Attività Parlamentare Raccolta delle interrogazioni presentate alla Camera e al Senato e al Parlamento europeo n. 31/2014 2014 INDICE CAMERA ............................................................................................................................................ 4 Interrogazione a risposta orale sul monitoraggio delle emissioni in atmosfera di alcune centrali biogas nella regione Marche e sulla sospendere del versamento dei contributi relativi alla produzione di energia elettrica da parte del GSE a quelle centrali in cui sono stati rilevati valori di emissioni di sostanze inquinanti ............................................................... 4 Interrogazione a risposta in Commissione sul progetto presentato dalla Gas Natural per un impianto di rigassificazione del metano liquido (GNL) a Zaule, nel porto di Trieste ............. 6 Interrogazione a risposta scritta sull’arenamento di alcuni capodogli a Vasto (Chieti) e sulle tecniche di prospezione per la ricerche di idrocarburi nell'Adriatico ...................................... 8 Risoluzione in Commissione sul rilancio dell'uso del pagamento elettronico .......................... 10 Interrogazione a risposta in Commissione sulla tassazione dei prodotti energetici nella navigazione delle acque interne .................................................................................................. 14 Interrogazione a risposta scritta sui requisiti tecnici dei sistemi di accumulo connessi in rete, anche in riferimento al GSE ........................................................................................................ 16 Risposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Gian Luca Galletti, all’interrogazione a risposta scritta sul progetto relativo al rifacimento dell'invaso sul torrente Sessera ........................................................................................................................................... 17 Risposta del Viceministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, all’interrogazione a risposta scritta sugli accordi di libero scambio tra USA e EU Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) ....................................................................................................................... 22 Interrogazione a risposta scritta sul metanodotto rete adriatica e sulla costruzione della centrale di compressione della Snam a Sulmona ....................................................................... 25 Risposta del Viceministro per l’economia e le finanze Luigi Casero all’interrogazione a risposta immediata sull’esenzione delle accise del combustibile utilizzato per la navigazione di trasporto di passeggeri nelle acque interne ................................................................................ 26 Interrogazione a risposta in Commissione sulla proposta di operare una selezione dei progetti volta a escludere la verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale (VIA) .......................................................................................................................... 30 2 Interrogazione a risposta in Commissione sui permessi di ricerca di idrocarburi richieste dalla Global Petroleum Limited, in prossimità delle coste pugliesi .................................................. 33 Interrogazione a risposta in Commissione sulla procedura di valutazione di impatto ambientale del progetto “Variante Piano di Gestione terra e rocce da scavo - Raffineria di Taranto, progetto Tempa Rossa” dell’ENI ................................................................................ 37 Interrogazione a risposta scritta sulla pubblicazione del valore dei cosiddetti certificati di immissione al consumo dei biocarburanti .................................................................................. 40 SENATO ............................................................................................................................................ 41 Mozione sull'obiettivo del Governo di incrementare l'estrazione di idrocarburi dal mare e dal territorio italiani ..................................................................................................................... 41 Interrogazione a risposta scritta sulla tutela dei piccoli gestori di stazioni di servizio, sulla revisione dell'attuale regime di imposizione fiscale e sulla concertazione di un livellamento dei prezzi del carburante ............................................................................................................. 50 Interrogazione a risposta scritta sulla realizzazione del gasdotto Trans Adriatic pipeline (TAP) ............................................................................................................................... 53 Interrogazione a risposta scritta sul mancato investimento da parte di ENEL sulla riconversione a carbone della centrale di Porto Tolle (Rovigo) ............................................... 54 Interrogazione a risposta in 8a Commissione permanente sul progetto di un elettrodotto Terna tra Cordignano (Treviso) e Lienz in Austria ............................................................................. 55 Interrogazione a risposta scritta sulla richiesta di estrazione a largo della costa abruzzese, formulata dalla società "Enel Longanesi developments” ......................................................... 60 Interrogazione a risposta scritta sulla gestione dei rifiuti costituiti da scarti di materiale legnoso e sull’incentivazione dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili .................. 61 Interrogazione a risposta scritta sulla bonifica del sito di interesse nazionale di Broni (Pavia) ............................................................................................................................................ 63 Risposta del Viceministro per lo sviluppo economico, Claudio De Vincenti, all’interpellanza urgente sulla normativa europea in materia di energie rinnovabili .......................................... 65 Interrogazione a risposta orale sull’autotrasporto ........................................................................ 71 3 CAMERA Interrogazione a risposta orale: sul monitoraggio delle emissioni in atmosfera di alcune centrali biogas nella regione Marche e sulla sospendere del versamento dei contributi relativi alla produzione di energia elettrica da parte del GSE a quelle centrali in cui sono stati rilevati valori di emissioni di sostanze inquinanti TERZONI e altri (M5S) — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che: nella regione Marche è iniziata da alcune settimane l'attività di monitoraggio delle emissioni in atmosfera di alcune centrali biogas da parte dell'ARPAM; in diverse centrali sottoposte a questo tipo di analisi sono stati registrati dei valori che superano quelli di soglia previsti per legge; si tratta in particolare dei valori relativi alla concentrazione di COT (carbonio organico totale) e di NOx (ossidi di azoto) che compongono la parte fine ed ultrafine delle polveri emesse dai cicli di combustione; proprio per le loro caratteristiche granulometriche rappresentano la componente più dannosa per la salute. Una delle principali espressioni di tossicità conseguente all'esposizione ripetuta per via inalatoria a polveri ultrafini è riferita al tratto respiratorio; gli effetti sull'apparato respiratorio dipendono, oltre alla composizione chimica delle polveri, dai tempi di esposizione. Esposizione a breve termine provocano disturbi e infiammazioni all'apparato respiratorio (bronchiti, mal di gola, asma), infiammazioni alle mucose (allergie, congiuntiviti), disturbi al sistema vascolare, mentre esposizione a lungo termine possono portare a malattie polmonari ostruttive croniche, riduzione della funzione polmonare, manifestazioni cancerose (tumore al polmone); l'agenzia internazionale per la ricerca sul Cancro (IARC) ha riclassificato alcune sostanze della lista di cancerogeni noti e fra queste ha ufficializzato l'entrata delle polveri sottili (PM) e in generale dell'inquinamento atmosferico inserendoli nella categoria 1, e quindi certamente cancerogeni; un caso eclatante di quello che sta avvenendo nella regione Marche è rappresentato dalla centrale biogas sita in località Pezze del comune di Matetica, un comune inserito in fascia «A» ossia un 4 comune dove la soglia massima di concentrazione delle polveri sottili in atmosfera è superata per più di 30 giorni l'anno; l'ARPAM, su richiesta della provincia di Macerata il 5 agosto 2014 ha effettuato un sopralluogo nell'impianto ed ha anche prelevato i necessari campioni dei fumi allo scarico del combustore; il 13 agosto l'ARPAM ha comunicato i seguenti risultati analitici all'Amministrazione comunale di Matelica, agli uffici regionali e provinciali competenti, all'ASUR ed alla autorità giudiziaria: COT (carbonio organico totale): 2359,6 mg/Nm3 (valore massimo consentito 150 mg/Nm3); NOx (ossidi di azoto): 561,3 mg/ Nm3 (valore massimo consentito 500 mg/Nm3); l'ARPAM con lo stesso documento di comunicazione dei dati sopra citati, ha rilevato che l'impianto, in deroga ai requisiti progettuali ed autorizzativi, non risultava dotato del previsto post combustore. Pur trascurando il problema del noto mancato rispetto della procedura VIA (oggetto di una indagine giudiziaria), riferendosi soltanto alla marcia dell'impianto si può affermare che: a) gli effluenti inquinanti in fase gassosa dell'impianto non stanno rispettando i limiti di legge; b) l'impianto evidenzia la mancanza di una apparecchiatura (il post combustore) di notevole importanza prevista in fase di progetto autorizzato. Questi sono i fatti che non lasciano spazio ad interpretazioni. È un caso tipico nell'ambito della tecnica degli impianti; trattasi di due violazioni di legge importanti ed entrambi di notevole impatto sulla salute; è del 17 settembre la notizia secondo la quale il procuratore capo Giovanni Giorgio avrebbe inviato una diffida all'Arpam per sapere se gli impianti a biogas sono realmente un pericolo per l'ambiente–: se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra esposto; se e come il Ministro dello sviluppo economico intenda assumere iniziative per quanto di sua competenza per sospendere il versamento dei contributi relativi alla produzione di energia elettrica da parte del GSE a quelle centrali in cui sono stati rilevati valori di emissioni di sostanze inquinanti fuori norma evidentemente non dichiarate in fase di autorizzazione all'inizio attività e in particolare alla centrale situata nel comune di Matelica nella quale è stata rilevata l'assenza del post combustore che rappresentava elemento utile per l'ottenimento dell'autorizzazione stessa; se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga opportuno intervenire per quanto di sua competenza anche mediante iniziative di carattere normativo che prevedano effettivamente l'applicazione del principio di precauzione come previsto dalle normative europee e nazionali per evitare che possa essere autorizzata l'attività di centrali per la produzione di energia elettrica alimentate da biogas e biomasse che non rispettano i limiti di legge relativi alle emissioni in atmosfera; 5 quali iniziative intenda assumere il Governo al fine di individuare parametri di riferimento idonei a rendere più chiara la responsabilità nei casi di grave inquinamento dell'aria, in modo da assicurare la piena applicazione del principio «chi inquina paga». (3-01038) Interrogazione a risposta in Commissione: sul progetto presentato dalla Gas Natural per un impianto di rigassificazione del metano liquido (GNL) a Zaule, nel porto di Trieste PRODANI (M5S) — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che: il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del Governo Monti, Corrado Clini, nel mese di aprile 2013 ha firmato il decreto che sospende per sei mesi l'efficacia della valutazione di impatto ambientale (VIA, rilasciata il 17 luglio 2009) sul progetto presentato dalla Gas Natural per un impianto di rigassificazione del metano liquido (GNL) a Zaule, nel porto di Trieste; il provvedimento ha accolto il parere contrario della Commissione Via del dicastero che ha recepito i pareri negativi del comitato portuale di Trieste e dalla regione Friuli-Venezia Giulia, prendendo atto delle mutate situazioni del traffico marittimo triestino e delle prospettive di potenziamento previste dal piano regolatore portuale. Il rigassificatore, se realizzato con le modalità progettate dalla Gas Natural, non sarebbe compatibile con il traffico portuale attuale e con gli sviluppi futuri; dal 15 ottobre 2013 il rigassificatore di Zaule non figura più nella lista dei potenziali progetti di interesse comunitario nell'ambito della proposta di regolamento sugli orientamenti per le reti transeuropee di infrastrutture energetiche, essendo presente solo il riferimento a una infrastruttura non meglio localizzata nell'Alto Adriatico; questa circostanza è confermata dalla consultazione del sito della GIE (Gas Infrastructure Europe), dove risulta che rimpianto progettato dalla società Gas Natural per la località Zaule (TS), viene ora indicato da realizzare genericamente nel Nord Adriatico, con inizio della produzione previsto nel 2019. Nel frattempo il 23 luglio 2014 è stata presentata una istanza di valutazione di impatto ambientale per un nuovo progetto relativo a un terminale di stoccaggio, rigassificazione e distribuzione del GNL nel golfo di Trieste, a Monfalcone; il 18 ottobre 2013 è scaduta la sospensione di sei mesi della valutazione di impianto ambientale per Zaule, senza che si sia verificata nessuna delle due condizioni indicate dal decreto per un esito positivo della valutazione: la multinazionale spagnola Gas Natural non ha presentato proposte di localizzazioni alternative e l'Autorità portuale di Trieste non ha rivisto al ribasso le stime di traffico 6 marittimo che, già a fine 2012, hanno portato a sostenere l'incompatibilità dell'infrastruttura con le prospettive di sviluppo dello scalo; lo stesso giorno, come riportato da un articolo pubblicato dal quotidiano Il Piccolo di Trieste e intitolato «Rigassificatore, il Ministero revoca il permesso ambientale per Zaule»; si riferisce che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avrebbe inviato una missiva alla società Gas Natural concedendo 10 giorni di tempo per presentare le proprie osservazioni al fine di evitare la revoca delle valutazioni di impatto ambientale; è passato quasi un anno dalla missiva summenzionata ma ad oggi il Ministero competente, a quanto consta all'interrogante, non ha ancora emanato il decreto di revoca della valutazione di impatto ambientale, confermando un silenzio assordate sul destino di questa infrastruttura la cui realizzazione ufficialmente non è stata ancora cancellata; l'interrogante aveva ricevuto rassicurazioni da rappresentanti del Governo in risposta ad alcune interrogazioni presentate in materia, come nel caso della n. 4-00914 a cui ha replicato in forma scritta il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico Claudio De Vincenti; secondo la risposta pubblicata martedì 3 giugno 2014 nell'allegato B della seduta n. 238 dell'Assemblea della Camera: «Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di sua competenza, ha precisato che lo schema di decreto di revoca in questione, già firmato dal Ministro pro tempore, Andrea Orlando, era stato inoltrato per la firma del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, in data 13 febbraio 2014, ma, essendo nel frattempo mutata la compagine governativa, lo stesso decreto è stato restituito dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ai fini dell'acquisizione della firma dei Ministri ora in carica. Lo schema di decreto è attualmente al vaglio del nuovo Gabinetto, in quanto il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare appena insediato sta procedendo ai controlli e agli approfondimenti procedurali e amministrativi di rito sulla questione prima della firma –: se non si ritenga opportuno emanare immediatamente il decreto di revoca della valutazione di impatto ambientale relativa al progetto summenzionato, nel rispetto delle disposizioni normative vigenti; se s'intenda chiarire quale località del Nord Adriatico, così come riportata nei documenti comunitari, sarà interessata dal progetto di realizzazione di un rigassificatore. (5-03600) 7 Interrogazione a risposta scritta: sull’arenamento di alcuni capodogli a Vasto (Chieti) e sulle tecniche di prospezione per la ricerche di idrocarburi nell'Adriatico BENEDETTI e altri (M5S) — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che: il 12 settembre a Vasto (Chieti) si sono spiaggiati 7 capodogli, di cui 3 morti e 4 salvati grazie ai cittadini e alla marineria vastese; la presenza di gas nel sangue dei mammiferi fa supporre che la causa siano le ricerche di idrocarburi nell'Adriatico, la cui tecnica di ispezione air-gun provoca esplosioni che danneggiano i mammiferi; con atto n. 4-03492 dell'11 febbraio 2014 si interrogavano i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e degli affari esteri relativamente alle scansioni avviate dal Governo croato in Adriatico, elencando gli studi che dimostrano come le tecniche di prospezione danneggino gli «abitanti del mare» e chiedendo garanzie a difesa del patrimonio marino; si prevede che, per valorizzare i non trascurabili giacimenti di idrocarburi presenti sul territorio nazionale, vengano sbloccati investimenti, ipotizzabili in 15 miliardi di euro, vengano semplificate le procedure di rilascio dei titoli minerari, e tolto agli enti locali il potere di veto sulle trivellazioni; si tratta di un giro di affari che attirerà gli interessi economici di un considerevole numero di imprese già operanti e di tutte quelle nuove compagnie che faranno presto a essere qualificate come «petrolifere»; le nuove procedure di semplificazione che si prospettano potrebbero comportare il diffondersi rapidamente di trivelle in mare che dall'Alto Adriatico (dove ne sono già previste 19) proseguirebbero lungo tutta la dorsale, fino alla Sicilia. In tutto potrebbero essere sbloccate 44 istanze per permesso di ricerca e 9 istanze di coltivazione depositate dalle compagnie, che si andrebbero ad aggiungere alle 105 piattaforme e ai 366 pozzi attivi oggi nell’offshore italiano. Solo nell'Adriatico centro meridionale sono oltre 12.290 i chilometri quadrati interessati da permessi di ricerca, istanze di coltivazione o per nuove attività di esplorazione di petrolio che si aggiungono alle 8 piattaforme già attive e da cui nel 2013 sono state estratte 422.758 tonnellate di greggio; il rischio per il nostro Paese è il moltiplicarsi incontrollato di nuove piattaforme e nuovi giacimenti, che preoccupa esperti e associazioni ambientaliste. Gli operatori economici, dai proprietari di alberghi ai viticoltori, sono inoltre preoccupati dell'impatto economico negativo su produzioni di qualità e turismo che garantiscono il sostentamento per centinaia di migliaia di lavoratori; 8 negli ultimi due anni sono scesi in piazza diocesi, enti locali, regioni, associazioni di categoria dei commercianti ed esercenti, per difendere settori economici che saranno gravemente impattati con conseguenti perdite di posti di lavoro, sacrificati sull'economia del passato che, peraltro, è a bassissima intensità di lavoro; è dimostrato infatti che le trivellazioni, per ogni milione di euro investito, portano 0,5-0,8 posti di lavoro, mentre l'agricoltura, il commercio e il turismo hanno moltiplicatori economici 10 volte maggiori; a dimostrazione di ciò si porta l'esempio della Basilicata che dal 1998 è stata trasformata in un distretto petrolifero e a 16 anni da questa scelta gli indicatori economici sono tra i peggiori d'Italia, con un'emigrazione costante di migliaia di persone che evidentemente non traggono beneficio dai pozzi di petrolio e dalle centrali di raffinazione che invece scoraggiano la nascita del turismo e danneggiano le produzioni agricole di qualità; il recente rapporto annuale della World Meteorological Organization indica che il 2013 è stato l'anno più inquinato degli ultimi trent'anni facendo registrare un nuovo record nella presenza di anidride carbonica e altri gas effetto serra nell'atmosfera terrestre; si starebbe inoltre verificando un'acidificazione senza precedenti degli oceani e quindi della loro capacità di assorbire la stessa CO2; il volume di anidride carbonica, il principale gas a effetto serra emesso dalle attività umane, presente nell'atmosfera terrestre, nel 2013 è stato pari a 396 parti per milione (Ppm), 2,9 Ppm in più rispetto al 2012. Si tratta del più grande aumento dal 1984, ovvero da quando la situazione mondiale è monitorata in maniera affidabile. Il secondo gas serra più importante, il metano (meno diffuso, ma molto più potente) ha continuato a crescere ad un ritmo simile a quello degli ultimi cinque anni, raggiungendo una media mondiale di 1.824 parti per miliardo (Ppb). L'altro principale gas dannoso, il protossido di azoto, ha raggiunto 325,9 Ppb, ma la sua crescita è rimasta stabile e nella media negli ultimi dieci anni; il segretario generale del WMO, Michel Jarraud, a proposito del rapporto annuale Greenhouse Gas, ha dichiarato che «senza alcun dubbio il nostro clima sta cambiando, sta diventando sempre più estremo e la causa sono le attività umane, come la combustione di carbone fossile. Le emissioni di CO2 del passato, quelle di oggi e del futuro si accumuleranno e avranno un impatto globale sia sul surriscaldamento che sull'acidificazione degli oceani. Le leggi della fisica non sono negoziabili, sta scadendo il tempo –: se alla luce degli studi scientifici, degli obiettivi del «Piano 20-20-20» approvato nel marzo 2007 dai Governi europei e della recente denuncia del WMO, non ritengano in totale controtendenza, anacronistica e antieconomica la direzione intrapresa dal Governo verso lo sfruttamento delle energie fossili, e quali misure intendano adottare a difesa dell'intero ecosistema marino. (4-06086) 9 Risoluzione in Commissione: sul rilancio dell'uso del pagamento elettronico CAPEZZONE e altri (FI) Le Commissioni VI e X, premesso che: il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, ha ridotto, all'articolo 12, il limite di utilizzo del contante e dei titoli al portatore, con decorrenza dal 6 dicembre 2011 ad un importo inferiore ad euro 1.000; ha altresì previsto, all'articolo 12, comma 9, che l'Associazione bancaria italiana, le associazioni dei prestatori di servizi di pagamento, la società Poste italiane spa, il Consorzio bancomat, le imprese che gestiscono circuiti di pagamento e le associazioni delle imprese maggiormente significative a livello nazionale dovessero definire entro il 1o giugno 2012, ed applicare entro i tre mesi successivi, le regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, tenuto conto della necessità di assicurare trasparenza e chiarezza dei costi, nonché di promuovere l'efficienza economica nel rispetto delle regole di concorrenza; non essendosi pervenuto, secondo le modalità e nei termini previsti dal citato articolo 12, comma 9, del decreto-legge n. 201, all'elaborazione delle suddette regole condivise, ai sensi dell'articolo 12, comma 10, del medesimo decreto-legge n. 201, la loro definizione è stata demandata a un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, sentite la Banca d'Italia e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato; il comma 4 dell'articolo 15 del decreto-legge n. 179 del 2012, ha stabilito che, a decorrere dal 1o gennaio 2014, i soggetti che effettuano l'attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, fossero tenuti ad accettare anche pagamenti effettuati attraverso carte di debito; il successivo comma 5 del medesimo articolo 15 ha stabilito che, con uno o più decreti del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, venissero disciplinati gli eventuali importi minimi, le modalità e i termini, anche in relazione ai soggetti interessati, per l'attuazione della disposizione previste dal citato comma 4: con i medesimi decreti poteva essere disposta l'estensione degli obblighi a ulteriori strumenti di pagamento elettronici anche con tecnologie mobili; successivamente, al fine di consentire alla platea degli interessati di adeguarsi alle nuove disposizioni normative, è intervenuto l'articolo 9, comma 15-bis, del decreto-legge n. 150 del 2013 (cosiddetto decreto «Milleproroghe»), con il quale è stato prorogato al 30 giugno 2014 il termine di entrata in vigore dell'obbligo di accettazione dei pagamenti mediante carte di debito; ai sensi dell'articolo 15, comma 5, del decreto-legge n. 179 del 2013 è stato emanato il decreto del 10 Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, che, all'articolo 2, comma 2, stabiliva che, in sede di prima applicazione e fino al 30 giugno 2014, l'obbligo di accettare pagamenti effettuati attraverso carte di debito si applicasse a tutti i pagamenti di importo superiore a trenta euro e limitatamente ai pagamenti effettuati a favore degli esercenti il cui fatturato dell'anno precedente a quello nel corso del quale è effettuato il pagamento fosse superiore a duecentomila euro; tale disposizione, per effetto della proroga introdotta dal citato decreto-legge «Milleproroghe», è