Pagina 1 ISSN 0392 - 4203 Vol. 78 - Quaderno 1 / 2007 PUBLISHED QUARTERLY BY MATTIOLI 1885 ACTA BIO MEDICA Atenei parmensis founded 1887 O F F I C I A L J O U R N A L O F T H E S O C I E T Y O F M E D I C I N E A N D N AT U R A L S C I E N C E S O F PA R M A - FINITO DI STAMPARE NEL DICEMBRE 2006 QUADERNI POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN A. P. - D.L. 353/2003 (CONV IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 1, DCB PARMA 14:47 Cod. 902856 19-12-2006 DEPOSITO AIFA: 15-12-2006 00-Cop. Quad. I-2007 Gastroenterologia: Case Reports sulle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali IV parte Now free on-line www.actabiomedica.it Listed in: Index Medicus / Medline, Excerpta Medica / Embase 01-Board 19-12-2006 14:08 Pagina 1 ACTA BIO MEDICA Atenei parmensis founded 1887 O F F I C I A L J O U R N A L O F T H E S O C I E T Y O F M E D I C I N E A N D N AT U R A L S C I E N C E S O F PA R M A f r e e o n - l i n e : w w w. a c t a b i o m e d i c a . i t EDITOR IN CHIEF Maurizio Vanelli DEPUTY EDITOR Cesare Bordi EDITORIAL BOARD Alberto Bacchi Modena Sergio Bernasconi Corrado Betterle (Padova) Giulio Bevilacqua Mauro Bonanini Antonio Bonati Emanuele Bosi (Milano) Loris Borghi Carlo Buzio Franco Chiarelli (Chieti) Giorgio Cocconi Vittorio Coiro Domenico Cucinotta (Bologna) Filippo De Luca (Messina) Guido Fanelli Livio Garattini (Milano) Gian Carlo Gazzola Gian Camillo Manzoni Antonio Mutti Dario Olivieri Stefano Parmigiani Antonio Pezzarossa Silvia Pizzi Luigi Roncoroni Mario Sianesi Carlo Signorelli Giovanni Soncini Maurizio Tonato (Perugia) Roberto Toni Giorgio Valenti Vincenzo Violi Raffaele Virdis Marco Vitale Pietro Vitali Ivana Zavaroni ASSOCIATE EDITORS Paolo Bobbio Amos Casti Carlo Chezzi Roberto Delsignore Guglielmo Masotti Almerico Novarini Giacomo Rizzolatti EDITORIAL OFFICE MANAGER Alessandro Corrà Società di Medicina e Scienze Naturali Via Gramsci, 14 Parma Tel. 0521 033027 - Fax 0521 033027 E-mail: [email protected] PUBLISHER Mattioli1885 SpA Casa Editrice Via Coduro 1/b 43036 Fidenza (Parma) Tel. ++39 0524 84547 Fax ++39 0524 84751 E-mail: [email protected] EXECUTIVE COMMITEE OF THE SOCIETY OF MEDICINE AND NATURAL SCIENCES OF PARMA PRESIDENT Giorgio Valenti VICE-PRESIDENT Silvia Iaccarino PAST-PRESIDENT Renato Scandroglio GENERAL SECRETARY Almerico Novarini TREASURER Luigi Roncoroni MEMBERS Giorgio Zanzucchi Giorgio Cocconi Angelo Franzè Enrico Cabassi Patrizia Santi 02-Instruction quaderno 19-12-2006 14:09 I S T R QUADERNI Pagina 2 P E R G L I A U T O R I A C TA B I O M E D I C A - G A S T R O E N T E R O L O G I A U Z I O N I DI Acta Bio Medica è la rivista ufficiale della Società di Medicina e Scienze Naturali di Parma. I Quaderni di Acta Bio Medica dedicati alla Gastroenterologia pubblicano principalmente case-reports, saranno inserite occasionalmente reviews e lavori originali dedicati a quest’area della Medicina. I dattiloscritti devono essere accompagnati da una richiesta di pubblicazione e da una dichiarazione firmata degli autori che l’articolo non è stato inviato ad alcuna altra rivista, né che è stato accettato altrove per la pubblicazione. Tutti i lavori sono soggetti a revisione e si esortano gli autori ad essere concisi. Il FRONTESPIZIO deve contenere: • Un titolo informativo conciso • Nome/i del/degli Autore/i • Dipartimento o Istituto dove è stato condotto il lavoro • Nome e indirizzo dell’autore a cui deve essere inviata la corrispondenza relativa al manoscritto. Deve essere indicato inoltre numero di telefono, fax ed indirizzo e-mail • Un running title di non più di 40 caratteri COME SCRIVERE UN CASE REPORT La caratteristica chiave del case report è quella di aiutare il lettore a riconoscere e a trattare un problema simile, se mai dovesse ripresentarsi. Utilizzare un linguaggio chiaro e senza ambiguità, per presentare il materiale in modo che il lettore abbia una chiara visione di: -cosa è successo al paziente -la cronologia di questi eventi -perché il trattamento è stato eseguito in base a quei determinati concetti. Cosa descrivere? Osservare e pensare alla pratica clinica, vi sono molti casi rari o insoliti che possono meritare una descrizione. La rarità non è però di per se stessa motivo sufficiente di pubblicazione, il caso deve essere speciale e avere un “messaggio” per il lettore; può servire a fornire la consapevolezza della condizione in modo tale che la diagnosi possa essere più facile in futuro o come una linea di trattamento possa essere più adatta di un’altra. Il ruolo dei case report è di stabilire un specie di “precedente giudiziario” per malattie relativamente rare. Un altro gruppo è quello dei casi associati a condizioni inusuali, anche sconosciute, che possono avere priorità diverse nel loro trattamento. Come descrivere? Titolo: Il titolo dovrebbe essere corto, descrittivo e capace di attirare l’attenzione. Se il titolo di un case report contiene troppi dati il lettore potrebbe avere la sensazione che esso abbia spiegato tutto quello che c’è da sapere. Introduzione: Solitamente si tende a scrivere una breve storia della malattia, ma questo materiale può essere inserito nella discussione. Il report può cominciare semplicemente con la descrizione del caso. Descrizione del caso: Il report deve essere cronologico e descrivere adeguatamente la presentazione, i risultati dell’esame clinico e quelli degli accertamenti prima di andare avanti e descrivere l’evoluzione del paziente. La descrizione deve essere completa, accentuare le caratteristiche positive senza oscurarle in una massa di rilievi negativi. Considerare quali domande potrebbe fare un collega e assicurarsi che vi siano risposte chiare all’interno del report. Le illustrazioni possono essere utili. Discussione del caso: Lo scopo principale della discussione è di spiegare come e perché sono state prese le decisioni e quale insegnamento è stato recepito da questa esperienza. Possono essere necessari alcuni riferimenti bi- bliografici ad altri casi, bisogna evitare tuttavia di produrre una review. Lo scopo deve essere di definire e dettagliare il messaggio per il lettore. Il case report renderà chiaro come un caso analogo dovrebbe essere trattato in futuro. REVIEWS- LAVORI ORIGINALI Articoli originali: comprendono lavori che offrono un contributo nuovo o frutto di una consistente esperienza, anche se non del tutto originale, in un determinato settore. Devono essere completi di Riassunto e suddivisi nelle seguenti parti: Introduzione, Obiettivi, Materiale e Metodi, Risultati, Discussione e Conclusioni. Nella sezione Obiettivo deve essere sintetizzato con chiarezza l’obiettivo del lavoro, vale a dire l’ipotesi che si è inteso verificare; nei Metodi va riportato il contesto in cui si è svolto lo studio (Ospedale, Centro Specialistico…), il numero e il tipo di soggetti analizzati, il disegno dello studio (randomizzato, in doppio cieco…), il tipo di trattamento e il tipo di analisi statistica impiegata. Nella sezione Risultati vanno riportati i risultati dello studio e dell’analisi statistica. Nella sezione Conclusioni va riportato il significato dei risultati soprattutto in funzione delle implicazioni cliniche. Review: devono essere inerenti ad uno specifico argomento e permettere al lettore uno sguardo approfondito sul tema, offrendo una panoramica nazionale ed internazionale delle ultime novità in merito. L’autore deve offrire un punto di vista personale basato su dati di letteratura ufficiali. Dovrà essere suddiviso in Introduzione, Discussione e Conclusione e completo di Riassunto. La bibliografia citata dovrà essere particolarmente ricca. ILLUSTRAZIONI. È responsabilità dell’autore ottenere il permesso (dall’autore e dal possessore dei diritti di copyright) di riprodurre illustrazioni, tabelle, ecc, da altre pubblicazioni. Stampe o radiografie devono essere chiare. Le TABELLE dovranno essere numerate consecutivamente con numeri romani contraddistinte da un titolo. Le VOCI BIBLIOGRAFICHE dovranno essere numerate secondo l’ordine di citazione nel testo; quelle citate solamente nelle tabelle o nelle legende delle figure saranno numerate in accordo con la sequenza stabilita dalla loro prima identificazione nel testo. La lista delle voci bibliografiche deve riportare il cognome e l’iniziale del nome degli Autori (saranno indicati tutti gli autori se presenti 6 o meno; quando presenti 7 nomi o più, indicare solo i primi 3 e aggiungere “et al.”), il titolo del lavoro, il nome della rivista abbreviato in conformità dell’Index Medicus, l’anno di pubblicazione, il volume e la prima e l’ultima pagina dell’articolo, Esempio: Fraioli P., Montemurro L., Castrignano L., Rizzato G.: Retroperitoneal Involvement in Sarcoidosis. Sarcoidosis 1990; 7: 101-105. Nel caso di un libro, si indicheranno nel medesimo modo il nome degli Autori, il titolo, il numero dell’edizione, il nome dell’Editore, il luogo di pubblicazione, il numero del volume e la pagina. Nessun addebito verrà effettuato per foto in bianco e nero. Comunicazioni personali non dovrebbero essere incluse in bibliografia ma possono essere citate nel testo tra parentesi. COPYRIGHT © 2007 ACTA BIO MEDICA SOCIETÀ DI MEDICINA E SCIENZE NATURALI DI PARMA. La rivista è protetta da Copyright. I lavori pubblicati rimangono di proprietà della Rivista e possono essere riprodotti solo previa autorizzazione dell’Editore citandone la fonte. Direttore Responsabile: M. Vanelli Registrazione del Tribunale di Parma n° 253 del 21/7/1955 Finito di stampare: Dicembre 2006 La banca dati viene conservata presso l’editore, che ne è titolare. La rivista viene spedita in abbonamento; l’indirizzo in nostro possesso verrà utilizzato per l’invio di questa o di altre pubblicazioni scientifiche. Ai sensi dell’articolo 10, legge 675/96, è nel diritto del ricevente richiedere la cessazione dell’invio e/o l’aggiornamento dei dati in nostro possesso. 03-indice 19-12-2006 14:10 Pagina 3 INDEX Quaderno 1/2007 Gastroenterologia: Case Reports sulle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali – IV parte Mattioli 1885 spa - via Coduro 1/b 43036 Fidenza (Parma) tel 0524/84547 fax 0524/84751 www.mattioli1885.com 4 7 DIREZIONE EDITORIALE Direttore Scientifico Federico Cioni Editing Staff Valeria Ceci Natalie Cerioli Cecilia Mutti Anna Scotti 16 MARKETING E PUBBLICITÀ Direttore Marketing e Sviluppo Massimo Enrico Radaelli Marketing Manager Luca Ranzato Segreteria Marketing Martine Brusini Direttore Distribuzione Massimiliano Franzoni Responsabile Area ECM Simone Agnello 20 Review C. Fabbri, V. Cennamo, A. Fornelli, F. Ferrara La colite microscopica: l’ipotesi diagnostica e l’opzione terapeutica G. Meucci L’ottimizzazione dell’utilizzo dei “nuovi” corticosteroidi nel trattamento delle malattie infiammatorie intestinali Articolo originale A. Viscido, A. Aratari, V. Clemente, M. Cesarini, E. Angelucci, V. D’Ovidio, R. Caprilli Efficacia del beclometasone dipropionato nella malattia di Crohn con attività lieve-moderata Case Report L. Ferraris, M. Ferrante, P. Porta, M. Feliziani, G. Bernasconi Un caso di difficile gestione clinica della RCU nel paziente giovane 24 C.M. Girelli La trombosi della vena mesenterica superiore. Una diagnosi da non perdere 30 A. Dell’Anna Displasia e rettocolite ulcerosa Inserto centrale staccabile “Il Punto ... in breve” 04-fabbri 19-12-2006 14:11 Pagina 4 ACTA BIOMED 2007; 78; Quaderno 1: 4-6 © Mattioli 1885 R E V I E W La colite microscopica: l’ipotesi diagnostica e l’opzione terapeutica Carlo Fabbri, Vincenzo Cennamo, Adele Fornelli*, Francesco Ferrara U.O. Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, * U.O. Anatomia Patologica ed Endoscopia Digestiva, Presidio Ospedaliero Bellaria-Maggiore, AUSL Bologna, Bologna Introduzione La colite microscopica (CM) è una causa relativamente comune seppur misconosciuta di diarrea acquosa cronica, spesso accompagnata da dolori addominali e perdita di peso. La malattia è caratterizzata da una mucosa intestinale macroscopicamente normale o quasi normale (talvolta edematosa) e da un caratteristico quadro istopatologico, che comprende due condizioni: la colite collagenosica (CC) e la colite linfocitaria (CL) (1). La maggior attenzione dei clinici ha notevolmente accresciuto le conoscenze in materia, e sono disponibili studi con un buon livello di evidenza sulla terapia da intraprendere. Epidemiologia, eziologia e patogenesi Fino a qualche tempo fa considerata una malattia rara, attualmente la CM viene diagnosticata nel 10-20% dei pazienti con diarrea acquosa cronica. L’incidenza annuale va dai 5.2 ai 4.0 nuovi casi/100000 abitanti, con un picco di incidenza attorno alla 6a-7a decade, e con prevalenza nel sesso femminile (2) (il rapporto F/M è pari a 7:1 nella CC e 2.4:1 nella LC) (3). Sono stati descritti casi anche in età pediatrica e casi ad insorgenza familiare. I pazienti affetti da CM presentano malattie autoimmuni concomitanti nel 40-50% dei casi; di queste le più comuni sono rappresentate da disordini tiroidei, malattia celiaca, diabete mellito, artrite reumatoide, asma/allergia. La patogenesi non è chiara: la suddetta prevalenza nel sesso femminile e l’associazione con malattie autoimmuni suggerisce un’influenza ormonale e una predisposizione genetica sulla base della presenza di determinati aplotipi del sistema di istocompatibilità HLA comuni a queste condizioni patologiche. È stata proposta anche un’eziologia infettiva (Yersinia species, Clostridium difficile) e iatrogena, secondaria all’uso di farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS), lansoprazolo, ticlopidina, simvastatina, flutamide. Clinica La colite microscopica, come già detto, causa diarrea acquosa cronica e ricorrente, spesso associata a scariche notturne, dolori addominali e perdita di peso. Non è stata descritta disidratazione grave, ma la presenza di nausea, astenia e incontinenza fecale può ridurre notevolmente la qualità di vita dei pazienti. L’insorgenza clinica della malattia può essere improvvisa e mimare una diarrea infettiva; il decorso clinico è più spesso cronico e le complicanze sono rare: sono stati descritti rari casi di perforazione del colon in colite collagenosica e non è stato riportato alcun aumento di incidenza di carcinoma colo-rettale. La sintomatologia in alcuni pazienti è lieve tanto da mimare la sindrome del colon irritabile; la presenza di febbre, vomito ed ematochezia deve pertanto suggerire una diagnosi alternativa. 04-fabbri 19-12-2006 14:11 Pagina 5 5 Colite microscopica Artralgie e altre malattie autoimmuni sono spesso osservati in pazienti con CM; in alcuni casi è riportato un aumento del valore della VES e del titolo degli anticorpi anti-nucleo. Lo studio radiologico ed endoscopico del colon raramente rilevano alterazioni macroscopiche come eritema ed edema della mucosa. In presenza di ulcerazioni, è opportuno escludere una patogenesi iatrogena, secondaria all’assunzione di FANS. Di particolare interesse è l’associazione tra CM e malattia celiaca: circa 1/3 dei pazienti celiaci presenta alterazioni istologiche della mucosa colica riferibili a CM. Quindi la diagnosi di CM va considerata in pazienti celiaci in cui la privazione di glutine dalla dieta non comporti una remissione della sintomatologia diarroica. Per converso, il titolo degli anticorpi antigliadina e antiendomisio in pazienti affetti da CM non è statisticamente diverso da quello della popolazione normale e il loro livello sierico, quando rilevato, è comunque inferiore a quello che si riscontra nei pazienti affetti da celiachia. Tuttavia, come parte della valutazione iniziale di un paziente con CM, può essere ragionevole valutare la presenza di tali anticorpi specifici. La storia naturale della CM è variabile: la remissione completa della sintomatologia è stata riportata nel 60-93% dei pazienti affetti da CL e nel 2-92% di pazienti affetti da CC dopo un follow-up di 3-4 anni. Alcuni pazienti affetti da CM hanno sviluppato una IBD, ma non ci sono ancora dati sufficienti in letteratura per stabilire se si tratta di una associazione casuale o meno. Istopatologia La diagnosi di CM e dei suoi sottotipi, CC e CL, si basa sul reperto istopatologico (4). Nella CC l’aspetto più caratteristico è rappresentato da un ispessimento dello strato di collagene subepiteliale, che si trova al di sotto della membrana basale. Questo deve essere ≥ 10 micron (il valore normale varia da 0 a 3 micron). Tale strato è più prominente nel colon destro e può essere assente nel colon sigmoideo e nel retto, pertanto è consigliabile effettuare il prelievo bioptico nel colon ascendente. La valutazione deve essere effettuata su biopsie correttamente orientate: sezioni tangenziali possono creare false immagini di ispessimento. Si osserva inoltre un incremento dell’infiltrato flogistico della lamina propria, in assenza di distorsione architetturale, e frequentemente un aumento dell’infiltrato linfocitario intraepiteliale. Queste alterazioni sono state talvolta riportate anche nello stomaco, duodeno e ileo terminale di pazienti affetti da CC. La diagnosi di CL richiede invece un costante e significativo aumento dei linfociti intraepiteliali, ≥ 20/100 enterociti (il valore normale è < 5/100), in presenza di uno strato di collagene subepiteliale di spessore normale. Va detto però che le alterazioni istologiche della CM non sono specifiche e sono state descritte anche in pazienti HIV positivi senza sintomatologia diarroica, nella malattia di Crohn, nella diarrea da carcinoide, nella malattia diverticolare e nell’amiloidosi. Per una corretta diagnosi è necessaria pertanto un’efficace collaborazione tra anatomo-patologo e gastro-enterologo. Trattamento Un valido approccio terapeutico consiste nell’evitare l’assunzione di FANS e di altri agenti secretagoghi (caffeina e alcol) che possono esacerbare la diarrea. La terapia antidiarroica non specifica con loperamide e difenossilato/atropina può essere utile. Se l’utilizzo di tali agenti farmacologici non è efficace, viene previsto l’uso di budesonide, subsalicilato di bismuto, mesalazina e sulfasalazina, prednisolone e agenti immunosoppressori. Tra questi la budesonide è il farmaco più studiato nella CC (5): studi randomizzati hanno dimostrato una consistente riduzione delle scariche diarroiche dopo 2-4 settimane di trattamento con dosi giornaliere di 9 mg. Parimenti, a livello istologico, si è dimostrata una riduzione dell’infiltrato flogistico e solo raramente una riduzione dell’ispessimento della membrana basale. La sulfasalazina e la mesalazina sono state utilizzate estensivamente nel trattamento della CM, ma mai valutate in studi randomizzati. È presente in let- 04-fabbri 19-12-2006 14:11 Pagina 6 6 teratura uno studio spagnolo prospettico, sulle differenze di terapia fra collite collagenosica e colite linfocitaria (6); sono stati confrontati oltre al dato clinico anche gli aspetti istologici, dopo terapia con budesonide e mesalazina, su un totale di 81 pazienti. La risposta alla mesalazina è stata significativa in entrambi i sottogruppi, ma i risultati migliori si sono avuti nei pazienti con colite linfocitaria. Nei pazienti con colite collagenosica è stato necessario utilizzare più spesso anche la budesonide. La terapia chirurgica può essere considerata solo in pazienti con grave CM refrattaria alla terapia farmacologia: “slit” ileostomy e colectomia subtotale sono state condotte con successo in alcuni casi. Conclusioni La CM nelle sue due forme (CC e CL) è una causa comune di diarrea cronica, specialmente in donne anziane. La mucosa colica è spesso endoscopicamente normale, ma l’esame istologico del prelievo bioptico dal colon destro rivela alterazioni che consistono nell’ispessimento dello strato di collagene subepiteliale nella CC e nell’incremento dei linfociti intraepiteliali nella CL. La terapia medica è generalmente efficace: la mesalazina si è dimostrata utile soprattutto nei pazienti con CL, mentre la budesonide C. Fabbri, V. Cennamo, A. Fornelli, F. Ferrara (il farmaco attualmente più studiato) è più efficace nei soggetti con CC, a maggior ragione nei pazienti che non rispodono alla terapia di prima linea (anti-diarroica non specifica, aminosalicilati e subsalicilati di bismuto), e può rappresentare il trattamento di prima scelta nei pazienti con sintomatologia severa. L’efficacia del subsalicilati di bismuto è inferiore e meno documentata. Altri studi sono necessari per documentare la gestione dei pazienti con CM. Bibliografia 1. Lazenby AJ. Collagenous and lymphocytic colitis. Semin Diagn Pathol 2005; 22(4): 295-300. 2. Kane S. Colon lesions: pathology specific to women. Gastrointest Endosc Clin N Am 2006; 16 (1): 165-73. 3. Nyhlin N, Bohr J, Eriksson S, Tysk C. Systematic review: microscopic colitis. Aliment Pharmacol Ther 2006 23 (11): 1525-34. 4. Liszka L, Woszczyk D, Pajak J. Histopathological diagnosis of microscopic colitis. J Gastroenterol Hepatol 2006 21 (5): 792-7. 5. Chande N, McDonald JW, Macdonald JK. Interventions for treating collagenous colitis. Cochrane Database Syst Rev 2005 19; (4). 6. Fernandez-Banares F, Salas A, Esteve M, Espinos J, Forne M, Viver JM. Collagenous and lymphocytic colitis. evaluation of clinical and histological features, response to treatment, and long-term follow-up. Am J Gastroenterol 2003; 98 (2): 340-7. 05-meucci 19-12-2006 14:12 Pagina 7 ACTA BIOMED 2007; 78; Quaderno 1: 7-15 © Mattioli 1885 R E V I E W L’ottimizzazione dell’utilizzo dei “nuovi” corticosteroidi nel trattamento delle malattie infiammatorie intestinali Gianmichele Meucci Unità Operativa di Gastroenterologia - Ospedale Generale di Zona Valduce, Como Relazione presentata a: Assemblea Generale Ordinaria GSMII 7 ottobre 2006, Collegio dei Padri Oblati Rho (MI) Nell’intento di ridurre gli effetti indesiderati della terapia steroidea massimizzandone l’efficacia, negli ultimi decenni sono state sintetizzate alcune nuove molecole, dotate di una maggiore affinità per il recettore dei corticosteroidi e contemporaneamente di minori effetti sistemici. Per raggiungere questo secondo obiettivo sono stati sviluppati sia farmaci scarsamente assorbibili a livello intestinale (come per esempio il fluticasone, comunemente impiegato per il trattamento dell’asma bronchiale), sia molecole metabolizzate in alta percentuale a livello epatico al loro “primo passaggio” subito dopo la loro immissione nel circolo portale. A questa seconda categoria appartengono il beclometasone dipropionato (BDP), e la budesonide, che negli ultimi anni si sono resi disponibili anche in Italia per il trattamento delle malattie infiammatorie intestinali. In questa trattazione verranno riviste le evidenze di efficacia di questi due preparati e si tenterà di tracciare le linee-guida per un loro utilizzo ottimale La budesonide La budesonide è un potente corticosteroide, dotato di una affinità per il recettore dei corticosteroidi superiore di 200 volte rispetto all’idrocortisone e 15 volte rispetto al prednisolone. Assunto per os viene quasi completamente assorbito dal tratto gastrointestinale, subendo un estensivo metabolismo (pari all’80-90% della quota assorbita) al primo passaggio epatico; la sua biodisponibilità è quindi molto bassa (9-12%, rispetto all’80-95% del prednisone) (1, 2). Il suo primo utilizzo è stato per il trattamento topico dell’asma bronchiale e della rinite allergica; successivamente sono stati messi a punto clismi per il trattamento della colite ulcerosa (attualmente in commercio in diversi Paesi europei ma non Italia) e, più recentemente, preparazioni orali per il trattamento della malattia di Crohn. La budesonide orale nella terapia della malattia di Crohn Concetti generali Sono attualmente disponibili due preparazioni orali di budesonide: • La prima consiste in capsule a “rilascio ileale controllato” costituite da granuli rivestiti esternamente da una resina acrilica (Eudragit L100/55) che si dissolve a valori di pH superiori a 5,5 (vale a dire, nel duodeno); ogni granulo contiene una matrice di etilcelllulosa che consente un rilascio prolungato del farmaco a livello del lume intestinale. Si tratta quindi di una formulazione a rilascio combinato ph-dipendente e tempo-dipendente: con questa formulazione la maggior parte del farmaco (59-68%) viene assorbita a livello dell’ileo e del colon destro ed è pertanto in queste aree che viene in massima esercitata la azione terapeutica (3, 4). • La seconda formulazione consiste di compresse rivestite da un complesso di resine acriliche che consentono il rilascio del farmaco a partire da valori di pH superiori a 6; il loro rilascio quindi, 05-meucci 19-12-2006 14:12 Pagina 8 8 almeno in linea teorica, dovrebbe avvenire più distalmente rispetto al precedente (5): Nonostante queste differenze nel meccanismo di rilascio, queste due formulazioni sono da considerare sostanzialmente equivalenti ed entrambe sono indicate esclusivamente per il trattamento della malattia di Crohn localizzata a ileo e colon destro (5). Studi