CHE NESSUNO RESTI INDIETRO! L’educazione inclusiva come pre-condizione pre condizione per un’educazione di qualità per tutti 2014 Dossier realizzato dalla Coalizione Italiana della Campagna Globale per l’Educazione Si ringraziano in particolare: ACRA-CCS, ARCS-ARCI, CIFA Onlus, Cisl Scuola, FLC-CGIL, Intervita, Oxfam Italia, Save the Children Italia In copertina: Child friendly CRC in Braille - foto Save the Children Roma, 5 maggio 2014 Coalizione Italiana della Campagna Globale per l’Educazione (CGE-IT) c/o Oxfam Italia via Concino Concini 19 52100 Arezzo Mail: [email protected] www.cge-italia.org 2 LA COALIZIONE ITALIANA DELLA CAMPAGNA GLOBALE PER L’EDUCAZIONE La Global Campaign for Education (GCE) è un movimento della società civile creato nel 1999 che mira a porre fine alla crisi dell’educazione globale. L’educazione è un diritto umano fondamentale e la nostra missione è quella di assicurare che i governi agiscano oggi per il godimento del diritto di tutti ad una educazione pubblica, libera e di qualità. Hanno aderito alla nostra iniziativa un grande numero di organizzazioni nazionali, regionali e internazionali della società civile, sindacati di insegnanti e attivisti dei diritti dei minori. Insieme, chiediamo ai governi nazionali di rendere conto degli impegni assunti a livello internazionale nell’ambito dell’Education for All. Lo facciamo attraverso la mobilitazione dei cittadini affinché la loro voce sia udita, l’azione di dialogo e di pressione sui politici e sui funzionari governativi e attraverso qualsiasi altra attività che possa sollevare il profilo pubblico e politico delle sfide educative. Crediamo che i cittadini, esprimendosi insieme, possono avere un impatto potente sulla politica e sul Governo. La GCE ha coalizioni associate in quasi 100 paesi nel mondo. Ognuna ha tra i suoi aderenti le ONG, i sindacati degli insegnanti, le associazioni di genitori, i gruppi giovanili, le organizzazioni comunitarie e altre organizzazioni della società civile impegnate sull’educazione. I membri delle coalizioni monitorano a livello nazionale gli impegni assunti dai loro governi e mirano a renderli responsabili. La Coalizione Italiana (CGE-IT) nasce nel 2008 e oggi annovera diciassette membri: ACRA-CCS, Action Aid, ARCS, Children in Crisis, CIAI, CIFA onlus, CISL Scuola, FLC Cgil, Intervita, Magis, Mani Tese, PRO.DO.C.S., Proteo Fare sapere, Save the Children Italia, Sightsavers International Italia, VIS e Oxfam Italia, quest'ultima con un ruolo di coordinamento della Coalizione. Nell’ambito delle attività promosse dalla CGE-IT per un’educazione universale e di qualità si inserisce anche la Global Action Week (GAW). La Settimana di Azione Globale che nel 2014 avrà luogo in contemporanea in più di 100 paesi dal 4 al 10 maggio 2014. In Italia coinvolgerà nella riflessione sul tema dell’educazione inclusiva organizzazioni, associazioni, rappresentanti istituzionali e della società civile e soprattutto studenti ed insegnanti che saranno protagonisti di eventi di sensibilizzazione e mobilitazione su tutto il territorio nazionale. Per maggiori informazioni sulla GAW in Italia si invita a visitare il sito: http://www.cge- italia.org/equalrightequalopportunity/ Per nuove adesioni e/o ulteriori informazioni si prega di contattare la Coalizione al seguente indirizzo: [email protected]. 3 Indice Introduzione ...................................................................................................................................................... 5 1- EDUCAZIONE INCLUSIVA: una strada verso l’EDUCATION FOR ALL .......................................................... 6 1.1 Educazione e sviluppo un obiettivo ancora lontano ............................................................................... 6 1.2 Se l’educazione non è per tutti: i fattori di esclusione ............................................................................ 9 1.3 Educazione Inclusiva .............................................................................................................................. 13 1.4 Educazione e disabilità- focus della Campagna Globale per l’Educazione nel 2014 ............................. 15 1.5 Un futuro per l’educazione inclusiva: l’agenda di sviluppo post-2015 ................................................. 19 1.6 Le esperienze dal campo ....................................................................................................................... 21 Educazione inclusiva nella regione balcanica .......................................................................................... 21 L’educazione come strumento di integrazione e inclusione sociale dei bambini e delle bambine peul (enfants bouviers) in Ciad ........................................................................................................................ 23 Bibliobus: biblioteche in movimento per le future generazioni. Un’esperienza di educazione inclusiva nella Striscia di Gaza (Territori Palestinesi) ............................................................................................. 24 2- EDUCAZIONE INCLUSIVA IN ITALIA: SFIDE, CRITICITÀ E BEST PRACTISES ................................................... 27 2.1. Educare all’inclusività ........................................................................................................................... 27 2.2. Dall’integrazione all’inclusione per combattere la dispersione scolastica........................................... 28 Una rete di inclusione contro la dispersione scolastica: Frequenza 200 ................................................ 29 Fuoriclasse: un progetto di contrasto alla dispersione scolastica ........................................................... 31 2.3 La scuola italiana e gli studenti “stranieri”. ........................................................................................... 32 2.4 Alcune esperienze italiane..................................................................................................................... 34 Il piano di gestione delle diversita’. La via toscana per una scuola dell’inclusione................................. 34 Educazione allo sviluppo come strumento per promuovere una cultura inclusiva ................................ 35 Adozioni internazionali: dall’integrazione all’inclusione ......................................................................... 36 La formazione linguistica e l’educazione civica per l’inclusione sociale dei Minori Stranieri Non Accompagnati. L’esperienza di CLIO: Cantiere linguistico per l’Integrazione e l’Orientamento. ........... 37 3. CONCLUSIONI .............................................................................................................................................. 38 4 Introduzione Recenti studi internazionali ci dicono che i 6 obiettivi dell’ “Education for All” (EFA), concordati da 180 paesi nel 2000 a Dakar, non verranno raggiunti entro la scadenza prefissata, il 2015. Oggi nel mondo cinquantasette milioni di bambini hanno ancora gravi carenze educative, semplicemente perché non vanno a scuola e l’accesso all’istruzione non è l’unica criticità. La scarsa qualità del sistema educativo frena l'apprendimento anche per coloro che sono all’interno del sistema scolastico: un terzo dei bambini nell’età della scuola primaria, indipendentemente dal fatto che frequentino la scuola o meno, non sta imparando le nozioni fondamentali. La Campagna Globale per l’Educazione ha scelto per il 2014 di mettere a fuoco il tema dell’ Educazione e Disabilità, illustrando le incolmabili mancanze e le sfide per il futuro nei termini di necessità politiche e strategie didattiche e organizzative. Il presente documento vuole rappresentare un contributo della Coalizione Italiana (CGE-IT) alla campagna “Equal right Equal opportunity”, allargando la prospettiva al più ampio tema dell’Educazione Inclusiva. Educazione inclusiva vuol dire assicurare che davvero il diritto all’istruzione sia universalmente garantito, prestando particolare attenzione a quelle fasce di popolazione maggiormente svantaggiate o esposte a diverse forme di esclusione, siano esse causate da condizioni di povertà, di genere, geografiche, politiche o di altra natura. Per raggiungere l’obiettivo di un’educazione di qualità per tutti, è necessario un cambio di paradigma: porre al centro del sistema educativo il bambino, rispondere alle esigenze del singolo attraverso interventi mirati e contestualizzati e far sì che ciascuno possa sviluppare pienamente le proprie potenzialità e capacità cognitive, emozionali e creative. Non lasciare indietro nessuno e fare in modo che ogni bambina/o si senta gradito e parte di una comunità. L’idea della scuola come comunità inclusiva non è la soluzione, ma la conditio sine qua non per invertire la tendenza che lega strettamente la povertà all’ esclusione sociale, promuovere attitudini antidiscriminatorie, creare comunità aperte e democratiche. Il rapporto “Che Nessuno Resti Indietro! L’educazione inclusiva come pre-condizione per un’educazione di qualità per tutti”, supportato da statistiche e dati ufficiali, si propone di esaminare le strette interconnessioni tra educazione e sviluppo olistico dei singoli e della società, mettendo in luce le criticità della condizione attuale e le sfide per il futuro. In particolare viene posta l’attenzione sull’analisi dei fattori che maggiormente incidono sull’esclusione – o una non adeguata inclusione - dai sistemi scolastici, a quelle barriere sociali, strutturali e infrastrutturali che si traducono in minori opportunità per i bambini di ricevere un supporto adeguato per migliorare il loro grado di istruzione. Al contempo vengono riportate anche alcune testimonianze da parte del mondo della società civile, esperienze pratiche sul campo che danno voce a beneficiari di progetti nei vari “sud del mondo”: buone pratiche, in Italia e in contesti internazionali, realizzate dalle associazioni della società civile che aderiscono alla Coalizione Italiana della CGE non solo nei cosiddetti paesi in via di sviluppo, ma anche nelle scuole italiane, chiamate, tra l’altro in questi ultimi anni, a sviluppare un piano di gestione della diversità. Possibili vie all’inclusività, che esperti del settore offrono al lettore assieme alle raccomandazioni finali, rivolte a tutti gli attori coinvolti: operatori scolastici, insegnanti, educatori esterni alla scuola, discenti, famiglie, enti locali e - non ultimi - ai governi nazionali, perché tutte le risorse necessarie siano dispiegate e messe a frutto in un’ottica olistica. Con questo rapporto la CGE-IT si fa portavoce di un bisogno imperante e urgente in Italia e in tutti i paesi del mondo per realizzare un’educazione inclusiva. Abbiamo bisogno di più scuola, più attenzioni concrete alla scuola, più cura delle sue professionalità; più risorse in organici, in tempo scolastico, in formazione, in figure professionali collaterali, in servizi; e più collaborazioni interistituzionali e con le risorse del territorio. Nella consapevolezza che una pedagogia e una didattica dell’inclusione costa, richiede una serie di condizioni economiche e organizzative senza le quali non si può attuare. 5 1- EDUCAZIONE INCLUSIVA: una strada verso l’EDUCATION FOR ALL 1.1 Educazione e sviluppo un obiettivo ancora lontano Il diritto all’istruzione è riconosciuto universalmente come diritto umano fondamentale e il suo pieno riconoscimento è da considerarsi una precondizione per la crescita e lo sviluppo delle società. E’ per questo che nel 2000 le Nazioni Unite hanno incluso uno specifico obiettivo sull’educazione tra gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio raccogliendo così l’impegno degli Stati a garantire un’educazione di qualità per tutti. Questa è essenziale per permettere ai bambini e alle bambine di acquisire conoscenze e abilità necessarie a sviluppare pienamente le proprie capacità personali che li accompagneranno nell’affrontare la vita da adulti. Come chiaramente evidenziato anche nell’EFA Global Monitoring Report dell’UNESCO1 l'educazione è da considerarsi un fattore propulsivo dello sviluppo: • L'istruzione riduce la povertà e incrementa lavoro e crescita. Fornisce gli strumenti necessari ad uscire da una condizione di povertà e a prevenirne le cause. Permette di ottenere salari più alti e offre mezzi di sussistenza migliori soprattutto per tutti coloro che lavorano nel settore agricolo e in quello urbano informale. Le stime fornite nel rapporto UNESCO dimostrano che se tutti gli studenti dei paesi a basso reddito non abbandonassero gli studi prima di aver acquisito le competenze-base di lettura, 171 milioni di persone uscirebbero dallo stato di povertà (pari al 12% in meno rispetto agli attuali livelli). • L'istruzione ha un impatto positivo sulla salute. L'istruzione è uno degli strumenti più efficaci per migliorare la salute delle persone. Aiuta a prevenire e a gestire le malattie, orienta le scelte alimentari quotidiane ed è pertanto in grado di generare ricadute positive in termini di riduzione della malnutrizione di madri e bambini e dei tassi di mortalità. Si stima infatti che se ogni donna completasse il ciclo scolastico primario, ci sarebbe un abbassamento del 66% delle morti materne e che garantendo la scuola secondaria a tutte le donne nei paesi poveri, il tasso di mortalità si ridurrebbe addirittura al 26%. • L'istruzione promuove società sane. Aiuta l'individuo a comprendere la democrazia, promuove la tolleranza e la fiducia, incoraggia la partecipazione politica e permette di accedere alla piena partecipazione sociale. L'educazione ha un ruolo essenziale nella prevenzione del degrado ambientale oltre che nel contenimento delle cause e degli effetti del cambiamento climatico. Inoltre consapevolizza la donna nella rivendicazione dei suoi diritti contro ogni discriminazione. L’istruzione delle donne e delle bambine in particolare, ha un potere trasformativo inestimabile, consente loro di aumentare le proprie opportunità di trovare un lavoro, di mantenersi in salute, di partecipare pienamente alla vita sociale. Educare ragazze e giovani donne ha inoltre un impatto determinante sulla salute dei loro bambini. Questa sintetica descrizione delle interconnessioni tra l’educazione e le dimensioni dello sviluppo ci consente di comprendere le implicazioni dei dati offerti dall’ultimo rapporto dell’UNESCO in merito al raggiungimento del secondo Obiettivo di Sviluppo del Millennio e in particolare degli Obiettivi dell’Education for All definiti durante il Forum Mondiale di Dakar sull’istruzione del 2000 (Box 1). Accanto all’allarmante dato relativo ai 57 milioni di bambini che ancora oggi nel mondo non hanno accesso alla scuola si deve considerare il grande problema della qualità dell’istruzione e dei risultati di apprendimento che si registra anche laddove l’accesso all’istruzione è garantito. Si stima che un terzo dei bambini che 1 UNESCO 2014; EFA Global Monitoring Report 2013-2014; Teaching and Learning. Achieving quality for all. 6 frequentano la scuola primaria non acquisisce le conoscenze di base che gli consentono di leggere, scrivere e fare di conto. La mancanza di attenzione alla qualità dell'istruzione e di una scuola che arrivi ai più marginalizzati ha contribuito a una crisi dell' apprendimento che richiede urgente attenzione. In tutto il mondo, 250 milioni di bambini - molti dei quali provenienti da ambienti svantaggiati - non stanno imparando l'alfabeto, e neanche le nozioni di calcolo, per non parlare delle ulteriori competenze di cui avrebbero bisogno per ottenere un lavoro dignitoso e condurre una vita appagante. Si calcola che in Africa circa la metà degli studenti che terminano la scuola primaria non hanno neanche imparato a leggere e scrivere. Per far fronte a tali limiti è necessario un maggiore sforzo da parte dei singoli governi per assicurare che davvero il diritto all’istruzione sia universalmente garantito prestando particolare attenzione a quelle fasce di popolazione maggiormente svantaggiate o esposte a diverse forme di esclusione, siano esse causate da condizioni di povertà, di genere, geografiche, politiche o di altro tipo. Box 1. Education for All: lo stato dell’arte A poco più di un anno alla scadenza degli impegni presi dalla comunità internazionale in occasione del Forum Mondiale di Dakar sull’Istruzione dell’aprile 2000, per il raggiungimento entro il 2015 di un’istruzione di base di qualità obbligatoria e universale, si riporta qui una fotografia dello stato dell’arte, dei traguardi e delle mancanze rispetto ai sei obiettivi dell’Education For All così come riportato nel EFA Global Monitoring Report 2013/14 dell’UNESCO. Obiettivo 1: Cura ed educazione nella prima infanzia I legami tra cura della prima infanzia ed educazione sono stretti e interdipendenti. I primi mille giorni di vita del bambino, dal concepimento al compimento del secondo anno, sono cruciali per il suo sviluppo e benessere futuro. L’accesso ai servizi sanitari e ad un’adeguata nutrizione sono pertanto fondamentali per far sì che il bambino sviluppi quelle capacità cognitive necessarie per imparare e che possa crescere in salute. Nonostante i miglioramenti registrati, troppi bambini non hanno ancora la possibilità di accedere ai servizi educativi per la prima infanzia. Nel 2011 solo la metà dei bambini vi ha avuto accesso e addirittura solo il 18% in Africa Subsahariana e nel 2012 ancora il 25% dei bambini sotto i 5 anni ha sofferto di malnutrizione. Obiettivo 2: Istruzione primaria universale obbligatoria, gratuita e di buona qualità Molto probabilmente l'obiettivo di accesso all'educazione primaria universale non sarà raggiunto: il numero dei bambini esclusi dal sistema scolastico nel 2011 raggiungeva i 57 milioni, la metà dei quali viveva in paesi colpiti dalla guerra. Nell'Africa Subsahariana solo il 23% delle ragazze provenienti da famiglie povere delle aree rurali completerà il ciclo di istruzione primaria entro la fine del decennio. Se le recenti tendenze della regione resteranno invariate, si stima che la maggior parte dei bambini provenienti da famiglie agiate avrà accesso ad un'istruzione primaria entro il 2021, mentre questo diritto non sarà garantito alle bambine provenienti da famiglie più umili se non entro il 2086. Obiettivo 3: Istruzione e formazione lungo tutto l’arco della vita Gli adolescenti hanno bisogno di completare l'istruzione secondaria inferiore per acquisire conoscenze e competenze di base. Nel 2011, 69 milioni di adolescenti non avevano accesso al sistema scolastico e questa situazione è rimasta pressoché invariata dal 2004. Nei paesi a basso reddito pro capite solo il 37% degli adolescenti completa il primo livello di istruzione secondaria e la percentuale si abbassa al 14% se si considerano le classi a più basso reddito. Le ultime tendenze rivelano che le ragazze degli strati sociali più bassi dei paesi dell'Africa Subsahariana non avranno pieno accesso all'istruzione secondaria prima del 2111. 