
sulla tassazione dei prodotti energetici nella navigazione delle acque interne
BUSIN (LN)
— Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
la materia di tassazione dei prodotti energetici nella navigazione delle acque interne è stata, in un
primo tempo, oggetto di disciplina da parte della direttiva CEE n. 92/81/CEE del Consiglio del 19
ottobre 1992, relativa all'armonizzazione delle strutture delle accise sugli olii minerali, con cui il
legislatore comunitario, per favorire i commerci e i traffici in area comunitaria, ha adottato una serie
di vantaggi armonizzati per i gas e gli olii minerali utilizzati come combustibile per la navigazione a
fini commerciali di trasporto di merci e passeggeri in tutte le acque comunitarie;
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in un secondo momento, il legislatore comunitario è intervenuto ancora con la direttiva n. 2003/96
che, pur abrogando la precedente normativa della direttiva n. 81 del 1992, ha mantenuto il principio
di un regime fiscale agevolato, stabilendo, all'articolo 14, comma 1, lettera c), che gli Stati membri
esentano dalla tassazione «i prodotti energetici forniti per essere utilizzati come carburanti per la
navigazione nelle acque comunitarie (compresa la pesca), diversa dalla navigazione delle
imbarcazioni private da diporto», escludendo dalla definizione di imbarcazioni private da diporto le
imbarcazioni
usate
per
scopi
commerciali
di
trasporto
di
passeggeri
o
merci;
l'articolo 15, comma 1, della stessa direttiva recita, ugualmente alla precedente, che gli «Stati
membri possono applicare, sotto controllo fiscale, esenzioni o riduzioni totali o parziali del livello
di tassazione», specificando, alla lettera f), il regime di applicabilità agevolata «ai prodotti
energetici forniti per essere utilizzati come carburanti per la navigazione sulle vie navigabili interne
(compresa la pesca), diversa dalla navigazione delle imbarcazioni private da diporto»;
da suddette legislazioni si evince quindi che le unità navali commerciali (non da diporto, destinate
invece ad esclusivo uso privato) destinate al trasporto sia di merci che di passeggeri, che navigano
in acque comunitarie, devono essere sottoposte al regime di esenzione e che possono beneficiare
delle esenzioni previste anche le stesse unità navali ad uso commerciale, destinate quindi sia al
trasporto
merci
che
al
trasporto
passeggeri,
che
navigano
in
acque
interne;
nell'ambito dell'esercizio del suo potere regolamentare, il legislatore nazionale, ha regolato nel
dettaglio la materia attraverso il decreto legislativo del 26 ottobre 1995, n. 504, «Testo unico delle
disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni
penali e amministrative», dove, nel punto 3 della Tabella A non soltanto si esclude esplicitamente il
trasporto passeggeri, quando invece questo è ricompreso dalla direttiva del 2003, ma fa anche
esclusivo riferimento alle «acque marine comunitarie», mentre la direttiva 2003/96/CE, all'articolo
14, lettera c), cita le «acque comunitarie», comprensive, quindi, delle acque interne, tanto che tutti
gli altri Stati membri, secondo quanto stabilito dalla stessa direttiva, prevedono l'esenzione delle
accise sul trasporto commerciale passeggeri in acque interne, escludendolo sempre dal regime di
fiscalità ordinaria; quindi, al contrario degli altri Stati membri, l'interpretazione nazionale,
approfittando dell'imprecisione del quadro normativo nazionale rispetto alla regolamentazione
comunitaria, si è orientata in senso restrittivo, escludendo i natanti che praticano il trasporto
commerciale di passeggeri nelle acque interne dal favor previsto dalla normativa comunitaria per
l'esenzione dalle accise, non ricomprendendo le acque interne nelle acque comunitarie e,
approfittando della confusione fatta dal legislatore nazionale che esclude esplicitamente il trasporto
dei passeggeri, evidentemente confuso con la navigazione da diporto ad uso privato;
di questa erronea interpretazione delle norma adottata da parte della Agenzia delle dogane, molte
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attività commerciali nazionali di trasporto passeggeri nelle acque interne, già vessate dalla crisi
economica – esemplare è la situazione della regione del Veneto – ne subiscono le conseguenze,
scontando uno svantaggio pesantissimo in termini di concorrenzialità rispetto ad altre compagnie di
Stati membri che, svolgendo la loro attività nel nostro Paese, possono invece offrire prezzi più
competitivi e profitti più alti in quanto inclusi nel regime di esclusione dal pagamento delle accise
nei loro Stati di appartenenza fiscale, comportando, inoltre, anche una perdita di gettito fiscale del
nostro Paese –:
quali iniziative il Ministro, in base alle proprie competenze, intenda adottare al fine di
ricomprendere nel regime della esenzione delle accise anche le unità di trasporto commerciale di
passeggeri impiegate nella navigazione fluviomarittima, lagunare e interna. (5-03619)
Interrogazione a risposta scritta:
sui requisiti tecnici dei sistemi di accumulo connessi in rete, anche in riferimento al GSE
REALACCI e BRAGA (PD)
— Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
con la risposta all'atto 5-02986 presentato dai deputati Braga e Realacci il Sottosegretario di Stato al
Ministero dello sviluppo economico, onorevole Simona Vicari, in merito alla condivisa necessità di
normare e integrare in rete sistemi di accumulo in esistenti impianti che accedono a tariffe
incentivanti, rispondendo così «[...] al fine specifico e condivisibile di garantire la correttezza della
gestione del sistema di sostegno, in modo che l'incentivo, a carico dei consumatori elettrici sia
effettivamente destinato alla sola energia già ammessa all'incentivo medesimo, esigenza che
verrebbe a essere pregiudicata da un inserimento di sistemi di accumulo secondo regole e sistemi
non codificati»; a quanto sopraddetto si aggiungeva: «il Governo considera una priorità per gli
impianti a fonte rinnovabile non programmabile la realizzazione di configurazioni che consentano
di migliorare la loro integrazione con il sistema elettrico e con le ordinarie regole di mercato, vista
la particolare capacità di penetrazione dimostrata sul mercato nazionale. Al fine di perseguire
questo obiettivo, il Ministero dello sviluppo economico, nei limiti consentiti dalle prerogative di
indipendenza del regolatore, ha sensibilizzato gli Uffici dell'Autorità circa la necessità di dare piena
attuazione alle previsioni di cui al citato decreto ministeriale 5 luglio 2012, allo scopo di consentire
l'ordinato sviluppo del settore e delle relative tecnologie. Ci si attende quindi che, anche nelle more
del completamento da parte del CEI (Comitato Elettrico Italiano) della definizione dei requisiti
tecnici dei sistemi di accumulo, entro l'estate questa disciplina sull'inserimento di sistemi di
accumulo in impianti connessi alla rete sia definita e siano, anche, dettate le disposizioni essenziali
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per regolare la prestazione di servizi di rete. Parimenti, dopo l'emanazione della predetta delibera, il
MiSE vigilerà affinché il GSE si attivi sollecitamente per la sua attuazione, adottando i conseguenti
provvedimenti di dettaglio e le regole applicative necessarie per consentire l'ordinato sviluppo del
settore e delle relative tecnologie, nel rispetto delle esigenze di corretta gestione degli incentivi»;
è importante ricordare che il citato limite dell'estate di quest'anno è ampiamente superato –:
se il Ministro dello sviluppo economico intenda sollecitare per quanto di competenza e acquisire al
più presto la delibera di disciplina da parte del CEI – Comitato elettrico nazionale – che determina
per legge i requisiti tecnici dei sistemi di accumulo connessi in rete affinché, per tramite del GSE, si
dia piena attuazione alle previsione del decreto ministeriale 5 luglio 2012. (4-06099)
Risposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Gian Luca Galletti,
all’interrogazione a risposta scritta sul progetto relativo al rifacimento dell'invaso sul torrente
Sessera, presentata da BUSTO e altri (M5S) (4-04578)
Le osservazioni ed i quesiti posti dagli interroganti erano stati oggetto di una precedente
interrogazione parlamentare (n. 4-03410 sempre a firma dell'onorevole Busto) sul medesimo
progetto «invaso sul torrente Sessera in sostituzione dell'esistente, per il superamento delle crisi
idriche ricorrenti, il miglioramento dell'efficienza idrica degli invasi esistenti sui torrenti
Ravasanella ed 0stola e la valorizzazione ambientale del comprensorio» presentato dal consorzio di
bonifica della baraggia biellese e vercellese in corso di procedura di VIA presso il Ministero
dell'ambiente della tutela del territorio e del mare.
Con particolare riferimento ai contenuti delle osservazioni, delle diffide e della sentenza del
tribunale di Vercelli, presentate da parte dell'associazione «custodiamo la Valsessera» nel corso
dell'istruttoria di valutazione impatto ambientale in opposizione alla realizzazione del progetto, va
posto in evidenza che esse sono state compiutamente considerate negli atti istruttori da parte della
commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA-VAS che ha espresso da ultimo il
parere n. 1524 del 13 giugno 2014. Quest'ultimo ha integrato i precedenti pareri già espressi (n.
1031 del 7 settembre 2012, n. 1297 del 19 luglio 2013, n. 1331 del 6 settembre 2013, n. 1442 del
14 febbraio 2014) che tenevano conto delle note e delle diffide trasmesse dall'associazione
«custodiamo la Valsessera» come è possibile riscontrare dalla lettura dei medesimi atti. Sono state
analizzate e controdedotte puntualmente tutte le ulteriori osservazioni formulate in opposizione al
progetto anche quando sono pervenute oltre la scadenza dei termini previsti dalla legge (60 giorni
dalla data degli avvisi al pubblico). Sono stati effettuati ulteriori approfondimenti istruttori e si è
così pervenuti all'emanazione dei citati pareri integrativi n. 1442 del 14 febbraio 2014 e n. 1524
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del 13 giugno 2014. La commissione valutazione di impatto ambientale-valutazione ambientale
strategica, ha naturalmente esaminato gli aspetti ambientali senza esprimere alcuna valutazione sui
costi e sulla copertura finanziaria dell'opera, non rientrando nelle proprie specifiche competenze.
Nel corso dell'istruttoria di valutazione di impatto ambientale è stato valutato ed analizzato anche
l'impatto sulla componente idrica e sull'ecosistema fluviale; peraltro, come noto, esistono specifici
strumenti di tutela delle acque (piano di gestione del distretto idrografico del fiume Po, piano
regionale di tutela delle acque) sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. La coerenza del
progetto con tali strumenti di pianificazione e programmazione settoriale sovraordinati è
ugualmente stata verificata dalla Commissione (in particolare tali aspetti sono richiamati negli
ultimi pareri citati n. 1442 del 17 febbraio 2014 e n. 1524 del 13 giugno 2014) nonché
approfondita nel parere reso dalla regione Piemonte, autorità competente per gli aspetti di tutela
delle acque, anche in relazione al deflusso minimo vitale. È stata inoltre effettuata apposita
valutazione di incidenza, prescritta dalla direttiva Habitat 92/43/CE, in merito alle aree sensibili,
agli habitat ed alle specie di interesse comunitario interferiti dall'opera, a seguito della quale sono
state formulate specifiche prescrizioni per la mitigazione delle interferenze al fine di assicurare la
tutela delle specie di interesse prioritario; sono state inoltre prescritte misure di monitoraggio degli
effetti dell'opera in base alle quali poter attuare ulteriori misure correttive atte a limitate eventuali
impatti non prevedibili. Circa la tutela degli habitat forestali che saranno interferiti dalla
realizzazione dell'invaso, il Ministero per i beni e le attività culturali ha inoltre reso in data 19
ottobre 2012, il proprio parere favorevole condizionato al rispetto di puntuali prescrizioni circa la
limitazione della capacità dell'invaso a 7 mmc, in luogo dei 12 mmc previsti dal progetto, per
limitare l'impatto dell'opera sulle aree boschive. Pertanto la possibilità di utilizzare la massima
capacità dell'invaso è subordinata a specifica autorizzazione da parte del Ministero per i beni e le
attività culturali e, in presenza di eventuali modifiche progettuali, ad una nuova procedura di
verifica di assoggettabilità da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del
mare. Oltre al vincolo progettuale imposto per la tutela delle aree forestali, sono state imposte
misure di compensazione che prevedono 200 ettari di superficie forestale da ripristinare, tra cui
faggete e altri habitat forestali prioritari, di cui almeno 150 nel bacino del torrente Sessera.
Nel ricordato parere con prescrizioni espresso dalla regione Piemonte, è stata verificata altresì la
coerenza del progetto con gli atti di pianificazione territoriale e paesistica di competenza regionale.
La commissione ed i competenti servizi tecnici della regione Piemonte hanno valutato altresì il
potenziale innesco di fenomeni di dissesto idrogeologico conseguenti la realizzazione dell'invaso. È
stata a tal proposito valutata la compatibilità tra l'equilibrio idrogeologico del territorio e gli effetti
conseguenti la realizzazione delle opere. Si evidenzia altresì, come peraltro risulta dal primo parere
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della commissione adottato nel 2012, che le opere eventualmente interferenti con aree interessate da
fenomeni di esondazione e/o di dissesto morfologico sono necessariamente soggette a successiva
verifica di compatibilità idraulica ai sensi delle norme tecniche di attuazione del piano di assetto
idrogeologico del fiume Po. Infine in relazione agli «approfondimenti atti a verificare che sia
garantita la disponibilità della risorsa idropotabile alle popolazioni interessate, definendone gli
aspetti quantitativi», premesso che già nel ricordato parere della commissione del 2012 erano
contenute specifiche prescrizioni ad ulteriore garanzia della priorità dell'uso idropotabile,
nell'ultimo parere della commissione del 13 giugno 2014, sono stati espressamente evidenziati
questi specifici aspetti, unitamente ad altri, fornendo esaustivi elementi di approfondimento volti a
garantire la priorità dell'utilizzo idropotabile rispetto agli usi irrigui ed energetici, coinvolgendo
peraltro anche l'autorità d'ambito e il consorzio di bonifica per l'assunzione di opportuni impegni in
tal senso. Da quanto riportato ritengo si possa evincere come l'istruttoria sia stata condotta col
consueto rigore.
Di seguito il testo dell’interrogazione.
Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
in data 31 dicembre 2010 il Consorzio di bonifica della Baraggia Biellese e Vercellese ha presentato
un progetto definitivo denominato: «Rifacimento dell'invaso sul torrente Sessera in sostituzione
dell'esistente, per il superamento delle crisi idriche ricorrenti, il miglioramento dell'efficienza idrica
degli invasi esistenti sui torrenti Ravasanella ed Ostola e la valorizzazione ambientale del
comprensorio»;
è in corso una procedura di valutazione di impatto ambientale statale per l'espressione del giudizio
di compatibilità ambientale e contestuale valutazione di incidenza; il progetto ha destato sin da
subito la preoccupazione di gran parte delle amministrazioni comunali e delle popolazioni
coinvolte, in particolar modo l'associazione che si è denominata «Custodiamo la Valsessera»;
l'Associazione «Custodiamo la Valsessera» ha presentato in corso di procedura richiesta per
l'istituzione della commissione di inchiesta pubblica, non essendo l'invaso proposto puntualmente
previsto nella pianificazione regionale e nazionale; le modifiche delle norme d'area del PTA o i
progetti di fattibilità dell'opera non sono inoltre mai stati sottoposti al parere delle comunità locali (a
tale richiesta il Ministero ha posto un diniego); l'Associazione «Custodiamo la Valsessera» ha
presentato in corso di procedura due articolate e copiose osservazioni di merito di cui sia il
proponente che la commissione tecnica per la valutazione dell'impatto ambientale non hanno tenuto
minimamente conto; successivamente, ha inoltrato al Ministero dell'ambiente e della tutela del
19
territorio e del mare alcune formali diffide facendo ulteriormente presente i vincoli propri del SIC,
del PPR Piemonte, del PFA Valsessera e l'assenza della puntuale previsione dell'opera nel PTA
della regione Piemonte; l'istruttoria tecnica della commissione ministeriale per la valutazione di
impatto ambientale è iniziata in data 3 maggio 2011. Un primo parere, positivo con prescrizioni, è
stato espresso dalla commissione ministeriale con atto n. 1031 del 7 settembre 2012;
in data 19 luglio 2013, la Commissione ministeriale per la valutazione di impatto ambientale ha
emesso il parere n. 1297 che integra il precedente; un nuovo parere n. 1331 del 6 settembre 2013
modifica ed integra il quadro prescrittivo del parere n. 1031; allo stato attuale è in istruttoria una
ulteriore revisione del parere da parte della commissione ministeriale per la valutazione di impatto
ambientale;
a parere degli interroganti l'inutilità dell'opera è dimostrata da diversi fattori: il rapporto costi
benefici dell'opera ne dimostra l'inutilità poiché, a fronte di un costo di 322.350.000,00 euro ne
deriverebbero benefici irrilevanti sia perché le attuali disponibilità idriche sono ampiamente
sufficienti, sia perché a livello regionale il consumo dell'acqua a fini irrigui, oltre il 70 per cento
delle disponibilità, produce solamente il 2 per cento del prodotto lordo, per di più nelle attività
agricole meno redditizie; la realizzazione di un nuovo invaso, maggiore dell'attuale presente,
produrrebbe un impatto insostenibile sull'ecosistema del torrente Sessera attraverso una modifica
del deflusso dell'acqua sia a monte sia a valle dell'invaso. Il rilascio del previsto deflusso minimo
non sarebbe sufficiente a mantenere le condizioni vitali del torrente e, inoltre, manterrebbe un flusso
idrico costante durante l'anno, stravolgendo irreversibilmente l’habitat del torrente, caratterizzato da
una distribuzione annuale delle portate con andamento bimodale, in cui si riscontrano due massimi
(uno primaverile ed uno autunnale) e due minimi (invernale ed estivo) rendendolo inadatto alla
sopravvivenza delle comunità biotiche; gli impatti sulla componente idrica, dovendo lavorare anche
nell'alveo del torrente Sessera e sulle sue sponde, creando lo sbarramento dell'invaso, sarebbero
elevati anche durante la fase di realizzazione dell'opera; gli impatti apportati dalle opere in progetto
in fase di esercizio riguarderanno in particolare l'area dell'invaso e sarebbero molto elevati ai danni
degli habitat forestali sommersi. In particolare, si avrebbe la perdita degli habitat di importanza
comunitaria 9110 – Faggete Acidofile e 9130 – Faggete Eutrofiche, nonché dell’habitat prioritario
91E0 – Boschi Alluvionali di Ontano Nero, Ontano Bianco, quest'ultimo presente lungo i torrenti
montani ad acque ossigenate o, talvolta, bassi versanti freschi, quali quelli che verrebbero sacrificati
dall'invaso; l'opera inoltre non è compatibile con le previsioni del piano territoriale regionale, piano
urbanistico territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali e del piano
territoriale provinciale che ha anche ruolo di strumento per la tutela paesistica e ambientale, in
accordo con le previsioni del piano paesistico regionale; i siti interessati dal progetto ricadono nelle
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aree denominate «Boschi e foreste (articolo 2.2)», «Corsi d'acqua e relative fasce di rispetto fluviali
(articolo 2.3)», «Sistema delle dorsali alpine (articolo 2.5)» e «Aree di individuazione dei biotopi e
siti di interesse comunitario (S.I.C.) (articolo 2.9)»; nell'articolo 2.2 si precisa che «Il P.T.P.,
seguendo le direttive in materia dettate dal P.T.R., tutela e valorizza il sistema forestale in relazione
alla gestione della risorsa, alla prevenzione del dissesto e al consolidamento della rete ecologica
Provinciale».
l'articolo 2.3 specifica che «Al fine di favorire il riformarsi della vegetazione spontanea e la
costituzione di corridoi ecologici, nonché di consentire il regolare svolgimento delle attività di
vigilanza, manutenzione, irrigazione e difesa del suolo, ad una distanza inferiore a 10 metri dagli
alvei incisi dei corsi d'acqua sono vietate nuove edificazioni»; infine, l'articolo 2.9. definisce come
«Biotopi le porzioni di territorio che costituiscono un'entità ecologica di rilevante interesse per la
conservazione della natura, indipendentemente dal fatto che tali aree siano protette dalla
legislazione vigente». Inoltre, «Negli ambiti delimitati come Biotopi dalla data di inserimento del
Biotopo nel piano regionale delle aree protette, sono consentiti esclusivamente gli interventi che
non compromettano il raggiungimento degli obiettivi di tutela e che non ne alterino le caratteristiche
naturalistico – ambientali e le tendenze evolutive naturali»;
l'invaso potrebbe inoltre causare l'innesco di possibili dissesti. Nelle valli del bacino del Sessera, si
constata infatti che gli eventi franosi presentano prevalentemente carattere superficiale, coinvolgenti
in genere le coperture detritico-colluviali e le coltri di alterazione del substrato roccioso;
lungo il bacino del Dolca, invece, la diffusione dei lembi quaternari, ed in particolare dei depositi
glaciali in destra idrografica, risulta decisamente maggiore sia in termini di estensione areale che,
subordinatamente, in termini di sviluppo verticale. In tali ambiti si registra una frequenza dissestiva
sensibilmente
elevata,
che
meriterebbe
un
più
accurato
livello
di
approfondimento;
le criticità sarebbero legate principalmente alla variazione del livello dell'acqua del lago che
comporterà anche notevoli fluttuazioni, in base a periodi di abbondanti precipitazioni o a periodi
siccitosi. Tali variazioni comporteranno il susseguirsi di sommersioni e asciutta delle scarpate del
lago artificiale che potrà favorire il dissesto; da un recente articolo della Stampa risulterebbe che 25
milioni di euro sarebbero già stati elargiti dallo Stato per inaugurare i cantieri dell'opera; il vice
ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Olivero nella seduta pomeridiana n. 229 del
10 aprile 2014 in risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 2-00146 ha annunciato che finora «... tale
opera non ha trovato una copertura finanziaria, né potrà ottenerla nella programmazione degli
interventi infrastrutturali irrigui al momento previsti nella programmazione 2014-2020 del Fondo
per lo sviluppo rurale, stante l'elevata dimensione finanziaria. Infatti, il programma operativo
nazionale, nell'intesa raggiunta in Conferenza Stato-Regioni il 16 gennaio scorso, è stato pianificato
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per un totale di 300 milioni di euro». Il viceministro ha aggiunto, inoltre, che «... presso la
commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS, istituita ai sensi dell'articolo 9
del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 90, (i cui componenti sono
nominati con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare), sono in
corso approfondimenti atti a verificare che sia garantita la disponibilità della risorsa di acqua
potabile alle popolazioni interessate, definendone gli aspetti quantitativi» –:
se il Ministro sia a conoscenza dei dati sopra forniti e, in considerazione dell'apertura di una nuova
istruttoria annunciata dal rappresentante del Governo così come indicato in premessa, non ritenga
necessario verificare tutti i rilievi critici presentati dalle amministrazioni locali e dalle associazioni
territoriali in particolare «Custodiamo Valsessera», che da tempo si battono contro la costruzione
dell'opera;
se il Ministro ritenga ancora opportuno finanziare un'opera che presenta seri dubbi sotto diversi e
comprovati aspetti di natura ambientale, civico ed economico in un momento del tutto particolare
della finanza pubblica che non può davvero permettersi spese ingiustificate. (4-04578)
Risposta del Viceministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, all’interrogazione a risposta
scritta sugli accordi di libero scambio tra USA e EU Transatlantic Trade and Investment
Partnership (TTIP), presentata da CIPRINI e altri (M5S).