di dose-finding hanno dimostrato come l’effetto massimo sia ottenuto ad un dosaggio di 9 mg al giorno e non vi sia è alcun vantaggio ad incrementare ulteriormente la dose (6, 7). È stato anche dimostrato che il frazionamento della dose non produce alcun incremento di efficacia, e per questo è consigliata, (come per i corticosteroidi tradizionali) la somministrazione in unica dose al mattino, allo scopo sia di migliorare la compliance, sia di minimizzare l’inibizione dell’asse ipofisi-surrene (8, 9). A parità di dosi l’esposizione sistemica del farmaco nei bambini e negli adulti è molto simile (10, 11) e pertanto i dosaggi consigliati in età pediatrica sono identici a quelli impiegati negli adulti. La budesonide nel trattamento della malattia di Crohn in fase attiva Numerosi studi controllati ed almeno tre metaanalisi (12-14) hanno consentito di delineare in maniera molto precisa l’efficacia della budesonide (al dosaggio di 9 mg al giorno) in questa situazione: • Due studi controllati (6, 9) hanno dimostrato la superiorità della budesonide rispetto al placebo, con percentuali di remissione clinica complessivamente circa triple (14). • Uno studio controllato ha dimostrato che la budesonide è significativamente superiore anche alla mesalazina ad alte dosi per quanto riguarda sia le percentuali di remissione clinica (60 per cento contro 30 per cento circa) sia gli effetti sulla qualità della vita (15, 16). • Per quanto riguarda il confronto con i corticosteroidi “classici”, tutti gli studi hanno dimostrato percentuali di remissioni superiori, ma in maniera statisticamente non significativa, nei pazienti trattati con questi ultimi (8, 17-20). Tre meta-analisi (12-14) hanno però confermato che l’efficacia della budesonide è del 30 per cen- G. Meucci to circa inferiore rispetto a quella degli steroidi classici. Tuttavia, anche l’incidenza di effetti collaterali è nettamente inferiore (meno della metà): per questo motivo due gruppi indipendenti di esperti sono giunti alla conclusione che la budesonide va considerata il trattamento di prima scelta nei pazienti con malattia di Crohn di ileo e colon destro in fase attiva (21, 22). • È interessante notare come sia negli studi controllati sopra citati, sia in altri studi aperti (2331) la percentuale di remissione nei pazienti trattati con budesonide sia risultata molto simile, con valori nella stragrande maggioranza dei casi compresi fra il 50 e il 60 per cento. • Una rianalisi dei dati di alcuni studi controllati ha dimostrato come, oltre che sui sintomi intestinali, la budesonide è efficace anche sui sintomi articolari, in maniera significativamente superiore al placebo e paragonabile ai corticosteroidi tradizionali (32). • Infine, è stato dimostrato anche un effetto favorevole della budesonide sulla qualità della vita 16, 33) La budesonide nella terapia di mantenimento della malattia di Crohn Per quanto riguarda la terapia di mantenimento sono da distinguere tre diverse situazioni • Mantenimento della remissione indotta dalla terapia medica: in cinque studi controllati, la percentuale di pazienti in remissione dopo un anno di trattamento non è risultata diversa nei pazienti trattati con budesonide rispetto a quelli trattati con placebo (34-38) e la inefficacia della budesonide è stata confermata da una meta-analisi (12). Tuttavia, un’altra revisione sistematica della letteratura in cui è stato considerato anche il fattore tempo ha evidenziato come le percentuali di pazienti in remissione sia più elevata, fra i trattati con budesonide al dosaggio di 6 mg, durante i primi sei mesi di trattamento, per poi divenire simile a quella dei pazienti trattati con placebo nei mesi successivi (39). Questa differenza non è emersa nello studio in cui la budesonide è stata impiegata a dosaggio inferiore 05-meucci 19-12-2006 14:12 Pagina 9 9 Nuovi corticosteroidi nella terapia delle IBD (35). Sulla base di questi dati è stato suggerito che, nei pazienti che raggiungono la remissione, può essere proponibile la prosecuzione del trattamento con budesonide, 6 mg al giorno per altri sei mesi. • Prevenzione della recidiva postchirurgica: in questo caso, due studi controllati (40, 41) ed una meta-analisi (12) non hanno dimostrato alcuna differenza nei pazienti trattati con budesonide rispetto al placebo • Mantenimento della remissione nei pazienti steroido-dipendenti: due studi controllati hanno dimostrato che in questa categoria di pazienti la sostituzione dei corticosteroidi con budesonide è più efficace nel mantenimento della remissione clinica rispetto alla loro sostituzione con placebo (42) e mesalazina (43). La possibilità di poter mantenere la remissione e minimizzare gli effetti collaterali sostituendo gli steroidi classici con budesonide è stata suggerita anche da uno studio aperto (44) e da alcuni case-report (45, 46). Effetti collaterali Come già accennato, tutti gli studi controllati hanno inequivocabilmente dimostrato che l’incidenza di effetti collaterali del trattamento con budesonide è molto inferiore rispetto a quella del trattamento con steroidi classici e, in particolare, l’inibizione dell’asse ipotalamo-ipofisi, per quanto presente, è sensibilmente inferiore. Tuttavia, seppur in casi eccezionali, sono stati descritti anche effetti collaterali gravi come lo shock anafilattico (47). Per quanto riguarda l’effetto sulla matrice ossea, uno studio pilota aveva rilevato che l’effetto a breve termine della budesonide sui markers biochimici di rimaneggiamento osseo sono molto inferiori rispetto quelli del metilprednisolone (48). Tuttavia, l’unico studio controllato al riguardo ha dimostrato che un minor effetto della budesonide sulla riduzione della densità ossea, rispetto al prednisolone, è evidente soltanto nel gruppo di pazienti mai trattati in precedenza con corticosteroidi. Sia i pazienti cortico-dipendenti, sia i pazienti cortico-responsivi trattati in precedenza mostravano già valori basali di densità ossea mediamente più bassi, e la ulteriore riduzione nel corso del trattamento era sovrapponibile nei due gruppi (49). Uno studio osservazionale su pazienti steroido-dipendenti ha mostrato una maggior riduzione dei valori di densità ossea in corso di trattamento con budesonide rispetto al trattamento con basse dosi (< 15 mg al giorno) di prednisone (50). Questi dati, enfatizzano ulteriormente l’importanza di evitare o ritardare il più possibile il ricorso ai corticosteroidi classici ma rendono consigliabile mettere in atto, anche nei pazienti trattati con budesonide, tutte le misure preventive sul danno osseo comunemente consigliate in caso di trattamento steroideo (51). Non ci sono dati riguardo il trattamento con budesonide orale in corso di gravidanza: la budesonide in forma inalatoria è classificata come farmaco di classe B, e una recente meta-analisi non ha rilevato alcun rischio nelle donne trattate con budesonide per asma bronchiale durante la gravidanza (52). Altri utilizzi della budesonide La budesonide è stata impiegata in due studi (uno controllato, uno aperto) in pazienti con malattia di Crohn portatori di ileostomia ad alta portata, ottenendo un incremento dell’assorbimento di fluidi ed una riduzione dell’effluvio dall’ileostomia stessa (53, 54). E’ stato anche ipotizzato l’utilizzo di formulazioni orali nel trattamento della colite ulcerosa attiva; sono state sperimentate sia la formulazione a rilascio pH-dipendente sopra descritta, sia una nuova formulazione costituita da microgranuli a rilascio tempo-dipendente ritardato (55-57). I dati sono comunque ancora preliminari. La budesonide topica nella terapia della colite ulcerosa Anche se non in Italia, in altri Paesi europei la budesonide è disponibile anche in sotto forma di clismi e di clismi a schiuma. Le due preparazioni sono del tutto equivalenti (58), e il dosaggio ottimale è stato stabilito in 2 mg (in 100 cc per i clismi, in 25 cc per le schiume) in monosomministrazione (59-61). Diversi studi ed una meta-analisi hanno documentato la superiorità di questo trattamento rispetto al placebo (62) e la sostanziale equivalenza rispetto 05-meucci 19-12-2006 14:12 Pagina 10 10 G. Meucci agli steroidi tradizionali, ma con meno effetti collaterali (59, 63-67). Il trattamento topico con budesonide è invece risultato significativamente meno efficace della mesalazina topica (68, 69). Al pari degli altri corticosteroidi, anche la budesonide non ha alcuna efficacia nella terapia di mantenimento (61). Infine, in uno studio controllato la budesonide topica si è dimostrata altrettanto efficace del metronidazolo per os nel trattamento della pouchite (70). Ottimizzazione dell’utilizzo della budesonide nella malattia di Crohn - Conclusioni tale citocromo (in particolare, ketoconazolo e succo di pompelmo). • Nei pazienti in trattamento con budesonide dovrebbero essere messe in atto le stesse precauzioni comunemente consigliate in caso di terapia steroidea per quanto riguarda sia la prevenzione del danno osseo, sia l’inibizione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Il beclometasone dipropionato (BDP) Cenni di farmacocinetica e farmacologia clinica Indicazioni • Nei pazienti con malattia di Crohn di ileo e colon destro in fase attiva la budesonide per os, al dosaggio di 9 mg al giorno, è da considerare il trattamento di prima scelta. • Nei pazienti che raggiungono la remissione clinica può essere proponibile la prosecuzione del trattamento con budesonide, 6 mg al giorno per altri sei mesi allo scopo di ritardare la riacutizzione. • Nei pazienti steroido-dipendenti che non tollerano il trattamento immunosoppressorio e che non sono candidabili alla chirurgia il passaggio al trattamento con budesonide può essere un’opzione. Modalità di impiego • Come per i corticosteroidi tradizionali,è consigliabile la somministrazione in dose unica alla mattina. • Pur in assenza di evidenze chiare in tal senso, molti esperti consigliano, al termine del trattamento di fase acuta, di ridurre il dosaggio progressivamente, di 3 mg ogni 4 settimane (71). • Dato il prevalente metabolismo epatico della budesonide, nei pazienti con epatopatia grave dovrebbe essere considerata una riduzione di dosaggio. Inoltre, la budesonide è metabolizzata a livello del citocromo CYP3A4; pertanto, i suoi livelli ematici possono essere incrementati in caso di assunzione concomitante con inibitori di Il beclometasone dipropionato è uno steroide dotato di una potente attività anti-infiammatoria, e di una elevata lipofilia. Dopo somministrazione per via inalatoria, la quota assorbita viene rapidamente metabolizzata nei componenti inattivi beclometasone monopropionato e beclometasone alcol, che sono rapidamente eliminati attraverso la bile e le urine (72). Dopo somministrazione per via rettale a dosaggio pieno (sia in acuto, sia dopo trattamento prolungato) non è possibile rintracciare né il farmaco, né i suoi metaboliti a livello ematico od urinario (73, 74). Inoltre, studi eseguiti sia su pazienti, sia su volontari sani utilizzando dosaggi variabili da 0,5 a 3 mg al giorno (sempre per via topica) non hanno rilevato alcuna riduzione né dei livelli ematici di cortisolo a digiuno o dopo stimolazione con ACTH, né della escrezione urinaria del cortisolo stesso (75-77). Trattamento topico con beclometasone nella colite ulcerosa distale Il beclometasone dipropionato è disponibile in Italia in tre forme topiche: clismi, clismi a schiuma e supposte. I dati presenti in letteratura riguardo alle ultime due formulazioni citate sono ancora molto limitati (79-80), per cui di seguito verranno esaminati solo i dati relativi ai clismi tradizionali. In 3 studi controllati sono stati confrontati 0,5 mg di BDP con 5 mg di betametasone, per periodi variabili da 14 a 28 giorni, in un numero limitato di pazienti (75-77). In due di essi l’efficacia clinica dei due farmaci risultava paragonabile (75, 76) mentre nel 05-meucci 19-12-2006 14:12 Pagina 11 Nuovi corticosteroidi nella terapia delle IBD terzo il betametasone risultava leggermente più efficace (77). Analogamente, 1 mg di BDP si è dimostrato meno efficace di 30 mg di prednisolone fosfato (73) mentre in un ulteriore studio è stata dimostrata una sostanziale equivalenza fra 2 o 3 mg di BDP e 30 mg di prednisolone (74). Tutti questi studi documentavano in ogni caso, come sopra accennato, la totale assenza di effetti del BDP sull’asse ipotalamo-ipofisario, a differenza di quanto costantemente rilevato per i farmaci di confronto. Sulla base di questi dati il dosaggio di 3 mg al giorno è stato identificato come quello ottimale. In due studi successivi, tale dosaggio ha confermato una efficacia sostanzialmente sovrapponibile a quella dell’idrocortisone (81) e del prednisolone sodico (82). Nel primo di questi studi la percentuale di risposta (completa o parziale) a 6 settimane è risultata 15/20 con BDP e 17/20 con idrocortisone 100 mg, e in due dei pazienti trattati con idrocortisone sono stati osservati effetti collaterali (facies lunare). Nel secondo e più ampio studio (157 pazienti arruolati) la percentuale di remissione completa (clinica ed endoscopica) a 4 settimane è stata del 29% con BDP, 3 grammi al giorno e del 25% con prednisolone, 30 mg. A differenza di quanto costantemente rilevato per le altre formulazioni di steroide topico, l’efficacia del beclometasone si è dimostrata sovrapponibile a quella della mesalazina topica in almeno 3 studi controllati (79, 80, 83). In particolare, in entrambi gli studi in cui sono state registrate le percentuali di remissione clinica, queste sono risultate leggermente (anche se non significativamente) superiori nei pazienti trattati con beclometasone: 70% contro 66% nel primo (80) e 36% contro 29% nel secondo (83). La associazione BDP/5-ASA in forma di clisma si è rivelata significativamente superiore sia al solo 5ASA, sia al solo BDP nell’indurre miglioramento clinico e remissione endoscopica (84). Anche in questo studio non sono state rilevate differenze nell’efficacia di 5-ASA e BDP topici, quando somministrati singolarmente. In uno studio non controllato (85) la aggiunta di BDP al 5-ASA per os ha determinato una risposta clinica nell’80% dei pazienti resistenti alla sola terapia orale, ma in assenza di una terapia di confronto questo dato risulta di difficile interpretazione. 