7 Obiettivo 4: Alfabetizzazione degli adulti Il tasso di alfabetizzazione degli adulti è rimasto pressoché invariato. Nel 2011 si contavano 774 milioni di adulti analfabeti, solo l'1% in meno rispetto al 2000. Si stima che il numero sia destinato a ridursi a 743 milioni entro il 2015. Circa i due terzi degli adulti analfabeti sono donne e si prevede che le giovani donne delle classi più povere dei paesi in via sviluppo non raggiungeranno la piena alfabetizzazione prima del 2072. Obiettivo 5: Pieno ed eguale accesso all’istruzione per le donne Le disparità di genere nell’accesso all’educazione sono ancora presenti in molti paesi. Sebbene fosse previsto che l’uguaglianza di genere si sarebbe raggiunta entro il 2005, nel 2011 soltanto il 60% dei paesi ha raggiunto questo obiettivo nella scuola primaria e solo il 38% nella scuola secondaria. Obiettivo 6: Un’istruzione di qualità per tutti Scarsa qualità dell'educazione vuol dire che milioni di bambini non raggiungono livelli di istruzione di base. Circa 250 milioni di bambini non hanno le competenze fondamentali, anche se la metà di loro ha frequentato la scuola per almeno quattro anni. Il costo annuale di questa inefficienza si aggira intorno ai 129 miliardi di dollari. Investire nell'insegnamento è essenziale: in circa un terzo dei paesi, meno del 75% degli insegnanti di scuola primaria è formato secondo gli standard nazionali di riferimento; e in un terzo dei paesi la difficoltà di preparare meglio insegnanti già in servizio è maggiore rispetto a quella di reclutarne e formarne di nuovi. L'insufficienza di risorse finanziarie è uno dei principali ostacoli per il raggiungimento degli obiettivi dell’Education for All. Gli stanziamenti necessari per raggiungere una buona qualità dell'istruzione di base per tutti entro il 2015 sono stimati intorno ai 26 miliardi di dollari e a meno che non si intraprenda un'immediata azione per invertire la tendenza attuale, l'obiettivo di garantire la scuola e l'apprendimento ad ogni bambino entro il 2015 sarà un lontano miraggio. Il 2014 offre alla comunità internazionale la possibilità di dare un forte segnale nella direzione di un rinnovato impegno a sostegno dell’educazione a livello globale attraverso la Conferenza di Replenishment della Global Partnership for Education che si svolgerà a giugno a Bruxelles (Box 2). 8 Box 2. La Global Partnership for Education e la Conferenza di Replenishment 2015-2018 Nella consapevolezza che nessun soggetto può creare sistemi educativi sostenibili in solitudine, gli sforzi di molti attori convergono da alcuni anni nell’iniziativa della Global Partnership for Education (GPE), un potente strumento collettivo che riunisce Governi, donatori, Organizzazioni Internazionali, associazioni di insegnanti, settore privato e società civile – a livello globale e locale. La GPE ha per obiettivo quello di sostenere tecnicamente e finanziariamente la creazione di piani educativi nazionali credibili, condivisi, orientati al risultato e, in parallelo, di incoraggiare i donatori a far convergere i loro finanziamenti seguendo una più ampia e condivisa roadmap strategica. Potendo contare sulla potenzialità di far convergere volontà e finanziamenti da parte di una molteplicità di attori, la Global Partnership può costituire un efficace strumento per arrivare a: 1. un aumento delle risorse finanziarie domestiche e esterne per il settore educativo; 2. una maggiore efficienza della spesa del bilancio educativo; 3. sistemi educativi più efficaci che si fanno carico di questioni critiche quali quelle relative all’equità, la qualità e l’accesso all’educazione; 4. un migliore coordinamento tra la risposta umanitaria e il lavoro di sviluppo in ambito educativo; 5. maggiore coerenza nei finanziamenti internazionali per l’educazione globale; 6. maggiore trasparenza e affidabilità rispetto alla raccolta di dati Un prossimo appuntamento molto importante per la GPE è la Conferenza di Replenishment di giugno che sarà ospitata dall’Unione Europea. Durante la Conferenza i partecipanti saranno chiamati a rendere pubbliche le promesse di sostegno finanziario per il periodo 2015-2018. La Campagna Globale per l’Educazione, che è partner della GPE, ha invitato i governi e i donatori ad impegnarsi per raggiungere in questa occasione l’obiettivo di 4 miliardi di dollari, obiettivo che il Board della GPE ha invece recepito in 3,5 miliardi. 1.2 Se l’educazione non è per tutti: i fattori di esclusione Come è stato evidenziato, si contano da una parte milioni di bambini che non hanno accesso all’istruzione e dall’altra milioni di bambini che pur avendo accesso non raggiungono adeguati risultati di apprendimento. All’esclusione esterna si aggiungono quindi forme di esclusione anche all’interno dei sistemi scolastici, ma quali sono i fattori che maggiormente incidono su queste forme di esclusione? Il mancato raggiungimento di adeguati risultati di apprendimento sono frutto di complessi meccanismi che differiscono fortemente a seconda del contesto preso in considerazione ma che possono essere raggruppati in base ai diversi fattori di esclusione che li sottendono. La povertà, il genere, la zona di residenza, l'etnia, le disabilità e altri fattori si traducono in minori opportunità per i bambini di ricevere un supporto adeguato per migliorare il loro grado di istruzione. Nel Box 3 si riportano sinteticamente alcune delle principali barriere sociali, strutturali e infrastrutturali del settore. 9 Box 3. Barriere all’equità e all’inclusione2 Fattori sociali: - povertà e barriere finanziarie - questione di genere - pregiudizi (es. verso donne e bambini affetti da malattie come l’HIV, nei confronti di bambini con disabilità o appartenenti a minoranze etniche) - mancanza di documenti di identificazione, certificati di nascita - migrazioni e mobilità - ricorso al lavoro minorile nelle piantagioni, nell’industria o nel settore informale - condizioni di salute e nutrizione dei bambini Fattori settoriali: - mancanza di materiali scolastici - barriere legali e policy - carenza di infrastrutture per bambini con disabilità - qualità dell’insegnamento e formazione degli insegnanti - numero di bambini per classe - sicurezza delle scuole, violenze, sfruttamento sessuale, punizioni corporali - tasso di abbandono degli insegnanti e del personale non docente Fattori infrastrutturali: - mancanza di trasporti, distanza dalla scuola, mancanza di servizi sanitari e di acqua - strutture e attrezzature scolastiche fatiscenti o in cattive condizioni - fattori stagionali (piogge, alluvioni etc.) Aldilà del negare ai bambini il fondamentale diritto ad un'istruzione di qualità, la loro esclusione dal e all'interno del sistema educativo ha conseguenze non solo per il loro futuro ma anche per quello dell'intera società. Le persone che non hanno avuto la possibilità di ricevere un'istruzione di qualità hanno più possibilità di subire una marginalizzazione socio-economica e una condanna alla povertà. Non riuscire a promuovere una cultura inclusiva all'interno della formazione scolastica contribuisce parimenti alla perpetuazione di atteggiamenti e comportamenti discriminatori, che esacerbano ulteriormente la divisione e il conflitto3. Fattori economici Tra i primi fattori di esclusione esterni vi è quello economico le cui implicazioni sull’istruzione si evidenziano tanto nel confronto tra paesi ricchi e paesi poveri quanto all’interno degli stessi confini nazionali. La condizione economica delle famiglie si deve leggere incrociando i dati sui costi nascosti dell'istruzione che sono un ostacolo non da poco per i bambini delle famiglie appartenenti alle fasce socio-economiche più svantaggiate. L'apprendimento di un bambino dipende fortemente dal benessere della famiglia di appartenenza. Un'analisi effettuata su venti stati africani4 mostra che i bambini provenienti da famiglie più abbienti completano con maggiore probabilità la scuola ottenendo anche un livello minimo di apprendimento. Di 2 UNGEI (2010). Equity and Inclusion in Education. A plan to support education sector, plan preparation, revision and appraisal. 3 Save the Children (2014) – draft position paper su Inclusive Education. 4 UNESCO (2014); EFA Global Monitoring Report 2013-2014; Teaching and Learning. Achieving quality for all. 10 contro in quindici dei suddetti paesi soltanto un bambino povero su cinque raggiunge l'ultimo grado d’istruzione, ma impara l'essenziale. In America Latina, dove la qualità dell'educazione è diffusamente più alta, i bambini di estrazione sociale più bassa avanzano più lentamente rispetto ai loro pari più benestanti. In El Salvador i bambini più poveri che completano la scuola primaria e arrivano alle competenze di base rappresentano il 42% contro l'84% dei loro pari appartenenti a famiglie più abbienti. Anche nei paesi sviluppati si registra un divario nella qualità dell’istruzione e dell’apprendimento tra la popolazione più ricca e quella più emarginata. In media tali paesi raggiungono livelli d’istruzione significativamente più alti dei paesi in via di sviluppo (PVS) ma spesso non includono alcune minoranze nel loro sistema scolastico. In Nuova Zelanda solo i due terzi degli scolari indigenti raggiungono gli standard minimi contro il 97% degli studenti ricchi. C’è da considerare inoltre che al fattore economico spesso si sommano anche altri fattori trasversali che acuiscono il problema. Fattore geografico Tra i fattori esterni si deve tenere in considerazione le peculiarità del luogo in cui si vive con particolare attenzione alle divergenze tra i contesti rurali e quelli urbani. Vivere nelle aree svantaggiate, e in particolare quelle rurali è un'enorme barriera all'apprendimento in quanto sono quelle in cui mancano, più che altrove, insegnanti e risorse. Nelle aree rurali della Repubblica Democratica della Tanzania l'apprendimento di base è accessibile solo al 25% dei bambini e adolescenti se confrontato con il corrispettivo ricco delle aree urbane in cui la quota sale al 63%. In alcuni paesi dell'America Latina - compresi El Salvador, Guatemala, Panama e Perù - il divario di apprendimento delle competenze matematiche e di lettura registrate tra gli studenti delle zone rurali e quelli delle zone urbane supera il 15%. Nel 2011 in Ghana gli studenti nelle aree urbane avevano il doppio delle possibilità di raggiungere i livelli minimi di inglese e tre volte le possibilità di raggiungere livelli più avanzati, rispetto agli studenti che abitavano nelle aree rurali. Barriere linguistiche Si stima che nei paesi in via di sviluppo 221 milioni di bambini frequentano lezioni impartite in una lingua diversa dalla loro lingua madre. In molti paesi la lingua si insegna nell’antica lingua coloniale, nella lingua dominante a livello nazionale o in una lingua internazionale che i bambini non parlano a casa. Ciò costituisce un forte ostacolo nei processi di apprendimento e incide negativamente sulla qualità dell’educazione, sui risultati di alfabetizzazione e incentiva l’abbandono scolastico. È stato stimato che il 50% dei bambini che non vanno a scuola vive in comunità che usano una lingua diversa da quella ufficiale utilizzata nel sistema scolastico nazionale. La bassa qualità e il basso livello di apprendimento in molte scuole africane è da attribuire in parte alla componente linguistica: l’Africa è infatti l’unico continente in cui la maggioranza dei bambini quando inizia la scuola non conosce la lingua di insegnamento perché diversa da quella che parla a casa. Non intervenire per far abbattere tale fattore di esclusione significa alimentare forme di discriminazione e perpetuare le disuguaglianze.5 Fattore migratorio Gli studenti immigrati hanno alte probabilità di essere esclusi dall'educazione. In Francia, Germania, nel Regno Unito più dell'80% degli studenti quindicenni raggiunge le competenze essenziali nella lettura; gli immigrati registrano invece risultati peggiori. In Gran Bretagna il numero di studenti stranieri che raggiunge livelli medi minimi non è più alto di quello della Turchia, in Germania non riportano neanche gli stessi livelli 5 Global Campaign for Education Policy Brief (2014). Mother-tongue education: policy lessons for quality and inclusion. 11 del Cile e infine in Francia neanche il 60% dei ragazzi immigrati raggiunge il livello minimo di competenze, dato analogo a quello del Messico. Disabilità Bambini e ragazzi portatori di disabilità spesso non hanno la possibilità di partecipare pienamente alla vita scolastica insieme ai loro coetanei a causa di concezioni culturali e pregiudizi, per la mancanza di insegnanti adeguatamente formati ma anche per la presenza di barriere architettoniche. In Bolivia il 95% della popolazione tra i 6 e gli 11 anni frequenta la scuola, mentre solo il 38% dei bambini disabili va a scuola, è più del doppio quindi la loro probabilità di rimanerne fuori6. In molti paesi poi i bambini con disabilità sono quasi completamente esclusi dall’istruzione. Per esempio in Nepal, l’85% di bambini esclusi dall’accesso al sistema scolastico sono disabili. Spesso poi le informazioni riguardo il numero di ragazzi disabili nella scuola sono scarse soprattutto nei paesi più poveri. L'Uganda rappresenta un’eccezione in questo senso avendo dati sufficienti per calcolare il tasso di alfabetizzazione tra i giovani disaggregati per tipo di disabilità. Nel 2011 l'alfabetizzazione era diffusa tra il 60% dei ragazzi portatori di disabilità non specifica (47% tra quelli con disabilità fisica o uditoria, 38% mentale). Insegnanti Il numero e la preparazione degli insegnanti è un fattore decisivo nel favorire l’accesso all’istruzione e l’apprendimento. Per risolvere la crisi dell'apprendimento, tutti i bambini devono avere un numero adeguato di insegnanti adeguatamente formati, che sappiano insegnare, che siano in grado di individuare e sostenere gli studenti deboli e che siano supportati da un sistema nazionale di formazione ben gestito. La qualità dell'istruzione è compromessa in molti dei paesi più poveri da una mancanza di insegnanti che si traduce spesso in classi di dimensioni grandi soprattutto nei primi gradi e nelle aree più povere. Tra il 1999 e il 2011, la proporzione numerica alunni-docenti nella scuola primaria è aumentata di almeno il 20 % in nove paesi. Al contrario, è diminuita di almeno il 20% in 60 paesi. Ogni docente ha più di 10 alunni in 29 dei 98 paesi monitorati, di cui due terzi sono in Africa Subsahariana. In altri paesi, invece, è stato assunto un gran numero di docenti, ma senza una formazione appropriata. Questo ha l’effetto di avere più bambini a scuola ma compromette la qualità dell’istruzione. Per raggiungere l’obiettivo dell’apprendimento per tutti, i piani educativi nazionali dovrebbero migliorare la gestione e la qualità degli insegnanti. In un terzo dei paesi monitorati, infatti, meno del 75% degli insegnanti ricevono la formazione