L'atto in esame, concerne il rilancio dell'imprenditoria in Italia nel contesto del negoziato per
l'accordo di libero scambio tra l'Unione europea e Stati Uniti (Partenariato transatlantico su
Commercio ed investimenti TTIP), al riguardo si segnala quanto segue. Le linee strategiche di
politica commerciale dell'Unione europea sono state definite sia nel documento «The EU Trade
Agenda: Opportunities Ahead», sia nelle conclusioni del Consiglio europeo del febbraio 2013,
secondo cui il commercio internazionale costituisce uno degli strumenti più efficaci per favorire la
crescita economica, la piena occupazione e il superamento dell'attuale fase di recessione nel vecchio
continente, grazie alle dinamiche tipiche ingenerate dal libero commercio: maggiore mobilità di
capitali, uomini, risorse e idee, stimolo alla competitività e all'innovazione tecnologica, espansione
degli utenti a fruizione dei prodotti nazionali. L'obiettivo posto dall'Esecutivo comunitario è
pertanto quello di espandere – nelle more del rilancio del processo multilaterale in ambito Wto – la
rete di accordi bilaterali di libero scambio tra l'Unione europea e i Paesi terzi: strategia alla quale è
ascrivibile anche l'avvio dei negoziati con gli Stati Uniti. L'obiettivo che si pone il Ttip è
l'istituzione tra le due sponde dell'Atlantico di una partnership ad ampio respiro dall'elevata portata
strategica – sulla base di un accordo ambizioso e onnicomprensivo – suscettibile sia di istituire una
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solida cornice giuridica e regolamentare per le relazioni economico-commerciali transatlantiche, sia
di fungere da impulso per il rilancio del negoziato commerciale multilaterale in ambito Wto,
indicando nuovi standard di riferimento. L'assenso al mandato negoziale Ttip per la Commissione –
accordato in via definitiva in occasione del Consiglio affari esteri formato commercio del 14 giugno
2013 – è stato effettuato nel pieno rispetto della pertinente normativa europea in materia
commerciale e, per quanto concerne la formazione della posizione negoziale italiana, in uno spirito
di trasparenza e condivisione delle informazioni disponibili con le altre amministrazioni dello Stato
coinvolte e con le associazioni di categoria interessate, nel rispetto di necessarie esigenze di
confidenzialità, imposte dalle istituzioni europee. La posizione italiana nei negoziati attualmente in
corso è quella di tutelare al massimo i nostri interessi nazionali – quali emersi, tra l'altro, proprio nel
corso del summenzionato processo di formazione della posizione negoziale nazionale – nell'ambito
di trattative finalizzate al raggiungimento di un Accordo, che si ispiri al principio di reciprocità e
che risulti bilanciato, ambizioso e onnicomprensivo, la cui conclusione dovrà essere contestuale,
sulla base del principio del single undertaking. L'obiettivo negoziale italiano, quindi, resta quello di
sostenere la conclusione del Ttip, visti i benefici che esso produrrebbe per l'economia europea e
statunitense, tutelando al massimo livello consentito i nostri interessi nazionali, in particolare:
barriere non tariffarie (inclusione del precautionary principle per gli standard sanitari e fitosanitari e
OGM); corretta informazione dei consumatori (cosiddetto Italian Sounding); accesso al mercato
(riferimento alle regole d'origine Unione europea; appalti pubblici (esclusione del concetto buy
American); tutela della proprietà intellettuale (riconoscimento delle indicazioni geografiche – IIGG)
e inclusione della liberalizzazione dell’export di materie prime energetiche (oggi vincolate negli
USA). Va rilevato che il Ministro dello sviluppo economico ha provveduto a effettuare una
valutazione d'impatto in merito alle risultanze economiche riguardanti l'Italia a seguito del buon
esito dell'accordo. A tal riguardo si precisa che lo studio, commissionato alla società Prometeia
S.p.a., ha confermato quanto già indicato da altri altrettanto autorevoli centri studi internazionali,
aditi dalla Commissione Europea e da altri Stati membri dell'Unione europea, evidenziando i
benefici economici per la Unione europea e per il nostro paese derivanti da tale accordo con gli
USA.
In particolare, tale studio ha rimarcato che l'Italia sarebbe tra i paesi dell'Unione europea che
maggiormente guadagnerebbero, in termini industriali del buon esito delle negoziazioni Ttip, con
effetti molto positivi per l'industria dei mezzi di trasporto, cioè per le produzione auto motive nel
loro insieme, ma soprattutto per i principali settori di specializzazione del nostro Paese nel
commercio mondiale: meccanica, sistema moda, agroalimentare e bevande. Va inoltre evidenziato
che tale intesa potrebbe incidere in maniera apprezzabile sulla futura crescita italiana fino a sfiorare
23
il mezzo punto percentuale per la nostra economia. In tal caso a tre anni dall'applicazione
dell'accordo il prodotto interno lordo aumenterebbe, al netto dell'inflazione, di 5,6 miliardi di euro
con aumento stimato di posti di lavoro di circa 30 mila unità. Tali indicazioni in merito ai possibili
effetti dell'accordo Ttip vanno lette tenendo ben presente quali siano l'orientamento e le aspettative
dell'intero sistema produttivo italiano, che nel suo complesso, guarda con grande interesse a questo
negoziato. A tale riguardo, numerose riunioni di coordinamento sono state fatte, nel corso degli
ultimi due anni, dal Ministro dello sviluppo economico con tutti i soggetti interessati: l'azione del
Governo verso la scelta negoziale del Ttip è stata ampiamente sostenuta, in ogni occasione, dal
nostro sistema produttivo.
Di seguito il testo dell’interrogazione.
Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per gli
affari europei, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
risulta all'interrogante che a maggio del corrente anno sono iniziati i negoziati sugli accordi di libero
scambio tra USA e EU, la cosiddetta Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP);
la ripresa dei negoziati era prevista a Bruxelles il 7 ottobre 2013 ma il Federal shut down del
Governo statunitense ha fatto slittare i negoziati a questi giorni; da un rappresentante del commercio
americano, si apprende infatti che proprio in questi giorni (11-15 novembre) sono ripresi i
negoziati; la notizia riguardo questi importanti eventi sui media italiani non ha ricevuto il doveroso
risalto, evidentemente perché troppo concentrata a fare «informazione» su sterili e certamente meno
importanti vicende di politica interna; eppure la TTIP, in quanto a rilevanza, è da considerarsi alla
stregua del Trattato di Maastricht che portò all'avvento dell'euro; gli accordi sul libero scambio sono
destinati a portare cambiamenti di carattere epocale nell'economia mondiale, europea ed italiana;
a giudizio dell'interrogante, appare necessaria una capillare azione di informazione e divulgazione
sulle trattative in atto, sugli impatti e sugli scenari futuri per l'Italia, stante la rilevanza fondamentale
dell'argomento che dovrebbe, essere oggetto di approfondimento e di dibattito, avendo una
importanza strategica per gli equilibri economici e politici; nello specifico, si ricorda che gli USA
fanno già parte dell’American Free Trade Agreement (NAFTA) e del Central America Free Trade
Agreement (CAFTA) e hanno già avviato i negoziati per due nuovi accordi: la Transatlantic Trade
and Investment Partnership (TTIP) con l'Unione europea e la Trans-Pacific Partnership (TPP) con
vari paesi dell'Asia; grazie a questi trattati gli USA si troveranno al centro di una vasta zona di
libero scambio che renderà vantaggioso per le aziende estere spostare la produzione negli Stati
Uniti, sia per alimentare l'enorme mercato interno, sia per riesportare in tutti quei Paesi che hanno
24
accordi di libero scambio con gli USA; pertanto, per le imprese potrebbe diventare vantaggioso
produrre negli USA e poi esportare nel resto del mondo. Il rischio per l'Italia e per altri Paesi
europei è di perdere quote di export o peggio, vedere le proprie imprese delocalizzare buona parte
della loro capacità produttiva negli Stati Uniti, e non più nell'est Europa come avviene oggi;
si rileva altresì che molte aziende straniere hanno già delocalizzato parte della loro capacità
produttiva per sfruttare i vantaggi offerti dal sistema economico statunitense. Alcuni esempi: RollsRoyce, che fabbrica componenti per motori a reazione in Virginia e poi li spedisce verso Europa e
Asia; Siemens che produce turbine industriali a Charlotte, in North Carolina, e poi le invia in Arabia
Saudita e Messico; Airbus che sta costruendo uno stabilimento a Mobile, in Alabama per produrre
aerei sia per il settore civile che militare; vi sono anche aziende italiane che hanno compreso che il
futuro del manifatturiero è «made in USA». La più famosa è FIAT-Chrysler, ma ce ne sono molte
altre, piccole e medie e meno conosciute, che hanno scelto di investire per produrre o assemblare in
negli USA. Alcuni esempi: MXSolar, assembla pannelli solari (da Monza a Somerset New Jersey);
Cavanna, costruisce macchine per il packaging (da Prato a Duluth in Georgia); Spanesi, produce
attrezzature per le carrozzerie (da Padova a Naperville Illinois) –: quale posizione e ruolo abbia
assunto il Governo italiano in seno ai sopra detti negoziati USA-Unione europea nonché all'interno
della cornice europea;
se il ruolo assunto dall'Italia sia svolto in un'ottica di contrattazione attiva, avendo come priorità il
bene primario del Paese o se piuttosto i margini di contrattazione releghino l'Italia ad un ruolo di
secondo piano;
se sia in corso una analisi degli impatti e degli scenari circa le ricadute positive e negative sul
sistema economico, produttivo, imprenditoriale e occupazionale italiano, anche alla luce del piano
destinazione Italia che il Governo sta per promuovere;
se sia intenzione del Governo promuovere in seno ai negoziati iniziative per valorizzare e rilanciare
l'imprenditoria in Italia ed in particolare il made in Italy prodotto in Italia;
se il Governo intenda avviare un azione di informazione e divulgazione sul tema a favore della
cittadinanza italiana. (4-02500)
Interrogazione a risposta scritta:
sul metanodotto rete adriatica e sulla costruzione della centrale di compressione della Snam a
Sulmona
MELILLA e RICCIATTI (SEL)
25
— Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo
economico. — Per sapere – premesso che:
a Sulmona la SNAM prevede la costruzione di una centrale di compressione e spinta su una
superficie di circa 12 ettari, con 3 turbo compressori alimentati a gas di 11 megawatt termici, un
camino alto 14 metri e tre caldaie con camini alti 6,5 metri; il metanodotto e la centrale si collocano
in un'area ad alto rischio sismico nei pressi della faglia attiva del Monte Morrone, il sito è
incompatibile con il piano regolatore generale di Sulmona che prevede una zona a verde agricolo
escludendo ogni impianto industriale; inoltre, la centrale sarebbe in un contesto ambientale di
grande pregio naturalistico, praticamente la porta d'accesso al parco nazionale della MajellaMorrone, su cui poggiano tanti progetti di sviluppo turistico in una zona tra le più depresse dal
punto di vista occupazionale d'Abruzzo; proprio in questi giorni in una grande assemblea pubblica a
Sulmona, gli enti locali e la regione Abruzzo hanno manifestato netta contrarietà a questo progetto,
in piena sintonia con un grande movimento sociale e dei cittadini, chiedendo il rinvio della
conferenza dei servizi convocata dal Ministero dello sviluppo economico per il 30 settembre 2014;
per questo sarebbe necessario;
a) revocare i decreti ministeriali relativi al metanodotto rete adriatica e alla costruzione della
centrale di compressione e spinta della Snam a Sulmona stante ad avviso dell'interrogante il palese
contrasto con le disposizioni comunitarie e nazionali che impongono la valutazione complessiva
degli interventi proposti;
b) rinunciare all'impugnativa della legge della regione Abruzzo n. 14 del 7 giugno 2013 per
l'assoluta irragionevolezza di questa scelta avendo la regione Abruzzo recepito una prescrizione
della commissione nazionale VIA in merito alla necessità di studi sismici di dettaglio, in una zona
ad alto rischio sismico come è Sulmona nel quadro della catena montuosa degli Appennini
Abruzzesi –:
se non ritengano necessario e doveroso fermare ogni procedura autorizzativa in atto e disporre,
come peraltro indicato dalla Commissione ambiente della Camera dei deputati con una risoluzione
approvata nel 2011, la modifica del tracciato escludendo la dorsale appenninica, sconvocando la
riunione del 30 settembre 2014, stante la richiesta in questo senso della regione Abruzzo. (4-06122)
Risposta del Viceministro per l’economia e le finanze Luigi Casero all’interrogazione a risposta
immediata sull’esenzione delle accise del combustibile utilizzato per la navigazione di trasporto
di passeggeri nelle acque interne, presentata da Busin (LN) (n. 5-03619).
26
Con il documento di sindacato ispettivo in esame, viene richiesta l'adozione di iniziative per
«ricomprendere nel regime della esenzione delle accise anche le unità di trasporto commerciale di
passeggeri impiegate nella navigazione fluviomarittima, lagunare e interna», asserendo che tale
richiesta trova il suo fondamento nella normativa comunitaria di riferimento, disattesa da una
«erronea interpretazione delle norme adottata da parte dell'Agenzia delle dogane».
Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
Preliminarmente giova osservare che il quadro comunitario di riferimento nella specifica materia va
rinvenuto nella direttiva 2003/96/CE che ha abrogato espressamente all'articolo 30 la direttiva
92/81/CEE, sebbene in molte parti ne ricalchi integralmente le disposizioni. In particolare, l'articolo
14, paragrafo 1, lettera c) della direttiva 2003/96/CE dispone che gli Stati Membri esentino
dall'accisa «i prodotti energetici forniti per essere utilizzati come carburanti per la navigazione nelle
acque comunitarie (compresa la pesca), diversa dalla navigazione delle imbarcazioni private da
diporto».
Ai fini dell'individuazione dell'ambito di applicazione della disposizione non solo soccorre la
definizione dei «imbarcazioni private da diporto» che fornisce il secondo periodo della predetta
lettera c), ma anche il ventitreesimo considerandum della direttiva che espressamente statuisce che
«gli obblighi internazionali vigenti e il mantenimento della posizione competitiva delle imprese
comunitarie rendono opportuno mantenere le esenzioni per i prodotti energetici destinati alla
navigazione aerea e marittima, esclusa la navigazione da diporto, mentre dovrebbe essere possibile
per gli Stati membri limitare tali esenzioni». È pertanto di tutta evidenza che l'esenzione dall'accisa
che gli Stati membri sono chiamati ad applicare si riferisce ai prodotti energetici impiegati nella
navigazione marittima nelle acque comunitarie, con esclusione delle imbarcazioni da diporto.
Tuttavia, ai sensi dell'articolo 15, paragrafo 1, lettera f) della citata direttiva 2003/96/CE gli Stati
membri hanno la facoltà di applicare esenzioni o riduzioni di accisa «ai prodotti energetici forniti
per essere utilizzati come carburanti per la navigazione nelle vie navigabili interne (compresa la
pesca) diversa dalla navigazione delle imbarcazioni private da diporto».Trattasi chiaramente di una
facoltà che gli Stati Membri possono o meno esercitare. Per quanto riguarda la legislazione
nazionale, il punto 3 della tabella A allegata al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504,
recepisce integralmente – trattandosi come detto di una esenzione obbligatoria – il disposto
dell'articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2003/96/CE, riconoscendo l'esenzione
dall'accisa ai prodotti energetici utilizzati come «carburanti per la navigazione nelle acque marine
comunitarie, compresa la pesca, con esclusione delle imbarcazioni private da diporto.
Inoltre il medesimo punto 3, in base alla facoltà contemplata dal menzionato articolo 15, paragrafo
1, lettera f), riconosce l'esenzione ai prodotti energetici impiegati come «carburanti per la
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navigazione nelle acque interne, limitatamente al trasporto delle merci». Recentemente sulla
materia è intervenuto una norma di interpretazione autentica, l'articolo 34-bis, del decreto-legge 24
giugno 2014, n. 91, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, che ha
precisato che il citato punto 3 della Tabella A allegata al decreto legislativo 504 del 1995 debba
applicarsi anche ai carburanti utilizzati nell'attività di pesca professionale in acque interne e
lagunari. In sostanza, il legislatore nazionale ha inteso avvalersi della cennata facoltà di cui al sopra
richiamato articolo 15, paragrafo 1, lettera f) circoscrivendone l'ambito per quel che concerne la
navigazione nelle acque interne al trasporto delle merci e, con il recente intervento legislativo, alla
pesca professionale in acque interne e lagunari, mentre ha ritenuto di non prevedere alcuna
agevolazione o esenzione dall'accisa per i prodotti energetici utilizzati per il trasporto commerciale
di passeggeri. Da quanto sopra esposto si può concludere che la legislazione nazionale risulta essere
pienamente in linea con la normativa comunitaria. Pertanto, stante il quadro normativo sopra
delineato nessuna erronea interpretazione del punto 3 della tabella A allegata al decreto legislativo
n. 504 del 2005, può ascriversi all'Agenzia delle dogane e dei monopoli. È di tutta evidenza infatti
che, ove il legislatore nazionale lo ritenesse opportuno, la normativa comunitaria di riferimento
permette di modificare il cennato punto 3 della tabella A al fine di prevedere l'esenzione dall'accisa
per i carburanti utilizzati dalle unità per il trasporto commerciale di passeggeri nelle acque interne,
dovendosi tener conto della valutazione delle minori entrate derivanti dalla misura agevolativa
auspicata dall'Onorevole interrogante. Giova, infine, precisare che laddove altre compagnie di Stati
membri svolgessero la loro attività nel nostro Paese, esercitando l'attività di trasporto passeggeri
nelle acque interne italiane, tali imbarcazioni, effettuando i rifornimenti di carburante in Italia,
ovviamente non avrebbero titolo a finire di prodotti in esenzione da accisa.
