Manuale corso PHTP

Centro di Formazione
CORSO TRAUMA PHTP
Manuale per la formazione all’uso tecnico e in sicurezza dei presidi di
immobilizzazione e trasporto rivolti al paziente politraumatizato nella
fase extra ospedaliera.
Schema di approccio al paziente politraumatizato secondo le linee guida
internazionali ABCDE.
TERZA EDIZIONE
IN COLLABORAZIONE CON:
INDICE
Cinematica del trauma………………..…………………………………….……… 2
Teoria dell’immobilizzazione…………………………………………………… 6
Triage……………………………………………………………………………………….…. 7
Schema intervento ABCDE……………………………………………………… 11
Il trauma pediatrico…………………………..…………………………………… 22
Sicurezza durante il trasporto……………………………………………… 24
Questo testo, rivolto al personale professionale del soccorso, si propone
come ausilio nella memorizzazione e comprensione dei corsi teoricopratici del paziente traumatizzato.
La lettura del presente volume, non costituisce da solo elemento
sufficiente alla corretta applicazione dei presidi e approccio al paziente.
Occorre quindi associarla ai relativi corsi pratici di aggiornamento e
protocolli del proprio sistema di emergenza territoriale 118.
I relatori:
Enrica Rossi medico sistema territoriale 118 Piacenza Soccorso
Mario Pizzamiglio medico anestesista Rianimazione Piacenza
Nani Stefano incaricato resp. Organizzazione 118 Piacenza
Toscani Davide, Razza Fabio, Cavanna Antonio, Mozzarelli Fabio, Casella Masimiliano, Donzelli Renzo,
Donzelli Raffaele, Schiavi Gisella, Barbieri Roberta infermieri 118 Piacenza e Castel San Giovanni
Si ringraziano per la gentile collaborazione: FERNO EDUCATION
Maurizio Arvedi medico responsabile sistema emergenza sanitaria territoriale 118 Piacenza Soccorso
Enrica Bonibaldoni, Infermiera Professionale, animatrice del dipartimento Emergenza Urgenza di Piacenza
1
Nel ricordo di
Maurizio Saltarelli
CINEMATICA DEL TRAUMA
Le patologie di natura traumatica sono la principale causa di morte nelle persone sotto i 50 anni nel
mondo occidentale.
Nelle morti da trauma si individua un andamento trimodale (con 3 picchi):
1. nei primi minuti (difficilmente prevenibili)
2. a distanza di ore (ridotte da un buon trattamento ospedaliero e pre-ospedaliero)
3. a distanza di giorni (ridotte con un buon trattamento ospedaliero)
E’ stata definita la GOLDEN HOUR (ora d’oro) coloro che ricevono cure appropriate e definitive
entro un’ora dall’incidente hanno più probabilità di sopravvivenza, ad esempio, il trattamento di
un’emorragia interna entro 1 ora in camera operatoria.
Da qui la grande importanza del tempo intercorso tra la chiamata e l’arrivo sul posto
In ambito urbano tale tempo, in codice rosso, è stato stimato in un massimo di 8 minuti, in ambito
extraurbano di 20 minuti (eccetto zone disagiate).
Compito del soccorritore è arrivare il prima possibile sul posto, impiegare il minor tempo possibile sulla
scena e comprendervi, però:
1.
2.
3.
4.
5.
valutazione della dinamica dell’evento
valutazione del paziente secondo lo schema ABCDE
le manovre salvavita necessarie
l’immobilizzazione adeguata
trasporto nell’ospedale più appropriato
Nel trauma consideriamo 3 fasi:
1. fase PRE-CRASH (pre-incidente)
2. fase CRASH (incidente)
3. fase POST-CRASH (post-incidente)
Nel periodo che precede l’evento traumatico possono avvenire cose che al soccorritore interessa
conoscere per poter meglio valutare: assunzione di alcolici, droghe, malattie pregresse, uso o meno di
dispositivi di sicurezza. Situazioni sulle quali si può intervenire a livello di campagne di prevenzione, di
educazione, non certo al momento dell’evento stesso.
L’incidente (crash) si ha quando un oggetto in movimento impatta contro un altro oggetto (che può
essere in movimento o fermo). Le tipologie sono varie: collisione tra due veicoli, investimento di pedone,
caduta dall’alto, arma da fuoco,…
Della fase crash occorre conoscere: la dinamica dell’impatto (cioè se entrambi gli oggetti erano in
movimento o uno dei due era fermo), la direzione in cui si è scaricata l’energia dell’urto e la quantità di
energia ceduta nell’impatto.
La fase post-crash inizia quando il corpo ha assorbito l’energia dell’impatto ed è diventato un
traumatizzato.
Per comprendere l’effetto delle forze che producono lesioni fisiche bisogna considerare due fattori:
l’ENERGIA che si sviluppa e l’ANATOMIA del soggetto.
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La cinematica del trauma si definisce, sulla base di alcune note leggi della fisica, come l’osservazionevalutazione della scena per capire la dinamica dell’evento, la quantità di energia che si è liberata
nell’impatto traumatico e quindi le possibili lesioni fisiche consequenziali (e quindi anche la prognosi del
soggetto).
Occorre ricordare che il moto di un veicolo è una forma di ENERGIA (energia cinetica).
Un oggetto in movimento ha una sua specifica energia di moto e per fermarsi deve perderla:
1. convertendola in un altro tipo di energia
2. trasferendola ad altro oggetto
Quando il moto inizia o si arresta, l’energia cinetica deve essere trasformata in un’altra forma di
energia: meccanica, termica, elettrica, chimica.
Facciamo alcuni esempi:
1.
quando un’auto frena, la sua energia di moto (o energia cinetica) è convertita in calore (energia
termica) dovuto all’attrito dei freni
2. quando un’auto urta un muro di cemento, la sua energia di moto è convertita nella forza che
deforma la carrozzeria (energia meccanica)
L’ENERGIA CINETICA E’ IN RELAZIONE ALLA MASSA E ALLA VELOCITA’.
La velocità fa aumentare la produzione di energia cinetica molto di più della massa.
Altri fattori da considerare in un evento traumatico sono la lunghezza di frenata e l’uso di sistemi di
contenzione (es. cinture di sicurezza, airbag).
La lunghezza della frenata è importante perché la decelerazione assorbe una quantità di energia
cinetica che fa, ovviamente, diminuire i danni al soggetto .
Questa osservazione si applica anche alle cadute dall’alto.
Se un corpo,cadendo, decelera bruscamente su una superficie dura ne risulteranno lesioni piu’ gravi
rispetto ad un impatto con una superficie compressibile; quest’ultima aumenta la lunghezza di frenata e
assorbe, deformandosi temporaneamente, una certa quantita’ di energia che non si trasmette al corpo.
Nel caso di un’auto che investe un pedone, l’energia dell’impatto lacererà i tessuti del pedone e lo
scaglierà lontano; il veicolo subirà una riduzione di velocità dovuta al trasferimento di energia dal
veicolo al pedone che avra’ gravi lesioni.
La perdita di moto (energia cinetica) da parte di un oggetto in movimento si trasferisce ai tessuti della
vittima che si danneggeranno.
Quando un oggetto in movimento urta un corpo fermo avviene uno scambio, un trasferimento di energia
cinetica, per questo i tessuti di quest’ultimo vengono spostati dalla loro posizione primitiva creando una
CAVITA’ che puo’ essere TEMPORANEA o PERMANENTE.
Esempio:
1.
una mazza da baseball che colpisce un bidone di latta produce una deformazione persistente e
visibile nella struttura (permanente)
2. mentre se colpisce una superficie in gommapiuma genera una cavità temporanea che scompare
subito
La differenza fra le due cavita’ è correlata all’elasticità’ dei tessuti coinvolti.
Il corpo umano tende a comportarsi più come la superficie in gommapiuma.
Se un guidatore in un incidente colpisce il piantone dello sterzo subirà una cavitazione temporanea a
livello del torace anteriore al momento dell’impatto; il torace tornerà nella sua forma originaria non
appena egli rimbalza dal volante. Ma il soccorritore deve sapere valutare questo possibile scambio di
energia e le possibile conseguenze fisiche.
Acquisire informazioni su questi scambi di energia e sulle cavitazioni è utile per comprendere meglio le
potenziali lesioni dei traumatizzati.
Quando si forma solo una cavitazione temporanea si parla di trauma chiuso. (es. guidatore contro il
piantone dello sterzo)
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Quando si forma sia una cavità temporanea che una permanente si parla di trauma penetrante. (es.
proiettile, coltello).
Le lesioni possono derivare da diversi tipi di impatto: scontri tra veicoli, cadute dall’alto, investimento
di pedoni.
Le collisioni fra veicoli avvengono con 5 principali modalita’:
1. scontro frontale
2. tamponamento
3. impatto laterale
4. impatto rotazionale
5. cappottamento
Negli incidenti fra veicoli si verificano 3 tipi di collisioni:
1. il veicolo urta contro un ostacolo o contro un altro veicolo
2. gli occupanti del veicolo urtano contro parti del veicolo stesso
3. gli organi interni degli occupanti urtano contro la parete della cavità che li contiene
Le due forze in gioco sono:
1. le variazioni di velocità (accelerazioni, decelerazioni, strappamenti)
2. le compressioni
Producono lesioni diverse a livello dei vari distretti corporei se i soggetti NON indossano i sistemi di
contenzione .
Gli occupanti del veicolo assorbono la stessa quantità di energia e ricevono gli stessi danni del veicolo.
Lo scambio di energia sarà simile e con la stessa direzione.
Esaminiamo le varie modalità prima elencate:
Nell’impatto frontale c’è l’arresto brusco del veicolo, si avra’ il danneggiamento della parte anteriore
del mezzo,la valutazione del danno meccanico indichera’ approssimativamente la velocita’ del mezzo e la
possibilita’ che gli occupanti siano feriti.
L’occupante che non indossa la cintura di sicurezza prosegue il moto in due possibili direzioni:
1.
“giù e sotto” cioè verso il pavimento della vettura e i pedali quindi con lesioni agli arti inferiori,
nel caso del ginocchio vi è anche il possibile interessamento della arteria poplitea, possibili
lesioni ai femori e/o al bacino. L’addome e il torace possono urtare il piantone dello sterzo
2. “su e sopra” con la testa che urta il parabrezza , possibili lesioni gravi al rachide cervicale, il
torace e l’addome che si comprimono contro il volante con compressione dei visceri, lacerazioni
e strappamento dei peduncoli vascolari, volet costali, contusioni polmonari.