prevista dalle norme nazionali. Per garantire che tutti i bambini stiano imparando anche gli insegnanti necessitano del supporto di un adeguato sistema di selezione, valutazione e formazione, un sistema che paghi adeguatamente e che dia particolare attenzione alle esigenze dei bambini, non tralasciando i più vulnerabili, coloro che vivono condizioni disagio o che sono – o rischiano di essere - marginalizzati, e quindi trascurati. In alcuni contesti, ad esempio, la presenza di insegnanti donne è fondamentale per attirare le ragazze a scuola e migliorare i loro risultati di apprendimento, presenza che è ancora carente in alcuni paesi con elevata disparità di genere nelle iscrizioni, come Gibuti ed Eritrea. Fattore infrastrutturale Le infrastrutture scolastiche non adeguate sono un altro problema soprattutto per gli studenti dei paesi in via di sviluppo. I bambini spesso vengono agglomerati in classi sovraffollate (in Malawi in media ci sono i media 130 bambini per classe al primo anno contro i 64 alunni dell’ultimo anno) o in alcuni casi non hanno 6 Filmer, Deon, ‘Disability, Poverty, and Schooling in Developing Countries: Results from 14 household surveys’, World Bank Economic Review, vol. 22, no. 1, 2008, pp. 141–163 12 accesso ai servizi igienici (in Ciad solo un scuola su quattro ha il gabinetto e solo uno su tre di questi è riservato all'uso esclusivo elle ragazze). Questione di genere La parità di genere in ambito educativo- che consiste nel garantire una pari percentuale di iscrizione alle scuole per bambine e bambini - è il primo passo per il raggiungimento del quinto obiettivo degli EFA. L'obiettivo ultimo – l’equità di genere – richiede, per compiersi, che si verifichino anche ulteriori presupposti, quali: adeguati ambienti scolastici, pratiche sociali e culturali non discriminanti e pari opportunità per ragazze e ragazzi di realizzare il loro potenziale. I modelli culturali alla base delle disparità di genere variano tra paesi e a seconda dei diversi gruppi di reddito. Tra i paesi a basso reddito, le disparità sono generalmente a scapito delle ragazze: il 20% raggiunge la parità di genere nell'istruzione primaria, il 10% nell'istruzione secondaria inferiore e l'8% nelle scuole secondarie superiori. La parità di genere sia nella scuola primaria che secondaria era stata individuata come obiettivo da raggiungere entro il 2005, prima degli altri obiettivi. Eppure, ancora nel 2011 molti paesi non avevano raggiunto questo obiettivo. Dei 161 paesi monitorati, il 57% ha raggiunto la parità di genere nel 1999 nella scuola primaria. Tra il 1999 e il 2011 questa percentuale è arrivata al 63%. Il numero dei paesi lontani da questo obiettivo, con meno di 90 bambine ogni 100 bambini, é sceso dal 19% del 1999 al 9% del 2011. Si stima che per il 2015 il 14% dei paesi sarà lontano dal raggiungere questo obiettivo e sarà molto lontano il 7% dei paesi, di cui i tre quarti nell'Africa Subahariana. Tuttavia gli ostacoli alla parità di genere sono più profondi. In Turchia, ad esempio, è stata pressoché raggiunta la parità a livello della scuola secondaria sia inferiore che superiore, anche se l'indice della parità di genere è stato dello 0,74% nella secondaria inferiore e 0,62% nella secondaria superiore. Infatti le percezioni tradizionali dei ruoli di genere permeano tutta la società, filtrando fino alla scuola e sono pertanto più difficili da sradicare. Tra tutte queste categorie, i bambini che vivono in zone di conflitto o colpiti da disastri naturali restano quelli più vulnerabili. 1.3 Educazione Inclusiva Far fronte a tali ostacoli e garantire pieno diritto all’educazione per tutti significa adottare un approccio fondato sul concetto di educazione inclusiva che possa guidare le politiche nazionali in tema di istruzione dispiegando tutte le risorse necessarie per poter assicurare il raggiungimento di adeguati risultati di apprendimento a tutti i bambini, eliminando l’influenza di fattori di esclusione. Il diritto all'educazione inclusiva è stato menzionato in diversi trattati internazionali, tra cui: • La Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza delle Nazioni Unite (1989) in cui si afferma il diritto di ogni bambino ad avere un' istruzione di base di qualità7. • Dichiarazione di Salamanca sui principi, le politiche e le pratiche in materia di educazione e di esigenze educative speciali (UNESCO 1994 e revisionata in occasione del forum mondiale sull'istruzione di Dakar nel 2000) che sostiene che le scuole mainstream con un orientamento inclusivo siano gli strumenti più efficaci per combattere atteggiamenti discriminatori, per costruire 7 The UN Convention on the Rights of the Child: Articles 28-29 13 • una società inclusiva e raggiungere l'istruzione per tutti8. Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (2006), che pone l'obbligo ai governi di garantire un sistema di istruzione pienamente inclusiva per tutti i bambini e che mette in evidenza il ruolo della cooperazione internazionale nell’ assicurare che i governi rispettino le proprie responsabilità9. Cosa si intende per educazione inclusiva? L’educazione inclusiva, come definita nello Statuto di Salamanca, promuove “il riconoscimento del bisogno di lavorare verso una scuola adatta a tutti che celebri le diversità, supporti l’apprendimento e risponda ai bisogni individuali”10. I sistemi di educazione inclusiva sono quei sistemi che affondano le radici in una pedagogia centrata sul bambino in grado dunque di istruire con successo tutti i bambini inclusi quelli che hanno seri svantaggi e disabilità. Il merito di queste scuole non consiste unicamente nella loro capacità di provvedere ad un’educazione di qualità per tutti bambini, ma la loro struttura è cruciale nel processo di cambiamento delle attitudini discriminatorie, nel creare delle comunità aperte e nello sviluppo di società inclusive. L’UNESCO definisce l’educazione inclusiva come “un processo che indirizza e risponde a una varietà di bisogni di tutti gli studenti tramite l’aumento di partecipazione nell’apprendimento, nella cultura, nella comunità, una riduzione dell’esclusione all’interno e da parte dell’educazione. Comprende inoltre cambiamenti e modifiche a livello di contenuto, di approccio, struttura e strategia, tramite una visione comune che considera tutti i bambini di età appropriata e una convinzione che sia responsabilità dello Stato di educatore tutti i suoi bambini.” 11 Il Comitato ONU sui diritti dell’infanzia ha definito l’educazione inclusiva come “ un set di valori, principi e pratiche che cercano di garantire un’educazione di qualità ed efficace per tutti gli studenti in modo da rendere giustizia alle diversità delle condizioni di apprendimento non solo dei bambini con disabilità ma di tutti gli studenti”.12 Il concetto e le pratiche dell’educazione inclusiva hanno acquisito una rilevanza sempre maggiore negli ultimi anni anche in risposta ai fallimenti registrati ad oggi rispetto agli EFA. I benefici di un’educazione inclusiva • • Ponendo la persona al centro - quale portatrice di diritti – l’educazione inclusiva comporta dei benefici a tutti gli studenti, con o senza disabilità o bisogni speciali. Li prepara a vivere e a lavorare in una società pluralistica promuovendo una maggiore coesione sociale. Investire nell’inclusione significa contribuire a garantire un futuro da cittadini attivi e responsabili a tutti i bambini, soprattutto quelli più vulnerabili perché la possibilità di fruire di una buona educazione è una condizione indispensabile per una piena inclusione sociale ed economica, soprattutto dei più svantaggiati. L’inclusione può essere compresa non solamente come uno strumento per porre fine alle discriminazioni, ma piuttosto come un impegno verso la creazione di scuole che rispettino e valorizzino la diversità e che mirino alla promozione della democrazia e di un set di valori fondati sull’uguaglianza e sulla giustizia sociale affinché tutti i bambini partecipino al proprio 8 UNESCO (2005) Guidelines for Inclusion: Ensuring access to education for all World Vision (2007) Education’s Missing Millions: Including disabled children in education through EFA FTI process and national sector plan 10 UNICEF (2012) The right of children with disabilities: a rights-based approach to inclusive education 11 Ibidem 12 Committee on the Rights of the Child (CRC) General Comment No.9, para 67 (CRC/C/GC/9) 9 14 • • apprendimento Promuovendo l’inclusione a scuola contribuiamo non soltanto a ridurre le disuguaglianze sociali, ma anche a sviluppare una cultura di tolleranza e accoglienza nei bambini e nel personale scolastico, in grado di estendersi all’intera comunità. Un approccio inclusivo promuove un equo accesso alle opportunità d’istruzione e favorisce la qualità dell’insegnamento, a beneficio di tutti i bambini, non solo dei più svantaggiati. In questo modo il sistema d’istruzione può assicurarsi che nessun bambino sia lasciato indietro e che tutti realizzino il loro diritto all’istruzione, raggiungendo il loro massimo potenziale in termini di capacità cognitive, emozionali e creative.13 Un approccio inclusivo promuovere l’apprendimento attivo e cooperativo, la pianificazione didattica individualizzata e l’uso di materiali appropriati. In conclusione l’educazione avviene in molti contesti diversi, sia formali sia non formali, e all’interno delle famiglie e dell’intera comunità; di conseguenza, l’educazione inclusiva non rappresenta una questione marginale ma anzi è centrale per il raggiungimento di un’educazione di alta qualità per tutti gli studenti e per lo sviluppo di società più inclusive. L’educazione inclusiva è essenziale per raggiungere un’equità sociale e costituisce un elemento di apprendimento sul lungo periodo. 1.4 Educazione e disabilità- focus della Campagna Globale per l’Educazione nel 2014 Nel dicembre 2013 la Campagna Globale per l’Educazione ha lanciato a livello internazionale il rapporto “Equal Right Equal Opportunity” 14 focalizzato sulla relazione tra disabilità ed educazione mettendo in luce le profonde sfide che fronteggiano ad oggi i bambini con disabilità nel realizzare il loro diritto all’istruzione15. In gran parte dei paesi a basso e medio reddito i bambini disabili hanno - più di altri gruppi marginalizzati difficoltà nell’accesso all’istruzione e bassi tassi di iscrizione scolastica. Anche quando è accertato il loro inserimento scolastico, sono tuttavia maggiormente soggetti ad abbandonare la scuola con maggior frequenza rispetto ad altri gruppi sociali. In alcuni paesi essere disabili raddoppia la probabilità di non accedere al sistema educativo. Per questo non sorprende che in molti Stati la maggior parte dei bambini disabili rimanga al di fuori del sistema scolastico. Inoltre, per coloro che riescono ad accedervi, la qualità dell’istruzione offerta, spesso in scuole separate, può aggravare ulteriormente i fenomeni di esclusione confermando i già esistenti pregiudizi sociali sulla disabilità. Affrontare questa forma di discriminazione rappresenta un’urgenza sotto diversi aspetti. Prima di tutto l’incapacità di garantire concretamente il diritto all’educazione priva questi bambini di ulteriori benefici ed opportunità a cui dovrebbero poter accedere in futuro: ad esempio la possibilità di essere impiegati nel mercato del lavoro o l’affermazione del loro senso civico, riducendo la loro partecipazione attiva nella società, acuendo l’esclusione sociale e limitando la loro capacità di uscire dal circolo della povertà. Questi, insieme ad altri ostacoli che quotidianamente devono affrontare li conducono ad essere solitamente i più poveri tra i poveri. 13 Save the Children (2014) draft position paper on inclusive education. http://www.campaignforeducation.org/en/ e http://www.cge-italia.org/ 15 http://www.campaignforeducation.org/en/global-action-week/global-action-week-2014/campaign-materials 14 15 La mancanza di un approccio concreto sul tema dell’educazione per i bambini con disabilità continua a rendere difficoltoso il raggiungimento del secondo Obiettivo di Sviluppo del Millennio16 che si prefigge di dare a tutti i bambini senza alcuna distinzione la possibilità di completare la scuola primaria, nonché Il diritto per tutti i bambini indiscriminatamente di riceve una buona formazione. Nel 2006 la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità17 (CRPD) ha riconosciuto l’educazione inclusiva come il meccanismo chiave per raggiungere tale obiettivo. Tale approccio permette ai bambini di imparare insieme in classe senza distinzione alcuna, con metodi educativi, materiali ed ambienti scolastici che tengono conto dell’esigenze di tutti (maschi e femmine), così da migliorare la qualità dell’istruzione offerta e realizzare i diritti umani di tutti i bambini, aumentando gli standard educativi e sostenendo il percorso dei gruppi marginalizzati. Nonostante tale impegno, il livello di esclusione dei bambini disabili dall’istruzione primaria rimane alto e solo pochi paesi hanno attuato misure necessarie in campo legislativo e politico, nonché in termini di obiettivi e di piani di azione (Box 4). Anche quando i governi hanno in essere politiche nazionali o leggi ad hoc sul tema, la realizzazione concreta e le strategie d’azione risultano tuttavia deboli, e le risorse finanziarie disponibili a tale scopo non sufficienti. I governi e i donatori devono fornire le risorse e la leadership necessaria per attuare piani nazionali ambiziosi sull’inclusione. Un problema sostanziale nel fronteggiare il fenomeno di tale esclusione è, a livello statistico, una notevole mancanza di dati sul tema, lasciando così i bisogni educativi dei disabili invisibili ai policy makers. Al fine di osservare e monitorare questo problema efficacemente i governi dovrebbero impegnarsi nella raccolta di dati affidabili che permettano di capire quali coraggiosi obiettivi si debbano prefiggere ed essere in grado poi di misurarne il livello di raggiungimento. Le strutture educative nei paesi in via di sviluppo sono spesso inadeguate e non adatte alle necessità dei bambini con disabilità; renderle agibili e consone ai loro bisogni richiede investimenti in attrezzature adeguate, in materiali educativi, così come in infrastrutture accessibili. Infine, bisogna investire nella formazione specifica degli insegnanti per sviluppare le competenze necessarie per svolgere attività di sostegno didattico agli alunni disabili. La cultura ed il comportamento sociale rappresentano potenti strumenti nella marginalizzazione dei bambini disabili sia dentro che fuori dall’ambito educativo. L’attitudine negativa nel riconoscere le reali capacità dei bambini disabili limita le loro chance di accedere all’istruzione anche quando è disponibile, perché è molto diffuso il credo secondo cui le scuole speciali siano la soluzione migliore. A tal proposito devono essere introdotte, e rafforzate, misure politiche per sensibilizzare l’opinione pubblica lanciando campagne sociali che contrastino gli orientamenti che spesso agiscono come impedimento concreto all’istruzione per molti bambini disabili. Box 4. Educazione e disabilità: alcuni dati La disabilità nei paesi in via di sviluppo • Nel mondo circa 1 miliardo di persone con disabilità - approssimativamente il 15% della popolazione mondiale - fronteggiano molteplici ostacoli per partecipare attivamente nella società18. • A livello globale 93 milioni di bambini - uno su 20 bambini fino ai 14 anni di età - vivono con moderati o gravi livelli di disabilità19. 