Quaderno III-2010 – Gastroenterologia: Case

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ISSN 0392 - 4203
Vol. 81 - Quaderno III / 2010
PUBLISHED FOUR-MONTHLY BY MATTIOLI 1885
ACTA BIO MEDICA
Atenei parmensis
founded 1887
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-
FINITO DI STAMPARE NEL DICEMBRE 2010
QUADERNI
POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN A. P. - D.L. 353/2003 (CONV IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 1, DCB PARMA
15:24
Cod. 904009
15-12-2010
Deposito AIFA: 21/12/2010
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Gastroenterologia:
Case Reports sulle
Malattie Infiammatorie
Croniche Intestinali XVIII parte
Now free on-line
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Listed in: Index Medicus / Medline, Excerpta Medica / Embase
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INDEX
Quaderno III/2010
Mattioli 1885
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Giorgio Cocconi
Angelo Franzè
Enrico Cabassi
Patrizia Santi
Gastroenterologia: Case reports sulle Malattie Infiammatorie
Croniche Intestinali - XVIII parte
5
7
10
13
Foreword
Review
Federico Cioni
Ruolo della flora batterica intestinale nella patogenesi delle malattie
infiammatorie intestinali croniche
Lavoro originale
P. Delia, S. Lopez, M. Pisana, G. Sansotta, A. Potami, G. Messina,
P. Frosina, C. De Renzis
Profilassi della proctite nei pazienti sottoposti a trattamento
radioterapico sul distretto pelvico. Nostra esperienza
Case Reports
Francesco Azzaroli, Laura Turco, Nunzio Salfi, Claudio Calvanese,
Giuseppe Nazzarella
Efficacia del beclometasone dipropionato in un caso di colite
plasmacellulare
17
Enzo Ierardi, Nicola Della Valle, Rosa Rosalia, Mariangela Zotti,
Matteo Antonino, Antonio Facciorusso, Carmine Panella
La colite segmentaria associata ai diverticoli (SCAD): uso del
beclometasone dipropionato nelle forme emorragiche
21
D. Pingitore, A. Destito, E. Mazzei, R. Molè, M.A. Molinaro,
M. Santoro
Uso della mesalazina e del beclometasone dipropionato nella
prevenzione della proctite e dell’enterite attinica
26
Raffaele Annicchiarico
Uso del beclometasone dipropionato nel Morbo di Crohn: descrizione
di un caso clinico
28
Paolo Orsi
Colite microscopica “attinica” trattata con beclometasone
dipropionato orale: descrizione di un caso
33
M. Cesarini, E.S. Corazziari
Uso del beclometasone dipropionato in un paziente con Malattia di
Crohn
36
A. Ciabattoni, F. Fabretti, V. Ciccone, T. Palloni, A. Siniscalchi, F. Vidiri,
M.A. Mirri
Gestione della proctite attinica nel cancro del retto localmente
avanzato trattato con radiochemioterapia neoadiuvante
Inserto centrale staccabile “Il Punto… in breve”
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I S T R
QUADERNI
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P E R
G L I
A U T O R I
A C TA B I O M E D I C A - G A S T R O E N T E R O L O G I A
U Z I O N I
DI
Acta Bio Medica è la rivista ufficiale della Società di Medicina e Scienze
Naturali di Parma.
I Quaderni di Acta Bio Medica dedicati alla Gastroenterologia pubblicano principalmente case-reports, saranno inserite occasionalmente reviews
e lavori originali dedicati a quest’area della Medicina.
I dattiloscritti devono essere accompagnati da una richiesta di pubblicazione e da una dichiarazione firmata degli autori che l’articolo non è stato
inviato ad alcuna altra rivista, né che è stato accettato altrove per la pubblicazione. Tutti i lavori sono soggetti a revisione e si esortano gli autori
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Quaderni Acta Bio Medica - Gastroenterologia
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COME SCRIVERE UN CASE REPORT
La caratteristica chiave del case report è quella di aiutare il lettore a riconoscere e a trattare un problema simile, se mai dovesse ripresentarsi. Utilizzare un linguaggio chiaro e senza ambiguità, per presentare il materiale in
modo che il lettore abbia una chiara visione di:
-cosa è successo al paziente
-la cronologia di questi eventi
-perché il trattamento è stato eseguito in base a quei determinati concetti.
Cosa descrivere?
Osservare e pensare alla pratica clinica, vi sono molti casi rari o insoliti
che possono meritare una descrizione. La rarità non è però di per se stessa
motivo sufficiente di pubblicazione, il caso deve essere speciale e avere un
“messaggio” per il lettore; può servire a fornire la consapevolezza della
condizione in modo tale che la diagnosi possa essere più facile in futuro o
come una linea di trattamento possa essere più adatta di un’altra.
Il ruolo dei case report è di stabilire un specie di “precedente giudiziario”
per malattie relativamente rare.
Un altro gruppo è quello dei casi associati a condizioni inusuali, anche
sconosciute, che possono avere priorità diverse nel loro trattamento.
Come descrivere?
Titolo: Il titolo dovrebbe essere corto, descrittivo e capace di attirare
l’attenzione. Se il titolo di un case report contiene troppi dati il lettore
potrebbe avere la sensazione che esso abbia spiegato tutto quello che c’è
da sapere.
Introduzione: Solitamente si tende a scrivere una breve storia della malattia, ma questo materiale può essere inserito nella discussione. Il report
può cominciare semplicemente con la descrizione del caso.
Descrizione del caso: Il report deve essere cronologico e descrivere adeguatamente la presentazione, i risultati dell’esame clinico e quelli degli
accertamenti prima di andare avanti e descrivere l’evoluzione del paziente. La descrizione deve essere completa, accentuare le caratteristiche
positive senza oscurarle in una massa di rilievi negativi. Considerare
quali domande potrebbe fare un collega e assicurarsi che vi siano risposte
chiare all’interno del report. Le illustrazioni possono essere utili.
Discussione del caso: Lo scopo principale della discussione è di spiegare
come e perché sono state prese le decisioni e quale insegnamento è stato
recepito da questa esperienza. Possono essere necessari alcuni riferimenti
bibliografici ad altri casi, bisogna evitare tuttavia di produrre una review.
Lo scopo deve essere di definire e dettagliare il messaggio per il lettore.
Il case report renderà chiaro come un caso analogo dovrebbe essere trattato in futuro.
REVIEWS- LAVORI ORIGINALI
Articoli originali: comprendono lavori che offrono un contributo nuovo o
frutto di una consistente esperienza, anche se non del tutto originale, in
un determinato settore. Devono essere completi di Riassunto e suddivisi
nelle seguenti parti: Introduzione, Obiettivi, Materiale e Metodi, Risultati, Discussione e Conclusioni. Nella sezione Obiettivo deve essere sintetizzato con chiarezza l’obiettivo del lavoro, vale a dire l’ipotesi che si è
inteso verificare; nei Metodi va riportato il contesto in cui si è svolto lo
studio (Ospedale, Centro Specialistico…), il numero e il tipo di soggetti
analizzati, il disegno dello studio (randomizzato, in doppio cieco…), il
tipo di trattamento e il tipo di analisi statistica impiegata. Nella sezione
Risultati vanno riportati i risultati dello studio e dell’analisi statistica.
Nella sezione Conclusioni va riportato il significato dei risultati soprattutto in funzione delle implicazioni cliniche.
Review: devono essere inerenti ad uno specifico argomento e permettere al
lettore uno sguardo approfondito sul tema, offrendo una panoramica nazionale ed internazionale delle ultime novità in merito. L’autore deve offrire
un punto di vista personale basato su dati di letteratura ufficiali. Dovrà
essere suddiviso in Introduzione, Discussione e Conclusione e completo di
Riassunto. La bibliografia citata dovrà essere particolarmente ricca.
ILLUSTRAZIONI. È responsabilità dell’autore ottenere il permesso
(dall’autore e dal possessore dei diritti di copyright) di riprodurre illustrazioni, tabelle, ecc, da altre pubblicazioni. Stampe o radiografie devono
essere chiare.
Le TABELLE dovranno essere numerate consecutivamente con numeri
romani contraddistinte da un titolo.
Le VOCI BIBLIOGRAFICHE dovranno essere numerate secondo
l’ordine di citazione nel testo; quelle citate solamente nelle tabelle o nelle
legende delle figure saranno numerate in accordo con la sequenza stabilita
dalla loro prima identificazione nel testo. La lista delle voci bibliografiche
deve riportare il cognome e l’iniziale del nome degli Autori (saranno indicati tutti gli autori se presenti 6 o meno; quando presenti 7 nomi o più,
indicare solo i primi 3 e aggiungere “et al.”), il titolo del lavoro, il nome
della rivista abbreviato in conformità dell’Index Medicus, l’anno di pubblicazione, il volume e la prima e l’ultima pagina dell’articolo, Esempio:
Fraioli P., Montemurro L., Castrignano L., Rizzato G.: Retroperitoneal
Involvement in Sarcoidosis. Sarcoidosis 1990; 7: 101-105. Nel caso di un
libro, si indicheranno nel medesimo modo il nome degli Autori, il titolo,
il numero dell’edizione, il nome dell’Editore, il luogo di pubblicazione, il
numero del volume e la pagina. Nessun addebito verrà effettuato per foto
in bianco e nero. Comunicazioni personali non dovrebbero essere incluse
in bibliografia ma possono essere citate nel testo tra parentesi.
COPYRIGHT
© 2010 ACTA BIO MEDICA SOCIETÀ DI MEDICINA E SCIENZE NATURALI
DI PARMA. La rivista è protetta da Copyright. I lavori pubblicati rimangono
di proprietà della Rivista e possono essere riprodotti solo previa autorizzazione dell’Editore citandone la fonte.
Direttore Responsabile: M. Vanelli
Registrazione del Tribunale di Parma n° 253 del 21/7/1955
Finito di stampare: Dicembre 2010
La banca dati viene conservata presso l’editore, che ne è titolare. La rivista viene spedita in abbonamento; l’indirizzo in nostro possesso verrà utilizzato per l’invio di questa o di altre pubblicazioni scientifiche. Ai
sensi dell’articolo 10, legge 675/96, è nel diritto del ricevente richiedere la cessazione dell’invio e/o l’aggiornamento dei dati in nostro possesso.
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ACTA BIOMED 2010; 81; Quaderno di Gastroenterologia III: 5
© Mattioli 1885
F
O R E W O R D
Questo è il terzo ed ultimo numero del 2010 dei
Quaderni di Gastroenterologia di Acta BioMedica,
ormai una realtà nel panorama delle riviste di interesse medico-scientifico.
I lettori continuano ad apprezzare la qualità dei
casi pubblicati, dando soddisfazione a chi lavora per
rendere questa rivista sempre migliore e nello stesso
tempo spronando tutti noi a proseguire in questa avventura anche per l’anno ormai alle porte.
In questo numero, abbiamo raccolto sette casi clinici che si focalizzano essenzialmente sull’utilizzo del
beclometasone dipropionato nelle malattie infiammatorie croniche intestinali, con, in più, una rassegna che
focalizza l’attenzione sul ruolo dei batteri nell’aziopatogenesi delle malattie infiammatorie intestinali ed un
articolo originale sulla profilassi con BDP topico della proctite nei pazienti sottoposti a trattamento radioterapico sul distretto pelvico.
Nell’inserto centrale, segnaliamo un caso di colite segmentaria associata ai diverticoli (SCAD) efficacemente trattato utilizzando beclometasone dipropionato con efficace risoluzione della ematochezie.
Segnaliamo inoltre due casi interessanti di morbo di Crohn, uno di proctite attinica, uno di colite
microscopica attinica, ed uno di colite plasmacellulare.
Con l’augurio di essere riusciti a mantenere vivo
il Vostro interesse, Vi auguriamo buona lettura e Vi
diamo appuntamento al nuovo Quaderno.
Dott. Silvio Danese
Divisione di Gastroenterologia
Istituto Clinico Humanitas
IRCCS in Gastroenterologia, Milano
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© MATTIOLI 1885
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E V I E W
Ruolo della flora batterica intestinale nella patogensi delle
malattie infiammatorie intestinali croniche
Federico Cioni
Direttore scientifico Mattioli 1885 spa
(1) Barnich N, Darfeuille-Michaud A
World journal of Gastroenterology, 2007, 14,13(42),
5571-557
La malattia di Crohn (MC) e la colite ulcerosa (CU) sono
malattie infiammatorie granulomatose appartenenti al
gruppo delle malattie infiammatorie intestinali croniche
(IBD, o MICI in italiano). Possono colpire a tutto spessore qualunque tratto del tubo digerente dalla bocca all’ano
ed evolvono cronicamente, con frequenti riacutizzazioni,
complicandosi spesso con ulcere, fistole, ascessi e stenosi. Sono gravate da costi sanitari e sociali altissimi e spesso la
qualità di vita dei pazienti affetti è pesantemente compromessa. La loro etiopatogenesi è multifattoriale ed estremamente complessa ed è tutt’ora oggetto di studio. A partire
dalla fine degli anni ’90 numerosi studi sperimentali hanno suggerito e, successivamente, sostanzialmente confermato, il ruolo della flora batterica intestinale nello sviluppo della malattia di Crohn in soggetti geneticamente predisposti. Successive osservazioni hanno documentato in
particolare il ruolo di batteri Gram – in particolare di ceppi adesivi-invasivi di Escherichia coli (AIEC) – nell’indurre la patogenesi delle lesioni granulomatose immunomediate in pazienti geneticamente predisposti. Per discutere questa affascinante carrellata di ipotesi partiamo dal
bel lavoro pubblicato da N. Barnich et al, nel 2007, sul
World J of Gastroenterology (1).
La flora batterica intestinale ed il ruolo
dell’Escherichia coli nella patogenesi delle MICI
L’Escherichia coli (E. coli), è un batterio Gram – comunemente presente nella flora batterica intestinale.
I primi lavori che descrivevano la presenza di batteri
endotissutali all’interno della parete dei tratti di intestino interessati dalla malattia di Crohn, risalgono alla fine degli anni ‘90. A partire da frammenti di ileo
provenienti da chirurgia resettiva praticata su pazienti affetti e sani, si osservò, attraverso tecniche colturali, che E. Coli era presente nei campioni provenienti
dai malati con maggiore frequenza rispetto ai controlli sani. Poichè la ricerca di fattori di virulenza/
invasività/adesività noti non diede risultati apprezzabili, la conclusione fu che l’invasività non era attribuibile a geni conosciuti: i ricercatori proposero dunque
di creare un nuovo gruppo patogenetico: gli AIEC
(Adherent Invasive E. Coli). Successivamente venne
dimostrato che gli AIEC sono in grado di indurre
granulomi in vitro e di moltiplicarsi nei vacuoli fagocitici macrofagici (2). Oggi vi è un consenso diffuso
sulla successione di eventi che conduce alla comparsa
della malattia conclamata e sul ruolo che una abnorme colonizzazione batterica intestinale gioca in soggetti predisposti. (3-6). Diversi studi confermano che
la flora batterica intestinale nei pazienti affetti da
MICI è alterata, con una disbiosi caratterizzata da
una minor presenza di batteri benefici quali iI Bifidobacterium ed il Lactobacillus spp, mentre i Bacterioides
ed appunto alcuni ceppi di E. coli appaiono presenti in
misura anomala (7-9). In particolare nei soggetti affetti da MC si osservano maggior prevalenza percentuale di ceppi AIEC, maggiore abbondanza degli
stessi nei confronti di ceppi di E. coli non invasivi ed
un maggior numero di sottotipi di AIEC, rispetto ai
controlli (10).