stata tuttavia vanificata; successivamente è stato adottato il decreto 14 febbraio 2014 del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, recante il regolamento sulle commissioni applicate alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento: tale provvedimento si limita ad enunciare alcuni principi di carattere generale, dettando regole solamente in materia di trasparenza e di pubblicità; in particolare, l'articolo 4 del decreto ministeriale stabilisce una maggiore pubblicità delle commissioni d'interscambio imponendo ai gestori dei circuiti «di rendere noti e aggiornati in maniera chiara, completa, trasparente attraverso il proprio sito internet le eventuali commissioni d'interscambio applicate alle operazioni di pagamento», l'articolo 5 prescrive «la confrontabilità delle commissioni» per gli esercenti obbligati dal 30 giugno di avere una apparecchio POS (Point of Sale) in negozi, aziende e studi, mentre l'articolo 6 stabilisce una revisione periodica almeno annuale delle commissioni, correlate al volume e al valore delle operazioni; a pochi mesi dall'entrata in vigore dell'obbligo di dotarsi del POS il meccanismo stenta a decollare e, contestualmente, l'applicazione delle previste disposizioni normative sta creando notevoli disagi a commercianti, artigiani e liberi professionisti, in quanto i costi di installazione e gestione delle apparecchiature incidono in maniera significativa sul fatturato e rischiano di essere, in questa congiuntura economica, proibitivi per molti piccoli e medi imprenditori, come denunciato anche dalle associazioni di categoria: in particolare, il provvedimento del Governo avrebbe dovuto incentivare l'utilizzo della moneta elettronica sia dal punto di vista dei consumatori sia da quello delle imprese, evitando che uno strumento introdotto per la condivisibile lotta all'evasione si trasformi in un balzello aggiuntivo per artigiani, commercianti e i liberi professionisti; non è infatti in discussione il diritto del consumatore di pagare come meglio crede i propri acquisti, ma il fatto che sia la legge ad imporre agli imprenditori un costo aggiuntivo insostenibile, determinando anche ripercussioni negative nel rapporto fiduciario tra venditore e acquirente; in tale contesto va inoltre ricordato che i costi per l'installazione dei POS presentano una componente fissa e una variabile: i costi fissi coprono la disponibilità dell'apparecchiatura POS e dipendono dalle diverse funzionalità che il terminale può offrire e dal tipo di tecnologia utilizzata per il collegamento; i costi variabili sono, invece, legati al numero e all'ammontare delle transazioni 11 effettuate dalla clientela e dipendono dal tipo di circuito utilizzato; spesso le due componenti di costo sono fra loro collegate: a costi fissi più alti possono essere associati costi variabili più bassi (e viceversa); nello scorso mese di luglio, presso il Ministero dello sviluppo economico si sono tenute le prime due riunioni di uno specifico tavolo sul tema della diffusione delle transazioni con carte di pagamento: a questi incontri hanno preso parte i rappresentanti dell'ABI, dell'Aiip (Associazione italiana istituti di pagamento e di moneta elettronica), del Consorzio Pagobancomat, dei gestori dei circuiti internazionali Visa e MasterCard e di alcuni operatori di mercato dei pagamenti elettronici; nelle prossime settimane, il tavolo proseguirà con la convocazione delle organizzazioni delle imprese e dei professionisti; gli interventi normativi di questi ultimi anni si inquadrano nella dichiarata intenzione del legislatore di modernizzare il sistema di pagamenti del nostro Paese ed avvicinarlo così agli standard europei, agevolando ed incrementando la diffusione e l'utilizzo della moneta elettronica in funzione di una sensibile riduzione dei costi legati alla gestione del contante da parte delle imprese, di un più efficace contrasto all'evasione fiscale, al riciclaggio e alla corruzione, garantendo una maggiore tracciabilità dei pagamenti; di una semplificazione della contabilità di banche, imprese e pubblica amministrazione, senza considerare la riduzione dei costi sociali legati a furti, scippi e rapine; l'esigenza di promuovere in Italia l'uso di questi sistemi di pagamento è confermata dall'evidenza che il sistema italiano dei pagamenti si caratterizza per una maggiore incidenza delle transazioni regolate attraverso il contante, ben oltre P80 per cento del controvalore totale, rispetto agli altri principali Paesi europei, dove non si supera il 60 per cento; a livello europeo, l'Unione europea ha approvato, ad oggi, la direttiva sui sistemi di pagamento del 2007 (2007/64/CE), anche nota come PSD – Payment services directive, che definisce un quadro giuridico comunitario per i servizi di pagamento elettronici e quella sulla moneta elettronica del 2009 (2009/110/CE), concernente l'avvio, l'esercizio e la vigilanza prudenziale dell'attività degli istituti di moneta elettronica; la direttiva PSD è stata recepita nell'ordinamento nazionale con il decreto legislativo n. 11 del 2010, la seconda direttiva con il decreto legislativo n. 45 del 2012: entrambe le direttive non prendono in considerazione gli aspetti di policy legati agli obiettivi di diffusione degli strumenti di pagamento elettronico, limitandosi agli aspetti formali legati alla armonizzazione finanziaria della disciplina dei relativi mercati di riferimento, lasciando ampie possibilità di deroga ai singoli Stati membri; il quadro normativo comunitario mantiene margini confusi e criticità tali da aver indotto la Commissione europea ad elaborare e a pubblicare il 24 luglio 2013 un pacchetto di proposte (COM (2013)547 def.) per facilitare l'uso dei pagamenti via Internet, che aggiorna le disposizioni delle citate direttive sui sistemi di pagamento (2007/64/CE) e sulla moneta elettronica (2009/110/CE); il 3 aprile 2014 il Parlamento europeo ha approvato in 12 prima lettura una proposta di regolamento che prevede un tetto sulle commissioni interbancarie con carte di credito e di debito (interchange fee) dello 0,2 per cento della transazione per le carte di debito e dello 0,3 per cento della transazione per le carte di credito; per i primi 22 mesi il tale tetto alle commissioni sarà in vigore solo per le transazioni internazionali, successivamente, entro due anni dalla data di pubblicazione del provvedimento, entrerà in vigore anche per quelle domestiche; secondo la relazione allegata alla proposta della Commissione europea, il calo dell’interchange fee dovrebbe ridurre i costi a carico dei commercianti di circa sei miliardi di euro all'anno e rilanciare l'uso del pagamento elettronico; attualmente, la commissione pagata dalla banca del commerciante alla banca del consumatore, può essere addirittura pari all'1,5 per cento del totale della transazione; si calcola che la media europea sia dello 0,9 per cento; la maggiore diffusione degli strumenti di moneta elettronica rappresenta inoltre un elemento imprescindibile per lo sviluppo del commercio elettronico e dei servizi online, il quale a sua volta può costituire un notevole elemento di crescita e di modernizzazione del Paese, in primo luogo sotto il profilo economico ed occupazionali, ma anche sotto quello sociale; appare necessario colmare in Italia il ritardo tecnologico e infrastrutturale che attualmente penalizza i consumatori e le imprese italiane rispetto all'accesso alla banda larga, costituendo un freno allo sviluppo e agli investimenti produttivi nel settore; in tale contesto si inseriscono le iniziative con la quale la Commissione europea ha indicato una serie di azioni concrete volte a raddoppiare entro il 2015 la quota di e-commerce delle vendite al dettaglio, nonché la percentuale del PIL europeo complessivo prodotto dall'economia online, impegnano il Governo: a proseguire celermente nelle convocazione e nella tenuta dei tavoli tecnici presso il Ministero dello sviluppo economico, al fine di promuovere accordi fra sistema bancario e le associazioni imprenditoriali, volti all'abbattimento dei costi di gestione dei POS, prevedendo anche forme di defiscalizzazione degli oneri connessi all'installazione ed alla gestione dei dispositivi sotto forma di credito d'imposta; a prevedere l'innalzamento dell'importo minimo oltre il quale si applica l'obbligo di accettare pagamenti elettronici (50 euro) o l'esclusione temporanea dal provvedimento dei settori di attività a basso margine di redditività, individuati attraverso apposito tavolo cui partecipino il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'economia e delle finanze e le parti sociali; ad assumere iniziative volte a incrementare la trasparenza delle diverse proposte commerciali delle banche, anche attraverso la pubblicizzazione dei valori della commissioni interbancarie della diverse banche e sviluppando un indice sintetico di costo che consenta agli operatori una facile comparazione delle diverse offerte; a dare attuazione, nell'ambito della riforma del sistema fiscale, al principio di delega stabilito dall'articolo 9, comma 1, lettera f), della legge n. 23 del 2014, con 13 particolare attenzione alle forme incentivanti l'utilizzo della moneta elettronica; a verificare lo stato della diffusione dei POS presso le pubbliche amministrazioni; a provvedere a tenere costantemente e tempestivamente informate le commissioni parlamentari competenti sugli sviluppi dei tavoli di lavoro presso il Ministero dello sviluppo economico sull'andamento del monitoraggio degli effetti del decreto sul mercato, sia in termini di volumi sia di prezzi; a definire e attuare ogni utile iniziativa per sostenere e diffondere le tecnologie dell'informazione e della comunicazione, allo scopo di sfruttarne al meglio il potenziale di sviluppo, superando il cosiddetto digital divide e ponendo le imprese e i cittadini nelle condizioni di utilizzare appieno e in condizioni di parità sull'intero territorio nazionale tutte le possibilità, non solo economiche, ma anche sociali, informative e culturali, offerte da Internet; ad accompagnare e sostenere le imprese, in particolare le piccole e medie imprese, in quel processo di crescita dimensionale e di modernizzazione produttiva, tecnologica e organizzativa, che costituisce una condizione importante per consentire loro di operare e competere efficacemente sui mercati online; a sostenere in particolare lo sviluppo dell’e-commerce, in una prospettiva di innovazione, sostegno alla crescita economica e la competitività, superando i ritardi che ancora caratterizzano, anche sotto questo aspetto, il tessuto economico nazionale; a rafforzare i sistemi di contrasto delle frodi telematiche nel settore dell’e-commerce, assicurando ai consumatori un più elevato livello di sicurezza, con specifica attenzione ai profili di trasparenza e chiarezza delle informazioni commerciali, alla garanzia dei prodotti venduti e dei servizi offerti. (7-00465) Interrogazione a risposta in Commissione: sulla tassazione dei prodotti energetici nella navigazione delle acque interne BUSIN (LN) — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che: la materia di tassazione dei prodotti energetici nella navigazione delle acque interne è stata, in un primo tempo, oggetto di disciplina da parte della direttiva CEE n. 92/81/CEE del Consiglio del 19 ottobre 1992, relativa all'armonizzazione delle strutture delle accise sugli olii minerali, con cui il legislatore comunitario, per favorire i commerci e i traffici in area comunitaria, ha adottato una serie di vantaggi armonizzati per i gas e gli olii minerali utilizzati come combustibile per la navigazione a fini commerciali di trasporto di merci e passeggeri in tutte le acque comunitarie; 14 in un secondo momento, il legislatore comunitario è intervenuto ancora con la direttiva n. 2003/96 che, pur abrogando la precedente normativa della direttiva n. 81 del 1992, ha mantenuto il principio di un regime fiscale agevolato, stabilendo, all'articolo 14, comma 1, lettera c), che gli Stati membri esentano dalla tassazione «i prodotti energetici forniti per essere utilizzati come carburanti per la navigazione nelle acque comunitarie (compresa la pesca), diversa dalla navigazione delle imbarcazioni private da diporto», escludendo dalla definizione di imbarcazioni private da diporto le imbarcazioni usate per scopi commerciali di trasporto di passeggeri o merci; l'articolo 15, comma 1, della stessa direttiva recita, ugualmente alla precedente, che gli «Stati membri possono applicare, sotto controllo fiscale, esenzioni o riduzioni totali o parziali del livello di tassazione», specificando, alla lettera f), il regime di applicabilità agevolata «ai prodotti energetici forniti per essere utilizzati come carburanti per la navigazione sulle vie navigabili interne (compresa la pesca), diversa dalla navigazione delle imbarcazioni private da diporto»; da suddette legislazioni si evince quindi che le unità navali commerciali (non da diporto, destinate invece ad esclusivo uso privato) destinate al trasporto sia di merci che di passeggeri, che navigano in acque comunitarie, devono essere sottoposte al regime di esenzione e che possono beneficiare delle esenzioni previste anche le stesse unità navali ad uso commerciale, destinate quindi sia al trasporto merci che al trasporto passeggeri, che navigano in acque interne; nell'ambito dell'esercizio del suo potere regolamentare, il legislatore nazionale, ha regolato nel dettaglio la materia attraverso il decreto legislativo del 26 ottobre 1995, n. 504, «Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative», dove, nel punto 3 della Tabella A non soltanto si esclude esplicitamente il trasporto passeggeri, quando invece questo è ricompreso dalla direttiva del 2003, ma fa anche esclusivo riferimento alle «acque marine comunitarie», mentre la direttiva 2003/96/CE, all'articolo 14, lettera c), cita le «acque comunitarie», comprensive, quindi, delle acque interne, tanto che tutti gli altri Stati membri, secondo quanto stabilito dalla stessa direttiva, prevedono l'esenzione delle accise sul trasporto commerciale passeggeri in acque interne, escludendolo sempre dal regime di fiscalità ordinaria; quindi, al contrario degli altri Stati membri, l'interpretazione nazionale, approfittando dell'imprecisione del quadro normativo nazionale rispetto alla regolamentazione comunitaria, si è orientata in senso restrittivo, escludendo i natanti che praticano il trasporto commerciale di passeggeri nelle acque interne dal favor previsto dalla normativa comunitaria per l'esenzione dalle accise, non ricomprendendo le acque interne nelle acque comunitarie e, approfittando della confusione fatta dal legislatore nazionale che esclude esplicitamente il trasporto dei passeggeri, evidentemente confuso con la navigazione da diporto ad uso privato; di questa erronea interpretazione delle norma adottata da parte della Agenzia delle dogane, molte 15 attività commerciali nazionali di trasporto passeggeri nelle acque interne, già vessate dalla crisi economica – esemplare è la situazione della regione del Veneto – ne subiscono le conseguenze, scontando uno svantaggio pesantissimo in termini di concorrenzialità rispetto ad altre compagnie di Stati membri che, svolgendo la loro attività nel nostro Paese, possono invece offrire prezzi più competitivi e profitti più alti in quanto inclusi nel regime di esclusione dal pagamento delle accise nei loro Stati di appartenenza fiscale, comportando, inoltre, anche una perdita di gettito fiscale del nostro Paese –: quali iniziative il Ministro, in base alle proprie competenze, intenda adottare al fine di ricomprendere nel regime della esenzione delle accise anche le unità di trasporto commerciale di passeggeri impiegate nella navigazione fluviomarittima, lagunare e interna. (5-03619) Interrogazione a risposta scritta: sui requisiti tecnici dei sistemi di accumulo connessi in rete, anche in riferimento al GSE REALACCI e BRAGA (PD) — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che: con la risposta all'atto 5-02986 presentato dai deputati Braga e Realacci il Sottosegretario di Stato al Ministero dello sviluppo economico, onorevole Simona Vicari, in merito alla condivisa necessità di normare e integrare in rete sistemi di accumulo in esistenti impianti che accedono a tariffe incentivanti, rispondendo così «[...] al fine specifico e condivisibile di garantire la correttezza della gestione del sistema di sostegno, in modo che l'incentivo, a carico dei consumatori elettrici sia effettivamente destinato alla sola energia già ammessa all'incentivo medesimo, esigenza che verrebbe a essere pregiudicata da un inserimento di sistemi di accumulo secondo regole e sistemi non codificati»; a quanto sopraddetto si aggiungeva: «il Governo considera una priorità per gli impianti a fonte rinnovabile non programmabile la realizzazione di configurazioni che consentano di migliorare la loro integrazione con il sistema elettrico e con le ordinarie regole di mercato, vista la particolare capacità di penetrazione dimostrata sul mercato nazionale. Al fine di perseguire questo obiettivo, il Ministero dello sviluppo economico, nei limiti consentiti dalle prerogative di indipendenza del regolatore, ha sensibilizzato gli Uffici dell'Autorità circa la necessità di dare piena attuazione alle previsioni di cui al citato decreto ministeriale 5 luglio 2012, allo scopo di consentire l'ordinato sviluppo del settore e delle relative tecnologie. Ci si attende quindi che, anche nelle more del completamento da parte del CEI (Comitato Elettrico Italiano) della definizione dei requisiti tecnici dei sistemi di accumulo, entro l'estate questa disciplina sull'inserimento di sistemi di accumulo in impianti connessi alla rete sia definita e siano, anche, dettate le disposizioni essenziali 16 per regolare la prestazione di servizi di rete. Parimenti, dopo l'emanazione della predetta delibera, il MiSE vigilerà affinché il GSE si attivi sollecitamente per la sua attuazione, adottando i conseguenti provvedimenti di dettaglio e le regole applicative necessarie per consentire l'ordinato sviluppo del settore e delle relative tecnologie, nel rispetto delle esigenze di corretta gestione degli incentivi»; è importante ricordare che il citato limite dell'estate di quest'anno è ampiamente superato –: se il Ministro dello sviluppo economico intenda sollecitare per quanto di competenza e acquisire al più presto la delibera di disciplina da parte del CEI – Comitato elettrico nazionale – che determina per legge i requisiti tecnici dei sistemi di accumulo connessi in rete affinché, per tramite del GSE, si dia piena attuazione alle previsione del decreto ministeriale 5 luglio 2012. (4-06099) Risposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Gian Luca Galletti, all’interrogazione a risposta scritta sul progetto relativo al rifacimento dell'invaso sul torrente Sessera, presentata da BUSTO e altri (M5S) (4-04578) Le osservazioni ed i quesiti posti dagli interroganti erano stati oggetto di una precedente interrogazione parlamentare (n. 4-03410 sempre a firma dell'onorevole Busto) sul medesimo progetto «invaso sul torrente Sessera in sostituzione dell'esistente, per il superamento delle crisi idriche ricorrenti, il miglioramento dell'efficienza idrica degli invasi esistenti sui torrenti Ravasanella ed 0stola e la valorizzazione ambientale del comprensorio» presentato dal consorzio di bonifica della baraggia biellese e vercellese in corso di procedura di VIA presso il Ministero dell'ambiente della tutela del territorio e del mare. Con particolare riferimento ai contenuti delle osservazioni, delle diffide e della sentenza del tribunale di Vercelli, presentate da parte dell'associazione «custodiamo la Valsessera» nel corso dell'istruttoria di valutazione impatto ambientale in opposizione alla realizzazione del progetto, va posto in evidenza che esse sono state compiutamente considerate negli atti istruttori da parte della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA-VAS che ha espresso da ultimo il parere n. 1524 del 13 giugno 2014. Quest'ultimo ha integrato i precedenti pareri già espressi (n. 1031 del 7 settembre 2012, n. 1297 del 19 luglio 2013, n. 1331 del 6 settembre 2013, n. 1442 del 14 febbraio 2014) che tenevano conto delle note e delle diffide trasmesse dall'associazione «custodiamo la Valsessera» come è possibile riscontrare dalla lettura dei medesimi atti. Sono state analizzate e controdedotte puntualmente tutte le ulteriori osservazioni formulate in opposizione al progetto anche quando sono pervenute oltre la scadenza dei termini previsti dalla legge (60 giorni dalla data degli avvisi al pubblico). Sono stati effettuati ulteriori approfondimenti istruttori e si è così pervenuti all'emanazione dei citati pareri integrativi n. 1442 del 14 febbraio 2014 e n. 1524 17 del 13 giugno 2014. La commissione valutazione di impatto ambientale-valutazione ambientale strategica, ha naturalmente esaminato gli aspetti ambientali senza esprimere alcuna valutazione sui costi e sulla copertura finanziaria dell'opera, non rientrando nelle proprie specifiche competenze. Nel corso dell'istruttoria di valutazione di impatto ambientale è stato valutato ed analizzato anche l'impatto sulla componente idrica e sull'ecosistema fluviale; peraltro, come noto, esistono specifici strumenti di tutela delle acque (piano di gestione del distretto idrografico del fiume Po, piano regionale di tutela delle acque) sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. La coerenza del progetto con tali strumenti di pianificazione e programmazione settoriale sovraordinati è ugualmente stata verificata dalla Commissione (in particolare tali aspetti sono richiamati negli ultimi pareri citati n. 1442 del 17 febbraio 2014 e n. 1524 del 13 giugno 2014) nonché approfondita nel parere reso dalla regione Piemonte, autorità competente per gli aspetti di tutela delle acque, anche in relazione al deflusso minimo vitale. È stata inoltre effettuata apposita valutazione di incidenza, prescritta dalla direttiva Habitat 92/43/CE, in merito alle aree sensibili, agli habitat ed alle specie di interesse comunitario interferiti dall'opera, a seguito della quale sono state formulate specifiche prescrizioni per la mitigazione delle interferenze al fine di assicurare la tutela delle specie di interesse prioritario; sono state inoltre prescritte misure di monitoraggio degli effetti dell'opera in base alle quali poter attuare ulteriori misure correttive atte a limitate eventuali impatti non prevedibili. Circa la tutela degli habitat forestali che saranno interferiti dalla realizzazione dell'invaso, il Ministero per i beni e le attività culturali ha inoltre reso in data 19 ottobre 2012, il proprio parere favorevole condizionato al rispetto di puntuali prescrizioni circa la limitazione della capacità dell'invaso a 7 mmc, in luogo dei 12 mmc previsti dal progetto, per limitare l'impatto dell'opera sulle aree boschive. Pertanto la possibilità di utilizzare la massima capacità dell'invaso è subordinata a specifica autorizzazione da parte del Ministero per i beni e le attività culturali e, in presenza di eventuali modifiche progettuali, ad una nuova procedura di verifica di assoggettabilità da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. Oltre al vincolo progettuale imposto per la tutela delle aree forestali, sono state imposte misure di compensazione che prevedono 200 ettari di superficie forestale da ripristinare, tra cui faggete e altri habitat forestali prioritari, di cui almeno 150 nel bacino del torrente Sessera. Nel ricordato parere con prescrizioni espresso dalla regione Piemonte, è stata verificata altresì la coerenza del progetto con gli atti di pianificazione territoriale e paesistica di competenza regionale. La commissione ed i competenti servizi tecnici della regione Piemonte hanno valutato altresì il potenziale innesco di fenomeni di dissesto idrogeologico conseguenti la realizzazione dell'invaso. È stata a tal proposito valutata la compatibilità tra l'equilibrio idrogeologico del territorio e gli effetti conseguenti la realizzazione delle opere. Si evidenzia altresì, come peraltro risulta dal primo parere 18 della commissione adottato nel 2012, che le opere eventualmente interferenti con aree interessate da fenomeni di esondazione e/o di dissesto morfologico sono necessariamente soggette a successiva verifica di compatibilità idraulica ai sensi delle norme tecniche di attuazione del piano di assetto idrogeologico del fiume Po. Infine in relazione agli «approfondimenti atti a verificare che sia garantita la disponibilità della risorsa idropotabile alle popolazioni interessate, definendone gli aspetti quantitativi», premesso che già nel ricordato parere della commissione del 2012 erano contenute specifiche prescrizioni ad ulteriore garanzia della priorità dell'uso idropotabile, nell'ultimo parere della commissione del 13 giugno 2014, sono stati espressamente evidenziati questi specifici aspetti, unitamente ad altri, fornendo esaustivi elementi di approfondimento volti a garantire la priorità dell'utilizzo idropotabile rispetto agli usi irrigui ed energetici, coinvolgendo peraltro anche l'autorità d'ambito e il consorzio di bonifica per l'assunzione di opportuni impegni in tal senso. Da quanto riportato ritengo si possa evincere come l'istruttoria sia stata condotta col consueto rigore. Di seguito il testo dell’interrogazione. Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che: in data 31 dicembre 2010 il Consorzio di bonifica della Baraggia Biellese e Vercellese ha presentato un progetto definitivo denominato: «Rifacimento dell'invaso sul torrente Sessera in sostituzione dell'esistente, per il superamento delle crisi idriche ricorrenti, il miglioramento dell'efficienza idrica degli invasi esistenti sui torrenti Ravasanella ed Ostola e la valorizzazione ambientale del comprensorio»; è in corso una procedura di valutazione di impatto ambientale statale per l'espressione del giudizio di compatibilità ambientale e contestuale valutazione di incidenza; il progetto ha destato sin da subito la preoccupazione di gran parte delle amministrazioni comunali e delle popolazioni coinvolte, in particolar modo l'associazione che si è denominata «Custodiamo la Valsessera»; l'Associazione «Custodiamo la Valsessera» ha presentato in corso di procedura richiesta per l'istituzione della commissione di inchiesta pubblica, non essendo l'invaso proposto puntualmente previsto nella pianificazione regionale e nazionale; le modifiche delle norme d'area del PTA o i progetti di fattibilità dell'opera non sono inoltre mai stati sottoposti al parere delle comunità locali (a tale richiesta il Ministero ha posto un diniego); l'Associazione «Custodiamo la Valsessera» ha presentato in corso di procedura due articolate e copiose osservazioni di merito di cui sia il proponente che la commissione tecnica per la valutazione dell'impatto ambientale non hanno tenuto minimamente conto; successivamente, ha inoltrato al Ministero dell'ambiente e della tutela del 19 territorio e del mare alcune formali diffide facendo ulteriormente presente i vincoli propri del SIC, del PPR Piemonte, del PFA Valsessera e l'assenza della puntuale previsione dell'opera nel PTA della regione Piemonte; l'istruttoria tecnica della commissione ministeriale per la valutazione di impatto ambientale è iniziata in data 3 maggio 2011. Un primo parere, positivo con prescrizioni, è stato espresso dalla commissione ministeriale con atto n. 1031 del 7 settembre 2012; in data 19 luglio 2013, la Commissione ministeriale per la valutazione di impatto ambientale ha emesso il parere n. 1297 che integra il precedente; un nuovo parere n. 1331 del 6 settembre 2013 modifica ed integra il quadro prescrittivo del parere n. 1031; allo stato attuale è in istruttoria una ulteriore revisione del parere da parte della commissione ministeriale per la valutazione di impatto ambientale; a parere degli interroganti l'inutilità dell'opera è dimostrata da diversi fattori: il rapporto costi benefici dell'opera ne dimostra l'inutilità poiché, a fronte di un costo di 322.350.000,00 euro ne deriverebbero benefici irrilevanti sia perché le attuali disponibilità idriche sono ampiamente sufficienti, sia perché a livello regionale il consumo dell'acqua a fini irrigui, oltre il 70 per cento delle disponibilità, produce solamente il 2 per cento del prodotto lordo, per di più nelle attività agricole meno redditizie; la realizzazione di un nuovo invaso, maggiore dell'attuale presente, produrrebbe un impatto insostenibile sull'ecosistema del torrente Sessera attraverso una modifica del deflusso dell'acqua sia a monte sia a valle dell'invaso. Il rilascio del previsto deflusso minimo non sarebbe sufficiente a mantenere le condizioni vitali del torrente e, inoltre, manterrebbe un flusso idrico costante durante l'anno, stravolgendo irreversibilmente l’habitat del torrente, caratterizzato da una distribuzione annuale delle portate con andamento bimodale, in cui si riscontrano due massimi (uno primaverile ed uno autunnale) e due minimi (invernale ed estivo) rendendolo inadatto alla sopravvivenza delle comunità biotiche; gli impatti sulla componente idrica, dovendo lavorare anche nell'alveo del torrente Sessera e sulle sue sponde, creando lo sbarramento dell'invaso, sarebbero elevati anche durante la fase di realizzazione dell'opera; gli impatti apportati dalle opere in progetto in fase di esercizio riguarderanno in particolare l'area dell'invaso e sarebbero molto elevati ai danni degli habitat forestali sommersi. In particolare, si avrebbe la perdita degli habitat di importanza comunitaria 9110 – Faggete Acidofile e 9130 – Faggete Eutrofiche, nonché dell’habitat prioritario 91E0 – Boschi Alluvionali di Ontano Nero, Ontano Bianco, quest'ultimo presente lungo i torrenti montani ad acque ossigenate o, talvolta, bassi versanti freschi, quali quelli che verrebbero sacrificati dall'invaso; l'opera inoltre non è compatibile con le previsioni del piano territoriale regionale, piano urbanistico territoriale con specifica considerazione dei valori paesistici ed ambientali e del piano territoriale provinciale che ha anche ruolo di strumento per la tutela paesistica e ambientale, in accordo con le previsioni del piano paesistico regionale; i siti interessati dal progetto ricadono nelle 20 aree denominate «Boschi e foreste (articolo 2.2)», «Corsi d'acqua e relative fasce di rispetto fluviali (articolo 2.3)», «Sistema delle dorsali alpine (articolo 2.5)» e «Aree di individuazione dei biotopi e siti di interesse comunitario (S.I.C.) (articolo 2.9)»; nell'articolo 2.2 si precisa che «Il P.T.P., seguendo le direttive in materia dettate dal P.T.R., tutela e valorizza il sistema forestale in relazione alla gestione della risorsa, alla prevenzione del dissesto e al consolidamento della rete ecologica Provinciale». l'articolo 2.3 specifica che «Al fine di favorire il riformarsi della vegetazione spontanea e la costituzione di corridoi ecologici, nonché di consentire il regolare svolgimento delle attività di vigilanza, manutenzione, irrigazione e difesa del suolo, ad una distanza inferiore a 10 metri dagli alvei incisi dei corsi d'acqua sono vietate nuove edificazioni»; infine, l'articolo 2.9. definisce come «Biotopi le porzioni di territorio che costituiscono un'entità ecologica di rilevante interesse per la conservazione della natura, indipendentemente dal fatto che tali aree siano protette dalla legislazione vigente». Inoltre, «Negli ambiti delimitati come Biotopi dalla data di inserimento del Biotopo nel piano regionale delle aree protette, sono consentiti esclusivamente gli interventi che non compromettano il raggiungimento degli obiettivi di tutela e che non ne alterino le caratteristiche naturalistico – ambientali e le tendenze evolutive naturali»; l'invaso potrebbe inoltre causare l'innesco di possibili dissesti. Nelle valli del bacino del Sessera, si constata infatti che gli eventi franosi presentano prevalentemente carattere superficiale, coinvolgenti in genere le coperture detritico-colluviali e le coltri di alterazione del substrato roccioso; lungo il bacino del Dolca, invece, la diffusione dei lembi quaternari, ed in particolare dei depositi glaciali in destra idrografica, risulta decisamente maggiore sia in termini di estensione areale che, subordinatamente, in termini di sviluppo verticale. In tali ambiti si registra una frequenza dissestiva sensibilmente elevata, che meriterebbe un più accurato livello di approfondimento; le criticità sarebbero legate principalmente alla variazione del livello dell'acqua del lago che comporterà anche notevoli fluttuazioni, in base a periodi di abbondanti precipitazioni o a periodi siccitosi. Tali variazioni comporteranno il susseguirsi di sommersioni e asciutta delle scarpate del lago artificiale che potrà favorire il dissesto; da un recente articolo della Stampa risulterebbe che 25 milioni di euro sarebbero già stati elargiti dallo Stato per inaugurare i cantieri dell'opera; il vice ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Olivero nella seduta pomeridiana n. 229 del 10 aprile 2014 in risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 2-00146 ha annunciato che finora «... tale opera non ha trovato una copertura finanziaria, né potrà ottenerla nella programmazione degli interventi infrastrutturali irrigui al momento previsti nella programmazione 2014-2020 del Fondo per lo sviluppo rurale, stante l'elevata dimensione finanziaria. Infatti, il programma operativo nazionale, nell'intesa raggiunta in Conferenza Stato-Regioni il 16 gennaio scorso, è stato pianificato 21 per un totale di 300 milioni di euro». Il viceministro ha aggiunto, inoltre, che «... presso la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS, istituita ai sensi dell'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 90, (i cui componenti sono nominati con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare), sono in corso approfondimenti atti a verificare che sia garantita la disponibilità della risorsa di acqua potabile alle popolazioni interessate, definendone gli aspetti quantitativi» –: se il Ministro sia a conoscenza dei dati sopra forniti e, in considerazione dell'apertura di una nuova istruttoria annunciata dal rappresentante del Governo così come indicato in premessa, non ritenga necessario verificare tutti i rilievi critici presentati dalle amministrazioni locali e dalle associazioni territoriali in particolare «Custodiamo Valsessera», che da tempo si battono contro la costruzione dell'opera; se il Ministro ritenga ancora opportuno finanziare un'opera che presenta seri dubbi sotto diversi e comprovati aspetti di natura ambientale, civico ed economico in un momento del tutto particolare della finanza pubblica che non può davvero permettersi spese ingiustificate. (4-04578) Risposta del Viceministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, all’interrogazione a risposta scritta sugli accordi di libero scambio tra USA e EU Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), presentata da CIPRINI e altri (M5S). L'atto in esame, concerne il rilancio dell'imprenditoria in Italia nel contesto del negoziato per l'accordo di libero scambio tra l'Unione europea e Stati Uniti (Partenariato transatlantico su Commercio ed investimenti TTIP), al riguardo si segnala quanto segue. Le linee strategiche di politica commerciale dell'Unione europea sono state definite sia nel documento «The EU Trade Agenda: Opportunities Ahead», sia nelle conclusioni del Consiglio europeo del febbraio 2013, secondo cui il commercio internazionale costituisce uno degli strumenti più efficaci per favorire la crescita economica, la piena occupazione e il superamento dell'attuale fase di recessione nel vecchio continente, grazie alle dinamiche tipiche ingenerate dal libero commercio: maggiore mobilità di capitali, uomini, risorse e idee, stimolo alla competitività e all'innovazione tecnologica, espansione degli utenti a fruizione dei prodotti nazionali. L'obiettivo posto dall'Esecutivo comunitario è pertanto quello di espandere – nelle more del rilancio del processo multilaterale in ambito Wto – la rete di accordi bilaterali di libero scambio tra l'Unione europea e i Paesi terzi: strategia alla quale è ascrivibile anche l'avvio dei negoziati con gli Stati Uniti. L'obiettivo che si pone il Ttip è l'istituzione tra le due sponde dell'Atlantico di una partnership ad ampio respiro dall'elevata portata strategica – sulla base di un accordo ambizioso e onnicomprensivo – suscettibile sia di istituire una 22 solida cornice giuridica e regolamentare per le relazioni economico-commerciali transatlantiche, sia di fungere da impulso per il rilancio del negoziato commerciale multilaterale in ambito Wto, indicando nuovi standard di riferimento. L'assenso al mandato negoziale Ttip per la Commissione – accordato in via definitiva in occasione del Consiglio affari esteri formato commercio del 14 giugno 2013 – è stato effettuato nel pieno rispetto della pertinente normativa europea in materia commerciale e, per quanto concerne la formazione della posizione negoziale italiana, in uno spirito di trasparenza e condivisione delle informazioni disponibili con le altre amministrazioni dello Stato coinvolte e con le associazioni di categoria interessate, nel rispetto di necessarie esigenze di confidenzialità, imposte dalle istituzioni europee. La posizione italiana nei negoziati attualmente in corso è quella di tutelare al massimo i nostri interessi nazionali – quali emersi, tra l'altro, proprio nel corso del summenzionato processo di formazione della posizione negoziale nazionale – nell'ambito di trattative finalizzate al raggiungimento di un Accordo, che si ispiri al principio di reciprocità e che risulti bilanciato, ambizioso e onnicomprensivo, la cui conclusione dovrà essere contestuale, sulla base del principio del single undertaking. L'obiettivo negoziale italiano, quindi, resta quello di sostenere la conclusione del Ttip, visti i benefici che esso produrrebbe per l'economia europea e statunitense, tutelando al massimo livello consentito i nostri interessi nazionali, in particolare: barriere non tariffarie (inclusione del precautionary principle per gli standard sanitari e fitosanitari e OGM); corretta informazione dei consumatori (cosiddetto Italian Sounding); accesso al mercato (riferimento alle regole d'origine Unione europea; appalti pubblici (esclusione del concetto buy American); tutela della proprietà intellettuale (riconoscimento delle indicazioni geografiche – IIGG) e inclusione della liberalizzazione dell’export di materie prime energetiche (oggi vincolate negli USA). Va rilevato che il Ministro dello sviluppo economico ha provveduto a effettuare una valutazione d'impatto in merito alle risultanze economiche riguardanti l'Italia a seguito del buon esito dell'accordo. A tal riguardo si precisa che lo studio, commissionato alla società Prometeia S.p.a., ha confermato quanto già indicato da altri altrettanto autorevoli centri studi internazionali, aditi dalla Commissione Europea e da altri Stati membri dell'Unione europea, evidenziando i benefici economici per la Unione europea e per il nostro paese derivanti da tale accordo con gli USA. In particolare, tale studio ha rimarcato che l'Italia sarebbe tra i paesi dell'Unione europea che maggiormente guadagnerebbero, in termini industriali del buon esito delle negoziazioni Ttip, con effetti molto positivi per l'industria dei mezzi di trasporto, cioè per le produzione auto motive nel loro insieme, ma soprattutto per i principali settori di specializzazione del nostro Paese nel commercio mondiale: meccanica, sistema moda, agroalimentare e bevande. Va inoltre evidenziato che tale intesa potrebbe incidere in maniera apprezzabile sulla futura crescita italiana fino a sfiorare 23 il mezzo punto percentuale per la nostra economia. In tal caso a tre anni dall'applicazione dell'accordo il prodotto interno lordo aumenterebbe, al netto dell'inflazione, di 5,6 miliardi di euro con aumento stimato di posti di lavoro di circa 30 mila unità. Tali indicazioni in merito ai possibili effetti dell'accordo Ttip vanno lette tenendo ben presente quali siano l'orientamento e le aspettative dell'intero sistema produttivo italiano, che nel suo complesso, guarda con grande interesse a questo negoziato. A tale riguardo, numerose riunioni di coordinamento sono state fatte, nel corso degli ultimi due anni, dal Ministro dello sviluppo economico con tutti i soggetti interessati: l'azione del Governo verso la scelta negoziale del Ttip è stata ampiamente sostenuta, in ogni occasione, dal nostro sistema produttivo. Di seguito il testo dell’interrogazione. Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per gli affari europei, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che: risulta all'interrogante che a maggio del corrente anno sono iniziati i negoziati sugli accordi di libero scambio tra USA e EU, la cosiddetta Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP); la ripresa dei negoziati era prevista a Bruxelles il 7 ottobre 2013 ma il Federal shut down del Governo statunitense ha fatto slittare i negoziati a questi giorni; da un rappresentante del commercio americano, si apprende infatti che proprio in questi giorni (11-15 novembre) sono ripresi i negoziati; la notizia riguardo questi importanti eventi sui media italiani non ha ricevuto il doveroso risalto, evidentemente perché troppo concentrata a fare «informazione» su sterili e certamente meno importanti vicende di politica interna; eppure la TTIP, in quanto a rilevanza, è da considerarsi alla stregua del Trattato di Maastricht che portò all'avvento dell'euro; gli accordi sul libero scambio sono destinati a portare cambiamenti di carattere epocale nell'economia mondiale, europea ed italiana; a giudizio dell'interrogante, appare necessaria una capillare azione di informazione e divulgazione sulle trattative in atto, sugli impatti e sugli scenari futuri per l'Italia, stante la rilevanza fondamentale dell'argomento che dovrebbe, essere oggetto di approfondimento e di dibattito, avendo una importanza strategica per gli equilibri economici e politici; nello specifico, si ricorda che gli USA fanno già parte dell’American Free Trade Agreement (NAFTA) e del Central America Free Trade Agreement (CAFTA) e hanno già avviato i negoziati per due nuovi accordi: la Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) con l'Unione europea e la Trans-Pacific Partnership (TPP) con vari paesi dell'Asia; grazie a questi trattati gli USA si troveranno al centro di una vasta zona di libero scambio che renderà vantaggioso per le aziende estere spostare la produzione negli Stati Uniti, sia per alimentare l'enorme mercato interno, sia per riesportare in tutti quei Paesi che hanno 24 accordi di libero scambio con gli USA; pertanto, per le imprese potrebbe diventare vantaggioso produrre negli USA e poi esportare nel resto del mondo. Il rischio per l'Italia e per altri Paesi europei è di perdere quote di export o peggio, vedere le proprie imprese delocalizzare buona parte della loro capacità produttiva negli Stati Uniti, e non più nell'est Europa come avviene oggi; si rileva altresì che molte aziende straniere hanno già delocalizzato parte della loro capacità produttiva per sfruttare i vantaggi offerti dal sistema economico statunitense. Alcuni esempi: RollsRoyce, che fabbrica componenti per motori a reazione in Virginia e poi li spedisce verso Europa e Asia; Siemens che produce turbine industriali a Charlotte, in North Carolina, e poi le invia in Arabia Saudita e Messico; Airbus che sta costruendo uno stabilimento a Mobile, in Alabama per produrre aerei sia per il settore civile che militare; vi sono anche aziende italiane che hanno compreso che il futuro del manifatturiero è «made in USA». La più famosa è FIAT-Chrysler, ma ce ne sono molte altre, piccole e medie e meno conosciute, che hanno scelto di investire per produrre o assemblare in negli USA. Alcuni esempi: MXSolar, assembla pannelli solari (da Monza a Somerset New Jersey); Cavanna, costruisce macchine per il packaging (da Prato a Duluth in Georgia); Spanesi, produce attrezzature per le carrozzerie (da Padova a Naperville Illinois) –: quale posizione e ruolo abbia assunto il Governo italiano in seno ai sopra detti negoziati USA-Unione europea nonché all'interno della cornice europea; se il ruolo assunto dall'Italia sia svolto in un'ottica di contrattazione attiva, avendo come priorità il bene primario del Paese o se piuttosto i margini di contrattazione releghino l'Italia ad un ruolo di secondo piano; se sia in corso una analisi degli impatti e degli scenari circa le ricadute positive e negative sul sistema economico, produttivo, imprenditoriale e occupazionale italiano, anche alla luce del piano destinazione Italia che il Governo sta per promuovere; se sia intenzione del Governo promuovere in seno ai negoziati iniziative per valorizzare e rilanciare l'imprenditoria in Italia ed in particolare il made in Italy prodotto in Italia; se il Governo intenda avviare un azione di informazione e divulgazione sul tema a favore della cittadinanza italiana. (4-02500) Interrogazione a risposta scritta: sul metanodotto rete adriatica e sulla costruzione della centrale di compressione della Snam a Sulmona MELILLA e RICCIATTI (SEL) 25 — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che: a Sulmona la SNAM prevede la costruzione di una centrale di compressione e spinta su una superficie di circa 12 ettari, con 3 turbo compressori alimentati a gas di 11 megawatt termici, un camino alto 14 metri e tre caldaie con camini alti 6,5 metri; il metanodotto e la centrale si collocano in un'area ad alto rischio sismico nei pressi della faglia attiva del Monte Morrone, il sito è incompatibile con il piano regolatore generale di Sulmona che prevede una zona a verde agricolo escludendo ogni impianto industriale; inoltre, la centrale sarebbe in un contesto ambientale di grande pregio naturalistico, praticamente la porta d'accesso al parco nazionale della MajellaMorrone, su cui poggiano tanti progetti di sviluppo turistico in una zona tra le più depresse dal punto di vista occupazionale d'Abruzzo; proprio in questi giorni in una grande assemblea pubblica a Sulmona, gli enti locali e la regione Abruzzo hanno manifestato netta contrarietà a questo progetto, in piena sintonia con un grande movimento sociale e dei cittadini, chiedendo il rinvio della conferenza dei servizi convocata dal Ministero dello sviluppo economico per il 30 settembre 2014; per questo sarebbe necessario; a) revocare i decreti ministeriali relativi al metanodotto rete adriatica e alla costruzione della centrale di compressione e spinta della Snam a Sulmona stante ad avviso dell'interrogante il palese contrasto con le disposizioni comunitarie e nazionali che impongono la valutazione complessiva degli interventi proposti; b) rinunciare all'impugnativa della legge della regione Abruzzo n. 14 del 7 giugno 2013 per l'assoluta irragionevolezza di questa scelta avendo la regione Abruzzo recepito una prescrizione della commissione nazionale VIA in merito alla necessità di studi sismici di dettaglio, in una zona ad alto rischio sismico come è Sulmona nel quadro della catena montuosa degli Appennini Abruzzesi –: se non ritengano necessario e doveroso fermare ogni procedura autorizzativa in atto e disporre, come peraltro indicato dalla Commissione ambiente della Camera dei deputati con una risoluzione approvata nel 2011, la modifica del tracciato escludendo la dorsale appenninica, sconvocando la riunione del 30 settembre 2014, stante la richiesta in questo senso della regione Abruzzo. (4-06122) Risposta del Viceministro per l’economia e le finanze Luigi Casero all’interrogazione a risposta immediata sull’esenzione delle accise del combustibile utilizzato per la navigazione di trasporto di passeggeri nelle acque interne, presentata da Busin (LN) (n. 5-03619). 