16 http://www.un.org/millenniumgoals/ ; http://www.unric.org/it/sviluppo-economico-e-sociale/37 http://www.unric.org/it/sviluppo-economico-e-sociale/78 18 World Health Organization and The World Bank 2011, The World Report on Disability. Disponibile qui http://whqlibdoc.who.int/publications/2011/9789240685215_eng.pdf 17 16 • Paese per paese, la percentuale di popolazione disabile varia sensibilmente. Ad esempio in Bangladesh, che è abitato da circa 160 milioni di persone, si stima che tra il 15% e il 17% della popolazione viva con qualche forma di disabilità e di questa circa 2,6 milioni sono bambini. Nei Territori Occupati Palestinesi invece i bambini disabili raggiungono il 7% del totale. L’esclusione dall’educazione • I bambini disabili hanno maggiori probabilità di non accedere al sistema scolastico rispetto a qualsiasi altro gruppo sociale20. In alcuni paesi essere disabile comporta per loro una probabilità più di 2 volte maggiore (rispetto agli altri bambini21) di non accedere a scuola. • In Malawi e Tanzania la probabilità di inserimento scolastico per un bambino con disabilità è due volte minore di quella di un bambino senza22. • In Burkina Faso il rischio per un bambino con disabilità di non avere accesso a scuola è di due volte e mezzo superiore rispetto ai non disabili. E secondo un altro studio sebbene il tasso di iscrizione scolastica primaria ha raggiunto il 78% nel 2012, è stimato che solo il 16% dei bambini con disabilità fisiche hanno avuto accesso all’istruzione primaria23. • In Bolivia il 95% della popolazione tra i 6 e gli 11 anni frequenta la scuola, mentre solo il 38% dei bambini disabili va a scuola, è più del doppio quindi la loro probabilità di rimanerne fuori24. • L’analisi dei dati effettuata dalla Banca Mondiale25 in un’indagine su 14 paesi evidenzia un gap nel tasso di frequenza alla scuola primaria tra disabili e non disabili che oscilla di 10 punti percentuali in India, raggiungendo i 60 punti percentuali in Indonesia. Mentre in merito all’istruzione secondaria questo oscillava tra 15 punti percentuali in Cambogia fino ai 58 in Indonesia. • Tuttavia anche se iscritti, i bambini con disabilità presentano un maggior tasso di abbandono scolastico, lasciando la scuola prima degli altri26. Alcuni dati dalla Tanzania raccontano di come coloro che hanno frequentato la scuola primaria progrediscono a livelli di istruzione più alti con una probabilità minore (circa la metà) rispetto a coloro senza disabilità27. • I bambini con disabilità in molti paesi sono quasi esclusi dall’istruzione. Per esempio in Nepal, l’85% di bambini esclusi dall’accesso al sistema scolastico sono disabili. • Le bambine fronteggiano ostacoli ancor più profondi rispetto ai maschi. In Malawi uno studio ha dimostrato che la percentuale di bambine che non hanno mai avuto accesso all’istruzione è notevolmente superiore rispetto ai maschi28. Questa problematica si riflette nel basso tasso di scolarizzazione degli adulti: ad esempio statistiche nazionali in Ghana rivelano che il tasso di alfabetizzazione degli adulti raggiunge il 70%, che si riduce al 56% per gli adulti maschi con disabilità, e scende ulteriormente al 47% per le donne con disabilità29. • L’Ufficio Centrale di Statistica Palestinese (PCBS) tramite un’indagine sulla disabilità mostra che più di un terzo dei palestinesi disabili non ricevono alcuna istruzione, ed il 60% dei bambini disabili non sono iscritte nel sistema scolastico. Tale disamina mette in luce anche il tasso di abbandono: un 19 Citato nel State of the World’s Children, 2013: original source: WHO “The Global Burden of Disease: 2004 update”. Geneva, World Health Organization. 20 United Nations, Report of the Secretary- General on the Status of the Convention on the Rights of the Child, A/66/230, United Nations, New York, 3 August 2011, p. 8. Citato in The State of the World’s Children 2013 21 World Bank report http://dx.doi.org/10.1016/j.ijedudev.2012.08.005 22 UNICEFs State of the World’s Children 2013, the 2010 EFA GMR report and the 2010 UN MDG report 23 Kobiané, J.-F. and Bougma, M. 2009. Burkina Faso. RGPH 2006. Rapport d’Analyse du Thème IV. Instruction, Alphabétisation et Scolarisation 24 Filmer, Deon, ‘Disability, Poverty, and Schooling in Developing Countries: Results from 14 household surveys’, World Bank Economic Review, vol. 22, no. 1, 2008, pp. 141–163 25 http://elibrary.worldbank.org/doi/abs/10.1093/wber/lhm021?journalCode=wber 26 World Health Organization and The World Bank 2011, The World Report on Disability http://whqlibdoc.who.int/publications/2011/9789240685215_eng.pdf 27 Global Partnership for Education’s (GPE) website, 2013, http://www.globalpartnership.org/our-work/areas-offocus/children-with-disabilities 28 The Secretariat of the Africa Decade of Disability, 2012 Study on Education for Children with Disabilities in Southern Africa November 2012, original source, SINTEF, 2004 29 Dati estrapolati dal censimento del Governo del Ghana sulla popolazione 2010 17 terzo di coloro che sono iscritti lasciano successivamente la scuola e il 22% di questi abbandoni è per cause inerenti alla disabilità. Infine il report mostra che il 53,3% dei palestinesi con disabilità sono analfabeti. • In Etiopia secondo il Ministero dell’Istruzione poco più del 3% di bambini con disabilità hanno accesso all’istruzione primaria, l’accesso si riduce man mano che aumentano i livelli di istruzione. Istruzione fornita ai bambini con disabilità • In Uganda solo il 5% di bambini disabili ha accesso all’istruzione presso le scuole ordinarie, il 10% ha accesso solo a scuole speciali. • L’Italia è il solo paese europeo dove quasi tutti i bambini disabili sono inclusi nelle scuole ordinarie (circa il 99%). Politiche: impegni, norme di attuazione e lacune • • • • • • 30 Nel settembre 2013, 133 paesi e l’Unione Europea hanno ratificato la Convenzione dell’ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (CRPD) altri 23 hanno firmato ma non ratificato. L’impegno ad un educazione inclusiva è un obbligo legale secondo l’articolo 24 del CRPD. Da un’indagine su 28 paesi esaminati, solo 10 hanno attuato politiche concrete e di impegno per un’educazione realmente inclusiva, 13 fanno riferimento alla disabilità ma senza strategie o norme speciali in merito e 5 al momento non menzionano in nessun caso il tema. La spesa dei paesi per l’educazione inclusiva è molto bassa: per esempio nel 2008 la Banca Mondiale riporta che solo l’1% della spesa prevista dalla politica “Education For All” in India era indirizzata a tale obiettivo. Inoltre, spesso si ritiene che i costi per garantire tale inclusione siano relativamente troppo alti, ma non è sempre così. Uno studio stima che rendere le strutture scolastiche accessibili comporta costi pari a meno dell’1% del totale delle spese per la costruzione di infrastrutture scolastiche, mentre gli investimenti per sostenere la spesa della costruzione di due sistemi educativi – generico e “speciale” – ha costi molto più alti. Un rapporto dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE)30 stima che la spesa media per sistemare studenti in scuole speciali è dalle sette alle nove volte maggiore che educarli nelle classi miste. Promuovere azioni di sensibilizzazione verso le comunità locali volte a diminuire la stigmatizzazione sociale dei bambini disabili aumenta la partecipazione scolastica. Un progetto triennale nelle comunità svantaggiate vicino ad Allahabad, in India, ha permesso a molti bambini disabili di frequentare per la prima volta la scuola, a persone disabili di partecipare attivamente all’interno della loro comunità ed ai loro genitori maggiore consapevolezza sul tema delle vaccinazioni e delle riabilitazioni per i propri figli disabili. Un’indagine nel 2007 di Education International mostra che un gran numero di insegnanti esprimono perplessità rispetto all’inclusione per la mancanza di formazione e specializzazione professionale così come di attrezzature e altre risorse. Per questo uno dei punti essenziali dai quali partire è quello di formare e dare supporto agli insegnanti nel promuovere un’educazione inclusiva. http://www.oecd-ilibrary.org/ 18 1.5 Un futuro per l’educazione inclusiva: l’agenda di sviluppo post-2015 A dispetto del significativo contributo dato dagli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (OSM) nell’aumentare l’accesso all’istruzione, la loro implementazione ha lasciato notevoli squilibri e, come è stato evidenziato nella prima parte di questo rapporto, i 6 obiettivi dell’Education for All risultano ancora difficilmente raggiungibili. È necessario inoltre qui sottolineare come nessuno degli OSM abbia adeguatamente affrontato il problema dei gruppi di popolazione più marginalizzati tra cui, in primis, le persone con disabilità che spesso appartengono alle fasce più povere della società. Dall’analisi di scenario riportata nel Global Monitoring Report dell’UNESCO si desume che se i trend attuali rimanessero invariati si riuscirebbe a garantire l’istruzione primaria ai ragazzi entro il 2030 in 56 dei 74 Paesi a basso e medio reddito mentre le ragazze povere raggiungeranno l’obiettivo entro quella data solo in 7 Paesi, uno solo dei quali a basso reddito. Assicurare apprendimento di qualità ed equità richiederà una migliore individuazione dei gruppi poveri ed emarginati e per questa ragione il processo di definizione della nuova agenda di sviluppo post-2015 offre un’opportunità da sfruttare per far fronte ai limiti riscontrati negli OSM e promuovere un orientamento dei sistemi educativi verso un modello di inclusione e un’istruzione di qualità. Nel dibattito internazionale quello dell’educazione è uno dei temi cardine dello sviluppo considerando, come è stato evidenziato, il ruolo centrale che questa svolge nelle politiche di riduzione della povertà, nel miglioramento delle condizioni di salute, nell’empowerment delle donne o nella protezione dell’ambiente. Tale ruolo è diffusamente riconosciuto tanto che l’educazione oggi trova ampio spazio a livello internazionale nel dibattito per lo sviluppo dell’agenda post-2015: è stato già incluso tra gli obiettivi suggeriti nel Rapporto dell’High Level Panel delle Nazioni Unite31 ed è incluso anche tra le focus areas dell’Open Working Group on Sustainble Development32 che sempre in ambito ONU sta proseguendo in questi mesi le consultazioni internazionali e presenterà una sua proposta nella prossima Assemblea Generale delle Nazioni Unite a settembre, tuttavia è necessario lavorare perché si traduca in un obiettivo rilevante. La Campagna Globale per l’Educazione partecipa pertanto al dibattito internazionale spingendo affinché sia data una più forte attenzione alla non-discriminazione, all’inclusione e all’equità quali condizioni necessarie e inestricabili per far sì che un’educazione di qualità sia accessibile e disponibile per tutti i cittadini di tutti i paesi. Il nuovo quadro di sviluppo dovrà pertanto fornire delle indicazioni per poter misurare i progressi nel raggiungimento degli obiettivi di universalità e qualità andando a tracciare in particolare gli avanzamenti registrati dai gruppi di popolazione più marginalizzati (i più poveri, i portatori di disabilità, gli abitanti di aree rurali, ragazze e donne) che sono stati in questi anni esclusi da sistemi educativi di qualità. Ciò implicherà l’individuazione di indicatori rilevanti e il ricorso a dati disaggregati in modo tale che i governi debbano dar conto non solo di quanti bambini complessivamente hanno accesso a scuola o possono usufruire degli insegnamenti di docenti qualificati ma anche di quanti bambini poveri, o disabili o appartenenti ad altre categorie possano godere degli stessi servizi. La nuova agenda dovrà pertanto far fronte all’annoso problema del sistema di raccolta di dati che possa tener traccia dei risultati registrati da target di popolazione che spesso non sono presi in considerazione dai sistemi statistici. Il nuovo obiettivo dovrà inoltre essere maggiormente ambizioso e puntare non solo a un pieno accesso alla scuola per tutti ma a un completamento dell’istruzione universale e dovrà includere altri livelli di 31 The Report of the High Level Panel of Eminent Persons on the Post-2015 Development Agenda. A New Global Partnership: eradicate poverty and transform economy through sustainable development (2013) - x http://www.post2015hlp.org/wp-content/uploads/2013/05/UN-Report.pdf 32 Si veda: http://sustainabledevelopment.un.org/index.php?menu=1549 19 educazione non solo quella primaria. I governi devono colmare il gap di servizi educativi per la prima infanzia e assicurare che ogni bambino non solo completi il ciclo di istruzione primaria ma che prosegua con successo, e porti a compimento, anche quello secondario. Dato che centinaia di milioni di bambini e adulti nel mondo non hanno avuto tali possibilità i governi dovranno essere chiamati a fornire opportunità educative anche per i giovani e gli adulti che non hanno avuto la possibilità di andare a scuola e non hanno imparato a leggere e scrivere. Il Report dell’High Level Panel delle Nazioni Unite sul post-2015 ha segnato un passo importante in questa direzione nel suo invito a non lasciare nessuno indietro (Leave no one behind) ma è necessario continuare a fare pressione perché ciò trovi adeguato riconoscimento e spazio all’interno del nuovo framework. Nel definire l’agenda di sviluppo post-2015 sarà necessario non solo chiarire ciò che si vuole raggiungere ma anche le condizioni necessarie per poterlo fare e i due elementi cruciali in questo senso sono da considerare i finanziamenti e la governance. La CGE richiede infatti ai governi di spendere almeno il 20% del loro budget nell’educazione e a tutti i donatori bilaterali di allocare almeno il 10% dei loro aiuti pubblici allo sviluppo all’educazione di base. Accanto alla disponibilità di finanziamenti sarà necessario prevedere meccanismi partecipativi in grado di promuovere la trasparenza e l’accountability dei governi.33 In ambito internazionale anche l’UNICEF e l’Ufficio dell’Alto Commisariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (OHCHR) stanno lavorando affinché la nuova agenda di sviluppo post-2015 affondi fortemente le radici nei diritti umani ripartendo dai progressi raggiunti dagli OSM ma adottando un più ampio approccio che abbracci i temi dell’accesso, dell’equità, della qualità dell’apprendimento e che sia pertanto fondato sul concetto di educazione inclusiva quale modalità più appropriata per garantire l’universalità e la nondiscriminazione nell’educazione. La nuova agenda dovrà quindi puntare ad affrontare le disuguaglianze e garantire a tutti i bambini di tutti i gruppi socio economici il completamento di un’educazione di qualità che incentivi l’apprendimento. Anche in questo caso si sottolinea la necessità di tenere in considerazione target ed indicatori disaggregati per genere, location, età, ricchezza della famiglia, gruppi etnici, disabilità. 33 Global Campaign on Education (2013). The Right to Education&post-2015 frameworks. A Statement by the Global Campaign for Education. 20 1.6 Le esperienze dal campo Educazione inclusiva nella regione balcanica L’inclusione educativa dei gruppi più vulnerabili rimane una sfida aperta nella regione balcanica. I bambini con disabilità sono soggetti ad un forte rischio di emarginazione e numerose barriere culturali ed architettoniche, insieme alla mancanza di preparazione degli attori chiave, ne ostacolano l'inclusione scolastica. Altri bambini a rischio di esclusione sono quelli appartenenti a gruppi minoritari quali Rom, Serbi, Ashkali ed Egiziani, che devono confrontarsi con barriere culturali e linguistiche. Le difficili condizioni economiche di molte famiglie rappresentano un ulteriore fattore di esclusione dei bambini dal sistema scolastico. Save the Children da diversi anni promuove l’educazione inclusiva in vari paesi dell’area balcanica, in particolare il Kosovo, l’Albania e la Bosnia Herzegovina. I nostri interventi prevedono l’adozione di un approccio partecipativo, stimolando il coinvolgimento attivo di tutti gli attori che prendono parte al processo educativo. Nel progetto “Inclusive schools in inclusive communities” in Bosnia ad esempio, lo staff scolastico, i bambini stessi, le loro famiglie e comunità sono stati coinvolti nell’utilizzo dell’Index per l’Inclusione, una metodologia partecipativa che consiste nel valutare il grado di inclusione di una scuola per poi migliorarlo attraverso l’elaborazione di piani di sviluppo mirati. Tale metodologia ha permesso di identificare e rimuovere molte delle barriere che limitavano l’accesso e l’apprendimento dei bambini più vulnerabili e ha contribuito a creare attitudini maggiormente inclusive all’interno della scuola e della comunità più allargata (vedi box di approfondimento). Un forte accento è posto inoltre sulla qualità dell’educazione inclusiva, che viene promossa attraverso la creazione di un ambiente scolastico pronto a rispondere in modo adeguato ai diversi bisogni educativi dei bambini. Nell’ambito del progetto “Inclusione dei bambini con disabilità nella scuola dell’infanzia e primaria in Kosovo” finanziato dal MAE, gli insegnanti curricolari sono stati formati sull’utilizzo di metodologie didattiche inclusive e sull’elaborazione di Piani Educativi Individualizzati per i bambini con bisogni educativi speciali. Parallelamente, in collaborazione con gli Assessorati Municipali e il Ministero dell’Educazione (MEST), Save the Children ha introdotto nelle scuole la figura dell’insegnante di sostegno, il cui ruolo è quello di supportare i bambini e le bambine con disabilità, con difficoltà linguistiche o di altro tipo, nel normale svolgimento del curriculum, a fianco degli insegnanti “regolari”. Essi accompagnano inoltre i bambini e le bambine che hanno abbandonato la scuola per favorirne il reinserimento. Questo intervento ha avuto molto successo per cui le municipalità si sono prese l’impegno di farsi carico dello stipendio di tali figure. Foto: progetto educazione inclusiva in Bosnia 21 I nostri interventi mirano anche ad incentivare la creazione di sinergie in un’ottica di sviluppo regionale. A tale scopo favoriamo lo scambio di buone prassi e ci assicuriamo che le strategie e gli approcci che sono stati sperimentati con successo confluiscano nello sviluppo di nuovi progetti. Questo è il caso del nuovo progetto finanziato