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La cascata patogenetica del MC indotto da
colonizzazione della mucosa ileale da parte di AIEC
In accordo con questa ipotesi etiopatogenetica gli elementi chiave della cascata di eventi che conduce alla
comparsa di MICI conclamate (Tab 1, Fig 1) comprendono in primis la presenza di un substrato genetico predisponente la malattia: questo substrato genetico è il risultato di molteplici alterazioni, p. es. a carico
del gene codificante per il recettore cellulare NOD2,
che comportano una minor capacità di risposta immunitaria alla colonizzazione batterica a carico del tratto
gastrointestinale ed una eccessiva risposta immunitaria
Th1-mediata (11, 12). Recentemente è stata inoltre
Tabella 1. Cascata etiopatogenetica sequenziale del MC indotto da colonizzazione della mucosa dell’ileo da parte di AIEC
• colonizzazone anormale della mucosa intestinale da parte di
ceppi di E. coli AIEC, mediata dal legame delle adesine batteriche con i recettori CEACAM6 over-espressi da soggetti
geneticamente predisposti
• aumentata capacità da parte dei batteri di aderire e di invadere la mucosa intestinale, con conseguente superamento della
barriera intestinale da parte di batteri stessi
• sopravvivenza e replicazione dei batteri nei macrofagi della lamina propria
• induzione della produzione di Tumor necrosis factor alfa e
formazione dei granulomi
Figura 1. Tappe sequnziali del meccanismo di induzione della
malattia indotta da AIEC
N. Barnich, A. Darfeuille-Michaud
attribuita particolare importanza ad una abnorme
espressione a carico dell’epitelio intestinale delle molecole CAECAM6, che si comportano come recettori
per le adesine batteriche presenti sulle fimbrie di tipo
1 dei batteri a maggior capacità adesiva-invasiva (Fig
2). L’interazione tra E. coli e questo recettore favorisce
in seconda battuta una colonizzazione batterica anormale della mucosa intestinale (ceppi di AIEC sono
stati isolati nell’ileo del 36,4% dei pazienti affetti da
MC vs il 6% dei controlli ed il DNA di E. coli è presente nell’80% dei granulomi dei pazienti affetti da
MC) (13, 14), cui fa seguito l’induzione a carico della
mucosa della reazione infiammatoria cronica tipica
della malattia. Impedire l’adesione di questi batteri alla mucosa intestinale costituisce dunque una nuova
potenziale strategia terapeutica per prevenire o trattare la malattia di Crohn.
Le lesioni da Crohn sono molto spesso osservate sulla
parte terminale dell’intestino tenue o ileo, sul colon
ma in non rari casi, anche su entrambi i segmenti. Le
molecole CEACAM6 sono abnormalmente espresse a
livello dell’ileo nel 35% dei pazienti affetti da MC, ma
non nei controlli. D’altra parte esistono diverse conferme sperimentali del miglioramento clinico inducibile da una riduzione della colonizzazione batterica
intestinale (p. es. tramite lavaggi intestinali o sommi-
Figura 2. Fig 2: L’infezione sostenuta da AIEC dipende dalla
capacità di questi patogeni di colonizzare la parete del tratto
gastrointestinale di soggetti geneticamente predisposti. I fattori chiave da questo punto di vista sono la espressione di CEACAM6 nella mucosa ileale, che facilita la colonizzazione da
parte degli AIEC, e di recettori NOD2 mutati che influenzano le capacità di difesa intracellulari nei confronti dei batteri
che aggrediscono le cellule della mucosa intestinale
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Ruolo della flora batterica intestinale nella patogenesi delle malattie infiammatorie intestinali croniche
nistrazione di antibatterici) (15-17). È altresì noto che
la diversione del transito fecale migliora la sintomatologia di questi pazienti, mentre la rinnovata esposizione postoperatoria della mucosa al contenuto intestinale la peggiora (18).
Conclusioni
Sono ormai numerose le evidenze che confermano il
ruolo degli AIEC nell’indurre la patogenesi del MC
ileale: in Tabella 1 e nelle Figg 1 e 2 viene proposta
una possibile successione degli eventi che determinano la comparsa della malattia, in soggetti geneticamente predisposti. Da questo punto di vista la mutazione dei geni codificanti per il recettore NOD2 e per
le molecole CAECAM6 appaiono oggi i fattori predisponenti chiave, mentre la colonizzazione della parete
intestinale da parte degli AIEC risulta il fattore scatenante la patologia.
Questi dati sembrano fornire il razionale teorico di sostegno a protocolli di trattamento farmacologico del
MC in particolare e delle MICI in generale, basati
sull’utilizzo di immunomodulatori, di farmaci biologici e di antibiotici/probiotici, anche se l’efficacia terapeutica dei trattamenti antiinfiammatori classici appare a tutt’oggi indiscussa.
Bibliografia
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O R I G I N A L E
Profilassi della proctite nei pazienti sottoposti a trattamento
radioterapico sul distretto pelvico. Nostra esperienza
P. Delia, S. Lopes, M. Pisana, G. Sansotta, A. Potami, G. Messina, P. Frosina, C. De Renzis
Unità Operativa Complessa di Radioterapia Oncologica. Azienda Policlinico Universitario Messina
Introduzione
Nei pazienti irradiati sul distretto pelvico, frequente, è il riscontro di un effetto collaterale piuttosto
ingravescente quale la proctite.
Essa, oltre a peggiorare la qualità di vita del paziente sottoposto al trattamento radioterapico, può in
casi estremi comportare l’interruzione del trattamento
radiante stesso.
La proctite in genere insorge dopo circa 2 settimane dall’inizio del trattamento, essa è correlata con
l‘entità della dose per frazione e con il volume irradiato. Essa è caratterizzata da tenesmo, emissione di muco e flogosi dei plessi emorroidali con eventuale sanguinamento (1). La reazione iniziale è del tipo precoce e può avvenire in corso di radioterapia (2).
Come dimostrato dai dati della letteratura, diversi sono i mezzi dietetici e farmacologici utili a prevenire tale sintomatologia. Infatti frequente è l’uso di
una dieta in cui sono evitati del tutto fritti, soffritti, cibi speziati, insaccati (3).
Inoltre bisogna associare norme igieniche al fine
di evitare la stasi venosa: cioè attività fisica , ed accurata igiene locale con detergenti non alcalini.
Per quanto riguarda invece i trattamenti medici
questi si basano sull’utilizzo vasoprotettori, (quale osserutina), antiflogistici (acetato di idrocortisone) , anestetici locali (lidocaina cloridrato) (4-6).
Scopo del nostro lavoro, è quello di utilizzare, oltre
ad un regime dietetico appropriato, una associazione di
un antinfiammatorio intestinale ad azione locale (beclo-
matasone dipropionato)+mesalazina , onde ridurre la
comparsa di incidenza della proctite, migliorando così la
qualità di vita del pz. e diminuendo drasticamente il rischio di interruzione delle sedute radioterapiche .
Materiali e metodi
Da Gennaio 2006 a Aprile 2007 , presso l’Unità
Operativa Complessa di Radioterapia Oncologica dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Messina, sono
stati reclutati 100 pazienti di cui 55 di sesso maschile
e 45 di sesso femminile, con età compresa tra 45 e 65
anni, Performance Status superiore a 70, e per quanto
riguarda la patologia, 53 affetti da cancro del colon –
retto già sottoposti a intervento chirurgico di resezione anteriore, e 37 affetti da cancro del corpo – collo
utero già sottoposti a intervento chirurgico di isteroannessiectomia.
I pazienti sono stati suddivisi in due bracci :
Braccio A = 50 pz da sottoporre a sola Radioterapia
Braccio B = 50 pz a cui in associazione alla RT veniva
somministrato un clisma rettale di beclometasone dipropionato 3mg + mesalazina 1,5 g granulare per sospensione rettale, alla dose di 2 volte die sin dal primo giorno del trattamento radioterapico.
Ai pazienti di entrambi i gruppi, sin dall’inizio del
trattamento radioterapico, veniva prescritta una dieta
moderatamente ipercalorica, al fine di compensare sia la
perdita di peso secondaria all’intervento chirurgico, che le
situazioni di “stress”metabolico radioindotto; ipolidica,
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Profilassi della proctite nei pazienti sottoposti a trattamento radioterapico sul distretto pelvico . Nostra esperienza
Tabella 1. Valutazione della tossicità
GRADO 0
GRADO 1
GRADO 2
GRADO 3
GRADO 4
GRADO 5
Assente
Debole dolore che
non richiede l’uso
degli analgesici.
Mucosite a chiazza con suppurazione infiammatoria e
siero sanguinante
e dolore moderato.
Mucosite confluente fibrinosa
con forte dolore
che richiede l’uso
dei narcotici.
Ulcerazione, emorragia o necrosi.
Morte direttamente legata agli effetti delle radiazioni.
inoltre, per ridurre al massimo la secrezione di acidi biliari; nella quota glucidica venivano privilegiati gli zuccheri
semplici, in particolare il fruttosio; per l’assunzione di
proteine si sono preferite le catene oligopeptidiche, più
facilmente assimilabili dalla mucosa enterica che presenta deficit enzimatici di superficie radioindotti; la dieta
presentava un normale contenuto di fibre ed infine
l’assunzione dei cibi veniva suddivisa in 5 frazionamenti
giornalieri, per migliorarne l’assimilabilità.
Tutti i pazienti sono stati irradiati con Linac X-10
dotato di multileaf collimator, con tecnica multiportale “ box” con limite inferiore dei campi al di sotto dei
forami otturatori, limite superiore al passaggio L5-S1,
limite laterale 1,5 cm oltre la linea innominata.
Il paziente affetto da ca del colon-retto veniva irradiato in posizione prona su un sistema di immobilizzazione personalizzato per opportuna dislocazione
delle anse del tenue, mentre quello con ca utero in posizione supina, entrambi i trattamenti venivano effettuati con paziente a vescica piena, ciò al fine di dislocare anteriormente e superiormente le anse intestinali; infine per tutti i pazienti venivano utilizzate protezioni personalizzate le quali, pur rispettando il volume
bersaglio, tendevano a schermare il maggior volume
possibile di anse intestinali (7, 8).
La dose totale erogata è stata compresa tra 50 –
60 Gy. Le dimensioni dei campi di irradiazione venivano ridotte alla dose di 45 Gy .
La tossicità rettale acuta è stata valutata secondo
il gruppo di lavoro RTOG/EORTC (Tab. 1) (9).
Tabella 2. Risultati.
Grado WHO
Pazienti gruppo A
Pazienti gruppo B
4
3
2
1
0
4
11
19
10
5
1
5
14
19
10
Risultati
Nei pazienti del gruppo A, sono stati valutati 49
su 50 (98 %) pazienti in quanto 1 ha dovuto interrompere il trattamento per insorgenza di enterite acuta refrattaria ai comuni trattamenti farmacologici. La
tossicità è stata rilevata in 44 (89.7 %) pazienti, in questi si è avuta:
Grado 4 in 4 pz (9 %); di Grado 3 in 11 (25 %); di
Grado 2 in 19 (43.1 %); di Grado 1 in 10 (22.7 %); di
Grado 0 in 5 ( 10.2 %) .
Nei pazienti del gruppo B, sono stati valutati 49
su 50 pazienti (98 %), in quanto 1 ha interrotto il trattamento in maniera autonoma pur non presentando
alcun effetto collaterale. La tossicità è stata rilevata in
39 pazienti (79.5 %) ed è stata cosi classificata:
Grado 4 in 1 pz (2.5 %); Grado 3 in 5 pz (12.8%);
Grado 2 in 14 pz (35.8 %); Grado 1 in19 pz (48.7%);
Grado 0 in 10 pz (20.4 %).
Conclusioni
Alla luce delle considerazioni sopra esposte, possiamo concludere dicendo, che il trattamento profilattico con beclometasone dipropionato+mesalazina si è
rilevato efficace nel prevenire la comparsa della proctite in quei pazienti sottoposti a trattamento radioterapico, consentendo agli stessi di portare a termine il
trattamento radiante previsto con un miglioramento
diretto ed indiretto sulla loro qualità di vita, e con buona tollerabilità per il paziente.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dr. Pietro Delia
Unità Operativa Complessa di Radioterapia Oncologica
Azienda Policlinico Universitario - Messina
E-mail: [email protected]
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R E P O R T
Efficacia del beclometasone dipropionato in un caso di
colite plasmacellulare
Francesco Azzaroli1, Laura Turco1, Nunzio Salfi2, Claudio Calvanese1, Giuseppe Mazzella1
Dipartimento di Medicina Clinica, Università degli Studi di Bologna, U.O. di Gastroenterologia, Policlinico S.OrsolaMalpighi
1
Dipartimento di Ematologia, Oncologia e Medicina di Laboratorio, U.O. di Anatomia Patologica, Policlinico S.OrsolaMalpighi Bologna
2
La diarrea cronica è un disturbo di comune riscontro nella pratica quotidiana del medico di medicina generale, dell’internista e del gastroenterologo. Può
essere definita come un aumento del peso fecale (>
200-250 grammi/die), un aumento del contenuto liquido delle feci ed una frequenza delle evacuazioni superiore a tre volte al giorno (10). Nella maggior parte
dei casi non si presenta come sintomo isolato, ma
spesso si accompagna ad altri sintomi quali dolori addominali, tenesmo, urgenza nella defecazione e fastidio perianale. Le cause che possono portare alla diarrea cronica sono varie: sindromi da malassorbimento
quali celiachia, pancreatite cronica, sprue tropicale;
malattie infiammatorie intestinali croniche quali Morbo di Crohn e Rettocolite Ulcerosa; forme derivanti da
endocrinopatie tra cui ipertiroidismo, Morbo di Addison, Diabete Mellito, sindrome da carcinoide, ma anche cause meno note come le Coliti Microscopiche e
le Coliti Indeterminate.
Descriveremo di seguito il caso clinico di una paziente di 34 anni con diagnosi di Colite Plasmacellulare (facente parte delle Coliti Indeterminate) trattata
con successo con un ciclo di Beclometasone Dipropionato della durata di tre mesi.
Caso Clinico
Nel novembre 2007 giungeva alla nostra attenzione la signora R.S., di anni 34 che lamentava diarrea cronica da alcuni mesi. Da circa 3 settimane prima
della visita la frequenza delle evacuazioni era incre-
mentata fino ad arrivare alle 25 scariche quotidiane.
Le evacuazioni si presentavano sia diurne che notturne con feci liquide, di volume aumentato, non sanguinolente ed accompagnate da tenesmo rettale.