Di seguito il testo dell’interrogazione.
Per sapere – premesso che:
la materia di tassazione dei prodotti energetici nella navigazione delle acque interne è stata, in un
primo tempo, oggetto di disciplina da parte della direttiva CEE n. 92/81/CEE del Consiglio del 19
ottobre 1992, relativa all'armonizzazione delle strutture delle accise sugli olii minerali, con cui il
legislatore comunitario, per favorire i commerci e i traffici in area comunitaria, ha adottato una serie
di vantaggi armonizzati per i gas e gli olii minerali utilizzati come combustibile per la navigazione a
fini commerciali di trasporto di merci e passeggeri in tutte le acque comunitarie;
in un secondo momento, il legislatore comunitario è intervenuto ancora con la direttiva n. 2003/96
che, pur abrogando la precedente normativa della direttiva n. 81 del 1992, ha mantenuto il principio
28
di un regime fiscale agevolato, stabilendo, all'articolo 14, comma 1, lettera c), che gli Stati membri
esentano dalla tassazione «i prodotti energetici forniti per essere utilizzati come carburanti per la
navigazione nelle acque comunitarie (compresa la pesca), diversa dalla navigazione delle
imbarcazioni private da diporto», escludendo dalla definizione di imbarcazioni private da diporto le
imbarcazioni
usate
per
scopi
commerciali
di
trasporto
di
passeggeri
o
merci;
l'articolo 15, comma 1, della stessa direttiva recita, ugualmente alla precedente, che gli «Stati
membri possono applicare, sotto controllo fiscale, esenzioni o riduzioni totali o parziali del livello
di tassazione», specificando, alla lettera f), il regime di applicabilità agevolata «ai prodotti
energetici forniti per essere utilizzati come carburanti per la navigazione sulle vie navigabili interne
(compresa la pesca), diversa dalla navigazione delle imbarcazioni private da diporto»;
da suddette legislazioni si evince quindi che le unità navali commerciali (non da diporto, destinate
invece ad esclusivo uso privato) destinate al trasporto sia di merci che di passeggeri, che navigano
in acque comunitarie, devono essere sottoposte al regime di esenzione e che possono beneficiare
delle esenzioni previste anche le stesse unità navali ad uso commerciale, destinate quindi sia al
trasporto
merci
che
al
trasporto
passeggeri,
che
navigano
in
acque
interne;
nell'ambito dell'esercizio del suo potere regolamentare, il legislatore nazionale, ha regolato nel
dettaglio la materia attraverso il decreto legislativo del 26 ottobre 1995, n. 504, «Testo unico delle
disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni
penali e amministrative», dove, nel punto 3 della Tabella A non soltanto si esclude esplicitamente il
trasporto passeggeri, quando invece questo è ricompreso dalla direttiva del 2003, ma fa anche
esclusivo riferimento alle «acque marine comunitarie», mentre la direttiva 2003/96/CE, all'articolo
14, lettera c), cita le «acque comunitarie», comprensive, quindi, delle acque interne, tanto che tutti
gli altri Stati membri, secondo quanto stabilito dalla stessa direttiva, prevedono l'esenzione delle
accise sul trasporto commerciale passeggeri in acque interne, escludendolo sempre dal regime di
fiscalità ordinaria; quindi, al contrario degli altri Stati membri, l'interpretazione nazionale,
approfittando dell'imprecisione del quadro normativo nazionale rispetto alla regolamentazione
comunitaria, si è orientata in senso restrittivo, escludendo i natanti che praticano il trasporto
commerciale di passeggeri nelle acque interne dal favor previsto dalla normativa comunitaria per
l'esenzione dalle accise, non ricomprendendo le acque interne nelle acque comunitarie e,
approfittando della confusione fatta dal legislatore nazionale che esclude esplicitamente il trasporto
dei passeggeri, evidentemente confuso con la navigazione da diporto ad uso privato;
di questa erronea interpretazione delle norma adottata da parte della Agenzia delle dogane, molte
attività commerciali nazionali di trasporto passeggeri nelle acque interne, già vessate dalla crisi
economica – esemplare è la situazione della regione del Veneto – ne subiscono le conseguenze,
29
scontando uno svantaggio pesantissimo in termini di concorrenzialità rispetto ad altre compagnie di
Stati membri che, svolgendo la loro attività nel nostro Paese, possono invece offrire prezzi più
competitivi e profitti più alti in quanto inclusi nel regime di esclusione dal pagamento delle accise
nei loro Stati di appartenenza fiscale, comportando, inoltre, anche una perdita di gettito fiscale del
nostro Paese –:
quali iniziative il Ministro, in base alle proprie competenze, intenda adottare al fine di
ricomprendere nel regime della esenzione delle accise anche le unità di trasporto commerciale di
passeggeri impiegate nella navigazione fluviomarittima, lagunare e interna. (5-03619)
Interrogazione a risposta in Commissione:
sulla proposta di operare una selezione dei progetti volta a escludere la verifica di
assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale (VIA)
MARIANI (PD)
— Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
il servizio ambiente della amministrazione provinciale di Lucca ha manifestato al Parlamento
alcune preoccupazioni circa l'applicazione della normativa in materia di valutazione di impatto
ambientale (VIA) a seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91,
convertito con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, in particolare, per la parte
inerente, alla verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale;
secondo l'interpretazione dell'amministrazione provinciale di Lucca, tale disposizione ha reso
inapplicabili le soglie dimensionali che stabilivano l'ordine di grandezza oltre la quale era
necessaria la procedura di verifica di valutazione di impatto ambientale conseguentemente tutte le
categorie progettuali presenti nell'allegato IV dovrebbero essere sottoposte alla procedura di verifica
indistintamente dalle dimensioni;
l'eliminazione, seppure transitoriamente, delle soglie dimensionali la valutazione di impatto
ambientale rischia, secondo l'amministrazione provinciale di Lucca, non solo di ingolfare il lavoro
degli uffici competenti, ma anche di bloccare l'iter delle richieste al vaglio delle amministrazioni,
almeno fino a quando il decreto interministeriale previsto dal citato comma 1, lettera c) detterà alle
regioni e alle province autonome, le modalità di adeguamento dei criteri e delle soglie alle
specifiche situazioni ambientali e territoriali;
nello specifico, l'articolo 15, comma 1, lettera c), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 ha
introdotto nuove disposizioni sostitutive di quelle recate dall'articolo 23 della legge 6 agosto 2013 n.
97, al fine di pervenire ad un recepimento della direttiva 2011/92/UE capace di superare in maniera
30
definitiva le censure mosse dalla Commissione europea nell'ambito della procedura di infrazione
2009/2086, avviata, principalmente, per non conformità delle norme nazionali che disciplinano la
verifica di assoggettabilità a VIA (screening) con l'articolo 4, paragrafi 2 e 3, della direttiva
medesima; al fine di superare le criticità sollevate dalla Commissione europea nell'ambito della
procedura di infrazione, l'articolo 23 della legge n. 97 del 2013 ha introdotto nuove disposizioni,
senza intervenire direttamente sulle norme del codice dell'ambiente, prevedendo una procedura in
due fasi per definire, da parte delle regioni, le soglie e i criteri per l'assoggettamento alla procedura
di screening, sulla base delle linee guida definite, nella prima delle due fasi, a livello statale; le
disposizioni dettate dall'articolo 15 comma 1, lettere c) e d) del decreto-legge n. 91 del 2014,
sostituiscono la disciplina di cui all'articolo 23 della legge n. 97 del 2013, con una procedura che
prevede un'unica fase, delegificando l'individuazione delle soglie e dei criteri, che viene
direttamente demandata ad un decreto interministeriale adottato dal Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio e del mare concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per i
profili connessi ai progetti all'infrastrutture di rilevanza strategica, previa intesa in sede di
Conferenza Stato-regioni e previo parere delle competenti commissioni parlamentari;
la lettera c) del comma 1 incide direttamente sul codice dell'ambiente integrando il disposto
dell'articolo 6, comma 7, lettera c), del decreto legislativo n. 152 del 2006 prevedendo che, per i
progetti elencati nell'allegato IV, parte seconda, siano emanate, con il citato decreto
interministeriale, disposizioni volte a definire i criteri e le soglie per ciascuna tipologia di progetto
prevista nell'allegato IV per l'assoggettamento alla procedura di screening, sulla base dei criteri
stabiliti nell'allegato V;
la successiva lettera d) riscrive il comma 9 dell'articolo 6 del codice dell'ambiente, stabilendo che le
soglie fissate dal decreto interministeriale non sono da considerarsi sostitutive bensì integrative di
quelle attualmente previste dall'Allegato IV, parte seconda, del medesimo codice;
le nuove disposizioni contengono, inoltre, due norme transitorie:
a) la prima, alla lettera c) del comma 1 stabilisce che, in attesa dell'entrata in vigore del decreto
interministeriale in questione, lo screening è effettuato caso per caso, sulla base dei criteri stabiliti I
all'allegato V del Codice dell'ambiente;
b) la seconda, contenuta nel comma 3 dell'articolo 15, riguarda l'applicazione delle disposizioni
dell'articolo 6, comma 8, del codice dell'ambiente, relative al dimezzamento delle soglie
dimensionali per particolari progetti (di cui agli allegati III e IV) ricadenti all'interno di aree naturali
protette o relativi agli elettrodotti facenti parte della rete elettrica di trasmissione nazionale. Tali
disposizioni continuano ad applicarsi, ma solamente fino all'entrata in vigore del decreto
interministeriale;
31
prima dell'entrata in vigore delle modifiche introdotte dal decreto-legge n. 91 del 2014, la verifica
di impatto ambientale era svolta sulla base di un elenco di progetti, allegato al decreto legislativo n.
152 del 2006, recepito dalla regione Toscana con la legge n. 10 del 2010, che prevedeva
determinate soglie dimensionali al di sotto delle quali la normativa in materia di VIA non si
applicava;
l'amministrazione provinciale di Lucca, in data 25 luglio 2014, ha chiesto alla regione Toscana
alcuni chiarimenti sulla materia oggetto della presente interrogazione e, in particolare, di fornire un
indirizzo unitario al quale potessero uniformarsi le province toscane in attesa dell'emanazione del
citato decreto interministeriale, proponendo un approccio procedimentale che prevedeva di valutare
i progetti presentati dalle imprese «caso per caso», in modo tale da poter escludere le piccole attività
con situazioni di evidente irrilevanza sotto il profilo dell'impatto ambientale, in quanto le
disposizioni transitorie recate dall'articolo 15, comma 1, lettera c) del decreto-legge n. 91 del 2014,
hanno reso inapplicabili le soglie dimensionali che stabilivano l'ordine di grandezza oltre la quale
era necessaria la procedura di verifica di V.I.A.; conseguentemente tutte le categorie progettuali
individuate nell'allegato IV al decreto legislativo n. 152 del 2006, indistintamente dalle dimensioni,
devono essere sottoposte alla procedura di verifica di impianto ambientale;
la regione Toscana ha risposto, in primo luogo, che non compete all'amministrazione regionale
dettare agli enti locali indirizzi di carattere interpretativo della normativa statale in esame e che la
disciplina transitoria contenuta all'articolo 15, comma 1, lettera c) del decreto-legge n. 91 del 2014
prevede che, nelle more dell'entrata in vigore del più volte citato decreto interministeriale con il
quale si individueranno i criteri e le soglie da applicare all'assoggettamento alla procedura di
screening dei progetti di cui all'allegato IV, alla parte seconda del decreto legislativo n. 52 del
2006, la procedura di cui all'articolo 20, che disciplina la verifica di assoggettabilità a VIA, «è
effettuata caso per caso sulla base dei criteri di cui all'allegato V»;
secondo la regione Toscana ciò implica che:
le soglie previste dal citato allegato IV e dagli allegati B1, B2 e B3 della legge regionale n. 10 del
2010, non sono più applicabili;
nella fase transitoria, la procedura di assoggettabilità a VIA è effettuata unicamente con l'approccio
«caso per caso» vale a dire su ogni progetto elencato nell'allegato IV sulla base dei criteri di cui
all'allegato V, senza possibilità di ricorso agli automatismi determinati dall'applicazione delle soglie
già stabilite dalla normativa statale e regionale e che, nella fase a regime, le soglie indicate dal
decreto interministeriale non saranno sostitutive ma integrative di quelle attualmente stabilite
dall'allegato IV;
32
ogni diversa interpretazione che conduca, nella vigenza della fase transitoria, a escludere
l'attivazione della procedura di assoggettabilità per uno o più progetti appartenenti all'elenco di cui
all'allegato IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, contrasta con le finalità della norma in
questione, che è proprio quella di superare, anche nell'immediato, le censure della Commissione
europea riguardo alle modalità non corrette di determinazione di soglie da parte del legislatore
nazionale e che ha portato alla procedura di infrazione;
alla luce di quanto sopra esposto, secondo la regione Toscana, la proposta di operare una selezione
dei progetti volta a escludere la verifica di assoggettabilità alla VIA non può essere considerata
praticabile;
la complessità della procedura e il numero di soggetti coinvolti, non fanno ben sperare riguardo al
rispetto dei tempi di emanazione del decreto interministeriale di cui all'articolo 15 comma 1, lettere
c), mentre la situazione sopra descritta starebbe determinando un notevole aggravio temporale dei
procedimenti e maggiori oneri per le imprese, anche nei casi di piccole attività di evidente
irrilevanza sotto il profilo di impatto ambientale –:
se in relazione alle descritte modifiche in materia normative in materia di valutazione di impatto
ambientale per la parte inerente alla verifica di assoggettabilità delle opere di cui all'articolo 6,
comma 7, lettera c), del decreto legislativo n. 152 del 2006, sia corretta l'interpretazione secondo la
quale, nelle more dell'approvazione del decreto interministeriale, non sono più applicabili le soglie
previste dall'Allegato IV, parte seconda del codice dell'ambiente e se, conseguentemente, tutte le
categorie progettuali ricomprese in detto Allegato IV, indistintamente dalle dimensioni, debbano
essere sottoposte alla procedura di impatto ambientale. (5-03645)
Interrogazione a risposta in Commissione:
sui permessi di ricerca di idrocarburi richieste dalla Global Petroleum Limited, in prossimità
delle coste pugliesi
DE LORENZIS e altri (M5S)
— Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
attualmente sono in procedura VIA (Valutazione impatto ambientale) quattro distinte, ma al
contempo adiacenti istanze di permesso di «ricerca» in mare di idrocarburi localizzate nella «zona
F» in prossimità delle coste pugliesi dell'adriatico meridionale, «d 80 F.R.-.GP» con estensione pari
a 744,8 chilometri quadrati, «d 81 F.R.-.GP» con estensione pari a 749,9 chilometri quadrati, «d 82
F.R.-.GP» di 745,7 chilometri quadrati, «d 83 F.R.-.GP» con estensione pari a 745,3 chilometri
33
quadrati con profondità che variano tra i 700 e i 1100 metri di profondità, proposte della «Global
Petroleum Limited», una holding di un gruppo di società con sede in Australia e Londra;
l'obiettivo delle quattro istanze consiste nell'individuazione, mediante prospezione geofisica
attraverso l'acquisizione di nuovi dati sismici 2D, con la possibilità di acquisire dati sismici 3D,
subordinata alla necessità di ottenere un maggiore dettaglio, di nuove riserve e giacimenti off-shore
in un'ottica di sfruttamento delle risorse;
come descritto dal proponente del progetto nella sintesi «non tecnica», «il metodo geofisico a
riflessione è, tra tutti i metodi geofisici, il rilevamento più diffuso e si basa sulla generazione
artificiale di un impulso che provoca nel terreno la propagazione di onde elastiche le quali, in
corrispondenza di superfici di discontinuità, subiscono deviazioni con conseguenti rifrazioni e
riflessioni. Quando le onde tornano in superficie vengono captate mediante sensori, consentendo di
ottenere un'immagine tridimensionale del substrato, rivelando l'eventuale presenza, profondità e
tipologia del giacimento»;
per le prospezioni geofisiche è necessaria una sorgente di energia che emette onde elastiche ed una
serie di sensori, detti idrofoni, che ricevono le onde riflesse e la tipologia scelta dal proponente del
progetto prevede per l'acquisizione geofisica 2D, una tecnologia ad aria compressa eseguita da una
nave in corrispondenza della zona in oggetto, detta «Air-Gun» «con una frequenza utilizzata tra i
100-1500 Hz, costituita da due camere cilindriche chiuse da due pistoni (pistone di innesco e di
scoppio) rigidamente connessi ad un cilindro provvisto di orifizio assiale che libera in mare,
istantaneamente, aria ad una pressione, compresa tra 150 e 400 atmosfere»;
da uno studio di «Notarbartolo di Sciara & Birkun» del 2010, utilizzato anche dall'ISPRA per la
redazione di documenti sulla presenza dei cetacei nei mari italiani, si apprende che nelle zone in
questione sono presenti cetacei come la balenottera comune, il capodoglio, lo zifio, il delfino
comune, la stenella striata, il tursiope e il grampo, queste ultime tre specie scelgono queste acque
anche come zone riproduttive, e dallo studio ISPIDA «Strategia per l'ambiente marino, bozza» del
2012, si apprende che la tartaruga marina «caretta-caretta» frequenti regolarmente il mare Adriatico
meridionale;
studi dell'Ismar – CNR di Bologna hanno accertato la presenza di biocenosi dei coralli profondi, che
può essere considerato come un «hot spot» di biodiversità nel piano batiale, in quanto ospita un
elevato numero di animali di notevole interesse scientifico ed economico;
le specie protette dalle convenzioni internazionali e dalla legislazione italiana, presenti nell'area
rendono rischioso l'utilizzo di metodologie come gli «air-gun» in quanto diversi studi documentano
come la tecnologia impiegata possa allontanare le specie, recare gravi danni, fino a portare alla
morte i cetacei;
34
sono del tutto assenti in letteratura scientifica, studi che possano indicare gli impatti ambientali
degli «air-gun» sulla biocenosi dei coralli profondi per cui l'adoperare tali tecnologie senza
conoscere i danni che potrebbero arrecare sarebbe un rischio non tollerabile e quindi, a detta degli
interroganti, dovrebbe esser applicato il «principio di precauzione» richiamato dall'articolo 3-ter del
decreto legislativo n. 152 del 2006;
l'articolo 5, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 152 del 2006 definisce l'impatto
ambientale come «l'alterazione qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a lungo
termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, positiva e negativa dell'ambiente, inteso
come sistema di relazioni fra i fattori antropici, naturalistici, chimico-fisici, climatici, paesaggistici,
architettonici, culturali, agricoli ed economici, in conseguenza dell'attuazione sul territorio di piani
o programmi o di progetti nelle diverse fasi della loro realizzazione, gestione e dismissione, nonché
di eventuali malfunzionamenti»;
considerando il riferimento legislativo sopra riportato, la sentenza del TAR Lecce n. 01341/2011,
ha annullato i decreti ministeriali del provvedimento di pronuncia positiva di compatibilità
ambientale concernente i progetti di realizzazione della prima fase del programma lavori collegato
ai tre distinti permessi di ricerca «d 149 D.R.-NP», «d60 F.R.-NP», «d61 F.R.-NP», localizzati
qualche miglio più a sud dei quattro progetti della «Global Petroleum Limited» in quanto «...
l'intervento progettato, pur essendo suddiviso in singole frazioni anche al solo fine di soddisfare
esigenze di snellezza procedimentale dell'impresa, appare riconducibile ad un unico programma
imprenditoriale, la conseguenza che si registra sul terreno del doveroso assoggettamento a VIA è
senz'altro quella di una analisi che tenga conto necessariamente dei cosiddetti impatti cumulativi» e
aggiunge «Ciò significa che, pur a fronte di una pluralità di procedimenti amministrativi messi in
moto dall'imprenditore, l'organo preposto a compiere la valutazione di impatto ambientale ha il
preciso dovere di operarne la reductio ad unitatem, specie in presenza di elementi sintomatici della
unicità di intervento»;
la stessa sentenza chiarisce che: «nel caso di specie, del resto, la necessità di uno studio relativo agli
impatti cumulativi derivanti dall'impiego del metodo di prospezione geofisica denominato air gun si
coglie non appena si consideri non solo la particolarità del metodo di prospezione geofisica, ma
anche le conseguenze sulla fauna marina» e aggiunge che «... se allo stato attuale delle conoscenze,
appare sussistere anche una probabilità minima di collegare il cosiddetto fenomeno dello
spiaggiamento dei cetacei lungo le nostre coste al disorientamento provocato da fortissime
esplosioni percepibili dai medesimi mammiferi durante le indagini geosismiche (condotte in vista
della ricerca di idrocarburi), la ricerca deve seguire metodiche meno invasive a tutela
dell'ambiente»;
35
le quattro istanze della «Global Petroleum Limited» possono essere considerate un unico
programma imprenditoriale, di cui anche il proponente ne riconosce l'effettiva unicità in quanto
nella sintesi non tecnica riconosce che: «il motivo per cui non è stata presentata una sola istanza per
l'intera area oggetto di interesse deriva dal limite dimensionale dei titoli minerari, imposto per
legge. Infatti, la legge del 9 gennaio 1991, n. 9, prevede che l'area del permesso di ricerca di
idrocarburi debba essere tale da consentire il razionale sviluppo del programma di ricerca e non
possa comunque superare l'estensione di 750 chilometri quadrati (Titolo II, articolo 6, comma 2).