dal Ministero degli Affari Esteri “Educazione inclusiva per bambini con bisogni educativi speciali in Albania” che sarà avviato quest’anno. Un rappresentante di Save the Children è stato inoltre chiamato a partecipare al Policy Net, un network regionale promosso dall’Unione Europea e composto dai paesi del sud est europeo che mira a rafforzare le capacità degli attori istituzionali di sviluppare e implementare politiche educative inclusive. Questa è un’occasione importante per portare l’esperienza di Save the Children e contribuire allo sviluppo di raccomandazioni e piani d’azione sull’educazione inclusiva per i diversi paesi della regione. L’Index per l’Inclusione L’Index per l’Inclusione è stato elaborato da Booth e Ainscow presso il Centre for Studies on Inclusive Education ed è uno strumento che aiuta ad “individuare i vari passi necessari per progredire nel cammino verso l’inclusione scolastica. […] L’Index offre un percorso che sostiene l’autoanalisi e il miglioramento delle scuole, e si fonda sulle rappresentazioni del gruppo docente, del Consiglio di istituto, dei dirigenti, degli alunni e delle famiglie, nonché delle comunità presenti sul territorio. Il percorso implica un esame dettagliato di come possano essere superati gli ostacoli all’apprendimento e alla partecipazione di ogni alunno.”34 Lo strumento si struttura infatti in tre dimensioni: la promozione di una cultura inclusiva, la creazione di politiche inclusive e lo sviluppo di pratiche inclusive, tutti aspetti necessari per il potenziamento dell’inclusione a scuola. Per ogni dimensione, una serie di indicatori e domande facilitano “l’analisi sullo stato attuale della scuola, forniscono idee aggiuntive per la costruzione di attività e servono come criterio per valutare i progressi realizzati”35. Tali indicatori e domande possono anche essere adattati e arricchiti per rispondere al meglio alle caratteristiche ed esigenze della realtà scolastica di riferimento. La flessibilità di questo strumento lo rende particolarmente adatto all’applicazione in diversi contesti, incluso quello italiano, dove finora ha trovato limitata diffusione. L’applicazione dell’Index prevede diverse fasi (vedi figura) che si possono ripetere in modo ciclico in un’ottica di continuo miglioramento. Un ulteriore punto di forza di questo strumento consiste nel fatto che il suo stesso utilizzo può contribuire alla promozione dell’inclusione, poiché implica un’autovalutazione dettagliata e cooperativa che si appoggia sulle esperienze di tutte le persone coinvolte nell’attività scolastica e contribuisce a sensibilizzarle sul tema. 34 “L’Index per l’Inclusione”, traduzione italiana, Edizioni Erickson, 2008. All’Index for inclusion sarà dedicato un convegno internazionale il prossimo 23-24 ottobre a Bergamo a cura dell’Università di Bergamo e Intervita 35 Ibidem 22 L’educazione come strumento di integrazione e inclusione sociale dei bambini e delle bambine peul (enfants bouviers) in Ciad ACRA-CCS da oltre quaranta anni è impegnata in progetti per contribuire alla realizzazione del diritto all’educazione in Ciad. Il paese è tra i più vasti e più poveri dell’Africa e più di 200 gruppi etnici coabitano su un territorio per la maggior parte arido e desertico. Nel Dipartimento di Nya Pende, regione del Logone Orientale, abitano gli M’Bororo, allevatori nomadi e seminomadi di etnia Peul che si distribuiscono dal Senegal al Camerun e che in Ciad occupano in parte le zone utilizzabili per i pascoli. Sono solo una piccola minoranza, l’1,3% di tutta la popolazione locale, ma come gli altri gruppi etnici devono contendersi le scarse risorse offerte dalle aree di terra fertile. La pressione esercitata sulle risorse naturali (terra coltivabile, pascolo ma anche acqua) è l’origine per la minoranza Peul di conflitti con le popolazioni locali e di discriminazioni. Dal 2003 un vasto numero di rifugiati della Repubblica Centrafricana (RCA) colpita dalla guerra civile è stato accolto sul territorio ciadiano meridionale in campi profughi predisposti dall'Alto Commissariato per i Rifugiati (UNHCR). Peul provenienti dalla Repubblica Centrafricana risiedono in questi campi o nei dintorni dove si trovano anche comunità Peul provenienti da altre zone del Ciad a causa dei conflitti interni e delle problematiche ambientali. Dopo la fase di emergenza, ha preso avvio negli ultimi anni un lento processo di integrazione tra popolazione rifugiata e popolazione ciadiana, compresi i Peul. In questi ultimi mesi un peggioramento della situazione di sicurezza nella RCA ha generato nuove ondate di rifugiati che rischiano di far esplodere la situazione. ACRA-CCS, su mandato di UNHCR, ha avviato da alcuni anni progetti di integrazione attraverso l’educazione tra le popolazioni locali e i rifugiati per assicurare la scolarizzazione, nonché l’inclusione sociale di tutti i bambini e le bambine. L’educazione, che è un diritto sancito dalla Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, è un importante strumento per favorire l’inclusione sociale anche dei gruppi vulnerabili e le scuole possono diventare spazi privilegiati per il dialogo interculturale e per la promozione della pace e dei diritti umani. Un’indagine che ACRA-CCS ha condotto nella zona di Gorè, ha dimostrato che per l’etnia Peuls la scuola primaria non è considerata una necessità e che i matrimoni e le gravidanze precoci sono diffusi e costituiscono un fattore socio culturale radicato che contribuisce ad aumentare la dispersione e l’abbandono scolastico. Foto: Settembre 2013 campagna di sensibilizzazione di Acra-CCS per favorire le iscrizioni a scuola dei bambini e delle bambine Peuls. La marginalizzazione e l’esclusione sociale dei bambini pastori e soprattutto delle bambine è dovuta a diversi fattori tra cui la sottovalutazione dell’importanza dell’educazione all’interno delle comunità Peul dove i bambini sono dediti alla pastorizia e le bambine alla lavorazione del formaggio e alle attività domestiche e alle difficoltà di relazione con gli altri gruppi. Con il progetto di educazione avviato da ACRACCS nella scuola di Djarabé (Goré), dal 2011 si è verificato un graduale inserimento scolastico di bambini e bambine Peul dallo 0% al 50%, espressione di un cambiamento di mentalità della popolazione dovuto alle attività di sensibilizzazione. Attualmente è in corso anche il progetto “ Promozione della pace attraverso l’educazione. Progetto di integrazione scolastica dei bambini pastori nel dipartimento di Nya Pende, 23 Regione del Logone Orientale” in collaborazione con Unicef, esteso a 9 zone Peul e a tre campi di rifugiati (Dosseye, Gondje et Amboko) con una strategia che vede nella correlazione tra scuole e comunità uno strumento di integrazione dei bambini Peuls. Bambini, famiglie e comunità sono supportati con attività specifiche per prevenire, ridurre e gestire i conflitti, promuovere l’uguaglianza e la coabitazione pacifica. Bambini e bambine autoctoni, figli di rifugiati e Peul sono stati scelti con una metodologia partecipativa per essere formati come “portatori di pace” all’interno delle scuole e delle stesse comunità. Affinché le scuole siano realmente dei luoghi di cambiamento e di integrazione, i portatori di pace hanno il compito di migliorare la sensibilità dei loro pari, intervenendo per mediare i conflitti e cercare soluzioni condivise. Viene praticato un modello di scuola che valorizza le differenze culturali, favorisce il rispetto e la non discriminazione promuovendo l’accoglienza e il confronto tra i bambini dei diversi gruppi etnici. E’ anche un modello di scuola che punta sulla formazione degli insegnanti e delle associazioni dei genitori e delle mamme per garantire nel tempo la convivenza pacifica in un contesto sempre in bilico tra sviluppo ed emergenza. Foto: Settembre 2014, coinvolgimento delle donne Peuls nella campagna di sensibilizzazione Bibliobus: biblioteche in movimento per le future generazioni. Un’esperienza di educazione inclusiva nella Striscia di Gaza (Territori Palestinesi) Garantire l’accesso alla lettura, più in generale il diritto all’istruzione, nel contesto palestinese è estremamente difficile e la situazione è ancora più allarmante in contesti marginali come la Striscia di Gaza, abitata da circa 1.710.000 persone, di cui il 43% sono giovani sotto i 14 anni. La situazione già politicamente e socialmente complessa si è aggravata a seguito dell'“Operazione Piombo Fuso”36, durante la quale 18 scuole e asili sono stati totalmente distrutti e oltre 250 danneggiati. Così, alle numerose scuole che lavorava già su doppi turni per garantire l’accesso scolastico ai bambini, se ne sono aggiunte molte altre nel corso dei tre anni successivi. Ad oggi, infatti, il 79% delle scuole del Ministero della Pubblica Istruzione (MOE) e oltre il 90% di quelle dell'UNRWA37 lavorano su turni doppi o tripli. Questa misura ha fatto sì che le scuole abbiano dovuto ridurre l’orario scolastico ed eliminare le attività extrascolastiche. La densità media per classe è di circa 36 Offesiva militare lanciata dall'esercito israeliano tra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio 2009. The United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East (Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l'Occupazione). 37 24 38-40 studenti e alcune scuole ospitano fino a 50 studenti per classe. Questo accade in impianti scolastici spesso precari dal punto di vista infrastrutturale o, addirittura, in scuole ospitate in strutture temporanee come container, in cui insegnanti e studenti soffrono per la scarsa protezione dalle alte temperature estive o per lo scarso isolamento acustico. È stato stimato che sarebbero necessarie circa 260 nuove scuole (100 per il sistema dell’UNRWA e 160 del Ministero della Pubblica Istruzione) per alleviare la pressione sulle scuole che hanno doppi o tripli turni e per accogliere il numero crescente di bambini che dovrebbero accedere al sistema scolastico nei prossimi tre anni. Ma dalla metà del 2010 si è potuto iniziare o riprendere la costruzione soltanto di 4 delle 160 scuole di cui si ha bisogno. Condizioni infrastrutturali, carenza di scuole, privazione dei diritti fondamentali, marginalità sociale e questioni politiche e di sicurezza: in questo contesto si inserisce il progetto “Bibliobus: biblioteche in movimento per le future generazioni”, di cui ARCS è capofila. L’intervento, che ha avuto avvio nel gennaio 2013, vuole rappresentare un contributo al miglioramento della situazione educativa dei bambini delle zone marginali della Striscia di Gaza (città di Gaza e regione nord) con un approccio inclusivo. In un contesto in cui i bambini hanno difficoltà ad essere raggiunti dal sistema scolastico, l’organizzazione si è proposta di portare libri dove non ce ne sono e raggiungere i beneficiari – bambini in età scolare e donne – attraverso un bus attrezzato, una biblioteca itinerante che, seguendo specifici itinerari e coinvolgendo diversi e molteplici attori dell’area, porti con sé attività educative e ricreative e di lettura nei luoghi chiave della cultura e della socialità palestinese. Foto: Un momento della formazione dello staff e dei volontari del “Bibliobus” In questo modo il progetto vuole promuovere un accesso alternativo alla cultura, in particolare in una zona di disagio e in cui i bambini hanno vissuto – e continuano a vivere – situazioni traumatiche e di privazione materiale e culturale. Si è scelto inoltre di coinvolgere le donne, sia per incoraggiare la parità di genere, sia per il ruolo importante che hanno all'interno della comunità e delle famiglie di Gaza, come più in generale in quelle palestinesi, ma che, a causa dei problemi sociali e politici e di costruzione sociale del ruolo della donna, culturalmente radicati, risultano essere più colpite dall’isolamento e dalla disoccupazione rispetto agli uomini. La prospettiva inclusiva è garantita da una strategia multidimensionale e integrata, che prevede: • Il coinvolgimento delle istituzioni locali e del territorio in un’ottica di rete Il “Bibliobus” sta attraversando la Striscia di Gaza, seguendo almeno tre diversi itinerari che hanno come tappe non solo scuole primarie e materne, ma anche piazze, strade e giardini, nonché ospedali e centri sanitari pediatrici, scuole femminili e altre organizzazioni della società civile. Perché questi luoghi fossero raggiungibili dalle attività della biblioteca itinerante, si è prestata 25 particolare attenzione al coinvolgimento delle istituzioni locali in fase di progettazione dell’intervento e di costruzione dei percorsi del “Bibliobus”. • L’allineamento rispetto alle politiche nazionali e ai bisogni del contesto Il progetto è stato pensato e costruito nell’ambito delle linee portanti del Piano Nazionale “Reading for all” del Ministero dell’Istruzione palestinese. Il Piano, annunciato nel 2008, vuole incoraggiare la lettura per i bambini e la formazione degli insegnanti nel campo della letteratura per l'infanzia, tanto da volerlo introdurre nei curricula e nei programmi scolastici e come materia di studio nelle università palestinesi. Inoltre il nuovo Piano Nazionale Palestinese 2011-2013 fa esplicito riferimento alla necessità di fornire opportunità e strumenti adeguati anche ai bambini “con bisogni speciali”, strumenti affinché possano beneficiare e partecipare alle stesse attività culturali ed educative. Il “Bibliobus” è stato arredato e fornito di libri e materiali destinati ad attività ricreative ed educative, in particolare libri relativi alle seguenti tematiche: letteratura e cultura palestinese, promozione dei diritti delle donne e dei bambini, letture ricreative (romanzi, favole, poesie), produzioni letterarie di scrittrici donne. Attraverso i libri, quindi, si vuole cercare anche di promuovere e tutelare la cultura popolare e la letteratura palestinese, contribuendo a rafforzare l’identità collettiva e allo stesso tempo, aumentare la consapevolezza circa i diritti dei bambini e delle donne. • L’adozione di una metodologia partecipativa e l’attenzione alla formazione degli operatori e dei volontari Particolare attenzione è stata posta alla formazione degli operatori che portano le loro conoscenze e attività, assieme ai libri, lungo i territori marginali della Striscia di Gaza. Lo staff e i volontari sono giovani dai 16 ai 22 anni, che sono stati coinvolti in un programma di formazione specifica sia sulle metodologie che sui contenuti, come l’importanza dell’uso di metodologie e strumenti interattivi (arte plastica e visiva, ritmo e linguaggio del corpo). Tutte le attività sono inoltre studiate e contestualizzate rispetto alle diverse fasce di età dei beneficiari e ai bisogni del singolo e del gruppo. Vengono inoltre coinvolti alcuni “ospiti speciali” (persone di spicco della comunità e personaggi famosi stranieri) nel programma di letture animate di Bibliobus, in modo da stimolare un maggiore coinvolgimento, ma anche persone anziane, al fine di sviluppare un dialogo intergenerazionale. • La promozione di valori: coesione sociale, diritti e cultura del volontariato L’affiancamento di giovani volontari (ragazze e ragazzi) al personale del bus nella loro attività quotidiana ha il duplice obiettivo di formare giovani locali e promuovere, al contempo, la cultura del volontariato, come mezzo per raggiungere la coesione sociale e diffondere l'istruzione e la cultura popolare. Tutte le attività realizzate hanno infatti il fine ultimo di sviluppare l’apprendimento - individuale e collettivo - non di mere nozioni, ma della consapevolezza circa i diritti dei bambini e delle donne, in particolare il diritto alla partecipazione. Lasciare che diventino le comunità, coinvolgendo tutte le istituzioni e la società civile, le vere protagoniste di una società coesa, nonostante le difficoltà e i problemi esterni che esistono. 