In anamnesi si segnalava la presenza di Tiroidite
Autoimmune in terapia sostitutiva con livelli sierici di
ormoni tiroidei nei valori di normalità. La biochimica
non presentava alterazioni dell’emocromo, degli indici
di flogosi e degli elettroliti. Per la definizione del quadro clinico la paziente è stata quindi sottoposta ad
Ileo-Pancolonscopia condotta sino al fondo ciecale e
lungo gli ultimi 20 centimetri di ileo. L’indagine ha
evidenziato: valvola ileo-ciecale e mucosa ileale macroscopicamente nella norma. La mucosa colica si presentava rosea, lievemente edematosa e con lieve riduzione della alberatura vascolare lungo tutto il viscere.
Sono state quindi eseguite biopsie random sia nell’ileo
che lungo il colon (cieco, ascendente, trasverso, discendente, sigma e retto).
L’esame istologico della mucosa ileale documentava la presenza di villi normali con numero di linfociti intraepiteliali non significativo; nonostante fosse
poco probabile è stata comunque esclusa mediante ulteriori indagini una malattia celiaca.
L’esame istologico delle biopsie coliche metteva
invece in evidenza la presenza di edema e lieve incremento dell’infiltrato flogistico cronico della tonaca
propria, caratterizzato da una prevalenza plasmacellulare, con alcuni follicoli linfoidi senza evidenziare un
incremento significativo del numero di linfociti intraepiteliali (figura 1). Non evidenza di micro-organi-
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Figura 1. Prevalenza plasmacellulare dell’infiltrato con modica plasmocitosi basale senza incremento dei linfociti intraepiteliali. Ematossilina/Eosina, ingrandimento 200X
smi. Il quadro è aspecifico ma suggerisce un prolungato stimolo immunologico. La caratterizzazione immunoistochimica dell’infiltrato plasmacellulare mostrava
un profilo politipico per catene Kappa e Lambda, confermando così la sua natura reattiva.
In base a questo quadro la paziente è stata sottoposta a terapia cortisonica mediante l’impiego di Beclometasone Dipropionato 5 mg (Clipper 5 mg cpr- Chiesi
Farmaceutici Spa) per tre mesi al dosaggio di 3 cpr/die
per il primo mese, 2 cpr/die il secondo e 1 cpr/die il terzo mese di trattamento. Già a partire dalla seconda settimana di trattamento la paziente riferiva notevole beneficio con dimezzamento del numero delle scariche quotidiane. Successivamente, progressivo miglioramento clinico con raggiungimento di una evacuazione giornaliera
di feci formate entro il primo mese di trattamento. Ciò
rendeva possibile la riduzione di dose del farmaco a 10
mg/die per il secondo mese e poi a 5 mg/die per il terzo
mese. In seguito la terapia è stata sospesa per valutare il
comportamento della malattia. Dopo la sospensione non
si è osservata recidiva clinica fino ad oggi. La paziente ha
rifiutato controlli endoscopici successivi finalizzati alla rivalutazione del quadro istologico.
Discussione
Il caso che abbiamo descritto non è classificabile
nelle più comuni forme di malattia infiammatoria intestinale in quanto il quadro endoscopico risultava so-
F. Azzaroli, L. Turco, N. Salfi, C. Calvanese, G. Mazzella
stanzialmente nella norma, mentre quello microscopico presentava un infiltrato infiammatorio caratterizzato da una prevalenza di plasmacellule. Questa descrizione di quasi normalità endoscopica, ma con infiltrato flogistico sottostante è comune in particolare a due
gruppi di patologie: da un lato le Coliti Indeterminate e dall’altro le Coliti Microscopiche.
Queste ultime in particolare sono riscontrate in
circa il 20% degli adulti con diarrea cronica (1) che
presentano una normalità macroscopica alla colonscopia, ma la cui istologia rivela un aumento dei linfociti
nella mucosa colica. La patologia si presenta tipicamente con una diarrea acquosa non sanguinolenta che
può essere accompagnata da crampi addominali, perdita di peso, incontinenza fecale ed in rari casi, quando il numero di scariche alvine giornaliere è elevato,
disidratazione. La Colite Microscopica si può verificare a tutte le età, sia negli uomini che nelle donne, con
un aumento dell’incidenza nelle donne di età media.
In particolare sia uno studio epidemiologico Spagnolo
che uno Svedese (2-3) stimano una prevalenza della
malattia intorno al 10% di tutti i pazienti con diarrea
cronica.
Gli esami laboratoristici effettuati in questi pazienti non forniscono informazioni aggiuntive alla
diagnosi che è data principalmente dall’esame istologico. Le anomalie microscopiche sono diffuse in tutto
il colon per cui per una diagnosi di certezza occorre effettuare biopsie multiple su varie regioni coliche durante l’indagine endoscopica. Per questo motivo
l’esame più efficace risulta essere la pancolonscopia in
quanto una semplice rettosigmoidoscopia porterebbe
ad una mancata diagnosi in ben il 40% dei soggetti (4).
L’esame istologico permette inoltre di distinguere
due diverse forme di colite microscopica: collagenosica e linfocitaria. Entrambe all’esame istologico dimostrano un infiltrato linfocitico della lamina propria e
dell’epitelio. La Colite Collagenosica si differenzia
dalla Linfocitaria per la presenza di un ispessimento
dello strato di collagene sub epiteliale.
Oltre alla terapia anti diarroica non specifica come la Loperamide (5, 6) il trattamento delle coliti microscopiche prevede l’uso degli steroidi sistemici (7).
Le esperienze pubblicate finora riportano l’efficacia
dei cortisonici, in particolare della Budesonide anche
nei pazienti che non rispondono alla sola Loperamide.
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Efficacia del beclometasone dipropionato in un caso di colite plasmacellulare
Una recente meta-analisi della Cochrane (7) sulla colite collagenosica documenta infatti un significativo
miglioramento sia clinico che istologico in tutti i
gruppi di pazienti trattati, con un Odds Ratio di 12.32
sulla risposta clinica.
Altre possibilità terapeutiche sono rappresentate
da Bismuto Subsalicilato (8), poco utilizzato in quanto necessita di alti dosaggi ed è mal tollerato dalla
maggior parte dei pazienti; dalla colestiramina e dalla
mesalazina o dalla loro associazione (11).
Per quanto riguarda invece le Coliti Indeterminate (CI) di cui fa parte il nostro caso di Colite Plasmacellulare, occorre innanzitutto specificare che il termine “Colite Indeterminata” è stato introdotto originariamente nel 1978 per indicare quelle forme di Malattie Infiammatorie Intestinali che non possono essere
classificate come Morbo di Crohn (CD) o Rettocolite
Ulcerosa (RCU) . In genere nella maggior parte dei
casi la diagnosi di Colite Indeterminata rappresenta
una diagnosi provvisoria e circa l’80% dei pazienti
vengono riclassificati come affetti da CD o RCU (9).
La presentazione clinica comune dei pazienti con
CI è caratterizzata da una colite acuta, fulminante che
a volte può richiedere una colectomia d’urgenza.
A tutt’oggi tuttavia conosciamo molto poco circa
il corso dei pazienti con diagnosi vera di CI, i quali sono comparati anche in questi casi a pazienti affetti da
CD o RCU in base a somiglianze cliniche, laboratoristiche e strumentali.
Non esiste a tutt’oggi nessun trial clinico che abbia valutato l’efficacia di qualche agente terapeutico
nei pazienti con CI anche se le correnti raccomandazioni cliniche suggeriscono di trattarli come pazienti
affetti da RCU. Per questo motivo la nostra paziente
con diagnosi di Colite Plasmacellulare, necessitando
di trattamento con steroidi, è stata sottoposta ad un ciclo di 3 mesi di Beclometasone Dipropionato, terapia
che ha dimostrato la sua efficacia già nell’arco delle
prime due settimane con una completa remissione clinica nel corso dei primi 40 giorni di trattamento.
Il Beclometasone Dipropionato è un corticosteroide che raggiunge bassi livelli ematici per via di un
elevato effetto di primo passaggio. Tale caratteristica
unitamente alla formulazione a rilascio modificato lo
rende un farmaco molto maneggevole nella pratica clinica in particolare nelle forme di colite lieve-modera-
ta. Nel nostro caso, pur in assenza di febbre, era presente un elevato numero di scariche diarroiche quotidiane che suggeriva la presenza di una forma di colite
ad attività infiammatoria moderata-severa confermata
dal risultato istologico. Pertanto, la nostra scelta è stata quella di utilizzare, in una donna giovane, un cortisonico sistemico a bassa incidenza di effetti collaterali
anche se a dosaggio elevato. In questo caso abbiamo
utilizzato 15 mg/die per un mese senza apprezzabili
effetti collaterali se non una lieve tachicardia regredita
con la riduzione di dose a 10 mg/die.
In questo particolare caso di colite indeterminata il
BDP si è rivelato efficace e maneggevole suggerendo
come questo possa rappresentare una valida alternativa
alle altre opzioni terapeutiche note. Inoltre, è da notare
come dopo la sospensione del trattamento non si siano
verificate riattivazioni della malattia fino ad oggi. Ciò
suggerisce, come peraltro emerge anche da altri studi
che accanto a casi che lamentano sintomi cronici continui o intermittenti vi sono anche pazienti che dopo la
risposta terapeutica mantengono remissioni di lunga
durata anche in assenza di trattamento (12).
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dr.ssa Laura Turco
Dip. di Medicina Clinica
Università degli Studi di Bologna
U.O. di Gastroenterologia
Policlinico S.Orsola-Malpighi
E-mail: [email protected]
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R E P O R T
La colite segmentaria associata ai diverticoli (SCAD): uso
del Beclometasone dipropionato nelle forme emorragiche
Enzo Ierardi, Nicola Della Valle, Rosa Rosania, Mariangela Zotti, Matteo Antonino,
Antonio Facciorusso, Carmine Panella
U.O. Gastroenterologia Universitaria, Dipartimento di Scienze Mediche, Università di Foggia,
Ospedali Riuniti OO.RR. Foggia
Introduzione
La colite segmentaria associata ai diverticoli
(SCAD) è una malattia infiammatoria cronica confinata
al segmento intestinale interessato dalla malattia diverticolare. Pertanto, nella maggior parte dei casi, la malattia
è localizzata al sigma e al colon e risparmia il retto ed il
colon prossimale (1). Caratteristicamente la flogosi interessa la mucosa e può mimare aspetti clinici e endoscopici tipici di altre patologie infiammatorie croniche intestinali come il morbo di Crohn e la Rettocolite Ulcerosa
tanto da rendere difficile una corretta diagnosi differenziale (2).
La SCAD non è una malattia rara. La precisa incidenza della SCAD non è ancora stata definita, ma studi
epidemiologici ne hanno stimato il valore intorno allo
0.3-1.4% dimostrando una maggiore insorgenza nei paesi ad elevato sviluppo socioeconomico, di sesso maschile
ultrasessantenni (3).
L’eziologia e patogenesi non sono note. Verosimilmente si tratta di una malattia a genesi multifattoriale i
cui possibili fattori eziologici agiscono attivando un processo infiammatorio immunologicamente mediato. La
stretta correlazione istologica tra la SCAD e le malattie
infiammatorie croniche intestinali e l’evoluzione in alcuni casi della SCAD in Rettocolite Ulcerosa hanno suggerito che alla base del danno ci sia un’inappropriata risposta del sistema immunitario ad antigeni intraluminali. Per quanto riguarda l’eziologia, a oggi si riconoscono
differenti agenti capaci di attivare la flogosi (4).
E’ stato proposto un ruolo della flora batterica; in
quanto secondariamente alla stasi fecale ci sarebbe una
variazione delle specie microbiche e delle attività enzimatiche. Altri fattori eziologici sono l’aumento della permeabilità della mucosa intestinale ad antigeni intraluminali, l’ischemia focale secondaria alle variazioni della permeabilità del microcircolo e la produzione locale di ossido nitrico e di radicali liberi dell’ossigeno.
Clinicamente il sintomo tipico è l’ematochezia accompagnata a dolori crampiformi addominali e turbe
dell’alvo che possono presentarsi con diarrea alternata a
costipazione, flatulenza e evacuazione incompleta. Nausea, vomito, perdita di peso e febbre sono generalmente
assenti. La durata dei sintomi è variabile (5).
Per quanto riguarda l’anatomia patologica, macroscopicamente il tratto intestinale interessato dalla flogosi
si presenta con una mucosa iperemica, edematosa, granuleggiante e friabile (tendente al sanguinamento). Microscopicamente, l’infiltrato infiammatorio è limitato alla
sola tonaca ed è di tipo cronico a moderata-severa attività
con possibile presenza di ascessi criptici ed interessa prevalentemente i tratti intestinali contigui ai diverticoli (6).
La diagnosi di SCAD è molto complessa, richiedendo non solo una valutazione clinica ed endoscopica
del paziente, ma un’attenta valutazione istologica. Il laboratorio di solito non evidenzia alterazioni specifiche (7).
La maggior parte dei pazienti con SCAD in fase di
quiescenza clinica risponde al trattamento medico della
malattia diverticolare con cicli di antibiotici e dieta ricca
di fibre. In caso di fallimento di questo primo approccio,
è utilizzata la somministrazione di farmaci antinfiammatori quali mesalazina e sulfasalazina con terapia steroidea
sistemica. Nel caso di patologia refrattaria a terapia medica, con comparsa di complicazioni quali ostruzioni o
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E. Ierardi, N. Della Valle, R. Rosania, M. Zotti, et al
sanguinamento importante, può essere necessario
l’intervento chirurgico con resezione del segmento interessato. E’ comune un decorso a poussées con riattivazione clinica dopo una fase di quiescenza (8, 9).
Riportiamo in questo studio la nostra esperienza terapeutica sull’uso del Beclometasone dipropionato nei
pazienti con SCAD caratterizzate da ematochezia refrattaria alle terapie con antibiotici e/o mesalazina.
l’assenza completa del sintomo e 5 la sua massima espressione.
In uno dei sette pazienti abbiamo potuto disporre di
un campione bioptico della mucosa del sigma nell’area
peridiverticolare sia nel semestre antecedente che successivo alla somministrazione di beclometasone. Su tali
campioni abbiamo condotto sia un esame istologico convenzionale che la colorazione immunoistochimica per il
tumour necorosis factor alpha (TNF alpha) (10).
Materiali e metodi
Analisi statistica
I dati così raccolti sono stati poi sottoposti ad analisi statistica con test t di Student per dati appaiati. Abbiamo considerato statisticamente significativo un valore di
p<0.05.