11 Il BDP è stato anche somministrato, tramite una ciecostomia appositamente confezionata, ad alcuni pazienti affetti da pancolite ulcerosa moderata o severa resistente alla terapia steroidea sistemica, ottenendo una risposta clinica completa e consentendo pertanto di evitare il ricorso alla terapia chirurgica (86, 87). Trattamento orale con beclometasone orale nella malattia infiammatorie intestinali Il beclometasone è disponibile per uso orale sotto forma di compresse a rilascio modificato (contenenti 5 mg di farmaco) con un rivestimento a base di Eudragit L100 che consente il rilascio del principio attivo a partire da valori di pH superiori a 6, vale a dire a livello dell’ileo distale e del colon destro (88). Si tratta di un meccanismo di rilascio molto simile a quello delle preparazioni di budesonide sopra descritte ma l’esperienza nel trattamento della malattia di Crohn di ileo e colon destro è ancora limitata. In uno studio controllato, il trattamento per 8 settimane con 10 mg di beclometasone ha indotto percentuali di remissione clinica leggermente ma non significativamente inferiori rispetto a 9 mg di budesonide; il tempo necessario per il raggiungimento della remissione è risultato significativamente più breve per quest’ultima (89). Questi dati sono ancora troppo limitati per poter trarre conclusioni circa il possibile ruolo di questo farmaco nel trattamento della malattia di Crohn. I dati sono piuttosto scarsi anche per il trattamento con beclometasone orale della colite ulcerosa attiva. In uno studio di dose-finding sono stati confrontati gli effetti di 5 mg e di 10 mg al giorno, rilevando percentuali di remissione del tutto sovrapponibili nei due gruppi; con il dosaggio maggiore si induceva una soppressione dell’asse ipotalamo-ipofisi surrene leggermente maggiore (90). In uno studio multicentrico il trattamento con 5 mg di beclometasone per 4 settimane ha consentito di ottenere una riduzione negli score medi di attività clinica sovrapponibili a quella ottenuta con mesalazina per os al dosaggio di 2,4 mg al giorno, e questo indipendentemente dall’estensione della malattia; non venivano però precisate le percentuali di pazienti in cui era stata ottenuta la completa remissione dei sintomi (91). 05-meucci 19-12-2006 14:12 Pagina 12 12 G. Meucci Più significativi sembrano i risultati di un secondo studio multicentrico in cui sono state confrontate la terapia con sola mesalazina orale (3,2 mg al girono) e la terapia orale combinata con mesalazina (allo stesso dosaggio) e beclometasone (5 mg al giorno) in 119 pazienti con colite ulcerosa attiva. Al termine di 4 settimane di trattamento le percentuali sia di remissione, sia di miglioramento clinico sono risultate significativamente superiori nel gruppo trattato con terapia combinata: 58% contro 34% e 76% contro 61% rispettivamente (92). Ottimizzazione dell’utilizzo del beclometasone dipropionato nella colite ulcerosa Conclusioni • Nei pazienti con colite ulcerosa distale in fase attiva il trattamento topico con beclometasone può essere una alternativa al trattamento topico con mesalazina. • Il trattamento combinato con beclometasone e mesalazina topici (eventualmente in aggiunta alla mesalazina orale) può essere una opzione nei pazienti scarsamente responsivi alla monoterapia. • Il trattamento combinato con beclometasone e mesalazina per os (con eventuale aggiunta di trattamento topico con un o entrambi questi farmaci) può essere una opzione nei pazienti con colite ulcerosa in fase di attività lieve-moderata, prima di considerare il ricorso a steroidi sistemici. Bibliografia 1. Edsbacker S, Andersson T. Pharmacokinetics of budesonide (Entocort EC) capsules for Crohn’s disease. Clin Pharmacokinet 2004; 43: 803-21. 2. Hofer K. Oral budesonide in the management of Crohn’s disease. Ann Pharmacother 2003; 37: 1457-64. 3. 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Aliment Pharmacol Ther 2002; 16: 1109-16. 06-viscido 19-12-2006 14:13 Pagina 16 ACTA BIOMED 2007; 78; Quaderno 1: 16-19 © Mattioli 1885 A R T I C O L O O R I G I N A L E Efficacia del beclometasone dipropionato nella malattia di Crohn con attività lieve-moderata Angelo Viscido, Annalisa Aratari, Valeria Clemente, Monica Cesarini, Erika Angelucci, Valeria D’Ovidio, Renzo Caprilli Dipartimento di Scienze Cliniche, Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Introduzione Gli steroidi rappresentano la terapia di prima scelta nella malattia di Crohn (MC) attiva; l’uso degli steroidi tuttavia produce numerosi effetti collaterali, a volte devastanti, sia a breve che a lungo termine (Tabella 1) (1-3), e per questo i Gastroenterologi cercano da tempo terapie alternative per il controllo della MC attiva. Negli ultimi anni sono stati sviluppati i cosiddetti “steroidi di seconda generazione” con lo scopo di ottenere un’alta attività anti-infiammatoria a livello topico ed una bassa disponibilità sistemica, senza produrre effetti collaterali. La budesonide rappresenta il primo composto ad essere formulato con tale scopo. Gli studi effettuati hanno evidenziato che la budesonide è meno efficace rispetto agli steroidi convenzionali nell’indurre la remissione clinica, ma ha sicuramente una minor frequenza e severità di effetti collaterali (4). Recentemente è stata preparata una formulazione orale con rilascio intestinale anche del beclometasone diproprionato (BDP), un altro steroide di seconda generazione. Il BDP è un profarmaco lipofilico che viene trasformato nel metabolita attivo 17-monopropionato. Il BDP ha una alta affinità per il recettore degli steroidi con una potente attività anti-infiammatoria topica, ma ha una bassa attività sistemica e quindi un minor numero di effetti collaterali sistemici, a causa del rapido metabolismo epatico di primo passaggio e della rapida escrezione urinaria e biliare. La formulazione orale a rilascio controllato contiene sia un film di metacrilato acido-resistente (Eudragit L100) che pre- Tabella 1. Principali effetti collaterali della terapia steroidea - Effetti metabolici Iperglicemia Squilibri elettrolitici Ritenzione idrica Alterata distribuzione del grasso (aspetto cushingoide) Steatosi epatica - Effetti sul sistema nervoso centrale Disturbi emotivi Psicosi Pseudotumore cerebrale - Effetti oculari Glaucoma Cataratta - Effetti dermatologici Acne Ritardata cicatrizzazione Atrofia cutanea con comparsa di strie rubre, porpora o ecchimosi - Effetti gastrointestinali Dispepsia - Effetti muscoloscheletrici Osteonecrosi Osteoporosi Miopatia - Ipertensione - Infezioni - Soppressione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene - Ritardo di crescita nei bambini viene che le compresse si dissolvano nello stomaco, sia un core di idrossi-propil-metilcellulosa (Methocel K4M) che si dissolve a pH<6 permettendo quindi il rilascio del farmaco a livello dell’ileo distale e del colon. Il BDP orale è stato utilizzato con successo nella colite ulcerosa e nell graft-versus-host-disease (5-7). 06-viscido 19-12-2006 14:13 Pagina 17 17 Beclometasone diproprionato e malattia di Crohn Considerando le caratteristiche del farmaco è ipotizzabile un ruolo del BDP anche nella MC. Di seguito sono riportati i risultati di un nostro studio aperto in cui il BDP è stato somministrato in pazienti con MC con attività lieve-moderata. Pazienti e trattamento Il BDP è stato somministrato a 24 pazienti con MC con attività lieve-moderata (Crohn’s disease activity index -CDAI- compreso tra 150-400) (8, 9) con lesioni ileali e/o coliche che avevano avuto una recente riacutizzazione non severa di malattia senza aver ricevuto terapia con steroidi convenzionali nei 3 mesi precedenti lo studio. Otto pazienti erano di sesso femminile e 16 di sesso maschile, l’età media era 30 anni (range 19-56), il CDAI medio all’inizio dello studio era 286 (range 280-399), la durata media di malattia era 5 anni (range 1-20); 5 pazienti erano stati in passato sottoposti a resezione intestinale e 9 pazienti avevano in passato assunto steroidi. I pazienti sono stati randomizzati in due gruppi di trattamento: 12 pazienti sono stati trattati con BDP alla dose di 5 mg/die e 12 alla dose di 10 mg/die. Dopo la prima settimana nel gruppo a 5 mg/die, se non si notava una risposta clinica (valutata in base alla riduzione del CDAI di almeno 70 punti rispetto al valore iniziale), la dose veniva aumentata a 10mg/die. La durata del trattamento è stata stabilita in base alla risposta individuale del paziente. Una volta raggiunta la remissione clinica (CDAI <150) e mantenuta per 1 mese, la dose di BDP è stata scalata di 5 mg/settimana fino alla sospensione. Se alla sospensione del BDP si osservava una riacutizzazione di malattia (CDAI>150 ed incremento di almeno 70 punti rispetto al valore iniziale) veniva effettuato un secondo ciclo di trattamento con BDP con le stesse modalità del primo. I pazienti sono stati seguiti ad intervalli settimanali nel primo mese di terapia e poi a 3-6 e 12 mesi di follow-up o più frequentemente in caso di peggioramento clinico. I pazienti sono stati valutati clinicamente a 1 mese dall’inizio del trattamento e classificati in 3 categorie di risposta: - remissione clinica completa (CDAI <150 e decremento di almeno 70 punti rispetto al valore iniziale); - remissione parziale o risposta clinica (decremento del CDAI di almeno 70 punti rispetto al valore iniziale senza raggiungimento della remissione); - non risposta (nessun miglioramento o peggioramento clinico con necessità di steroidi sistemici). Tutti i pazienti sono poi stai valutati ad un anno di follow-up e classificati in tre categorie di risposta: - risposta prolungata (pazienti in remissione completa o parziale alla sospensione della terapia); - steroido-dipendenza (pazienti ancora in trattamento con BDP a causa della riaccensione dei sintomi alla sospensione o alla riduzione della dose del farmaco); - fallimento terapeutico (recidiva dei sintomi con necessità di steroidi sistemici, chirurgia, immunosoppressori). Risultati del trattamento Nel gruppo di pazienti trattati con 5 mg, dopo una settimana di terapia, 3 (25%) pazienti hanno avuto una risposta clinica, mentre negli altri 9 pazienti la dose è stata aumentata a 10 mg. Quindi 3 (12,5%) pazienti hanno assunto 5 mg e 21 (87,5%) pazienti 10 mg/die (Tabella 2). A 1 mese dall’inizio della terapia, 16 (66,6%) pazienti erano in remissione clinica completa (13 pazienti assumevano 10mg/die e 3 pazienti 5mg/die). Sei (25%) pazienti (10 mg/die) avevano avuto una risposta clinica parziale, 2 (8,3%) pazienti (10 mg/die) non avevano avuto nessun miglioramento clinico ed hanno ricevuto trattamento con steroidi convenzionaTabella 2. Schema