Per ottemperare a quanto richiesto dalla normativa, Global ha suddiviso l'area in 4 diverse istanze,
inferiori a 750 chilometri quadrati»;
la sentenza del Consiglio Stato, sezione V, 16 giugno 2009, n. 3849 sentezia che «La procedura
relativa alla valutazione di impatto ambientale non può essere elusa a mezzo di un riferimento a
realizzazioni o interventi parziali, caratteristici nelle opere da realizzarsi per «tronchi» o «lotti»;
a detta degli interroganti si prospetta la stessa situazione già valutata dal TAR Lecce con le istanze
dei permessi di ricerca «d 149 D.R.-NP», «d60 F.R.-NP», «d61 F.R.-NP»; da una parte un limite
dimensionale legislativo non dovrebbe ostacolare una più ampia valutazione d'impatto ambientale
che comunque si avrebbe in caso di parere favorevole da parte del Ministero dell'ambiente e della
tutela del territorio e del mare, dall'altra tale limitazione dimensionale dovrebbe limitare la volontà
imprenditoriale a procedere con solo un'unica richiesta senza la pretesa di «invadere» un'area di
mare ben più ampia dei 750 chilometri quadrati previsti dalla normativa di settore;
l'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo n. 152 del 2006, terzo periodo, prevede che per le
valutazioni d'impatto ambientale delle attività di prospenzione, ricerca e coltivazione di idrocarburi,
non vengano ascoltati i pareri degli enti locali posti in un raggio superiore alle 12 miglia dalle
attività predette, nonostante queste attività possano avere delle ricadute su altre attività economiche
locali come la pesca e il turismo –:
se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative intenda adottare per
tutelare l'ambiente marino;
se il Ministro intenda rilasciare pareri contrari alle valutazioni ambientali per le quattro istanze di
permesso di ricerca idrocarburi «d 80 F.R-.GP», «d 81 F.R-.GP», «d 82 F.R-.GP», «d 83 F.R-.GP»,
richieste dalla «Global Petroleum Limited»;
se il Ministro intenda assumere iniziative per adottare una moratoria per le attività di prospezione e
ricerca di idrocarburi in zone di mare dove sono localizzati regolarmente cetacei e dove siano state
riscontrate biocenosi dei coralli profondi;
se il Ministro intenda promuovere iniziative volte a far conoscere alla cittadinanza l'importanza
degli «habitat prioritari marini» e della vita dei cetacei. (5-03646)
36
Interrogazione a risposta in Commissione:
sulla procedura di valutazione di impatto ambientale del progetto “Variante Piano di
Gestione terra e rocce da scavo - Raffineria di Taranto, progetto Tempa Rossa” dell’ENI
DE LORENZIS e altri (M5S)
— Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
Eni spa Divisione Refining & Marketing – raffineria di Taranto ha ottenuto il parere di
compatibilità ambientale mediante decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e
del mare DVA-573 del 27 ottobre 2011 al «Progetto di adeguamento delle strutture della Raffineria
di Taranto per lo stoccaggio e la movimentazione del greggio proveniente dal giacimento
denominato Tempa Rossa»;
nell'ambito dell'istruttoria VIA sopracitata è stato approvato il piano di gestione delle terre (PGT)
derivanti dagli scavi per la realizzazione delle opere previste dal progetto, che era stato predisposto
in seguito ad una richiesta di integrazione (prot. DVA-2010-0024826 del 18/10/2010) da parte del
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, direzione valutazioni ambientali e in
particolare, il documento ha permesso di pianificare l'ottemperanza alla richiesta di «effettuare la
caratterizzazione delle terre e rocce da scavo in relazione a quanto previsto dall'allora vigente
articolo 186 del D.Lgs. 152/06 e s.m.i.», inserendosi in una valutazione ambientale più ampia che
ha abbracciato l'intero progetto Tempa Rossa;
l'area della raffineria ricade all'interno di un sito di interesse nazionale ai sensi della legge n. 426
del 9 dicembre 1998 e successivo decreto autorizzativo del 10 gennaio 2000 e tra le attività eseguite
in passato dal proponente, vi sono la caratterizzazione ambientale del sito, svolta in base ad una
maglia 50 metri x 50 metri, sia sulle aree sede delle nuove installazioni che sulle aree di abbanco
definitivo delle terre di scavo, i cui risultati sono stati approvati in sede di conferenza di servizi
decisoria del 15 settembre 2005 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a
seguito della validazione da parte di ARPA-dipartimento di Taranto;
nel parere favorevole di compatibilità ambientale espresso dal CTVIA DVA-2011–0015363 del 24
giugno 2011 è riportato che nella realizzazione dei nuovi serbatoi, dell'impianto recupero vapori,
del sistema di raffreddamento e delle relative opere complementari, verrà occupata una porzione di
territorio indicativamente pari a circa 50.000 metri quadrati, attualmente inutilizzata e per la
costruzione delle opere a terra si prevedono lo svolgimento di diverse attività tra le quali la
rimozione della parte superficiale di suolo fino a 150/300 metri di profondità al di sotto del livello
del terreno, eseguito con mezzi meccanici (scotico) e lo scavo generale di sbancamento eseguito
37
con mezzi meccanici, scavi e riporti per la formazione delle piazzole dei serbatoi, per le adiacenti
pipeways, per le strade ed i piazzali;
nel sopracitato parere della CTVIA è specificato che il quantitativo di terreno movimentato per le
attività on-shore, stimato in circa 666.300 metri cubi, è dovuto principalmente alla scelta
progettuale di collocare la base dei nuovi serbatoi di stoccaggio a quota 4,5 metri sul livello del
mare, al fine di garantire un'altezza massima delle strutture pari a circa 20,5 metri sul livello del
mare ed inoltre si specifica che in alcune delle aree dove verranno realizzate le nuove installazioni
sono presenti punti limitati (hot spot), ove è stata individuata la necessità di procedere all'asporto e
smaltimento di circa 600 metri cubi di terreno risultato non idoneo per il riutilizzo e si specifica che
tali attività dovranno essere prioritarie alla esecuzione degli interventi in questione e si aggiunge:
«valutato che gli interventi previsti dal progetto Tempa Rossa non interferiscono con le operazioni
di bonifica in atto e da attuare nel Sito di Interesse Nazionale di Taranto»;
il decreto VIA indica, con la prescrizione di cui all'articolo 1, n. 3, «Aree SIN – i lavori previsti dal
progetto potranno avere inizio soltanto dopo la conclusione della procedura di caratterizzazione ed
eventuale bonifica delle aree a mare e a terra direttamente interessate, nel quadro delle indicazioni e
degli obblighi dettati dal DM 26.2.2003 del MATTM e sulla base di quanto eventualmente
specificato e prescritto al riguardo in sede di Conferenza dei Servizi dalla Direzione Generale per la
Tutela del Territorio e delle Risorse Idriche. Qualora fosse necessaria la bonifica, la procedura in
questione si riterrà conclusa – e quindi i lavori potranno essere iniziati – soltanto in presenza di
Certificazione di Avvenuta Bonifica da parte dell'Autorità Competente, relativamente alla totalità
delle aree oggetto dell'intervento»;
gli esiti dell'integrazione di caratterizzazione effettuata nel 2011 hanno evidenziato un incremento
dei quantitativi di terreno contaminato inizialmente previsti, da 650 metri cubi a 30.000 metri cubi
e, pertanto, tali volumi rientrano comunque nel computo totale delle terre da movimentare
nell'ambito del progetto Tempa Rossa e vanno conseguentemente a ridurre i quantitativi di terre e
rocce conformi alle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC), quindi pulite ed idonee per il
riutilizzo;
in data 3 aprile 2014 nell'ambito dello stesso progetto «Adeguamento delle strutture della Raffineria
di Taranto per lo stoccaggio e la movimentazione del greggio proveniente dal giacimento
denominato Tempa Rossa» in merito al «Piano di Utilizzo terre e rocce da scavo ai sensi del DM 10
agosto 2012, n. 161» è stata presentata dal proponente istanza di verifica di assoggettabilità alla
procedura di valutazione di impatto ambientale e nello studio preliminare ambientale il proponente
ha previsto la realizzazione di uno scavo unico per tutta l'area, cioè uno scavo contestuale delle terre
contaminate e di quelle non contaminate;
38
con nota DVA-2014-0019907 del 26 ottobre 2014 la direzione generale per le valutazioni
ambientali ha disposto reclusione della procedura di valutazione di impatto ambientale del progetto
«Variante Piano di Gestione terra e rocce da scavo - Raffineria di Taranto, progetto “Tempa
Rossa”»;
a detta degli interroganti il parere favorevole espresso con decreto del Ministero dell'ambiente e
della tutela del territorio e del mare DVA-573 del 21 ottobre 2011 al «Progetto di adeguamento
delle strutture della Raffineria di Taranto per lo stoccaggio e la movimentazione del greggio
proveniente dal giacimento denominato Tempa Rossa» non è stato inclusivo del reale stato di
contaminazione dei suoli;
sono dunque state avanzate due distinte istanze per valutare il «Progetto di adeguamento delle
strutture della Raffineria di Taranto per lo stoccaggio la movimentazione del greggio proveniente
dal giacimento denominato Tempa Rossa», la prima di valutazione d'impatto ambientale presentata
dalla società ENI Spa in data 15 aprile 2010 e una seconda richiesta dello stesso proponente di
assoggettabilità a VIA di solo una parte riguardante il medesimo progetto, presentata il 3 aprile
2014, entrambe riconducibili ad un unico programma imprenditoriale, con la evidente conseguenza,
a detta degli interroganti che risulta imprescindibile, nell'analisi dell'opera soggetta a VIA, tenere
conto dei cosiddetti impatti cumulativi;
l'articolo 5, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 152 del 2006 definisce l'impatto
ambientale come «l'alterazione qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a lungo
termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, positiva e negativa dell'ambiente, inteso
come sistema di relazioni fra i fattori antropici, naturalistici, chimico-fisici, climatici, paesaggistici,
architettonici, culturali, agricoli ed economici in conseguenza dell'attuazione sul territorio di piani o
programmi o di progetti nelle diverse fasi della loro realizzazione, gestione e dismissione, nonché di
eventuali malfunzionamenti»;
la sentenza del TAR Lecce n. 01341/2011 in merito a diverse istanze di valutazione di impatto
ambientale riconducibili ad un unico progetto imprenditoriale afferma che: «pur a fronte di una
pluralità di procedimenti amministrativi messi in moto dall'imprenditore, l'organo preposto a
compiere la valutazione di impatto ambientale ha il preciso dovere di operarne la reductio ad
unitatem, specie in presenza di elementi sintomatici della unicità di intervento»;
la sentenza del Consiglio Stato, sezione V, 16 giugno 2009 , n. 3849 sentenzia che «La procedura
relativa alla valutazione di impatto ambientale non può essere elusa a mezzo di un riferimento a
realizzazioni o interventi parziali, caratteristici nelle opere da realizzarsi per “tronchi” o “lotti”»;
sembrerebbe che gli interventi che si effettueranno per il progetto interferiscano con le operazioni di
bonifica in atto e da attuare nel sito di interesse nazionale di Taranto;
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a detta degli interroganti i decreti emanati dovrebbero essere annullati e si dovrebbe ripetere la
valutazione di impatto ambientale in modo che comprenda tutti i fattori espressi nei due distinti
procedimenti –:
se il Ministro condivida quanto espresso dagli interroganti in premessa e, se intenda annullare i due
provvedimenti di esito favorevole alla valutazione di impatto ambientale predisponendo una nuova
valutazione d'impatto ambientale unitaria. (5-03647)
Interrogazione a risposta scritta:
sulla pubblicazione del valore dei cosiddetti certificati di immissione al consumo dei
biocarburanti
REALACCI (PD)
— Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del
mare. — Per sapere – premesso che:
il decreto interministeriale del 5 dicembre 2013, concertato con il Ministro dell'ambiente e della
tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali,
stabilisce le modalità di incentivazione per il biometano immesso nella rete dei gasdotti, in
particolare nel caso dell'uso del biometano come metano per autotrazione e per il suo uso in
impianti di cogenerazione ad alto rendimento, con la finalità di promuovere lo sviluppo di tale
risorsa energetica;
come lamentano numerosi soggetti interessati del comparto biometano, in particolare il
coordinamento Free – Fonti rinnovabili ed efficienza energetica – tale disposizione non risulta aver
ancora trovato attuazione;
appare necessario rendere pubblico il valore dei cosiddetti certificati di immissione al consumo dei
biocarburanti. Al valore di tali certificati è infatti legato il livello di incentivazione del biometano
impiegato come carburante per autotrazione –:
se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, intendano assumere ogni iniziativa perché tale
disciplina trovi pronta attuazione. (4-06162)
40
SENATO
Mozione:
sull'obiettivo del Governo di incrementare l'estrazione di idrocarburi dal mare e dal territorio
italiani
PETROCELLI e altri (M5S)
- Il Senato,
premesso che:
nel documento di strategia energetica nazionale, approvata con decreto interministeriale il 14 marzo
2013, il Governo ha indicato di voler investire sulla produzione sostenibile di idrocarburi nazionali,
"con un ritorno ai livelli degli anni novanta, nel rispetto dei più elevati standard ambientali e di
sicurezza internazionali"; sul sostegno dello sviluppo industriale di un settore che "parte da una
posizione di leadership internazionale, presente nei più importanti mercati mondiali, e che
rappresenta un importante motore di investimenti ed occupazione";
in particolare, si pone l'obiettivo di incrementare l'estrazione di idrocarburi dal mare e dal territorio
italiani portando il loro contributo dal 7 al 14 per cento del fabbisogno energetico, aumentando da
qui al 2020 l'attuale produzione di gas del 46 per cento e di petrolio del 148 per cento, confermando
una scelta, a giudizio dei proponenti decisamente insensata, perseguita anche dai precedenti
Esecutivi;
il Governo in carica, riportando numeri forniti da "Assomineraria", stimerebbe in 40.000 nuovi
posti di lavoro l'indotto derivante dallo sfruttamento del greggio, mostrando di non sapere che si
tratta di una fetta di mercato destinata ad esaurirsi in pochi anni e di non conoscere i dati
occupazionali attuali del settore. Il report presentato a Potenza, nel settembre 2013,
dall'Osservatorio industria della Cgil Basilicata, intitolato "Il lavoro nelle aziende dell'indotto ENI
della Val d'Agri (Basilicata): caratteristiche occupazionali, condizioni di lavoro e livelli salariali",
mostra che le unità lavorative assunte direttamente dall'Eni sono al 2013 solo 314 al Centro oli di
Viggiano (COVA), una struttura di 18 ettari con 5 linee di raffinazione, e appena 350 al Distretto
meridionale (Di.Me). Circa 400 sono i lavoratori stabilmente occupati nell'indotto;
secondo le ultime stime del Ministero dello sviluppo economico, le riserve ammontano a 76 Mt
(milioni di tonnellate) di petrolio e a 50 Mtep (milioni di tonnellate di petrolio equivalente) di gas, a
fronte di un consumo annuo nel nostro Paese rispettivamente di 71 Mt di petrolio e 64 Mtep di gas.