Pazienti
Il nostro è stato uno studio aperto che ha arruolato
pazienti affetti da SCAD, diagnosticata endoscopicamente ed istologicamente nel 2009 presso il nostro Centro e che si manifestava clinicamente con ematochezia ricorrente, nonostante un trattamento con Rifamixina alla
dose di 400 mg x 2 al dì per 7 giorni al mese e mesalazina 800 mg x 3 al dì in modo continuativo da almeno 3
mesi. La popolazione arruolata per il nostro studio è stata costituita da 7 pazienti (5 di sesso maschile e 2 femminile, compresi in un range d’età tra 60 e 75 anni con
un valore mediano di 68.16 anni). All’atto dell’inclusione
i pazienti sono stati trattati con Beclometasone diproprionato alla dose di 5-10 mg al dì per un periodo di 26 settimane. Il criterio per le decisioni riguardo al dosaggio ed alla durata della terapia era rappresentato dalla
scomparsa dell’ematochezia. I cicli terapeutici potevano
essere ripetuti in caso di ricomparsa del sintomo.
Parametri di valutazione clinica
Lo studio è stato condotto attraverso la valutazione
di parametri clinici nel semestre precedente e successivo
all’introduzione del farmaco. La valutazione è stata fatta
mediante la somministrazione di un questionario che valutasse la presenza dei seguenti sintomi:
a) dolore addominale: diffuso e/o localizzato in fossa iliaca sinistra,
b) meteorismo e/o flatulenza,
c) sanguinamento rettale,
d) caratteristiche dell’alvo: consistenza delle feci (normale, ridotta o aumentata) e frequenza delle evacuazioni
giornaliere e settimanali.
Per ogni parametro clinico, abbiamo valutato la sua
entità con una scala da 0 a 5 dove 0 rappresentava
Risultati
I nostri risultati sono sintetizzati nella tabella 1.
Come si evince dai dati raccolti nell’arco di 12 mesi, l’introduzione del beclometasone dipropionato compresse in terapia ha portato un significativo miglioramento sia della sintomatologia dolorosa addominale diffusa che di quella localizzata al fianco sinistro. Un altro
parametro significativamente modificato in positivo dall’introduzione del farmaco è stato il numero di episodi di
ematochezia che dopo l’introduzione del trattamento si è
ridotto al disotto dell’unità; questo dato è dovuto alla
scomparsa del sintomo nella maggior parte dei pazienti.
Infine, l’introduzione in terapia del beclometasone dipropionato ha portato alla riduzione significativa del numero di evacuazioni giornaliere con un miglioramento dichiarato della qualità della vita nonchè alla normalizzazione della consistenza delle feci.
L’unico parametro che non è stato modificato è stato il meteorismo.
Nella figura 1 è riportata la colorazione immunoistochimica del TNF alpha e il quadro istologico prima e
dopo introduzione del trattamento. Come si evince dalle
immagini, il beclometasone dipropionato ha indotto una
riduzione del danno mucosale con ripristino della normale popolazione epiteliale mucipara nonchè una marcata riduzione dell’infiltrato flogistico della lamina propria
e della cellule stromali TNF alpha positive.
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La colite segmentaria associata ai diverticoli (SCAD): uso del Beclometasone dipropionato nelle forme emorragiche
Tabella 1. “scores” sintomatologici nei semestri prima e dopo somministrazione di beclometasone dipropionato nei 7 pazienti con
SCAD inclusi nel presente studio.
SINTOMO (score: media ± SD)
prima
dopo
p
EDolore addominale diffuso
2.7 ± 0.9
0.7 ± 1.9
0.0086
Dolore addominale fossa iliaca sinistra
2.7 ± 1.1
1.0 ± 1.1
0.0108
Meteorismo e/o flatulenza
2.7 ± 1.9
2.4 ± 2.1
NS
Consistenza feci:
aumentata
normale
ridotta
0/7
0/7
7/0
0/7
7/0
0/7
Evacuazioni/die
5.5 ± 2.8
1.3 ± 0.8
0.0033
Ematochezia (episodi/6 mesi)
2.6 ± 1.8
0.6 ± 0.8
0.0445
A
B
Figura 1. Mucosa del sigma nell’area peridiverticolare sia nel semestre antecedente (figura 1 a) che successivo (figura 1 b) alla somministrazione di beclometasone dipropionato. Il farmaco ha indotto una riduzione del danno mucosale con ripristino della normale popolazione epiteliale mucipara nonchè una marcata riduzione dell’infiltrato flogistico della lamina propria e della cellule stromali TNF alpha positive (colorate in marrone scuro: diaminobenzidina, negative in blue: contrasto con emotossilina).
Discussione
In questo studio prospettico aperto, abbiamo valutato l’efficacia terapeutica del beclometasone dipropionato
in corso di SCAD, una patologia non frequente ma certamente sottostimata (9). Si tratta, infatti, di una forma
minore di malattia infiammatoria cronica intestinale che
si associa invariabilmente alla presenza di diverticoli, colpisce soggetti in età avanzata e può essere facilmente con-
fusa con la diverticolite. Tuttavia, recenti evidenze dimostrano che l’etiopatogenesi di questa malattia coinvolge
più che un semplice evento infettivo di tipo batterico (come nella diverticolite tradizionale), vale a dire un’alterazione dell’equilibrio del sistema immunitario (simile,
pertanto, a quanto accade nel morbo di Crohn e nella rettocolite ulcerosa) (6). Numerose evidenze dimostrano
che il quadro endoscopico/istologico è molto simile a
quello della rettocolite con la sola differenza del rispar-
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mio del retto come sede del processo flogistico. Inoltre, il
“pattern” del TNF alpha, citochina che gioca un ruolo
chiave nella patogenesi delle malattie infammatorie croniche intestinali, ha un’ importanza non secondaria anche
nel determinismo della SCAD. Il nostro gruppo, a questo proposito, ha descritto il primo caso al mondo trattato con TNF alpha, perchè refrattario a qualsiasi altra forma di terapia (11).
Il beclometasone dipropionato, proprio perchè è
uno steroide con effetto topico, ha mostrato in questa nostra esperienza un’efficacia terapeutica significativa sia sui
sintomi dolori addominali e alterazioni dell’alvo che, soprattutto sull’ematochezia, confermando indirettamente
il coinvolgimento di un’alterata risposta immunitaria nel
determinismo della patologia. E’ da sottolineare a questo
proposito che i pazienti della nostra serie non avevano risposto nè al trattamento antibiotico (e questo escluderebbe un evento meramente infettivo), nè a quello con
mesalazina (farmaco capace di mantenere, ma non indurre la remissione nelle malattie infiammatorie croniche
intestinali). Questo concetto è ulteriormente sostenuto
dall’osservazione di una riduzione del TNF alpha mucosale in un caso con risposta terapeutica completa e remissione clinica, endoscopica ed istologica.
Il mancato effetto del farmaco sul sintomo meteorismo può essere spiegato con il fatto che questo (si definisce meteorismo e/o flatulenza un disturbo correlato alla
presenza di gas nell’intestino e/o alla emissione dello
stesso) potrebbe non essere considerato un segno tipico
della malattia. Infatti, il meteorismo è associato a condizioni di eccesso di produzione di gas (maldigestione al
lattosio, contaminazione batterica del tenue) dovute ad
un aumentato substrato soggetto a fermentazione da parte della flora batterica intestinale, piuttosto che ad una
flogosi della parete intestinale stessa.
In conclusione, la nostra esperienza dimostra
l’efficacia del beclometasone dipropionato nel trattamento della SCAD. Noi riteniamo che tale farmaco debba
essere considerato un presidio fondamentale in tale condizione non soltanto per la sua efficacia, ma anche per la
pressocchè completa assenza di effetti collaterali e per la
ripetibilità dei cicli terapeutici ad ogni episodio di riacutizzazione della malattia, che dovrebbe ormai avere un
posto non secondario nel bagaglio delle conoscenze del
gastroenterologo.
E. Ierardi, N. Della Valle, R. Rosania, M. Zotti, et al
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Morini S. Tumour necrosis factor alpha downregulation and
therapeutic response to infliximab in a case of segmental colitis associated with diverticula. Gut. 2006; 55: 589-90.
Indirizzo per la corrispondenza:
Prof. Enzo Ierardi, M.D.
U.O. Gastroenterologia Universitaria,
Dipartimento di Scienze Mediche
Università di Foggia,
Ospedali Riuniti OO.RR, Viale L. Pinto
71100 - Foggia
Tel. 0881.733848
Fax 0881.733849
e-mail: [email protected]
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ACTA BIOMED 2010; 81; Quaderno di Gastroenterologia III: 21-25
C
A S E
© Mattioli 1885
R
E P O R T
Uso della mesalazina e del beclometasone dipropionato
nella prevenzione della proctite e dell’ enterite attinica
D. Pingitore, A. Destito, E. Mazzei, R. Molè, M.A. Molinaro, M. Santoro
U.O Radiotherapy and Radiobiology A. O. Pugliese-Ciaccio Catanzaro
Introduzione
La radioterapia ( RT) costituisce attualmente uno
dei principali presidi terapeutici per il trattamento delle
neoplasie del distretto pelvico, da sola o in associazione
con la chirurgia e/o la chemioterapia. La tossicità attinica enterica rappresenta l’elemento condizionante il trattamento radiante pelvico. La eziopatogenesi è fondamentalmente bifattoriale: danno diretto da radiazioni sul
volume del tenue irradiato; danno “mediato” alla mucosa enterica condizionato dal suo contenuto (Miller
1998;Lewis 1995). La radioterapia infatti determina un
effetto citotossico su tutte le cellule epiteliali che proliferano continuamente e rapidamente, quindi ha un effetto lesivo anche sull'epitelio del tratto intestinale. Fenomeni di necrosi tissutale sono già osservabili dopo 12-24
ore dalla somministrazione giornaliera di dosi >1,5 Gy e
la sintomatologia diviene più intensa nei giorni e settimane successive. L’enterite da raggi rappresenta una
complicanza non infrequente della irradiazione dell’addome suscettibile di interferire in modo anche grave con
il trattamento, con le condizioni del paziente e con lo
sviluppo di sequele a distanza di tempo. La enterite attinica puè presentarsi in forma acuta e cronica (Carratu
1998).Nella prima la sintomatologia, caratterizzata da
diarrea acquosa variamente associata a dolori addominali crampiformi,nausea,inappetenza e dimagrimento, inizia generalmente a partire dalla seconda settimana di terapia. Il quadro clinico tende a risolversi spontaneamente o con l’ausilio di farmaci sintomatici nelle 2-3settimane successive al temine della terapia radiante.
La forma cronica si presenta con due quadri clinici peculiari:
- tossicità enterica di tipo medico, caratterizzata da insufficienza funzionale del piccolo intestino con sindrome di mal assorbimento, quadro di anemia carenziale ed
alterazione del transito intestinale. Il danno è di tipo
funzionale e con un tempo di latenza di 12-14 mesi
- tossicità enterica di tipo chirurgico, caratterizzata
dalla presenza di ulcerazioni mucose che possono comportare perdite ematiche croniche oppure evolvere in
cicatrizzazione con stenosi e determinare fenomeni
sub-occlusivi o progredire fino alla fistolizzazione o alla perforazione. Il danno è anatomico e il tempo di latenza è tra 1-10 anni.
Anche la proctite attinica complica con frequenza il trattamento dei tumori pelvici. La incidenza della
proctite acuta è variabile dal 35 al 60% dei pazienti irradiati in sede pelvica. Si manifesta con sintomatologia
rettale ad insorgenza durante il trattamento radiante e
fino a 2-6 mesi dalla sua conclusione.
Il rischio di sviluppare tale patologia è correlato
oltre che a fattori clinici riguardanti le eventuali patologie di base del paziente (Ipertensione , diabete , malattie autoimmuni. uso di farmaci quali ipoglicemizzanti , ormoni, anticoagulanti ecc) a fattori tecnici e di
dose radiante. Infatti il rischio di proctite:
• cresce linearmente da 70 ad 80 Gy al T, ( Skwarchuk
2000, Vargas 2005, Huang 2002 );
• è proporzionale al volume rettale irradiato (misurazione con istogrammi dose-volume “DVH” (Gruppo
Airo Prostata);
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• la tossicità tardiva ≥ 2 è maggiore con tecniche tradizionali 2-D (7%-15%) rispetto alle conformazionali 3D (5-10% );
• il rischio di tossicità cronica è probabilmente inferiore con tecniche IMRT rispetto alle standard 3-D CRT
( Zelefsky 2002).
La proctite cronica è definita come uno stato di
sofferenza rettale radioindotta che insorge ad almeno 6
mesi dalla conclusione della RT ed ha una incidenza
variabile dal 5-15% dei casi trattati.
Si è pensato allo utilizzo di mesalazina per os in
quanto l’attività’ antinfiammatoria dei salicilati è ampiamente documentata. Ciò è dovuto all’inibizione dell’enzima cicloossigenasi che blocca la cascata dell’ acido arachidonico a livello della mucosa. Tale inibizione diminuisce la produzione di prostaglandine. La mesalazina
interferisce anche con la produzione di leucotrieni, probabilmente attraverso una azione sulla lipoossigenasi.
Tuttavia specifici inibitori delle prostaglandine risultano
meno efficaci della mesalazina, per cui l’esatto meccanismo d’azione rimane oscuro. La mesalazina inibisce anche l’accumulo di trombossano A e la formazione di superossidi nella mucosa rettale, fenomeni che possono
contribuire alla remissione della proctite. Recentemente
si è scoperto che la mesalazina inibisce l’attivazione di
NFkB, un fattore di trascrizione di importanza critica
per l’espressione di diversi geni coinvolti nei processi infiammatori. Inoltre l uso del Beclometasone dipropionato ( BDP ) è avvalorato dal fatto che si tratta di un cortisonico 500 volte più potente dell'idrocortisone, scarsamente idrosolubile, inattivato a livello epatico, dotato di
alta affinità recettoriale con conseguente scarso assorbimento intestinale e assenza di inibizione dell'asse ipofisi
cortico surrenalico. Studi clinici hanno dimostrato che
in pazienti con Colite ulcerosa distale, clismi di BDP
hanno la stessa efficacia di clismi di prednisone praticati una sola volta al giorno per 4 settimane. In un singolo
studio la combinazione di Mesalazina più BDP clismi
era superiore alla sola Mesalazina o al solo BDP in pazienti con colite distale (1).
Materiali e Metodi
Il seguente studio clinico è stato pensato nel tentativo di prevenire e comunque minimizzare i sintomi
conseguenti la insorgenza di proctiti ed enteriti attiniche nei pazienti radio e/o radiochemiotrattati per tumori a localizzazione pelvica. L’ obiettivo è quello di
valutare la efficacia della associazione mesalzina per os
+ beclometasone dipropionato topico paragonando gli
effetti collaterali sviluppati da 90 pazienti affetti da tumore a localizzazione pelvica e candidati a radioterapia
in tale sede per almeno 5 settimane (Dose media 5040
cGy; Dose/die 180 cGy) .
I pazienti sono stati randomizzati casualmente in
due bracci. Il braccio A includeva 45 pazienti (18 donne e 27 uomini età media 58.7 anni) di cui 20 eseguivano radio-chemioconcomitante (9 pazienti eseguivano RT pre-operatoria). Tutti i pazienti di tale gruppo
venivano indirizzati alla assunzione in via preventiva
mesalazina 800 mg compresse gastroresistenti a rilascio
modificato (1 compressa da 800 mg, due volte al giorno) e clismi 3 mg di beclometasone dipropionato a livello topico (1 volta al giorno) fino al termine della terapia.