Nel tamponamento tra due veicoli che si muovono le rispettive velocità vanno sottratte anziché
sommate e i danni sono più limitati (colpo di frusta al rachide cervicale).
Nell’impatto laterale la lesione più comune è il trauma toracico con fratture costali omolaterali
all’impatto, contusioni polmonari, volet costali; frequenti nel guidatore lesioni spleniche e nel passeggero
lesioni del fegato. Anche il bacino e il cranio sono spesso interessati; possibili lesioni cervicali gravi.
Possibili anche traumi da collisione tra gli occupanti della vettura.
Nell’impatto rotazionale ci possono essere lesioni simili a quelle dette in precedenza combinate.
Nel capottamento il veicolo subisce urti in varie angolazioni e per gli occupanti le lesioni possibili sono
molte e tutte molto gravi.
DISPOSITIVI DI PROTEZIONE
Da alcune statistiche e’ noto che circa 1/3 dei morti per trauma e’ dovuto alla proiezione fuori dal
veicolo.
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Dopo l’espulsione, il corpo subisce un altro trauma quando urta il suolo, quindi alle prime lesioni se ne
aggiungono altre.
Ecco perche’ le cinture di sicurezza sono indispensabili.
Nella osservazione-valutazione della scena occorre considerare qual e’ la distanza dal veicolo in cui
viene trovato il ferito questo per conoscere la velocita’ del mezzo e quindi la quantita’ di energia
assorbita dal corpo.
Il corretto uso delle cinture e di altri sistemi di contenzione trasferisce la forza dell’impatto dal corpo
ai sistemi stessi.
Il non corretto posizionamento delle cinture, con la parte trasversale sopra la cresta iliaca provoca
l’assorbimento della pressione a carico dell’addome e del retroperitoneo, con rottura di organi
addomino-pelvici.
E’ d’obbligo che le cinture di sicurezza siano ancorate in 3 punti.
L’airbag ha lo scopo di proteggere la parte superiore del corpo quando e’ spinto in avanti nell’urto, quindi
e’ utile negli scontri frontali.
Per dare la massima protezione deve essere usato insieme alla cintura di sicurezza.
Negli incidenti motociclistici l’uso del casco ha ridotto notevolmente la mortalita’.
Le dinamiche principali sono:
1.
impatto frontale ,il corpo è proiettato in avanti sopra lo sterzo con lesioni craniche, toracoaddominali. Se il corpo resta agganciato ai pedali l’energia e’ assorbita dai femori
2. impatto laterale, possibile schiacciamento tra moto e oggetto urtato con lesioni arti
inferiori, fratture scomposte-esposte
3. eiezione o disarcionamento, proiezione in aria con notevole velocità finché il corpo non urta
un altro oggetto o superficie con lesioni varie e molto gravi che dipenderanno dal punto di
impatto contro l’ostacolo
Nell’investimento di pedone la situazione è diversa se si tratta di adulto o di bambino.
Ma, in generale, possiamo distinguere 3 momenti ed ogni fase ha le proprie lesioni:
1. l’impatto iniziale alle ginocchia e anche
2. l’impatto del torace e dell’addome contro il cofano del mezzo
3. l’impatto del corpo con l’asfalto con lesioni craniche e cervicali
Di solito questi eventi sono gravi e determinano traumi multiorgano (politraumi).
Nelle cadute dall’alto si riportano traumi multipli.
Occorre stabilire:
1. l’altezza da cui il corpo è caduto
2. il tipo di superficie su cui è avvenuto l’impatto
3. la parte del corpo che ha urtato per prima
Piu’ grande e’ l’altezza, piu’ gravi saranno le lesioni perche’ la velocita’ aumenta nella caduta.
La caduta da un ‘altezza piu’ grande di 3 volte l’altezza del precipitato e’ da considerarsi severa.
La cinematica del trauma è essenziale nella possibile identificazione di lesioni sottostanti e nel
determinare quali pazienti richiedono un’ulteriore valutazione e trattamento ospedaliero.
TEORIA DELL’IMMOBILIZAZIONE
Possiamo considerare il corpo umano UN INSIEME DI MASSE ARTICOLATE FRA LORO per mezzo di
articolazioni dotate di strutture (legamenti, sinovie, muscoli,..) in grado di dissipare elasticamente
l’energia che deriva alle differenze di moto delle varie masse corporee (cranio, torace, bacino…).
In condizioni normali e fisiologiche le strutture articolari sono in grado di dissipare l’energia assorbita
senza danno per il corpo.
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In presenza di condizioni patologiche, esempio lesioni articolari, fratture ossee, sarà il punto di lesione
ad assorbire le differenze di moto fra le masse a monte e a valle
creando quello che si chiama
DANNO SECONDARIO.
Per evitare lo sviluppo del danno secondario bisogna rendere le masse corporee articolate come una sola
massa che reagisca al moto uniformemente, senza dissipare energia nelle articolazioni siano esse
fisiologiche che patologiche.
Questo concetto vale sia per il rachide che per gli arti, salvo la diversa priorità di trattamento.
Di fronte ad una persona che ha subito un trauma, quindi nel sospetto di lesioni muscolo-scheletriche,
bisogna limitare i rischi legati alle manovre di immobilizzazione.
Il vincolo che va applicato deve essere tale da sopperire alle variazioni di stabilita’ meccanica create
dalle lesioni stesse.
Allo scopo esistono vari presidi riferibili a diverse funzioni .
Ogni presidio ha delle caratteristiche di rigidità per resistere a forti sollecitazioni dovute agli
spostamenti.
In particolare parliamo di:
1. IMMOBILIZZAZIONE IN POSIZIONE FISIOLOGICA (allineata)
2. IMMOBILIZZAZIONE IN POSIZIONE PATOLOGICA (di reperimento o antalgica)
I presidi del primo caso sono basati su una rigidità anatomica preformata .
Quelli del secondo caso permettono di ottenere delle immobilizzazioni sagomate in posizioni diverse da
quelle della normale morfologia.
Nel primo caso si avrà maggior resistenza alla progressione del danno secondario e maggiore tolleranza
alle sollecitazioni compensata, nel secondo caso, dalla possibilità di ottenere buona stabilità di
strutture corporee in posizioni anomale.
Si tratta di attrezzature differenti e non intercambiabili, ma complementari ed indispensabili in ugual
misura.
Qualsiasi soluzione venga scelta per il paziente, il soccorritore dovrà sempre considerare le
sollecitazioni a cui sarà sottoposto il suo paziente, la dispersione termica derivante dalla immobilità e
dal contatto con superfici fredde e la necessità di fissaggi di sicurezza.
Quando si applica l’immobilizzazione?
Le manovre di immobilizzazione con l’ausilio dei presidi idonei allo scopo sono fasi accessorie del
soccorso; non prescindono da un’attenta valutazione diagnostica e necessari trattamenti terapeutici.
Quindi l’applicazione delle attrezzature d’immobilizzazione nel soccorso pre-ospedaliero deve
richiedere tempi ridotti e deve collocarsi all’interno di protocolli di trattamento del trauma condivisi.
Per la buona riuscita di un’immobilizzazione il fattore determinante è il rapporto fra rigidità e
adattabilità del presidio. Se questo rapporto aumenta, si incrementa l’efficacia del presidio.
Attraverso l’utilizzo di collare cervicale, ked, asse spinale si cerca di creare attorno al paziente un
sistema di immobilizzazione costituito da strumenti “colloquianti”tra loro in grado di incrementare il
grado di stabilità meccanica.
Tutti i presidi di cui disponiamo devono, quindi, permettere senza eccessive ridondanze una
stabilizzazione del paziente e consentire ai soccorritori di compiere in modo rapido ed efficace le
valutazioni e le manovre necessarie.
D’altra parte è buona regola utilizzare in tutti i casi di trauma queste attrezzature, con la sola
esclusione di quelli molto localizzati e “periferici” così da poter escludere a priori l’interessamento di
altre parti del corpo.
OCCORRE APPLICARE
Collare cervicale
K.E.D.
Asse spinale
Sistema fermacapo
Sistema di cinture
QUANDO
Secondo necessità
Secondo necessità
Sempre
Sempre
Sempre
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Telo isotermico
Ossigeno
Sempre
Sempre
IL TRIAGE
L'obiettivo del triage è quello di assicurare la sopravvivenza al maggior numero di pazienti possibile.
Due tipi di situazioni richiedono il triage:
la prima è una situazione in cui ci sono pochi pazienti alcuni dei quali più gravi degli altri ma il numero dei
pazienti e la severità delle loro ferite non sono così grandi da eccedere le risorse disponibili
(equipaggiamento, personale). Questa è la situazione che il personale sanitario addetto al soccorso
extra ospedaliero normalmente deve affrontare. La seconda è una situazione nella quale il numero dei
pazienti è maggiore rispetto a quanto possa essere gestita, conosciuta come maxi emergenza. Una maxi
emergenza è qualsiasi situazione nella quale le cure mediche richieste sono insufficienti rispetto al
fabbisogno.
Quando ci si trova nella situazione di dover distribuire una quantità limitata di risorse ad un elevato
numero di pazienti è necessario uno strumento che consenta di svolgere questo compito nel modo
migliore possibile, e tale strumento è il triage.
Triage è un termine francese che significa scelta, selezione. In medicina il triage consiste
nell'individuazione delle priorità di trattamento in un gruppo di pazienti: ognuno di loro è assegnato ad
una classe di priorità in relazione a parametri costanti. I pazienti ad essere trattati per primi saranno
quelli appartenenti alla classe di priorità più elevata, seguiti da quelli assegnati alle categorie via via
inferiori.
Il triage può essere definito come una procedura di valutazione delle condizioni cliniche e delle
possibilità prognostiche di un gruppo di pazienti, per determinare le rispettive priorità di trattamento
Il triage ha origine nella medicina militare fin dai secoli scorsi; d'altra parte la guerra è una catastrofe
che provoca spesso un numero di vittime assolutamente sproporzionato rispetto alle risorse disponibili:
nella prima guerra mondiale, il campo di battaglia di Verdun "procurava" ai servizi sanitari circa 2500
feriti ogni giorno. In ambito civile il triage è stato negli ultimi anni adottato dalle strutture ospedaliere
di pronto soccorso, dove spesso si verifica quella situazione di sbilanciamento tra necessità e risorse
disponibili. In questo modo si evitano situazioni potenzialmente molto pericolose che spesso accadevano
quando si applicava la filosofia della priorità stabilita dall'ora d’arrivo: ad esempio, il paziente con IMA
che doveva attendere il proprio turno in sala d'aspetto.