26 2- EDUCAZIONE INCLUSIVA IN ITALIA: SFIDE, CRITICITÀ E BEST PRACTISES 2.1. Educare all’inclusività Per dare senso e significato a termini come integrazione/inclusività nel contesto italiano prendiamo come riferimento la nostra Costituzione piuttosto che varie enunciazioni di merito, in particolare l’art.3, che recita “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali dinanzi alla legge senza distinzione di sesso,di razza, di lingua, di religione,di opinioni politiche,di condizioni personali e sociali”, e al comma 2 continua “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (…). E’ compito, dunque, delle Istituzioni e dei cittadini come comunità, promuovere e sostenere azioni e strategie che favoriscano il fruire di tale diritto costituzionale praticando una vera cultura dell’inclusione sociale che trova il suo fondamento nel porre in relazione insiemi diversi. Un obiettivo non facile da perseguire in ogni tempo ma ancor di più in quello che stiamo vivendo, caratterizzato da cambiamenti repentini e complessi che hanno divelto punti di riferimento importanti lasciandoci tutti un po’ “orfani” e respingendoci in un recinto di individualismi e di solitudine dove appunto sembra che l’inclusione sia un pericolo per noi stessi. Il diverso che avanza, che non conosciamo, che non sappiamo gestire ci spaventa e siamo portati al suo allontanamento, alla sua rimozione, questo vale per ogni tipo di diversità, di razza, di lingua, di condizioni socio-economiche e comportamentali. E dunque vi è la necessità di educare all’inclusività,che altro non è se non relazionarsi con “l’altro”, averne cura,avviare un percorso comune dove ognuno arricchisce l’altro. Il nostro Paese ha dato chiari segnali di un impegno reale e determinante già a partire dagli anni settanta,in particolare con la legge 517 del 1977 che prevedeva l’integrazione degli alunni con disabilità nelle classi,abolendo di fatto le scuole speciali e le classi differenziali nel nostro sistema scolastico statale. A quella Legge si sono susseguiti una serie di provvedimenti e di sentenze della Corte Costituzionale, tra cui la n. 215 del giugno 1987 che affermava in via definitiva il diritto all’educazione e all’istruzione di tutte le persone con disabilità, indipendentemente dalla situazione di gravità, come diritto soggettivo pieno, esteso a tutti gli ordini di scuola compresi gli istituti superiori. I vari provvedimenti normativi trovano la loro collocazione nella legge quadro del 5 febbraio 1992 n.104 che ribadisce ed amplia il principio dell’integrazione sociale e scolastica come momento fondamentale per la tutela della dignità umana della persona con disabilità, impegnando lo Stato a rimuovere le condizioni invalidanti che ne impediscono lo sviluppo sia sul piano della partecipazione sociale sia su quello di deficit sensoriali e psico-motori. Gli atti successivi anche a livello internazionale tra cui la Convenzione ONU dei diritti delle persone con disabilità del 2006 e ancor prima quella del 1989 sui Diritti del Fanciullo introducono un vero cambio di paradigma che oltre alle norme più o meno applicate prevede un approccio ed una elaborazione mentali completamente diversi che non sempre hanno trovato terreno fertile nel nostro Paese. La necessità di promuovere una cultura inclusiva che andasse oltre le disabilità psico-motorie e che avesse attenzione e cura ad una serie di bisogni non compresi e quindi non soddisfatti che vanno a condizionare,a volte pesantemente, lo sviluppo evolutivo dei giovani e quindi dei loro apprendimenti, trova ulteriori spazi di riflessione e di confronto. Nel 2007, infatti, viene avviato il progetto “I Care”, che vuol dire “mi sta a cuore”, simbolo di una cultura dell’inclusione avviata dal nostro Paese da Don Milani proprio con questo motto, per contrapporlo al “Me ne frego” fascista. Quel progetto ha inteso avviare un sistematico e diffuso processo di formazione che, a partire dalle esperienze in atto e attraverso la metodologia della ricerca, consenta approfondimenti teorici e l’adozione di strategie metodologiche, didattiche ed organizzative centrate sull’idea della scuola come comunità inclusiva, con riferimento specifico ai temi della disabilità. 27 “La via italiana per la scuola interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri, ancora del 2007, le linee guida per l’integrazione degli alunni con disabilità (2009), la legge 170 del 2010 sui Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) con le successive linee guida per il diritto allo studio degli alunni con DSA (2011) hanno rappresentato importanti provvedimenti tesi al rafforzamento del carattere inclusivo della nostra scuola. Il quadro è stato poi completato dall’emanazione della Direttiva del 27.12.2012 sui Bisogni Educativi Speciali (BES) accogliendo cosi gli orientamenti presenti in alcuni Paesi dell’Unione Europea. Il concetto di Bisogni Educativi Speciali si basa su una visione globale della persona in una prospettiva biopsico-sociale, avendo a riferimento il modello diagnostico ICF (Interntional Classification of Functioning) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, anche se riteniamo fondamentale che sia curvato su di un approccio didattico-educativo-pedagogico per evitare un eccesso di medicalizzazione nella nostra Scuola. Al di là delle ricadute di tale normativa nelle Istituzioni Scolastiche, è evidente che si aprono nuovi scenari che vedono protagonisti forse loro malgrado gli insegnanti che,attraverso una formazione specifica,dovranno essere in grado di poter operare, evitando inutili e mortificanti burocratizzazioni, ovviamente non da soli ma attraverso quel patto educativo tra scuola e famiglia che già vige nelle scuole ma che ora assume una valenza diversa e anche attraverso le istituzioni locali che non possono sottrarsi al loro ruolo e alle loro responsabilità,in quanto una Scuola Inclusiva ha come suo obiettivo primario la lotta alla dispersione scolastica e all’insuccesso scolastico, e questo è priorità del nostro Paese. E’ inaccettabile che la dispersione raggiunga in alcune regioni del nostro Paese il 31%, così come non è più sopportabile che vi siano circa tre milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano né lavorano(NEET). Sono trascorsi oltre quaranta anni dalla morte di Don Lorenzo Milani e dalla pubblicazione di “Lettera ad una professoressa” con la quale gli allievi del Priore di Barbiana ricordavano che il problema della scuola è costituito dai ragazzi che perde. Purtroppo,seppur in maniera assolutamente diversa le sacche di abbandono scolastico sono ancora troppo profonde ma non è un problema soltanto della scuola bensì del nostro Paese, non possiamo consentirci che vi sia un tale spreco di talenti e che la cultura dell’inclusività sia soltanto enunciata in bei documenti e non praticata come quotidianità. Un’educazione inclusiva non è la soluzione ma la condizione sine qua non, per consentire che siano attivati percorsi di orientamento, di apprendimento continuo e permanente che nel valorizzare le diversità di ognuno consentano di non “lasciare indietro nessuno” attraverso interventi mirati e contestualizzati nel territorio ove la Scuola e non soltanto la Scuola ma tutte le agenzie formative facciano rete e interagiscano tra di esse per il raggiungimento di un bene comune. 2.2. Dall’integrazione all’inclusione per combattere la dispersione scolastica La Conferenza di Lisbona ha individuato nella riduzione dell’abbandono scolastico uno dei cinque benchmark che i Paesi membri dell’Unione Europea (UE) dovranno raggiungere nel campo dell’istruzione entro il 2010, posticipato poi al 2020. L’indicatore che viene utilizzato per dar conto del fenomeno della dispersione in ambito europeo è calcolato ricorrendo alla rilevazione sulle forze di lavoro dell’UE. L’indice si traduce con la “quota di giovani (18-24enni) che hanno conseguito un titolo di studio al massimo ISCED 2 (International Standard Classification of Education - scuola secondaria di primo grado, scuola media) e che non partecipano ad attività di educazione/formazione rispetto ai giovani di età 18-24 anni” (early school leavers). L’obiettivo al 2020 è quello di ridurre la quota degli early school leavers al 10%. 28 Secondo i dati dell’Unione Europea38 In Italia, gli early school leavers rappresentano poco meno del 18% (17,6%), mentre in Germania la quota è sensibilmente più bassa (10,5%), così come in Francia (11,6%) e nel Regno Unito (13,5%). Rispetto alla media prefissata del 10%, il nostro Paese ha circa otto punti di differenza da colmare. Anche se emergono progressi rispetto alla situazione del 2000, quando gli early school leavers risultavano il 25,3%, l’Italia continua, comunque, ad avere un divario piuttosto rilevante rispetto agli altri Paesi europei. Se si considerano le percentuali a livello regionale, il raggiungimento dell’obiettivo appare piuttosto difficoltoso per la Sardegna e la Sicilia dove circa il 25% dei ragazzi è fermo alla licenza media e non frequenta alcun corso di riqualificazione professionale e in ogni caso l’abbandono scolastico è un fenomeno diffuso su tutto il territorio nei grandi come nei piccoli centri. Anche se il Centro Italia è meglio avviato verso il traguardo 2020 nessuna regione italiana presenta attualmente un livello di dispersione al di sotto del 10%. Tali percentuali si traducono nella presenza di una popolazione di oltre 620.000 ragazzi e ragazze a rischio di dispersione scolastica. Questo fardello grava sull’economia e sulla crescita del paese in modo pesante, ma ancora poco si conosce del fenomeno della sua relazione con le capacità individuali, le origini famigliari, l’influsso delle condizioni economiche e sociali, impatto sulle prime e se seconde generazioni di migranti. Il costo economico dell’abbandono scolastico non è mai stato studiato in modo approfondito ad una prima sommaria analisi i dati paiono clamorosi: una perdita secca di 4 punti percentuali di PIL solo a causa del fatto che in Italia vi siano 12.631.284 adulti in età compresa tra 25 e 64 anni che hanno al massimo conseguito la licenza media . Il contrasto al fenomeno dell’abbandono scolastico è una delle priorità dell’attuale governo ed importanti investimenti sono in atto o sono attesi nei prossimi anni attraverso il meccanismo dei fondi di coesione europei. Malgrado da decenni il Terzo Settore (associazioni, fondazioni, parrocchie, oratori, enti religiosi, doposcuola informali, centri aggregativi giovanili, centri sociali etc.) sia attivo per garantire il recupero scolastico non è mai stato stimato il valore delle azioni messe in atto dal privato sociale per contrastarlo. Nulla si sa in modo sistematico e scientifico del valore delle azioni del Terzo Settore: quanti volontari sono coinvolti in doposcuola o altre forme di sostegno al recupero scolastico e formativo? Quante ore vengono spese nel recupero dei cosiddetti drop out? quanti ragazzi vengono coinvolti? E’ necessario dare una risposta queste domande per essere più consapevoli che la soluzione del problema stia nell’aumento e nell’uso più efficace delle risorse pubbliche impiegate, nella valorizzazione delle buone pratiche, ed infine nella messa a sistema delle azioni portate avanti dai differenti attori. Per affrontare la dispersione bisogna adottare un approccio volto all’inclusione: per non disperdere vanno promosse culture inclusive, affermare politiche pubbliche inclusive che prevengano e contrastino la dispersione e l’abbandono della scuola attraverso pratiche inclusive. Una rete di inclusione contro la dispersione scolastica: Frequenza 200 Perché Frequenza200? Perché 200 sono i giorni di lezione obbligatori che ciascuna scuola deve garantire per legge in Italia. In che cosa consiste la novità di questa azione volta a contrastare la dispersione scolastica attraverso un percorso di inclusione e rinforzo del successo educativo? Più che in nuove tecniche per fare didattica alternativa o gestire i dopo scuola, la novità consiste nel fare della relazione tra gli attori coinvolti (operatori scolastici, educatori esterni alla scuola, ragazzi/e “dispersi”, territorio e famiglia) l’ambito in cui tutti gli attori sono necessari per creare culture politiche e pratiche inclusive. 38 European Commission, Europe 2020: Early leavers from education and training (2013). 29 Frequenza200 primo Network rivolto a tutto il territorio nazionale per contrastare il fenomeno dell’abbandono scolastico, promosso da Intervita sostiene direttamente dal 2012 tre interventi in contesti difficili, dove c’è urgente bisogno di un supporto, perché la dinamica della dispersione ha correlazioni dirette con situazioni di disagio sociale. L’intervento si sviluppa in 3 regioni italiane: Lombardia (Milano), Campania (Napoli) e Sicilia (Palermo), coinvolgendo 2500 ragazzi, oltre 2500 famiglie, 800 insegnanti, 600 mamme e 160 operatori informali, nell’arco dei tre anni di progetto. Nel corso del 2013-14 l’azione si è allargata ad altre due Regioni italiane (Piemonte, Torino e Lazio, Roma), con l’obiettivo di raggiungere quasi tutte le Regioni in cui il fenomeno è grave. Foto: Un gruppo di giovani partecipanti al camp nazionale di Frequenza200 Il programma parte dall’obiettivo di coinvolgere scuole, insegnanti, famiglie che vivono i quartieri interessati, focalizzando l’attenzione sulla scuola come risorsa per il cambiamento. La scommessa è di costruire legami con i diversi interlocutori, sapendo valorizzare le specificità di ognuno, tant’è che nel programma si prevedono azioni specifiche relative al coinvolgimento di operatori sociali informali: il bar, l’edicola, il negozio di alimentari, il centro anziani, perché la scuola è un valore intergenerazionale e patrimonio, non solo culturale, di ogni quartiere. Tra i principali risultati di un anno di lavoro è importante menzionare che: • • • • • L’ 80% dei ragazzi e delle ragazze tra i 10 ed i 16 anni sono stati promossi (solo tre anni fa il dato relativo alle bocciature in una delle scuole medie inferiori interessate dal progetto era invece quasi del 50%) È stato realizzato un primo Camp nazionale I ragazzi hanno creato la prima carte dei diritti delle mamme Mia Mamma è (anche) una donna, che indica come una della maggiori cause dell’abbandono della scuola risieda nel disagio sociale ed economico delle famiglie ed in particolare nella presenza di una questione femminile nel nostro paese dove non vi sono ancora vere pari opportunità per uomini e donne Sono stati organizzati vari seminari territoriali con le istituzioni, i dirigenti scolastici, gli insegnanti le associazioni di Milano Napoli e Palermo per interrogarsi sui percorsi condivisi per vincere l’abbandono scolastico. A questa prima serie ne sta seguendo una seconda in cui i ragazzi e le ragazze sono protagonisti rispondendo alla domanda “Ma tu che scuola vuoi”, gli adulti partecipano come uditori e interlocutori. Sono stati pubblicati i primi due quaderni di ricerca azione educativa e pedagogica per mostrare la complessità incontrata da chi si occupa di risolvere il problema dell’inclusione educativa: “Lenti a contatto 1”, dedicato ad una ricognizione del fenomeno e “Lenti a contatto 2”, sul tema della valutazione 30 • • Insegnanti, educatori e tante persone di buona volontà hanno aderito alla rete offrendo la loro collaborazione volontariamente a fianco dei ragazzi e delle ragazze dei centri Frequenza200: 1612 ragazzi (11-16 anni), 1400 famiglie, 200 donne, 26 volontari, 16 educatori, 4 coordinatori, 14 scuole, 80 insegnanti. I centri Frequenza200 hanno inoltre promosso iniziative sociali a beneficio dei territori che li ospitano: come a Borgo Vecchio a Palermo, dove uno spazio abbandonato è diventato un campetto di calcio per ragazzini: la scuola trasforma se stessa ed il territorio che la circonda. La rete, pur essendo di recente costituzione, attraverso la diffusione di una maggior conoscenza del problema dell’abbandono scolastico, si prefigge di rafforzare la consapevolezza del ruolo importante svolto dai volontari e dagli educatori del terzo settore, avviando un dialogo permanente con il MIUR nella convinzione che solo nella franca collaborazione tra pubblico e privato sociale si possano portate avanti quegli interventi efficaci ed innovativi che possono permettere all’Italia di centrare gli obiettivi dell’Europa 2020 ed a centinaia di migliaia di ragazzi e ragazze di essere accolti un percorso educativo veramente inclusivo39. Fuoriclasse: un progetto di contrasto alla dispersione scolastica. Save the Children ha iniziato ad approcciare il fenomeno della dispersione scolastica nel 2011, raccogliendo attraverso una serie di workshop e focus group le opinioni di gruppi di docenti e, attraverso una ricerca partecipata sul tema svolta in ambito scolastico il punto di vista degli studenti. Da questa prima analisi sono emerse le informazioni su cui è stato strutturato, in modo partecipato, un modello di contrasto alla dispersione scolastica denominato Fuoriclasse. Le caratteristiche del programma sono: l’utilizzo della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (CRC) come strumento didattico, il principio di partecipazione dei ragazzi e la valorizzazione della peer education come strumento in grado di moltiplicare l’effetto in termini di beneficiari raggiunti. Il programma presenta un approccio integrato, si rivolge a tutti i principali attori coinvolti nel fenomeno della dispersione (docenti, studenti e famiglie) e prevede, affiancando metodologie formali e non formali volte a garantire la partecipazione attiva dei ragazzi, la realizzazione di attività in contesto scolastico (laboratori sulla motivazione) ed extra scolastico (Consigli Consultivi,campi scuola e sostegno allo studio) in modo da seguire i destinatari nei diversi contesti di riferimento. Poiché il passaggio da un ordine scolastico a quelli successivi rappresenta un momento delicato per gli studenti a rischio di dispersione, e dal momento che il fenomeno ha origine sin dalle scuole primarie, l’intervento è strutturato su due anni, ed è rivolto ai