Il braccio B includeva 45 pazienti (16 donne e 29
uomini, età media 57.3 anni) di cui 20 eseguivano radio-chemioconcomitante (9 pazienti eseguivano RT
pre-operatoria). Nessuno di loro assumeva terapia farmacologica in via preventiva per lo sviluppo di enterite o proctite attinica ma questa veniva prescritta ed assunta al momento della insorgenza dei sintomi. Tutti i
pazienti sono stati informati verbalmente e per iscritto
delle caratteristiche dello studio. I pazienti hanno dato
il loro consenso prima dell'inizio dell’iter terapeutico.
Criteri di inclusione
Tutti i pazienti candidati allo studio dovevano
1. Avere età superiore ai 18 anni
2. Dare il consenso informato
3. Eseguire radioterapia pelvica per almeno 5 settimane con una dose media di 50.4cGy
Criteri di esclusione
1. Sopravvivenza inferiore ai 6 mesi
2. Allergia al farmaco o Ipersensibilità ai salicilati o ad
uno qualsiasi degli eccipienti
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Uso della mesalazina e del beclometasone dipropionato nella prevenzione della proctite e dell’ enterite attinica
3. Impossibilità da parte del pz di eseguire trattamento
radiante
4. Nefropatie gravi
5. Ulcera peptica in fase attiva
Risultati
Tutti i pazienti hanno eseguito radioterapia sulla
intera pelvi con tecnica box 4 campi (AP-PA-2 LL)
utilizzando piani di trattamento 3D-CRT (Three-dimensional conformal radiotherapy) e multileaf collimator (MLC). Il frazionamento giornaliero è stato di
180 cGy/die per 5 die/settimanali con dose media erogata 50.4 Gy. Gli schemi di chemioterapia utilizzati e
relativi dosaggi sono diversi in relazione alla tipologia
di tumore (retto. vescica, utero, ano ecc)
Tutti i pazienti appartenenti al gruppo A iniziavano ad assumere dal 1° giorno di trattamento radiante
terapia farmacologica con mesalazina 800 mg compresse gastroresistenti a rilascio modificato (1 compressa da 800 mg, due volte al giorno) e clismi 3 mg di
beclometasone dipropionato a livello topico (1 volta al
giorno) fino al termine della terapia. Ciò al fine di prevenire la insorgenza di enteriti e proctiti nel corso del
trattamento. Tutti e 45 i pazienti appartenenti a tale
braccio hanno ultimato la radioterapia senza lamentare disturbi rilevanti a livello rettale e/o gastroenterico.
Nessuno di loro ha dovuto sospendere la terapia radiante. Solo in 4 casi si e provveduto a modificare la terapia farmacologica in atto aumentando la somministrazione di clismi 3 mg di beclometasone dipropionato a livello topico per 2 volta al giorno. Inoltre i pazienti di tale gruppo sono stati sottoposti ad esame endoscopico dopo RT e non sono stati svelati quadri di
proctite attinica in soggetti ancora asintomatici. Questo riscontro suggerisce l’efficacia della terapia preventiva e della associazione farmacologica
A tutti i pazienti appartenenti al gruppo B veniva prescritta adeguata terapia medica dal momento in
cui riferivano la comparsa di sintomatologia, il che avveniva in genere verso la 3 settimana dall’ inizio del
trattamento radiante. I sintomi riferiti dai pazienti di
tale gruppo erano in genere pirosi anale, tenesmo rettale, diarrea, dolori addominali crampiformi,ecc. La terapia medica prescritta consisteva nell’ uso di mesalazi-
23
na 3g e beclomtaone dipropionato 3 mg entrambi topici o mesalazina 400mg cp per os 2 volte die e beclomtaone dipropionato 3 mg topico. In genere già dopo una settimana i sintomi erano in miglioramento e la
terapia veniva continuata fino alla fine del trattamento
radiante. In sintesi la proctite acuta attinica in questo
gruppo è stata appurata in 19/45 casi ma solo 8/45 dei
pazienti ebbero manifestazioni G2 ma nessuno di essi
accusò tossicità G3 (Tab. 1). Da notare il riscontro endoscopico di emorroiditi con gemizio ematico in 6 pazienti del gruppo B. Questi pazienti avevano accusato
lieve stillicidio rettale ad un dosaggio medio di 25 Gy.
Tale quadro clinico si è risolto con uso di farmaci sintomatici.
Ogni paziente (appartenente sia al gruppo A che
B) veniva sottoposto settimanalmente a visita ambulatoriale in corso di trattamento al fine di verificarne lo
stato di salute generale e gli eventuali disturbi .
Discussione
La efficacia della associazione mesalazina + beclometasone nella prevenzione e cura della proctite
e/o enterite attinica non è inattesa in quanto uno studio pubblicato nel 2002, randomizzato, in doppio cieco, ha valutato l’efficacia e la sicurezza di beclometasone dipropionato aggiunto a 5-ASA nel trattamento
della colite ulcerosa in fase attiva da leggera a moderata (Tab. 2). I 119 pazienti sono stati randomizzati a ricevere 2.4 g/die di 5-ASA + 3 mg/die di beclometasone oppure 2.4 g/die di 5-ASA + placebo. Entrambi i
gruppi hanno mostrato una diminuzione statisticamente significativa dell’indice di attività della malattia
(DAI) alla fine del trattamento. Il valore di DAI è risultato inferiore nel gruppo trattato con beclometasone rispetto al gruppo trattato con placebo (p=0.014). Il
numero di pazienti che hanno mostrato remissione
della malattia è risultato statisticamente superiore nel
gruppo trattato con beclometasone rispetto al gruppo
placebo (58.6% vs 34.4%). I livelli di cortisolo sierico
sono significativamente diminuiti nel gruppo trattato
con beclometasone, senza che si registrassero segni di
deplezione della funzione ipofisi-surrene. Entrambi i
gruppi hanno riportato una bassa incidenza di eventi
avversi (1).
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Table 1. Tossicità Acuta e Tardiva della mucosa del tratto gastrointestinale inferiore (RTOG/EORTC)
Grado
Tossicità Acuta
Tossicità tardiva
0
Nessuna tossicità
Nessuna tossicità
1
Può essere presente un lieve dolore
che non richiede l’uso di analgesici
Leggera atrofia e secchezza
2
Una mucosite a chiazze che può produrre
una suppurazione infiammatoria e siero
sanguinante. Può essere presente un dolore
moderato che richiede l’uso di analgesici
Moderata atrofia e telangectasia; poco muco
3
Mucosite confluente fibrinosa.
Può essere presente un forte dolore che richiede
l’uso di narcotici
Atrofia rilevante con completa secchezza
4
Ulcerazione, emorragia o necrosi
Ulcerazione
5
Morte direttamente legata
agli effetti delle radiazioni
Morte direttamente legata
agli effetti delle radiazioni
Table 2. Disegno dello studio
GRUPPO A
45 pazienti
GRUPPO B
45 pazienti
Terapia
Risultati
800 mg/die mesalazina +
3 mg/die beclometasone dipropionato
ad inizio terapia radiante
41 pazienti: G0
4 pazienti: m mg/ 2xdie G0
3 g/die mesalazina +
3 mg/die beclometasone dipropionato
al bisogno
8 pazienti: G2
11 pazienti: G1
26 pazienti: G0
Il volume irradiato ha ovviamente importanza basilare nella genesi della proctite attinica, strettamente
correlato alla dose. L’impiego sempre più diffuso delle
tecniche conformazionali, che presuppongono una accurata valutazione dei volumi irradiati, ha consentito di
correlare l’incidenza di tossicità rettale direttamente
con la dose assorbita, valutata come dose media dell’organo o separatamente delle sue pareti anteriore e
posteriore fino, a creare degli algoritmi previsionali della tossicità in funzione della dose e del volume.
Uno studio condotto da Smit ha riscontrato una
incidenza attuariale di tossicità rettale G3-G3 del 20%
se la dose alla parete rettale, per un’altezza massima di
9 cm, è inferiore a 75 Gy, e del 60% per dosi superiori
(2). In un altro studio Cho definisce valori superiori a
50 Gy come dose critica alla parete posteriore del retto
(3), mentre Dewitt pone tale limite a 65 Gy (4). Generalmente per tossicità di media entità la terapia farmacologica si è dimostrato efficace nel controllo locale e
della sintomatologia. Nell’insieme la terapia medica è
in grado di controllare il sanguinamento rettale G2 e
G3 rispettivamente nel 66% e nel 19% dei casi (5). Le
pratiche endoscopiche: elettrocoagulazione bipolare,
laser e scleroterapia sono in grado di controllare il san-
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Uso della mesalazina e del beclometasone dipropionato nella prevenzione della proctite e dell’ enterite attinica
guinamento rettale G2 e G3 rispettivamente nel 15% e
nel 56% dei casi che non avevano inizialmente risposto
alla terapia medica (5).
Sulla base dei dati ricavati dal numero ristretto di
pazienti completamente studia ti in questa casistica e
dalla disamina della letteratura in merito all’insorgenza
della proctite ed enterite dopo irradiazione per neoplasie pelviche, ci sembra di poter ricavare le seguenti conclusioni:
• il sanguinamento rettale a dosaggi medio-bassi è
espressione di emorroidite e non costituisce un fattore
prognostìco sfavorevole.
• La associazione mesalazina + beclometasone dipropionato nella prevenzione della proctite e/o enterite attinica è efficace e valido
• l’esame endoscopico dopo RT è un prezioso dato di
partenza per il follow-up dei pazienti e può svelare
quadri palesi di proctite attinica in soggetti ancora
asintomatici.
25
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dr.ssa Mariangela Molinaro
U.O. di Radioterapia e Radiobiologia
A.O. Pugliese - Ciaccio Catanzaro
E-mail: [email protected]
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Uso del beclometasone dipropionato nel Morbo di Crohn:
descrizione di un caso clinico
Raffaele Annicchiarico
UOC di Gastroenterologia, Ospedale Civile "SS. Annunziata", Taranto
Introduzione
I farmaci che abbiamo a disposizione per il trattamento del Morbo di Crohn (1-2) possono essere
usati da soli o in combinazione e con diverse modalità
di somministrazione a seconda del grado di severità
della malattia e della sua localizzazione.
Nelle forme lievi e moderate si può iniziare con lo
steroide ricorrendo ad altri farmaci (immunomodulanti
ed anticorpi monoclonali) nelle forme che non rispondono (3-4). Pur considerando la sua efficacia nell'indurre la remissione della malattia, il prednisone può comportare l'insorgenza di effetti collaterali anche gravi (5).
In questi ultimi anni è entrato nella pratica clinica l'uso di una nuova classe di farmaci (steroidi di “seconda generazione” o a “bassa disponibilità”) caratterizzati da una buona efficacia con minori effetti collaterali rispetto alla terapia steroidea tradizionale, in
conseguenza della bassa biodisponibilità.
Il beclometasone dipropionato (Clipper) è uno
steroide di seconda generazione con un'alta attività
anti-infiammatoria topica con una praticamente assenza di effetti collaterali, in conseguenza della bassa
biodisponibilità sistemica (6).
Caso clinico
R.M. femmina di 34 anni, affetta da Morbo Celiaco.
La malattia è stata diagnosticata nel 1999 c/o la
nostra U.O. mediante il riscontro di positività degli
anticorpi anti-transglutaminasi; l'esame istologico e
l'immunoistochimica delle biopsie eseguite in corso
della successiva EGDS evidenziarono atrofia dei villi
ed incremento dei linfociti intraepiteliali CD3+ ( superiore a 40 linfociti per 100 cellule epiteliali).
La paziente torna alla nostra osservazione in seguito alla comparsa da circa due mesi di diarrea ( riferite 4-5 scariche al giorno di feci semiliquide) accompagnata per i primi tre giorni da lieve dolenzia addominale e rialzo termico (questi ultimi due imputati a
sindrome influenzale).
La paziente è, inoltre, affetta da “iperplasia surrenalica congenita non classica”; per tale motivo è in terapia
steroidea per os (desametasone 21-fosfato disodico).
Ad un'accurata anamnesi emerge l'assunzione
quotidiana, per motivi dietetici, di gallette che, in seguito a contatti diretti con la ditta produttrice risultavano contenere glutine.
Pensando a sintomatologia secondaria a dieta non
adeguate sono state programmate un'EGDS e lo studio
del piccolo intestino mediante endoscopia capsulare; furono eseguite anche delle comuni indagini bioumorali.
Il quadro endoscopico macroscopico duodenale risultò assolutamente nella norma : normali i villi e le pliche. L'esame istologico delle biopsie duodenali confermò la normalità dei villi ed aumento dei CD3 con
l'immunoistochimica (35 linfociti per cellule epiteliali).Le indagini bioumorali eseguite evidenziarono un aumento degli indici di flogosi (Leucocitosi, VES = 40
PCR =8 mg/dl ,α1-glicoproteina acida = 180 mg/dl).
L'analisi dell'endoscopia capsulate confermò
l'integrità dei villi con evidenza di rare erosioni pun-
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Uso del beclometasone dipropionato nel Morbo di Crohn: descrizione di un caso clinico
tiformi nel tratto medio del tenue con lieve aumento
della frequenza nel terzo distale con lieve iperemia
della mucosa nell'ileo in prossimità della valvola ileocecale.
Viene quindi eseguita un'ileoscopia che conferma
il quadro morfologico dell'endoscopia capsulare. Le
biopsie consentirono di porre diagnosi di Morbo di
Crohn.
Si inizia allora terapia con la sola Mesalazina (4,8
g per os , 2 cp da 800 mg/t.i.d.) non potendo utilizzare altri farmaci steroidei oltre il desametasone.
Dopo un mese di terapia la sintomatologia trova
parziale giovamento con persistenza di 2-3 scariche di
feci non formate. Fu ripetuta l'endoscopia capsulare
che evidenziò solo una lieve riduzione delle afte con
persistenza dell'iperemia dell'ileo terminale.
Si decide allora di ridurre la posologia della Mesalazina (1 cp. da 800 mg/t.i.d.) e di ricorrere alla somministrazione di Beclometasone Dipropionato compresse (Clipper) alla dose di 5 mg/b.i.d. per 4 settimane riducendo adeguatamente la posologia del desametasone.
Già dopo sette giorni di terapia si osserva un netto miglioramento dei sintomi con regolarizzazione
dell'alvo: una scarica al giorno di feci formate.
Le indagini bioumorali evidenziarono normalizzazione di leucociti, VES, PCR ed α1-glicoproteina
acida.
La ripetizione dell'endoscopia capsulare rilevò la
completa scomparsa della flogosi ileale.
27
Conclusione
Pur considerando i limiti derivanti dall'esposizione
di un singolo caso clinico, il risultato di questa esperienza induce ad ipotizzare che nei pazienti con Morbo di
Crohn lieve, il beclometasone dipropionato orale possa
rappresentare una valida opzione terapeutica prima della
somministrazione degli steroidi sistemici.