OBIETTIVI DEL TRIAGE
In termini pratici il triage è un metodo per valutare i pazienti in modo omogeneo, e quindi classificarli in
categorie di priorità.
Come detto, quanto più elevata è la priorità assegnata ad un paziente, tanto più precocemente sarà
necessario trattarlo. Le classi di priorità variano con i diversi sistemi di triade dove la classificazione
più nota è quella che utilizza codici colore:
• ROSSO priorità 1: lesioni che mettono a rischio la vita del paziente, urgenza non differibile
• GIALLO priorità 2: lesioni gravi ma che non mettono immediatamente a rischio la vita del
paziente, urgenza non differibile
• VERDE priorità 3: paziente con lesioni non gravi, trattamento dilazionabile
• BIANCO accesso improprio
• NERO
paziente deceduto, codice colore utilizzato solo nelle maxi-emergenze
E' importante sottolineare che nell'emergenza rutinaria il concetto di priorità coincide con quello di
compromissione del quadro clinico: più il paziente è grave, prima si tratta. Ciò avviene quotidianamente
con il triage in Pronto Soccorso.
Si può affermare che il triage ha l'obiettivo di portare il massimo beneficio al maggior numero di
pazienti usando il minimo delle risorse (noria).
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Ciò significa garantire un trattamento prioritario ai pazienti in condizioni cliniche più gravi, ma che
presentino reali possibilità di sopravvivenza (salvageability).
Il mezzo con cui raggiungere questo obiettivo è dato da una corretta esecuzione del triage, associato a
pochi e semplici atti terapeutici.
PROTOCOLLI DI TRIAGE
Il protocollo di triage è l'insieme dei criteri che l'operatore deve applicare per giungere alla
classificazione della priorità di trattamento. Un perfetto protocollo di triage dovrebbe presentare le
seguenti caratteristiche:
• facile memorizzazione
• rapida esecuzione
•
scarse possibilità di variazioni dovute ad interpretazioni individuali
• utilizzazione da parte di operatori con diverse preparazioni individuali
• attendibilità nell'individuare le priorità di trattamento
E' evidente che non è facile ideare un protocollo di triage che soddisfi tutte queste esigenze.
Un protocollo complesso, infatti, può essere molto efficace nel determinare correttamente le priorità
di trattamento, ma è di difficile apprendimento, non utilizzabile da personale poco formato e
dispendioso in termini di tempo.
La valutazione del paziente traumatizzato ha subito negli ultimi decenni mutamenti importanti.
Il classico esame obiettivo è stato, infatti, sostituito da un approccio diffuso in tutto il mondo da
progetti di formazione come il corso ATLS, che ne hanno fatto una vera e propria filosofia
dell'emergenza.
Questo nuovo sistema di approccio consiste in una rapida valutazione primaria delle funzioni vitali,
seguita da una più approfondita valutazione secondaria testa-piedi.
La valutazione primaria si svolge seguendo un ordine preciso, dettato dalle prime lettere dell'alfabeto:
A, B, C, D, E
Ogni lettera indica l'iniziale di un termine inglese che rappresenta una funzione vitale:
A: airways, pervietà delle vie aeree (in rispetto dell'allineamento del rachide cervicale);
B: breathing, attività respiratoria
C: circulation, attività circolatoria e controllo delle emorragie
D: disability, attività cerebrale
E: exposure, environment ovvero esposizione del paziente e protezione termica
L'ordine con cui si analizzano le funzioni vitali non è casuale.
Tra le possibili compromissioni riscontrabili eseguendo la valutazione primaria, la mancanza di pervietà
delle vie aeree (A) è quella che provoca più rapidamente il decesso o lesioni cerebrali gravissime.
Al secondo posto, sempre in termini di rapidità di evoluzione negativa, ci sono i problemi respiratori (B),
poi quelli di circolo (C), i problemi neurologici (D) ed infine l’esposizione del paziente con la protezione
termica.
E' quindi evidente come la scansione ABCDE permette di intercettare per prime le lesioni
potenzialmente più pericolose.
Ne consegue che il paziente che deve essere trattato per primo è quello
che presenta i problemi più precocemente durante l'esecuzione del ciclo ABCDE. In molti casi questo
metodo si dimostra efficace.
ATTI TERAPEUTICI DURANTE IL TRIAGE
Ciò che accomuna tutti i sistemi di triage, a qualsiasi livello di esecuzione, è la necessità di limitare
drasticamente il numero di atti terapeutici durante lo svolgimento di questa operazione, verranno messi
in pratica solo semplici atti terapeutici, di rapida esecuzione, che possono salvare la vita alla vittima o
limitarne il decadimento delle condizioni. La disostruzione delle vie aeree, l'arresto di imponenti
emorragie esterne, il corretto posizionamento del paziente, la protezione termica, sono manovre rapide
e semplici che possono incidere in modo importante sul destino del paziente.
CENNI SUL TRIAGE DELLE MEDICINA DELLE CATASTROFI
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Il sistema S.T.A.R.T.:
Acronimo per Simple Triage And Rapid Treatment è un sistema di triage sviluppato dai vigili del fuoco
di Newport Beach in California U.S.A. in collaborazione col sistema dei soccorsi sanitari.
L'esecutore, valutando il paziente, deve porsi una serie di domande che va da una soltanto a quattro,
secondo le risposte che si ottengono.
Contemporaneamente si mettono in atto alcune rapide manovre terapeutiche.
1) Il paziente può camminare?
Se la risposta è si il paziente viene classificato come codice verde. Il codice colore verde è sempre
associato a pazienti con bassa priorità di trattamento. A questo punto, ottenuta la classificazione di
priorità, si può passare a valutare un altro ferito. Se la risposta è no, e cioè se il paziente non è in
grado di camminare, egli non viene ancora classificato e si passa alla domanda successiva.
2) Qual è la frequenza respiratoria del paziente?
Se la frequenza è assente si compiono le manovre per la disostruzione delle vie aeree. Se dopo tale
manovra non ricompare l’attività' respiratoria, il paziente viene considerato non salvabile.
Se invece il paziente riprende a ventilare, si classifica il paziente come codice rosso e si passa al ferito
successivo. Nel caso in cui la disostruzione non sia efficace alcuni team di triage assegnano comunque
un codice rosso al paziente tenendo però in considerazione che si rende necessario un soccorso
immediato poiché la condizione di apnea provoca in circa quattro minuti lesioni cerebrali gravissime.
Se l'operatore di triage è un medico, in presenza di arresto cardiorespiratorio, egli può dichiarare
deceduto il paziente e assegnarlo alla classe nera.
Se la frequenza respiratoria è presente si valuta il numero degli atti respiratori al minuto. Per
risparmiare tempo, di solito si moltiplica x 4 il numero di atti respiratori compiuti in quindici secondi.
Se la frequenza è maggiore di 30 atti al minuto, il paziente viene considerato come codice colore rosso,
passando quindi ad esaminare la vittima seguente.
Se la frequenza è uguale o inferiore a 30 si passa alla domanda successiva senza assegnare il paziente
ad alcuna classe di priorità.
3) E' presente il polso radiale?
Se il polso radiale è assente il paziente viene assegnato alla classe colore rosso.
Se il polso radiale è presente si passa all'ultima domanda.
4) Il paziente risponde ad ordini semplici?
Se non risponde viene classificato come codice rosso e si passa a valutare un'altra vittima.
Se risponde ad ordini semplici il paziente viene assegnato alla classe di colore giallo.
Il protocollo START può apparire per molti aspetti un’inaccettabile semplificazione di quella che
dovrebbe essere la valutazione clinica di un paziente. In effetti, un discreto numero di pazienti
assegnati alla classe gialla o addirittura rossa, ad un'analisi più approfondita, presenta lesioni di gravità
inferiore al livello di priorità identificato con il triage. Il vantaggio è dato da un buon grado di
sensibilità, che impedisce di sottostimare le condizioni di una vittima. Un altro aspetto importante è
l'ordine con cui vengono eseguite le valutazioni. La capacità di deambulare permette immediatamente di
scremare tutti coloro che probabilmente non presentano gravi lesioni; il tempo dedicato a questi
soggetti è quindi minimo. A seguire si valutano le funzioni vitali: respiro, circolo, quadro neurologico;
l'ordine è lo stesso utilizzato da altre filosofie di approccio al paziente critico.
ASSEGNAZIONE DEI CODICI COLORE
La Centrale Operativa del 118 assegna dei codici colore in uscita ai mezzi di soccorso a seconda dei
parametri che l’operatore di centrale raccoglie telefonicamente compilando un apposito cartellino con
valore medico legale.
Gli operatori sul posto sono tenuti ad assegnare dei codici di rientro numerici.
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CODICE 1
GCS>12
Dolori al rachide e/o disturbi della motricità e sensibilità
CODICE 2
GCS compreso tra 9 e 12
Ferita penetrante
Fratture prossimali di due ossa lunghe
Ustioni maggiore 30% superficie corporea
Amputazione prossimale
FR>29 o SpO2 < 90%
CODICE 3
GCS<9
FR < 10
SpO2 <90% in O2
PAS <90 con sintomi correlati (esempio FC >100)
Ustioni al capo e al volto con interessamento delle vie aeree
I codici colore assegnati dall’operatore di centrale operativa e i codici di rientro numerici assegnati dal
tecnico dell’emergenza sul luogo dell’evento, non costituiscono priorità di trattamento. Il triage deve
comunque essere effettuato mediante valutazione di ABCDE e salvabilità del paziente.
Veniamo quindi a spiegare nello specifico le varie fasi dello schema ABCDE.
A
MANTENIMENTO DELLE VIE AEREE
PROTEZIONE DELLA COLONNA CERVICALE
Nella valutazione iniziale del paziente traumatizzato, la prima priorità deve essere la valutazione della
pervietà delle vie aeree. “Il paziente che parla” fornisce una prova che (almeno per il momento) le vie
aeree sono pervie e non compromesse. In questo caso il provvedimento precoce più importante consiste
nel parlare al paziente e stimolare la risposta verbale.