temporale del trattamento Dose N. pazienti Arruolamento (24) 1° settimana 2° settimana 5 mg/die 10 mg/die 12 3 12 21 06-viscido 19-12-2006 14:13 Pagina 18 18 A. Viscido, A. Aratari, V. Clemente, et al. Tabella 3. Risultati ad 1 mese in base ai gruppi di dose Dose N. pazienti Remissione completa Risposta clinica Non risposta * 5 mg/die 10 mg/die 3 0 0 13 6 2 Totale 16 6 2 * necessità di steroidi convenzionali li (Tabella 3). A 3 mesi di trattamento il CDAI medio era 87 (range 48-206), significativamente minore rispetto a quello basale (p<0,05). Ad un anno di follow-up, 8 (33,3%) pazienti erano ancora in remissione clinica, 7 (29,1%) pazienti assumevano ancora BDP poiché andavano incontro a riaccensione di malattia alla sua sospensione (steroido-dipendenza) e 9 (37,5%) pazienti non avevano tratto dal trattamento un beneficio a lungo termine. Di questi 9 pazienti che non avevano risposto al BDP, 3 (33,3%) sono stati sottoposti ad intervento chirurgico di resezione intestinale, 4 (44,4%) sono stati trattati con azatioprina e 2 (22,2%) con infliximab. Gli 8 (33,3%) pazienti che mantenevano la remissione clinica ad un anno di follow-up avevano tutti assunto 10mg/die di BDP. Tra i 7 (29,1%) pazienti che avevano sviluppato steroido-dipendenza, 6 (85,7%) avevano assunto 10mg/die ed uno (14,3%) 5 mg/die. Dei 9 (37,5%) pazienti considerati failures a 1 anno, 7 (77,7%) pazienti avevano assunto 10 mg/die e 2 (22,2%) pazienti 5 mg/die (chirurgia: 3 pazienti a 10 mg/die; azatioprina: 2 a 5 mg/die, 2 a 10 mg/die; infliximab: 2 a 10 mg/die) (Tabella 4). Ad 1 anno di follow-up il CDAI medio di tutti i pazienti è stato 156 (range 42-253), significativamente minore rispetto al basale (p<0,005). La durata media di trattamento è stata di 3,6 mesi (range 2-6). Tabella 4. Risultati ad 1 anno in base ai gruppi di dose Dose N. pazienti Risposta prolungata Steroido-dipendenza Fallimento terapeutico - chirurgia - azatioprina - infliximab 5 mg/die 10 mg/die 0 1 2 0 2 0 8 6 7 3 2 2 Totale 8 7 9 Per quanto riguarda gli effetti collaterali, nessun paziente ha interrotto l’assunzione di BDP per intolleranza, e durante il trattamento non si è verificato alcun evento avverso serio. Un paziente ha presentato lieve edema del volto ed un paziente ha sviluppato acne. In nessun paziente si è riscontrata alterazione della pressione arteriosa, della glicemia o degli enzimi epatici. Discussione I risultati di questo studio dimostrano che il BDP alla dose di 10 mg/die può rappresentare un nuovo e ben tollerato trattamento per la MC con attività lievemoderata. La sua l’efficacia risulta infatti sovrapponibile a quella riportata in letteratura della budesonide e degli steroidi convenzionali. L’uso di BDP per un periodo prolungato di tempo non provoca rilevanti effetti collaterali sistemici. Circa la metà dei pazienti con MC necessita di almeno un ciclo di steroidi nel corso della vita. Durante il primo ciclo di terapia, comunque, circa il 16-20% dei pazienti non risponde alla terapia steroidea convenzionale (steroido-resistenza) e circa un terzo dei pazienti, che all’inizio risponde alla terapia, diventa steroido-dipendente. Ad un anno di follow-up, inoltre, il 26-38% dei pazienti necessita di intervento chirurgico (2, 3). Oltre al fallimento della terapia a lungo termine, il maggior problema dell’uso di steroidi è lo sviluppo di effetti collaterali. Gli effetti indesiderati degli steroidi convenzionali sono conseguenza della alta biodisponibilità del farmaco, che deriva da un elevato assorbimento intestinale e da una bassa quota di metabolizzazione del composto (1). I più frequenti effetti collaterali che si riscontrano sono la facies lunaris, l’acne e le strie rubre. In base ai risultati del National Cooperative Crohn’s disease Study, dopo un ciclo di terapia con steroidi per MC attiva il 50% dei pazienti sviluppa facies lunaris ed il 35% acne. Il problema risulta di particolare importanza nei pazienti steroidodipendenti (10, 11). In Gastroenterologia si sono pertanto cercate terapie alternative che permettessero il cosiddetto risparmio steroideo. Da un lato c’è stato l’avanzamento delle conoscenze nelle biotecnologie e nella patogenesi 06-viscido 19-12-2006 14:13 Pagina 19 19 Beclometasone diproprionato e malattia di Crohn della MC che ha portato allo sviluppo delle terapie biologiche. Queste consentono il risparmio di steroidi in molti pazienti, ma sono gravate da alti costi (12, 13). Dall’altro lato ci sono stati i progressi nel campo della farcodinamica che hanno permesso di formulare nuovi composti farmacologici in grado di svolgere la loro funzione più direttamente e selettivamente nella sede delle lesioni (4). Gli steroidi di seconda generazione hanno una alta attività farmacologica topica a livello intestinale dovuta alla loro alta affinità di legame col recettore steroideo, ed hanno un elevato e rapido metabolismo di primo passaggio nel fegato, senza particolare attività sistemica. La formulazione a rilascio pH-dipendente, che veicola il farmaco fino all’ileo-terminale-ceco, può essere una valida opzione terapeutica per i pazienti con MC a localizzazione nell’ileo terminale e/o colon, in cui è particolarmente importante ridurre gli effetti collaterali sistemici degli steroidi. La budesonide, il primo steroide di seconda generazione disponibile per os, è stato ampliamente utilizzato nella MC. Una metanalisi, che ha valutato gli studi clinici randomizzati e controllati condotti con la budesonide, ha evidenziato che tale farmaco è meno efficace degli steroidi convenzionali nell’induzione della remissione clinica, ma che allo stesso tempo comporta un riduzione della frequenza e della severità degli effetti collaterali rispetto agli steroidi convenzionali (4). Recentemente, un altro steroide di seconda generazione, il BDP è stato sviluppato come formulazione orale. Il BDP è un profarmaco lipofilico legato per l’87% all’albumina. Per diventare attivo deve subire il clivaggio dell’estere in posizione C21. Il beclometasone monopropionato (BMP) che deriva da tale clivaggio è la sostanza attiva, meno lipofilica e con una attività 10 volte superiore al desametasone. Il BMP è relativamente stabile nel sangue ed è metabolizzato solo lentamente a beclometasone che ha attività 20-25 volte più debole. Il BMP ha una affinità col recettore molto maggiore rispetto al BDP. La somministrazione orale di BDP è stata utilizzata con successo nella colite ulcerosa e nella graft-versus-host-disease (5-7). I risultati da noi descritti suggeriscono che il BDP per via orale può avere un ruolo nel trattamento della MC attiva lieve-moderata. Esso può essere una valida alternativa agli steroidi convenzionali in pazienti selezionati ad alto rischio di effetti collaterali da steroidi (es: pazienti pediatrici o giovani adulti) o nei pazienti che richiedono trattamento steroideo a lungo-medio termine, come i pazienti steroido-dipendenti. 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Antonio Abate, Gallarate (VA) Introduzione Il caso clinico descritto si svolge in un ampio arco temporale (circa 10 anni) ed appare paradigmatico di molte delle difficoltà che vengono quotidianamente riscontrate nella gestione “pratica” e nel rapporto con i pazienti affetti da malattia infiammatoria intestinale. Anamnesi SV è un maschio nato nel 1983 senza particolari anamnestici significativi; riferisce infatti unicamente un’anamnesi familiare di neoplasia del colon nel nonno paterno ed un ricovero ospedaliero all’ età di 3 anni per broncopolmonite. La sua storia clinica inizia nel 1994 all’ età di 11 anni con un intervento d’urgenza per addome acuto da appendicite gangrenosa; nel decorso post-operatorio accusa episodi di diarrea con saltuaria ematochezia. A distanza di 3 mesi circa, durante i quali la sintomatologia diarroica è rimasta pressoché inalterata, viene ricoverato in divisione pediatrica per eseguire nuovi accertamenti; nel frattempo è calato di peso, collocandosi al disotto del 50° percentile per questo parametro e tra il 75° ed il 90° per l’ accrescimento staturale. Gli esami al ricovero mostrano incremento degli indici di flogosi e ipoalbuminemia; un’ ecografia delle anse intestinali identifica un ispessimento parietale a carico delle anse del colon sinistro. In seguito a tale riscontro viene eseguita una colonscopia che po- ne diagnosi di colite ulcerosa in fase attiva fino al colon discendente. Decorso clinico Appare subito evidente che la risposta terapeutica non è ottimale, infatti dopo 4 mesi di terapia con mesalazina e prednisone , durante il tentativo di riduzione scalare della posologia dello steroide si manifesta una recidiva che porta al ripristino di dosaggi elevati che verranno mantenuti per persistente attività di malattia, configurando uno stato di corticodipendenza. I genitori, preoccupati per le condizioni di salute del figlio e sfiduciati dall’ esito delle terapie eseguite, si recano a consulto presso uno specialista di un centro di riferimento per la terapia delle IBD che conferma la definizione di malattia corticodipendente ed inizia a prospettare la necessità di utilizzare un immunosoppressore ed addirittura la possibilità di considerare il ricorso alla terapia chirurgica in caso di insuccesso. Nei 21 mesi seguenti la diagnosi le frequenti recidive, nonostante la terapia steroidea mantenuta in modo pressoché continuo; si associano ad una importante anemia da stillicidio ematico cronico (Hb 8,3 gr/dl) ed a marcato deficit di crescita (10°-25° percentile), viene pertanto iniziata la terapia con 6-mercaptopurina. Nei tre anni successivi la situazione clinica rimane pressoché invariata: vengono frequentemente prescritti dei cicli di steroide poiché la malattia si mantiene cronicamente attiva nonostante l’ immunosoppres- 07-ferraris 19-12-2006 14:16 Pagina 21 21 Un caso di difficile gestione clinica della RCU nel paziente giovane sore, si sviluppa inoltre una importante acne, vissuta come forte limitazione della vita sociale, che paziente e genitori ritengono essere legata alla terapia. Esegue tests sierologici per escludere l’associazione di una malattia celiaca ed una MOC che non mostra significative alterazioni osteostrutturali. I medici che hanno in cura SV ritengono che la persistente attività di malattia possa essere dovuta anche al mancato rispetto delle indicazioni terapeutiche, si instaurano per questo motivo dei contrasti con i genitori che ritengono inadeguati i risultati della terapia rispetto agli effetti collaterali, temuti o manifesti, della stessa. Il risultato di queste divergenze è che SV abbandona il centro per affidarsi a terapie alternative, sospendendo l’ assunzione dei farmaci tradizionali. L’ attività della malattia persiste inalterata e dopo due anni SV si ripresenta ad un diverso centro di Gastroenterologia dove viene sottoposto a terapia steroidea parenterale con una discreta risposta clinica che non viene però adeguatamente mantenuta al termine dei cicli di steroide. Questo ulteriore insuccesso mina nuovamente la fiducia del paziente che abbandona il follow-up nel nuovo centro. A gennaio del 2004 nonostante la terapia steroidea mantenuta in modo continuativo, seppure autogestito, viene ricoverato in un altro ospedale per un episodio di profusa proctorragia e seguente lipotimia. Viene ancora trattato con steroide parenterale ad alto dosaggio ma, poco dopo la dimissione accusa un episodio analogo per il quale viene ricoverato nel nostro ospedale ove si presenta in scadute condizioni generali. All’ ingresso viene esclusa radiologicamente la presenza di megacolon, gli esami mostrano severa anemia (Hb 8,2 gr/dl) con segni di flogosi attiva, disprotidemia e squilibrio elettroltico, la persistenza di episodi di proctorragia rende necessario il ricorso alle emotrasfusioni. Esegue una colonscopia che mostra segni di attività moderata-severa di malattia con diffusa fragilità della mucosa e spiccata tendenza al sanguinamento spontaneo come risulta dalle immagini endoscopiche (Fig. 1-3). La terapia steroidea ad alto dosaggio consente il controllo delle manifestazioni cliniche in sesta giornata, in considerazione della lunga storia di malattia, della giovane età del paziente e della steroidodipendenza si propone comunque al paziente l’intervento di proctocolectomia totale che il paziente inizialmente rifiu- ta, accettando di sottoporvisi solamente dopo un nuovo episodio proctorragico massivo insorto al tentativo di tapering dello steroide. Figura 1. Flogosi attiva con