Tali risorse coprirebbero quindi il fabbisogno nazionale di poco più di un anno per il petrolio e di
41
soli 9 mesi per il gas. Nel suo rapporto annuale 2012, la Direzione generale per le risorse minerarie
ed energetiche scrive: "Il rapporto fra le sole riserve certe e la produzione annuale media degli
ultimi cinque anni, indica uno scenario di sviluppo articolato in 7,2 anni per il gas e 14 per l'olio",
considerate le 133 concessioni di coltivazione di idrocarburi (gas e petrolio) sulla terraferma e le 68
concessioni nel sottofondo marino, e i 94 permessi di ricerca sulla terraferma e i 21 in mare;
a conferma di ciò, occorre aggiungere che anche un'analisi dell'Aspo-Italia, la sezione italiana
dell'associazione scientifica Aspo (Association for the study of peak oil), realizzata nel 2012, a
seguito delle dichiarazioni del Ministro pro tempore dello sviluppo economico Corrado Passera
sulle ingenti risorse nostrane di gas e petrolio, dimostra, al contrario, l'esiguità delle medesime
risorse. Secondo l'Aspo-Italia, infatti, sulla base dei dati ministeriali, a fine dicembre 2010, le
riserve ammontavano a un massimo di 103 miliardi di metri cubi di gas naturale e 187 milioni di
tonnellate di petrolio, sommando tutte le diverse tipologie di riserve: certe, probabili e possibili. In
base ai consumi del Paese, tali riserve corrisponderebbero, alla fine, a circa i 3 quarti del fabbisogno
di un solo anno;
se si considerano solo i consumi diretti di petrolio e gas annui, secondo Aspo, è possibile affermare
che il fabbisogno nazionale è di circa 75 miliardi di metri cubi all'anno di metano, per cui i 66
miliardi non equivalgono nemmeno al consumo di un solo anno. Se si volesse coprire il fabbisogno
al 20 per cento si avrebbero solo 4 anni di autonomia. Per il petrolio che l'Italia consuma, cioè circa
80 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio all'anno, le stime sono ugualmente deludenti;
le quantità non rilevanti di petrolio presenti nel sottosuolo italiano sono confermate anche dal
quadro delle riserve provate di idrocarburi pubblicato dalla "BP statistical review 2013". Secondo
quanto emerge dai dati riportati nella sezione 4 "Riserve, consumi e produzione di idrocarburi in
Italia in Mtepa", le riserve italiane di gas naturale ammontavano nel 2012 a 55 miliardi di metri
cubi, equivalenti a 47,8 Mtep. Le riserve provate di petrolio riportate nella stessa review
ammontano a 1,4 miliardi di barili (pari a 186 Mtep). Una quantità considerevole, ma sempre
piccola se confrontata con i consumi del Paese;
al tasso di produzione attuale, pari a circa 12 Mtep per anno, le riserve si esaurirebbero in 19 anni
circa. Se si raddoppiasse il tasso annuo di estrazione, così come dichiara di voler fare il Governo, la
durata si dimezzerebbe, senza consentire, appunto, ulteriori guadagni in termini di gettito fiscale per
le casse dello Stato;
di fronte a tali considerazioni, che inequivocabilmente dimostrano l 'esiguità delle riserve del
sottosuolo italiano, l'argomento delle compagnie petrolifere per giustificare il raddoppio delle
estrazioni è la "crescita delle riserve". A riguardo, è necessario segnalare che secondo l'evoluzione
storica della consistenza delle riserve provate di gas italiano, dal 1980 al 2012, in migliaia di
42
miliardi di metri cubi (trilioni di metri cubi), dette riserve sono stazionarie da 5 anni e
corrispondono a meno del 40 per cento di quelle del 1980;
occorre inoltre considerare le questioni legate all'effettiva possibilità di estrarre il 100 per cento
delle riserve dichiarate. Come noto, solo in parte le riserve provate sono economicamente estraibili;
tali dati dimostrano l'assoluta insensatezza del rilancio delle attività estrattive che il Governo
persegue attraverso le disposizioni contenute all'art. 38 del decreto-legge n. 133 del 2014 ("sblocca
Italia"). Per le attività di prospezione, ricerca e coltivazione finalizzate all'estrazione di gas e
petrolio basterà, d'ora in poi, una concessione unica della durata di 30 anni, 10 in più rispetto alla
normativa precedente. Inoltre, viene accentrato il potere autorizzativo per la valutazione di impatto
ambientale dei progetti con un passaggio dalle Regioni al Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio e del mare;
occorre, dunque, fermare la "deriva petrolifera" che sta interessando il nostro Paese. È nell'interesse
generale del Paese e di gran parte dei settori economici, promuovere, invece, una rivoluzione
energetica, garantendo uno sviluppo futuro più sostenibile e duraturo, ridando voce e possibilità di
scelta ai territori e alle popolazioni interessate dalle richieste di estrazioni avanzate dalle compagnie
petrolifere. Inoltre, gran parte delle richieste di ricerca ed estrazione di idrocarburi, attualmente in
fase di valutazione, provengono da compagnie straniere, la cui attività non porterà alcun beneficio
all'economia nazionale, tenuto conto anche che, come accade per il petrolio estratto dalla
concessione val d'Agri in quota Shell, o come accadrà per quello che la Total estrarrà dal pozzo
Tempa Rossa della concessione di coltivazione Gorgoglione, la raffinazione e la vendita avvengono
con un prezzo calcolato in franco frontiera, dunque tassato all'estero e non nella zona di estrazione
italiana;
considerato che:
la "regione mediterranea" costituisce un ambiente naturale e culturale unico al mondo la cui
prosperità dipende dalla salvaguardia e dalla valorizzazione delle sue risorse naturali e
dall'importanza delle attività turistiche, della pesca e di quelle agricole. Nel mar Mediterraneo
transita il 30 per cento del traffico merci marittimo internazionale e il 20-25 per cento del petrolio
trasportato via mare, e la quantità di catrame pelagico è la più alta del mondo, 38 milligrammi a
metro cubo;
le attività di perforazione e produzione di petrolio dal fondo marino contribuiscono almeno per il 2
per cento all'inquinamento marino. Non si ravvisa, quindi, alcuna necessità di promuovere attività
che accrescono i rischi di inquinamento del bacino del Mediterraneo, quali lo sviluppo di pericolosi
ed inopportuni nuovi progetti di perforazione offshore;
43
vi sono zone di pregio marine e costiere che continuano a subire la minaccia del rischio di
inquinamento marino derivante dalle attività di esplorazione e perforazione (quali ad esempio
l'utilizzo della tecnica airgun, che espone ad elevati rischi i mammiferi marini, e di fanghi e fluidi
perforanti, nonché il rilascio delle acque di produzione) e da incidenti per le piattaforme offshore,
come ha dimostrato il caso della piattaforma Deepwater horizon del 2010 nel golfo del Messico;
anche nella deliberazione n. 71/2014/PRS della sezione regionale di controllo per la Basilicata della
Corte dei conti si evidenzia, a pag. 31, che «la profondità dei pozzi, considerate le metodologie di
estrazione, ha inevitabili riflessi sull'ambiente»;
sempre a pag. 31, la delibera della Corte dei conti soffermandosi anche sui fanghi e i fluidi
perforanti afferma che: «In un recente articolo apparso sul "Quotidiano di Basilicata" (9 gennaio
2012) una Docente di Fisica presso l'Università di California U.S.A, poneva in evidenza come "La
prima fase di lavorazione necessita di fanghi e fluidi perforanti (altamente tossici) che permettono
di lubrificare la trivella e cementificare il pozzo. Questi fanghi" continua l'articolo "sono composti
da oltre 500 sostanze. L'iniezione di tali fanghi, durante la fase di perforazione e di tutta l'esistenza
del pozzo stesso, libera nel terreno circostante quanto nelle falde acquifere sostanze tossiche
altamente inquinanti. Questi fanghi e fluidi necessitano di una fase di smaltimento complicata e
molto onerosa… Le compagnie petrolifere non dichiarano i componenti di questi fanghi, ma alcuni
studi hanno ritrovato tracce di sostanze radioattive"»;
un «attento e costante monitoraggio dei fanghi esausti rappresenta un punto di fondamentale
importanza per la tutela ambientale e per la tutela della salute pubblica» a giudizio della Corte dei
conti;
la tutela dell'ecosistema del mar Mediterraneo rientra tra gli obiettivi della Convenzione di
Barcellona. L'Italia ha ratificato la convenzione nel 1979, sottoscrivendone i successivi
emendamenti che sono poi entrati in vigore nel 2004. Il nome attuale della convenzione è
"Convenzione per la protezione dell'ambiente marino e della regione costiera del Mediterraneo" ed
ha dato luogo a 7 protocolli. In particolare, il protocollo "offshore " per la protezione del mar
Mediterraneo contro l'inquinamento derivante da esplorazione e sfruttamento della piattaforma
continentale, del fondale marino e del relativo sottosuolo, non è ancora stato ratificato;
l'ultima pericolosa falla nella rete di protezione delle coste italiane dai rischi di incidente da
estrazione petrolifera è stata aperta dall'articolo 35 del decreto-legge n. 83 del 2012, recante
"Misure urgenti per la crescita del Paese", convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del
2012, in base al quale sono ripartiti tutti i procedimenti autorizzatori per la prospezione, ricerca ed
estrazione di petrolio che erano stati bloccati dal decreto legislativo n. 128 del 2010;
44
da anni, inoltre, sono noti ed indagati gli effetti antropici dell'estrazione di idrocarburi sulla
subsidenza, cioè l'abbassamento del suolo indotto dall'estrazione di fluidi dal sottosuolo, e sulla
correlazione tra estrazioni e sismicità delle aree interessate;
nel 2013, l'ordine nazionale dei geologi ha avviato degli studi per approfondire la correlazione tra
estrazione di idrocarburi e sismicità indotta, temi che in altri Paesi in cui insistono attività estrattive
sono stati trattati in maniera estremamente approfondita, giungendo anche all'emanazione di
apposite normative al riguardo. L'interrogativo emerso tra gli studiosi e la popolazione è come le
attività umane possano aver influito sugli effetti del terremoto, amplificandone i danni o la portata;
in un documento redatto dal Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei
ministri a seguito del verificarsi del terremoto in Emilia-Romagna, si evidenzia come, ad esempio,
il fenomeno della subsidenza potrebbe aver indebolito la struttura geologica del terreno,
amplificando quindi i danni agli edifici in occasione dell'evento sismico del 2012;
il dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) ha dichiarato, in
un'intervista pubblicata sul sito "QualEnergia", nel 2012, che: «Ci sono numerosi studi che
documentano la sismicità indotta dalle operazioni petrolifere, geotermiche e persino dal variare del
livello dell'acqua nei bacini idroelettrici. (...) Noi sismologi auspicheremmo sicuramente una
maggiore trasparenza da parte delle società petrolifere, ma anche da quelle che si occupano di
geotermia, che oggi tengono in gran parte riservati, considerandoli parte del loro capitale, i dati
delle loro prospezioni geofisiche e delle loro attività di estrazione e reiniezione di fluidi, dati che ci
sarebbero preziosi anche per valutare la connessione fra queste attività e la sismicità»;
in particolare, sul sito dell'Ingv, sede Irpinia, si legge che: «La Val d'Agri è una delle aree italiane a
maggiore potenziale sismogenetico. Il recente sviluppo urbanistico, in particolare nella parte alta
della valle (Villa d'Agri, Viggiano), e la presenza di infrastrutture legate all'attività di estrazione e
raffinazione di idrocarburi, contribuiscono ad accrescere il rischio sismico dell'area, che è già stata
colpita da un terremoto distruttivo nel 1857»;
secondo i dati dell'Unmig (Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse), a fine
agosto 2013 in Basilicata erano attive 21 concessioni di coltivazione di idrocarburi in terraferma
(che occupano una superficie di oltre 2.000 chilometri quadrati), di cui 18 in provincia di Matera e 7
in provincia di Potenza (i titoli ricadenti in entrambe le province sono conteggiati una volta per
ciascuna). Nella regione sono vigenti anche 11 permessi di ricerca (per una superficie di quasi 1.500
chilometri quadrati) e una concessione di stoccaggio. Le istanze per il conferimento di nuovi
permessi di ricerca sono 18 e sono riferibili ad una superficie di oltre 3.000 chilometri quadrati;
il giacimento petrolifero della val d'Agri copre il 6 per cento del fabbisogno nazionale, che, nel
memorandum d'intesa Stato-Regione Basilicata siglato il 29 aprile 2011, si presume di incrementare
45
al 10 per cento nel 2015 quando entrerà in produzione il giacimento Tempa Rossa della concessione
di coltivazione Gorgoglione. Con riferimento alla concessione principale, quella della val d'Agri,
nel sito web dell'Osservatorio ambientale val d'Agri, viene ricordato che lo sviluppo dell'attività
petrolifera in tale zona è iniziato negli anni '90 con il rilascio all'Agip, da parte dell'allora Ministero
dell'industria, delle concessioni di coltivazione Grumento Nova (decreto del 9 ottobre 1990),
Caldarosa (decreto del 15 luglio 1991) e Volturino (decreto del 27 dicembre 1993) e con l'avvio, a
Viggiano, nel 1996, della lavorazione del petrolio nel "Centro olio Monte Alpi", che nel 2001 è
stato ampliato e denominato "Centro olio Val d'Agri" (COVA);
nel corso del tempo le varie concessioni sono state accorpate più volte, fino ad arrivare, nel 2005, ad
un'unica concessione denominata Val d'Agri. La nuova concessione, con scadenza fissata al 26
ottobre 2019, è intestata alle società ENI S.p.A. e Shell Italia E&P S.p.A., con quote rispettivamente
del 66 e del 34 per cento. Nel 2011 è stato avviato l'ammodernamento del COVA ed approvato il
nuovo programma di sviluppo della concessione Val d'Agri;
l'area interessata dal titolo minerario riguarda un numero importante di comuni: Anzi, Abriola,
Armento, Calvello, Corleto Perticara, Grumento nova, Laurenziana, Marsico nuovo, Marsicovetere,
Moliterno, Montemurro, Paterno, San Chirico Raparo, San Martino d'Agri, Sarconi, Sasso di
Castalda, Spinoso, Tramutola e Viggiano della provincia di Potenza. Nei limiti della concessione
Val d'Agri ricadono aree comprese nel parco nazionale appennino-lucano val d'Agri lagonegrese
nonché alcuni siti di interesse comunitario (SIC) e zone di interesse speciale (ZPS). Relativamente
al parco nazionale della val d'Agri occorre inoltre ricordare che il decreto del Presidente della
Repubblica 8 dicembre 2007 ("Istituzione del parco dell'Appennino Lucano - Val d'AgriLagonegrese") all'art. 3 dell'Allegato A dispone che sono vietate su tutto il territorio del parco, tra le
altre, le attività "di estrazione e di ricerca di idrocarburi liquidi e relative infrastrutture
tecnologiche" (lettera n) dell'art. 3);
considerato, inoltre, che:
allo stato attuale, la produzione italiana di petrolio equivale allo 0,1 per cento del prodotto globale e
il nostro Paese è al 49° posto tra i produttori. Invece, nonostante i rischi e i possibili effetti
devastanti sul territorio, le royalty in Italia sono tra le più basse del mondo: oltre alle tasse
governative, le società che estraggono cedono solo il 4 per cento dei loro ricavi per le estrazioni in
mare e il 10 per cento per quelle su terraferma. I dati relativi al regime fiscale concernente la
produzione di petrolio e gas in altri Paesi europei mostra chiaramente il regime di favore per le
compagnie petrolifere che vige nel nostro Paese;
secondo quanto riportato nel rapporto annuale 2014 della Direzione generale per le risorse
minerarie ed energetiche, al 31 dicembre 2013, risultano vigenti sul territorio italiano: 115 permessi
46
di ricerca (di cui 94 in terraferma, e 21 in mare) e 200 concessioni di coltivazione (di cui 134 in
terraferma e 66 in mare), con un'estensione delle aree impegnate dall'attività estrattiva in terraferma
pari a 38.259 chilometri quadrati e di quelle interessate dall'attività di ricerca pari a 16.292,85
chilometri quadrati;
nel corso dell'anno 2013, l'attività di perforazione ha interessato 22 postazioni, per un totale di
46.365 metri perforati. In dettaglio, 2 sono relative ad attività esplorative, mentre le restanti si
riferiscono a: 5 pozzi di sviluppo, 7 workover su pozzi esistenti, 6 pozzi di stoccaggio e 2 pozzi di
monitoraggio;
a fronte dell'elevato numero di richieste, un solo ritrovamento di idrocarburi è stato effettuato nel
corso dell'anno 2013 con il pozzo esplorativo Gradizza 001 perforato nel permesso di ricerca La
Prospera in provincia di Ferrara;
secondo i dati dell'ultimo aggiornamento della Direzione generale per le risorse minerarie ed
energetiche, alla data del 31 agosto 2014, sono vigenti: 91 permessi di ricerca in terraferma e 22
permessi di ricerca nel sottofondo marino; 119 concessioni di coltivazione in terraferma; 68
concessioni di coltivazione nel sottofondo marino; 15 concessioni di stoccaggio in terraferma;
in termini di gettito derivante dalle royalty, gli importi complessivamente corrisposti nel corso
dell'anno 2013 sono stati pari a circa 419 milioni di euro. All'esiguità delle royalty onshore (10 per
cento per produzione di gas e greggio, con franchigie rispettive di 25 miliardi di standard metri cubi
e 20.000 tonnellate) e offshore (7 per cento greggio e 10 per cento gas, con franchigie di 50.000
tonnellate e 50 miliardi di standard metri cubi), occorre tener presente che le società minerarie
pagano per la presentazione di un'istanza per esplorazione e produzione, appena lo 0,05 per cento
del valore delle opere da realizzare con un minimo di 2.500 euro;
rilevato che:
l'articolo 18 del decreto legislativo n. 625 del 1996, sui canoni annui per i permessi di prospezione e
di ricerca e le concessioni di coltivazione e di stoccaggio di idrocarburi conferiti in Italia, prevede a
chilometri quadrati di territorio occupato dalle trivelle, appena, 3,40 euro per il permesso di
prospezione, 6,82 euro per quello di ricerca, 13,61 per il permesso di ricerca in prima proroga,
27,23 in seconda proroga, 54,48 euro per quello di coltivazione, 81,71 per coltivazione in proroga,
per un totale complessivo di 200,86 euro per chilometri quadrati di aree concesse;
in Norvegia quasi l'80 per cento del ricavato dell'industria petrolifera viene riscosso dallo Stato. Il
regime fiscale prevede un'imposta sul reddito del 28 per cento che si aggiunge ad un'imposta
speciale petrolifera del 50 per cento (l'aliquota complessiva è pertanto del 78 per cento). L'elevato
livello della tassazione, unito agli alti costi di estrazione al largo, fa sì che soltanto i giacimenti più
grandi siano attrattivi per gli operatori, evitando, quindi, trivellazioni poco redditizie che devastano
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il territorio. È previsto un periodo relativamente breve (6 anni) per l'ammortamento delle spese.
Oltre che con le imposte dirette, la Norvegia introita risorse dai propri giacimenti tramite
partecipazioni dello Stato;
la Norvegia richiede 7.700 euro per il rilascio della licenza: per la presentazione delle istanze il
costo è di 3.850 euro per chilometro quadrato per il primo anno e 15.400 euro a chilometro quadrato
negli anni successivi;
inoltre, secondo quanto emerge dai documenti pubblicati dalla professoressa Maria Rita D'Orsogna,
del CSUN di Los Angeles, sulle industrie petrolifere pesa in Norvegia anche una tassa sulle
emissioni di rifiuti tossici, introdotta nel 1991, pari a circa 50 euro alla tonnellata di anidride
carbonica emessa e di 2.000 euro alla tonnellata di ossido di ozono emesso, a cui occorre
aggiungere circa 40 euro alla tonnellata di anidride carbonica da pagare in base alla normativa di
contrasto all'effetto serra (per un totale nel 2010 di un miliardo di euro finito nelle casse statali solo
grazie alla legge sulle emissioni);
in Gran Bretagna esiste una tassa specifica sugli introiti petroliferi (PRT, Petroleum revenue tax),
pagata da un gruppo di giacimenti (più vecchi) che sono tassati con una aliquota effettiva del 75 per
cento dei profitti (cosiddetta PRT). La PRT, fissata attualmente al 50 per cento, è stata abolita dal
16 marzo 1993 per i giacimenti sviluppati dopo tale data. I giacimenti sviluppati dopo il 1993 sono
quindi esentati dal sistema e pagavano inizialmente un'imposta sul reddito societario del 30 per
cento. Nel 2002, è stato posto a loro carico un ulteriore addebito del 10 per cento, incrementato nel
2006 sino al 20 per cento, portando pertanto la tassazione effettiva al 50 per cento;
valutato che:
in Italia la rendita mineraria è in parte prelevata dallo Stato attraverso un insieme di strumenti che
comprendono la tassazione, le royalty, i canoni e le partecipazioni alla produzione. Le royalty sono,
dunque, solo una parte del complesso sistema di tassazione su cui si può articolare il prelievo statale
sulla rendita mineraria;
il regime fiscale a cui sono sottoposte le imprese operanti in Italia nel settore degli idrocarburi
consta principalmente di 2 imposte, una di natura statale, l'IRES, imposta sui redditi delle società, e
una di natura regionale, l'IRAP, imposta regionale sulle attività produttive. Sulle attività nel settore
petrolifero e del gas pesa, oltre alla percentuale di tassazione IRES, un'addizionale introdotta nel
2008 con il decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del
2008, la "Robin Hood tax". L'aliquota, fissata in origine al 5,5 per cento e successivamente elevata
al 6,5 per cento (articolo 56, comma 3, della legge n. 99 del 2009), è stata poi innalzata al 10,5 per
cento per i periodi di imposta dal 2011 al 2013 (articolo 7, comma 3, del decreto-legge n. 138 del
2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011);
48
in Italia, secondo i dati diffusi da Nomisma energia, le entrate da royalty per lo Stato, in parte
trasferite alle Regioni coinvolte da attività E&P, hanno mantenuto un trend crescente nell'ultimo
decennio, fino a raggiungere oltre 200 milioni di euro nel 2010;
è evidente, quindi, che, rispetto al dato diffuso da Nomisma energia per il 2010, se in Italia fossero
previste delle royalty più elevate, pari, a solo titolo di esempio, al 50 per cento, a livello nazionale,
vi sarebbe stato un gettito di circa 1,5 milioni di euro, e se i canoni per la prospezione, ricerca,
coltivazione e stoccaggio di idrocarburi fossero meno irrisori e si procedesse ad un loro
aggiornamento, le compagnie operanti nel mercato del petrolio e del gas verserebbero allo Stato
cifre maggiori, ma soprattutto più adeguate agli effetti che tali attività hanno sui territori coinvolti;
occorre aggiungere, inoltre, che occorrerebbe eliminare le esenzioni previste per i concessionari.