Una risposta verbale appropriata indica che le vie aeree sono pervie, la ventilazione è conservata e la
perfusione cerebrale adeguata. L’incapacità di rispondere o una risposta inappropriata suggerisce una
compromissione delle vie aeree, della ventilazione o un alterato livello di coscienza. Le manovre
necessarie a mantenere la pervietà delle vie aeree devono essere attuate proteggendo la colonna
cervicale.
Segni obiettivi d’ostruzione delle vie aeree:
1. guardare il paziente: agitato, immobile, obnubilato, cianotico, presenza di tirage, utilizzo della
muscolatura ventilatoria accessoria
2. ispezionare la cavità orale alla ricerca di secrezioni, sangue, avulsioni dentarie (protesi), di corpi
estranei
3. ascoltare: un respiro rumoroso è un respiro ostruito:
- la presenza di gorgoglii indica la presenza di materiale liquido o semisolido a livello delle vie
aeree superiori
- rumori russanti: quando il faringe è parzialmente ostruito dalla lingua o dal palato
- stridore inspiratorio: può indicare un’ostruzione a livello laringeo o più basso
- sibili espiratori: suggerisce un’ostruzione a livello delle vie aeree inferiori
Il recupero della pervietà si esegue sia con manovre manuali sia con presidi meccanici.
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Metodi manuali
in un paziente incosciente la lingua diventa flaccida, cade all’indietro ed ostruisce l’ipofaringe, questa è
la causa più comune d’ostruzione delle vie aeree.
I metodi manuali possono essere utilizzati per liberare quest’ostruzione perché la lingua è attaccata
alla mandibola e si muove in avanti con lei e sono:
1.
sollevamento del mento (chin lift): le dita sono poste sotto la mandibola, che viene
delicatamente sollevata verso l’alto per portare anteriormente il mento; il pollice della stessa
mano abbassa il labbro inferiore (in alternativa il pollice può essere posto dietro gli incisivi
inferiori, e simultaneamente il mento viene delicatamente sollevato).
2. sublussazione della mandibola (jaw thrust): si afferrano gli angoli della mandibola da ciascun
lato e si spinge in avanti. In un paziente incosciente questo può provocare la lussazione della
mandibola.
Presidi meccanici
Quando l’uso di manovre manuali non è più sufficiente a garantire la pervietà delle vie aeree deve
essere presa in considerazione l’opportunità di utilizzare dei presidi:
1. aspiratore: dotato sia cannula rigida (tipo Yancauer) sia di sondini di diametro differenti
2. pinza di Magill
3. cannula orofaringea: scelta una cannula di dimensione adatte al paziente (angolo della boccameato acustico esterno), apro la bocca del paziente (con la manovra di sollevamento del mento o
la tecnica delle dita incrociate), la inserisco con concavità rivolta verso il palato duro fino a
raggiungere il palato molle, quindi la ruoto di 180°. Questo presidio è controindicato nei pazienti
che mantengono il riflesso della deglutizione. Nei bambini il posizionamento verrà fatto
utilizzando un abbassalingua ed introducendo la cannula già ruotata.
4. tubo laringeo: preparare il tubo, sgonfiando completamente le due cuffie e lubrificarle; tenendo
il tubo tra le dita al di sopra della cuffia faringea (come fosse una penna), lo inserisco
all’interno della cavità orale fino a posizionare la linea di marker mediana a livello dei denti,
controllando che la lingua non venga spinta all’indietro. Gonfiare entrambe le cuffie (faringea ed
esofagea) ad una pressione di 80 cmH2O: grazie al particolare sistema, la cuffia faringea sarà
la prima a gonfiarsi per stabilizzare il tubo. Controllare la ventilazione polmonare. La sezione
interna del tubo laringeo è divisa in due parti che permettono sia la ventilazione che il passaggio
di un sondino naso gastrico. Per la rimozione sgonfiare completamente le due cuffie. Questo
presidio può essere utilizzato in alternativa alla maschera facciale a tenuta o in caso di
impossibilità di intubazione tracheale. Non è una via aerea definitiva e richiede la mancanza di
riflessi da parte del paziente.
Una via aerea definitiva richiede un tubo posizionato in trachea con il palloncino gonfiato, connesso ad
un dispositivo di ventilazione assistita arricchito con ossigeno e fissato con un cerotto.
Le vie aeree definitive sono di tre tipi:
• tubo oro-tracheale
• tubo naso-tracheale, - questa tecnica è controindicata nel paziente con fratture facciali, con
fratture della base cranica, fratture della lamina cribrosa dell’etmoide: i cosiddetti “occhi da
procione”, eventuali perdite di liquido cefalo-rachidiano (rinorrea o otorrea), l’ematoma
retroauricolare (segno di Buttle) sono indici della presenza di queste lesioni
• via aerea chirurgica: cricotiroidotomia o tracheotomia
La decisione di posizionare una via aerea definitiva si basa sui dati clinici ed include:
1) presenza di apnea,
2) impossibilità di mantenere le vie aeree aperte con altri mezzi, necessità di proteggere le vie aeree
inferiori dall’inalazione di vomito o sangue,
11
3) compromissione imminente o potenziale delle vie aeree, in seguito a lesioni da inalazione, fratture
facciali, ematoma retrofaringeo o attività convulsiva prolungata,
4) presenza di trauma cranico chiuso che richieda ventilazione assistita (GCS < 8),
5) impossibilità di mantenere un’adeguata ossigenazione con l’apporto supplementare di ossigeno in
maschera.
Intubazione endotracheale
A. assicurarsi che ventilazione ed ossigenazione procedano adeguatamente e che un aspiratore sia
immediatamente disponibile in caso di vomito.
B. controllare l’attrezzatura: gonfiare il palloncino per verificare che non perda, e quindi
sgonfiarlo; assemblare la lama ed il manico del laringoscopio e controllare la luminosità della
lampadina; tenere a portata di mano un mandrino per irrigidire il tubo.
C. fare immobilizzare da un assistente la testa ed il collo: durante questa procedura il collo del
paziente non deve essere né iperteso né iperflesso.
D. afferrare il laringoscopio con la mano sinistra ed introdurre la lama nel lato destro della bocca
del paziente, spostando la lingua a sinistra.
E. identificare visivamente l’epiglottide e quindi le corde vocali.
F. inserire delicatamente il tubo endotracheale in trachea, senza esercitare pressione sui denti o
sui tessuti del cavo orale.
G. gonfiare, senza eccedere il palloncino (cuffia) con una quantità d’aria sufficiente a garantire
una buona tenuta.
H. controllare il posizionamento del tubo endotracheale mediante ventilazione con pallone di Ambu:
osservare le escursioni del torace durante la ventilazione, auscultare con un fonendoscopio il
torace (presenza di suoni respiratori simmetrici) e l’addome (assenza di borborigmi), se dotati,
usare il rilevatore di CO2.
I. fissare il tubo; se si sposta il paziente o se viene affidato ad altri colleghi il tubo deve essere
ricontrollato.
J. se l’intubazione endotracheale non è terminata in pochi secondi (nello stesso tempo in cui si
riesce a trattenere il respiro), interrompere il tentativo e ventilare il paziente con pallone di
Ambu e maschera, quindi riprovare.
Complicanze dell’intubazione tracheale:
• impossibilità ad intubare: non è grave fino a che posso ventilare in maschera il paziente.
• intubazione non riconosciuta dell’esofago, che conduce ad ipossia e a morte.
• intubazione non riconosciuta del bronco principale destro, che determina ventilazione del solo
polmone destro, con collasso del polmone sinistro.
• induzione di vomito con conseguente pericolo di inalazione, ipossia, morte.
• trauma delle vie aeree, scheggiatura o avulsioni di denti con conseguente emorragia e possibile
inalazione.
• trasformazione di una lesione della colonna cervicale senza deficit neurologico in una lesione con
deficit neurologico.
Attrezzatura minima per l’intubazione tracheale:
• tubi tracheali per adulto di varie dimensioni: da 6 mm a 8 mm
• tubi tracheali pediatrici di varie dimensioni: da 3.5 mm a 5.5 mm
• laringoscopio con lame curve di diversa lunghezza
• mandrini modellabili per tubi tracheali
• pinza di Magill
• sistema di aspirazione con sonda rigida (Yancauer) e sondini di diverse dimensioni;
• sistema di ventilazione, manuale o meccanico.
Ricordarsi che:
12
•
•
•
•
l’occlusione dell’esofago mediante una pressione sulla cricoide (manovra di Sellick) eseguita da
un collaboratore, è utile per prevenire l’inalazione e per fornire una migliore visualizzazione
delle vie aeree; deve essere mantenuta fino a quando il palloncino del tubo non è stato cuffiato
se il problema di ventilazione è causato da un pneumotorace semplice o iperteso, l’intubazione
con ventilazione manuale vigorosa o meccanica può portare ad un ulteriore peggioramento del
quadro clinico
le procedure stesse di intubazione e ventilazione possono produrre un pneumotorace
le attrezzature si possono guastare nel momento meno opportuno
Cricotiroidotomia con ago
Indicazioni:
nell’emergenza, quando l’impossibilità sia ad assistere in maschera sia a posizionare un tubo tracheale,
significa la morte del paziente.
Tecnica:
A. preparare un tubo per l’ossigeno, praticando un buco verso un’estremità; raccordare l’altro capo
ad una sorgente di ossigeno.
B. preparare un ago cannula di grosso calibro (12 o 14 G) collegata ad una siringa.
C. disinfettare la cute.
D. stabilizzando la trachea con l’indice ed il pollice di una mano per prevenire movimenti laterale
della trachea durante la manovra, pungo la cute sulla linea mediana direttamente sulla
membrana crico-tiroidea.
E. inserire delicatamente l’ago attraverso la metà inferiore della membrana crico-tiroidea,
mantenendo la siringa in aspirazione.
F. l’aspirazione di aria conferma l’ingresso nel lume tracheale.
G. sfilare l’ago e spingere delicatamente la cannula verso il basso, avendo cura di non perforare la
parete posteriore della trachea.
H. raccordare il tubo dell’ossigeno alla cannula e fissarla al collo del paziente.
I. si può ottenere una ventilazione intermittente chiudendo con il pollice il buco praticato sul tubo
dell’ossigeno per un secondo e lasciandolo aperto per quattro secondi. Dopo l’allontanamento del
pollice dal buco nel tubo, si verifica un’espirazione passiva.