sanguinamento spontaneo a livello del colon trasverso Figura 2. Mucosa del sigma 07-ferraris 19-12-2006 14:16 Pagina 22 22 Figura 3. Mucosa del retto, dopo lavaggio ripresa di modesto gemizio L’ intervento si svolge senza complicazioni ed a due anni dal completamento della ricanalizzazione il paziente gode di buona salute con un sensibile miglioramento della qualità della vita. Discussione Il caso risulta esemplificativo di alcune difficoltà della gestione delle IBD nei pazienti giovani. Nei 10 anni di storia clinica SV è stato sottoposto ad un periodo di terapia steroidea complessivamente quantificabile in circa 62 mesi con un evidente deficit di crescita staturale; ha assunto immunosoppressori per due anni, ha subito 12 ricoveri in day-hospital con accessi multipli e 7 ricoveri ordinari per un consistente numero di giorni di degenza totali durante i quali ha eseguito 8 colonscopie. Per le difficoltà psicologiche personali ed il rapporto conflittuale tra paziente, genitori e medici ha cambiato per 5 volte il centro di Gastroenterologia cui far riferimento. I numeri citati devono stimolare alla riflessione sulla gestione del caso, poiché, seppure analizzati a po- L. Ferraris steriori, impressionano soprattutto se si considera che la prima proposta di terapia chirurgica era stata formulata, forse con un eccesso di aggressività terapeutica ed una preveggenza al tempo non completamente condivisibile, solo dopo 10 mesi dalla prima diagnosi di malattia. Visto il decorso successivo e la brillante risposta all’intervento risulta fin troppo semplice concordare con le argomentazioni a favore della terapia chirurgica precoce, ma sappiamo bene tutti come la realtà clinica sia ben più complessa. Nel nostro caso il paziente, colpito dalla malattia nell’ adolescenza, età di per sè critica, ha subito gli effetti negativi legati alla persistente attività della stessa ed agli effetti indesiderati dei farmaci (deficit di crescita). Tale situazione ha accentuato la conflittualità del rapporto con i genitori venendo a creare una difficile relazione anche con i medici curanti. Numerosi studi confermano che i pazienti di IBD, soprattutto in età adolescenziale, siano a maggior rischio di sviluppare rapporti conflittuali, disturbi di tipo ansioso e problemi sociali e che ciò conduca ad una difficoltà nella discussione con il curante dei problemi clinici legati alla malattia. La conoscenza, la spiegazione ai pazienti e la gestione clinica degli effetti collaterali dei farmaci prescritti rappresenta un importante problema, particolarmente nell’ età giovanile, la cui conseguenza è spesso rappresentata dalla scarsa aderenza alle indicazioni terapeutiche e dal ricorso alle terapie alternative. Una non corretta aderenza alla terapia è documentata da diversi studi, condotti peraltro anche in popolazioni di adulti, che mostrano come si possa giungere fino al 50% dei casi di terapia non assunta secondo la prescrizione. È sempre più frequente inoltre il ricorso a terapie alternative, che, come documenta lo studio di Day, può arrivare ad interessare il 72% dei pazienti intervistati. Saper identificare il momento adatto per proporre la scelta terapeutica più opportuna è una qualità clinica che solo l’esperienza ed il rapporto con i pazienti possono insegnare. Nell’ annoso dibattito sui vantaggi e svantaggi del precoce ricorso alla terapia chirurgica, di cui ho sintetizzato nella tabella 1 gli aspetti più significativi evidenziati in un contradditorio pubblicato su Gut nel 2004, spesso dimentichiamo di considerare la volontà dei pazienti. Nel nostro caso solo 15 giorni prima dell’ intervento SV aveva per l’ ennesima volta rifiutato la proposta della terapia chirurgica perché il- 07-ferraris 19-12-2006 14:16 Pagina 23 23 Un caso di difficile gestione clinica della RCU nel paziente giovane Tabella 1. Effatti della terapia chirurgica (liberamente adattato da Early surgical intervention in ulcerative colitis, Gut 2004 53;306-309) Pro (Cima RR, Pemberton JH) Contro Kamm MA • La terapia chirurgica cura in modo definitivo la malattia ed elimina il rischio di CA • La terapia medica con ciclosporina e.v. a basso dosaggio risolve i casi di colite fulminante nella maggior parte dei pazienti con bassa morbilità • L’intervento è sicuro, con poche complicanze, mantiene l’evacuazione fisiologica seppure con frequenza lievemente aumentata • Dopo la rescue-therapy con ciclosporina la remissione può essere mantenuta con azatioprina o 6-MP, senza necessità di intervenire. • C’è un significativo miglioramento della qualità della vita anche per interventi eseguiti in elezione • La malattia cronicamente attiva può essere trattata efficacemente incrementando il dosaggio di AZA o 6-MP • Allo stato attuale la terapia medica non riduce il rischio di CA (?), obbligando il paziente a controlli anche quando la malattia è asintomatica • Morbilità e mortalità della colectomia, della stomia e della chirurgia ricostruttiva debbono essere considerate nella scelta • La terapia medica aggressiva può risultare meno cost-effective della chirurgia precoce e può aumentarne la morbilità • La chirurgia rimane indicata per displasia ad alto grado o CA, elevato rischio di perforazione , attività cronica nonostante trattamento massimale luso dal transitorio miglioramento delle proprie condizioni con la terapia steroidea, probabilmente se non fosse stato spaventato da un nuovo importante episodio emorragico non vi si sarebbe sottoposto. Un confortante spiraglio di luce per chi deve affrontare la difficoltà nel proporre e far accettare la terapia chirurgica e l’ uso degli immunosoppressori a lungo termine è attualmente prospettato dall’ uso di nuovi farmaci come gli steroidi a bassa biodisponibiità e l’ infliximab, il cui ruolo in un caso come quello descritto avrebbe forse potuto essere determinante. 2. Mackner LM. Review: psychological issues in pediatric inflammatory bowel disease. J Pediat Psychol 2004; 29 (4): 24357. 3. Kane SV. Systematic Review: Adherence Issues in the Treatment of Ulcerative Colitis. Aliment Pharmacol Ther 2006; 23 (5): 577. 3. Day AS. Use of complementary and alternative medicines by children and adolescents with IBD. J Pediatr Child Health 2004. 5. Sewich MJ. Inflammatory bowel disease. Am J Gastroenterol 2002; 97 (9): 2174-83. 6. Sewich MJ. Psychosocial distress, social support and disease activity in patients with inflammatory bowel disease. Am J Gastroenterol 200; 96 (5): 1470-9. 6. Kamm MA. Early surgical intervention in ulcerative colitis. Gut 2004; 53: 308-9. 7. Cima RR, Pemberton JH. Early surgical intervention in ulcerative colitis. Gut 2004; 53: 306-7. Bibliografia 1. Mackner LM: Oral medication adherence in pediatric IBD. Inflamm Bowel Dis 2005. 08-girelli 19-12-2006 14:17 Pagina 24 ACTA BIOMED 2007; 78; Quaderno 1: 24-29 © Mattioli 1885 C A S E R E P O R T La trombosi della vena mesenterica superiore. Una diagnosi da non perdere Carlo M. Girelli U.O. Medicina 1, Ospedale di Circolo di Busto Arsizio (VA) Introduzione La trombosi della vena mesenterica superiore (VMS) è una condizione infrequente, la cui prognosi è strettamente influenzata dalla tempestività diagnostica e dall’instaurazione del trattamento anticoagulante. Poiché le sue manifestazioni cliniche sono spesso poco appariscenti e aspecifiche è necessario avere un elevato indice di sospetto diagnostico, avvalorando dati anamnestici relativi a fattori di rischio trombotici sia familiari che acquisiti e segni clinici, biochimici ed ultrasonografici che possono indirizzare prontamente verso la corretta strategia diagnostica e terapeutica. Riportiamo qui un caso giunto alla nostra osservazione, la cui diagnosi tempestiva ha consentito di evitare l’infarto intestinale e di limitare i giorni di degenza ospedaliera. Caso clinico Il 24 Ottobre 2005 alle ore 15 si presenta al Dipartimento di Emergenza dell’Ospedale di Busto Arsizio una donna di 32 anni per dolori ai quadranti addominali superiori accompagnati da nausea, vomito alimentare e diarrea, insorti 48 ore prima dell’osservazione medica. La paziente assume contraccettivi orali di ultima generazione da tre anni; la restante anamnesi fisiologica, remota e familiare sono silenti. All’esame fisico la paziente appare in buone condizioni generali, normopeso (IMC, 21), con parametri vitali normali. L’addome è trattabile e la palpazione non modifica la sintomatologia dolorosa. L’esplorazione rettale è altresì negativa e non incrementa il dolore. Non vi è aumento della temperatura differenziale. Nel sospetto di una colica biliare il medico ordina un pannello di esami biochimici (emocromo, PCR, funzionalità epatica, amilasemia elettroliti plasmatici e funzionalità renale) ed un’ecografia standard dell’addome che mostrano rispettivamente una leucocitosi (13000/mm3) con un aumento di proteina C reattiva (PCR, 1.7 mg/dL, v.n.<0.6) ed una modesta raccolta liquida nello sfondato del Douglas, con normalità di fegato, asse splenoportale, pancreas, colecisti e vie biliari, milza e reni. La successiva visita ginecologica, completata da ecografia trans-vaginale, non ha riscontrato patologie a carico di utero e annessi, confermando la presenza di raccolta anecogena, liquida nel Douglas. La paziente è pertanto ricoverata con diagnosi provvisoria di gastroenterite acuta, con prescrizione di dieta idrica, supplemento di liquidi per via endovenosa, ketorolac endovenoso a domanda. La mattina successiva la paziente riferisce iporessia; nel corso della notte ha presentato due scariche scarse di feci liquide, normocromiche e ha tratto beneficio dalla somministrazione dell’analgesico. L’obiettività addominale è ancora completamente indifferente. Nel sospetto di un’appendicite acuta a presentazione atipica si esegue immediatamente un ecografia con sonda lineare 5-7.5 MHz per lo studio dell’appendice e dell’intestino. L’indagine non consente la visualizzazione dell’appendice, ma si rivela alquanto informativa, non solo per la conferma di liquido nel Douglas (Fig. 1), ma per l’evidenza di un intestino tenue diffusamente acinetico, a pareti ispessite 08-girelli 19-12-2006 14:17 Pagina 25 Trombosi venosa mesenterica 25 edema generalizzato del piccolo intestino e la storia di consumo di contraccettivi orali hanno posto il sospetto di un’ischemia intestinale, corroborato dal riscontro di un D-dimero di 8.2 μg/dL (v.n. 0.6-1.2) eseguito in urgenza. Ventiquattro ore dopo l’accesso in Ospedale si esegue un’angio-TC spirale con mezzo di contrasto che documenta la pervietà dei tronchi arteriosi celiaci e mesenterici e trombosi della vena mesenterica superiore (Fig. 3), confermando il reperto di edema diffu- Figura 1. Scansione assiale ipogastrica che mostra un versamento nello sfondato di Douglas (freccia bianca) tra parete addominale e utero (freccia nera) (6-6.5 mm; v.n. <4 mm) con perdita del pattern stratificato nelle scansioni digiunali, al quadrante superiore sinistro (Fig. 2). L’insorgenza repentina di dolore addominale la cui entità soggettiva non trova corrispondenza con l’obiettività addominale, l’evidenza di Figura 2. Scansione del mesogastrio con sonda lineare 7.5 MHz. Sono riconoscibili anse di piccolo intestino acinetiche, con aumentato spessore parietale. È riconoscibile scarsa quantità di liquido tra le anse (frecce) Figura 3. Angio-TC. A) Scansione assiale che mostra un difetto centrale di opacizzazione della vena mesenterica superiore (freccia); B) Ricostruzione tridimensionale della vena mesenterica superiore con evidenza del difetto di canalizzazione (freccia) 08-girelli 19-12-2006 14:17 Pagina 26 26 C.M. Girelli Tabella 1. Esami ematochimici per lo screening degli stati trombofilici eseguiti nella nostra paziente Discussione Condizioni acquisite LAC (anticoagulante lupico) Ab anticardiolipina La trombosi della VMS è un’entità clinica nosologicamente ben definita, distinta dalla trombosi arteriosa quale causa di infarto intestinale per la prima volta da Warren (1). Se nelle casistiche più remote la trombosi della VSM era considerata un reperto laparotomico o autoptico per lo più clinicamente non sospettato (2), i progressi nel campo della diagnostica d’immagine ne consentono ora la diagnosi accurata e non invasiva nella maggior parte dei casi. Per la rarità della condizione, che colpisce ugualmente ambo i sessi, ed è stimata intorno al 5-15% delle cause di ischemia intestinale e allo 0.1% delle cause di dolore addominale afferenti ad un Dipartimento d’emergenza (3, 4), la letteratura