26 Con il documento di sindacato ispettivo in esame, viene richiesta l'adozione di iniziative per «ricomprendere nel regime della esenzione delle accise anche le unità di trasporto commerciale di passeggeri impiegate nella navigazione fluviomarittima, lagunare e interna», asserendo che tale richiesta trova il suo fondamento nella normativa comunitaria di riferimento, disattesa da una «erronea interpretazione delle norme adottata da parte dell'Agenzia delle dogane». Al riguardo, sentiti gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue. Preliminarmente giova osservare che il quadro comunitario di riferimento nella specifica materia va rinvenuto nella direttiva 2003/96/CE che ha abrogato espressamente all'articolo 30 la direttiva 92/81/CEE, sebbene in molte parti ne ricalchi integralmente le disposizioni. In particolare, l'articolo 14, paragrafo 1, lettera c) della direttiva 2003/96/CE dispone che gli Stati Membri esentino dall'accisa «i prodotti energetici forniti per essere utilizzati come carburanti per la navigazione nelle acque comunitarie (compresa la pesca), diversa dalla navigazione delle imbarcazioni private da diporto». Ai fini dell'individuazione dell'ambito di applicazione della disposizione non solo soccorre la definizione dei «imbarcazioni private da diporto» che fornisce il secondo periodo della predetta lettera c), ma anche il ventitreesimo considerandum della direttiva che espressamente statuisce che «gli obblighi internazionali vigenti e il mantenimento della posizione competitiva delle imprese comunitarie rendono opportuno mantenere le esenzioni per i prodotti energetici destinati alla navigazione aerea e marittima, esclusa la navigazione da diporto, mentre dovrebbe essere possibile per gli Stati membri limitare tali esenzioni». È pertanto di tutta evidenza che l'esenzione dall'accisa che gli Stati membri sono chiamati ad applicare si riferisce ai prodotti energetici impiegati nella navigazione marittima nelle acque comunitarie, con esclusione delle imbarcazioni da diporto. Tuttavia, ai sensi dell'articolo 15, paragrafo 1, lettera f) della citata direttiva 2003/96/CE gli Stati membri hanno la facoltà di applicare esenzioni o riduzioni di accisa «ai prodotti energetici forniti per essere utilizzati come carburanti per la navigazione nelle vie navigabili interne (compresa la pesca) diversa dalla navigazione delle imbarcazioni private da diporto».Trattasi chiaramente di una facoltà che gli Stati Membri possono o meno esercitare. Per quanto riguarda la legislazione nazionale, il punto 3 della tabella A allegata al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, recepisce integralmente – trattandosi come detto di una esenzione obbligatoria – il disposto dell'articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2003/96/CE, riconoscendo l'esenzione dall'accisa ai prodotti energetici utilizzati come «carburanti per la navigazione nelle acque marine comunitarie, compresa la pesca, con esclusione delle imbarcazioni private da diporto. Inoltre il medesimo punto 3, in base alla facoltà contemplata dal menzionato articolo 15, paragrafo 1, lettera f), riconosce l'esenzione ai prodotti energetici impiegati come «carburanti per la 27 navigazione nelle acque interne, limitatamente al trasporto delle merci». Recentemente sulla materia è intervenuto una norma di interpretazione autentica, l'articolo 34-bis, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, che ha precisato che il citato punto 3 della Tabella A allegata al decreto legislativo 504 del 1995 debba applicarsi anche ai carburanti utilizzati nell'attività di pesca professionale in acque interne e lagunari. In sostanza, il legislatore nazionale ha inteso avvalersi della cennata facoltà di cui al sopra richiamato articolo 15, paragrafo 1, lettera f) circoscrivendone l'ambito per quel che concerne la navigazione nelle acque interne al trasporto delle merci e, con il recente intervento legislativo, alla pesca professionale in acque interne e lagunari, mentre ha ritenuto di non prevedere alcuna agevolazione o esenzione dall'accisa per i prodotti energetici utilizzati per il trasporto commerciale di passeggeri. Da quanto sopra esposto si può concludere che la legislazione nazionale risulta essere pienamente in linea con la normativa comunitaria. Pertanto, stante il quadro normativo sopra delineato nessuna erronea interpretazione del punto 3 della tabella A allegata al decreto legislativo n. 504 del 2005, può ascriversi all'Agenzia delle dogane e dei monopoli. È di tutta evidenza infatti che, ove il legislatore nazionale lo ritenesse opportuno, la normativa comunitaria di riferimento permette di modificare il cennato punto 3 della tabella A al fine di prevedere l'esenzione dall'accisa per i carburanti utilizzati dalle unità per il trasporto commerciale di passeggeri nelle acque interne, dovendosi tener conto della valutazione delle minori entrate derivanti dalla misura agevolativa auspicata dall'Onorevole interrogante. Giova, infine, precisare che laddove altre compagnie di Stati membri svolgessero la loro attività nel nostro Paese, esercitando l'attività di trasporto passeggeri nelle acque interne italiane, tali imbarcazioni, effettuando i rifornimenti di carburante in Italia, ovviamente non avrebbero titolo a finire di prodotti in esenzione da accisa. Di seguito il testo dell’interrogazione. Per sapere – premesso che: la materia di tassazione dei prodotti energetici nella navigazione delle acque interne è stata, in un primo tempo, oggetto di disciplina da parte della direttiva CEE n. 92/81/CEE del Consiglio del 19 ottobre 1992, relativa all'armonizzazione delle strutture delle accise sugli olii minerali, con cui il legislatore comunitario, per favorire i commerci e i traffici in area comunitaria, ha adottato una serie di vantaggi armonizzati per i gas e gli olii minerali utilizzati come combustibile per la navigazione a fini commerciali di trasporto di merci e passeggeri in tutte le acque comunitarie; in un secondo momento, il legislatore comunitario è intervenuto ancora con la direttiva n. 2003/96 che, pur abrogando la precedente normativa della direttiva n. 81 del 1992, ha mantenuto il principio 28 di un regime fiscale agevolato, stabilendo, all'articolo 14, comma 1, lettera c), che gli Stati membri esentano dalla tassazione «i prodotti energetici forniti per essere utilizzati come carburanti per la navigazione nelle acque comunitarie (compresa la pesca), diversa dalla navigazione delle imbarcazioni private da diporto», escludendo dalla definizione di imbarcazioni private da diporto le imbarcazioni usate per scopi commerciali di trasporto di passeggeri o merci; l'articolo 15, comma 1, della stessa direttiva recita, ugualmente alla precedente, che gli «Stati membri possono applicare, sotto controllo fiscale, esenzioni o riduzioni totali o parziali del livello di tassazione», specificando, alla lettera f), il regime di applicabilità agevolata «ai prodotti energetici forniti per essere utilizzati come carburanti per la navigazione sulle vie navigabili interne (compresa la pesca), diversa dalla navigazione delle imbarcazioni private da diporto»; da suddette legislazioni si evince quindi che le unità navali commerciali (non da diporto, destinate invece ad esclusivo uso privato) destinate al trasporto sia di merci che di passeggeri, che navigano in acque comunitarie, devono essere sottoposte al regime di esenzione e che possono beneficiare delle esenzioni previste anche le stesse unità navali ad uso commerciale, destinate quindi sia al trasporto merci che al trasporto passeggeri, che navigano in acque interne; nell'ambito dell'esercizio del suo potere regolamentare, il legislatore nazionale, ha regolato nel dettaglio la materia attraverso il decreto legislativo del 26 ottobre 1995, n. 504, «Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative», dove, nel punto 3 della Tabella A non soltanto si esclude esplicitamente il trasporto passeggeri, quando invece questo è ricompreso dalla direttiva del 2003, ma fa anche esclusivo riferimento alle «acque marine comunitarie», mentre la direttiva 2003/96/CE, all'articolo 14, lettera c), cita le «acque comunitarie», comprensive, quindi, delle acque interne, tanto che tutti gli altri Stati membri, secondo quanto stabilito dalla stessa direttiva, prevedono l'esenzione delle accise sul trasporto commerciale passeggeri in acque interne, escludendolo sempre dal regime di fiscalità ordinaria; quindi, al contrario degli altri Stati membri, l'interpretazione nazionale, approfittando dell'imprecisione del quadro normativo nazionale rispetto alla regolamentazione comunitaria, si è orientata in senso restrittivo, escludendo i natanti che praticano il trasporto commerciale di passeggeri nelle acque interne dal favor previsto dalla normativa comunitaria per l'esenzione dalle accise, non ricomprendendo le acque interne nelle acque comunitarie e, approfittando della confusione fatta dal legislatore nazionale che esclude esplicitamente il trasporto dei passeggeri, evidentemente confuso con la navigazione da diporto ad uso privato; di questa erronea interpretazione delle norma adottata da parte della Agenzia delle dogane, molte attività commerciali nazionali di trasporto passeggeri nelle acque interne, già vessate dalla crisi economica – esemplare è la situazione della regione del Veneto – ne subiscono le conseguenze, 29 scontando uno svantaggio pesantissimo in termini di concorrenzialità rispetto ad altre compagnie di Stati membri che, svolgendo la loro attività nel nostro Paese, possono invece offrire prezzi più competitivi e profitti più alti in quanto inclusi nel regime di esclusione dal pagamento delle accise nei loro Stati di appartenenza fiscale, comportando, inoltre, anche una perdita di gettito fiscale del nostro Paese –: quali iniziative il Ministro, in base alle proprie competenze, intenda adottare al fine di ricomprendere nel regime della esenzione delle accise anche le unità di trasporto commerciale di passeggeri impiegate nella navigazione fluviomarittima, lagunare e interna. (5-03619) Interrogazione a risposta in Commissione: sulla proposta di operare una selezione dei progetti volta a escludere la verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale (VIA) MARIANI (PD) — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che: il servizio ambiente della amministrazione provinciale di Lucca ha manifestato al Parlamento alcune preoccupazioni circa l'applicazione della normativa in materia di valutazione di impatto ambientale (VIA) a seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, in particolare, per la parte inerente, alla verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale; secondo l'interpretazione dell'amministrazione provinciale di Lucca, tale disposizione ha reso inapplicabili le soglie dimensionali che stabilivano l'ordine di grandezza oltre la quale era necessaria la procedura di verifica di valutazione di impatto ambientale conseguentemente tutte le categorie progettuali presenti nell'allegato IV dovrebbero essere sottoposte alla procedura di verifica indistintamente dalle dimensioni; l'eliminazione, seppure transitoriamente, delle soglie dimensionali la valutazione di impatto ambientale rischia, secondo l'amministrazione provinciale di Lucca, non solo di ingolfare il lavoro degli uffici competenti, ma anche di bloccare l'iter delle richieste al vaglio delle amministrazioni, almeno fino a quando il decreto interministeriale previsto dal citato comma 1, lettera c) detterà alle regioni e alle province autonome, le modalità di adeguamento dei criteri e delle soglie alle specifiche situazioni ambientali e territoriali; nello specifico, l'articolo 15, comma 1, lettera c), del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 ha introdotto nuove disposizioni sostitutive di quelle recate dall'articolo 23 della legge 6 agosto 2013 n. 97, al fine di pervenire ad un recepimento della direttiva 2011/92/UE capace di superare in maniera 30 definitiva le censure mosse dalla Commissione europea nell'ambito della procedura di infrazione 2009/2086, avviata, principalmente, per non conformità delle norme nazionali che disciplinano la verifica di assoggettabilità a VIA (screening) con l'articolo 4, paragrafi 2 e 3, della direttiva medesima; al fine di superare le criticità sollevate dalla Commissione europea nell'ambito della procedura di infrazione, l'articolo 23 della legge n. 97 del 2013 ha introdotto nuove disposizioni, senza intervenire direttamente sulle norme del codice dell'ambiente, prevedendo una procedura in due fasi per definire, da parte delle regioni, le soglie e i criteri per l'assoggettamento alla procedura di screening, sulla base delle linee guida definite, nella prima delle due fasi, a livello statale; le disposizioni dettate dall'articolo 15 comma 1, lettere c) e d) del decreto-legge n. 91 del 2014, sostituiscono la disciplina di cui all'articolo 23 della legge n. 97 del 2013, con una procedura che prevede un'unica fase, delegificando l'individuazione delle soglie e dei criteri, che viene direttamente demandata ad un decreto interministeriale adottato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per i profili connessi ai progetti all'infrastrutture di rilevanza strategica, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni e previo parere delle competenti commissioni parlamentari; la lettera c) del comma 1 incide direttamente sul codice dell'ambiente integrando il disposto dell'articolo 6, comma 7, lettera c), del decreto legislativo n. 152 del 2006 prevedendo che, per i progetti elencati nell'allegato IV, parte seconda, siano emanate, con il citato decreto interministeriale, disposizioni volte a definire i criteri e le soglie per ciascuna tipologia di progetto prevista nell'allegato IV per l'assoggettamento alla procedura di screening, sulla base dei criteri stabiliti nell'allegato V; la successiva lettera d) riscrive il comma 9 dell'articolo 6 del codice dell'ambiente, stabilendo che le soglie fissate dal decreto interministeriale non sono da considerarsi sostitutive bensì integrative di quelle attualmente previste dall'Allegato IV, parte seconda, del medesimo codice; le nuove disposizioni contengono, inoltre, due norme transitorie: a) la prima, alla lettera c) del comma 1 stabilisce che, in attesa dell'entrata in vigore del decreto interministeriale in questione, lo screening è effettuato caso per caso, sulla base dei criteri stabiliti I all'allegato V del Codice dell'ambiente; b) la seconda, contenuta nel comma 3 dell'articolo 15, riguarda l'applicazione delle disposizioni dell'articolo 6, comma 8, del codice dell'ambiente, relative al dimezzamento delle soglie dimensionali per particolari progetti (di cui agli allegati III e IV) ricadenti all'interno di aree naturali protette o relativi agli elettrodotti facenti parte della rete elettrica di trasmissione nazionale. Tali disposizioni continuano ad applicarsi, ma solamente fino all'entrata in vigore del decreto interministeriale; 31 prima dell'entrata in vigore delle modifiche introdotte dal decreto-legge n. 91 del 2014, la verifica di impatto ambientale era svolta sulla base di un elenco di progetti, allegato al decreto legislativo n. 152 del 2006, recepito dalla regione Toscana con la legge n. 10 del 2010, che prevedeva determinate soglie dimensionali al di sotto delle quali la normativa in materia di VIA non si applicava; l'amministrazione provinciale di Lucca, in data 25 luglio 2014, ha chiesto alla regione Toscana alcuni chiarimenti sulla materia oggetto della presente interrogazione e, in particolare, di fornire un indirizzo unitario al quale potessero uniformarsi le province toscane in attesa dell'emanazione del citato decreto interministeriale, proponendo un approccio procedimentale che prevedeva di valutare i progetti presentati dalle imprese «caso per caso», in modo tale da poter escludere le piccole attività con situazioni di evidente irrilevanza sotto il profilo dell'impatto ambientale, in quanto le disposizioni transitorie recate dall'articolo 15, comma 1, lettera c) del decreto-legge n. 91 del 2014, hanno reso inapplicabili le soglie dimensionali che stabilivano l'ordine di grandezza oltre la quale era necessaria la procedura di verifica di V.I.A.; conseguentemente tutte le categorie progettuali individuate nell'allegato IV al decreto legislativo n. 152 del 2006, indistintamente dalle dimensioni, devono essere sottoposte alla procedura di verifica di impianto ambientale; la regione Toscana ha risposto, in primo luogo, che non compete all'amministrazione regionale dettare agli enti locali indirizzi di carattere interpretativo della normativa statale in esame e che la disciplina transitoria contenuta all'articolo 15, comma 1, lettera c) del decreto-legge n. 91 del 2014 prevede che, nelle more dell'entrata in vigore del più volte citato decreto interministeriale con il quale si individueranno i criteri e le soglie da applicare all'assoggettamento alla procedura di screening dei progetti di cui all'allegato IV, alla parte seconda del decreto legislativo n. 52 del 2006, la procedura di cui all'articolo 20, che disciplina la verifica di assoggettabilità a VIA, «è effettuata caso per caso sulla base dei criteri di cui all'allegato V»; secondo la regione Toscana ciò implica che: le soglie previste dal citato allegato IV e dagli allegati B1, B2 e B3 della legge regionale n. 10 del 2010, non sono più applicabili; nella fase transitoria, la procedura di assoggettabilità a VIA è effettuata unicamente con l'approccio «caso per caso» vale a dire su ogni progetto elencato nell'allegato IV sulla base dei criteri di cui all'allegato V, senza possibilità di ricorso agli automatismi determinati dall'applicazione delle soglie già stabilite dalla normativa statale e regionale e che, nella fase a regime, le soglie indicate dal decreto interministeriale non saranno sostitutive ma integrative di quelle attualmente stabilite dall'allegato IV; 32 ogni diversa interpretazione che conduca, nella vigenza della fase transitoria, a escludere l'attivazione della procedura di assoggettabilità per uno o più progetti appartenenti all'elenco di cui all'allegato IV del decreto legislativo n. 152 del 2006, contrasta con le finalità della norma in questione, che è proprio quella di superare, anche nell'immediato, le censure della Commissione europea riguardo alle modalità non corrette di determinazione di soglie da parte del legislatore nazionale e che ha portato alla procedura di infrazione; alla luce di quanto sopra esposto, secondo la regione Toscana, la proposta di operare una selezione dei progetti volta a escludere la verifica di assoggettabilità alla VIA non può essere considerata praticabile; la complessità della procedura e il numero di soggetti coinvolti, non fanno ben sperare riguardo al rispetto dei tempi di emanazione del decreto interministeriale di cui all'articolo 15 comma 1, lettere c), mentre la situazione sopra descritta starebbe determinando un notevole aggravio temporale dei procedimenti e maggiori oneri per le imprese, anche nei casi di piccole attività di evidente irrilevanza sotto il profilo di impatto ambientale –: se in relazione alle descritte modifiche in materia normative in materia di valutazione di impatto ambientale per la parte inerente alla verifica di assoggettabilità delle opere di cui all'articolo 6, comma 7, lettera c), del decreto legislativo n. 152 del 2006, sia corretta l'interpretazione secondo la quale, nelle more dell'approvazione del decreto interministeriale, non sono più applicabili le soglie previste dall'Allegato IV, parte seconda del codice dell'ambiente e se, conseguentemente, tutte le categorie progettuali ricomprese in detto Allegato IV, indistintamente dalle dimensioni, debbano essere sottoposte alla procedura di impatto ambientale. (5-03645) Interrogazione a risposta in Commissione: sui permessi di ricerca di idrocarburi richieste dalla Global Petroleum Limited, in prossimità delle coste pugliesi DE LORENZIS e altri (M5S) — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che: attualmente sono in procedura VIA (Valutazione impatto ambientale) quattro distinte, ma al contempo adiacenti istanze di permesso di «ricerca» in mare di idrocarburi localizzate nella «zona F» in prossimità delle coste pugliesi dell'adriatico meridionale, «d 80 F.R.-.GP» con estensione pari a 744,8 chilometri quadrati, «d 81 F.R.-.GP» con estensione pari a 749,9 chilometri quadrati, «d 82 F.R.-.GP» di 745,7 chilometri quadrati, «d 83 F.R.-.GP» con estensione pari a 745,3 chilometri 33 quadrati con profondità che variano tra i 700 e i 1100 metri di profondità, proposte della «Global Petroleum Limited», una holding di un gruppo di società con sede in Australia e Londra; l'obiettivo delle quattro istanze consiste nell'individuazione, mediante prospezione geofisica attraverso l'acquisizione di nuovi dati sismici 2D, con la possibilità di acquisire dati sismici 3D, subordinata alla necessità di ottenere un maggiore dettaglio, di nuove riserve e giacimenti off-shore in un'ottica di sfruttamento delle risorse; come descritto dal proponente del progetto nella sintesi «non tecnica», «il metodo geofisico a riflessione è, tra tutti i metodi geofisici, il rilevamento più diffuso e si basa sulla generazione artificiale di un impulso che provoca nel terreno la propagazione di onde elastiche le quali, in corrispondenza di superfici di discontinuità, subiscono deviazioni con conseguenti rifrazioni e riflessioni. Quando le onde tornano in superficie vengono captate mediante sensori, consentendo di ottenere un'immagine tridimensionale del substrato, rivelando l'eventuale presenza, profondità e tipologia del giacimento»; per le prospezioni geofisiche è necessaria una sorgente di energia che emette onde elastiche ed una serie di sensori, detti idrofoni, che ricevono le onde riflesse e la tipologia scelta dal proponente del progetto prevede per l'acquisizione geofisica 2D, una tecnologia ad aria compressa eseguita da una nave in corrispondenza della zona in oggetto, detta «Air-Gun» «con una frequenza utilizzata tra i 100-1500 Hz, costituita da due camere cilindriche chiuse da due pistoni (pistone di innesco e di scoppio) rigidamente connessi ad un cilindro provvisto di orifizio assiale che libera in mare, istantaneamente, aria ad una pressione, compresa tra 150 e 400 atmosfere»; da uno studio di «Notarbartolo di Sciara & Birkun» del 2010, utilizzato anche dall'ISPRA per la redazione di documenti sulla presenza dei cetacei nei mari italiani, si apprende che nelle zone in questione sono presenti cetacei come la balenottera comune, il capodoglio, lo zifio, il delfino comune, la stenella striata, il tursiope e il grampo, queste ultime tre specie scelgono queste acque anche come zone riproduttive, e dallo studio ISPIDA «Strategia per l'ambiente marino, bozza» del 2012, si apprende che la tartaruga marina «caretta-caretta» frequenti regolarmente il mare Adriatico meridionale; studi dell'Ismar – CNR di Bologna hanno accertato la presenza di biocenosi dei coralli profondi, che può essere considerato come un «hot spot» di biodiversità nel piano batiale, in quanto ospita un elevato numero di animali di notevole interesse scientifico ed economico; le specie protette dalle convenzioni internazionali e dalla legislazione italiana, presenti nell'area rendono rischioso l'utilizzo di metodologie come gli «air-gun» in quanto diversi studi documentano come la tecnologia impiegata possa allontanare le specie, recare gravi danni, fino a portare alla morte i cetacei; 34 sono del tutto assenti in letteratura scientifica, studi che possano indicare gli impatti ambientali degli «air-gun» sulla biocenosi dei coralli profondi per cui l'adoperare tali tecnologie senza conoscere i danni che potrebbero arrecare sarebbe un rischio non tollerabile e quindi, a detta degli interroganti, dovrebbe esser applicato il «principio di precauzione» richiamato dall'articolo 3-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006; l'articolo 5, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 152 del 2006 definisce l'impatto ambientale come «l'alterazione qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a lungo termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, positiva e negativa dell'ambiente, inteso come sistema di relazioni fra i fattori antropici, naturalistici, chimico-fisici, climatici, paesaggistici, architettonici, culturali, agricoli ed economici, in conseguenza dell'attuazione sul territorio di piani o programmi o di progetti nelle diverse fasi della loro realizzazione, gestione e dismissione, nonché di eventuali malfunzionamenti»; considerando il riferimento legislativo sopra riportato, la sentenza del TAR Lecce n. 01341/2011, ha annullato i decreti ministeriali del provvedimento di pronuncia positiva di compatibilità ambientale concernente i progetti di realizzazione della prima fase del programma lavori collegato ai tre distinti permessi di ricerca «d 149 D.R.-NP», «d60 F.R.-NP», «d61 F.R.-NP», localizzati qualche miglio più a sud dei quattro progetti della «Global Petroleum Limited» in quanto «... l'intervento progettato, pur essendo suddiviso in singole frazioni anche al solo fine di soddisfare esigenze di snellezza procedimentale dell'impresa, appare riconducibile ad un unico programma imprenditoriale, la conseguenza che si registra sul terreno del doveroso assoggettamento a VIA è senz'altro quella di una analisi che tenga conto necessariamente dei cosiddetti impatti cumulativi» e aggiunge «Ciò significa che, pur a fronte di una pluralità di procedimenti amministrativi messi in moto dall'imprenditore, l'organo preposto a compiere la valutazione di impatto ambientale ha il preciso dovere di operarne la reductio ad unitatem, specie in presenza di elementi sintomatici della unicità di intervento»; la stessa sentenza chiarisce che: «nel caso di specie, del resto, la necessità di uno studio relativo agli impatti cumulativi derivanti dall'impiego del metodo di prospezione geofisica denominato air gun si coglie non appena si consideri non solo la particolarità del metodo di prospezione geofisica, ma anche le conseguenze sulla fauna marina» e aggiunge che «... se allo stato attuale delle conoscenze, appare sussistere anche una probabilità minima di collegare il cosiddetto fenomeno dello spiaggiamento dei cetacei lungo le nostre coste al disorientamento provocato da fortissime esplosioni percepibili dai medesimi mammiferi durante le indagini geosismiche (condotte in vista della ricerca di idrocarburi), la ricerca deve seguire metodiche meno invasive a tutela dell'ambiente»; 35 le quattro istanze della «Global Petroleum Limited» possono essere considerate un unico programma imprenditoriale, di cui anche il proponente ne riconosce l'effettiva unicità in quanto nella sintesi non tecnica riconosce che: «il motivo per cui non è stata presentata una sola istanza per l'intera area oggetto di interesse deriva dal limite dimensionale dei titoli minerari, imposto per legge. Infatti, la legge del 9 gennaio 1991, n. 9, prevede che l'area del permesso di ricerca di idrocarburi debba essere tale da consentire il razionale sviluppo del programma di ricerca e non possa comunque superare l'estensione di 750 chilometri quadrati (Titolo II, articolo 6, comma 2). Per ottemperare a quanto richiesto dalla normativa, Global ha suddiviso l'area in 4 diverse istanze, inferiori a 750 chilometri quadrati»; la sentenza del Consiglio Stato, sezione V, 16 giugno 2009, n. 3849 sentezia che «La procedura relativa alla valutazione di impatto ambientale non può essere elusa a mezzo di un riferimento a realizzazioni o interventi parziali, caratteristici nelle opere da realizzarsi per «tronchi» o «lotti»; a detta degli interroganti si prospetta la stessa situazione già valutata dal TAR Lecce con le istanze dei permessi di ricerca «d 149 D.R.-NP», «d60 F.R.-NP», «d61 F.R.