L'aliquota di prodotto della coltivazione che gli operatori corrispondono allo Stato, alle Regioni ed
ai Comuni è determinata infatti solo per i quantitativi che in ogni concessione superano una certa
soglia di produzione. Nell'attuale situazione produttiva italiana circa il 30 per cento della
produzione di gas ed il 7 per cento della produzione di idrocarburi liquidi è esente dal pagamento di
royalty,
impegna il Governo:
1) a rivedere integralmente la strategia politica sinora perseguita, e riconfermata nel decreto-legge
"sblocca Italia", volta all'incremento della produzione di idrocarburi e alla semplificazione dell'iter
di presentazione delle istanze per il conferimento dei permessi e delle concessioni e finalizzata ad
aumentare il gettito fiscale;
2) a valutare attentamente, nell'ambito delle misure volte all'incremento delle attività estrattive, i
costi in termini sanitari ed ambientali di una politica energetica fondata sulle trivellazioni in mare e
sulla terraferma;
3) a garantire la massima attenzione nel corso delle valutazioni di impatto ambientale ai rischi per i
cittadini residenti nelle aree territoriali interessate;
4) ad aumentare i costi per la presentazione delle istanze per l'esplorazione e la produzione di
idrocarburi, dallo 0,05 allo 0,1 per cento del valore delle opere da realizzare;
5) ad aggiornare i canoni annui di cui all'articolo 18 del decreto legislativo n. 625 del 1996,
attualmente non commisurati agli standard internazionali e ai regimi vigenti negli altri Paesi
europei, adeguandoli a quelli norvegesi;
6) ad adottare misure di carattere normativo volte a disincentivare operazioni speculative da parte
delle compagnie operanti nel settore degli idrocarburi, anche attraverso la previsione di sanzioni
pecuniarie per le concessioni non utilizzate dopo 3 anni dal rilascio e il ritiro dei permessi in caso di
reiterato non avvio dell'attività estrattiva;
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7) ad introdurre una specifica tassazione sulle emissioni di rifiuti tossici derivanti da attività
estrattive nel settore degli idrocarburi, nonché ad applicare alle imprese operanti nel settore la
disciplina di contrasto all'effetto serra;
8) a procedere con urgenza alla definizione, condivisa e trasparente, di una strategia energetica
nazionale che non si fondi sulle fonti fossili, disponendo la sospensione delle attività di coltivazione
di idrocarburi liquidi entro le 12 miglia dalle linee di costa e dalle aree marine e costiere protette di
cui all'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo n. 152 del 2006, così come modificato
dall'articolo 35 del decreto-legge n. 83 del 2012, e che promuova le fonti rinnovabili e l'efficienza
energetica, in vista del raggiungimento degli obiettivi europei;
9) ad assumere ogni opportuna iniziativa idonea a garantire la tutela dell'equilibrio biologico
dell'ambiente marino in cui insistono attività estrattive, monitorando costantemente che non vi siano
rischi di sversamenti in mare di idrocarburi collegati alle medesime attività, al fine di evitare effetti
negativi sul sistema economico-occupazionale delle aree coinvolte, in particolare sui settori della
pesca e del turismo. (1-00310)
Interrogazione a risposta scritta:
sulla tutela dei piccoli gestori di stazioni di servizio, sulla revisione dell'attuale regime di
imposizione fiscale e sulla concertazione di un livellamento dei prezzi del carburante
COMAROLI (LN)
- Al Ministro dello sviluppo economico - Premesso che:
il settore dei gestori di stazioni di servizio, già gravato da anni di difficoltà economiche dovute alla
riduzione dei consumi causata dalla crisi economica, ha visto negli ultimi anni un crollo del 17 per
cento, di cui due terzi sono da ricondurre all'aumento della fiscalità intervenuto sulle accise e
sull'aliquota IVA, che, in Italia, è mediamente superiore di 24-25 centesimi al litro rispetto alla
media europea, ponendo così il nostro Paese al vertice della classifica negativa dei prezzi più alti di
tutta l'Unione;
la già forte fiscalità a cui è sottoposto questo settore, che ha subito incrementi record delle accise
che in meno di 3 anni sono state ritoccate al rialzo per ben 5 volte, arrivando ad aumentare di quasi
il 46 per cento sul gasolio, del 29 sulla benzina e del 17 per cento sul gpl, ha "cannibalizzato" molti
piccoli gestori che sono stati costretti a ritirarsi dal mercato;
l'aumento combinato dell'IVA nell'ottobre 2013 e gli ultimi interventi sulle accise (di cui la legge di
stabilità per il 2013 aveva stabilito l'aumento, ulteriormente innalzato dal 1° marzo 2014 per effetto
50
del decreto-legge n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013), se, da
un lato, ha determinato una spesa di 22 miliardi di euro in più per gli italiani, dall'altro, ha
contribuito a far flettere ancora più verso in basso i consumi, facendo registrare, nel 2013, un calo
del 5,4 per cento rispetto al 2012 e un calo del 3,6 per cento nei primi 4 mesi del 2014 rispetto allo
stesso periodo dell'anno precedente, con una continua e significativa contrazione dell'erogato medio
(con una diminuzione del 6,5 per cento in un anno, per un totale pari al 18 per cento negli ultimi 7
anni) e assottigliando ancora di più il margine di guadagno, ormai sceso sotto il 2 per cento del
prezzo finale;
a fronte di una minore crescita industriale del prezzo della benzina rispetto agli altri Paesi europei
(con un aumento del 91,6 contro il 99,3 della Francia, il 107,7 della Germania, il 104,9 della
Spagna, il 145,7 della Gran Bretagna), nel nostro Paese, gli aumenti del prezzo alla vendita, a causa
dell'imposizione fiscale, è salito del 56,5 per cento rispetto al 2009, contro il 35,5 della Francia, il
35 della Germania, il 62,1 della Spagna e il 67,9 della Gran Bretagna (questi ultimi 2 Paesi, sebbene
abbiano avuto incrementi più alti, presentano comunque prezzi alla pompa abbondantemente
inferiori), registrando un livello medio sensibilmente più alto: 1,74 euro contro 1,49 in Francia, 1,55
in Germania, 1,40 in Spagna, 1,61 euro in Gran Bretagna;
parimenti, sul gasolio, a fronte dell'1,61 euro italiano in media, in Francia si rileva un prezzo alla
pompa di 1,29 euro, in Germania di 1,36, in Spagna di 1,31, con un incremento dei prezzi, nel
periodo 2009-2014, del 53,8 per cento, rispetto all'incremento in Francia, Germania, Spagna e Gran
Bretagna rispettivamente del 29,4 per cento, 25,6, 50,3 e 52,5 per cento;
nonostante gli aumenti di prezzo del nostro Paese siano ascrivibili alla tassazione più alta d'Europa
(1,04 euro contro lo 0,86 in Francia, lo 0,90 Germania, lo 0,70 in Spagna e lo 0,99 in Gran
Bretagna), un tale regime di pressione fiscale, determinando il conseguente caro benzina (e gasolio)
più alto d'Europa, sta diventando talmente insostenibile da causare contrazioni allo stesso gettito per
le casse dello Stato che, nel 2013, ha ottenuto risorse pari a circa 17,9 miliardi di euro, 161 milioni
in meno rispetto al 2012;
l'osservatorio Confesercenti e la Confcommercio denunciano già da tempo come questa crisi dei
consumi interni, combinata con l'incremento record dell'imposizione fiscale, stia spazzando via i
gestori degli impianti stradali di distribuzione carburanti che all'inizio del 2013 contavano già 700
unità in meno rispetto all'anno precedente;
il presidente della Federazione autonoma italiana benzinai ha più volte dichiarato agli organi di
stampa che la persistente situazione di difficoltà in cui versano i gestori ha non soltanto spinto molti
impianti storici alla chiusura, ma ha anche aumentato l'esposizione debitoria della categoria del 50
per cento, contando 11.000 gestori che hanno accumulato debiti per mezzo miliardo di euro;
51
i prezzi più bassi che le aziende petrolifere applicano per alcuni operatori di mercato, quali grandi
distribuzioni e "pompe bianche" (i distributori "no logo" slegati dalle principali insegne petrolifere
che possono comprare benzina a prezzi di mercato senza seguire le tariffe imposte dai marchi
tradizionali), ma non per i propri gestori, è il frutto di un premeditata discriminazione tra operatori
attuata non su regole di mercato, ma sul progressivo abuso di dipendenza economica a cui i gestori
sono sottoposti da inique regole contrattuali e dinamiche di mercato che, in questo settore, tutelano
gli interessi forti delle aziende petrolifere;
aggiungendosi alle cosiddette pompe bianche già diffusesi capillarmente sul territorio nazionale,
raddoppiate nel numero tra il 2006 e il 2012, il progetto Enercoop, avviato nel novembre 2012 a
Cantù con l'insediamento di una stazione di servizio con benzina verde, gasolio e metano, prevede
l'installazione di mega stazioni di servizio in modalità "iperself" (pre pay automatizzato), che
praticano prezzi sensibilmente più bassi da 10 fino a 16 centesimi di euro in meno rispetto ai
normali gestori, i quali, invece, vendendo nella stessa modalità iperself riescono a praticare uno
sconto di soli 8 centesimi, profumatamente pagato alle aziende petrolifere;
la stessa Enercoop ha dichiarato alla stampa che "si rifornisce dai medesimi depositi e dalle
medesime raffinerie dalle quali si riforniscono tutti gli altri marchi", in particolare da Eni, Yes e
Tamoil, acquistando lo stesso prodotto che le aziende petrolifere vendono al gestore del proprio
impianto di marchio ad un prezzo mediamente inferiore, con uno sconto di 18-20 centesimi al litro;
tale pratica di differenziazione del prezzo operata dalle aziende petrolifere, oltre a non essere
giustificata sul piano dei costi, ma anzi caricando questi ultimi sulla rete dei gestori, interviene sul
mercato con uno strumento di forte discriminazione a favore di alcuni operatori e ad esclusivo
discapito delle imprese di gestione tradizionali, vincolate peraltro all'acquisto in esclusiva dei
prodotti;
nel 2013 Coop Lombardia ha presentato domanda per la realizzazione di un progetto a firma Coop
Lombardia e IGD, proprietari del centro commerciale "Gran Rondò" (Crema), che prevede, oltre
all'ampliamento e all'implementazione dell'area, l'avvio di una stazione di carburanti a marchio
Enercoop, mettendo in questo modo a rischio almeno 18 aziende nella sola città di Crema, oltre alle
20 che esercitano la stessa professione nel raggio di 15 chilometri, per un totale di 38 aziende, già
penalizzate dal differenziale in negativo che caratterizza il cremasco rispetto a tutte le provincie
limitrofe;
alla luce di ciò, si rende necessario prevedere una nuova regolamentazione per la razionalizzazione
e ristrutturazione del mercato, al fine di aiutare la ripresa economica di questo comparto economico
e di tutelare la debole posizione dei piccoli gestori, che non hanno il potere di competere, poiché
obbligati sul piano sia economico che contrattuale, di fronte all'abuso di posizione dominante delle
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aziende petrolifere che attuano prezzi minori ai nuovi operatori entranti nel mercato, anziché ridurre
il prezzo dei carburanti sulla propria rete,
si chiede di sapere:
quali provvedimenti il Ministro in indirizzo intenda adottare, in base alla proprie competenze, al
fine di trovare una soluzione per una più adeguata ed efficace tutela dei piccoli gestori di stazioni di
servizio che soffrono questa grave situazione di precarietà economica;
quali interventi di competenza intenda proporre per rivedere l'attuale regime di imposizione fiscale
con l'intento di livellare i prezzi del carburante imposti nel nostro Paese alla media dei prezzi
praticati nei restanti Paesi dell'Unione europea;
se intenda predisporre un tavolo di lavoro comune tra le aziende petrolifere e i rispettivi gestori al
fine di concertare un livellamento dei prezzi tra quelli imposti per le pompe tradizionali e quelli
super scontati offerti ai proprietari delle grandi distribuzioni.
(4-02697)
Interrogazione a risposta scritta:
sulla realizzazione del gasdotto Trans Adriatic pipeline (TAP)
CONSIGLIO (LN)
- Al Ministro dello sviluppo economico - Premesso che:
a seguito della firma da parte del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del
decreto di compatibilità ambientale del progetto per la realizzazione del gasdotto Trans Adriatic
pipeline (TAP), il 12 settembre 2014, si avvicina l'inizio dei lavori per la realizzazione di
un'infrastruttura importantissima e di rilevanza strategica per l'approvvigionamento energetico del
nostro Paese;
il TAP che connetterà Italia e Grecia attraverso l'Albania, permettendo l'afflusso di gas naturale
proveniente dalla zona del Caucaso, del mar Caspio (Azerbaigian) e, potenzialmente, del Medio
oriente, trasporterà circa 10 miliardi di metri cubi all'anno di gas naturale, ma tale quantità è stata
ritenuta insufficiente a creare un vero vantaggio per il mercato europeo di destinazione;
a parere dell'interrogante i costi eccessivi rendono assolutamente impraticabile un raddoppio del
TAP in tempi ragionevoli e economicamente vantaggiosi e ciò mette decisamente in discussione il
tentativo europeo di slegarsi dalle forniture russe;
inoltre, resta palese che l'importazione del gas attraverso il TAP terrà ancora l'Italia sotto un ricatto
commerciale degli Stati esteri di estrazione del prodotto;
53
le politiche della realizzazione dei rigassificatori o meglio della dotazione del Paese di più punti di
accesso di navi gasiere, visto che attualmente esistono delle navi attrezzate per la trasformazione a
bordo del gas naturale liquefatto in gas sono attualmente ferme;
peraltro, la filiera industriale petrolifera, ed in particolare tutte le industrie che gravitano attorno, tra
ricerca di idrocarburi o importazione del prodotto e catena di distribuzione, restano in un limbo di
difficoltà: si tratta di raffinerie, depositi, strutture portuali, che presentano enormi difficoltà per la
lavorazione e la distribuzione dei prodotti a causa di strutture obsolete e inadeguate;
l'alto rappresentante per gli affari esteri della UE, Federica Mogherini, ha recentemente riconosciuto
la Russia non più un partner strategico per l'Unione e ciò induce a riflessioni e considerazioni su
scenari diversi ed immediati con risvolti sulle risorse energetiche italiane;
la strategia energetica nazionale, elaborata dal Ministro dello sviluppo economico e dal Ministro
dell'ambiente (decreto interministeriale 8 marzo 2013) ed in particolare la nostra politica petrolifera
deve quindi essere modificata e perfezionata, sulla base della strategia energetica europea,
altrimenti il Paese rischia di restare nello stallo attuale,
si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo intenda tenere conto degli scenari in via di sviluppo
della strategia energetica europea e quali azioni intenda intraprendere per allineare la strategia
energetica nazionale ed in particolare la politica della filiera petrolifera a quella europea. (4-02699)
Interrogazione a risposta scritta:
sul mancato investimento da parte di ENEL sulla riconversione a carbone della centrale di
Porto Tolle (Rovigo)
MUNERATO (LN)
- Al Ministro dello sviluppo economico - Premesso che:
l'amministrazione comunale di Porto Tolle (Rovigo) e i lavoratori della centrale termoelettrica
ENEL e dell'indotto evidenziano da tempo le proprie preoccupazioni per il mancato investimento da
parte di ENEL sulla riconversione a carbone della centrale;
infatti, negli ultimi anni, in attesa dell'investimento, si è verificata una forte diminuzione della
popolazione residente nel Polesine e la disoccupazione ha toccato percentuali elevatissime;
a seguito della determinazione direttoriale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e
del mare DVADEC-2014-0000004 del 13 gennaio 2014 che, su conforme parere della commissione
VIA e VAS, ha chiesto all'ENEL la documentazione necessaria per il riavvio del procedimento di
valutazione di impatto ambientale del progetto di conversione a carbone della centrale di Porto
54
Tolle, con effetto della richiesta di integrazione documentale di pronunciamento interlocutorio
negativo, ENEL sembra che abbia abbandonato il progetto;
infatti, dalla lettura degli atti del Ministero si evince che anche il parere della commissione VIA e
VAS e la conseguente determinazione direttoriale si basano sulle carenze della documentazione
presentata da ENEL che non hanno reso possibile la conclusione dell'istruttoria di VIA ai fini
dell'espressione del giudizio di compatibilità ambientale;
non si comprendono i motivi dell'abbandono del progetto da parte di ENEL anche perché, in
passato, ENEL ha sempre rassicurato il territorio sulle proprie intenzioni di continuare ad utilizzare
la centrale riconvertendola a carbone, e tutte le autorità, locali, regionali e nazionali, hanno
dichiarato il proprio interesse per l'intervento ritenendolo strategico per l'economia del Paese e per
la diversificazione delle fonti di approvvigionamento per la produzione dell'energia elettrica;
i cittadini del Polesine ed in particolare i lavoratori locali di ENEL e dell'indotto chiedono un
impulso forte da parte del Governo per far ripartire l'economia locale provvedendo al rilancio del
sito industriale o per la produzione di energia elettrica o per una riconversione industriale,
scongiurando la risposta finale di ENEL di chiusura della centrale, come avvenuto per altri siti
(centrale termoelettrica di Trino vercellese (Vercelli) e di Porto Marghera (Venezia) e deposito
ILCO di Ravenna);
nell'attesa della decisione finale sulla centrale, il Polesine ha tutte le caratteristiche per diventare o
un polo trainante per la ricerca o un centro di energia rinnovabile, o un centro degli uffici ENEL,
salvaguardando nell'immediato i livelli occupazionali presso il sito,
si chiede di sapere quali provvedimenti urgenti di propria competenza il Ministro in indirizzo
intenda adottare per il rilancio industriale del sito di Porto Tolle e per la salvaguardia,
nell'immediato, dei livelli occupazionali, anche tenendo conto dei dati allarmanti sull'occupazione
riportati dalla stampa che collocano oramai la provincia di Rovigo agli ultimi posti rispetto ad altre
province del Veneto e di tutto il Paese. (4-02700)
Interrogazione a risposta in 8a Commissione permanente
sul progetto di un elettrodotto Terna tra Cordignano (Treviso) e Lienz in Austria
PICCOLI (FI)
- Ai Ministri dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti e dell'ambiente e della
tutela del territorio e del mare - Premesso che:
già nel 2002 la stampa veneta (si veda un articolo pubblicato su "Il corriere delle Alpi" del 19 aprile
2002) aveva dato notizia della prossima realizzazione di un elettrodotto da 380 KV tra Cordignano
55
(Treviso) e Lienz (in Austria), che avrebbe interessato 21 comuni della provincia di Belluno e 4 in
quella di Treviso, per un percorso nel territorio italiano di circa 80 chilometri. Dopo aver avviato
tutte le procedure necessarie il gestore della rete di trasmissione nazionale, la GRTN SpA, che ha
presentato il progetto, ha ottenuto da parte del Governo alcune semplificazioni degli iter
amministrativi per accelerare la realizzazione dell'opera entro il 2006;
l'elettrodotto, ad altissima tensione, rientra nelle tipologia di interventi in materia di infrastrutture ed
insediamenti produttivi strategici previsti dalla legge n. 443 del 2001 (cosiddetta legge obiettivo) la
cui autorizzazione ai lavori spetta allo Stato, previa intesa con la Regione;
il Consiglio regionale del Veneto ha approvato nel 2003 una risoluzione che impegna la Giunta
regionale "a rendere parere negativo su ogni atto relativo alla realizzazione dell'elettrodotto (...) e ad
intraprendere tutte le iniziative necessarie ad impedirne la realizzazione";
la realizzazione dell'opera ha incontrato la ferma opposizione dei Comuni di Mogliano Veneto,
Preganziol, Casale sul Sile, Silea, Roncade, Monastier, San Biagio di Callalta, Ponte di Piave,
Ormelle, Oderzo, Fontanelle, Gaiarine, Godega di Sant'Urbano, Orsago e Cordignano, che
denunciano il non mitigabile degrado ambientale del loro territorio gravato dal tracciato in progetto,
territorio estremamente sensibile e vulnerabile e quindi fortemente intriso di vincoli naturali di tipo
geologico, idraulico e forestale;
anche i Comuni di Cordignano, Sarmede, Fregona, Vittorio Veneto, Farra d'Alpago, Tambre, Puos
d'Alpago, Chies d'Alpago, Pieve d'Alpago, Ponte nelle Alpi, Soverzene, Longarone, Castellavazzo,
Ospitale di Cadore, Perarolo, Pieve di Cadore, Domegge, Lozzo di Cadore, Vigo di Cadore,
Auronzo, Comelico superiore, Danta e S. Nicolò Comelico hanno tempo prima espresso la loro
contrarietà al progetto, a causa delle inaccettabili ripercussioni ambientali e di inquinamento
elettromagnetico che una simile opera comporterebbe, visto che il territorio interessato è quasi
interamente sottoposto a vincolo ambientale e non appare concepita con l'attenzione dovuta al fine
di evitare, sulla base di un principio cautelativo, la creazione di situazioni che determinino
incrementi significativi dei livelli di esposizione per la popolazione. In particolare la zona
dell'Alpago e del Cadore, a vocazione turistica, verrebbe irreparabilmente danneggiata nelle sue
componenti ambientali vanificando e compromettendo anche i programmi di valorizzazione
territoriale oggetto di finanziamento pubblico e di iniziative imprenditoriali di settore;
a parere delle amministrazioni comunali non sono compensabili le pesanti incidenze che tale opera
comporterebbe sugli habitat e sulle specie animali e vegetali censiti ai sensi delle direttive
79/409/CEE e 43/92/CEE all'interno dei siti "Natura 2000" in prossimità dei quali si vorrebbe far
snodare il tracciato della linea elettrica;
56
i medesimi Comuni hanno denunciato altresì un impatto elettromagnetico certamente inaccettabile
cui sarebbero esposte numerose abitazioni e luoghi destinati a permanenza prolungata di persone;
hanno fatto inoltre presente che non sono stati affatto consultati per la localizzazione dell'opera ai
fini di una corretta elaborazione di un progetto così impattante e potenzialmente diretto a
stravolgere gli strumenti urbanistici locali;
è necessario che le reti infrastrutturali (elettriche, stradali, telematiche, eccetera) vengano realizzate
con le migliori tecnologie possibili e con il massimo livello di sostenibilità ambientale, come recita
l'art. 1, comma 1, lettera c), della legge n. 36 del 2001: "assicurare la tutela dell'ambiente e del
paesaggio e promuovere l'innovazione tecnologica e le azioni di risanamento volte a minimizzare
l'intensità e gli effetti dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, secondo le migliori
tecnologie disponibili";
la GRTN SpA è confluita dal 1° novembre 2005, mediante un'operazione di trasferimento di questa
attività, in Terna SpA;
in data 21 febbraio 2011 Terna SpA presentava al Ministero competente un progetto, denominato di
"razionalizzazione e sviluppo della Rete di trasmissione nazionale (RTN) nella media valle del
Piave", volto all'autorizzazione per la costruzione ed esercizio di una serie di interventi sulla rete a
220 kV attinenti alle stazioni elettriche di Polpet e Soverzene e alle direttrici Polpet-Soverzene,
Polpet-Lienz e Polpet-Scorzè, e sulla rete a 132 kV per le direttrici Polpet-Belluno, Polpet-Forno di
Zoldo, Pelos-Gardona-Desedan e la stazione elettrica di Gardona, con l'inserimento di alcuni tratti
di elettrodotto in cavo interrato;
tali opere, riguardando la costruzione di elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto
dell'energia elettrica, sono soggette ad autorizzazione rilasciata, nell'ambito del procedimento unico,
dal Ministero dello sviluppo economico di concerto col Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio e del mare, previa intesa con la Regione Veneto;
l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha classificato i campi elettromagnetici generati
dagli elettrodotti come "possibili cancerogeni" e che l'Organizzazione mondiale della sanità afferma
che per i campi elettromagnetici c'è evidenza sufficiente per invocare il principio di precauzione;
il diritto alla salute è inviolabile e prioritario rispetto alla soddisfazione di qualsiasi altro interesse,
sia esso pubblico o privato, e pertanto un possibile pericolo originato dagli elettrodotti non può
essere genericamente considerato come un rischio socialmente accettabile;
il progetto potrebbe degradare irreparabilmente notevoli parti di territorio in quanto l'impatto
ambientale di un'opera, con tralicci alti anche 60 metri e con percorso sviluppato lungo pendii,
crinali, dorsali, cime e valli, al quale deve corrispondere una striscia di servitù di 200 metri di
57
ampiezza, rappresenterebbe uno sfregio permanente e non mitigabile con possibili incidenze
negative sugli habitat e sulle specie animali e vegetali;
simili opere vanificano e compromettono i programmi di conservazione e valorizzazione
territoriale, e depauperano gli attuali valori edilizi, fondiari ed agroforestali dei terreni
potenzialmente vincolati dalla linea elettrica e dai tralicci, e determinano concreto pregiudizio alle
possibilità di sviluppo economico e quindi della permanenza delle popolazioni a presidio del
territorio (non si dimentichi infatti che si tratta di aree già soggette a fenomeni drammatici di
spopolamento);
il territorio bellunese, grazie anche al fatto di essere inserito con le Dolomiti nella lista Unesco dei
siti patrimonio culturale dell'umanità, deve pretendere ed ottenere che le necessarie reti
infrastrutturali (elettriche, stradali, telematiche, eccetera) vengano realizzate con le migliori
tecnologie possibili e con il massimo livello di sostenibilità ambientale;
secondo il principio di precauzione, enunciato nell'articolo 174 del trattato istitutivo dell'Unione
europea, al fine di garantire la protezione di beni fondamentali come la salute e o l'ambiente, è
necessaria l'adozione di misure di cautela anche in situazione di incertezza scientifica, nelle quali è
ipotizzabile soltanto una situazione di rischio presumibile, anche se non è ancora dimostrata, allo
stato delle attuali conoscenze scientifiche, la sicura o anche solo probabile evoluzione del rischio in
pericolo;
queste iniziative, essendo tali da mutare in maniera incisiva il rapporto con l'ecosistema, rientrano
tra quelle soggette a VIA nazionale, e devono essere sottoposte a valutazione d'incidenza in
considerazione degli impatti sulle finalità di conservazione dei siti classificati di importanza
comunitaria per la protezione dell'habitat naturale e designati come zone di protezione speciale per
la conservazione degli uccelli selvatici;
constatato che:
il Consiglio regionale del Veneto, in data 24 giugno 2003, approvando la risoluzione n. 58
"Elettrodotto Lienz-Cordignano-Venezia: difesa delle competenze regionali in materia di tutela
della salute dei cittadini e salvaguardia dell'ambiente", dà parere negativo alla costruzione
dell'elettrodotto, impegnandosi a sostenere tutte le iniziative promosse in tale direzione oltre ad
opporsi all'imposizione di vincoli e servitù derivanti da nuove linee elettriche ed a rivendicare,
comunque, la sua piena competenza nell'indicare le modalità di realizzazione dell'intervento e la sua
localizzazione secondo rigorosi criteri di tutela della salute dei cittadini e dell'ambiente;
in data 26 maggio 2014 con una nuova risoluzione, approvata all'unanimità il 12 giugno 2014 (n.