Bibliografia
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Raffaele Annicchiarico
e-mail: [email protected]
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Colite microscopica “atipica” trattata con beclometasone
diproprionato orale: descrizione di un caso
Paolo Orsi
Unità Operativa di Endoscopia Digestiva e Gastroenterologia, P.O. di Vaio – Fidenza. Azienda USL di Parma
Introduzione
Caso clinico
La Colite microscopica (CM) è stata originariamente descritta da Lindstrom come "colite collagena"
nel 1976 (1). Nel 1980, Reed et al. definì, per primo,
il termine di CM descrivendola come un'entità clinica
caratterizzata da una infiammazione del colon nei
campioni bioptici di pazienti con diarrea cronica e reperti di normalità alla sigmoidoscopia e al clisma opaco (2). Questo termine è entrato nella pratica clinica di
routine e spesso viene utilizzato in modo generico per
descrivere sia la colite collagenosica (CC) che la colite
linfocitica (CL) (3). Entrambe le entità (CC e CL)
hanno una simile presentazione clinica con diarrea acquosa cronica, colonscopia negativa, ma si differenziano istologicamente e per quanto attiene la gestione terapeutica. La CL è caratterizzata da un aumento dei
linfociti intraepiteliali mentre la CC si palesa con un
aumento del collagene sottoepiteliale. Non è chiaro se
queste due condizioni siano patologie separate o
espressioni fenotipiche differenti di una stessa malattia. Riportiamo un caso paradigmatico in cui i risultati clinici e endoscopici, pur essendo compatibili con
CM, non erano confermati dal reperto istologico che
evidenziava una flogosi granulomatosa suggestiva per
una Malattia infiammatoria cronica intestinale (IBD).
Il paziente è stato comunque trattato con successo, e in
modo definitivo, con steroidi a bassa compartecipazione sistemica (beclometasone diproprionato).
Un uomo di 56 anni presenta diarrea cronica (> di
2 evacuazioni/die) senza sangue o muco da circa 4/5
anni. In seguito a sindrome depressiva reattiva (separazione dalla moglie) ha intrapreso un assunzione alcolica patologica (~ 1,5 litri di vino/die). Negli ultimi
6 mesi ha perso 6 kg di peso corporeo e presenta una
storia di diabete mellito di tipo II e di asma da molti
anni.
Il giorno del ricovero in ospedale, in Medicina
d’Urgenza, vengono eseguiti una gastroscopia, un’ecografia addominale, una tomografia computerizzata e
una Colangio RNM. Il CA19-9 e elastasi risultano
leggermente elevati (132 U/ml e 598 ng/dl, rispettivamente), che spesso si osservano nei pazienti con pancreatite cronica. Le indagini radiologiche non hanno
mostrato anomalie a carico degli organi studiati.
La sua diarrea cronica acquosa era stata trattata in
precedenza con diversi cicli a base di loperamide, probiotici, antispastici e rifaximina. I suoi sintomi erano
inizialmente migliorati per tre anni, ma negli ultimi
mesi la perdita di appetito e la diarrea acquosa (> di 6
evacuazioni/die) erano ricomparse, associate alla comparsa di nausea, epigastralgia e ulteriore calo ponderale. Per tale motivo il paziente viene ricoverato nel nostro ospedale.
I dati di laboratorio al momento del ricovero sono
riportati nella tabella 1. L'emoglobina era di 11,2 g/dl
mentre i globuli bianchi erano 7000/mm³. La proteina
C-reattiva (PCR) era 1,06 mg/dl. I valori delle proteine
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Colite microscopica “atipica” trattata con beclometasone diproprionato orale: descrizione di un caso
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Tabella 1. Dati di Laboratorio (sono sottolineati i valori alterati)
All’ingresso in ospedale
Alla dimissione (dopo terapia con BDP)
• Sangue occulto nelle feci: neg
• Coprocultura: neg
• Esame delle feci con Sudan III: neg
• Emocromo:
- Leucociti 7000/mm³
- Hb 11.2 g/dl
- Ht 33.8%
- Plt 243.000/mm³
• Coagulazione:
- APTT 34.2 sec
- PT >100%
- Fibrinogeno 216 mg/dl
• Sierologia:
- Prot tot 6.2 g/dl
- ALB 1.8 g/dl
- Ca 7.5 mg/dl
- Colesterolo tot 72 mg/dl
- Trigliceridi 54 mg/dl
- Glicemia 85 mg/dl
- CA 19.9 132 U/ml
- PCR 1.06 mg/dl
- IgG 2800 mg/dl
- FR < 9 IU/ml
- ANA assenti
- ENA assetnti
- AB Anti-Yersinia ent neg
Hb 13.2 g/dl
Prot tot 6.8 g/dl
ALB 3.9 g/dl
Colesterolo tot 182 mg/dl
Trigliceridi 115 mg/dl
PCR 0.06 mg/dl
IgG 1205 mg/dl
• Test al D-xilosio: negativo
• Clearance 1 antitripsina: 26.4 ml/die (<20 ml/die)
• Intradermoreazione Mantoux: negativa
totali e dell’albumina (ALB) erano rispettivamente di 6,2
g/dl e 1,8 g/dl. Il colesterolo totale e i trigliceridi erano
rispettivamente 72 mg/dl e 54 mg/dl, mentre il valore di
immunoglobuline (Ig) G livello era elevato (2800
mg/dl). Nessun malassorbimento significativo viene rilevato con il test D-xilosio e la colorazione delle feci con
Sudan III. La clearance dell’α1-antitripsina è stata di
26,4 ml/die: questo risultato indica una perdita proteica
di grado lieve, ma il test per una perdita di proteine con
albumina marcata con I-125 risulta nella norma. L’esame
colturale delle feci e la ricerca degli anticorpi anti-Yersinia enterocolitica risultano negativi. Al 3 ° giorno di degenza il paziente viene sottoposto a colonscopia totale
che risulta negativa; in particolare non si evidenziano erosioni, ulcere, edema della mucosa o altre anomalie ma-
croscopiche. Vengono comunque effettuate biopsie seriate “random” lungo il colon.
Le biopsie del colon rivelano un infiltrato diffuso di cellule infiammatorie con cellule giganti multinucleate (Fig.1A) e granulomi epitelioidi non necrotizzanti (Fig.1B). L’immunoistochimica mostra che
questi granulomi sono stati positivamente colorati con
anticorpo monoclonale anti-CD68, che è un marcatore dei macrofagi. Poiché la concentrazione di infiltrati
di linfociti era meno di 10 linfociti/100 cellule epiteliali e non viene evidenziata nessuna banda di collagene sottoepiteliale, non si è in grado in questo paziente
di porre la diagnosi né di CL né di CC.
Viene eseguito uno studio del tenue mediante video capsula con esito negativo. A questo punto il pa-
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Figura 1. Reperti istologici delle biopsie del colon. Infiltrazione di cellule infiammatorie con una cellula gigante multinucleata (A),
un granuloma non necrotizzante (B).
ziente viene trattato con nutrizione parenterale totale
(NPT) e infusione di ALB per 20 giorni ma la concentrazione sierica di ALB aumenta solo lievemente
da 1,8 g/dl a 2,0 g/dl, mentre la diarrea acquosa rimane praticamente invariata.
Al 34° giorno di degenza viene allora iniziata un
terapia per os con beclometasone diproprionato
(BDP) 15 mg/die, sulla scorta dei risultati istopatologici che comunque documentano un’infiammazione
attiva del basso intestino. Tale posologia viene mantenuta per 10 gg: la diarrea acquosa migliora rapidamente fino a presentare una evacuazione di feci formate ogni 2 giorni. Il BDP viene ridotto gradualmente, nell’arco di 7 gg, fino a 5 mg/die fino al momento della dimissione (50° giorno). L’albumina sierica risulta nettamente migliorata (3,8 g/dl) e i livelli di
IgG nel siero si riducono al 1205 mg/dl (Tabella 1 e
Figura 2).
La terapia con BDP a 5 mg/die viene mantenuta
anche a domicilio per altre 12 settimane; successivamente viene effettuato un tapering ulteriore dello steroide (5 mg/die a giorni alterni) per altre 8 settimane.
Ai successivi controlli clinici ambulatoriali il paziente
riferisce benessere con evacuazioni regolari di feci formate (Figura 2)
Viene ripetuta dopo 6 mesi dalla dimissione una
colonscopia. L'esame istopatologico del colon evidenzia una netta riduzione dell’infiammazione in assenza
di granulomi osservabili (Figura 3).
Figura 2. Decorso clinico del caso. NPT (nutrizione parenterale totale); BDP (Beclometasone diproprionato); ALB (albumina plasmatica).
Discussione
Abbiamo presentato un caso in cui i risultati clinici
ed endoscopici erano compatibili con CM, ma i risultati
istologici evidenziavano un'infiammazione con granulomi suggestiva per IBD. L'istopatologia della CM, infatti, è caratterizzata da linfocitosi intraepiteliale con infiltrato infiammatorio della lamina propria e, nella variante
collagenosica, con ispessimento della banda sottoepiteliale di collagene. La presenza di linfocitosi intraepiteliale
con più di 10 linfociti/100 cellule epiteliali consente un
inquadramento come CL. La presenza di infiltrato infiammatorio nella lamina propria, con il distacco dell’epitelio e l'ispessimento della banda di collagene sottoepite-
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malattie infettive, reazione a corpi estranei e a farmaci,
così come nel Morbo di Crohn (MC). Nel tratto gastrointestinale superiore la causa più frequente di gastrite
granulomatosa è il MC (7, 8). Nel colon, i granulomi della mucosa sono associati con una serie di condizioni tra
cui il MC, la tubercolosi, la colite da diversione e quella
da farmaci(9, 10). Nel caso presentato, oltre ai granulomi
non necrotizzanti e all’infiltrato infiammatorio della mucosa del colon, l’infiltrazione linfocitica e la banda di collagene non sono risultate significative per una diagnosi
titpica di CL o CC. Questo paziente, inoltre, non aveva
una storia pregressa di tubercolosi, sarcoidosi o altre malattie infiammatorie croniche complicate da granulomi. Il
risultato della colonoscopia non ha rivelato IBD, infezioni o tubercolosi. Anche se sono riportati in letteratura casi analoghi dopo somministrazione prolungata di farmaci (FANS, allopurinolo), il paziente in questione non aveva preso nessun farmaco correlato ad una reazione granulomatosa nel colon (11,12,13). Nel nostro caso la diagnosi di MC è stata esclusa per motivi clinici, con l'esame
endoscopico e la videocapsula. Sulla scorta di sintomi clinici ed endoscopici coerenti con CM, pur con istologia
non tipica per CL o CC, abbiamo deciso di trattare la paziente come CM.
Figura 3. Reperti istologici comparativi delle biopsie del colon
all’ingresso in ospedale (A) e al controllo a 6 mesi dopo la terapia con BDP (B).
liale consente invece di classificarla come una CC. Anche
se i granulomi nella mucosa sono rari nella CM, Saurine
et al. hanno riportato quattro casi di colite microscopica
con infiltrato infiammatorio granulomatoso(4). I granulomi sono generalmente costituiti da cellule epitelioidi,
cellule giganti multinucleate e linfociti. Le cellule epitelioidi e le cellule giganti nei granulomi si ritiene siano cellule della linea macrofagica. Sebbene la modalità e il
meccanismo di formazione dei granulomi restano sconosciuti, è stato riportato che le cellule epitelioidi e quelle
giganti presenti contemporaneamente nel granuloma
possono esprimere molecole di classe II e molecole costimolatorie che sono indispensabili per l'attivazione antigenica delle cellule T (5). La presenza di granulomi nella mucosa intestinale sono quindi la prova di una reazione immunitaria nella mucosa. Granulomi del tratto gastrointestinale tratto si possono vedere nella sarcoidosi,
Conclusioni
Il trattamento della CM con granulomi non è definito (14-17). Gli steroidi ad azione non sistemica,
rappresentano una valida opzione terapeutica. Nel caso da noi riportato, il BDP ha consentito di indurre
rapidamente la remissione clinica con un drastico miglioramento degli indici di laboratorio tra cui ALB,
PCR e IgG. In considerazione del suo limitato assorbimento sistemico il BDP è stato ben tollerato con ottimo profilo di sicurezza anche per trattamenti a lungo termine.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Paolo Orsi
Unità Operativa di Endoscopia Digestiva e Gastroenterologia P.O.
di Vaio – Strada Don Tincati, 5. Fidenza 43036 (PR)
Tel 0524.515644-3807374837 (cell). FAX 0524.515794
E-mail: [email protected]
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Uso del Beclometasone Dipropionato in un paziente con
Malattia di Crohn
M. Cesarini, E.S. Corazziari
Università “Sapienza” di Roma, Gastroenterologia A, Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche - Dipartimento di Scienze Cliniche
Introduzione
Il caso clinico che riportiamo di seguito riguarda
un giovane paziente affetto da Malattia di Crohn
(MC), dipendente dalla terapia steroidea convenzionale e resistente a farmaci biologici.
Caso clinico
Uomo di anni 46, con anamnesi negativa per fumo, appendicectomia e familiarità per malattie infiammatorie croniche intestinali, affetto da MC ileociecale, diagnosticata all’età di 18 anni.
Nel 1990, per un episodio di ostruzione intestinale, il paziente veniva sottoposto a resezione ileo ciecale (circa 100 cm), a cui faceva seguito un periodo di
benessere clinico per sette anni. Nel 1997 comparivano sintomi sub-occlusivi ed il paziente si sottoponeva
ad uno studio radiografico del tenue mesenteriale con
mezzo di contrasto che metteva in evidenza la presenza di un restringimento a livello del neo-ileo terminale ed uno, più a monte, con dilatazione delle anse prossimalmente. Iniziava, pertanto, terapia con prednisone
50 mg/die a scalare con pronta risoluzione della sintomatologia. Per i 10 anni successivi, verosimilmente in
relazione ad uno stato di remissione prolungata, il paziente non effettuava controlli ambulatoriali. Nel 2009
compariva una sintomatologia caratterizzata da dolore
addominale crampiforme ai quadranti inferiori dell’addome, associato a distensione gassosa, diarrea (4-5
ev /die di feci semiliquide). In tale occasione gli esami
di laboratorio mostravano modesta leucocitosi neutrofila con concomitante aumento degli indici di flogosi.
Una tomografia computerizzata (TC) dell’ addome
deponeva per un quadro immodificato rispetto al precedente tenue seriato. Una ecografia delle anse intestinali con mezzo di contrasto (SICUS) evidenziava una
stenosi del lume (7 mm) a livello dell’anastomosi ileocolica e dell’ileo preanastomotico (8 mm) per una
estensione di 5 cm. Lesioni infiammatorie si estendevano per 45 cm nell’ileo prossimale con anse dilatate
alternate a due tratti di 2 cm con lume stenotico (9-10
mm). A monte anse digiunali distese (3,5 cm). Per tale sintomatologia il paziente assumeva autonomamente terapia con Prednisone 20 mg/die e ciclicamente
antibioticoterapia con metronidazolo 250 mg tre volte
al giorno, senza ottenere però miglioramenti clinici.