riporta solo piccole casistiche retrospettive, o case-reports, limitazione che dovrà essere tenuta in conto nella sua valutazione critica. In tre casi su quattro è riconoscibile una diatesi trombotica che può essere ovvia (infezioni, infiammazioni, traumi, neoplasia di organi limitrofi alla VMS, sepsi addominale, emopatie trombogeniche) od occulta per stati trombofilici più frequentemente geneticamente determinati, ma anche acquisiti come nel lupus eritematoso sistemico e nella sindrome anti-fosfolipidi (Tabella 2). In una casistica di 12 pazienti con trombosi della VMS, senza ovvi fattori di rischio, Armitrano et al hanno riscontrato una prevalenza del 75% di genotipi trombofilici e nella metà dei casi la mutazione T677C MTHFR con iperomocisteinemia (5). Tuttavia, essendo l’eterozigosi per la mutazione T677C del MTHFR assai diffusa nei soggetti caucasici con una prevalenza riportata sino al 20% (6) è opinione della maggior parte dei ricercatori che tale condizione non possa giustificare l’aumentato rischio trombotico in assenza di un aggiuntivo fattore di rischio genetico o acquisito (7). Pur non avendo trovato in letteratura studi riguardanti l’associazione del fattore di rischio iperomocisteinemia/mutazione MTHFR con uso di contraccettivi orali, è noto che questi ultimi aumentano di 7 volte il rischio relativo di trombosi venosa profonda nei soggetti eterozigoti per la mutazione del fattore V Leiden (8) e ci sembra biologicamente plausibile che anche l’associazione tra uso di contraccettivi orali e iperomocisteinemia/mutazione Condizioni genetiche Proteina C Proteina S Antitrombina III Omocisteina Mutazione G20210A fattore II (protrombina) Mutazione fattore V Leiden Mutazione MTHFR Fibrinogeno Plasminogeno so del tenue e scarso versamento peritoneale. Il siero della paziente è immediatamente stoccato per i test di trombofilia (Tabella 1) e si avvia una terapia anticoagualante con enoxaparina 100 mg Kg-1 bid warfarin 5 mg qd, con la raccomandazione di sospendere definitivamente i contraccettivi orali. Nei giorni successivi, il decorso clinico è stato favorevole, con progressiva scomparsa del dolore addominale, normalizzazione dell’alvo e recupero dell’alimentazione orale. In quarta giornata di ricovero, previo controllo ecografico che documentava la scomparsa del liquido peritoneale con reperto intestinale invariato, la paziente viene dimessa con controllo ambulatoriale clinico e di INR ogni tre giorni. In settima giornata di terapia viene sospesa l’eparina a basso peso molecolare, avendo raggiunto un livello terapeutico stabile di anticoagulante orale (INR, 2.8). A due settimane dalla dimissione si verificava la completa risoluzione del quadro clinico ed ecografico. L’esito dei tests trombofilici hanno mostrato una lieve iperomocisteinemia (18.2 μmol/L, v.n.<12) e positività per la mutazione T677C dell’enzima metilenetetraidrofolato reduttasi (MTHFR); i restanti tests hanno dato esito normale. Per tale motivo, su parere ematologico, è stato avviato supplemento vitaminico orale con acido folico 5mg qd, piridossina 50 mg qd, e vitamina B12 1 mg qd. All’ultimo controllo clinico, a 6 mesi dalla diagnosi, la paziente sta bene, assumendo regolarmente la terapia anticoagulante che verrà protratta per altri sei mesi. 08-girelli 19-12-2006 14:17 Pagina 27 27 Trombosi venosa mesenterica Tabella 2. Fattori di rischio per trombosi della vena mesenterica superiore. Da Kumar S, modificata (10) Evidenti Stati infiammatori addominali Pancreatite Peritonite/sepsi addominale Diverticolite Appendicite Malattie infiammatorie intestinali Stati postoperatori Splenectomia Sclerosi varici esofagee Interventi sull’addome Emopatie Trombocitemia essenziale Policitemia vera Emoglobinuria parossisitica notturna Stati trombofilici acquisiti Contraccettivi orali Gravidanza Neoplasia Immobilizzazione Sindrome da depressurizzazione Ipertensione portale Trauma addominale MTHFR possa determinare un analogo incremento del rischio relativo di trombosi; in aggiunta, Autori spagnoli hanno descritto il caso una paziente in trattamento estroprogestinico, con iperomocisteinemia misconosciuta, operata per infarto intestinale da trombosi arteriosa mesenterica (9). Il quadro clinico della trombosi della VMS è variabile e rispecchia verosimilmente sia la rapidità di formazione che la sede del trombo, essendo la presentazione tanto più acuta e catastrofica quanto più rapida la formazione del trombo e l’interessamento dei piccoli rami tributari della vena, impedendo l’adeguato sviluppo di una circolazione venosa collaterale suppletiva. Si distinguono pertanto tre differenti presentazioni, acuta, subacuta e cronica. Nella presentazione acuta il dolore addominale è improvviso e severo, rapidamente evolutivo verso un quadro peritonitico, talvolta accompagnato da sanguinamento rettale, con deterioramento delle condizioni generali ed emodinamiche; in questi pazienti la laparotomia non va procrastinata e la diagnosi è nella maggior parte dei casi intra-operatoria. Nella presentazione subacuta, - quella descritta nel caso in oggetto - il dolore addominale è sempre il sintomo cardinale, ma si manifesta in modo più sub- Occulti Stati trombofilici genetici Deficit di antitrombina III Deficit di Proteina C Deficit di Proteina S Mutazione G20210A gene protrombina Mutazione fattore V Leiden Iperomocisteinemia Mutazione gene MTHFR Deficit di plasminogeno Iperfibrinogenemia Aumento fattore VIII Aumento fattore IX Aumento fattore XI Stati trombofilici acquisiti Anticorpi anti fosfolipidi Anticorpi anti-cardiolipina dolo, nell’arco di giorni o anche settimane e, tipicamente, è caratterizzato da una discrepanza tra la sua intensità e la povertà di segni obiettivi addominali; il dolore addominale può essere associato a modificazioni dell’alvo, iporessia, vomito e febbre. Infine, nella forma cronica il dolore può essere assente e la condizione potrà slatentizzarsi dopo alcuni mesi dallo sviluppo della trombosi, con le manifestazioni caratteristiche dell’ipertensione portale (10). Nella forma subacuta, il laboratorio è di poco aiuto per l’aspecificità dei reperti, quali lieve leucocitosi e aumento delle proteine della fase acuta. Il D-dimero, congiuntamente ad una probabilità pretest bassa di trombosi venosa profonda, ha una buona predittività negativa (11), mentre la sua predittività positiva per valori molto elevati decade in soggetti con più di 60 anni, ospedalizzati per più di tre giorni o con alti valori di PCR (12). Relativamente alla trombosi mesenterica, in tale condizione sono stati segnalati valori di Ddimero significativamente più elevati rispetto ad altre patologie chirurgiche addominali (13). L’ecografia standard dell’addome, con sonda convex 3.5 MHz, insieme all’impiego di color doppler può essere diagnostica (14), ma, sfortunatamente, solo di ra- 08-girelli 19-12-2006 14:17 Pagina 28 28 do è consentita la visualizzazione della vena mesenterica superiore ed in pratica il suo ruolo consiste nell’escludere condizioni di dolore addominale acuto di più comune riscontro. Nel caso qui presentato, l’ecografia addominale con sonda lineare 5-7.5 MHz è stata utile, avendo mostrato segni indiretti e aspecifici di sofferenza del piccolo intestino, come l’ispessimento diffuso della parete intestinale e la presenza di liquido peritoneale, indirizzando verso la corretta diagnosi. Purtroppo, l’operatore-dipendenza, la scarsità di adeguate finestre acustiche, il gas intestinale e l’obesità sono importanti limitazioni dell’ecografia di superficie, ma riteniamo ugualmente appropriato integrare l’ecografia di superficie addominale convenzionale con lo studio delle anse intestinali mediante sonda lineare ad alta frequenza nell’approccio al dolore addominale inspiegato. Il gold standard diagnostico è rappresentato dall’angio-TC spirale con mezzo di contrasto o, in alternativa, dall’angio-RM tridimensionale con gadolinio (15). La TC, la metodica più frequentemente utilizzata nel nostro Ospedale, evidenzia difetti di riempimento persistenti della vena, con bassa attenuazione centrale (Fig. 3) ed ha una sensibilità del 90% (15, 16). Il trattamento della forma subacuta, se tempestivamente diagnosticata in assenza di infarto intestinale, prevede l’immediata instaurazione di un regime anticoagulante non diverso dalle più frequenti trombosi venose profonde degli arti inferiori, consistente con la somministrazione di eparina non frazionata o eparina a basso peso molecolare con rapido embricamento di inibitore della vitamina K, e successiva sospensione dell’eparina al raggiungimento di un adeguato e stabile range terapeutico dell’anticoagulante orale (INR, 2.0-3.5). Nel caso della nostra paziente, il trattamento è stato prospettato per un anno, presentando iperomocisteinemia e una sede atipica di trombosi (17, 18). Per quanto concerne il supplemento vitaminico suggerito dall’ematologo in relazione al riscontro di iperomocisteinemia, non vi sono studi di prevenzione primaria che hanno mostrato una riduzione degli eventi trombotici consensuale alla normalizzazione dell’omocisteinemia ottenibili con tale regime terapeutico. In prevenzione secondaria, due recenti trial randomizzati controllati canadese (19) e norvegese (20) relativi a una popolazione con storia di malattie cardiovascolari il primo e soggetti con un recente infarto del miocar- C.M. Girelli dio il secondo, non hanno dimostrato una riduzione né di eventi cardiovascolari né di mortalità nei soggetti trattati con supplemento vitaminico, suggerendo che la trombogenicità dell’iperomocisteinemia sia ascrivibile a fattori metabolici e genetici più complessi (21). La mortalità della trombosi della VMS è elevata, intorno al 20-50% (10), ma in una più recente e consistente casistica è riportata nel 7% dei casi (22), probabilmente in seguito alle migliorate capacità diagnostiche, alla tempestività del trattamento anticoagulante, ed ai miglioramenti terapeutici sull’eventuale patologia sottostante, la cui gravità influenza, ovviamente, la prognosi. In conclusione, la trombosi della VMS, pur essendo una causa rara di dolore addominale acuto in assenza di ovvi fattori di rischio, deve essere sempre considerata nella diagnostica differenziale perché oggi disponiamo di strumenti d’indagine sensibili e non invasivi e la prognosi migliora drasticamente con un tempestivo e appropriato trattamento. Gli indizi che possono corroborare il sospetto diagnostico sono clinici, come l’intensità del dolore, sproporzionato alla scarsa obiettività addominale e, nel caso qui riportato, ecografici, con il riscontro di un diffuso ispessimento parietale del piccolo intestino e la presenza di versamento peritoneale. Bibliografia 1. Warren S, Eberhard TP. Mesenteric venous thrombosis. Surg Gynecol Obstet 1935; 61: 102-21. 2. Abdu RA, Zakhour BJ, Dallis DJ. Mesenteric venous thrombosis-1911 to 1984. Surgery 1987; 101: 383-8. 3. Grendell JH, Ocker RK. Mesenteric venous thrombosis. Gastroenterology 1982; 82: 358-72. 4. Rhee RY, Gloviczki P. Mesenteric venous thrombosis. Surg Clin North Am 1997; 77: 327-38. 5. Armitrano L, Brancaccio V, Guardascione AM, et al. High prevalence of thrombophilic genotype in patients with acute mesenteric vein thrombosis. Am J Gastroenterol 2001; 96: 146-9. 6. Gudnason V, Stanbie D, Scott J, et al. 