72, "Elettrodotti in Valbelluna: rivedere totalmente il progetto partendo dai territori"), il Consiglio
regionale del Veneto in modo trasversale riconosce la necessità di sospendere da subito la procedura
58
di VIA del progetto Terna denominato "Razionalizzazione e sviluppo della Rete di Trasmissione
Nazionale (RTN) nella media valle del Piave", per approntare una revisione totale del progetto, alla
luce delle nuove innovazioni tecnologiche e gestionali oltre che delle variazioni di domanda di
energia e aprire un tavolo di concertazione tra Regione Veneto e Terna per verificare le criticità
della rete elettrica esistente e quella in progetto nel Veneto per arrivare ad una strategia di sviluppo
sostenibile delle infrastrutture elettriche che adotti le migliori tecniche possibili in termini sia di
efficienza energetica che di impatto ambientale;
in merito ai progetti enunciati, in esito all'istanza di valutazione d'impatto ambientale 23 novembre
2011, con procedura integrata per la valutazione di incidenza, numerosi enti, sia pubblici che
privati, presentavano osservazioni critiche allo studio di impatto ambientale di Terna SpA,
evidenziando gravi carenze progettuali, con inaccettabile sottovalutazione dei reali impatti che gli
elettrodotti creerebbero;
il Ministero dello sviluppo economico, in data 8 aprile 2011, ha autorizzato la costruzione di un
elettrodotto in cavo a corrente continua a 380 kV a doppia terna tra Francia-Italia. Progetto che, alle
sue origini, nel 1994, ha riscontrato il giudizio negativo della commissione VIA riguardo alla
compatibilità ambientale del progetto e che, anche per questo motivo, negli anni 2006-2007 ha
deciso di abbandonare l'utilizzo di tralicci in favore dell'interramento in corrente continua nel pieno
rispetto dell'ambiente;
il Ministero dell'ambiente, con il parere n. 900 del 30 marzo 2012 relativo alla VAS del "piano di
sviluppo della rete elettrica di trasmissione nazionale del 2011", elaborato da Terna, ha espresso che
"Terna non ha mai sviluppato la valutazione delle alternative per nessun intervento e a nessun
livello di valutazione" e che "si ritiene necessario analizzare diverse alternative relativamente a
differenti modalità di raggiungimento degli obiettivi individuati all'interno delle analisi del
fabbisogno stimato dal PdS stesso";
lo stesso Ministero, con la richiesta di integrazioni del 7 novembre 2012, evidenzia la carenza e
sommarietà del progetto, sia in riferimento agli strumenti programmatici e pianificatori sia in merito
allo studio del paesaggio, affrontato nello studio di impatto ambientale in maniera molto generica, e
come fosse necessario in sede progettuale approfondire le motivazioni dell'opera e della scelta
tecnica, valutare tracciati progettuali migliorativi (come ad esempio seguire il corridoio
dell'autostrada A27) ed informare il pubblico interessato (di fatto numerosi soggetti, pubblici e
privati) il quale può proporre utili osservazioni;
il Consiglio di Stato, IV Sezione, con la sentenza n. 3205 del 2013 pronunciata sul ricorso promosso
dal Comune di Vigonovo ed altri, in merito alla realizzazione da parte di Terna SpA di un nuovo
elettrodotto in linea aerea a 380 kV tra le stazioni elettriche di Dolo (Venezia) e Camin (Padova),
59
annulla in via definitiva il decreto ministeriale 2 febbraio 2010, n. 3, che dà giudizio positivo di
compatibilità ambientale. Sentenza che oltre ad essere entrata nel merito della valutazione
ambientale ha anche provveduto ad azzerare tutto il procedimento amministrativo di questo progetto
di Terna,
si chiede di sapere se i Ministri in indirizzo non ritengano opportuno, tenuto conto di quanto
occorso con il progetto Cordignano (Treviso) e Lienz, prevedere, per quanto di competenza, una
revisione del progetto "razionalizzazione e sviluppo della Rete di trasmissione nazionale (RTN)
nella media valle del Piave" proposto da Terna. (3-01237)
Interrogazione a risposta scritta:
sulla richiesta di estrazione a largo della costa abruzzese, formulata dalla società "Enel
Longanesi developments”
RAZZI (FI)
- Ai Ministri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Premesso che:
da molti anni la Regione Abruzzo ha scelto di caratterizzarsi come regione "Verde" con ben 3
parchi nazionali e un'area marina protetta, vincolando parti significative del proprio territorio e del
proprio mare;
da notizie di stampa si apprende che, a largo della costa compresa tra Pescara e Alba adriatica per
un'area di circa 75.000 ettari, è stata formulata richiesta di estrazione dalla società "Enel Longanesi
developments";
nell'immediata prospicienza del sito è stata istituita recentemente l'area marina protetta Torre del
Cerrano (2010), ente ritenuto un fiore all'occhiello dalla Regione Abruzzo, che si accinge a divenire
il primo parco marino certificato a livello europeo;
una simile attività estrattiva penalizzerebbe gli sforzi profusi dal Ministero dell'ambiente e della
tutela del territorio e del mare, dalla Regione e dai Comuni di Pineto e di Silvi per garantire lo
sviluppo turistico dell'intera regione;
è dunque necessario un adeguato coordinamento tra il Ministero dell'ambiente e quello dello
sviluppo economico affinché le iniziative del primo dicastero per lo sviluppo sostenibile attraverso i
parchi non siano penalizzate da quelle del secondo Ministero, come l'estrazione di idrocarburi,
oggettivamente incompatibili;
la costa abruzzese è già stata, negli anni passati, "invasa" da varie piattaforme per la trivellazione
che hanno ampiamente deturpato il paesaggio naturale;
60
a giudizio dell'interrogante sarebbe molto più "produttiva" la riconversione di dette piattaforme in
"trabocchi di alto mare" ove svolgere attività turistiche, scientifiche ed ambientali, così come già
proposto dal presidente dell'area marina protetta,
si chiede di sapere:
se i Ministri in indirizzo stiano svolgendo un'adeguata opera di coordinamento onde evitare che
iniziative oggettivamente impattanti vanifichino gli sforzi di tutela e conservazione;
se e quali iniziative stiano programmando per la riconversione delle piattaforme inattive, atte allo
sviluppo di iniziative nel campo turistico-scientifico-ambientale, come già avviene con successo per
la piattaforma "Paguro" a Ravenna, crollata nel 1965, e oggi sede di un'oasi naturalistica;
quali orientamenti intendano esprimere in riferimento a quanto esposto in premessa e,
conseguentemente, quali iniziative vogliano intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze,
per tutelare l'area marina protetta Torre del Cerrano. (4-02714)
Interrogazione a risposta scritta:
sulla gestione dei rifiuti costituiti da scarti di materiale legnoso e sull’incentivazione
dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili
FABBRI (PD)
- Al Ministro dello sviluppo economico - Premesso che:
l'attuale sistema di incentivazione dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili prevede la
possibilità di accesso a tariffe premianti per impianti che utilizzano quale combustibile un materiale
legnoso non costituito da legno vergine, comprendendolo tra le biomasse utilizzabili per la
produzione di energia. In particolare, il decreto ministeriale 6 luglio 2012, recante «Nuovi incentivi
alle fonti rinnovabili», al capo 6 «Impianti ibridi», Parte I «Impianti ibridi alimentati da rifiuti
parzialmente biodegradabili», riporta in tabella 6.A la lista dei rifiuti a valle della raccolta
differenziata per i quali è ammesso il calcolo forfettario dell'energia imputabile alla biomassa;
tra le tipologie di rifiuti ammesse all'incentivo sono compresi alcuni codici CER relativi a scarti di
legno (030101, 030105, 030199, 170201, 191207) che vengono utilizzati anche all'interno del
sistema produttivo di riciclo del legno, ovvero nel comparto del legno-arredo;
il decreto prevede inoltre un forte sostegno incentivante all'utilizzo a fini energetici di alcuni
materiali classificati come sottoprodotto. Tali materiali sono riportati in tabella 1.A «Elenco dei
sottoprodotti/rifiuti utilizzabili negli impianti a biomassa e biogas»; al punto 4 tale tabella riporta i
sottoprodotti provenienti da attività industriali e nello specifico i «sottoprodotti della lavorazione
del legno per la produzione di mobili e relativi componenti». Questa voce permette l'ingresso nelle
61
centrali di combustione a biomasse di materiale legnoso, non giuridicamente rifiuto ma classificato
come "sottoprodotto" ai sensi dell'articolo 184-bis, comma 1, del decreto legislativo n.152 del 2006;
per questo tipo di materiale, infatti, non esistono linee guida o atti normativi di qualsiasi genere che
definiscono le caratteristiche chimico-fisiche del legno affinché possa essere utilizzato per la
produzione di energia elettrica come sottoprodotto. Questo significa che, potenzialmente, qualsiasi
residuo legnoso, anche se costituito da legno trattato, potrebbe essere classificato come
sottoprodotto e quindi bruciato in impianti a biomassa, senza un'effettiva tracciabilità dei flussi e un
adeguato controllo delle emissioni;
la possibilità per determinati impianti di produzione di energia elettrica di ricevere incentivi grazie
all'utilizzo di scarti provenienti dall'industria del legno, sia se classificati come rifiuto che come
sottoprodotto, ha fatto sì che importati flussi di rifiuti legnosi vengano distratti dal circuito delle
raccolte differenziate e vengano impiegati come combustibile in centrali a biomasse per la
produzione di energia, a discapito del loro riciclo nel comparto produttivo del legno, capace invece
di riutilizzare il materiale e rimetterlo nella «tecno sfera» ottenendo un ritorno superiore in termini
ambientali, occupazionali ed economici, e che rappresenta uno dei principali settori del made in
Italy, visto che l'Italia è Paese precursore a livello mondiale del riciclo del legno;
un siffatta di gestione dei flussi di materiale legnoso di scarto è inoltre in evidente contrasto con
quanto previsto dalla direttiva europea sui rifiuti 2008/98/CE, recepita con il decreto legislativo 3
dicembre 2010, n.205, che definisce una precisa gerarchia nella gestione dei rifiuti, dando priorità al
riciclaggio degli stessi rispetto al loro recupero energetico;
la preferibilità del riciclaggio degli scarti legnosi rispetto al loro utilizzo come combustibile per la
produzione di energia elettrica è confermata da uno studio sul LCA (life cycle assessment, analisi
del ciclo di vita), che ha valutato i carichi energetici e ambientali relativi a un processo o un'attività,
effettuato attraverso l'identificazione dell'energia e dei materiali usati e dei rifiuti rilasciati
nell'ambiente durante l'intero ciclo di vita del materiale;
lo studio LCA ha permesso di confrontare le pratiche di gestione del legno post-consumo per la
produzione di pannelli truciolari (attività R3: riciclo e recupero di sostanza organiche non utilizzate
come solventi) e ai fini di produzione energetica (attività R1: utilizzo principale come combustibile
o come altro mezzo per produrre energia). Lo studio ha poi quantificato e confrontato l'impronta di
carbonio, ovvero il contributo dei gas ad effetto serra rilasciati direttamente ed indirettamente dalle
attività coinvolte nei sistemi produttivi. I risultati ottenuti restituiscono un profilo ambientaleclimatico delle due attività indagate molto differente: complessivamente l'attività di riciclo del
legno post-consumo in pannelli truciolari equivale a circa un terzo dell'impronta di carbonio della
combustione con recupero energetico. La quantificazione comprende le attività di trasporto dei
62
materiali, di consumo di materiali ausiliari, di consumi energetici ed idrici, di produzione di rifiuti e
le emissioni dirette in atmosfera di anidride carbonica, dovute alla combustione del materiale
legnoso;
si ritiene quindi necessario una verifica dello stato del mercato degli scarti di legno a seguito
dell'entrata in vigore del sistema incentivante previsto dal decreto ministeriale 6 luglio 2012, anche
alla luce della direttiva europea 2008/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti
rinnovabili, recepita con decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, che prevede che la Commissione
europea abbia il compito di analizzare l'impatto dell'aumento della domanda di biomassa sui settori
che utilizzano biomassa e di proporre, se del caso, misure correttive,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo intenda adottare adeguate misure per ripristinare la corretta gerarchia
nella gestione dei rifiuti costituiti da scarti di materiale legnoso;
quali misure intenda adottare per regolamentare la possibilità di classificare come sottoprodotti gli
scarti di materiale legnoso utilizzato a fini energetici, e il conseguente accesso agli incentivi;
quali misure intenda adottare, anche di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio e del mare, per il contenimento delle emissioni di anidride carbonica derivanti dalla
gestione dei materiali legnosi di scarto, ai fini del raggiungimento degli obiettivi previsti dal dettato
comunitario. (4-02715)
Interrogazione a risposta scritta:
sulla bonifica del sito di interesse nazionale di Broni (Pavia)
CENTINAIO (LNA)
- Al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e
del mare e della salute - Premesso che:
il Sito di interesse nazionale di Broni, in provincia di Pavia, è uno dei 57 siti maggiormente
inquinati del nostro Paese, inserito dall'art. 14 della legge 31 luglio 2002, n. 179, nell'elenco dei siti
cui consentire il concorso pubblico nella realizzazione di interventi di bonifica ai sensi dell'articolo
1, comma 4, della legge 9 dicembre 1998 n. 426;
con il decreto ministeriale 26 novembre 2002 si è provveduto alla perimetrazione del sito di Broni,
inquinato dalla presenza dell'area dismessa della Cementifera italiana Fibronit SpA, che dal 1932 al
1992, anno in cui ne è stata inibita la produzione ai sensi della legge n.257 del 1992 (con una
proroga fino al 1994), ha lavorato l'amianto per la produzione, in cemento-amianto, di tubi, lastre di
copertura e pezzi speciali per camini, colmi, eccetera;
63
nella stessa area la finanziaria Fibronit ha costruito successivamente tubi in fibrocemento c.p.c.
(senza amianto) insediandosi però in locali ed ambienti inquinati da amianto, ceduti
successivamente nel 1998, insieme ai prodotti finiti, ai macchinari e alle rimanenze di magazzino,
alla Ecored SpA, appositamente costituita;
l'area ha un'estensione di circa 13,5 ettari e dista soltanto 600 metri dal centro storico di Broni; negli
anni, è stata raggiunta dall'espansione residenziale ed artigianale del Comune di Broni;
un censimento effettuato dal Comune di Broni rileva una superficie complessiva di circa 150.000
metri quadrati di coperture in amianto, di cui circa 1.000 metri quadrati in edifici pubblici, tra cui
anche scuole;
la presenza di amianto ha creato a Broni un'emergenza sanitaria drammatica con un numero ormai
tragico di morti da malattie asbesto-correlate che hanno colpito non soltanto gli ex lavoratori (circa
3.800 tra uomini e donne) e i loro familiari, direttamente o indirettamente a contatto con la fonte di
inquinamento, ma colpiscono in questi ultimi tempi anche cittadini che hanno soltanto respirato
l'aria di Broni all'epoca del funzionamento dell'impianto;
la situazione è destinata ad aggravarsi in quanto l'esposizione ad amianto comporta l'insorgere nelle
persone esposte, dopo anni, di tali patologie asbesto-correlate che si manifestano sotto forma di
mesotelioma, tumore al polmone, alla laringe, all'ovaio e altro; Broni è l'area con il più alto numero
di decessi per mesotelioma rispetto al numero di abitanti in Italia, patologia che colpisce anche i
soggetti non esposti per motivi professionali;
lo Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da
inquinamento (Sentieri), condotto e finanziato nell'ambito del Programma strategico ambiente e
salute del Ministero della salute, ha condotto un'analisi della mortalità delle popolazioni residenti in
prossimità di 44 dei 57 «siti di interesse nazionale per le bonifiche»;
il progetto Sentieri, iniziato nel 2007, è stato completato nel mese di dicembre 2010, mentre i
risultati sono pubblicati in 2 supplementi della rivista "Epidemiologia & Prevenzione"
rispettivamente nell'autunno del 2010 e del 2011; nel periodo di esame 1995-2002, nell'insieme dei
12 siti nazionali contaminati da amianto, sono stati osservati un totale di 416 casi di tumore maligno
della pleura in eccesso rispetto alle attese;
la bonifica nel sito di Broni riguarda un totale di circa 300.000 metri quadri; dal 1994 al 2000 non è
stata operata alcuna operazione di bonifica, in quanto il progetto di bonifica ambientale, proposto
più volte dalla finanziaria Fibronit all'amministrazione comunale, sembra essere stato sempre
respinto dagli organi di controllo a causa delle gravi carenze tecniche riscontrate;
il Comune di Broni ha attivato i poteri sostitutivi nei confronti dei soggetti obbligati inadempienti e
dal 2002 al 2006 è stato effettuato il piano di caratterizzazione dell'area ex Fibronit e sono stati
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realizzati una serie di interventi di messa in sicurezza, consistenti nello smaltimento dei rifiuti e dei
materiali contenenti amianto giacenti sui piazzali nonché di altri materiali pericolosi; l'area ex
Fibronit ed ex Ecored è passata nel 2009 alla proprietà dell'amministrazione comunale e nel 2010 è
stato presentato ed approvato il progetto della messa in sicurezza dell'intero sito;
ad oggi, sono state poste in essere diverse attività, sia per la messa in sicurezza, attraverso misure
per il contenimento del rischio di diffusione delle fibre d'amianto nell'ambiente, sia per l'avvio del
primo stralcio di bonifica dei capannoni industriali; per la messa in sicurezza e la bonifica Fibronit
sono già stati assegnati finanziamenti statali per 5.422.727 euro e regionali per 1.282.145,80;
da notizia di stampa ("il Sole 24-ore" di mercoledì 24 settembre 2014) sembra che servano 20
milioni di euro per ultimare la bonifica integrale di Broni;
nonostante le continue istanze delle amministrazioni locali che si sono succedute e di tutti i
cittadini, la bonifica non è proseguita per la mancanza di fondi,
si chiede di sapere se il Governo intenda individuare urgentemente e rendere immediatamente
disponibili adeguate risorse economiche che consentano di ultimare la bonifica del sito di interesse
nazionale di Broni. (4-02721)
Risposta del Viceministro per lo sviluppo economico, Claudio De Vincenti, all’interpellanza
urgente sulla normativa europea in materia di energie rinnovabili, presentata da VACCARI
(PD) n. 2-00080.