bambini/e delle classi IV delle scuole primarie ed ai ragazzi/e delle classi II delle scuole secondarie di primo grado con l’obiettivo di accompagnare i bambini/ed i ragazzi fino al passaggio alla scuola di grado superiore. Fuoriclasse cerca di fornire una risposta alla domanda che si pone in genere il ragazzo a rischio di dispersione “A cosa mi serve andare a scuola?” partendo dalla CRC in particolare con riferimento al diritto allo studio. Secondo quest’interpretazione si contribuisce al contrasto della dispersione scolastica agendo sulla motivazione allo studio dei ragazzi/e. Un ulteriore principio fondamentale su cui è strutturato il progetto è quello della partecipazione attraverso cui vivere la scuola come un luogo positivo dove, oltre alle materie tradizionali, imparare anche a dare voce ai propri diritti, a confrontarsi con gli adulti per trovare 39 Per maggiori informazioni si veda: www.frequenza200.it 31 insieme modalità che facciano sentire ai ragazzi che la scuola è un luogo in cui essere protagonisti, un luogo che gli appartiene e individuare insieme quelle situazioni che allontanano i ragazzi dalla scuola e proporre soluzioni che rendano più piacevole la quotidianità scolastica. Il progetto prevede tre tipologie di attività: • attività dedicate ai ragazzi : o laboratori di motivazione allo studio focalizzati sulla peer education, realizzati in orario scolastico composti da una prima parte dedicata ai temi della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, sul diritto allo studio e sul fenomeno della dispersione scolastica. La seconda parte del laboratorio è dedicata alla realizzazione dei prodotti comunicativi da utilizzare per gli eventi peer di sensibilizzazione sulla dispersione scolastica. Al termine del primo anno di laboratori gli alunni delle primarie realizzano una raccolta di fumetti sul tema dispersione, mentre i ragazzi più grandi degli spot video per sensibilizzare i loro coetanei. La seconda annualità prevede che durante i laboratori vengano realizzati dai bambini /e delle primarie dei giochi sulla dispersione, mentre gli studenti delle scuole secondarie di primo grado realizzano delle inchieste. o campi scuola per rafforzare il gruppo classe come deterrente alla dispersione scolastica; o sostegno allo studio per intervenire sui gap formativi dei ragazzi indicati dalle insegnanti a rischio dispersione scolastica. Le attività vengo svolte presso i Centri Educativi Fuoriclasse (CEF) e, nelle città in cui non sono attivi, presso le scuole coinvolte nel progetto • attività rivolte agli adulti: o corsi di aggiornamento per i docenti sui temi della Pedagogia dei Diritti, del principio di Partecipazione e nello specifico della dispersione scolastica unitamente alle metodologie utilizzate nel corso delle attività. o Incontri dedicati ai genitori per favorire il loro coinvolgimento della vita scolastica dei bambini/e e dei ragazzi partendo dal riconoscimento della scuola come agenzia educativa efficace. • attività dedicate congiuntamente a ragazzi/e e docenti: i Consigli Consultivi; ossia spazi permanenti di dialogo tra rappresentanze di studenti e docenti dove potersi confrontare sulle problematiche del contesto scolastico ed elaborare proposte di intervento volte al miglioramento della quotidianità scolastica e dello stare bene in classe. Un ruolo importante all’interno dell’intervento è svolto dai Centri Educativi Fuoriclasse (CEF) luoghi in cui bambini/e e ragazzi trovano una dimensione child friendly in cui svolgere attività di sostegno allo studio per colmare gap formativi, ma anche attività laboratoriali ludico-ricreative. Fuoriclasse coinvolge 1350 studenti, 21 Istituti Comprensivi e 56 classi in quattro regioni: Calabria (Crotone, Scalea) Campania (Napoli) Lombardia (Milano) e Puglia (Bari). L’implementazione del progetto tiene conto delle peculiarità dei contesti territoriali in cui viene realizzato e dell’influenza che questi hanno sul fenomeno dispersione, particolarmente connesso con il reclutamento dei minori da parte della criminalità organizzata al sud d’Italia, e invece legato alla presenza di minori stranieri al Nord. 2.3 La scuola italiana e gli studenti “stranieri”. La presenza nella scuola degli alunni stranieri, nonostante il cammino percorso e i molti passi in avanti compiuti, si connota per una situazione di particolare svantaggio dovuta alla concentrazione di un insieme di fattori di criticità: risultati scolastici negativi, ritardo scolastico, forte canalizzazione negli indirizzi di 32 scuola superiore orientati a garantire sbocchi professionali immediati (istituti tecnici e professionali), fenomeni di abbandono e assenteismo scolastico (MIUR, 2013). Queste criticità sono tra loro strettamente collegate e disegnano una sorta di “circolo vizioso”: inserimento penalizzante in ingresso (uno/due anni indietro rispetto all’età anagrafica) che colpisce soprattutto i neo-arrivati; maggiore probabilità di riportare esito negativo soprattutto alla fine del primo anno di ogni ciclo di scolarità; marginalità sociale che diventa anche solitudine relazionale nel tempo extrascolastico; mancanza di adeguate figure di riferimento in grado di aiutare lo studente nello studio a casa; difficoltà della famiglia ad accompagnare i figli nel momento delle scelte scolastiche (spesso orientate “al ribasso”). Le molte pratiche e i saperi maturati in tanti anni di lavoro per l’inclusione scolastica degli allievi stranieri oggi devono fare i conti con la drastica riduzione di risorse (economiche e professionali) a disposizione della scuola e del territorio. Secondo dati OCSE (2012), in Italia, durante il periodo 2001-2012 la spesa cumulata per studente dai 6 ai 15 anni di età è diminuita dell’8% (soprattutto nell’ultima parte del periodo considerato), mentre nello stesso periodo la spesa per studente è cresciuta nella maggior parte degli altri Paesi dell’OCSE. Durante quel decennio, solo in Italia, Messico e Islanda si è registrata una riduzione della spesa. Si consideri, inoltre, che in Italia le scuole con una maggiore popolazione di studenti svantaggiati tendono ad avere meno risorse rispetto alle scuole con una popolazione più favorita di studenti (OCSE-PISA, 2012). In tempo di ristrettezze economiche, di diminuzione delle risorse per l’inclusione e di saturazione delle classi, anche la gestione delle iscrizioni e la distribuzione degli alunni stranieri che giungono ad anno scolastico iniziato – un evento ordinario dopo anni di flussi migratori –, mettono in fibrillazione la scuola e danno luogo a forme di “descolarizzazione” (alunni “respinti” dalle scuole) e di “segregazione” formativa (costituzioni di classi a maggioranza di allievi stranieri). Tali fenomeni – a cui si potrebbe aggiungere la diffusa pratica di inserire nella classe l’alunno neo-arrivato con uno o più anni di ritardo rispetto alla sua età anagrafica - non trovano opposizione, né da parte della famiglia straniera – un partner debole, spesso all’oscuro dei propri diritti, e facilmente malleabile – né da parte delle istituzioni competenti. Tali pratiche, contrarie alla normativa e alle indicazioni pedagogiche, evidenziano l’importanza dell’empowerment dei genitori: le famiglie straniere devono diventare interlocutori consapevoli, competenti ed efficaci con la scuola e con gli altri servizi del territorio. Quanto più esse sono informate, presenti ad iniziative organizzate dalla scuola tanto più hanno progetti chiari e ambiziosi sul futuro dei loro figli, e questo atteggiamento di apertura verso l’istruzione fa percepire e trasmette agli studenti l’importanza dello studio per la vita e per ottenere un “buon” lavoro (in questo senso, anche le recenti “Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri”, MIUR, 2014, p. 23). Bisogna dunque ripartire dallo sviluppo delle loro competenze linguistiche, considerando che la conoscenza di una seconda lingua di livello A2 – richiesta dall’attuale normativa e strettamente funzionale al rinnovo del permesso di soggiorno –, non è sufficiente ad assicurare una “buona integrazione”. Soltanto i due terzi dei bambini e delle bambine di origine straniera frequentano le scuole dell’infanzia, a fronte di una frequenza quasi totale dei bambini italiani. Questo è un problema. Studi e ricerca nazionali e internazionali, da tempo ci dicono infatti che è “convenienza collettiva” favorire alti tassi di accesso alla scuola dell’infanzia ai bambini stranieri, poiché l’integrazione e il successo scolastico si costruiscono fin da piccoli. Il ciclo pre-primario d’istruzione è decisivo per il successivo percorso scolastico, soprattutto per l’acquisizione delle prime competenze linguistiche. E’ la scuola, a partire da quella dell’infanzia, che deve fornire ai nuovi alunni un italiano di qualità. In Italia, come in altri Paesi, gli studenti in difficoltà sono sovra rappresentati tra gli studenti che hanno dichiarato di non aver frequentato la scuola dell’infanzia per più di un anno; inoltre il divario nei risultati tra gli studenti che non hanno frequentato la scuola dell’infanzia e coloro che l’hanno frequentata è aumentato negli anni (OCSE-PISA, 2012). 33 Dai dati sugli esiti scolastici (da ultimo, MIUR, 2013) emerge quale momento cruciale e più difficile del percorso scolastico degli allievi stranieri la prima classe di ogni livello di scolarità. E’ nei passaggi scolastici che si registrano i tassi più alti di ripetente. E’ in prima superiore che registriamo la più alta percentuale di alunni stranieri (ma anche italiani) “bocciati” di tutto il secondo ciclo d’istruzione. Uno studente che somma più bocciature (oltre a quella in “entrata”, come si è detto sopra) molto probabilmente abbandona la scuola. Per “curare” i passaggi scolastici, rendere meno forti le “cesure”, sono state individuate e sperimentate azioni coordinate e cogestite tra ordini di scuole sul piano didattico, organizzativo, relazionale e della continuità. A questo riguardo si stanno gradualmente diffondendo anche nella scuola italiana, soprattutto nelle scuole secondarie, esperienze di sostegno allo studio che fanno ricorso alla figura del Tutor Interculturale, cioè al “compagno più grande”, quale “stella” che accompagna e aiuta gli studenti stranieri nel loro cammino d’inclusione. Ragazzi e ragazze che attraversano una situazione di disorientamento nella nuova scuola o presentano difficoltà di tipo linguistico; che spesso non hanno una famiglia in grado di sostenerli nei compiti a casa; che incontrano forti difficoltà soprattutto nei momenti “cruciali” del percorso scolastico (terza media, fase di orientamento, biennio scuole superiori). Queste iniziative vanno incoraggiate e sostenute. Gli esiti di ricerche ed esperienze internazionali mettono in rilievo quanto la situazione socio-economica degli alunni stranieri di prima e di seconda generazione, piuttosto che lo “status” di immigrato, influisca sul successo scolastico, mettendo così in crisi stereotipi diffusi. Le nuove priorità di intervento vanno essenzialmente nella direzione della promozione di equità e giustizia sociale. L’antico e più alto compito della scuola italiana – essere agente della promozione sociale, rimuovere gli ostacoli allo sviluppo delle potenzialità, creare le condizioni per le pari opportunità – che nel passato ha riguardato le differenze interne al nostro Paese, ritorna in forme nuove e si allarga a comprendere le “disparità” e contraddizioni che la rapida evoluzione mondiale trascina con sé. È per questo che abbiamo bisogno di più scuola, più attenzioni concrete alla scuola, più cura delle sue professionalità; e più risorse in organici, in tempo scolastico, in formazione, in figure professionali collaterali, in servizi; e più collaborazioni interistituzionali e con le risorse del territorio. Una pedagogia e una didattica dell’inclusione costa, richiede una serie di condizioni economiche e organizzative senza le quali non si può attuare. 2.4 Alcune esperienze italiane Il piano di gestione delle diversita’. La via toscana per una scuola dell’inclusione. Con la Delibera di Giunta Regionale n. 530 del 11/07/2008 “Per una scuola antirazzista e dell’inclusione” la Regione Toscana ha inteso avviare un forte processo di rinnovamento e cambiamento in tutte le scuole dell’obbligo del proprio territorio per far si che la diversità sia assunta come paradigma di riferimento capace di promuovere una cultura della convivenza, del dialogo e del rispetto tra identità, modi di essere e di pensare diversi. L’intenzione è stata quella di costruire dentro le scuole spazi d’incontro, crescita e valorizzazione di tutte le pluralità in essa presenti e luogo in cui i giovani possano sperimentare concreti processi di crescita democratica. A partire quindi dal 2009, grazie alle risorse del Fondo Sociale Europeo messe a disposizione dalla Regione, sono stati avviati 3 progetti sperimentali(Intendi-area vasta Toscana sud, A scuola di diversità-area Livorno-Pisa-Massa-Carrara, UGUADI-area Firenze-Prato-Pistoia) che, attraverso attività formative e consulenziali rivolte ai dirigenti, docenti, personale Ata e collaboratori scolastici hanno permesso di avviare e sostenere il processo di preparazione alla identificazione, elaborazione e sperimentazione del modello di Piano di gestione delle diversità. Oxfam Italia, in questi 34 anni, grazie alla sua esperienza di ONG impegnata sui temi dell’educazione alla cittadinanza globale, ha saputo portare il proprio contributo per sostenere le scuole verso l’effettiva adozione di un modello di Piano da intendersi come strumento e dispositivo didattico, metodologico ed organizzativo per la pianificazione consapevole di azioni pedagogiche e socio-culturali orientate a riconoscere la diversità come risorsa e ricchezza per tutti. I fondamenti teorici e metodologici alla base del nostro lavoro sono stati quelli presenti nei diversi documenti ministeriali quali “La via italiana per l’educazione interculturale e l’integrazione degli alunni stranieri”(ottobre 2007), e “Indicazioni nazionali per il curriculum” (settembre 2012) di cui sono stati accolti i principi di riconoscimento e valore delle singole identità, di un’idea di scuola come comunità educante e di un’idea di cittadinanza plurale e globale. Dall’altra parte la concomitanza dell’avvio del lavoro di sperimentazione del Piano di gestione delle diversità con l’uscita della circolare ministeriale sui BES del Marzo 2013 ha portato a compiere un ulteriore riflessione sul concetto stesso di diversità e di inclusione. Il lavoro da compiere nei prossimi anni sarà quello di monitorare le metodologie e le pratiche anche organizzative di cui la scuola si sta dotando con l’obiettivo comune di migliorare sempre più la qualità dell’inclusione che è un tratto distintivo della nostra tradizione culturale e del sistema di istruzione italiano in termini di accoglienza, solidarietà, equità, valorizzazione delle diversità e delle potenzialità di ciascuno40. Educazione allo sviluppo come strumento per promuovere una cultura inclusiva Negli ultimi due anni il settore cooperazione allo sviluppo di CIFA ha realizzato alcuni progetti nell’ambito dell’educazione allo sviluppo o educazione alla cittadinanza mondiale, sia in Piemonte che nelle Marche. Da qualche mese operiamo anche nel Veneto. Educazione allo Sviluppo (EAS) è un binomio affermatosi negli anni ‘80 in Italia e in Europa per definire e indicare in modo ampio e generale le attività generatrici di processi di apprendimento (educazione, formazione e sensibilizzazione) connesse fortemente alla Cooperazione allo Sviluppo. L’educazione allo sviluppo con il passare del tempo è stata da una parte recepita, in alcune sue componente, dai curricula scolastici, ma è inoltre uscita dal contesto di educazione formale per coinvolgere la società nel suo complesso sia nell’educazione per gli adulti, sia in alcuni settore specifici come i media ed la comunicazione. In questo CIFA ha iniziato a lavorare tanto in ambito di educazione formale sia in contesti non formali. Foto: Laboratorio di Educazione allo sviluppo – Torino, la Casa del Teatro I progetti realizzati da CIFA nell’ambito dell’Educazione allo Sviluppo e più nello specifico nell’ambito della tematica dell’inclusione, utilizzano sempre di più una metodologia basata sui linguaggi artistici, intesi come strumento necessario, sia nella fase di approccio alla tematica, sia in una fase più pratica degli interventi. A 40 Per saperne di più: www.oxfamitalia.org/agisci/progetto-intendi 35 questo proposito, sono state attivate importanti collaborazioni con artisti, associazioni culturali che operano sui territori indicati, Dipartimenti Universitari specifici, come il Master di teatro Sociale e di Comunità. Si tratta di strumenti che attivano in maniera molto naturale un processo di condivisione di esperienze e di opinione favorendo, dunque, anche in gruppi apparentemente molto eterogenei, punti in comune che facilitano l’analisi di