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Caso clinico N. 1 Paziente maschio M.A. di anni 42, all’età di 20 anni viene sottoposto ad intervento chirurgico di escissione di fistola perianale in altra sede per 3 volte senza guarigione della stessa. Dopo alcuni mesi compare diarrea 5/7 scariche/die associata a dolore addominale, esegue, quindi, una pancolonscopia e viene diagnosticata una colite di Crohn. Per 20 anni il paziente non esegue cure adeguate, né controlli clinici specialistici, né controlli endoscopici, persistono sia la fistola perianale che il dolore addominale e la diarrea che si cronicizzano. Nel settembre 2004 per la riacutizzazione della sintomatologia clinica giunge alla nostra osservazione ed esegue una pancolonscopia con ileoscopia retrogra- da e biopsie per istologia, il suddetto esame conferma la presenza di una fistola perianale intrasfinterica, una pancolite ulcero emorragica con vegetazioni pseudopolipoidi nel retto e nel sigma (Fig. 1), normalità dell’ileo terminale, ed all’istologia su una delle vegetazioni pseudopolipoidi del sigma si rileva displasia grave (Figg. 2 e 3). Confermato il referto istologico di displasia grave da altro patologo si propone al paziente intervento chirurgico in due tempi, il paziente quindi accetta di sottoporsi prima ad intervento di escissione del tramite fistoloso (ottobre 2004) e successivamente ad una proctocolectomia con ileoano con pouch ed ileostomia di protezione (dicembre 2004). Attualmente nell’ultimo controllo del maggio 2006 il paziente ha una buona funzionalità della pouch, non ha segni endoscopici di paucite, evacua 3/4 volte al di, ciclicamente assume dei probiotici, non ha segni di recidiva della fistola perianale ne squilibri idroelettrolitici. Figura 1. Area pseudopolipoide con displasia severa in paziente con rettocolite ulcerosa 09-dell'anna 19-12-2006 14:17 Pagina 31 Displasia e rettocolite ulcerosa Figura 2. Displasia severa con ghiandola in ghiandola in paziente con rettocolite ulcerosa Figura 3. Vegetazione pseudopolipoide in paziente con rettocolite ulcerosa Discussione Il caso riportato consente di aprire la discussione su alcuni punti controversi: A) Qual’è il rischio di cancro del colon nei pazienti con colite ulcerosa? B) La sorveglianza endoscopica ed istologica è in grado di prevenirlo? C) Una chemioprevenzione primaria con mesalazina è in grado di ridurre l’incidenza di cancro? Le stime pubblicate relativamente al rischio di cancro del colon nella colite variano enormemente da un rischio paragonabile a quello della popolazione normale ad un rischio >50% dopo 20 anni di malattia. Il rischio è chiaramente variabile in rapporto all’età di insorgenza e alla durata della malattia, all’estenzione 31 dell’interessamento del colon, alla presenza di una colangite sclerosante e all’eventuale associazione di storia familiare di cancro del colon (1-8). I pazienti in cui la malattia non si è mai estesa prossimamente alla flessura splenica hanno un rischio inferiore rispetto a quelli con forme di pancolite. Lo studio eseguito a Copenaghen (Follow-up pari al 99,9%, tempo medio di osservazione, 11,7 anni) ha riportato un rischio comulativo di cancro del colon del 3,1% dopo 25 anni di malattia, sovrapponibile a quello della popolazione generale da cui i pazienti provenivano. Nonostante un considerevole scetticismo prevalga in alcuni ambienti, noi riteniamo in accordo con altri (9) che una sorveglianza endoscopica con biopsie multiple sia efficace nel ridurre il rischio di malattia neoplastica incurabile nei pazienti con colite ulcerosa ad alto rischio. Sono da considerare ad alto rischio quelli con pancolite, quelli in cui la malattia ha esordito precocemente, quelli con associata colangite sclerosante e quelli in cui esiste una familiarità per cancro colo-rettale. La sorveglianza in questi pazienti deve essere attuata con cura ogni due anni dopo 10 anni dall’esordio della malattia. Per quelli (10) scettici sull’efficacia dell’esame endoscopico nel rilevare piccole aree displastiche nel contesto di una malattia diffusa su tutto il colon in questi ultimi anni oltre ad un attento esame endoscopico ed ad un adeguato campionamento bioptico, sufficienti come nel caso in esame a reperire la displasia, l’endoscopia dove tecnicamente possibile può utilizzare la magnificazione, la cromoendoscopia, l’autofluorescenza e la endomicroscopia confocale, tecniche che nel futuro saranno sempre più sofisticate e consentiranno a studiare in maniera più approfondita aree di dubbia interpretazione anatomo-macroscopica. Il riscontro di displasia ad un primo esame istologico necessita sempre di un parere di conferma di un altro patologo esperto dedicato allo studio delle patologie dell’apparato digerente, prima di avviare un paziente alla colectomia. Le controversie sul ruolo che l’endoscopia possa prevenire il cancro colo-rettale in questi pazienti derivano sia dalla scarsa “compliance” dei pazienti ai programmi di sorveglianza, sia dai costi degli stessi e dalla difficoltà di programmare studi prospettici randomizzati e dalla capacità che questi programmi possano influenzare comunque la stadiazione delle neoplasie diagnosticate (10). 09-dell'anna 19-12-2006 14:17 Pagina 32 32 Altro punto controverso nella gestione a lungo termine di questi pazienti è sul ruolo chemiopreventivo della terapia con mesalazina (7), si potrebbe ipotizzare che il nostro paziente ha sviluppato la displasia severa dopo 20 anni perche’ in questi anni non ha eseguito terapia di mantenimento con 5ASA. Infine la diagnosi di rettocolite ulcerosa e non di Crohn come era stata quella iniziale ha consentito di trattare in due tempi chirurgici la malattia, prima l’asportazione della fistola, poi l’esecuzione della colectomia con ricostruzione del transito fecale con ileo-anostomia con reservoir. Naturalmente l’esame istologico sul pezzo operatorio ha confermato la presenza e la gravità della displasia. La proctocolite di Crohn con fistola perianale non avrebbe consentito la stomia e avremmo dovuto ricorrere ad una amputazione addomino perineale di “Miles”. Bibbliografia 1. Devroede G, Taylor WF. On calculating cancer risk and survival of ulcerative colitis patients with the life table method. Gastroenterology 1976; 71: 505-9. A. Dell’Anna 2. Gilat T, Fireman Z, Grossman A, et al. Colorectal cancer in patients with ulcerative colitis. A population study in central Israel. Gastroenterology 1988; 94: 870-7. 3. Ekbom A, Helmick C, Zack M, et al. Ulcerative colitis and colorectal cancer. 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Failure of colonoscopic surveillance in ulcerative colitis. GUT 1993; 34: 1075-90. quartino il punto in breve ƒ 19-12-2006 14:29 Pagina 1 Il unto... in breve La colite microscopica: l’ipotesi diagnostica e l’opzione terapeutica C. Fabbri, V. Cennamo, A.Fornelli, F. Ferraro Efficacia del beclometasone dipropionato nella malattia di Crohn con attività lieve-moderata A. Viscido, A. Aratari, V. Clemente, M. Cesarini, E. Angelucci, V. D’Ovidio, R. Caprilli quartino il punto in breve 19-12-2006 14:29 Pagina 2 La colite microscopica: l’ipotesi diagnostica e l’opzione terapeutica COME SI MANIFESTA CASO CLINICO Mucosa intestinale macroscopicamente normale o quasi normale (talvolta edematosa) Prima del trattamento 6-8 scariche diarroiche Quadro istopatologico caratteristico Colite collagenosica Inizio terapia Colite linfocitaria Proseguo terapia • BDP compresse a rilascio • BDP compresse a rilascio modificato 5 mg al dì per il 3° modificato 5mg x 2 per due mese di terapia mesi, a una sett. dall’inizio trattamento scomparsa diarrea, • 4°-5° mese BDP 5 mg a giorni alterni 1 evacuazione al dì • Aumento linfocitario • Ispessimento dello strato di collagene subepiteliale (> _10μm) (>_ 20/100 enterociti) • Incremento infiltrato flogistico nella lamina propria e infiltrato linfocitario intraepitaliale Risultato veloce e duraturo nel tempo nel controllo della diarrea (Da: Bassi O. Il trattamento della colite microscopica con BDP per via orale: report di 2 casi consecutivi. Acta BioMed 2006; 177 (Quad. 1): 17-19) CHI COLPISCE TRATTAMENTO • Prevalentemente il sesso femminile in età avanzata • Evitare assunzione di FANS e agenti secretagoghi (caffeina e alcol) • Persone con pregresse malattie autoimmuni (disordini tiroidei, celiachia, diabete mellino, artrite reumatoide, asma allergico...) • Terapia anti-diarroica non specifica • Subsalicilato di bismuto • Mesalazina e sulfasalazina • Agenti immunosopressori • Steroidi di seconda generazione (budenoside - BECLOMETASONE DIPROPIOATO) La colite microscopica (CM) è una causa relativamente comune seppur misconosciuta di diarrea acquosa cronica, spesso accompagnata da dolori addominali e perdita di peso. La malattia è caratterizzata da una mucosa intestinale macroscopicamente normale o quasi normale (talvolta edematosa) e da un caratteristico quadro istopatologico, che comprende due condizioni: la colite collagenosica (CC) e la colite linfocitaria (CL). Fino a qualche tempo fa considerata una malattia rara, attualmente la CM viene diagnosticata nel 1020% dei pazienti con diarrea acquosa cronica. La diagnosi di CM e dei suoi sottotipi, CC e CL, si basa sul reperto La diagnosi di CM e dei suoi sottotipi, CC e CL, si basa sul reperto istopatologico istopatologico. Nella CC l’aspetto più caratteristico è rappresentato da un ispessimento dello strato di collagene subepiteliale, che si trova al di sotto della membrana basale. La diagnosi di CL richiede invece un costante e significativo aumento dei linfociti intraepiteliali. Un valido approccio terapeutico consiste nell’evitare l’assunzione di FANS e di altri agenti secretagoghi (caffeina e alcol) che possono esacerbare la diarrea. La terapia antidiarroica non specifica con loperamide e difenossilato/atropina può essere utile. Se l’utilizzo di tali agenti farmacologici non è efficace, viene previsto l’uso di budesonide, subsalicilato di bismuto, mesalazina e sulfasalazina, prednisolone e agenti immunosoppressori. quartino il punto in breve 19-12-2006 14:29 Pagina 3 Efficacia del beclometasone dipropionato nella malattia di Crohn con attività lieve-moderata Schema temporale del trattamento con BDP Dose 5 mg/die 10 mg/die 1a settimana 12 12 2a settimana 3 21 N. pazienti arruolamento (24) Recentemente è stata preparata una formulazione orale con rilascio intestinale anche del beclometasone diproprionato (BDP), un altro steroide di seconda generazione. Il BDP è un profarmaco lipofilico che viene trasformato nel metabolita attivo 17-monopropionato. Risultati dello studio ad 1 mese in base ai gruppi di dose 100% 100 90 100% Totale paziente 5 mg + 10 mg 81,3% 80 10 mg BDP 70 66,6% 60 5 mg BDP 50 40 30 25% 18,76% 20 8,36% 10 Remissione completa 0% 0% Risposta clinica Non risposta Risultati dello studio ad 1 anno in base ai gruppi di dose 100% 100 90 85,7% 80 77,8% 70 Totale paziente 5 mg + 10 mg • Il BDP ha una alta affinità per il recettore degli steroidi con una potente attività anti-infiammatoria topica • Ha una bassa attività sistemica e quindi un minor numero di effetti collaterali sistemici • Si dissolve al pH < 6 permettendo il rilascio del farmaco a livello dell’ileo distale e del colon 10 mg BDP 60 50 40 30 5 mg BDP 37,5% 33,3% 29,1% 22,2% 20 14,3% 10 0% Risposta prolungata Steroido dipendenze Fallimento terapeutico Trattamento successivo a BDP del 37,5% dei pazienti non rispondenti a terapia Trattamento con infliximab 22,2% 33,3% Intervento chirurgico di resezione intestinale 44,1% Trattamento con azatropina La sua l’efficacia risulta infatti sovrapponibile a quella riportata in letteratura della budesonide e degli steroidi convenzionali. L’uso di BDP per un periodo prolungato di tempo non provoca rilevanti effetti collaterali sistemici. I risultati di questo studio dimostrano che il BDP alla dose di 10 mg/die può rappresentare un nuovo e ben tollerato trattamento per la MC con attività lieve-moderata quartino il punto in breve 19-12-2006 14:29 Pagina 4 BIBLIOGRAFIA Colite Microscopica 1. Lazenby AJ. Collagenous and lymphocytic colitis. Semin Diagn Pathol 2005; 22(4): 295-300. 2. Kane S. Colon lesions: pathology specific to women. Gastrointest Endosc Clin N Am 2006; 16 (1): 16573. 3. Nyhlin N, Bohr J, Eriksson S, Tysk C. Systematic review: microscopic colitis. Aliment Pharmacol Ther 2006 23 (11): 1525-34. 4. Liszka L, Woszczyk D, Pajak J. Histopathological diagnosis of microscopic colitis. J Gastroenterol Hepatol 2006 21 (5): 792-7. 5. Chande N, McDonald JW, Macdonald JK. Interventions for treating collagenous colitis. Cochrane Database Syst Rev 2005 19; (4). 6. 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Gastroenterology 2002; 122: 512-30. ƒ “La malattia è caratterizzata da una mucosa intestinale macroscopicamente normale o quasi normale (talvolta edematosa) e da un caratteristico quadro istopatologico, che comprende due condizioni: la colite collagenosica (CC) e la colite linfocitaria (CL)” ƒ “La diagnosi di CM e dei suoi sottotipi, CC e CL, si basa sul reperto istopatologico.” ƒ “Gli effetti indesiderati degli steroidi convenzionali sono conseguenza della alta biodisponibilità del farmaco, che deriva da un elevato assorbimento intestinale e da una bassa quota di metabolizzazione del composto.” ƒ “L’uso degli steroidi tuttavia produce numerosi effetti collaterali e per questo i Gastroenterologi cercano da tempo terapie alternative per il controllo della MC attiva” ƒ “La somministrazione orale di BDP è stata utilizzata con successo nella colite ulcerosa e nella graft-versushost-disease.”
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