J. continuare ad osservare le espansioni del polmone ed auscultare il torace per verificare
l’adeguatezza della ventilazione.
K. N.B. un’ossigenazione adeguata può essere mantenuta solamente per 30 – 45 minuti, mentre
l’accumulo di CO2 può avvenire rapidamente.
L. metodi alternativi: collegare la cannula-siringa da 2.5 ml (priva di pistone)-raccordo per tubo
tracheale (8 mm)-pallone di Ambu; cannula-siringa (10-20 ml)-tubo tracheale cuffiato all’interno
della siringa-pallone di Ambu.
Complicanze della critiroidotomia con ago:
• ventilazione inadeguata con conseguente ipossia e decesso;
• inalazione (di sangue);
• perforazione della parete posteriore della trachea;
• lacerazione dell’esofago;
• ematoma;
• enfisema sottocutaneo e mediastinico;
• perforazione della tiroide.
La compromissione delle vie aeree può essere lenta o improvvisa, parziale o completa, perciò durante le
manovre di soccorso è fondamentale una frequente rivalutazione della pervietà delle vie aeree e
dell’adeguatezza della ventilazione. La comparsa di tachipnea, sebbene spesso legata al dolore e/o
all’ansia, può essere un segno subdolo ma precoce di un aggravamento della situazione iniziale.
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Nell’eseguire le manovre per rendere pervie le vie aeree deve essere sempre ricordata la possibilità
che vi sia un trauma cervicale. I movimenti bruschi ed eccessivi possono causare un danno neurologico o
lo possono aggravare quando già presente, per schiacciamento del midollo da parte di vertebre
fratturate. Il danno cervicale può anche non essere evidente alla prima osservazione, non è infatti
necessario individuarlo precocemente, ma è assolutamente prioritario sospettarlo e, di conseguenza,
attuare tutte le procedure in modo corretto (non creare ulteriori danni).
Quindi applicare le procedure di immobilizzazione precoce per prevenire lesioni in ogni evento
traumatico, soprattutto in quelli che per dinamica, deformità, riduzione del livello di coscienza possono
suggerire una possibile lesione.
Questi presidi devono essere mantenuti fino a quando non possa essere esclusa con certezza una
lesione della colonna cervicale.
Il collo, durante le manovre di pervietà e ventilazione deve essere sempre mantenuto in posizione
neutra.
B
BREATHING
Il sistema respiratorio è importante per due motivi:
1. fornisce ossigeno all’organismo,
2. rimuove anidride carbonica dall’organismo.
Un trauma può compromettere questa capacità di lavoro.
L’ossigenazione cerebrale e degli altri organi vitali rimane la singola e più importante componente del
trattamento pre-ospedaliero del traumatizzato.
Un’inadeguata disponibilità di sangue ossigenato al cervello ed alle altre strutture vitali costituisce la
causa di morte più rapida nel traumatizzato.
La prevenzione dell’ipossia richiede vie aeree protette e disostruite ed una ventilazione adeguata, con
priorità su tutte le altre condizioni.
Si deve:
• garantire una via aerea,
• somministrare ossigeno,
• fornire un supporto ventilatorio.
Le morti precoci prevenibili da problemi relativi alle vie aeree dopo trauma derivano:
1. mancato riconoscimento della necessità di una via aerea,
2. incapacità a posizionare una via aerea,
3. mancato riconoscimento di un mal posizionamento della via aerea,
4. dislocazione di una via aerea posizionata in precedenza,
5. mancato riconoscimento della necessità di ventilazione,
6. inalazione del contenuto gastrico.
La valutazione della pervietà delle vie aeree e dell’adeguatezza della ventilazione deve essere
effettuata rapidamente e con accuratezza.
La pervietà delle vie aeree di per sé non assicura l’adeguatezza della ventilazione, è necessario un
corretto ricambio di gas per massimizzare l’ossigenazione e l’eliminazione dell’anidride carbonica.
La ventilazione richiede un adeguato funzionamento dei polmoni, della parete toracica, del diaframma e
del sistema nervoso centrale.
Tra le varie cause di insufficienza respiratoria due meritano un approfondimento, perché richiedono un
trattamento salvavita già durante la valutazione primaria.
Si tratta del pneumotorace iperteso e del pneumotorace aperto.
Pneumotorace iperteso:
compare quando si verifica una perdita d’aria, dal polmone oppure attraverso la parete toracica, con un
meccanismo “a valvola unidirezionale”. L’aria, forzatamente immessa nella cavità pleurica, non ha alcuna
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possibilità di uscirne e determina il completo collasso del polmone. Il mediastino viene dislocato verso il
lato opposto, con conseguente riduzione del ritorno venoso e compressione del polmone controlaterale.
Cause:
ventilazione meccanica in pazienti con lesioni della pleura viscerale (evento più comune), fratture costali
o vertebrali marcatamente scomposte, trattamento non corretto di un pneumotorace aperto.
Diagnosi:
dolore toracico, fame d’aria, enfisema sottocutaneo, distress respiratorio, tachicardia, ipotensione,
deviazione tracheale, ipoventilazione monolaterale, turgore delle vene del collo, cianosi (tardiva).
Trattamento iniziale:
immediata decompressione, mediante la rapida introduzione di un ago di grosso calibro nel secondo
spazio intercostale, sulla linea emiclaveare dell’emitorace colpito. Questa manovra converte un
pneumotorace iperteso in uno di tipo semplice (N.B. esiste la possibilità di un PNX conseguente
all’inserimento dell’ago).
Trattamento definitivo:
posizionamento di un drenaggio toracico. E’ indispensabile la frequente rivalutazione clinica del
paziente.
Pneumotorace aperto (“ferita toracica soffiante”):
si verifica quando sono presenti estesi difetti della parete toracica che rimangono aperti.
L’ingresso d’aria in torace determina una compromissione della ventilazione, determinando ipossia ed
ipercapnia.
Trattamento iniziale:
chiusura immediata della lesione con una medicazione sterile, larga abbastanza da ricoprire i margini
della ferita che viene ermeticamente chiusa su tre lati. Durante l’inspirazione la garza viene
risucchiata contro la ferita che risulta quindi chiusa, impedendo l’ingresso d’aria; durante l’espirazione
il lato aperto della medicazione consente all’aria di fuoriuscire. Non appena possibile è necessario
posizionare un tubo toracico a distanza dalla ferita.
VALUTAZIONE: LA VENTILAZIONE E’ ADEGUATA ?
PULSIOSSIMETRO
E’ indispensabile. Le sedi comuni dove vengono applicati i sensori sono la punta del dito ed il lobo
dell’orecchio. E’ un metodo non invasivo per misurare in continuo la saturazione di ossigeno (Sat. O2) del
sangue arterioso - non misura la pressione parziale di ossigeno (PaO2) e la frequenza cardiaca. Fornisce
un’immediata verifica degli interventi terapeutici attuati.
Limiti:
• è subordinato ad un’adeguata perfusione periferica: ne deriva perciò una limitata utilità nel
paziente gravemente vasocostretto (in stato di shock), ipotermico
• non è in grado di distinguere l’ossiemoglobina dalla carbossiemoglobina e dalla meta emoglobina:
in caso di avvelenamento da monossido di carbonio non è diagnostico
• può malfunzionare in caso di movimenti eccessivi del paziente (tremori), presenza di altri
dispositivi elettrici, luce ambientale intensa, presenza di smalto sulle unghie
• fornisce informazioni sulla saturazione di ossigeno e sulla perfusione periferica, ma non
sull’adeguatezza della ventilazione
Tab.1 PaO2 stimata per i livelli di saturazione di O2:
Livelli di saturazione
dell’emoglobina
100 %
90 %
60 %
50 %
GUARDARE
di
O2 Livelli di PaO2
90
60
30
27
mmHg
mmHg
mmHg
mmHg
ESAME CLINICO
15
Come è il paziente: agitato (ipossico ?), obnubilato (ipercapnico ?), dolente, cianotico, uso dei muscoli
respiratori accessori (rientro del giugulo), polipnoico, dispnoico.
Come è il torace (che deve essere esposto, ma solo per il tempo necessario per evitare un’eccessiva
dispersione di calore e per mantenere la privacy): presenta ferite, ematomi, abrasioni (es. segno della
cintura di sicurezza), qual è la frequenza respiratoria, il ritmo respiratorio, la simmetria dell’espansione
toracica, l’adeguatezza delle escursioni respiratorie (pochi atti respiratori profondi o molti atti
superficiali).
Frequenza respiratoria:
•
•
•
•
< 12 atti / min: probabili problemi neurologici;
12 – 20 atti / min: respirazione normale;
20 – 30 atti / min: paziente da tenere sotto stretta osservazione
30 atti / min: paziente con gravi problemi di ipossia, acidosi, ipoperfusione (singolarmente o
contemporaneamente).
TOCCARE
Accentuazione del dolore, presenza di crepitio per enfisema sottocutaneo (pneumotorace ?).
AUSCULTARE
Suoni respiratori diminuiti o assenti su uno o entrambi gli emitoraci devono allertare l’esaminatore
circa la presenza di una lesione toracica.
TRATTAMENTO
OSSIGENAZIONE: OSSIGENO SUPPLEMENTARE DEVE ESSERE SOMMINISTRATO A TUTTI I
PAZIENTI TRAUMATIZZATI.
Tab.2 Valori di concentrazione di ossigeno per flusso.
Strumento
Flusso di ossigeno (l/min)
Concentrazione di
ossigeno massima
Senza ossigeno supplementare
Bocca-bocca
16 %
Bocca-maschera
Pallone di Ambu + maschera
16 %
21 %
Con ossigeno supplementare
Cannule nasali
1-6
24 – 44 %
Maschera facciale semplice
Maschera con effetto Venturi (Ventimask)
5-8
3 - 15
40 – 55 %
24 – 50 %
Maschera facciale con resevoir
Maschera facciale a tenuta + pallone di Ambu
6 - 10
8 - 12
60 – 80 %
80 – 100 %
Maschera facciale a tenuta + va e vieni
Tubo endotracheale+Ambu-va e vieni/respiratore
8 - 12
8 - 12
100 %
100 %
Per decidere quale metodo o quale strumento incontra meglio le necessità del paziente traumatizzato, il
personale di soccorso pre-ospedaliero deve conoscere tutti i tipi di presidi e le rispettive
concentrazioni di ossigeno da loro erogabili:
1. Maschere facciali
utili nel paziente cosciente con vie aeree pervie, ma utilizzabili anche in caso di paziente
incosciente ma con vie aeree pervie e presenza di un’adeguata ventilazione.