tematiche molto sensibili. Adozioni internazionali: dall’integrazione all’inclusione Il tema dell’inclusione viene altresì trattato dal settore Adozioni Internazionali di Cifa Onlus. Come Ong che da 34 anni si occupa di adozioni internazionali, sentiamo forte la necessità di sviluppare il concetto di integrazione. Di un’integrazione che vuole e deve diventare inclusione nell’interesse del singolo e in quello collettivo. L’integrazione è l’atto del completare, dell’aggiungere, del fondere e dell’inserire. Il rendere completo aggiungendo ciò che manca. Nel caso di un bambino abbandonato la “cosa” che manca è la famiglia. Ed è proprio questo il compito delle Ong che si occupano di bambini. Passiamo all’inclusione. L’inclusione è per definizione inserimento, introduzione, comprendere in un tutt’uno: la famiglia, la famiglia allargata, la scuola, le associazioni sportive piuttosto che le squadre, i gruppi, la società. Essere inclusi significa far parte di una collettività. Quello dall’integrazione all’inclusione è uno step che riteniamo fondamentale da compiere, perché soltanto un’inclusione vera permette il completamento della stessa individualità. Le differenze fisiche e di appartenenza, che spesso sono tipiche del figlio adottato perché proveniente da un Paese lontano dall’Italia, pongono inevitabilmente di fronte a una questione, che però non va necessariamente interpretata come un qualcosa di problematico. Perché la differenza è soprattutto ricchezza e arricchimento da ogni punto di vista, e non soltanto culturale. La differenza è armonia, magica “contaminazione” e splendido “meticciato”.Gli ambiti di intervento sono molteplici: se ammettiamo la nostra difficoltà, come Cifa, a intervenire su larga scala nel tessuto sociale “esterno” al nostro ambito lavorativo, grande impegno invece abbiamo scelto di profondere per il percorso post adottivo, per garantire un aiuto concreto alla genitorialità, assolutamente fondamentale per una crescita armonica del bambino, dentro e fuori la famiglia. Sviluppare la cultura dell’accoglienza è indispensabile per proseguire questo percorso, che al centro del proprio interesse ha solo ed esclusivamente l’interesse del bambino. Che non deve essere soltanto oggetto di integrazione, ma deve soprattutto avere in mano, assieme alla sua famiglia, gli strumenti atti a trasformarla in inclusione. Sentirsi parte di una famiglia, di una classe, di un gruppo di amicizie, di un circolo sportivo piuttosto che di una qualsiasi altra realtà collettiva rappresenta un punto di partenza fondamentale per lo sviluppo della propria individualità e per l’elaborazione del proprio passato. Interventi portati avanti e legati al post adozione: • laboratori e incontri volti a rafforzare il legame tra genitori e figli; • raccolta di esperienze volte a “normalizzare” l’adozione; • seminari all’interno delle scuole, in particolare in 4 istituti scolastici per illustrare i diritti dei bambini tra cui anche quello di far parte di un gruppo e quindi di essere anche inclusi e non solo integrati; • per un bambino adottato, l’inclusione deve per forza passare attraverso la ricerca delle origini biologiche? Gli esempi cinematografici ci propongono casi di disperazione di madri private del figlio. Noi riteniamo che bisogna scegliere chi proteggere, e per definizione dovrebbe essere il più debole: il bambini. Se non lo si fa il futuro uomo/donna sarà sempre in bilico tra il proprio passato e il possibile presente. Gli mancherà sempre qualcosa per essere un soggetto autonomo se una qualsiasi differenza verrà sottolineata in ogni occasione. 36 La formazione linguistica e l’educazione civica per l’inclusione sociale dei Minori Stranieri Non Accompagnati. L’esperienza di CLIO: Cantiere linguistico per l’Integrazione e l’Orientamento. La conoscenza della lingua rappresenta per il minore straniero uno strumento indispensabile per essere protagonista del proprio percorso di inserimento e per potersi orientare autonomamente nella rete di servizi che il territorio offre e nei rapporti con le istituzioni, così come nell’effettiva esigibilità di diritti e nell’esercizio di doveri. A partire da questa convinzione Save the Children Italia ha realizzato il progetto CLIO – Cantiere Linguistico per l’Integrazione e l’Orientamento - finanziato dal Fondo Europeo per l’Integrazione di cittadini di Paesi terzi 2007/2013. L’iniziativa nella sua esecuzione ha coinvolto in via diretta 240 minori stranieri non accompagnati (MSNA) presenti sul territorio di Roma di età compresa tra i 15 e i 18 anni (non compiuti) offrendo un servizio dedicato, qualificato e intensivo di formazione linguistica e di educazione civica. Per ulteriori 300 MSNA sono stati predisposti, in qualità di beneficiari indiretti, presso i centri di accoglienza dove erano ospitati, incontri di sensibilizzazione e informazione che, strutturati come laboratori di apprendimento della lingua italiana, sono diventati degli spazi aperti di confronto e condivisione di conoscenze, esperienze e riflessioni. I percorsi guidati di apprendimento linguistico sono stati curati da un Comitato scientifico composto, tra l’altro, da professori ed esperti provenienti da: Sapienza Università di Roma, Università di Parma e Università per Stranieri di Siena. L’intero impianto, preceduto da un’analisi delle specifiche esigenze di apprendimento e dei fabbisogni linguistici, si è sviluppato attraverso tre assi formativi: aula, e-learning (Facebook) e web radio tra loro collegati da interventi integrati, sinergici e complementari. Un quarto asse (in presenza e on line) è stato riservato al corpo docente sulla base di coordinate stabilite dal Comitato scientifico del progetto. L’innovatività dell’iniziativa è consistita nel riuscire ad integrare tutti gli strumenti e i media impiegati e ad incanalarli verso l’obiettivo dell’inclusione sociale. La concezione di base propria della Pedagogia dei diritti a cui fa riferimento Save the Children, di accogliere il minore nella sua interezza e complessità, ha permesso di costruire un percorso di apprendimento della lingua che è un mezzo e non un fine. Questo approccio metodologico, ma prima ancora etico, guida nel tentativo e lo sforzo di rispondere a richieste e necessità che vanno oltre la conoscenza della lingua: l’accoglienza, il lavoro, la socializzazione. Le classi sono concepite come uno spazio di incontro con una lingua nuova ma anche con una nuova e diversa realtà, in cui ciascun ragazzo si possa sentire anzitutto riconosciuto. Un luogo dove anche i silenzi hanno voce e sono ascoltati e rispettati. I tempi e gli spazi dedicati consentono così di creare un clima che favorisce l’abbassamento dei livelli di ansia e paura con i quali i minori stranieri convivono quotidianamente. La didattica si basa sulla metodologia attiva ed è fondata sul principio dell’apprendimento attraverso il fare (learning by doing) e quindi sulla sperimentazione di situazioni e attività che stimolano la riflessione del singolo, del gruppo e del singolo nel gruppo. In alternativa alla tradizionale dinamica frontale, i minori sono coinvolti anche dal punto di vista emotivo oltre che cognitivo come singoli e come gruppo. La comunicazione verbale e scritta è inoltre integrata da un lavoro sul corpo e sulla fisicità che favorisce una relazione con gli altri e con lo spazio circostante attraverso l’apprendimento linguistico che permette di vivere le lezioni e le attività come diritto/piacere, scambio e necessità. La formazione, la cui didattica si caratterizza per essere centrata sull’apprendente e basata sul cooperative learning e il peer learning, fa riferimento agli approcci e metodi umanistico-affettivi proposti in sede di politiche linguistiche europee per la promozione del plurilinguismo. Infine, l’approccio della media education consente di predisporre una metodologia innovativa che sfrutta a fini didattici ed educativi due media, Facebook e web radio, che affiancano e potenziano il lavoro svolto in presenza, secondo le moderne indicazioni di insegnamento riconosciute a livello europeo e caratterizzate da flessibilità, accessibilità e partecipazione. 37 3. CONCLUSIONI In questo ultimo periodo che ci separa dalla scadenza degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio - e in particolare dei 6 obiettivi dell’Education for All – è necessario dare un forte segnale a livello nazionale e globale per accelerare i progressi e colmare i gap esistenti, e al contempo per definire una rotta nuova in grado di orientare la comunità internazionale dal 2015 in avanti affinché si possa finalmente garantire il diritto di tutti ad un’educazione di qualità. A questo fine La Campagna Globale per l’Educazione si impegna in Italia e nel mondo per assicurare che nessun bambino venga lasciato indietro e promuove un approccio fondato sull’educazione inclusiva che, affondando le radici nel rispetto dei diritti umani, valorizzando le diversità, riducendo l’esclusione e combattendo la discriminazione, è da considerarsi fondamentale per il raggiungimento di un’educazione di qualità per tutti e per lo sviluppo di società più inclusive. Oggi c’è sicuramente maggiore attenzione alle tematiche e ai fattori di esclusione nei dibattiti sullo sviluppo e l’educazione inclusiva sta diventando sempre più ampiamente riconosciuta come valida opzione politica ma è necessario accelerare questo processo e muovere azioni concrete in questa direzione. A tal proposito rinnova alcune specifiche raccomandazioni chiedendo ai Governi Nazionali41 di: • Creare appropriati quadri legislativi e definire ambiziosi piani nazionali per l’inclusione. In particolare tutti i governi dovrebbero ratificare e implementare la Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità adattando la legislazione nazionale; adattare le politiche e le procedure educative al concetto di educazione inclusiva; produrre dei quadri legislativi e delle linee guida su come rendere l’educazione accessibile e adattabile (considerando anche aggiustamenti infrastrutturali, revisioni dei materiali didattici e dei curricola); sviluppare strategie che incrementino il coinvolgimento delle comunità e delle famiglie nelle commissioni di gestione scolastica. • Fornire capacità, risorse e leadership per implementare i piani nazionali per l’inclusione. I governi dovranno assicurare che vi siano sufficienti risorse disponibili per garantire ad ogni bambino un’educazione di qualità (allocando almeno il 20% del budget nazionale all’educazione e assicurandosi che almeno il 50% di questo sia dedicato all’educazione di base con un focus sul miglioramento dell’educazione per i gruppi più marginali); che gli investimenti nei piani nazionali siano sufficienti, efficienti e ben indirizzati attraverso il ricorso a processi di pianificazione, budgeting e monitoraggio partecipativi. Dovranno inoltre mettere in piedi meccanismi di accountability e investire nel miglioramento della conoscenza e della capacità delle istituzioni nazionali in materia di educazione inclusiva. • Migliorare il sistema di raccolta dati così da assicurare la disponibilità di dati disaggregati che permettano di tracciare tutti i gruppi socio-economici e che consentano di misurare non solo l’accesso alla scuola ma anche il grado di completamento del percorso di studi. • Rendere le scuole e le classi accessibili e in grado di rispondere ai bisogni di tutti. Ciò attiene la dimensione infrastrutturale e materiale ma anche l’adattamento dei curricula didattici. • Assicurare la disponibilità di insegnanti adeguatamente formati. Ciò implica ad esempio una riduzione del rapporto alunni/insegnanti o formazioni specifiche sull’inclusività. • Contrastare quei comportamenti che rafforzano o incentivano forme di esclusione e discriminazione anche attraverso azioni di sensibilizzazione nelle comunità e nelle scuole. 41 Raccomandazioni estratte dal report Global Campaign for Education (2013); Equal Right Equal Opportunity. Inclusive Education for Children with Disabilities. 38 • Creare le condizioni favorevoli attraverso misure politiche e interventi intersettoriali ad esempio investendo in programmi di educazione per la prima infanzia che includano anche bambini disabili. Per poter realizzare tali strategie i governi nazionali devono essere supportati dai donatori bilaterali e dalla comunità internazionale attraverso le diverse forme di cooperazione. Chiediamo pertanto ai Paesi donatori di: • Rispettare il loro impegno a spendere almeno lo 0.7% del Prodotto Nazionale Lordo in aiuto pubblico allo sviluppo (APS) e ridefinire lo stesso in modo da impegnarne almeno il 10% per l’educazione di base, includendo i contributi alla Global Partnership for Education (GPE) e una parte di sostegno diretto al bilancio dei paesi beneficiari con speciale attenzione a quelli a basso reddito. • Assicurare che tutti gli aiuti per programmi, piani e politiche per l’educazione includano anche il supporto all’educazione inclusiva. • Rafforzare e supportare la capacità dei governi partner di affrontare l’inclusione attraverso la pianificazione, l’implementazione, il monitoraggio e la valutazione. • Supportare i governi partner nell’assicurare adeguato coordinamento tra i ministeri e tra governo, società civile e altri partner di sviluppo per garantire la coerenza delle politiche. • Impegnarsi, nell’ambito dell’imminente conferenza di replenishment della GPE, a raggiungere una somma complessiva di 4 miliardi di dollari per la Global Partnership for Education tra il 2015 e il 201842. E alla comunità internazionale di: • Sviluppare target globali chiari e misurabili sull’educazione inclusiva, in particolare rispetto alla disabilità, all’interno dell’agenda di sviluppo post-2015. • Dare priorità allo sviluppo di un sistema di raccolta dati affidabili sull’educazione e disabilità per rafforzare il monitoraggio dei progressi rispetto agli obiettivi post-2015. • Far sì che la GPE diventi “champion” dell’educazione inclusiva (ad esempio sviluppando delle linee guida che possano migliorare l’inclusione e/o il meccanismo di raccolta dati relativo e inserire la prospettiva dell’educazione inclusiva nei meccanismi di valutazione). Infine, come Coalizione Italiana della Campagna Globale per l’Educazione chiediamo in particolare al Governo Italiano, nei Ministeri di competenza, di: • Garantire una rappresentanza di alto livello nella Conferenza di Replenishment della Global Partnership for Education di giugno e sostenere l’obiettivo globale ambizioso di 4 miliardi di dollari, come richiesto dalla società civile alla riunione del Board della GPE che si è tenuto il 25-26 Febbraio. • Impegnarsi in quella sede a contribuire con una quota appropriata al raggiungimento dell'obiettivo di 4 miliardi di dollari nei prossimi tre anni. In particolare ci auguriamo che l’Italia possa essere in prima linea in questo sforzo globale, e portare al 10% l’APS italiano allocato all'istruzione di base. • Dare adeguata attenzione all’educazione, in particolare all’educazione inclusiva, nell’ambito del dibattito e del processo di consultazioni e negoziazioni internazionali per la definizione dell’agenda di sviluppo post-2015. • Impegnarsi nella realizzazione dell’obiettivo strategico relativo alla formazione di base universale, come espressamente previsto dalle Linee Guida e indirizzi di programmazione della 42 Si veda il documento internazionale: http://fund-the-future.org/files/Fund_The_Future_2014_EN.pdf 39 • • • • Cooperazione Italiana allo Sviluppo recentemente aggiornate, in particolare esplicitando l’impegno delle risorse necessarie al suo raggiungimento. Relativamente all’obiettivo formazione di base universale, aprire alla società civile, ed in particolare alla CGE-IT, il processo di definizione di target e indicatori per lo sviluppo di un approccio per risultati, come emerso dalla Peer Review dell’OCSE sulla Cooperazione italiana. E in Italia43 di: Riconvocare e garantire un’attività continuativa e stabile dell’Osservatorio Nazionale Permanente per l’integrazione degli alunni con disabilità e di avviare meccanismi di monitoraggio e verifica sulla reale inclusione scolastica degli alunni con disabilità. Garantire tutte le risorse – tecniche, umane e finanziarie – necessarie per l’integrazione scolastica degli alunni stranieri e appartenenti a minoranze; di adoperarsi al fine di garantire le scelte scolastiche più consone alle loro attitudini e aspettative. Allocare risorse per finanziare progetti di sostegno e incentivo allo studio da rivolgere ai ragazzi che si trovano in situazioni familiari a rischio di esclusione sociale. Le Regioni e le Province Autonome dovranno a loro volta costituire o potenziare le anagrafi scolastiche locali. 43 Raccomandazioni estratte da: Gruppo di Lavoro per la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (2013) 6° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza in Italia 2012-2013. 40
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