-NP»; da una parte un limite dimensionale legislativo non dovrebbe ostacolare una più ampia valutazione d'impatto ambientale che comunque si avrebbe in caso di parere favorevole da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dall'altra tale limitazione dimensionale dovrebbe limitare la volontà imprenditoriale a procedere con solo un'unica richiesta senza la pretesa di «invadere» un'area di mare ben più ampia dei 750 chilometri quadrati previsti dalla normativa di settore; l'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo n. 152 del 2006, terzo periodo, prevede che per le valutazioni d'impatto ambientale delle attività di prospenzione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, non vengano ascoltati i pareri degli enti locali posti in un raggio superiore alle 12 miglia dalle attività predette, nonostante queste attività possano avere delle ricadute su altre attività economiche locali come la pesca e il turismo –: se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e quali iniziative intenda adottare per tutelare l'ambiente marino; se il Ministro intenda rilasciare pareri contrari alle valutazioni ambientali per le quattro istanze di permesso di ricerca idrocarburi «d 80 F.R-.GP», «d 81 F.R-.GP», «d 82 F.R-.GP», «d 83 F.R-.GP», richieste dalla «Global Petroleum Limited»; se il Ministro intenda assumere iniziative per adottare una moratoria per le attività di prospezione e ricerca di idrocarburi in zone di mare dove sono localizzati regolarmente cetacei e dove siano state riscontrate biocenosi dei coralli profondi; se il Ministro intenda promuovere iniziative volte a far conoscere alla cittadinanza l'importanza degli «habitat prioritari marini» e della vita dei cetacei. (5-03646) 36 Interrogazione a risposta in Commissione: sulla procedura di valutazione di impatto ambientale del progetto “Variante Piano di Gestione terra e rocce da scavo - Raffineria di Taranto, progetto Tempa Rossa” dell’ENI DE LORENZIS e altri (M5S) — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che: Eni spa Divisione Refining & Marketing – raffineria di Taranto ha ottenuto il parere di compatibilità ambientale mediante decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare DVA-573 del 27 ottobre 2011 al «Progetto di adeguamento delle strutture della Raffineria di Taranto per lo stoccaggio e la movimentazione del greggio proveniente dal giacimento denominato Tempa Rossa»; nell'ambito dell'istruttoria VIA sopracitata è stato approvato il piano di gestione delle terre (PGT) derivanti dagli scavi per la realizzazione delle opere previste dal progetto, che era stato predisposto in seguito ad una richiesta di integrazione (prot. DVA-2010-0024826 del 18/10/2010) da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, direzione valutazioni ambientali e in particolare, il documento ha permesso di pianificare l'ottemperanza alla richiesta di «effettuare la caratterizzazione delle terre e rocce da scavo in relazione a quanto previsto dall'allora vigente articolo 186 del D.Lgs. 152/06 e s.m.i.», inserendosi in una valutazione ambientale più ampia che ha abbracciato l'intero progetto Tempa Rossa; l'area della raffineria ricade all'interno di un sito di interesse nazionale ai sensi della legge n. 426 del 9 dicembre 1998 e successivo decreto autorizzativo del 10 gennaio 2000 e tra le attività eseguite in passato dal proponente, vi sono la caratterizzazione ambientale del sito, svolta in base ad una maglia 50 metri x 50 metri, sia sulle aree sede delle nuove installazioni che sulle aree di abbanco definitivo delle terre di scavo, i cui risultati sono stati approvati in sede di conferenza di servizi decisoria del 15 settembre 2005 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a seguito della validazione da parte di ARPA-dipartimento di Taranto; nel parere favorevole di compatibilità ambientale espresso dal CTVIA DVA-2011–0015363 del 24 giugno 2011 è riportato che nella realizzazione dei nuovi serbatoi, dell'impianto recupero vapori, del sistema di raffreddamento e delle relative opere complementari, verrà occupata una porzione di territorio indicativamente pari a circa 50.000 metri quadrati, attualmente inutilizzata e per la costruzione delle opere a terra si prevedono lo svolgimento di diverse attività tra le quali la rimozione della parte superficiale di suolo fino a 150/300 metri di profondità al di sotto del livello del terreno, eseguito con mezzi meccanici (scotico) e lo scavo generale di sbancamento eseguito 37 con mezzi meccanici, scavi e riporti per la formazione delle piazzole dei serbatoi, per le adiacenti pipeways, per le strade ed i piazzali; nel sopracitato parere della CTVIA è specificato che il quantitativo di terreno movimentato per le attività on-shore, stimato in circa 666.300 metri cubi, è dovuto principalmente alla scelta progettuale di collocare la base dei nuovi serbatoi di stoccaggio a quota 4,5 metri sul livello del mare, al fine di garantire un'altezza massima delle strutture pari a circa 20,5 metri sul livello del mare ed inoltre si specifica che in alcune delle aree dove verranno realizzate le nuove installazioni sono presenti punti limitati (hot spot), ove è stata individuata la necessità di procedere all'asporto e smaltimento di circa 600 metri cubi di terreno risultato non idoneo per il riutilizzo e si specifica che tali attività dovranno essere prioritarie alla esecuzione degli interventi in questione e si aggiunge: «valutato che gli interventi previsti dal progetto Tempa Rossa non interferiscono con le operazioni di bonifica in atto e da attuare nel Sito di Interesse Nazionale di Taranto»; il decreto VIA indica, con la prescrizione di cui all'articolo 1, n. 3, «Aree SIN – i lavori previsti dal progetto potranno avere inizio soltanto dopo la conclusione della procedura di caratterizzazione ed eventuale bonifica delle aree a mare e a terra direttamente interessate, nel quadro delle indicazioni e degli obblighi dettati dal DM 26.2.2003 del MATTM e sulla base di quanto eventualmente specificato e prescritto al riguardo in sede di Conferenza dei Servizi dalla Direzione Generale per la Tutela del Territorio e delle Risorse Idriche. Qualora fosse necessaria la bonifica, la procedura in questione si riterrà conclusa – e quindi i lavori potranno essere iniziati – soltanto in presenza di Certificazione di Avvenuta Bonifica da parte dell'Autorità Competente, relativamente alla totalità delle aree oggetto dell'intervento»; gli esiti dell'integrazione di caratterizzazione effettuata nel 2011 hanno evidenziato un incremento dei quantitativi di terreno contaminato inizialmente previsti, da 650 metri cubi a 30.000 metri cubi e, pertanto, tali volumi rientrano comunque nel computo totale delle terre da movimentare nell'ambito del progetto Tempa Rossa e vanno conseguentemente a ridurre i quantitativi di terre e rocce conformi alle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC), quindi pulite ed idonee per il riutilizzo; in data 3 aprile 2014 nell'ambito dello stesso progetto «Adeguamento delle strutture della Raffineria di Taranto per lo stoccaggio e la movimentazione del greggio proveniente dal giacimento denominato Tempa Rossa» in merito al «Piano di Utilizzo terre e rocce da scavo ai sensi del DM 10 agosto 2012, n. 161» è stata presentata dal proponente istanza di verifica di assoggettabilità alla procedura di valutazione di impatto ambientale e nello studio preliminare ambientale il proponente ha previsto la realizzazione di uno scavo unico per tutta l'area, cioè uno scavo contestuale delle terre contaminate e di quelle non contaminate; 38 con nota DVA-2014-0019907 del 26 ottobre 2014 la direzione generale per le valutazioni ambientali ha disposto reclusione della procedura di valutazione di impatto ambientale del progetto «Variante Piano di Gestione terra e rocce da scavo - Raffineria di Taranto, progetto “Tempa Rossa”»; a detta degli interroganti il parere favorevole espresso con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare DVA-573 del 21 ottobre 2011 al «Progetto di adeguamento delle strutture della Raffineria di Taranto per lo stoccaggio e la movimentazione del greggio proveniente dal giacimento denominato Tempa Rossa» non è stato inclusivo del reale stato di contaminazione dei suoli; sono dunque state avanzate due distinte istanze per valutare il «Progetto di adeguamento delle strutture della Raffineria di Taranto per lo stoccaggio la movimentazione del greggio proveniente dal giacimento denominato Tempa Rossa», la prima di valutazione d'impatto ambientale presentata dalla società ENI Spa in data 15 aprile 2010 e una seconda richiesta dello stesso proponente di assoggettabilità a VIA di solo una parte riguardante il medesimo progetto, presentata il 3 aprile 2014, entrambe riconducibili ad un unico programma imprenditoriale, con la evidente conseguenza, a detta degli interroganti che risulta imprescindibile, nell'analisi dell'opera soggetta a VIA, tenere conto dei cosiddetti impatti cumulativi; l'articolo 5, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 152 del 2006 definisce l'impatto ambientale come «l'alterazione qualitativa e/o quantitativa, diretta ed indiretta, a breve e a lungo termine, permanente e temporanea, singola e cumulativa, positiva e negativa dell'ambiente, inteso come sistema di relazioni fra i fattori antropici, naturalistici, chimico-fisici, climatici, paesaggistici, architettonici, culturali, agricoli ed economici in conseguenza dell'attuazione sul territorio di piani o programmi o di progetti nelle diverse fasi della loro realizzazione, gestione e dismissione, nonché di eventuali malfunzionamenti»; la sentenza del TAR Lecce n. 01341/2011 in merito a diverse istanze di valutazione di impatto ambientale riconducibili ad un unico progetto imprenditoriale afferma che: «pur a fronte di una pluralità di procedimenti amministrativi messi in moto dall'imprenditore, l'organo preposto a compiere la valutazione di impatto ambientale ha il preciso dovere di operarne la reductio ad unitatem, specie in presenza di elementi sintomatici della unicità di intervento»; la sentenza del Consiglio Stato, sezione V, 16 giugno 2009 , n. 3849 sentenzia che «La procedura relativa alla valutazione di impatto ambientale non può essere elusa a mezzo di un riferimento a realizzazioni o interventi parziali, caratteristici nelle opere da realizzarsi per “tronchi” o “lotti”»; sembrerebbe che gli interventi che si effettueranno per il progetto interferiscano con le operazioni di bonifica in atto e da attuare nel sito di interesse nazionale di Taranto; 39 a detta degli interroganti i decreti emanati dovrebbero essere annullati e si dovrebbe ripetere la valutazione di impatto ambientale in modo che comprenda tutti i fattori espressi nei due distinti procedimenti –: se il Ministro condivida quanto espresso dagli interroganti in premessa e, se intenda annullare i due provvedimenti di esito favorevole alla valutazione di impatto ambientale predisponendo una nuova valutazione d'impatto ambientale unitaria. (5-03647) Interrogazione a risposta scritta: sulla pubblicazione del valore dei cosiddetti certificati di immissione al consumo dei biocarburanti REALACCI (PD) — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che: il decreto interministeriale del 5 dicembre 2013, concertato con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e con il Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, stabilisce le modalità di incentivazione per il biometano immesso nella rete dei gasdotti, in particolare nel caso dell'uso del biometano come metano per autotrazione e per il suo uso in impianti di cogenerazione ad alto rendimento, con la finalità di promuovere lo sviluppo di tale risorsa energetica; come lamentano numerosi soggetti interessati del comparto biometano, in particolare il coordinamento Free – Fonti rinnovabili ed efficienza energetica – tale disposizione non risulta aver ancora trovato attuazione; appare necessario rendere pubblico il valore dei cosiddetti certificati di immissione al consumo dei biocarburanti. Al valore di tali certificati è infatti legato il livello di incentivazione del biometano impiegato come carburante per autotrazione –: se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, intendano assumere ogni iniziativa perché tale disciplina trovi pronta attuazione. (4-06162) 40 SENATO Mozione: sull'obiettivo del Governo di incrementare l'estrazione di idrocarburi dal mare e dal territorio italiani PETROCELLI e altri (M5S) - Il Senato, premesso che: nel documento di strategia energetica nazionale, approvata con decreto interministeriale il 14 marzo 2013, il Governo ha indicato di voler investire sulla produzione sostenibile di idrocarburi nazionali, "con un ritorno ai livelli degli anni novanta, nel rispetto dei più elevati standard ambientali e di sicurezza internazionali"; sul sostegno dello sviluppo industriale di un settore che "parte da una posizione di leadership internazionale, presente nei più importanti mercati mondiali, e che rappresenta un importante motore di investimenti ed occupazione"; in particolare, si pone l'obiettivo di incrementare l'estrazione di idrocarburi dal mare e dal territorio italiani portando il loro contributo dal 7 al 14 per cento del fabbisogno energetico, aumentando da qui al 2020 l'attuale produzione di gas del 46 per cento e di petrolio del 148 per cento, confermando una scelta, a giudizio dei proponenti decisamente insensata, perseguita anche dai precedenti Esecutivi; il Governo in carica, riportando numeri forniti da "Assomineraria", stimerebbe in 40.000 nuovi posti di lavoro l'indotto derivante dallo sfruttamento del greggio, mostrando di non sapere che si tratta di una fetta di mercato destinata ad esaurirsi in pochi anni e di non conoscere i dati occupazionali attuali del settore. Il report presentato a Potenza, nel settembre 2013, dall'Osservatorio industria della Cgil Basilicata, intitolato "Il lavoro nelle aziende dell'indotto ENI della Val d'Agri (Basilicata): caratteristiche occupazionali, condizioni di lavoro e livelli salariali", mostra che le unità lavorative assunte direttamente dall'Eni sono al 2013 solo 314 al Centro oli di Viggiano (COVA), una struttura di 18 ettari con 5 linee di raffinazione, e appena 350 al Distretto meridionale (Di.Me). Circa 400 sono i lavoratori stabilmente occupati nell'indotto; secondo le ultime stime del Ministero dello sviluppo economico, le riserve ammontano a 76 Mt (milioni di tonnellate) di petrolio e a 50 Mtep (milioni di tonnellate di petrolio equivalente) di gas, a fronte di un consumo annuo nel nostro Paese rispettivamente di 71 Mt di petrolio e 64 Mtep di gas. Tali risorse coprirebbero quindi il fabbisogno nazionale di poco più di un anno per il petrolio e di 41 soli 9 mesi per il gas. Nel suo rapporto annuale 2012, la Direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche scrive: "Il rapporto fra le sole riserve certe e la produzione annuale media degli ultimi cinque anni, indica uno scenario di sviluppo articolato in 7,2 anni per il gas e 14 per l'olio", considerate le 133 concessioni di coltivazione di idrocarburi (gas e petrolio) sulla terraferma e le 68 concessioni nel sottofondo marino, e i 94 permessi di ricerca sulla terraferma e i 21 in mare; a conferma di ciò, occorre aggiungere che anche un'analisi dell'Aspo-Italia, la sezione italiana dell'associazione scientifica Aspo (Association for the study of peak oil), realizzata nel 2012, a seguito delle dichiarazioni del Ministro pro tempore dello sviluppo economico Corrado Passera sulle ingenti risorse nostrane di gas e petrolio, dimostra, al contrario, l'esiguità delle medesime risorse. Secondo l'Aspo-Italia, infatti, sulla base dei dati ministeriali, a fine dicembre 2010, le riserve ammontavano a un massimo di 103 miliardi di metri cubi di gas naturale e 187 milioni di tonnellate di petrolio, sommando tutte le diverse tipologie di riserve: certe, probabili e possibili. In base ai consumi del Paese, tali riserve corrisponderebbero, alla fine, a circa i 3 quarti del fabbisogno di un solo anno; se si considerano solo i consumi diretti di petrolio e gas annui, secondo Aspo, è possibile affermare che il fabbisogno nazionale è di circa 75 miliardi di metri cubi all'anno di metano, per cui i 66 miliardi non equivalgono nemmeno al consumo di un solo anno. Se si volesse coprire il fabbisogno al 20 per cento si avrebbero solo 4 anni di autonomia. Per il petrolio che l'Italia consuma, cioè circa 80 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio all'anno, le stime sono ugualmente deludenti; le quantità non rilevanti di petrolio presenti nel sottosuolo italiano sono confermate anche dal quadro delle riserve provate di idrocarburi pubblicato dalla "BP statistical review 2013". Secondo quanto emerge dai dati riportati nella sezione 4 "Riserve, consumi e produzione di idrocarburi in Italia in Mtepa", le riserve italiane di gas naturale ammontavano nel 2012 a 55 miliardi di metri cubi, equivalenti a 47,8 Mtep. Le riserve provate di petrolio riportate nella stessa review ammontano a 1,4 miliardi di barili (pari a 186 Mtep). Una quantità considerevole, ma sempre piccola se confrontata con i consumi del Paese; al tasso di produzione attuale, pari a circa 12 Mtep per anno, le riserve si esaurirebbero in 19 anni circa. Se si raddoppiasse il tasso annuo di estrazione, così come dichiara di voler fare il Governo, la durata si dimezzerebbe, senza consentire, appunto, ulteriori guadagni in termini di gettito fiscale per le casse dello Stato; di fronte a tali considerazioni, che inequivocabilmente dimostrano l 'esiguità delle riserve del sottosuolo italiano, l'argomento delle compagnie petrolifere per giustificare il raddoppio delle estrazioni è la "crescita delle riserve". A riguardo, è necessario segnalare che secondo l'evoluzione storica della consistenza delle riserve provate di gas italiano, dal 1980 al 2012, in migliaia di 42 miliardi di metri cubi (trilioni di metri cubi), dette riserve sono stazionarie da 5 anni e corrispondono a meno del 40 per cento di quelle del 1980; occorre inoltre considerare le questioni legate all'effettiva possibilità di estrarre il 100 per cento delle riserve dichiarate. Come noto, solo in parte le riserve provate sono economicamente estraibili; tali dati dimostrano l'assoluta insensatezza del rilancio delle attività estrattive che il Governo persegue attraverso le disposizioni contenute all'art. 38 del decreto-legge n. 133 del 2014 ("sblocca Italia"). Per le attività di prospezione, ricerca e coltivazione finalizzate all'estrazione di gas e petrolio basterà, d'ora in poi, una concessione unica della durata di 30 anni, 10 in più rispetto alla normativa precedente. Inoltre, viene accentrato il potere autorizzativo per la valutazione di impatto ambientale dei progetti con un passaggio dalle Regioni al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; occorre, dunque, fermare la "deriva petrolifera" che sta interessando il nostro Paese. È nell'interesse generale del Paese e di gran parte dei settori economici, promuovere, invece, una rivoluzione energetica, garantendo uno sviluppo futuro più sostenibile e duraturo, ridando voce e possibilità di scelta ai territori e alle popolazioni interessate dalle richieste di estrazioni avanzate dalle compagnie petrolifere. Inoltre, gran parte delle richieste di ricerca ed estrazione di idrocarburi, attualmente in fase di valutazione, provengono da compagnie straniere, la cui attività non porterà alcun beneficio all'economia nazionale, tenuto conto anche che, come accade per il petrolio estratto dalla concessione val d'Agri in quota Shell, o come accadrà per quello che la Total estrarrà dal pozzo Tempa Rossa della concessione di coltivazione Gorgoglione, la raffinazione e la vendita avvengono con un prezzo calcolato in franco frontiera, dunque tassato all'estero e non nella zona di estrazione italiana; considerato che: la "regione mediterranea" costituisce un ambiente naturale e culturale unico al mondo la cui prosperità dipende dalla salvaguardia e dalla valorizzazione delle sue risorse naturali e dall'importanza delle attività turistiche, della pesca e di quelle agricole. Nel mar Mediterraneo transita il 30 per cento del traffico merci marittimo internazionale e il 20-25 per cento del petrolio trasportato via mare, e la quantità di catrame pelagico è la più alta del mondo, 38 milligrammi a metro cubo; le attività di perforazione e produzione di petrolio dal fondo marino contribuiscono almeno per il 2 per cento all'inquinamento marino. Non si ravvisa, quindi, alcuna necessità di promuovere attività che accrescono i rischi di inquinamento del bacino del Mediterraneo, quali lo sviluppo di pericolosi ed inopportuni nuovi progetti di perforazione offshore; 43 vi sono zone di pregio marine e costiere che continuano a subire la minaccia del rischio di inquinamento marino derivante dalle attività di esplorazione e perforazione (quali ad esempio l'utilizzo della tecnica airgun, che espone ad elevati rischi i mammiferi marini, e di fanghi e fluidi perforanti, nonché il rilascio delle acque di produzione) e da incidenti per le piattaforme offshore, come ha dimostrato il caso della piattaforma Deepwater horizon del 2010 nel golfo del Messico; anche nella deliberazione n. 71/2014/PRS della sezione regionale di controllo per la Basilicata della Corte dei conti si evidenzia, a pag. 31, che «la profondità dei pozzi, considerate le metodologie di estrazione, ha inevitabili riflessi sull'ambiente»; sempre a pag. 31, la delibera della Corte dei conti soffermandosi anche sui fanghi e i fluidi perforanti afferma che: «In un recente articolo apparso sul "Quotidiano di Basilicata" (9 gennaio 2012) una Docente di Fisica presso l'Università di California U.S.A, poneva in evidenza come "La prima fase di lavorazione necessita di fanghi e fluidi perforanti (altamente tossici) che permettono di lubrificare la trivella e cementificare il pozzo. Questi fanghi" continua l'articolo "sono composti da oltre 500 sostanze. L'iniezione di tali fanghi, durante la fase di perforazione e di tutta l'esistenza del pozzo stesso, libera nel terreno circostante quanto nelle falde acquifere sostanze tossiche altamente inquinanti. Questi fanghi e fluidi necessitano di una fase di smaltimento complicata e molto onerosa… Le compagnie petrolifere non dichiarano i componenti di questi fanghi, ma alcuni studi hanno ritrovato tracce di sostanze radioattive"»; un «attento e costante monitoraggio dei fanghi esausti rappresenta un punto di fondamentale importanza per la tutela ambientale e per la tutela della salute pubblica» a giudizio della Corte dei conti; la tutela dell'ecosistema del mar Mediterraneo rientra tra gli obiettivi della Convenzione di Barcellona. L'Italia ha ratificato la convenzione nel 1979, sottoscrivendone i successivi emendamenti che sono poi entrati in vigore nel 2004. Il nome attuale della convenzione è "Convenzione per la protezione dell'ambiente marino e della regione costiera del Mediterraneo" ed ha dato luogo a 7 protocolli. In particolare, il protocollo "offshore " per la protezione del mar Mediterraneo contro l'inquinamento derivante da esplorazione e sfruttamento della piattaforma continentale, del fondale marino e del relativo sottosuolo, non è ancora stato ratificato; l'ultima pericolosa falla nella rete di protezione delle coste italiane dai rischi di incidente da estrazione petrolifera è stata aperta dall'articolo 35 del decreto-legge n. 83 del 2012, recante "Misure urgenti per la crescita del Paese", convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, in base al quale sono ripartiti tutti i procedimenti autorizzatori per la prospezione, ricerca ed estrazione di petrolio che erano stati bloccati dal decreto legislativo n. 128 del 2010; 44 da anni, inoltre, sono noti ed indagati gli effetti antropici dell'estrazione di idrocarburi sulla subsidenza, cioè l'abbassamento del suolo indotto dall'estrazione di fluidi dal sottosuolo, e sulla correlazione tra estrazioni e sismicità delle aree interessate; nel 2013, l'ordine nazionale dei geologi ha avviato degli studi per approfondire la correlazione tra estrazione di idrocarburi e sismicità indotta, temi che in altri Paesi in cui insistono attività estrattive sono stati trattati in maniera estremamente approfondita, giungendo anche all'emanazione di apposite normative al riguardo. L'interrogativo emerso tra gli studiosi e la popolazione è come le attività umane possano aver influito sugli effetti del terremoto, amplificandone i danni o la portata; in un documento redatto dal Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri a seguito del verificarsi del terremoto in Emilia-Romagna, si evidenzia come, ad esempio, il fenomeno della subsidenza potrebbe aver indebolito la struttura geologica del terreno, amplificando quindi i danni agli edifici in occasione dell'evento sismico del 2012; il dirigente di ricerca dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) ha dichiarato, in un'intervista pubblicata sul sito "QualEnergia", nel 2012, che: «Ci sono numerosi studi che documentano la sismicità indotta dalle operazioni petrolifere, geotermiche e persino dal variare del livello dell'acqua nei bacini idroelettrici. (...) Noi sismologi auspicheremmo sicuramente una maggiore trasparenza da parte delle società petrolifere, ma anche da quelle che si occupano di geotermia, che oggi tengono in gran parte riservati, considerandoli parte del loro capitale, i dati delle loro prospezioni geofisiche e