2. Maschere a tenuta
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la maschera deve adattarsi bene al volto del paziente, essere disponibile in varie dimensioni
(adulte e pediatriche) e costituita da materiale trasparente. Nel caso di ventilazione boccamaschera deve essere fornita di una valvola unidirezionale e di un’apertura per l’ossigeno
supplementare.
Pallone di Ambu
consiste in un pallone autogonfiabile (del volume medio di 1.600–2.000 ml) ed una valvola
unidirezionale; dalla parte opposta è dotato di resevoir o di un ingresso per l’ossigeno
supplementare, che può permettere d’arrivare ad una concentrazione di ossigeno prossima al
100 %. Viene utilizzato, in associazione ad una maschera facciale a tenuta o un tubo tracheale,
per ventilare il paziente.
3. Va e vieni
consiste in un pallone del volume medio di 2.000 ml, di una valvola APL (valvola limitatrice di
pressione), di un raccordo per l’ossigeno (senza il quale non può essere usato) e di uno per la
maschera facciale a tenuta e/o un tubo tracheale. Più difficile da usare per il personale non
addestrato, ha il vantaggio di permettere una valutazione quantitativa e qualitativa del volume
respiratorio spontaneo del paziente e permette la somministrazione di ossigeno ad elevate
concentrazioni.
4. Ventilatore
sono apparecchi in cui, impostando il volume corrente o il volume minuto e la frequenza
respiratoria permettono di ventilare automaticamente il paziente, anche con elevate
concentrazioni di ossigeno. In linea di massima, nel caso di pazienti adulti (circa 70 kg) s’imposta
una frequenza respiratoria di 12 –14 atti al minuto, per un volume corrente di circa 8 - 10 ml /
kg (circa 600 ml).
Vanno usati dopo che il paziente è stato intubato (pz. senza riflessi o sedato
farmacologicamente). E’ importante ricordare che durante questo tipo di ventilazione il
soccorritore non avverte la resistenza del torace alle insufflazioni: quindi deve assicurarsi di
non sovradistendere i polmoni con i rischi di barotrauma e volotrauma: deve controllare che le
pressioni di insufflazione non superino i 40 cm H2O.
E’ molto importante durante un intervento rivolto ad un paziente politraumatizato avere chiaro tutti i
passaggi e le loro priorità di intervento. E’ stato così semplificato con la parola OPACS le varie
sequenze da ricordare durante la fase B.
APPLICARE OSSIGENO
O: osservare le caratteristiche del respiro (normale, difficoltoso, agonico o gasping).
P: palpa per evidenziare un’espansione toracica simmetrica o assimetrica, per evidenziare presenza di
lesioni ossee a carico della gabbia toracica e la presenza di crepitii che indicano enfisema sottocutaneo.
A: asculta in modo rapido almeno due foci per campo polmonare, per verificare l’assenza o la presenza
del murmure.
C: valutazione grossolana della frequenza respiratoria.
S: saturimetria.
C
CIRCULATION
Dopo che sono state assicurate le vie aeree ed un’adeguata ventilazione, è importante un’attenta
valutazione dello stato circolatorio del paziente, in modo da identificare le manifestazioni precoci dello
shock (primo passo) e nell’identificarne la probabile causa (secondo passo). Per shock s’intende una
condizione clinica caratterizzata da un’inadeguata perfusione degli organi e da una scarsa ossigenazione
tissutale.
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Lo shock può essere classificato in:
• emorragico (causa più frequente dopo un trauma);
• non emorragico: cardiogeno (infarto miocardio, trauma cardiaco chiuso), neurogeno (ipotensione
senza tachicardia e vasocostrizione), settico (tardivo), da “pneumotorace iperteso”.
La diagnosi ed il trattamento dello shock devono essere effettuati quasi contemporaneamente.
ESAME CLINICO
Stato di coscienza:
quando il volume circolante è ridotto, la perfusione cerebrale può essere alterata in modo critico, con il
risultato di un’alterazione dello stato di coscienza.
Colorito cutaneo:
la facies grigia e cinerea, il pallore biancastro delle estremità (fredde) sono segni di ipovolemia.
Polso:
devono essere valutati bilateralmente per quanto riguarda la qualità, la frequenza ed il ritmo. Un polso
rapido e poco apprezzabile è generalmente segno di ipovolemia; un polso irregolare può segnalare una
disfunzione cardiaca. La mancanza di polsi periferici richiede la ricerca di quelli centrali (carotidei o
femorali). Per tachicardia s’intende una frequenza cardiaca superiore a 100/min nell’adulto, 120/min nel
ragazzo, 140/min nel bambino.
Pressione arteriosa:
i meccanismi di compenso possono impedire un calo apprezzabile della pressione sistolica fino a quando
non venga perso più del 30 % del volume circolante. Significativo è una riduzione della pressione
differenziale (pressione sistolica – pressione diastolica).
Emorragie:
perdita acuta di sangue circolante. Possono essere esterne od interne. Esempi: una frattura di omero o
di tibia può determinare una perdita di 750 ml di sangue; in caso di fratture di femore la perdita può
arrivare a 1.500 ml; in caso di fratture di bacino le perdite possono arrivare a vari litri di sangue.
Il ripristino volemico deve essere guidato dalla risposta alla terapia infusionale iniziale piuttosto che
dall’affidarsi soltanto alla classificazione iniziale.
Inoltre la risposta emodinamica classica alla perdita acuta di sangue può essere profondamente
alterata da alcune variabili: età del paziente, gravità del trauma (tipo e localizzazione delle lesioni),
tempo trascorso (dal trauma al trattamento), farmaci assunti per patologie croniche (beta-bloccanti).
Ogni paziente traumatizzato che si presenti freddo e tachicardico deve essere considerato in shock
fino a quando non sia provato il contrario.
La causa più frequente di shock nel paziente traumatizzato è l’emorragia.
Classe I
Perdita di sangue (ml)
fino a 750
Perdita di sangue (% del volume fino al 15%
ematico)
Frequenza cardiaca
< 100
Pressione arteriosa
normale
Pressione differenziale
Normale o diminuita
Frequenza respiratoria
14 - 20
Diuresi oraria (ml/h)
> 30
Stato di coscienza
leggermente ansioso
Reintegrazione di liquidi (regola cristalloidi
3:1)
Classe II
750-1.500
15% - 30%
Classe III
1.500-2.000
30% - 40%
Classe IV
> 2.000
> 40 %
> 100
normale
diminuita
20 - 30
20 - 30
moderatamente ansioso
cristalloidi
> 120
diminuita
diminuita
30 - 40
5 - 20
ansioso e confuso
cristalloidi e sangue
> 140
diminuita
diminuita
> 40
<5
confuso e letargico
cristalloidi
e
sangue
Tab.3: classi di emorragia (manuale ATLS).
TRATTAMENTO
Il principio basilare consiste nell’arrestare il sanguinamento e nel ripristinare la perdita ematica.
La perdita di sangue all’esterno va trattata mediante pressione manuale diretta sulla ferita.
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I presidi d’immobilizzazione pneumatici (possibilmente trasparenti per permettere il monitoraggio del
sanguinamento sottostante) utilizzati per immobilizzare le fratture possono essere utili nel controllo
dell’emorragia.
I lacci non devono essere utilizzati (salvo in casi eccezionali come nell’amputazione traumatica di
un’estremità) poiché devastano i tessuti e causano ischemia distale.
L’utilizzo di pinze emostatiche fa perdere tempo e può essere fonte di lesione a strutture circostanti
come nervi e vene.
Il reintegro polemico deve avvenire tramite un accesso venoso che deve essere ottenuto prontamente.
Il modo migliore consiste nell’inserimento di una cannula venosa periferica di grosso calibro (minimo 16
gauge) prima che sia preso in considerazione il posizionamento di una via centrale.
La sede preferibile è costituita dalle vene dell’avambraccio o dalla piega del gomito, o comunque in
funzione del tipo e della sede del trauma.
Tab.4 Tempo di infusione per calibro di ago cannula
ago-cannula
22 gauge (azzurro)
20 gauge (rosa)
18 gauge (verde)
16 gauge (grigio)
14 gauge (arancione)
ml / min
36
61
103
196
330
tempo per infondere 500 ml
14’
8’20’’
5’
2’30’’
1’30’’
Nella terapia infusionale si usano soluzioni elettrolitiche isotoniche.
La soluzione di scelta è il Ringer Lattato, seguito dalla soluzione fisiologica.
Le prime linee guida descrivevano il seguente protocollo:
un primo bolo di liquidi viene somministrato il più velocemente possibile. La dose usuale è di 1.000/
2.000 ml nell’adulto.
Le ultime disposizioni invece parlano di:
abolire il bolo iniziale di 2000 ml se non indispensabile per raggiungere l’ipotensione controllata data dai
valori di protocollo. Nel trauma toraco-addominale PA sistolica =90/100, nei traumi cranici PA=110.
Durante l’infusione iniziale viene valutata la risposta del paziente:
le ulteriori decisioni diagnostiche e terapeutiche sono basate su tale risposta.
Una rozza regola (“del tre per uno”), per valutare la quantità complessiva di cristalloidi necessaria,
consiste nel rimpiazzare 3 ml di cristalloidi per 1 ml di sangue perso.
Se durante la rianimazione, la quantità di liquidi necessari a ristabilire e mantenere un’adeguata
perfusione periferica supera ampiamente quella stimata, occorre rivalutare attentamente la situazione
e ricercare lesioni misconosciute o altre cause di shock.
Per prevenire e trattare l’ipotermia i liquidi da infondere devono essere riscaldati a 39°C. Questo può
essere effettuato immagazzinando i flaconi in un contenitore termico (es. di polistirolo) dopo che sono
stati riscaldati.
D
DISABILITY E DISFUNZIONI DEL S.N.C.
Esaurite le manovre salvavita ai punti A.B.C. si procede ad un rapido esame dello stato neurologico del
paziente. Rilevare il G.C.S. sulla strada è di fondamentale importanza per la rivalutazione
intraospedaliera del paziente. Si utilizzerà il G.C.S. per la valutazione dello stato di coscienza e della
gravità di un eventuale coma e si farà un mini test neurologico per la valutazione di motilità e sensibilità
accompagnata da una valutazione delle pupille.