Giunto alla nostra osservazione e rifiutando un controllo colonscopico, il paziente iniziava terapia con beclometasone dipropionato 5 mg/die con beneficio clinico immediato. Al termine del trattamento, protratto
per 8 settimane, si ripresentava invariata la sintomatologia clinica. Dopo uno screening infettivologico che
escludeva parassitosi, infezioni batteriche e Clostridium difficile nelle feci, la presenza di CMV, infezioni da virus erpetici, e TBC latente, si intraprendeva terapia con antagonisti dell’anti-TNF alpha (Adalimumab) secondo protocollo standardizzato (80-40 mg a
settimane alterne). Alla settimana 6, per il peggioramento della sintomatologia con comparsa di rettorragia ed aumento del numero delle evacuazioni, il paziente, pur mantenendo terapia con anti-TNF-alpha,
iniziava nuovamente trattamento con Beclometasone
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Dipropionato (BDP) 5 mg 1 cp/die per otto settimane con rapida risoluzione della sintomatologia fino alla completa remissione clinica e laboratoristica. Il paziente, insofferente alla terapia, sospendeva in tempi
diversi sia il Beclometasone che l’Adalimumab, ma ad
ogni tentativo ripresentava disturbi caratterizzati da
dolori addominali periombelicali intensi e meteorismo.
Per tale ragione il paziente è tuttora sottoposto a
terapia combinata e gode di benessere clinico con persistenza di negatività degli indici bioumorali.
Discussione
L’infiammazione caratteristica della malattia di
Crohn può colpire l’intera parete intestinale, determinandone le più temibili manifestazioni: stenosi e tramiti fistolosi (1). Trials randomizzati e controllati (2-5)
hanno dimostrato l’efficacia dei farmaci biologici, in
particolare gli anti-TNF alpha, nell’induzione e nel
mantenimento della remissione di questa patologia e
delle sue complicanze, in circa il 65% dei pazienti studiati (6).
Questo tipo di terapia non risulta però scevra da
complicanze, come la maggiore suscettibilità allo sviluppo di infezioni (ma questo riguarda soprattutto pazienti
con età > 65 anni) (7) o di neoplasie, in particolare di tipo linfoproliferativo in particolar modo in pazienti affetti da malattie croniche, necessariamente sottoposti a
trattamento per un lungo periodo di tempo (8).
Il BDP è uno steroide che presenta una alta attività
antinfiammatoria topica ed una bassa biodisponibilità
sistemica, evitando così l’ampio spettro di eventi avversi
da cui è gravato l’uso degli steroidi convenzionali.
L’efficacia della formulazione orale di BDP , anche per
merito di un rilascio controllato a livello del tenue e del
colon, è stata ampiamente dimostrata (9).Il ruolo di questo farmaco nel trattamento della colite ulcerosa lievemoderata è stato ormai chiarito, mentre pochi dati sono
ad oggi disponibili nell’ambito della MC (10-11).
L’evidente miglioramento clinico e degli indici bioumorali nel caso del nostro paziente, dimostra che il beclometasone diproprionato rappresenta una valida alternativa sia per la induzione che per il mantenimento della
remissione nei pazienti affetti da MC non rispondenti
M. Cesarini, E.S. Corazziari
od intolleranti alla terapia medica comunemente impiegata nel trattamento di questa patologia. Il caso presentato riguarda un paziente con malattia di Crohn poco rispondente a terapie più aggressive come biologici o steroidi sistemici (anche se a dosaggi non congrui). Lo studio di Astegiano M et al (10) ha analizzato retrospettivamente 34 pazienti affetti da malattia di Crohn lievemoderata, che avevano raggiunto (66.7%) e mantenuto
(93.8% dei pazienti in remissione dopo l’induzione) la
remissione (CDAI< 150) con BDP 5 o 10 mg/die per
24 settimane. I malati analizzati presentavano alcune caratteristiche comuni con il caso da noi presentato tra cui
la negatività all’abitudine tabagica, la giovane età alla
diagnosi e la localizzazione di malattia, ileo terminale o
ileo-ciecale. Di particolare interesse in questo caso clinico è la risposta sintomatologica ottenuta dapprima con
solo BDP e successivamente con l’associazione BDP e
anti-TNF-alpha in presenza di stenosi che determinavano prossimamente stasi e dilatazione delle anse. Dalla risposta alla terapia, è verosimile che le stenosi, in parte su
base fibrotica, avessero una componente infiammatoria.
Un comportamento analogo con risoluzione della sintomatologia e delle stenosi verificata con la SICUS è stato
riportato dopo terapia con IFX (12). E’ infatti di interesse per una diagnosi il più possibile precisa delle localizzazioni delle lesioni e delle complicanze della MC
dell’intestino tenue ricordare che la SICUS, diversamente dal tenue seriato e dalla TC, è in grado di determinare con più accuratezza il numero e la sede delle lesioni,
nonché di valutarne l’estensione (13).
La necessità di eseguire l’associazione terapeutica
di BDP e anti-TNF alpha per ottenere la risposta sintomatologica suggerisce che l’effetto antinfiammatorio sia ottenibile con un farmaco ad azione topica attivo sulla mucosa associato ad un farmaco con azione
su tutti gli strati della parete intestinale. Dall’analisi
della popolazione in studio sia nel CLASSIC I che nel
II (4-5), due trials in cui si è dimostrata l’efficacia dell’adalimumab nell’induzione e nel mantenimento della remissione nei pazienti con MC, si evince come circa il 15% e, rispettivamente, il 10% dei pazienti assumeva steroidi, ed il 10% e, rispettivamente, il 5% di
questi assumeva steroidi a bassa biodisponibilità a dose stabile. Sembra quindi verosimile che, in casi di malattia di Crohn moderata-severa l’associazione di uno
steroide a bassa biodisponibilità (quindi con un profi-
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Uso del Beclometasone Dipropionato in un paziente con Malattia di Crohn
lo di sicurezza maggiore) al farmaco biologico possa
garantire la remissione con un efficacia maggiore rispetto alla monoterapia con l’uno o l’altro farmaco. La
eventualità di una risposta al placebo in questi pazienti è di circa il 30%, e ma, se tale effetto potrebbe giustificare la ripresa di sintomi soggettivi quali il dolore
e la distensione addominale alla sospensione di uno
dei due farmaci, non sembra verosimile per l’azione
dell’associazione terapeutica sulla diarrea e sulla rettorragia.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Raffaele Annicchiarico
e-mail: [email protected]
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ACTA BIOMED 2010; 81; Quaderno di Gastroenterologia III: 36-40
C
A S E
© MATTIOLI1885
R E P O R T
Gestione della proctite attinica nel cancro del retto
localmente avanzato trattato con radiochemioterapia
neoadiuvante
A. Ciabattoni, F. Fabretti, V. Ciccone, T. Palloni, A. Siniscalchi, F. Vidiri, M. A. Mirri
UOC Radioterapia, Azienda Complesso Ospedaliero S.Filippo Neri,
Introduzione
La proctite attinica è un effetto collaterale relativamente frequente durante o dopo un trattamento radioterapico del distretto pelvico per neoplasie genitourinarie o ano-rettali. I sintomi principali sono rappresentati da diarrea, tenesmo, rettorragia, dolore anale
urente, mucorrea e incontinenza fecale con emissione
di feci liquide o mucose. Può essere classificata, in relazione ai tempi di insorgenza dei sintomi, come acuta (si manifesta rispettivamente a 2-4 settimane dall’inizio del trattamento e tende alla risoluzione, con adeguata terapia di supporto entro 4-6 settimane), subacuta con persistenza di sintomi sfumati nei mesi successivi alla radioterapia, fino a circa 3-6 mesi dopo il
termine della stessa, o tardiva (10-20%), instaurantesi dalla terza/quarta settimana dopo la fine del trattamento in poi, con decorso cronico e periodicamente
riacutizzato. In alcuni casi la forma cronica può manifestarsi anche dopo 3-6 mesi e fino a due anni dal termine della radioterapia.
Se non trattata la proctite attinica è in grado di
determinare complicanze quali stenosi rettale, formazione di fistole ed ulcerazioni refrattarie ai trattamenti. Inoltre l’’evoluzione cronica può comportare un’anemia secondaria con necessità di trattamento specifico e procedure di tipo medico o chirurgico atte al controllo della continenza anale e dell’evacuazione. Nelle
sue varianti temporali, a seconda dei tempi di manifestazione, questo quadro clinico si osserva in circa i ¾
dei pazienti sottoposti a radioterapia sul distretto pelvico. Ne sono affetti in particolare pazienti trattati per
neoplasie prostatiche, dove risulta importante
l’intensificazione di dose e, per motivi anatomici, il
retto si trova a diretto contatto con il “target”(prostata
e vescicole seminali o letto operatorio). Un’ altra situazione a rischio di proctite da radiazioni è costituita dal
trattamento concomitante con radioterapia e chemioterapia a scopo radio sensibilizzante, delle neoplasie
localmente avanzate del distretto ano rettale e dell’apparato ginecologico. In questi casi infatti l’aumento
dei radicali liberi, l’inibizione del recupero del danno
cellulare e l’accresciuta sensibilità delle cellule ipossiche all’insulto da radiazioni sono probabilmente responsabili dell’incremento di tossicità acuta sui tessuti
a rapida proliferazione, quali la mucosa intestinale.
La patogenesi alla base della proctite attinica è un
processo flogistico su base ossidativa radio-indotta che
coinvolge la mucosa del retto dalla linea dentata fino
alla giunzione retto-sigmoidea.
Microscopicamente può manifestarsi con un quadro caratterizzato da una modesta iperemia fino alla
presenza di mucosa estremamente eritematosa, teleangectasie e netta evidenza del reticolo vascolare. Nei casi più avanzati, ad evoluzione cronica, possono presentarsi minuscole ulcerazioni o vere e proprie ulcere, associate a fragilità dei vasi, fino alla totale distruzione
della mucosa. L’insulto ossidativo determina anche
una fibrosi del connettivo sottomucoso e processi di
endoarterite obliterante a livello dei vasi di tale distretto, causa poi a loro volta dei processi di micromacro-ischemia e sanguinamento secondario. La scelta del trattamento è in funzione della gravità della sintomatologia e dell’eventuale quadro endoscopico, oltre
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Gestione della proctite attinica nel cancro del retto localmente avanzato trattato con radiochemioterapia neoadiuvante
che della risposta alla terapia medica di supporto.
Analogamente ad altri quadri di proctite anche
quella conseguente a terapie con radiazioni ionizzanti,
può giovarsi di trattamenti farmacologici sia locali che
sistemici, con remissione dei sintomi in periodi di
tempo variabili tra poche settimane o qualche mese.
Il trattamento endoscopico coagulativo rappresenta la
scelta più indicata in presenza di sanguinamento costante e conseguente anemizzazione del paziente,
mentre l’opzione chirurgica è da riservare ai casi in cui
il rischio di sepsi orienta verso la stomia totalmente
escludente.
Caso clinico
Nella esperienza dell’UOC di Radioterapia dell’Azienda Complesso Ospedaliero San Filippo Neri di
Roma, sono stati osservati nell’ultimo anno 28 casi di
proctite attinica insorta durante o dopo trattamento
per neoplasie ano-rettali (13 pazienti), ginecologiche
(7 pazienti) e prostatiche (8 pazienti) e richiedente un
trattamento farmacologico di supporto
In particolare viene riportato il caso clinico relativo ad una paziente di sesso femminile di 62 aa; affetta da neoplasia del colon retto e sottoposta a trattamento neo-adiuvante con radio-chemioterapia concomitanti.
La paziente si presentava in buone condizioni generali. All’anamnesi patologica remota riferiva pregresso intervento di appendicectomia in età pediatrica, in assenza di altre patologie degne di nota, ad eccezione di un diabete su base alimentare, controllato
con antidiabetici orali. Riferiva altresì terapia ansiolitica assunta prima dell’evento neoplastico a causa di
una sindrome ansioso-depressiva di media entità.
Nell’Ottobre 2008 in seguito alla comparsa di tenesmo rettale, dolori pelvici e modesta rettorragia, si
sottoponeva a retto colonscopia, con evidenza di
neoformazione polipoide ulcerata di circa 3 cm di diametro a 5 cm dallo sfintere anale interno.
Eseguiva quindi, esame bioptico con diagnosi microscopica di “Frammenti di adenoma tubulo-villoso
con diffusa displasia ad alto grado, associati a focolai di
adenocarcinoma infiltrante moderatamente differenziato”.
37
Nel Dicembre dello stesso anno si sottoponeva a
TC dell’addome completo, con mdc, da cui si evidenziava, a livello della pelvi, “neoformazione aggettante
di cm 3,5 circa a carico della parete antero-laterale sinistra del retto, con infiltrazione della stessa con associate linfoadenopatie in sede perirettale e otturatoria”.
Seguiva RM addomino-pelvica con bobina phased array che confermava la presenza della “neoformazione a
carico della porzione bassa del retto, occupante la metà
anteriore e laterale sinistra dello stesso, con fini digitazioni nel grasso perirettale, conservati i piani di clivaggio con la vagina; con evidenza di tumefazioni linfonodali loco-regionali in sede perirettale sinistra e otturatoria”.
Nel mese di Gennaio 2009 la paziente effettuava
visita ambulatoriale presso l’ambulatorio interdivisionale di patologia colon-rettale del nostro Ospedale,
dove, in corso di esplorazione rettale, veniva confermata la presenza di una “lesione polipoide di circa 3
cm di diametro, aggettante ed ulcerata, estesa sulla parete antero-laterale sinistra, a circa 3-4 cm dall’OAE,
parzialmente fissa sui piani profondi, in assenza di
tracce ematiche sul dito esploratore”. Stadiazione clinica: cT3N1M0. In considerazione della localizzazione di malattia, da decisione collegiale congiunta tra
Chirurgo, Oncologo Medico e Radioterapista, si era
ritenuto opportuno procedere ad un trattamento chemio-radioterapico neoadiuvante seguito, dopo 6 settimane circa, da resezione chirurgica.
Durante la prima visita di impostazione radioterapica la paziente riferiva alvo irregolare con presenza
di muco e sangue, con dolori all’evacuazione e saltuaria nicturia (1-2 episodi per notte).
Veniva posta indicazione a trattamento radiochemioterapico concomitante sul retto e linfonodi pelvici di drenaggio, con dose totale di 4500 cGy/25 frazioni sulla pelvi ed ulteriore sovradosaggio di 540
cGy/3 frazioni sulla sede della neoplasia primitiva, per
una dose totale di 5040cGy/28 frazioni. Dopo posizionamento di accesso venoso centrale, la paziente veniva sottoposta a contemporanea infusione continua
di 5-Fluoro-Uracile mediante pompa ad elastomero,
alla dose di 200 mg/m2/die per 7 giorni/settimana,
durante le settimane della radioterapia.