Signor Presidente, prima di tutto mi scuso con il senatore Vaccari perché rispondiamo con tanto
ritardo alla sua interpellanza. Naturalmente, io risponderò in base alla situazione a oggi che, come
già ricordava il senatore Vaccari, ha segnato un'evoluzione importante rispetto a quella in base alla
quale l'interpellanza fu presentata. Ricordo che la proposta di direttiva ILUC (Indirect land use
change, che riguarda cioè i cambiamenti indiretti dell'uso del suolo) della Commissione europea
interviene nel quadro normativo europeo esistente (in particolare, sulla direttiva in materia di qualità
dei carburanti e sulla direttiva in materia di promozione di energia da fonti rinnovabili) e introduce
misure volte ad incentivare la domanda di biocarburanti sostenibili, con lo scopo di mitigare le
emissioni di gas serra associate al cambio d'uso dei suoli per la loro produzione e di limitare il ruolo
dei biocarburanti derivati da colture agricole nella contabilizzazione dell'obiettivo del 10 per cento
di energie rinnovabili nei trasporti entro il 2020, ricordato dal senatore Vaccari. Sulla proposta di
direttiva si è svolto un negoziato europeo che, alla fine, ha portato ad una proposta presentata dalla
Commissione, che prevedeva l'introduzione di una soglia massima del 5 per cento di utilizzo di
biocarburanti prodotti a partire dai cereali e da altre colture amidacee, zuccherine o oleaginose, per
65
il raggiungimento dell'obiettivo del 10 per cento, con lo scopo di incentivare l'utilizzo di
biocarburanti avanzati, prodotti quindi attraverso materie agricole non in competizione con quelle
alimentari. Sempre nella proposta della Commissione è stato inoltre introdotto, nella metodologia di
calcolo delle emissioni, un valore per tener conto delle emissioni derivanti da un cambio indiretto di
uso del suolo, che era una delle domande poste dal senatore Vaccari nella sua interrogazione. C'è
stato un ampio e lungo dibattito all'interno del Consiglio Energia, che ha coinvolto diverse
Presidenze. Ricordo come, proprio nell'autunno del 2013 - in particolare nel Consiglio del dicembre
2013 - la posizione italiana ha contribuito a impedire l'approvazione di una prima bozza di direttiva
dell'allora Presidenza lituana, che prevedeva obiettivi che noi giudicavamo troppo poco ambiziosi in
termini di biocarburanti di seconda generazione e di contenimento delle emissioni. In
quell'occasione si formò una minoranza di blocco, che sostanzialmente ruotò intorno ad Italia e
Danimarca. Successivamente, durante la Presidenza greca, l'Italia si è fatta promotrice di una
ripresa della discussione. La Presidenza greca a giugno 2014, in Consiglio Energia, ha presentato
una nuova proposta che, pur non discostandosi dagli obiettivi che l'Italia aveva posto, è stata
giudicata, sia dall'Italia che dalla Danimarca, il punto di compromesso più avanzato che al momento
era possibile raggiungere in sede di Consiglio. In questo accordo è stata prevista una limitazione del
7 per cento all'utilizzo di biocarburanti cosiddetti di prima generazione, in competizione cioè con i
prodotti alimentari. Il limite del 7 per cento è stato individuato per tener conto di investimenti che in
diversi Paesi erano già stati fatti in questa filiera di biocarburanti. Si è anche tenuto conto del fatto
che l'obiettivo del 10 per cento al 2020, se fosse stata mantenuta la quota del 5 per cento dei
biocarburanti di prima generazione, sarebbe stato difficilmente raggiungibile. Il secondo punto, più
importante, su iniziativa danese e italiana, ha riguardato l'introduzione di un sotto-obiettivo da
raggiungere al 2020 per i biocarburanti cosiddetti avanzati o di seconda generazione, non prodotti
cioè in competizione con le produzioni alimentari. Questo sotto-obiettivo, per quanto limitato allo
0,5 per cento, è comunque un segnale di sviluppo di questa nuova filiera di biocarburanti che viene
dato. Adesso si avvia il cosiddetto trilogo (Parlamento, Commissione e Consiglio), all'interno del
quale si tratterà di arrivare poi al testo definitivo della direttiva. Dalla mia partecipazione ai
Consigli Energia segnalo che mi sembra onestamente difficile spostare ulteriormente l'asticella
rispetto al punto al quale siamo arrivati in sede di Consiglio sotto Presidenza greca, ma vedremo
naturalmente l'evoluzione del trilogo. Segnalo anche che il nostro Paese gode del vantaggio, rispetto
ad altri, del fatto che alcune imprese hanno già messo a punto tecnologie con biocarburanti avanzati
e con basso impatto (ILUC). Anche dal punto di vista industriale, quindi, è molto interessante per il
nostro Paese lo sviluppo di questa filiera. A tal fine, in sede di conversione in legge del decretolegge 24 giugno 2014, n. 91 (il decreto-legge competitività), sono state introdotte delle disposizioni
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in materia di obbligo di immissione in consumo di biocarburanti ed in particolare è stato disposto
che, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, nella fase di aggiornamento delle
condizioni, dei criteri e delle modalità di attuazione dell'obbligo di immissione in consumo di
biocarburanti, sia stabilita, per gli anni successivi al 2015, la quota minima da raggiungere e la sua
ripartizione tra diverse tipologie di carburanti, compresi quelli avanzati. Stiamo mettendo a punto il
decreto proprio in questi giorni e sarà emanato a breve.
Di seguito il testo dell’interpellanza.
Ai Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico. Premesso che:
la direttiva del Parlamento europeo sulle energie rinnovabili (Renewable energy directive - RED)
2009/28/CE prevede il raggiungimento, entro il 2020, di un target del 10 per cento di energia
rinnovabile nel settore dei trasporti che attualmente gli Stati membri, Italia compresa, stanno
perseguendo quasi esclusivamente attraverso la promozione dei biocarburanti;
l'Italia è un importante produttore e consumatore di biocarburante a livello europeo. Tuttavia, a
fronte di un'elevata capacità produttiva degli impianti installati nel nostro Paese, i livelli di
produzione sono decisamente più bassi a causa dell'importazione di biocarburante già raffinato e/o
di materia prima per la produzione, che si attestano in entrambi i casi intorno al 70 per cento. In
relazione al consumo l'Italia nel 2012 ha registrato un livello di sostituzione di fonti fossili con
rinnovabili nei trasporti del 4,5 per cento e prevede il raggiungimento dell'obiettivo intermedio del 5
per cento entro il 2014;
considerato che:
nel mondo sono ancora 842 milioni le persone che soffrono di fame e malnutrizione ed una delle
minacce più grandi per la lotta alla fame è proprio il rialzo dei prezzi alimentari registrato negli
ultimi anni a cui l'aumento del consumo di biocarburanti a livello mondiale ha contribuito in modo
determinante;
già in fase di discussione della RED, nel 2008, erano presenti nel dibattito i rischi che un aumento
consistente del consumo di biocarburanti di prima generazione, guidato dall'obiettivo del consumo
obbligatorio, poteva rappresentare sia per la sicurezza alimentare, a causa dell'impatto sull'aumento
dei prezzi del cibo, sia per l'ambiente, a causa delle emissioni indirette;
il testo della RED prevede che possano essere adottate misure correttive per evitare tali rischi
demandando alla Commissione europea l'obbligo di presentare ogni due anni una relazione
sull'impatto dell'aumento della domanda di biocarburanti sulla sostenibilità sociale nella Comunità e
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nei paesi terzi, e di analizzare le modifiche indirette della destinazione dei terreni (fattore ILUC Indirect land use change);
a quattro anni dall'entrata in vigore della RED molteplici studi pubblicati da enti di ricerca,
organizzazioni internazionali e organizzazioni della società civile, inclusi quelli realizzati dalla
stessa Commissione europea, hanno documentato gli impatti negativi che la produzione ed il
consumo di biocarburanti esercitano sull'ambiente e sulla sicurezza alimentare a livello globale;
le emissioni indirette provocate dai biocarburanti, ed oggi non conteggiate dalla normativa vigente,
entro il 2020 potrebbero risultare equivalenti all'aver immesso sulle strade europee un numero
aggiuntivo di automobili per una cifra che oscilla tra i 14 e i 29 milioni di unità, secondo una
proiezione dell'Institute for european environmental policy. Queste emissioni indirette sono dovute
alla conversione di una coltivazione alimentare in una coltivazione agroenergetica a cui si unisce la
necessità di mettere in coltivazione una superficie equivalente da qualche altra parte al fine di
mantenere invariata l'offerta alimentare. L'espansione quindi delle superfici coltivate dovuta al
continuo e crescente aumento della domanda di materia prima agricola per produrre biocarburanti
avviene a discapito di foreste ed altri terreni ricchi di carbonio causando, oltre alla perdita di
biodiversità, anche una quantità aggiuntiva di emissioni di gas ad effetto serra;
secondo il Land matrix, un database on line che monitora a livello globale le acquisizioni di terra su
larga scala superiori ai 200 ettari, ad oggi ben 33 milioni di ettari, ovvero una superficie equivalente
all'Italia, sono stati acquisiti nell'ultimo decennio (con un'allarmante accelerazione del fenomeno
negli ultimi anni) in Africa, Asia e America latina da investitori stranieri il cui obiettivo, in gran
parte dei casi, è la produzione di biocarburanti. Una mappatura di ActionAid che ha riguardato 98
progetti di investimento per la produzione agroenergetica nell'Africa sub-sahariana ha documentato
che, tra il 2009 ed il 2013, sono stati 6 milioni gli ettari di terreno acquisiti da imprese europee e
sottratti quindi ai bisogni alimentari delle comunità locali. Nel solo 2008, secondo una stima di
Oxfam, la terra coltivata a biocarburanti per il fabbisogno energetico europeo avrebbe potuto
sfamare 127 milioni di persone, ovvero ridurre del 15 per cento il numero di persone affamate nel
mondo;
la politica europea sui biocarburanti sta contribuendo all'aumento dei prezzi alimentari. Secondo le
stime dell'Institute for european environmental policy, gli oli vegetali, i cereali, lo zucchero e le
oleaginose vedranno entro il 2020 il loro prezzo aumentare rispettivamente del 26 per cento, 22 per
cento, 21 per cento e 20 per cento: aumento che non si verificherebbe in assenza di domanda
agroenergetica. Il rapporto recentemente pubblicato dall'High level panel of experts del Comitato
sulla sicurezza alimentare riporta diversi studi e modelli che confermano la correlazione tra la
produzione di biocarburanti e l'aumento dei prezzi alimentari. L'incidenza dei biocarburanti sulla
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volatilità dei prezzi è stata anche riconosciuta da ben 10 organizzazioni internazionali, tra cui la
FAO e la Banca mondiale, che nel 2011 hanno raccomandato ai Governi del G20 l'eliminazione di
mandati, sussidi e tariffe;
la politica europea sui biocarburanti risulta anche estremamente costosa per le casse degli Stati
membri e per i contribuenti europei in quanto secondo uno studio dell'International institute for
sustainable development, nel 2011 il supporto pubblico è costato agli Stati membri circa 6 miliardi
di euro;
a tutti questi problemi di sostenibilità dei biocarburanti di prima generazione, si deve aggiungere
anche la considerazione che è ancora del tutto marginale il contributo che potrebbe venire dai
cosiddetti biocarburanti avanzati, ovvero quei biocarburanti derivanti da feedstock che non
competono direttamente con il cibo o con gli input necessari alla produzione alimentare (terra e
acqua). Molti studi confermano infatti che da qui al 2020 non sarà possibile aumentare i volumi di
produzione di questi biocarburanti che ad oggi sono estremamente limitati o ancora quasi del tutto
nulli su scala commerciale;
considerato altresì che:
la Commissione europea il 17 ottobre 2012 ha presentato una proposta di direttiva, la COM(2012)
(595) final, volta a modificare la normativa europea sui biocarburanti disciplinata dalle direttive
attualmente vigenti RED 2009/28/CE e FQD 2009/30/CE;
la proposta di direttiva deriva dal mandato legislativo contenuto già nella legislazione vigente,
secondo cui la CE ha la responsabilità di analizzare i cambiamenti indiretti di destinazione d'uso dei
terreni provocati dalla produzione di biocarburanti con conseguente aumento delle emissioni di
carbonio (ovvero il fattore ILUC) e, se opportuno, di proporre misure correttive;
la proposta di direttiva in risposta a questo mandato contenuto nella RED, e prevedendo delle
misure di salvaguardia per gli investimenti in corso, propone quindi delle misure correttive i cui
obiettivi principali sono: limitare il contributo di biocarburanti convenzionali (ovvero quelli ricavati
a partire dall'utilizzo di colture alimentari) nel raggiungimento dell'obiettivo sulle energie
rinnovabili fissato dalla direttiva RED; migliorare laperformance ambientale dei biocarburanti
predisponendo l'innalzamento della soglia minima di riduzione dei gas a effetto serra associati alla
loro produzione per tutti i nuovi impianti che saranno operativi a partire dal 1° luglio 2014; c)
introdurre l'obbligo in capo agli Stati membri e ai fornitori di carburante di comunicare per tutti i
biocarburanti che verranno immessi in consumo, le emissioni associate al cambiamento indiretto
della destinazione dei terreni (fattore ILUC); incoraggiare l'espansione del mercato dei
biocarburanti avanzati;
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il Parlamento europeo, nella seduta plenaria dell'11 settembre 2013, si è espresso in prima lettura
sulla proposta di direttiva della Commissione. Se da un lato ha riconosciuto gli enormi problemi
sociali e ambientali che i biocarburanti di prima generazione provocano, dall'altro ha proposto delle
misure correttive non ancora sufficientemente efficaci per risolvere gli impatti negativi dei
biocarburanti europei sulla sicurezza alimentare e sull'ambiente. Il Parlamento ha, infatti,
confermato la necessità di limitare il consumo di biocarburanti di prima generazione, ma ha alzato il
tetto massimo di consumo al 6 per cento estendendone però positivamente l'applicazione sia a
biocarburanti prodotti da materie prime alimentari sia a biocarburanti prodotti da coltivazioni
energetiche dedicate. Rispetto alle emissioni indirette, la contabilizzazione del fattore ILUC è stata
introdotta in una sola direttiva (la FQD) solo a partire dal 2020;
nelle ultime settimane oltre 22.000 cittadini italiani hanno firmato una petizione promossa da
Oxfam Italia e ActionAid indirizzata al Ministro in indirizzo, nel quadro della più ampia campagna
europea "No food for fuel", nella quale chiedono ai nostri rappresentanti governativi di adottare
misure efficaci per evitare che i biocarburanti consumati in Europa contribuiscano al peggioramento
della sicurezza alimentare,
si chiede di sapere:
quale sia la posizione del Governo in merito alla proposta di direttiva CE che modifica le attuali
direttive RED e FQD;
quali siano i tempi previsti per il raggiungimento di un consenso interno al Consiglio europeo;
se intenda sostenere l'introduzione di un tetto massimo del 5 per cento al consumo di biocarburanti
derivanti da colture alimentari e da colture energetiche dedicate che esercitano entrambe una forte
pressione sull'uso di terra e acqua con rilevanti ripercussioni negative sui prezzi alimentari e sulla
disponibilità di terra per soddisfare la domanda alimentare;
se intenda sostenere, in entrambe le direttive l'introduzione, tra i criteri di sostenibilità, del calcolo
delle emissioni indirette (fattore ILUC), la cui mancata contabilizzazione non dà altrimenti reale
evidenza di tutte le emissioni di anidride carbonica associate ai biocarburanti;
se intenda avanzare, in occasione di questo processo di revisione della normativa europea, la
possibilità di rivedere il target del 10 per cento di energie rinnovabili nel settore dei trasporti, che ad
oggi viene perseguito solo attraverso la promozione dei biocarburanti che pongono seri problemi di
sostenibilità ambientale, sociale ed economica;
quali misure di propria competenza intenda intraprendere per orientare la politica europea sui
biocarburanti verso una maggiore sostenibilità alla luce anche dell'obbligo derivante dal Trattato di
Lisbona sulla coerenza delle politiche per lo sviluppo, garantendo quindi che la politica europea sui
biocarburanti non mini il diritto al cibo e la sicurezza alimentare a livello globale.
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Interrogazione a risposta orale
sull’autotrasporto
CIOFFI (M5S)
- Ai Ministri delle infrastrutture e dei trasporti e dello sviluppo economico - Premesso che:
nel nostro Paese l'autotrasporto per conto terzi è stato regolato attraverso il decreto-legge n. 112 del
2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, al fine di stabilire dei costi minimi
di esercizio per la tutela della sicurezza stradale;
con una pronuncia del 4 settembre 2014 (Cause riunite C-184/13, C-187/13, C-194/13, C-195/13,
C-208/13) la Corte di giustizia dell'Unione europea ha censurato la disciplina di cui all'articolo 83bis del citato decreto-legge in materia di costi minimi di esercizio per l'autotrasporto per conto terzi
facendo seguito alle domande pregiudiziali formulate dal TAR del Lazio in ordine alla compatibilità
comunitaria della norma;
nei punti da 51 a 57 della pronuncia la Corte entra nel merito della disciplina e, pur rilevando che
"la tutela della sicurezza stradale possa costituire un obiettivo legittimo", ritiene che la
determinazione dei costi minimi d'esercizio non sia "idonea né direttamente né indirettamente a
garantirne il conseguimento" per due importanti presupposti: la normativa si limita a prendere in
considerazione, in maniera generica, la tutela della sicurezza stradale, senza stabilire alcun nesso tra
i costi minimi d'esercizio e il rafforzamento della sicurezza stradale; la normativa non raggiunge
l'obiettivo addotto in modo coerente e sistematico andando "al di là del necessario", in quanto non
permette "al vettore di provare che esso, nonostante offra prezzi inferiori alle tariffe minime
stabilite, si conformi pienamente alle disposizioni vigenti in materia di sicurezza" ed "esistono
moltissime norme, comprese quelle del diritto dell'Unione, riguardanti specificamente la sicurezza
stradale, che costituiscono misure più efficaci e meno restrittive, come le norme dell'Unione in
materia di durata massima settimanale del lavoro, pause, riposi, lavoro notturno e controllo tecnico
degli autoveicoli. La stretta osservanza di tali norme può garantire effettivamente il livello di
sicurezza stradale adeguato";
la Corte conclude rilevando che "la determinazione dei costi minimi d'esercizio non può essere
giustificata da un obiettivo legittimo",
si chiede di sapere se e con quale indirizzo il Governo intenda intervenire al fine di evitare il ricorso
a sanzioni per violazione del principio di concorrenza da parte dell'Unione europea. (3-01234)
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