delle loro attività di estrazione e reiniezione di fluidi, dati che ci sarebbero preziosi anche per valutare la connessione fra queste attività e la sismicità»; in particolare, sul sito dell'Ingv, sede Irpinia, si legge che: «La Val d'Agri è una delle aree italiane a maggiore potenziale sismogenetico. Il recente sviluppo urbanistico, in particolare nella parte alta della valle (Villa d'Agri, Viggiano), e la presenza di infrastrutture legate all'attività di estrazione e raffinazione di idrocarburi, contribuiscono ad accrescere il rischio sismico dell'area, che è già stata colpita da un terremoto distruttivo nel 1857»; secondo i dati dell'Unmig (Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse), a fine agosto 2013 in Basilicata erano attive 21 concessioni di coltivazione di idrocarburi in terraferma (che occupano una superficie di oltre 2.000 chilometri quadrati), di cui 18 in provincia di Matera e 7 in provincia di Potenza (i titoli ricadenti in entrambe le province sono conteggiati una volta per ciascuna). Nella regione sono vigenti anche 11 permessi di ricerca (per una superficie di quasi 1.500 chilometri quadrati) e una concessione di stoccaggio. Le istanze per il conferimento di nuovi permessi di ricerca sono 18 e sono riferibili ad una superficie di oltre 3.000 chilometri quadrati; il giacimento petrolifero della val d'Agri copre il 6 per cento del fabbisogno nazionale, che, nel memorandum d'intesa Stato-Regione Basilicata siglato il 29 aprile 2011, si presume di incrementare 45 al 10 per cento nel 2015 quando entrerà in produzione il giacimento Tempa Rossa della concessione di coltivazione Gorgoglione. Con riferimento alla concessione principale, quella della val d'Agri, nel sito web dell'Osservatorio ambientale val d'Agri, viene ricordato che lo sviluppo dell'attività petrolifera in tale zona è iniziato negli anni '90 con il rilascio all'Agip, da parte dell'allora Ministero dell'industria, delle concessioni di coltivazione Grumento Nova (decreto del 9 ottobre 1990), Caldarosa (decreto del 15 luglio 1991) e Volturino (decreto del 27 dicembre 1993) e con l'avvio, a Viggiano, nel 1996, della lavorazione del petrolio nel "Centro olio Monte Alpi", che nel 2001 è stato ampliato e denominato "Centro olio Val d'Agri" (COVA); nel corso del tempo le varie concessioni sono state accorpate più volte, fino ad arrivare, nel 2005, ad un'unica concessione denominata Val d'Agri. La nuova concessione, con scadenza fissata al 26 ottobre 2019, è intestata alle società ENI S.p.A. e Shell Italia E&P S.p.A., con quote rispettivamente del 66 e del 34 per cento. Nel 2011 è stato avviato l'ammodernamento del COVA ed approvato il nuovo programma di sviluppo della concessione Val d'Agri; l'area interessata dal titolo minerario riguarda un numero importante di comuni: Anzi, Abriola, Armento, Calvello, Corleto Perticara, Grumento nova, Laurenziana, Marsico nuovo, Marsicovetere, Moliterno, Montemurro, Paterno, San Chirico Raparo, San Martino d'Agri, Sarconi, Sasso di Castalda, Spinoso, Tramutola e Viggiano della provincia di Potenza. Nei limiti della concessione Val d'Agri ricadono aree comprese nel parco nazionale appennino-lucano val d'Agri lagonegrese nonché alcuni siti di interesse comunitario (SIC) e zone di interesse speciale (ZPS). Relativamente al parco nazionale della val d'Agri occorre inoltre ricordare che il decreto del Presidente della Repubblica 8 dicembre 2007 ("Istituzione del parco dell'Appennino Lucano - Val d'AgriLagonegrese") all'art. 3 dell'Allegato A dispone che sono vietate su tutto il territorio del parco, tra le altre, le attività "di estrazione e di ricerca di idrocarburi liquidi e relative infrastrutture tecnologiche" (lettera n) dell'art. 3); considerato, inoltre, che: allo stato attuale, la produzione italiana di petrolio equivale allo 0,1 per cento del prodotto globale e il nostro Paese è al 49° posto tra i produttori. Invece, nonostante i rischi e i possibili effetti devastanti sul territorio, le royalty in Italia sono tra le più basse del mondo: oltre alle tasse governative, le società che estraggono cedono solo il 4 per cento dei loro ricavi per le estrazioni in mare e il 10 per cento per quelle su terraferma. I dati relativi al regime fiscale concernente la produzione di petrolio e gas in altri Paesi europei mostra chiaramente il regime di favore per le compagnie petrolifere che vige nel nostro Paese; secondo quanto riportato nel rapporto annuale 2014 della Direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche, al 31 dicembre 2013, risultano vigenti sul territorio italiano: 115 permessi 46 di ricerca (di cui 94 in terraferma, e 21 in mare) e 200 concessioni di coltivazione (di cui 134 in terraferma e 66 in mare), con un'estensione delle aree impegnate dall'attività estrattiva in terraferma pari a 38.259 chilometri quadrati e di quelle interessate dall'attività di ricerca pari a 16.292,85 chilometri quadrati; nel corso dell'anno 2013, l'attività di perforazione ha interessato 22 postazioni, per un totale di 46.365 metri perforati. In dettaglio, 2 sono relative ad attività esplorative, mentre le restanti si riferiscono a: 5 pozzi di sviluppo, 7 workover su pozzi esistenti, 6 pozzi di stoccaggio e 2 pozzi di monitoraggio; a fronte dell'elevato numero di richieste, un solo ritrovamento di idrocarburi è stato effettuato nel corso dell'anno 2013 con il pozzo esplorativo Gradizza 001 perforato nel permesso di ricerca La Prospera in provincia di Ferrara; secondo i dati dell'ultimo aggiornamento della Direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche, alla data del 31 agosto 2014, sono vigenti: 91 permessi di ricerca in terraferma e 22 permessi di ricerca nel sottofondo marino; 119 concessioni di coltivazione in terraferma; 68 concessioni di coltivazione nel sottofondo marino; 15 concessioni di stoccaggio in terraferma; in termini di gettito derivante dalle royalty, gli importi complessivamente corrisposti nel corso dell'anno 2013 sono stati pari a circa 419 milioni di euro. All'esiguità delle royalty onshore (10 per cento per produzione di gas e greggio, con franchigie rispettive di 25 miliardi di standard metri cubi e 20.000 tonnellate) e offshore (7 per cento greggio e 10 per cento gas, con franchigie di 50.000 tonnellate e 50 miliardi di standard metri cubi), occorre tener presente che le società minerarie pagano per la presentazione di un'istanza per esplorazione e produzione, appena lo 0,05 per cento del valore delle opere da realizzare con un minimo di 2.500 euro; rilevato che: l'articolo 18 del decreto legislativo n. 625 del 1996, sui canoni annui per i permessi di prospezione e di ricerca e le concessioni di coltivazione e di stoccaggio di idrocarburi conferiti in Italia, prevede a chilometri quadrati di territorio occupato dalle trivelle, appena, 3,40 euro per il permesso di prospezione, 6,82 euro per quello di ricerca, 13,61 per il permesso di ricerca in prima proroga, 27,23 in seconda proroga, 54,48 euro per quello di coltivazione, 81,71 per coltivazione in proroga, per un totale complessivo di 200,86 euro per chilometri quadrati di aree concesse; in Norvegia quasi l'80 per cento del ricavato dell'industria petrolifera viene riscosso dallo Stato. Il regime fiscale prevede un'imposta sul reddito del 28 per cento che si aggiunge ad un'imposta speciale petrolifera del 50 per cento (l'aliquota complessiva è pertanto del 78 per cento). L'elevato livello della tassazione, unito agli alti costi di estrazione al largo, fa sì che soltanto i giacimenti più grandi siano attrattivi per gli operatori, evitando, quindi, trivellazioni poco redditizie che devastano 47 il territorio. È previsto un periodo relativamente breve (6 anni) per l'ammortamento delle spese. Oltre che con le imposte dirette, la Norvegia introita risorse dai propri giacimenti tramite partecipazioni dello Stato; la Norvegia richiede 7.700 euro per il rilascio della licenza: per la presentazione delle istanze il costo è di 3.850 euro per chilometro quadrato per il primo anno e 15.400 euro a chilometro quadrato negli anni successivi; inoltre, secondo quanto emerge dai documenti pubblicati dalla professoressa Maria Rita D'Orsogna, del CSUN di Los Angeles, sulle industrie petrolifere pesa in Norvegia anche una tassa sulle emissioni di rifiuti tossici, introdotta nel 1991, pari a circa 50 euro alla tonnellata di anidride carbonica emessa e di 2.000 euro alla tonnellata di ossido di ozono emesso, a cui occorre aggiungere circa 40 euro alla tonnellata di anidride carbonica da pagare in base alla normativa di contrasto all'effetto serra (per un totale nel 2010 di un miliardo di euro finito nelle casse statali solo grazie alla legge sulle emissioni); in Gran Bretagna esiste una tassa specifica sugli introiti petroliferi (PRT, Petroleum revenue tax), pagata da un gruppo di giacimenti (più vecchi) che sono tassati con una aliquota effettiva del 75 per cento dei profitti (cosiddetta PRT). La PRT, fissata attualmente al 50 per cento, è stata abolita dal 16 marzo 1993 per i giacimenti sviluppati dopo tale data. I giacimenti sviluppati dopo il 1993 sono quindi esentati dal sistema e pagavano inizialmente un'imposta sul reddito societario del 30 per cento. Nel 2002, è stato posto a loro carico un ulteriore addebito del 10 per cento, incrementato nel 2006 sino al 20 per cento, portando pertanto la tassazione effettiva al 50 per cento; valutato che: in Italia la rendita mineraria è in parte prelevata dallo Stato attraverso un insieme di strumenti che comprendono la tassazione, le royalty, i canoni e le partecipazioni alla produzione. Le royalty sono, dunque, solo una parte del complesso sistema di tassazione su cui si può articolare il prelievo statale sulla rendita mineraria; il regime fiscale a cui sono sottoposte le imprese operanti in Italia nel settore degli idrocarburi consta principalmente di 2 imposte, una di natura statale, l'IRES, imposta sui redditi delle società, e una di natura regionale, l'IRAP, imposta regionale sulle attività produttive. Sulle attività nel settore petrolifero e del gas pesa, oltre alla percentuale di tassazione IRES, un'addizionale introdotta nel 2008 con il decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, la "Robin Hood tax". L'aliquota, fissata in origine al 5,5 per cento e successivamente elevata al 6,5 per cento (articolo 56, comma 3, della legge n. 99 del 2009), è stata poi innalzata al 10,5 per cento per i periodi di imposta dal 2011 al 2013 (articolo 7, comma 3, del decreto-legge n. 138 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 148 del 2011); 48 in Italia, secondo i dati diffusi da Nomisma energia, le entrate da royalty per lo Stato, in parte trasferite alle Regioni coinvolte da attività E&P, hanno mantenuto un trend crescente nell'ultimo decennio, fino a raggiungere oltre 200 milioni di euro nel 2010; è evidente, quindi, che, rispetto al dato diffuso da Nomisma energia per il 2010, se in Italia fossero previste delle royalty più elevate, pari, a solo titolo di esempio, al 50 per cento, a livello nazionale, vi sarebbe stato un gettito di circa 1,5 milioni di euro, e se i canoni per la prospezione, ricerca, coltivazione e stoccaggio di idrocarburi fossero meno irrisori e si procedesse ad un loro aggiornamento, le compagnie operanti nel mercato del petrolio e del gas verserebbero allo Stato cifre maggiori, ma soprattutto più adeguate agli effetti che tali attività hanno sui territori coinvolti; occorre aggiungere, inoltre, che occorrerebbe eliminare le esenzioni previste per i concessionari. L'aliquota di prodotto della coltivazione che gli operatori corrispondono allo Stato, alle Regioni ed ai Comuni è determinata infatti solo per i quantitativi che in ogni concessione superano una certa soglia di produzione. Nell'attuale situazione produttiva italiana circa il 30 per cento della produzione di gas ed il 7 per cento della produzione di idrocarburi liquidi è esente dal pagamento di royalty, impegna il Governo: 1) a rivedere integralmente la strategia politica sinora perseguita, e riconfermata nel decreto-legge "sblocca Italia", volta all'incremento della produzione di idrocarburi e alla semplificazione dell'iter di presentazione delle istanze per il conferimento dei permessi e delle concessioni e finalizzata ad aumentare il gettito fiscale; 2) a valutare attentamente, nell'ambito delle misure volte all'incremento delle attività estrattive, i costi in termini sanitari ed ambientali di una politica energetica fondata sulle trivellazioni in mare e sulla terraferma; 3) a garantire la massima attenzione nel corso delle valutazioni di impatto ambientale ai rischi per i cittadini residenti nelle aree territoriali interessate; 4) ad aumentare i costi per la presentazione delle istanze per l'esplorazione e la produzione di idrocarburi, dallo 0,05 allo 0,1 per cento del valore delle opere da realizzare; 5) ad aggiornare i canoni annui di cui all'articolo 18 del decreto legislativo n. 625 del 1996, attualmente non commisurati agli standard internazionali e ai regimi vigenti negli altri Paesi europei, adeguandoli a quelli norvegesi; 6) ad adottare misure di carattere normativo volte a disincentivare operazioni speculative da parte delle compagnie operanti nel settore degli idrocarburi, anche attraverso la previsione di sanzioni pecuniarie per le concessioni non utilizzate dopo 3 anni dal rilascio e il ritiro dei permessi in caso di reiterato non avvio dell'attività estrattiva; 49 7) ad introdurre una specifica tassazione sulle emissioni di rifiuti tossici derivanti da attività estrattive nel settore degli idrocarburi, nonché ad applicare alle imprese operanti nel settore la disciplina di contrasto all'effetto serra; 8) a procedere con urgenza alla definizione, condivisa e trasparente, di una strategia energetica nazionale che non si fondi sulle fonti fossili, disponendo la sospensione delle attività di coltivazione di idrocarburi liquidi entro le 12 miglia dalle linee di costa e dalle aree marine e costiere protette di cui all'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo n. 152 del 2006, così come modificato dall'articolo 35 del decreto-legge n. 83 del 2012, e che promuova le fonti rinnovabili e l'efficienza energetica, in vista del raggiungimento degli obiettivi europei; 9) ad assumere ogni opportuna iniziativa idonea a garantire la tutela dell'equilibrio biologico dell'ambiente marino in cui insistono attività estrattive, monitorando costantemente che non vi siano rischi di sversamenti in mare di idrocarburi collegati alle medesime attività, al fine di evitare effetti negativi sul sistema economico-occupazionale delle aree coinvolte, in particolare sui settori della pesca e del turismo. (1-00310) Interrogazione a risposta scritta: sulla tutela dei piccoli gestori di stazioni di servizio, sulla revisione dell'attuale regime di imposizione fiscale e sulla concertazione di un livellamento dei prezzi del carburante COMAROLI (LN) - Al Ministro dello sviluppo economico - Premesso che: il settore dei gestori di stazioni di servizio, già gravato da anni di difficoltà economiche dovute alla riduzione dei consumi causata dalla crisi economica, ha visto negli ultimi anni un crollo del 17 per cento, di cui due terzi sono da ricondurre all'aumento della fiscalità intervenuto sulle accise e sull'aliquota IVA, che, in Italia, è mediamente superiore di 24-25 centesimi al litro rispetto alla media europea, ponendo così il nostro Paese al vertice della classifica negativa dei prezzi più alti di tutta l'Unione; la già forte fiscalità a cui è sottoposto questo settore, che ha subito incrementi record delle accise che in meno di 3 anni sono state ritoccate al rialzo per ben 5 volte, arrivando ad aumentare di quasi il 46 per cento sul gasolio, del 29 sulla benzina e del 17 per cento sul gpl, ha "cannibalizzato" molti piccoli gestori che sono stati costretti a ritirarsi dal mercato; l'aumento combinato dell'IVA nell'ottobre 2013 e gli ultimi interventi sulle accise (di cui la legge di stabilità per il 2013 aveva stabilito l'aumento, ulteriormente innalzato dal 1° marzo 2014 per effetto 50 del decreto-legge n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 98 del 2013), se, da un lato, ha determinato una spesa di 22 miliardi di euro in più per gli italiani, dall'altro, ha contribuito a far flettere ancora più verso in basso i consumi, facendo registrare, nel 2013, un calo del 5,4 per cento rispetto al 2012 e un calo del 3,6 per cento nei primi 4 mesi del 2014 rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, con una continua e significativa contrazione dell'erogato medio (con una diminuzione del 6,5 per cento in un anno, per un totale pari al 18 per cento negli ultimi 7 anni) e assottigliando ancora di più il margine di guadagno, ormai sceso sotto il 2 per cento del prezzo finale; a fronte di una minore crescita industriale del prezzo della benzina rispetto agli altri Paesi europei (con un aumento del 91,6 contro il 99,3 della Francia, il 107,7 della Germania, il 104,9 della Spagna, il 145,7 della Gran Bretagna), nel nostro Paese, gli aumenti del prezzo alla vendita, a causa dell'imposizione fiscale, è salito del 56,5 per cento rispetto al 2009, contro il 35,5 della Francia, il 35 della Germania, il 62,1 della Spagna e il 67,9 della Gran Bretagna (questi ultimi 2 Paesi, sebbene abbiano avuto incrementi più alti, presentano comunque prezzi alla pompa abbondantemente inferiori), registrando un livello medio sensibilmente più alto: 1,74 euro contro 1,49 in Francia, 1,55 in Germania, 1,40 in Spagna, 1,61 euro in Gran Bretagna; parimenti, sul gasolio, a fronte dell'1,61 euro italiano in media, in Francia si rileva un prezzo alla pompa di 1,29 euro, in Germania di 1,36, in Spagna di 1,31, con un incremento dei prezzi, nel periodo 2009-2014, del 53,8 per cento, rispetto all'incremento in Francia, Germania, Spagna e Gran Bretagna rispettivamente del 29,4 per cento, 25,6, 50,3 e 52,5 per cento; nonostante gli aumenti di prezzo del nostro Paese siano ascrivibili alla tassazione più alta d'Europa (1,04 euro contro lo 0,86 in Francia, lo 0,90 Germania, lo 0,70 in Spagna e lo 0,99 in Gran Bretagna), un tale regime di pressione fiscale, determinando il conseguente caro benzina (e gasolio) più alto d'Europa, sta diventando talmente insostenibile da causare contrazioni allo stesso gettito per le casse dello Stato che, nel 2013, ha ottenuto risorse pari a circa 17,9 miliardi di euro, 161 milioni in meno rispetto al 2012; l'osservatorio Confesercenti e la Confcommercio denunciano già da tempo come questa crisi dei consumi interni, combinata con l'incremento record dell'imposizione fiscale, stia spazzando via i gestori degli impianti stradali di distribuzione carburanti che all'inizio del 2013 contavano già 700 unità in meno rispetto all'anno precedente; il presidente della Federazione autonoma italiana benzinai ha più volte dichiarato agli organi di stampa che la persistente situazione di difficoltà in cui versano i gestori ha non soltanto spinto molti impianti storici alla chiusura, ma ha anche aumentato l'esposizione debitoria della categoria del 50 per cento, contando 11.000 gestori che hanno accumulato debiti per mezzo miliardo di euro; 51 i prezzi più bassi che le aziende petrolifere applicano per alcuni operatori di mercato, quali grandi distribuzioni e "pompe bianche" (i distributori "no logo" slegati dalle principali insegne petrolifere che possono comprare benzina a prezzi di mercato senza seguire le tariffe imposte dai marchi tradizionali), ma non per i propri gestori, è il frutto di un premeditata discriminazione tra operatori attuata non su regole di mercato, ma sul progressivo abuso di dipendenza economica a cui i gestori sono sottoposti da inique regole contrattuali e dinamiche di mercato che, in questo settore, tutelano gli interessi forti delle aziende petrolifere; aggiungendosi alle cosiddette pompe bianche già diffusesi capillarmente sul territorio nazionale, raddoppiate nel numero tra il 2006 e il 2012, il progetto Enercoop, avviato nel novembre 2012 a Cantù con l'insediamento di una stazione di servizio con benzina verde, gasolio e metano, prevede l'installazione di mega stazioni di servizio in modalità "iperself" (pre pay automatizzato), che praticano prezzi sensibilmente più bassi da 10 fino a 16 centesimi di euro in meno rispetto ai normali gestori, i quali, invece, vendendo nella stessa modalità iperself riescono a praticare uno sconto di soli 8 centesimi, profumatamente pagato alle aziende petrolifere; la stessa Enercoop ha dichiarato alla stampa che "si rifornisce dai medesimi depositi e dalle medesime raffinerie dalle quali si riforniscono tutti gli altri marchi", in particolare da Eni, Yes e Tamoil, acquistando lo stesso prodotto che le aziende petrolifere vendono al gestore del proprio impianto di marchio ad un prezzo mediamente inferiore, con uno sconto di 18-20 centesimi al litro; tale pratica di differenziazione del prezzo operata dalle aziende petrolifere, oltre a non essere giustificata sul piano dei costi, ma anzi caricando questi ultimi sulla rete dei gestori, interviene sul mercato con uno strumento di forte discriminazione a favore di alcuni operatori e ad esclusivo discapito delle imprese di gestione tradizionali, vincolate peraltro all'acquisto in esclusiva dei prodotti; nel 2013 Coop Lombardia ha presentato domanda per la realizzazione di un progetto a firma Coop Lombardia e IGD, proprietari del centro commerciale "Gran Rondò" (Crema), che prevede, oltre all'ampliamento e all'implementazione dell'area, l'avvio di una stazione di carburanti a marchio Enercoop, mettendo in questo modo a rischio almeno 18 aziende nella sola città di Crema, oltre alle 20 che esercitano la stessa professione nel raggio di 15 chilometri, per un totale di 38 aziende, già penalizzate dal differenziale in negativo che caratterizza il cremasco rispetto a tutte le provincie limitrofe; alla luce di ciò, si rende necessario prevedere una nuova regolamentazione per la razionalizzazione e ristrutturazione del mercato, al fine di aiutare la ripresa economica di questo comparto economico e di tutelare la debole posizione dei piccoli gestori, che non hanno il potere di competere, poiché obbligati sul piano sia economico che contrattuale, di fronte all'abuso di posizione dominante delle 52 aziende petrolifere che attuano prezzi minori ai nuovi operatori entranti nel mercato, anziché ridurre il prezzo dei carburanti sulla propria rete, si chiede di sapere: quali provvedimenti il Ministro in indirizzo intenda adottare, in base alla proprie competenze, al fine di trovare una soluzione per una più adeguata ed efficace tutela dei piccoli gestori di stazioni di servizio che soffrono questa grave situazione di precarietà economica; quali interventi di competenza intenda proporre per rivedere l'attuale regime di imposizione fiscale con l'intento di livellare i prezzi del carburante imposti nel nostro Paese alla media dei prezzi praticati nei restanti Paesi dell'Unione europea; se intenda predisporre un tavolo di lavoro comune tra le aziende petrolifere e i rispettivi gestori al fine di concertare un livellamento dei prezzi tra quelli imposti per le pompe tradizionali e quelli super scontati offerti ai proprietari delle grandi distribuzioni. (4-02697) Interrogazione a risposta scritta: sulla realizzazione del gasdotto Trans Adriatic pipeline (TAP) CONSIGLIO (LN) - Al Ministro dello sviluppo economico - Premesso che: a seguito della firma da parte del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del decreto di compatibilità ambientale del progetto per la realizzazione del gasdotto Trans Adriatic pipeline (TAP), il 12 settembre 2014, si avvicina l'inizio dei lavori per la realizzazione di un'infrastruttura importantissima e di rilevanza strategica per l'approvvigionamento energetico del nostro Paese; il TAP che connetterà Italia e Grecia attraverso l'Albania, permettendo l'afflusso di gas naturale proveniente dalla zona del Caucaso, del mar Caspio (Azerbaigian) e, potenzialmente, del Medio oriente, trasporterà circa 10 miliardi di metri cubi all'anno di gas naturale, ma tale quantità è stata ritenuta insufficiente a creare un vero vantaggio per il mercato europeo di destinazione; a parere dell'interrogante i costi eccessivi rendono assolutamente impraticabile un raddoppio del TAP in tempi ragionevoli e economicamente vantaggiosi e ciò mette decisamente in discussione il tentativo europeo di slegarsi dalle forniture russe; inoltre, resta palese che l'importazione del gas attraverso il TAP terrà ancora l'Italia sotto un ricatto commerciale degli Stati esteri di estrazione del prodotto; 53 le politiche della realizzazione dei rigassificatori o meglio della dotazione del Paese di più punti di accesso di navi gasiere, visto che attualmente esistono delle navi attrezzate per la trasformazione a bordo del gas naturale liquefatto in gas sono attualmente ferme; peraltro, la filiera industriale petrolifera, ed in particolare tutte le industrie che gravitano attorno, tra ricerca di idrocarburi o importazione del prodotto e catena di distribuzione, restano in un limbo di difficoltà: si tratta di raffinerie, depositi, strutture portuali, che presentano enormi difficoltà per la lavorazione e la distribuzione dei prodotti a causa di strutture obsolete e inadeguate; l'alto rappresentante per gli affari esteri della