Dopo 10 sedute di radioterapia, alla dose di
1800cGy, la paziente riferiva la comparsa di iniziale
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bruciore perianale ed eritema di lieve entità a carico
della regione ano-rettale. Si associavano alcune scariche diarroiche (2-3 al dì) con emissione di feci liquide
e dolore all’evacuazione. Veniva quindi iniziato un
trattamento farmacologico di supporto con loperamide cloridrato 2 mg da assumere ad ogni scarica diarroica, fermenti lattici e terapia locale con Mesalazina
(Asalex sospensione rettale 4 g) da eseguirsi in monosomministrazione mediante enteroclisma serale. La
paziente al termine della prima settimana di terapia
farmacologica riferiva una riduzione dei dolori perianali e degli episodi di diarrea, con emissione di feci
formate ed assenza di dolore all’evacuazione. Veniva
quindi sospesa la loperamide.
Alla dose di 3960 cGy si ripresentava nuova accentuazione della sintomatologia con comparsa di alcuni episodi di rettorragia, presenza di diarrea ed
emissione di feci liquide. Lamentava inoltre persistente tenesmo rettale e peggioramento del dolore durante la defecazione.
Senza sospendere la radioterapia, la paziente veniva quindi nuovamente avviata a supporto farmacologico con loperamide cloridrato, associato a Mesalazina
compresse gastroresistenti a rilascio modificato per
uso orale alla dose di 800 mg x 3 somministrazioni al
dì e a trattamento topico con Beclometasone Dipropionato ad effetto esclusivo sulla mucosa intestinale
(Clipper enteroclismi), in dose di 3 mg al giorno, da
eseguirsi la sera. Il ciclo di trattamento medico veniva
effettuato dalla paziente per le 5 settimane successive,
senza interruzione (una settimana fino al termine della radioterapia ed ulteriori 4 settimane a seguire).
Veniva altresì periodicamente controllato il valore
della glicemia.
Dopo due giorni di terapia di supporto veniva riscontrato un miglioramento oggettivo della sintomatologia ed era possibile eseguire l’esplorazione rettale,
con evidenza di una parziale riduzione della lesione
già descritta, che appariva più mobile e scorrevole sui
piani profondi.
Al termine della radioterapia la paziente riferiva
assenza di episodi di diarrea, saltuaria emissione di
sangue, persistenza di tenesmo e dolore rettale di media entità in concomitanza dell’emissione di feci. La
glicemia si manteneva su valori analoghi alla fase pretrattamento, in un range tra 90 e 140 mg/ml a digiu-
A. Ciabattoni, F. Fabretti, V. Ciccone, T. Palloni
no. Si consigliava l’assunzione di nimesulide al bisogno e la continuazione della terapia di supporto in atto a scalare nelle successive 4 settimane secondo le seguenti modalità: 2 settimane di trattamento a dosi terapeutiche e progressiva riduzione nelle ulteriori 2 settimane (enteroclismi di Beclometasone a sere alterne,
Mesalazina orale x 2 somministrazioni quotidiane) fino all’interruzione definitiva.
Dopo le prime 2 settimane dal termine della radioterapia, ancora in corso di supporto farmacologico
a dosi terapeutiche, la paziente effettuava il primo follow-up e si presentava in buone condizioni generali, in
presenza di tenesmo rettale di modesta entità, soggettivamente migliorato rispetto al termine del trattamento, assenza di scariche diarroiche e di dolore e lieve irritazione locale a carico della regione interglutea
(eritema grado 2). Veniva per questo prescritta una terapia topica a base di creme idratanti e lenitive.
All’esplorazione rettale si apprezzava una riduzione della lesione eteroplastica di circa il 50%, nella
sua componente cranio-caudale e nella penetrazione
in profondità.
Al controllo successivo, dopo altre 2 settimane,
per il miglioramento della sintomatologia irritativa,
veniva sospesa la terapia con beclometasone dipropionato associato a mesalazina la cui durata complessiva
era stata di 5 settimane.
Come previsto in data 20/04/2009, dopo 6 settimane dal termine della radio-chemioterapia, la paziente veniva sottoposta ad intervento di resezione ultrabassa con confezionamento di ileostomia di protezione.
L’esame istologico definitivo documentava la presenza di focolai di adenocarcinoma moderatamente
differenziato (G2) infiltrante fino alla tunica muscolare, in assenza di coinvolgimento linfonodale sui 13
LFN perirettali ed otturatori esaminati. Venivano segnalate alterazioni mucose e stromali compatibili con
esiti di radioterapia. Stadio patologico: pT2N0. Dopo
la chirurgia la paziente veniva inviata a consulenza oncologica medica, con indicazione a trattamento chemioterapico adiuvante secondo schema de Gramont
(5FU ed Acido Folinico) per la durata di 8 cicli. A
Giugno 2009, dopo 4 mesi dal termine del trattamento radiante la paziente tornava a nuova visita di follow
up in condizioni generali buone. All’esplorazione ret-
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Gestione della proctite attinica nel cancro del retto localmente avanzato trattato con radiochemioterapia neoadiuvante
tale presentava esiti di chirurgia, con presenza di piccola ragade anale sinistra, ma senza perdite ematiche
sul dito esploratore.
Eseguiva in tale occasione nuova TC torace-addome-pelvi di stadiazione ,lo studio in dettaglio della
colonna lombo-sacrale, per dolore sciatalgico persistente, da cui poi risultava un crollo su base osteoporotica a livello di L5, senza evidenti segni di ripresa di
malattia. La glicemia si manteneva su valori stabili rispetto alla fase pre-trattamento.
Al termine della chemioterapia la paziente veniva
sottoposta a ricanalizzazione, con decorso operatorio
nella norma e progressiva regolarizzazione dell’alvo
nei mesi successivi. All’ultimo controllo, nel Luglio
2010, dopo 21 mesi dalla diagnosi e 15 mesi dalla fine
della radioterapia, la paziente si presenta in ottime
condizioni generali, con valori di glicemia di 95
mg/ml, senza segni di ripresa di malattia locale o a distanza né di proctite tardiva e gode di ottima qualità di
vita, potendo alimentarsi regolarmente. Non è stato
necessario l’ausilio della terapia corticosteroidea sistemica per favorire la regolarizzazione della sua funzione intestinale, né la sospensione del trattamento integrato neoadiuvante con radio e chemioterapia, che
avrebbe potuto compromettere l’esito dello stesso.
Discussione e conclusioni
La proctite attinica è un effetto collaterale abbastanza frequente dopo trattamento radioterapico delle
neoplasie di distretto pelvico. Si tratta di quadri clinici
generalmente transitori che regrediscono con adeguata
terapia medica di supporto. Se non correttamente trattato il quadro acuto può talvolta evolvere in complicanze a
carattere di evolutività, con notevole impegno per la
qualità di vita del paziente e necessità di terapie correttive di maggior impatto, fino alla chirurgia.
In proporzioni variabili tra il 5 ed il 20% dei pazienti affetti si assiste ad un danno progressivo, con
dolore urente e persistente e sanguinamento rettale,
che può portare in primis alla sospensione della radioterapia o alla dilazione del tempo totale di trattamento con possibile riduzione del controllo locale di malattia e più tardivamente a anemizzazione o a complicanze maggiori quali stenosi e fistole rettali.
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L’evoluzione sfavorevole di una proctite attinica è
determinata da più fattori che ne condizionano la prognosi: dal punto di vista radioterapico la dose, il volume e la tecnica di irradiazione, oltre alle caratteristiche
cliniche della neoplasia, l’età del paziente e le sue comorbidità.
L’associazione della chemioterapia concomitante
alla radioterapia può ulteriormente peggiorare la tolleranza dei tessuti a rapida proliferazione, quali la mucosa del retto, con accentuazione dei sintomi da proctite attinica. Per ritardare la comparsa , ridurre
l’intensità della proctite e quindi dei sintomi correlati
è fondamentale un’adeguata terapia di supporto per
mantenere una buona qualità di vita ed evitare la sospensione dei trattamenti che risulterebbe negativa ai
fini dell’effetto terapeutico.
I dati della letteratura indicano che il trattamento farmacologico iniziale è rappresentato dai cortisonici e derivati dell’acido para-amminosalicilico (mesalazina) per via sistemica, oltre che dall’uso locale di queste stesse sostanza e di metronidazolo, sucralfato e formalina.
La terapia farmacologica della proctite per essere efficiente e ben accettata deve essere semplice e facilmente gestibile dal paziente e dai suoi familiari; talvolta per ottenere rapidi miglioramenti della sintomatologia è necessario l’utilizzo di corticosteroidi per via
sistemica anche con il rischio di accentuare pre-esistenti co-morbidità quali il diabete o peggiorare lo stato di immunodepressione che caratterizza i pazienti
neoplastici.
Nella nostra esperienza, in un caso di proctite attinica in corso di trattamento radio-chemioterapico
concomitante neoadiuvante per carcinoma del retto
localmente avanzato, è stata sufficiente l’associazione
di mesalazina per via sistemica insieme all’applicazione locale di beclometasone dipropionato ad effetto
esclusivo sulla mucosa intestinale per ottenere la remissione della sintomatologia e permettere il completamento del trattamento programmato nei tempi stabiliti. La combinazione dei due farmaci ha permesso
in questo caso di limitare la tossicità sulla mucosa rettale, mantenendo nella norma i livelli della glicemia e
preservando l’integrità della stessa mucosa, elemento
indispensabile ai fini delle procedure chirurgiche successive e della normale funzionalità intestinale.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Antonella Ciabattoni
UOC Radioterapia, Azienda Complesso Ospedaliero S.Filippo Neri,
Via G. Martinotti 20, Roma
E-mail: [email protected]
ƒ
Il
unto...
in breve
La colite segmentaria associata ai
diverticoli (SCAD): uso del
Beclometasone dipropionato nelle
forme emorragiche
Enzo Ierardi
La colite segmentaria associata ai diverticoli
(SCAD): uso del Beclometasone dipropionato
nelle forme emorragiche
Colite segmentaria associata ai diverticoli (SCAD) = rara malattia infiammatoria cronica
confinata al segmento intestinale interessato dalla malattia diverticolare.
• Localizzazione: nel sigma e nel colon, risparmia il retto ed il colon prossimale
• Caratteristiche cliniche: la flogosi interessa la mucosa e può mimare aspetti clinici e endoscopici tipici di altre
patologie infiammatorie croniche intestinali come il morbo di Crohn e la Rettocolite Ulcerosa
• Epidemiologia: incidenza intorno allo 0.3-1.4%, con una maggiore insorgenza nei paesi ad elevato sviluppo
socioeconomico, nei soggetti di sesso maschile ultrasessantenni
• Genesi: multifattoriale i cui possibili fattori eziologici agiscono attivando un processo infiammatorio
immunologicamente mediato. Alla base del danno sembra esserci un’inappropriata risposta del sistema immunitario
ad antigeni intraluminali.
• Eziologia: Il ruolo principale sembra essere svolto dalla flora batterica, altri fattori eziologici sono l’aumento della
permeabilità della mucosa intestinale ad antigeni intraluminali, l’ischemia focale secondaria alle variazioni della
permeabilità del microcircolo e la produzione locale di ossido nitrico e di radicali liberi dell’ossigeno
• Sintomi: il sintomo tipico è l’ematochezia accompagnata a dolori crampiformi addominali e turbe dell’alvo che
possono presentarsi con diarrea alternata a costipazione, flatulenza e evacuazione incompleta
• Anatomia patologica: macroscopicamente il tratto intestinale interessato dalla flogosi si presenta con una mucosa
iperemica, edematosa, granuleggiante e friabile (tendente al sanguinamento). Microscopicamente, l’infiltrato
infiammatorio è limitato alla sola tonaca ed è di tipo cronico a moderata-severa attività con possibile presenza di
ascessi criptici ed interessa prevalentemente i tratti intestinali contigui ai diverticoli
• Diagnosi: è molto complessa, richiedendo non solo una valutazione clinica ed endoscopica del paziente, ma
un’attenta valutazione istologica. Il laboratorio di solito non evidenzia alterazioni specifiche
• TERAPIA: risponde al trattamento medico della malattia diverticolare con cicli di antibiotici e dieta ricca di fibre. In
caso di fallimento, è utilizzata la somministrazione di farmaci antinfiammatori con terapia steroidea sistemica. Nel caso
di patologia refrattaria a terapia medica, con comparsa di complicazioni quali ostruzioni o sanguinamento importante,
può essere necessario l’intervento chirurgico con resezione del segmento interessato. E’ comune un decorso a poussées
con riattivazione clinica dopo una fase di quiescenza.
Riportiamo in questo studio
la nostra esperienza
terapeutica sull’uso del
Beclometasone
dipropionato nei pazienti
con SCAD caratterizzate da
ematochezia refrattaria alle
terapie con antibiotici e/o
mesalazina
Studio Aperto
Coinvolti 7 pazienti affetti da SCAD con ematochezia ricorrente nonostante trattamento
continuativo da almeno 3 mesi con rifamixina e mesalazina. Lo studio è stato condotto attraverso
la valutazione di parametri clinici nel semestre precedente e successivo all’introduzione del farmaco.
Terapia
BECLOMETASONE DIPROPIONATO alla dose di 5-10 mg die per 2-6 settimane.
Il criterio per le decisioni riguardo al dosaggio ed alla durata della terapia era rappresentato
dalla scomparsa dell’ematochezia.
Risultati della terapia
L’introduzione del beclometasone dipropionato compresse in terapia ha portato un significativo
miglioramento sia della sintomatologia dolorosa addominale diffusa che di quella localizzata al fianco
sinistro. Il numero di episodi di ematochezia dopo l’introduzione del trattamento si è ridotto al disotto dell’unità; questo dato è dovuto alla scomparsa del sintomo.
Riduzione significativa del numero di evacuazioni giornaliere con un miglioramento dichiarato della
qualità della vita nonchè alla normalizzazione della consistenza delle feci.
Nella figura è riportata la colorazione immunoistochimica del TNF alpha e il quadro istologico prima e dopo
introduzione del trattamento. Come si evince dalle immagini, il beclometasone dipropionato ha indotto una
riduzione del danno mucosale con ripristino della normale popolazione epiteliale mucipara nonchè una marcata
riduzione dell’infiltrato flogistico della lamina propria e della cellule stromali TNF alpha positive.
Il beclometasone dipropionato, proprio perchè è uno steroide con effetto
topico, ha mostrato in questa nostra esperienza un’efficacia terapeutica
significativa sia sui sintomi dolori addominali e alterazioni dell’alvo che,
soprattutto sull’ematochezia, confermando indirettamente il coinvolgimento
di un’alterata risposta immunitaria nel determinismo della patologia.
Conclusioni
La nostra esperienza dimostra l’efficacia del beclometasone
dipropionato nel trattamento della SCAD. Noi riteniamo che
tale farmaco debba essere considerato un presidio
fondamentale in tale condizione non soltanto per la sua
efficacia, ma anche per la pressocchè completa assenza di
effetti collaterali e per la ripetibilità dei cicli terapeutici
ad ogni episodio di riacutizzazione della malattia, che
dovrebbe ormai avere un posto non secondario nel bagaglio
delle conoscenze del gastroenterologo