Il G.C.S. prende in considerazione la risposta del paziente fornita in tre aree di valutazione e va da un
minimo di tre punti ad un massimo di 15.
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GLASGOW COMA SCALE ADULTO
APERTURA DEGLI OCCHI
Spontanea
4 punti
Alla voce
3 punti
Al dolore
2 punti
Nessuna
1 punto
RISPOSTA VERBALE
Orientata
5 punti
Confusa
4 punti
Parole inappropriate
3 punti
Suoni incomprensibili 2 punti
Nessuna
1 punto
MIGLIOR RISPOSTA MOTORIA
Obbedisce al comando
6 punti
Localizza il dolore
5 punti
Retrae al dolore
4 punti
Estende al dolore
2 punti
Nessuna
1 punto
E
EXPOSURE, ENVIRONMENT
(ESPOSIZIONE DEL PAZIENTE E PROTEZIONE TERMICA)
Il primary survey si conclude con l'esposizione dei distretti corporei anche se, in effetti, la svestizione
del paziente inizia già al punto B. In ambiente pre-ospedaliero è utile valutare quanto spogliare il
paziente in base al ruolo sanitario, alla necessità di una più precisa valutazione clinica, alle condizioni
climatiche e al rispetto della persona.
All'exposure segue la prevenzione dall'ipotermia con metallina e coperta, bloccare eventuali fratture,
caricare il paziente sul presidio di immobilizzazione scelto, cinghiarlo, caricarlo in ambulanza,
rivalutazione parametri vitali, codice di gravità e infine ospedale di destinazione.
IL TRAUMA PEDIATRICO
PRINCIPI, DINAMICA E STRUTTURA
Il bambino ha una piccola massa corporea pertanto l’energia lineare che si applica per unità di
superficie in seguito a urti colpi o cadute risulta maggiore. Il suo corpo,inoltre,e’ dotato di minore
protezione di tessuto adiposo e connettivo elastico e gli organi sono in stretta prossimità tra loro e con
le strutture ossee,si riscontra perciò una più elevata frequenza di lesioni organiche multiple.
VIE AEREE,ANATOMIA E PROBLEMATICHE
Particolare attenzione va impiegata nel mantenimento della pervietà delle vie aeree a causa della
differente struttura anatomica del pz pediatrico rispetto all’adulto,evitando quindi l’occlusione del
retrofaringe a causa della flessione del rachide cervicale.
Particolarmente difficile per questo motivo risulta anche l’intubazione; la trachea corta favorisce
l’introduzione del tubo nel solo bronco dx. La conseguenza e’ l’ipoventilazione ed il danno meccanico da
pressione eccessiva (barotrauma).
SCHELETRO E SUPERFICIE CORPOREA
Lo scheletro del pz pediatrico e’ particolarmente elastico; ne consegue una maggior incidenza di danni
contusivi agli organi interni a parità di energia assorbita rispetto a quello adulto, (seppur in assenza di
lesioni a carico di ossa sovrastanti).
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Attenzione anche alla perdita di calore che, a causa del rapporto molto elevato tra superficie e volume,
si instaura rapidamente e complica il soccorso in particolare sul pz ipoteso.
Trauma spinale
E’ piuttosto raro ma a causa della conformazione (grandezza della testa rispetto al corpo) e della
scarsa muscolatura, spesso provoca lesioni gravi anche nel caso di dinamica minore.
Trauma toracico e addominale
Penetrante: l’agente lesivo penetra all’interno del corpo
raro prima dei 10 anni, comunque grave richiede intervento chirurgico.
Chiuso: l’agente lesivo non provoca soluzione di continuo
il torace del bambino data la struttura sottile ed elastica consente di trasferire una notevole quota di
energia agi organi interni con elevate probabilità di lesioni importanti e quindi spesso necessita di
supporto ventilatorio adeguato. Per i traumi addominali vale quanto detto sopra.
Traumi degli arti
La particolare elasticità delle ossa è alla base del prodursi delle cosiddette” fratture a legno verde”.
Queste hanno la caratteristica di essere incomplete per cui difficilmente scomposte. La frattura di
ossa lunghe (femore) produce perdite ematiche rilevanti (350 ml), quindi possibilità di shock
ipovolemico.
Trauma cranico
E’ frequentemente legato a traumi della strada o cadute accidentali, raramente provoca ipotensione; più
spesso aumento della P.I.C (pressione intra-cranica). che, nel caso dei neonati con fontanella aperta,
ritarda i segni classici di ipertensione endocranica.
La conseguenza e’ un rischio maggiore di compromissione irreversibile del snc.
Sintomi frequenti sono: vomito e convulsioni,non necessariamente legati all’aumento della p.i.c. La
presenza di questi, impone comunque lo svuotamento dello stomaco tramite sng e la consulenza
neurochirurgica in caso di persistenza dei sintomi.
Un riferimento deve essere fatto riguardo il calcolo del G.C.S. che differisce da quello dell’adulto in
quanto fino all’età di 4 anni circa il bambino non ha capacità cognitive sovrapponibili a quelle dell’adulto.
PARAMETRI VITALI PEDIATRICI
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SICUREZZA DURANTE IL TRASPORTO
Il Trasporto del paziente in ambulanza è una fase fondamentale del soccorso dal punto di vista
“meccanico”.
Durante questa fase si sviluppano le energie maggiori a cui è sottoposto il paziente nel post-incidente.
Le patologie da cui il soggetto è affetto risentono dell’energia di moto a cui è sottoposto.
E’ necessario che i presidi di trasporto garantiscano al paziente sicurezza durante il trasporto e in caso
di incidente.
Tutti i presidi devono avere superato specifici test di verifica (crash-test) per resistere alle
sollecitazioni e devono possedere alcune caratteristiche:
1. leggerezza (per non aggiungere peso al trasporto)
2. stabilità (per evitare cadute)
3. capacità di carico
4. resistenza strutturale alle sollecitazioni
Gli operatori devono conoscere bene le caratteristiche e le modalità d’uso dei presidi; per tale motivo il
sistema di soccorso deve prevedere per il personale periodici retraining e la valutazione della idoneità
fisica agli spostamenti dei pazienti.
Anche le attrezzature meccaniche devono essere efficienti, quindi devono essere sottoposte a
periodiche verifiche e manutenzioni.
Il paziente, precedentemente posizionato e vincolato su presidi quali materassino, asse spinale, dovrà
essere fissato alla barella, le cinture necessarie sono 5 distribuite lungo la barella e con il pulsante per
lo sgancio rapido per permettere l’evacuazione rapida e l’effettuazione di manovre terapeutiche
urgenti.
La barella deve essere agganciata al pianale dell’ambulanza e testata per resistere a 10 G. di
decelerazione nelle 6 principali direzioni di moto.
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Le sedie di trasporto saranno esclusivamente utilizzate per il tragitto del paziente fino all’ambulanza o
da questa alla destinazione; quindi le cinture indispensabili devono essere idonee a resistere a forze
minori: devono bloccare il torace e le braccia per evitare sbilanciamenti del corpo e bacino e arti
inferiori per evitare scivolamenti durante gli spostamenti in pendenza (scale).
Inoltre all’interno dell’abitacolo dell’ambulanza non dovrebbero esservi oggetti privi di appositi mezzi di
ritenuta (esempio lo zaino) per evitare che si trasformino in fonti di pericolo nel caso di bruschi arresti
o incidenti.
Oltre all’efficienza del mezzo, dei presidi e del personale, ai fini della sicurezza nel trasporto, occorre
sottolineare l’importanza della condotta di guida che deve essere tale da non mettere in pericolo la
riuscita della missione e l’incolumità degli operatori e dei pazienti.
L’articolo 177 del Codice della Strada, Comma 1: “l’uso del dispositivo acustico supplementare di allarme
e del dispositivo supplementare di segnalazione visiva a luce blu lampeggiante è consentito ai conducenti
dei veicoli adibiti a servizi di polizia o antincendio, a quelli delle autoambulanze solo per i Servizi
Urgenti di Istituto...”
Al Comma 2: “I conducenti dei veicoli di cui al Comma 1, nell’espletamento dei Servizi Urgenti di
Istituto, qualora usino congiuntamente i due dispositivi di segnalazione (acustico e visivo), non sono
tenuti ad osservare gli obblighi, i divieti e le limitazioni relativi alla circolazione, le prescrizioni della
segnaletica stradale e le norme di comportamento in genere, ad eccezione degli agenti del traffico e
nel rispetto, comunque, delle regole di comune prudenza e diligenza”.
Per Servizio Urgente di Istituto si intende l’invio da parte della Centrale Operativa di un mezzo in
Codice Rosso.
Considerata la particolare attività di un mezzo di soccorso va ricordata un'altra condizione espressa
dall’articolo 164 del Codice della Strada: “… la presenza di ogni passeggero va giustificata da motivi
d’istituto…”: Questo riguarda il trasporto di eventuali parenti, perché nel caso di incidente la loro
presenza può creare problemi di tipo assicurativo e perché aumenta la “magnitudo” dell’evento.
Uso delle cinture di sicurezza:
premettendo che vi è l’obbligo (articolo 172 del C.D.S.) di indossare le cinture di sicurezza, al Comma 3
dello stesso articolo si dice: “…sono esentati dall’obbligo di indossare le cinture di sicurezza i
conducenti e gli addetti dei veicoli del servizio antincendio e sanitario in caso di interventi in
emergenza.”
Tenendo presente la disposizione di legge, è fortemente raccomandato indossarle durante la fase di
invio in emergenza del mezzo .
Durante la fase di trasporto del paziente la cintura può essere, comunque, indossata, salvo i casi in cui
ci si debba spostare dal proprio posto (in caso di azioni indifferibili sul paziente occorre arrestare la
marcia del mezzo).
I mezzi di ritenuta del paziente vanno sempre utilizzati e vanno disinseriti solo per giustificati motivi.
APPENDICE B
AMPUTAZIONE
L'amputazione di un arto o di un suo segmento è un'evenienza relativamente frequente sia
nell'infortunistica da lavoro, sia in quella stradale e domestica.
Un adeguato trattamento nel primo soccorso del moncone e del segmento amputato è di
primaria importanza per eseguire con successo l'intervento di reimpianto.