UE, Federica Mogherini, ha recentemente riconosciuto la Russia non più un partner strategico per l'Unione e ciò induce a riflessioni e considerazioni su scenari diversi ed immediati con risvolti sulle risorse energetiche italiane; la strategia energetica nazionale, elaborata dal Ministro dello sviluppo economico e dal Ministro dell'ambiente (decreto interministeriale 8 marzo 2013) ed in particolare la nostra politica petrolifera deve quindi essere modificata e perfezionata, sulla base della strategia energetica europea, altrimenti il Paese rischia di restare nello stallo attuale, si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo intenda tenere conto degli scenari in via di sviluppo della strategia energetica europea e quali azioni intenda intraprendere per allineare la strategia energetica nazionale ed in particolare la politica della filiera petrolifera a quella europea. (4-02699) Interrogazione a risposta scritta: sul mancato investimento da parte di ENEL sulla riconversione a carbone della centrale di Porto Tolle (Rovigo) MUNERATO (LN) - Al Ministro dello sviluppo economico - Premesso che: l'amministrazione comunale di Porto Tolle (Rovigo) e i lavoratori della centrale termoelettrica ENEL e dell'indotto evidenziano da tempo le proprie preoccupazioni per il mancato investimento da parte di ENEL sulla riconversione a carbone della centrale; infatti, negli ultimi anni, in attesa dell'investimento, si è verificata una forte diminuzione della popolazione residente nel Polesine e la disoccupazione ha toccato percentuali elevatissime; a seguito della determinazione direttoriale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare DVADEC-2014-0000004 del 13 gennaio 2014 che, su conforme parere della commissione VIA e VAS, ha chiesto all'ENEL la documentazione necessaria per il riavvio del procedimento di valutazione di impatto ambientale del progetto di conversione a carbone della centrale di Porto 54 Tolle, con effetto della richiesta di integrazione documentale di pronunciamento interlocutorio negativo, ENEL sembra che abbia abbandonato il progetto; infatti, dalla lettura degli atti del Ministero si evince che anche il parere della commissione VIA e VAS e la conseguente determinazione direttoriale si basano sulle carenze della documentazione presentata da ENEL che non hanno reso possibile la conclusione dell'istruttoria di VIA ai fini dell'espressione del giudizio di compatibilità ambientale; non si comprendono i motivi dell'abbandono del progetto da parte di ENEL anche perché, in passato, ENEL ha sempre rassicurato il territorio sulle proprie intenzioni di continuare ad utilizzare la centrale riconvertendola a carbone, e tutte le autorità, locali, regionali e nazionali, hanno dichiarato il proprio interesse per l'intervento ritenendolo strategico per l'economia del Paese e per la diversificazione delle fonti di approvvigionamento per la produzione dell'energia elettrica; i cittadini del Polesine ed in particolare i lavoratori locali di ENEL e dell'indotto chiedono un impulso forte da parte del Governo per far ripartire l'economia locale provvedendo al rilancio del sito industriale o per la produzione di energia elettrica o per una riconversione industriale, scongiurando la risposta finale di ENEL di chiusura della centrale, come avvenuto per altri siti (centrale termoelettrica di Trino vercellese (Vercelli) e di Porto Marghera (Venezia) e deposito ILCO di Ravenna); nell'attesa della decisione finale sulla centrale, il Polesine ha tutte le caratteristiche per diventare o un polo trainante per la ricerca o un centro di energia rinnovabile, o un centro degli uffici ENEL, salvaguardando nell'immediato i livelli occupazionali presso il sito, si chiede di sapere quali provvedimenti urgenti di propria competenza il Ministro in indirizzo intenda adottare per il rilancio industriale del sito di Porto Tolle e per la salvaguardia, nell'immediato, dei livelli occupazionali, anche tenendo conto dei dati allarmanti sull'occupazione riportati dalla stampa che collocano oramai la provincia di Rovigo agli ultimi posti rispetto ad altre province del Veneto e di tutto il Paese. (4-02700) Interrogazione a risposta in 8a Commissione permanente sul progetto di un elettrodotto Terna tra Cordignano (Treviso) e Lienz in Austria PICCOLI (FI) - Ai Ministri dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare - Premesso che: già nel 2002 la stampa veneta (si veda un articolo pubblicato su "Il corriere delle Alpi" del 19 aprile 2002) aveva dato notizia della prossima realizzazione di un elettrodotto da 380 KV tra Cordignano 55 (Treviso) e Lienz (in Austria), che avrebbe interessato 21 comuni della provincia di Belluno e 4 in quella di Treviso, per un percorso nel territorio italiano di circa 80 chilometri. Dopo aver avviato tutte le procedure necessarie il gestore della rete di trasmissione nazionale, la GRTN SpA, che ha presentato il progetto, ha ottenuto da parte del Governo alcune semplificazioni degli iter amministrativi per accelerare la realizzazione dell'opera entro il 2006; l'elettrodotto, ad altissima tensione, rientra nelle tipologia di interventi in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici previsti dalla legge n. 443 del 2001 (cosiddetta legge obiettivo) la cui autorizzazione ai lavori spetta allo Stato, previa intesa con la Regione; il Consiglio regionale del Veneto ha approvato nel 2003 una risoluzione che impegna la Giunta regionale "a rendere parere negativo su ogni atto relativo alla realizzazione dell'elettrodotto (...) e ad intraprendere tutte le iniziative necessarie ad impedirne la realizzazione"; la realizzazione dell'opera ha incontrato la ferma opposizione dei Comuni di Mogliano Veneto, Preganziol, Casale sul Sile, Silea, Roncade, Monastier, San Biagio di Callalta, Ponte di Piave, Ormelle, Oderzo, Fontanelle, Gaiarine, Godega di Sant'Urbano, Orsago e Cordignano, che denunciano il non mitigabile degrado ambientale del loro territorio gravato dal tracciato in progetto, territorio estremamente sensibile e vulnerabile e quindi fortemente intriso di vincoli naturali di tipo geologico, idraulico e forestale; anche i Comuni di Cordignano, Sarmede, Fregona, Vittorio Veneto, Farra d'Alpago, Tambre, Puos d'Alpago, Chies d'Alpago, Pieve d'Alpago, Ponte nelle Alpi, Soverzene, Longarone, Castellavazzo, Ospitale di Cadore, Perarolo, Pieve di Cadore, Domegge, Lozzo di Cadore, Vigo di Cadore, Auronzo, Comelico superiore, Danta e S. Nicolò Comelico hanno tempo prima espresso la loro contrarietà al progetto, a causa delle inaccettabili ripercussioni ambientali e di inquinamento elettromagnetico che una simile opera comporterebbe, visto che il territorio interessato è quasi interamente sottoposto a vincolo ambientale e non appare concepita con l'attenzione dovuta al fine di evitare, sulla base di un principio cautelativo, la creazione di situazioni che determinino incrementi significativi dei livelli di esposizione per la popolazione. In particolare la zona dell'Alpago e del Cadore, a vocazione turistica, verrebbe irreparabilmente danneggiata nelle sue componenti ambientali vanificando e compromettendo anche i programmi di valorizzazione territoriale oggetto di finanziamento pubblico e di iniziative imprenditoriali di settore; a parere delle amministrazioni comunali non sono compensabili le pesanti incidenze che tale opera comporterebbe sugli habitat e sulle specie animali e vegetali censiti ai sensi delle direttive 79/409/CEE e 43/92/CEE all'interno dei siti "Natura 2000" in prossimità dei quali si vorrebbe far snodare il tracciato della linea elettrica; 56 i medesimi Comuni hanno denunciato altresì un impatto elettromagnetico certamente inaccettabile cui sarebbero esposte numerose abitazioni e luoghi destinati a permanenza prolungata di persone; hanno fatto inoltre presente che non sono stati affatto consultati per la localizzazione dell'opera ai fini di una corretta elaborazione di un progetto così impattante e potenzialmente diretto a stravolgere gli strumenti urbanistici locali; è necessario che le reti infrastrutturali (elettriche, stradali, telematiche, eccetera) vengano realizzate con le migliori tecnologie possibili e con il massimo livello di sostenibilità ambientale, come recita l'art. 1, comma 1, lettera c), della legge n. 36 del 2001: "assicurare la tutela dell'ambiente e del paesaggio e promuovere l'innovazione tecnologica e le azioni di risanamento volte a minimizzare l'intensità e gli effetti dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, secondo le migliori tecnologie disponibili"; la GRTN SpA è confluita dal 1° novembre 2005, mediante un'operazione di trasferimento di questa attività, in Terna SpA; in data 21 febbraio 2011 Terna SpA presentava al Ministero competente un progetto, denominato di "razionalizzazione e sviluppo della Rete di trasmissione nazionale (RTN) nella media valle del Piave", volto all'autorizzazione per la costruzione ed esercizio di una serie di interventi sulla rete a 220 kV attinenti alle stazioni elettriche di Polpet e Soverzene e alle direttrici Polpet-Soverzene, Polpet-Lienz e Polpet-Scorzè, e sulla rete a 132 kV per le direttrici Polpet-Belluno, Polpet-Forno di Zoldo, Pelos-Gardona-Desedan e la stazione elettrica di Gardona, con l'inserimento di alcuni tratti di elettrodotto in cavo interrato; tali opere, riguardando la costruzione di elettrodotti facenti parte della rete nazionale di trasporto dell'energia elettrica, sono soggette ad autorizzazione rilasciata, nell'ambito del procedimento unico, dal Ministero dello sviluppo economico di concerto col Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, previa intesa con la Regione Veneto; l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro ha classificato i campi elettromagnetici generati dagli elettrodotti come "possibili cancerogeni" e che l'Organizzazione mondiale della sanità afferma che per i campi elettromagnetici c'è evidenza sufficiente per invocare il principio di precauzione; il diritto alla salute è inviolabile e prioritario rispetto alla soddisfazione di qualsiasi altro interesse, sia esso pubblico o privato, e pertanto un possibile pericolo originato dagli elettrodotti non può essere genericamente considerato come un rischio socialmente accettabile; il progetto potrebbe degradare irreparabilmente notevoli parti di territorio in quanto l'impatto ambientale di un'opera, con tralicci alti anche 60 metri e con percorso sviluppato lungo pendii, crinali, dorsali, cime e valli, al quale deve corrispondere una striscia di servitù di 200 metri di 57 ampiezza, rappresenterebbe uno sfregio permanente e non mitigabile con possibili incidenze negative sugli habitat e sulle specie animali e vegetali; simili opere vanificano e compromettono i programmi di conservazione e valorizzazione territoriale, e depauperano gli attuali valori edilizi, fondiari ed agroforestali dei terreni potenzialmente vincolati dalla linea elettrica e dai tralicci, e determinano concreto pregiudizio alle possibilità di sviluppo economico e quindi della permanenza delle popolazioni a presidio del territorio (non si dimentichi infatti che si tratta di aree già soggette a fenomeni drammatici di spopolamento); il territorio bellunese, grazie anche al fatto di essere inserito con le Dolomiti nella lista Unesco dei siti patrimonio culturale dell'umanità, deve pretendere ed ottenere che le necessarie reti infrastrutturali (elettriche, stradali, telematiche, eccetera) vengano realizzate con le migliori tecnologie possibili e con il massimo livello di sostenibilità ambientale; secondo il principio di precauzione, enunciato nell'articolo 174 del trattato istitutivo dell'Unione europea, al fine di garantire la protezione di beni fondamentali come la salute e o l'ambiente, è necessaria l'adozione di misure di cautela anche in situazione di incertezza scientifica, nelle quali è ipotizzabile soltanto una situazione di rischio presumibile, anche se non è ancora dimostrata, allo stato delle attuali conoscenze scientifiche, la sicura o anche solo probabile evoluzione del rischio in pericolo; queste iniziative, essendo tali da mutare in maniera incisiva il rapporto con l'ecosistema, rientrano tra quelle soggette a VIA nazionale, e devono essere sottoposte a valutazione d'incidenza in considerazione degli impatti sulle finalità di conservazione dei siti classificati di importanza comunitaria per la protezione dell'habitat naturale e designati come zone di protezione speciale per la conservazione degli uccelli selvatici; constatato che: il Consiglio regionale del Veneto, in data 24 giugno 2003, approvando la risoluzione n. 58 "Elettrodotto Lienz-Cordignano-Venezia: difesa delle competenze regionali in materia di tutela della salute dei cittadini e salvaguardia dell'ambiente", dà parere negativo alla costruzione dell'elettrodotto, impegnandosi a sostenere tutte le iniziative promosse in tale direzione oltre ad opporsi all'imposizione di vincoli e servitù derivanti da nuove linee elettriche ed a rivendicare, comunque, la sua piena competenza nell'indicare le modalità di realizzazione dell'intervento e la sua localizzazione secondo rigorosi criteri di tutela della salute dei cittadini e dell'ambiente; in data 26 maggio 2014 con una nuova risoluzione, approvata all'unanimità il 12 giugno 2014 (n. 72, "Elettrodotti in Valbelluna: rivedere totalmente il progetto partendo dai territori"), il Consiglio regionale del Veneto in modo trasversale riconosce la necessità di sospendere da subito la procedura 58 di VIA del progetto Terna denominato "Razionalizzazione e sviluppo della Rete di Trasmissione Nazionale (RTN) nella media valle del Piave", per approntare una revisione totale del progetto, alla luce delle nuove innovazioni tecnologiche e gestionali oltre che delle variazioni di domanda di energia e aprire un tavolo di concertazione tra Regione Veneto e Terna per verificare le criticità della rete elettrica esistente e quella in progetto nel Veneto per arrivare ad una strategia di sviluppo sostenibile delle infrastrutture elettriche che adotti le migliori tecniche possibili in termini sia di efficienza energetica che di impatto ambientale; in merito ai progetti enunciati, in esito all'istanza di valutazione d'impatto ambientale 23 novembre 2011, con procedura integrata per la valutazione di incidenza, numerosi enti, sia pubblici che privati, presentavano osservazioni critiche allo studio di impatto ambientale di Terna SpA, evidenziando gravi carenze progettuali, con inaccettabile sottovalutazione dei reali impatti che gli elettrodotti creerebbero; il Ministero dello sviluppo economico, in data 8 aprile 2011, ha autorizzato la costruzione di un elettrodotto in cavo a corrente continua a 380 kV a doppia terna tra Francia-Italia. Progetto che, alle sue origini, nel 1994, ha riscontrato il giudizio negativo della commissione VIA riguardo alla compatibilità ambientale del progetto e che, anche per questo motivo, negli anni 2006-2007 ha deciso di abbandonare l'utilizzo di tralicci in favore dell'interramento in corrente continua nel pieno rispetto dell'ambiente; il Ministero dell'ambiente, con il parere n. 900 del 30 marzo 2012 relativo alla VAS del "piano di sviluppo della rete elettrica di trasmissione nazionale del 2011", elaborato da Terna, ha espresso che "Terna non ha mai sviluppato la valutazione delle alternative per nessun intervento e a nessun livello di valutazione" e che "si ritiene necessario analizzare diverse alternative relativamente a differenti modalità di raggiungimento degli obiettivi individuati all'interno delle analisi del fabbisogno stimato dal PdS stesso"; lo stesso Ministero, con la richiesta di integrazioni del 7 novembre 2012, evidenzia la carenza e sommarietà del progetto, sia in riferimento agli strumenti programmatici e pianificatori sia in merito allo studio del paesaggio, affrontato nello studio di impatto ambientale in maniera molto generica, e come fosse necessario in sede progettuale approfondire le motivazioni dell'opera e della scelta tecnica, valutare tracciati progettuali migliorativi (come ad esempio seguire il corridoio dell'autostrada A27) ed informare il pubblico interessato (di fatto numerosi soggetti, pubblici e privati) il quale può proporre utili osservazioni; il Consiglio di Stato, IV Sezione, con la sentenza n. 3205 del 2013 pronunciata sul ricorso promosso dal Comune di Vigonovo ed altri, in merito alla realizzazione da parte di Terna SpA di un nuovo elettrodotto in linea aerea a 380 kV tra le stazioni elettriche di Dolo (Venezia) e Camin (Padova), 59 annulla in via definitiva il decreto ministeriale 2 febbraio 2010, n. 3, che dà giudizio positivo di compatibilità ambientale. Sentenza che oltre ad essere entrata nel merito della valutazione ambientale ha anche provveduto ad azzerare tutto il procedimento amministrativo di questo progetto di Terna, si chiede di sapere se i Ministri in indirizzo non ritengano opportuno, tenuto conto di quanto occorso con il progetto Cordignano (Treviso) e Lienz, prevedere, per quanto di competenza, una revisione del progetto "razionalizzazione e sviluppo della Rete di trasmissione nazionale (RTN) nella media valle del Piave" proposto da Terna. (3-01237) Interrogazione a risposta scritta: sulla richiesta di estrazione a largo della costa abruzzese, formulata dalla società "Enel Longanesi developments” RAZZI (FI) - Ai Ministri dello sviluppo economico e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Premesso che: da molti anni la Regione Abruzzo ha scelto di caratterizzarsi come regione "Verde" con ben 3 parchi nazionali e un'area marina protetta, vincolando parti significative del proprio territorio e del proprio mare; da notizie di stampa si apprende che, a largo della costa compresa tra Pescara e Alba adriatica per un'area di circa 75.000 ettari, è stata formulata richiesta di estrazione dalla società "Enel Longanesi developments"; nell'immediata prospicienza del sito è stata istituita recentemente l'area marina protetta Torre del Cerrano (2010), ente ritenuto un fiore all'occhiello dalla Regione Abruzzo, che si accinge a divenire il primo parco marino certificato a livello europeo; una simile attività estrattiva penalizzerebbe gli sforzi profusi dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dalla Regione e dai Comuni di Pineto e di Silvi per garantire lo sviluppo turistico dell'intera regione; è dunque necessario un adeguato coordinamento tra il Ministero dell'ambiente e quello dello sviluppo economico affinché le iniziative del primo dicastero per lo sviluppo sostenibile attraverso i parchi non siano penalizzate da quelle del secondo Ministero, come l'estrazione di idrocarburi, oggettivamente incompatibili; la costa abruzzese è già stata, negli anni passati, "invasa" da varie piattaforme per la trivellazione che hanno ampiamente deturpato il paesaggio naturale; 60 a giudizio dell'interrogante sarebbe molto più "produttiva" la riconversione di dette piattaforme in "trabocchi di alto mare" ove svolgere attività turistiche, scientifiche ed ambientali, così come già proposto dal presidente dell'area marina protetta, si chiede di sapere: se i Ministri in indirizzo stiano svolgendo un'adeguata opera di coordinamento onde evitare che iniziative oggettivamente impattanti vanifichino gli sforzi di tutela e conservazione; se e quali iniziative stiano programmando per la riconversione delle piattaforme inattive, atte allo sviluppo di iniziative nel campo turistico-scientifico-ambientale, come già avviene con successo per la piattaforma "Paguro" a Ravenna, crollata nel 1965, e oggi sede di un'oasi naturalistica; quali orientamenti intendano esprimere in riferimento a quanto esposto in premessa e, conseguentemente, quali iniziative vogliano intraprendere, nell'ambito delle proprie competenze, per tutelare l'area marina protetta Torre del Cerrano. (4-02714) Interrogazione a risposta scritta: sulla gestione dei rifiuti costituiti da scarti di materiale legnoso e sull’incentivazione dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili FABBRI (PD) - Al Ministro dello sviluppo economico - Premesso che: l'attuale sistema di incentivazione dell'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili prevede la possibilità di accesso a tariffe premianti per impianti che utilizzano quale combustibile un materiale legnoso non costituito da legno vergine, comprendendolo tra le biomasse utilizzabili per la produzione di energia. In particolare, il decreto ministeriale 6 luglio 2012, recante «Nuovi incentivi alle fonti rinnovabili», al capo 6 «Impianti ibridi», Parte I «Impianti ibridi alimentati da rifiuti parzialmente biodegradabili», riporta in tabella 6.A la lista dei rifiuti a valle della raccolta differenziata per i quali è ammesso il calcolo forfettario dell'energia imputabile alla biomassa; tra le tipologie di rifiuti ammesse all'incentivo sono compresi alcuni codici CER relativi a scarti di legno (030101, 030105, 030199, 170201, 191207) che vengono utilizzati anche all'interno del sistema produttivo di riciclo del legno, ovvero nel comparto del legno-arredo; il decreto prevede inoltre un forte sostegno incentivante all'utilizzo a fini energetici di alcuni materiali classificati come sottoprodotto. Tali materiali sono riportati in tabella 1.A «Elenco dei sottoprodotti/rifiuti utilizzabili negli impianti a biomassa e biogas»; al punto 4 tale tabella riporta i sottoprodotti provenienti da attività industriali e nello specifico i «sottoprodotti della lavorazione del legno per la produzione di mobili e relativi componenti». Questa voce permette l'ingresso nelle 61 centrali di combustione a biomasse di materiale legnoso, non giuridicamente rifiuto ma classificato come "sottoprodotto" ai sensi dell'articolo 184-bis, comma 1, del decreto legislativo n.152 del 2006; per questo tipo di materiale, infatti, non esistono linee guida o atti normativi di qualsiasi genere che definiscono le caratteristiche chimico-fisiche del legno affinché possa essere utilizzato per la produzione di energia elettrica come sottoprodotto. Questo significa che, potenzialmente, qualsiasi residuo legnoso, anche se costituito da legno trattato, potrebbe essere classificato come sottoprodotto e quindi bruciato in impianti a biomassa, senza un'effettiva tracciabilità dei flussi e un adeguato controllo delle emissioni; la possibilità per determinati impianti di produzione di energia elettrica di ricevere incentivi grazie all'utilizzo di scarti provenienti dall'industria del legno, sia se classificati come rifiuto che come sottoprodotto, ha fatto sì che importati flussi di rifiuti legnosi vengano distratti dal circuito delle raccolte differenziate e vengano impiegati come combustibile in centrali a biomasse per la produzione di energia, a discapito del loro riciclo nel comparto produttivo del legno, capace invece di riutilizzare il materiale e rimetterlo nella «tecno sfera» ottenendo un ritorno superiore in termini ambientali, occupazionali ed economici, e che rappresenta uno dei principali settori del made in Italy, visto che l'Italia è Paese precursore a livello mondiale del riciclo del legno; un siffatta di gestione dei flussi di materiale legnoso di scarto è inoltre in evidente contrasto con quanto previsto dalla direttiva europea sui rifiuti 2008/98/CE, recepita con il decreto legislativo 3 dicembre 2010, n.205, che definisce una precisa gerarchia nella gestione dei rifiuti, dando priorità al riciclaggio degli stessi rispetto al loro recupero energetico; la preferibilità del riciclaggio degli scarti legnosi rispetto al loro utilizzo come combustibile per la produzione di energia elettrica è confermata da uno studio sul LCA (life cycle assessment, analisi del ciclo di vita), che ha valutato i carichi energetici e ambientali relativi a un processo o un'attività, effettuato attraverso l'identificazione dell'energia e dei materiali usati e dei rifiuti rilasciati nell'ambiente durante l'intero ciclo di vita del materiale; lo studio LCA ha permesso di confrontare le pratiche di gestione del legno post-consumo per la produzione di pannelli truciolari (attività R3: riciclo e recupero di sostanza organiche non utilizzate come solventi) e ai fini di produzione energetica (attività R1: utilizzo principale come combustibile o come altro mezzo per produrre energia). Lo studio ha poi quantificato e confrontato l'impronta di carbonio, ovvero il contributo dei gas ad effetto serra rilasciati direttamente ed indirettamente dalle attività coinvolte nei sistemi produttivi. I risultati ottenuti restituiscono un profilo ambientaleclimatico delle due attività indagate molto differente: complessivamente l'attività di riciclo del legno post-consumo in pannelli truciolari equivale a circa un terzo dell'impronta di carbonio della combustione con recupero energetico. La quantificazione comprende le attività di trasporto dei 62 materiali, di consumo di materiali ausiliari, di consumi energetici ed idrici, di produzione di rifiuti e le emissioni dirette in atmosfera di anidride carbonica, dovute alla combustione del materiale legnoso; si ritiene quindi necessario una verifica dello stato del mercato degli scarti di legno a seguito dell'entrata in vigore del sistema incentivante previsto dal decreto ministeriale 6 luglio 2012, anche alla luce della direttiva europea 2008/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recepita con decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28, che prevede che la Commissione europea abbia il compito di analizzare l'impatto dell'aumento della domanda di biomassa sui settori che utilizzano biomassa e di proporre, se del caso, misure correttive, si chiede di sapere: se il Ministro in indirizzo intenda adottare adeguate misure per ripristinare la corretta gerarchia nella gestione dei rifiuti costituiti da scarti di materiale legnoso; quali misure intenda adottare per regolamentare la possibilità di classificare come sottoprodotti gli scarti di materiale legnoso utilizzato a fini energetici, e il conseguente accesso agli incentivi; quali misure intenda adottare, anche di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per il contenimento delle emissioni di anidride carbonica derivanti dalla gestione dei materiali legnosi di scarto, ai fini del raggiungimento degli obiettivi previsti dal dettato comunitario. (4-02715) Interrogazione a risposta scritta: sulla bonifica del sito di interesse nazionale di Broni (Pavia) CENTINAIO (LNA) - Al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della salute - Premesso che: il Sito di interesse nazionale di Broni, in provincia di Pavia, è uno dei 57 siti maggiormente inquinati del nostro Paese, inserito dall'art. 14 della legge 31 luglio 2002, n. 179, nell'elenco dei siti cui consentire il concorso pubblico nella realizzazione di interventi di bonifica ai sensi dell'articolo 1, comma 4, della legge 9 dicembre 1998 n. 426; con il decreto ministeriale 26 novembre 2002 si è provveduto alla perimetrazione del sito di Broni, inquinato dalla presenza dell'area dismessa della Cementifera italiana Fibronit SpA, che dal 1932 al 1992, anno in cui ne è stata inibita la produzione ai sensi della legge n.257 del 1992 (con una proroga fino al 1994), ha lavorato l'amianto per la produzione, in cemento-amianto, di tubi, lastre di copertura e pezzi speciali per camini, colmi, eccetera; 63 nella stessa area la finanziaria Fibronit ha costruito successivamente tubi in fibrocemento c.p.c. (senza amianto) insediandosi però in locali ed ambienti inquinati da amianto, ceduti successivamente nel 1998, insieme ai prodotti finiti, ai macchinari e alle rimanenze di magazzino, alla Ecored SpA, appositamente costituita; l'area ha un'estensione di circa 13,5 ettari e dista soltanto 600 metri dal centro storico di Broni; negli anni, è stata raggiunta dall'espansione residenziale ed artigianale del Comune di Broni; un censimento effettuato dal Comune di Broni rileva una superficie complessiva di circa 150.000 metri quadrati di coperture in amianto, di cui circa 1.000 metri quadrati in edifici pubblici, tra cui anche scuole; la presenza di amianto ha creato a Broni un'emergenza sanitaria drammatica con un numero ormai tragico di morti da malattie asbesto-correlate che hanno colpito non soltanto gli ex lavoratori (circa 3.800 tra uomini e donne) e i loro familiari, direttamente o indirettamente a contatto con la fonte di inquinamento, ma colpiscono in questi ultimi tempi anche cittadini che hanno soltanto respirato l'aria di Broni all'epoca del funzionamento dell'impianto; la situazione è destinata ad aggravarsi in quanto l'esposizione ad amianto comporta l'insorgere nelle persone esposte, dopo anni, di tali patologie asbesto-correlate che si manifestano sotto forma di mesotelioma, tumore al polmone, alla laringe, all'ovaio e altro; Broni è l'area con il più alto numero di decessi per mesotelioma rispetto al numero di abitanti in Italia, patologia che colpisce anche i soggetti non esposti per motivi professionali; lo Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento (Sentieri), condotto e finanziato nell'ambito del Programma strategico ambiente e salute del Ministero della salute, ha condotto un'analisi della mortalità delle popolazioni residenti in prossimità di 44 dei 57 «siti di interesse nazionale per le bonifiche»; il progetto Sentieri, iniziato nel 2007, è stato completato nel mese di dicembre 2010, mentre i risultati sono pubblicati in 2 supplementi della rivista "Epidemiologia & Prevenzione" rispettivamente nell'autunno del 2010 e del 2011; nel periodo di esame 1995-2002, nell'insieme dei 12 siti nazionali contaminati da amianto, sono stati osservati un totale di 416 casi di tumore maligno della pleura in eccesso rispetto alle attese; la bonifica nel sito di Broni riguarda un totale di circa 300.000 metri quadri; dal 1994 al 2000 non è stata operata alcuna operazione di bonifica, in quanto il progetto di bonifica ambientale, proposto più volte dalla finanziaria Fibronit all'amministrazione comunale, sembra essere stato sempre respinto dagli organi di controllo a causa delle gravi carenze tecniche riscontrate; il Comune di Broni ha attivato i poteri sostitutivi nei confronti dei soggetti obbligati inadempienti e dal 2002 al 2006 è stato effettuato il piano di caratterizzazione dell'area ex Fibronit e sono stati 64 realizzati una serie di interventi di messa in sicurezza, consistenti nello smaltimento dei rifiuti e dei materiali contenenti amianto giacenti sui piazzali nonché di altri materiali pericolosi; l'area ex Fibronit ed ex Ecored è passata nel 2009 alla proprietà dell'amministrazione comunale e nel 2010 è stato presentato ed approvato il progetto della messa in sicurezza dell'intero sito; ad oggi, sono state poste in essere diverse attività, sia per la messa in sicurezza, attraverso misure per il contenimento del rischio di diffusione delle fibre d'amianto nell'ambiente, sia per l'avvio del primo stralcio di bonifica dei capannoni industriali; per la messa in sicurezza e la bonifica Fibronit sono già stati assegnati finanziamenti statali per 5.422.727 euro e regionali per 1.282.145,80; da notizia di stampa ("il Sole 24-ore" di mercoledì 24 settembre 2014) sembra che servano 20 milioni di euro per ultimare la bonifica integrale di Broni; nonostante le continue istanze delle amministrazioni locali che si sono succedute e di tutti i cittadini, la bonifica non è proseguita per la mancanza di fondi, si chiede di sapere se il Governo intenda individuare urgentemente e rendere immediatamente disponibili adeguate risorse economiche che consentano di ultimare la bonifica del sito di interesse nazionale di Broni. (4-02721) Risposta del Viceministro per lo sviluppo economico, Claudio De Vincenti, all’interpellanza urgente sulla normativa europea in materia di energie rinnovabili, presentata da VACCARI (PD) n. 2-00080. Signor Presidente, prima di tutto mi scuso con il senatore Vaccari perché rispondiamo con tanto ritardo alla sua interpellanza. Naturalmente, io risponderò in base alla situazione a oggi che, come già ricordava il senatore Vaccari, ha segnato un'evoluzione importante rispetto a quella in base alla quale l'interpellanza fu presentata. Ricordo che la proposta di direttiva ILUC (Indirect land use change, che riguarda cioè i cambiamenti indiretti dell'uso del suolo) della Commissione europea interviene nel quadro normativo europeo esistente (in particolare, sulla direttiva in materia di qualità dei carburanti e sulla direttiva in materia di promozione di energia da fonti rinnovabili) e introduce misure volte ad incentivare la domanda di biocarburanti sostenibili, con lo scopo di mitigare le emissioni di gas serra associate al cambio d'uso dei suoli per la loro produzione e di limitare il ruolo dei biocarburanti derivati da colture agricole nella contabilizzazione dell'obiettivo del 10 per cento di energie rinnovabili nei trasporti entro il 2020, ricordato dal senatore Vaccari. Sulla proposta di direttiva si è svolto un negoziato europeo che, alla fine, ha portato ad una proposta presentata dalla Commissione, che prevedeva l'introduzione di una soglia massima del 5 per cento di utilizzo di biocarburanti prodotti a partire dai cereali e da altre colture amidacee, zuccherine o oleaginose, per 65 il raggiungimento dell'obiettivo del 10 per cento, con lo scopo di incentivare l'utilizzo di biocarburanti avanzati, prodotti quindi attraverso materie agricole non in competizione con quelle alimentari. Sempre nella proposta della Commissione è stato inoltre introdotto, nella metodologia di calcolo delle emissioni, un valore per tener conto delle emissioni derivanti da un cambio indiretto di uso del suolo, che era una delle domande poste dal senatore Vaccari nella sua interrogazione. C'è stato un ampio e lungo dibattito all'interno del Consiglio Energia, che ha coinvolto diverse Presidenze. Ricordo come, proprio nell'autunno del 2013 - in particolare nel Consiglio del dicembre 2013 - la posizione italiana ha contribuito a impedire l'approvazione di una prima bozza di direttiva dell'allora Presidenza lituana, che prevedeva obiettivi che noi giudicavamo troppo poco ambiziosi in termini di biocarburanti di seconda generazione e di contenimento delle emissioni. In quell'occasione si formò una minoranza di blocco, che sostanzialmente ruotò intorno ad Italia e Danimarca. Successivamente, durante la Presidenza greca, l'Italia si è fatta promotrice di una ripresa della discussione. La Presidenza greca a giugno 2014, in Consiglio Energia, ha presentato una nuova proposta che, pur non discostandosi dagli obiettivi che l'Italia aveva posto, è stata giudicata, sia dall'Italia che dalla Danimarca, il punto di compromesso più avanzato che al momento era possibile raggiungere in sede di Consiglio. In questo accordo è stata prevista una limitazione del 7 per cento all'utilizzo di biocarburanti cosiddetti di prima generazione, in competizione cioè con i prodotti alimentari. Il limite del 7 per cento è stato individuato per tener conto di investimenti che in diversi Paesi erano già stati fatti in questa filiera di biocarburanti. Si è anche tenuto conto del fatto che l'obiettivo del 10 per cento al 2020, se fosse stata mantenuta la quota del 5 per cento dei biocarburanti di prima generazione, sarebbe stato difficilmente raggiungibile. Il secondo punto, più importante, su iniziativa danese e italiana, ha riguardato l'introduzione di un sotto-obiettivo da raggiungere al 2020 per i biocarburanti cosiddetti avanzati o di seconda generazione, non prodotti cioè in competizione con le produzioni alimentari. Questo sotto-obiettivo, per quanto limitato allo 0,5 per cento, è comunque un segnale di sviluppo di questa nuova filiera di biocarburanti che viene dato. Adesso si avvia il cosiddetto trilogo (Parlamento, Commissione e Consiglio), all'interno del quale si tratterà di arrivare poi al testo definitivo della direttiva. Dalla mia partecipazione ai Consigli Energia segnalo che mi sembra onestamente difficile spostare ulteriormente l'asticella rispetto al punto al quale siamo arrivati in sede di Consiglio sotto Presidenza greca, ma vedremo naturalmente l'evoluzione del trilogo. Segnalo anche che il nostro Paese gode del vantaggio, rispetto ad altri, del fatto che alcune imprese hanno già messo a punto tecnologie con biocarburanti avanzati e con basso impatto (ILUC). Anche dal punto di vista industriale, quindi, è molto interessante per il nostro Paese lo sviluppo di questa filiera. A tal fine, in sede di conversione in legge del decretolegge 24 giugno 2014, n. 91 (il decreto-legge competitività), sono state introdotte delle disposizioni 66 in materia di obbligo di immissione in consumo di biocarburanti ed in particolare è stato disposto che, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, nella fase di aggiornamento delle condizioni, dei criteri e delle modalità di attuazione dell'obbligo di immissione in consumo di biocarburanti, sia stabilita, per gli anni successivi al 2015, la quota minima da raggiungere e la sua ripartizione tra diverse tipologie di carburanti, compresi quelli avanzati. Stiamo mettendo a punto il decreto proprio in questi giorni e sarà emanato a breve. Di seguito il testo dell’interpellanza. Ai Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico. Premesso che: la direttiva del Parlamento europeo sulle energie rinnovabili (Renewable energy directive - RED) 2009/28/CE prevede il raggiungimento, entro il 2020, di un target del 10 per cento di energia rinnovabile nel settore dei trasporti che attualmente gli Stati membri, Italia compresa, stanno perseguendo quasi esclusivamente attraverso la promozione dei biocarburanti; l'Italia è un importante produttore e consumatore di biocarburante a livello europeo. Tuttavia, a fronte di un'elevata capacità produttiva degli impianti installati nel nostro Paese, i livelli di produzione sono decisamente più bassi a causa dell'importazione di biocarburante già raffinato e/o di materia prima per la produzione, che si attestano in entrambi i casi intorno al 70 per cento. In relazione al consumo l'Italia nel 2012 ha registrato un livello di sostituzione di fonti fossili con rinnovabili nei trasporti del 4,5 per cento e prevede il raggiungimento dell'obiettivo intermedio del 5 per cento entro il 2014; considerato che: nel mondo sono ancora 842 milioni le persone che soffrono di fame e malnutrizione ed una delle minacce più grandi per la lotta alla fame è proprio il rialzo dei prezzi alimentari registrato negli ultimi anni a cui l'aumento del consumo di biocarburanti a livello mondiale ha contribuito in modo determinante; già in fase di discussione della RED, nel 2008, erano presenti nel dibattito i rischi che un aumento consistente del consumo di biocarburanti di prima generazione, guidato dall'obiettivo del consumo obbligatorio, poteva rappresentare sia per la sicurezza alimentare, a causa dell'impatto sull'aumento dei prezzi del cibo, sia per l'ambiente, a causa delle emissioni indirette; il testo della RED prevede che possano essere adottate misure correttive per evitare tali rischi demandando alla Commissione europea l'obbligo di presentare ogni due anni una relazione sull'impatto dell'aumento della domanda di biocarburanti sulla sostenibilità sociale nella Comunità e 67 nei paesi terzi, e di analizzare le modifiche indirette della destinazione dei terreni (fattore ILUC Indirect land use change); a quattro anni dall'entrata in vigore della RED molteplici studi pubblicati da enti di ricerca, organizzazioni internazionali e organizzazioni della società civile, inclusi quelli realizzati dalla stessa Commissione europea, hanno documentato gli impatti negativi che la produzione ed il consumo di biocarburanti esercitano sull'ambiente e sulla sicurezza alimentare a livello globale; le emissioni indirette provocate dai biocarburanti, ed oggi non conteggiate dalla normativa vigente, entro il 2020 potrebbero risultare equivalenti all'aver immesso sulle strade europee un numero aggiuntivo di automobili per una cifra che oscilla tra i 14 e i 29 milioni di unità, secondo una proiezione dell'Institute for european environmental policy. Queste emissioni indirette sono dovute alla conversione di una coltivazione alimentare in una coltivazione agroenergetica a cui si unisce la necessità di mettere in coltivazione una superficie equivalente da qualche altra parte al fine di mantenere invariata l'offerta alimentare. L'espansione quindi delle superfici coltivate dovuta al continuo e crescente aumento della domanda di materia prima agricola per produrre biocarburanti avviene a discapito di foreste ed altri terreni ricchi di carbonio causando, oltre alla perdita di biodiversità, anche una quantità aggiuntiva di emissioni di gas ad effetto serra; secondo il Land matrix, un database on line che monitora a livello globale le acquisizioni di terra su larga scala superiori ai 200 ettari, ad oggi ben 33 milioni di ettari, ovvero una superficie equivalente all'Italia, sono stati acquisiti nell'ultimo decennio (con un'allarmante accelerazione del fenomeno negli ultimi anni) in Africa, Asia e America latina da investitori stranieri il cui obiettivo, in gran parte dei casi, è la produzione di biocarburanti. Una mappatura di ActionAid che ha riguardato 98 progetti di investimento per la produzione agroenergetica nell'Africa sub-sahariana ha documentato che, tra il 2009 ed il 2013, sono stati 6 milioni gli ettari di terreno acquisiti da imprese europee e sottratti quindi ai bisogni alimentari delle comunità locali. Nel solo 2008, secondo una stima di Oxfam, la terra coltivata a biocarburanti per il fabbisogno energetico europeo avrebbe potuto sfamare 127 milioni di persone, ovvero ridurre del 15 per cento il numero di persone affamate nel mondo; la politica europea sui biocarburanti sta contribuendo all'aumento dei prezzi alimentari. Secondo le stime dell'Institute for european environmental policy, gli oli vegetali, i cereali, lo zucchero e le oleaginose vedranno entro il 2020 il loro prezzo aumentare rispettivamente del 26 per cento, 22 per cento, 21 per cento e 20 per cento: aumento che non si verificherebbe in assenza di domanda agroenergetica. Il rapporto recentemente pubblicato dall'High level panel of experts del Comitato sulla sicurezza alimentare riporta diversi studi e modelli che confermano la correlazione tra la produzione di biocarburanti e l'aumento dei prezzi alimentari. L'incidenza dei biocarburanti sulla 68 volatilità dei prezzi è stata anche riconosciuta da ben 10 organizzazioni internazionali, tra cui la FAO e la Banca mondiale, che nel 2011 hanno raccomandato ai Governi del G20 l'eliminazione di mandati, sussidi e tariffe; la politica europea sui biocarburanti risulta anche estremamente costosa per le casse degli Stati membri e per i contribuenti europei in quanto secondo uno studio dell'International institute for sustainable development, nel 2011 il supporto pubblico è costato agli Stati membri circa 6 miliardi di euro; a tutti questi problemi di sostenibilità dei biocarburanti di prima generazione, si deve aggiungere anche la considerazione che è ancora del tutto marginale il contributo che potrebbe venire dai cosiddetti biocarburanti avanzati, ovvero quei biocarburanti derivanti da feedstock che non competono direttamente con il cibo o con gli input necessari alla produzione alimentare (terra e acqua). Molti studi confermano infatti che da qui al 2020 non sarà possibile aumentare i volumi di produzione di questi biocarburanti che ad oggi sono estremamente limitati o ancora quasi del tutto nulli su scala commerciale; considerato altresì che: la Commissione europea il 17 ottobre 2012 ha presentato una proposta di direttiva, la COM(2012) (595) final, volta a modificare la normativa europea sui biocarburanti disciplinata dalle direttive attualmente vigenti RED 2009/28/CE e FQD 2009/30/CE; la proposta di direttiva deriva dal mandato legislativo contenuto già nella legislazione vigente, secondo cui la CE ha la responsabilità di analizzare i cambiamenti indiretti di destinazione d'uso dei terreni provocati dalla produzione di biocarburanti con conseguente aumento delle emissioni di carbonio (ovvero il fattore ILUC) e, se opportuno, di proporre misure correttive; la proposta di direttiva in risposta a questo mandato contenuto nella RED, e prevedendo delle misure di salvaguardia per gli investimenti in corso, propone quindi delle misure correttive i cui obiettivi principali sono: limitare il contributo di biocarburanti convenzionali (ovvero quelli ricavati a partire dall'utilizzo di colture alimentari) nel raggiungimento dell'obiettivo sulle energie rinnovabili fissato dalla direttiva RED; migliorare laperformance ambientale dei biocarburanti predisponendo l'innalzamento della soglia minima di riduzione dei gas a effetto serra associati alla loro produzione per tutti i nuovi impianti che saranno operativi a partire dal 1° luglio 2014; c) introdurre l'obbligo in capo agli Stati membri e ai fornitori di carburante di comunicare per tutti i biocarburanti che verranno immessi in consumo, le emissioni associate al cambiamento indiretto della destinazione dei terreni (fattore ILUC); incoraggiare l'espansione del mercato dei biocarburanti avanzati; 69 il Parlamento europeo, nella seduta plenaria dell'11 settembre 2013, si è espresso in prima lettura sulla proposta di direttiva della Commissione. Se da un lato ha riconosciuto gli enormi problemi sociali e ambientali che i biocarburanti di prima generazione provocano, dall'altro ha proposto delle misure correttive non ancora sufficientemente efficaci per risolvere gli impatti negativi dei biocarburanti europei sulla sicurezza alimentare e sull'ambiente. Il Parlamento ha, infatti, confermato la necessità di limitare il consumo di biocarburanti di prima generazione, ma ha alzato il tetto massimo di consumo al 6 per cento estendendone però positivamente l'applicazione sia a biocarburanti prodotti da materie prime alimentari sia a biocarburanti prodotti da coltivazioni energetiche dedicate. Rispetto alle emissioni indirette, la contabilizzazione del fattore ILUC è stata introdotta in una sola direttiva (la FQD) solo a partire dal 2020; nelle ultime settimane oltre 22.000 cittadini italiani hanno firmato una petizione promossa da Oxfam Italia e ActionAid indirizzata al Ministro in indirizzo, nel quadro della più ampia campagna europea "No food for fuel", nella quale chiedono ai nostri rappresentanti governativi di adottare misure efficaci per evitare che i biocarburanti consumati in Europa contribuiscano al peggioramento della sicurezza alimentare, si chiede di sapere: quale sia la posizione del Governo in merito alla proposta di direttiva CE che modifica le attuali direttive RED e FQD; quali siano i tempi previsti per il raggiungimento di un consenso interno al Consiglio europeo; se intenda sostenere l'introduzione di un tetto massimo del 5 per cento al consumo di biocarburanti derivanti da colture alimentari e da colture energetiche dedicate che esercitano entrambe una forte pressione sull'uso di terra e acqua con rilevanti ripercussioni negative sui prezzi alimentari e sulla disponibilità di terra per soddisfare la domanda alimentare; se intenda sostenere, in entrambe le direttive l'introduzione, tra i criteri di sostenibilità, del calcolo delle emissioni indirette (fattore ILUC), la cui mancata contabilizzazione non dà altrimenti reale evidenza di tutte le emissioni di anidride carbonica associate ai biocarburanti; se intenda avanzare, in occasione di questo processo di revisione della normativa europea, la possibilità di rivedere il target del 10 per cento di energie rinnovabili nel settore dei trasporti, che ad oggi viene perseguito solo attraverso la promozione dei biocarburanti che pongono seri problemi di sostenibilità ambientale, sociale ed economica; quali misure di propria competenza intenda intraprendere per orientare la politica europea sui biocarburanti verso una maggiore sostenibilità alla luce anche dell'obbligo derivante dal Trattato di Lisbona sulla coerenza delle politiche per lo sviluppo, garantendo quindi che la politica europea sui biocarburanti non mini il diritto al cibo e la sicurezza alimentare a livello globale. 70 Interrogazione a risposta orale sull’autotrasporto CIOFFI (M5S) - Ai Ministri delle infrastrutture e dei trasporti e dello sviluppo economico - Premesso che: nel nostro Paese l'autotrasporto per conto terzi è stato regolato attraverso il decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, al fine di stabilire dei costi minimi di esercizio per la tutela della sicurezza stradale; con una pronuncia del 4 settembre 2014 (Cause riunite C-184/13, C-187/13, C-194/13, C-195/13, C-208/13) la Corte di giustizia dell'Unione europea ha censurato la disciplina di cui all'articolo 83bis del citato decreto-legge in materia di costi minimi di esercizio per l'autotrasporto per conto terzi facendo seguito alle domande pregiudiziali formulate dal TAR del Lazio in ordine alla compatibilità comunitaria della norma; nei punti da 51 a 57 della pronuncia la Corte entra nel merito della disciplina e, pur rilevando che "la tutela della sicurezza stradale possa costituire un obiettivo legittimo", ritiene che la determinazione dei costi minimi d'esercizio non sia "idonea né direttamente né indirettamente a garantirne il conseguimento" per due importanti presupposti: la normativa si limita a prendere in considerazione, in maniera generica, la tutela della sicurezza stradale, senza stabilire alcun nesso tra i costi minimi d'esercizio e il rafforzamento della sicurezza stradale; la normativa non raggiunge l'obiettivo addotto in modo coerente e sistematico andando "al di là del necessario", in quanto non permette "al vettore di provare che esso, nonostante offra prezzi inferiori alle tariffe minime stabilite, si conformi pienamente alle disposizioni vigenti in materia di sicurezza" ed "esistono moltissime norme, comprese quelle del diritto dell'Unione, riguardanti specificamente la sicurezza stradale, che costituiscono misure più efficaci e meno restrittive, come le norme dell'Unione in materia di durata massima settimanale del lavoro, pause, riposi, lavoro notturno e controllo tecnico degli autoveicoli. La stretta osservanza di tali norme può garantire effettivamente il livello di sicurezza stradale adeguato"; la Corte conclude rilevando che "la determinazione dei costi minimi d'esercizio non può essere giustificata da un obiettivo legittimo", si chiede di sapere se e con quale indirizzo il Governo intenda intervenire al fine di evitare il ricorso a sanzioni per violazione del principio di concorrenza da parte dell'Unione europea. (3-01234) 71
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