Le amputazioni possono essere di 2 tipi e si differenzia anche il modo di intervento nei due casi:
1.
in caso di amputazione di piccoli segmenti (per esempio: dita della mano) la perdita di sangue
non è mai rilevante. Per arrestare l'emorragia sarà sufficiente il sollevamento dell'arto,
associato alla compressione locale;
2. nelle amputazioni di grossi segmenti (per esempio: gambe, braccio, mano) l'emorragia può
essere abbondante. Si deve quindi praticare un'emostasi provvisoria tramite compressione
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locale; se tale procedura non dovesse risultare sufficiente, si dovrà applicare temporaneamente
un laccio emostatico, cinghia, sfigmomanometro, ecc. Evitare legature o clampaggi diretti dei
vasi lesionati; tali manovre aumentano il danno locale e possono risultare pregiudizievoli in caso
di intervento riparativo. Se il meccanismo lesivo è "a strappo", si può verificare una spontanea
retrazione delle pareti arteriose che, associate all'ipotensione da shock, svolgono un'emostasi
spontanea.
Quando si verificano delle amputazioni l'operatore che presta il primo soccorso deve:
a)
rilevare i parametri;
b)
trattare adeguatamente il segmento prossimale (moncone):
lavare la parte con soluzione fisiologica
eseguire una medicazione compressiva
arrestare l'emorragia nel modo più atraumatico possibile
limitare il laccio a situazioni di emergenza (registrare sull'apposito cartellino l'ora
di applicazione)
c)
recuperare il segmento distale in modo traumatico (parte amputata):
lavare la parte con soluzione fisiologica
avvolgerla in un telo o garza sterile
inserire il tutto in una busta di plastica;
collocare la busta in un contenitore termicamente isolato contenente ghiaccio;
d)
in caso di segmento distale sub-amputato:
avvolgerlo circonferenzialmente con sacchetti piatti di Criogel
immobilizzare l'arto in una steccobenda
APPENDICE C
USTIONI
Premessa
L’ustione è un evento traumatico conseguente a contatto diretto con corpo solido, liquido o gassoso ad
elevata temperatura superiore a 50 gradi o con determinati composti chimici quali: alcali,fenoli, freon o
dal passaggio di corrente elettrica.
I pazienti con grandi ustioni, come tutti i pazienti politraumatizzati,vanno valutati e trattati secondo
protocolli e linee guida riconosciute a livello internazionale (ATLS, PTC/PHTLS) che prevedono un
ordine di priorità di valutazione/trattamento (schema ABCDE) ed un “continuum” terapeutico che
prevede la stretta integrazione tra la fase extra ed intra-ospedaliera.
Criteri di classificazione e gravità delle ustioni
La classificazione clinica delle ustioni in tre gradi stabilita oltre un secolo fa resta di quotidiano
utilizzo tutt’ora.
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Tipo di ustione
I grado
II grado superficiale
II grado profondo
III grado
Strati danneggiati
epidermide
Epidermide, derma papillare
Epidermide, derma papillare,
derma reticolare
Epidermide, derma, sottocute,
strutture profonde muscoli e
ossa
Guarigione
2- 5 giorni
5- 20 giorni
20-30 giorni
Molti mesi o mai (necessità di
terapia chirurgica)
Per quanto riguarda l’estensione si distingue fra:
Ustioni lievi: fino al 10% della superficie corporea con aree profonde < del 2% della superficie
corporea
Ustioni moderate: tra il 10 e 25% della s.c. con aree profonde < del 9% della s.c. o di aree critiche o in
presenza di malattie sistemiche gravi.
Ustioni gravi: oltre il 25% della s.c. o ustioni profonde oltre il 10% della s.c. o ustioni profonde in aree
critiche o ustioni chimiche, elettriche, associate ad inalazione.
(AREE CRITICHE: VOLTO, MANI, PERINEO, PIEDI).
Ustioni lievi:
sono ustioni < 10% della superficie corporea nell’adulto o <5% nel bambino e nell’anziano senza
interessamento di volto, mani e piedi o perineo, senza fattori di gravità associati e per le quali i pazienti
sono in grado di presentarsi in ambulatorio per le medicazioni
Grande ustionato:
è una ustione che necessita di assistenza medica sul luogo stesso dell’incidente.
Presuppone l’associazione di alcune condizioni:
1)estensione oltre il 20% della s.c. nell’adulto o oltre il 10% della s.c. nel bambino con ustioni profonde
oltre il 10% della s.c.;2) ustioni del distretto cervico-faciale, delle mani o del perineo o ustioni profonde
circolari di un arto;3) presenza di scompenso emodinamico o respiratorio; 4)presenza di lesioni
associate (politraumatismi, lesioni da scoppio);5) lesioni da elettricità o ustioni chimiche;6) gravi
patologie mediche pre-esistenti.
Fattori di rischio per la sopravvivenza e tasso di mortalità
Ustioni superiori 40% della s.c.
Eta’ superiore a 60 anni
Presenza di lesioni da inalazione
Tasso di mortalità 0.3% senza FR
3% con 1 FR
33% con 2 FR
25
87% con 3 FR
Percorso gestionale del paziente grande ustionato nelle prime 72 ore
Il percorso prevede una fase extra ospedaliera e una fase ospedalieraIl periodo di emergenza (quello piu’ critico) copre le prime 72 ore dall’incidente.
La qualità della prognosi a breve e lungo termine dipende molto dal trattamento a cui il paziente è stato
sottoposto proprio in questa prima fase del decorso.
Da qui l’importanza di valutare e trattare secondo protocolli che seguono lo schema delle priorità
ABCDE gia’ nella fase extra ospedaliera.
Fase extra-ospedaliera
1) garantire la sicurezza propria e della vittima: 1)valutare la scena- 2) eliminare i pericoli mettendo
al sicuro la vittima dall’agente ustionante e facendo attenzione a non mettere a repentaglio la propria
incolumità - 3) valutare il paziente.
2) eseguire la valutazione primaria ABCDE
A pervietà vie aeree, stato di coscienza e protezione del rachide cervicale.
In questa fase sospettare una lesione da inalazione, escludere l’ostruzione completa delle vie aeree e se
necessario intubare.
Segni di sospetta lesione da inalazione:
-) storia di ustione da “fiammata” o in ambiente chiuso/confinato.
-) ustioni profonde sulla faccia sul collo e sulla parte superiore del torace.
-) vibrisse nasali bruciate.
-) sputo o materiale carbonaceo in orofaringe.
-) eritema o edema dell’orofaringe.
-) presenza di raucedine, tosse stizzosa, stridore inspiratorio , dispnea, tachipnea.
Questi fattori insieme alla ipossia e al broncospasmo persistenti sono indicazioni per intubare il
paziente.
B somministrare ossigeno ad alti flussi con reservoir
valutare la presenza di eventuali lesioni toraciche associate
sospettare una intossicazione da CO
C doppio accesso venoso periferico e infusione di cristalloidi con utilizzo associato di farmaci per
controllare dolore e ansia (BDZ e Oppiacei).
Un paziente con ustioni estese a causa selle perdite idro-elettrolitiche e proteiche può andare incontro
a shock ipovolemico.
Per il reintegro volemico si utilizza una formula (di Parkland):
Liquidi da infondere nelle 24 ore: 4 ml x la % di superficie corporea ustionata x peso in Kg.
Tempi di infusione: 50% nelle prime 8 ore e il 50% nelle restanti 16 ore.
La velocità dei liquidi deve essere il piu’ costante possibile.
In assenza di una accurata valutazione dell’estensione del danno da ustione si raccomanda un carico
iniziale di liquidi (cristalloidi) di 20 ml/Kg da infondere nella prima ora post-danno.
Per
l’alterazione delle permeabilità capillare si ritiene che i colloidi non siano generalmente indicati nelle
prime ore post-danno.
Monitorizzare con DAE: riconoscere e trattare eventuali aritmie
D valutare la funzione neurologica (GCS, pupille)
valutare l’eventuale presenza di un traumatismo cranico
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E rimuovere tutti gli indumenti del paziente non adesi alla cute per ridurre l’ulteriore fonte di calore
residuo che continuerebbe ad ustionare la vittima. I tessuti non rimuovibili andranno coperti con
impacchi freddo-umidi.
Esporre la superficie corporea per fare un primo esame obiettivo
3) rimuovere/neutralizzare gli effetti del calore dal corpo
- allontanare il pz dalla fonte di calore.
- neutralizzare la presenza eventuale di un agente chimico
- raffreddare le aree ustionate: irrigazione con abbondante acqua a temperatura ambiente o soluzione
fisiologia fresca (NO ghiaccio). Questo trattamento determina una estrazione di calore umido con
conseguente riduzione della profondità delle lesioni, Il raffreddamento è tanto più efficace quanto più
è precoce e quanto più è protratto. In caso di ustione molto estesa il lavaggio si deve eseguire con
acqua a temperatura non inferiore a 10^ per il rischio di indurre ipotermia
Quindi bisogna raffreddare il pz ma nello stesso tempo garantirne il successivo riscaldamento
Non è indicata l’applicazione di sostanze topiche che impediscono l’ispezione successiva dell’ustione ,
utile inizialmente medicare con medicazione sterile e asciutta..
La copertura della superficie ustionata anche dalla corrente ambientale riduce la sintomatologia
dolorosa. Successivamente sarà necessario riscaldare la vittima cioè limitare la dispersione termica
dovuta alla distruzione dei tegumenti: per tale scopo si utilizzano teli speciali costituiti da una doppia
faccia di tessuto sterile imbevuto di gel e metallina.
4) eseguire la valutazione secondaria
- conoscere la dinamica dell’incidente
- anamnesi remota e prossima
- esame testa-piedi
Fase intraospedaliera
-monitoraggio di parametri vitali
-nursing del paziente
-esecuzione di accertamenti diagnostici
-trattamenti terapeutici intensivi quali: proseguire con i liquidi ev, trattamento delle lesioni da
inalazione, terapia antibiotica, antitetanica, sedazione/analgesia, nutrizione, trattamento ferite,
escarectomie .
Tutti i trattamenti mirano a garantire una stabilità emodinamica con una PA adeguata, una diuresi
conservata, una corretta funzionalità polmonare.
Aspetti organizzativi:
Il paziente ustionato, nella prima fase, richiede una serie di provvedimenti di ordine generale che
possono essere attuati nella sede del primo ricovero (intubazione compresa); la richiesta di
dilazionare l’eventuale trasferimento al Centro Trauma non interferisce con l’appropriatezza del
percorso assistenziale.
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