Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46/art. 1, comma 1, DCB Roma - Prezzo copia euro 0,20 MENSILE DIRCREDITO ncontri I idee&fatti QUALE COMPETENZA TRASPARENZA 22 maggio 2014 anno IV FUTURO... BANCA? ...................... www.dircredito.info informati con DirCredito Incontri idee&fatti Anno IV - numero 22 - maggio 2014 Editore: DirCredito Direttore responsabile: Franz Foti Vice Direttore: Cristina Attuati Comitato di direzione: Maurizio Arena, Silvana Paganessi, Franz Foti, Cristina Attuati Hanno collaborato a questo numero Maurizio Arena, Cristina Attuati, Anna Bianco, Silvio Brocchieri, Dante Columbro, Armando Della Bella, Roberto Favale, Franz Foti, Elisabetta Giustiniani, Livio Iacovella, Claudio Minolfi, Giulia Ranieri, Enrico Rossi, Dante Sbarbati. Progetto grafico: Claudia Spoletini Stampa: Orfeo Planet s.r.l. - Roma Redazione: Via Principe Amedeo 23 - 00185 Roma Periodico telematico in corso di registrazione Reg. Trib. Roma n. 441/2005 - Iscrizione al ROC n. 13755 chiuso in tipografia il 30 maggio 2014 SOMMARIO IL PUNTO Electrolux, i lavoratori approvano l’accordo L’EDITORIALE Futuro... quale Banca? INTERNAZIONALE Brevi dal mondo SINDACATO Multimedialità “Made in Abi: che confusione Bancari in sciopero. Sempre i lavoratori nel mirino BANCHE Assemblea bankitalia: l’offensiva di Visco La quaresima delle banche LAVORO Banchieri: “Chi non impara dal passato è costretto a riviverlo” Piano “Garanzia per i Giovani” che sia finalmente l’inizio... Le riunioni di lavoro spengono il cervello La “multimediamorfosi” del sistema bancario LEGALE Osservatorio sulla giustizia Il filo d’Arianna SOCIETÀ Papa Francesco: corrotti e peccatori non sono la stessa cosa La legalità seppellisca le urla dei corrotti e dei disonesti La tavola dei cavalieri non è più rotonda Parto fisiologico indolore PREVIDENZA Previdenza Complementare. Distinzione tra vecchi iscritti, neo-iscritti e... POLITICA Matteo Renzi e Carlo Messina nella cabala del 10 CURIOS@NDO Le Carte di credito ... sono nate così I più ricchi al mondo. Michele Ferrero primo degli italiani Cinque milioni di italiani in sella alla bicicletta Le strategie di manipolazione del consenso Il lago Maggiore fra Lombardia, Piemonte e Svizzera 4 5 6 7 20 8 9 12 15 16 23 14 17 18 24 25 26 21 22 27 28 29 30 31 FUTURO... QUALE BANCA? competenza trasparenza ......... SPECIALE INSERTO Le esternalizzazioni, come orientarsi Incon t ri - maggi o 2 014 n 3 n I L P U N TO Il fatto del mese ELECTROLUX, I LAVORATORI APPROVANO L’ACCORDO VOTA A FAVORE L’80% DEI LAVORATORI Su 4.775 dipendenti interessati all'accordo, erano presenti nelle fabbriche 4.135, hanno votato in 3.366 (3.311 i voti validi) esprimendo 2.660 sì e 651 no. I lavoratori di Electrolux il 22 maggio hanno approvato l'accordo siglato a palazzo Chigi il 15 maggio con l'80,3% di sì. "L'esito positivo della vertenza Electrolux – ha dichiarato il sindacalista Gianluca Ficco, coordinatore nazionale Uil – rappresenta una notizia positiva per l'intero mondo del lavoro, per il carattere sistemico e simbolico che ha assunto sin dall'inizio: preservando sia l'occupazione sia il salario, i dipendenti di Electrolux hanno dimostrato che, nonostante la crisi, i lavoratori italiani sono ancora pronti a battersi e che, quando opinione pubblica ed Istituzioni ci sono vicine, è possibile vincere". Durante la trattativa tra sindacati e azienda, la situazione si era sbloccata quando la richiesta dell'azienda di eliminare la pausa di dieci minuti nello stabilimento di Porcia è stata ridimensionata a un taglio di cinque mi- nuti. Sciolto anche il nodo delle ore di assemblea, che non diminuiranno. Inoltre l'accordo prevede la de- contribuzione dei contratti di solidarietà, finanziamenti per la ricerca e più flessibilità, per esempio sulle ferie. L'obiettivo è abbattere di 3 euro l'ora i costi degli impianti, in modo da renderli competitivi con quelli polacchi, come richiesto dall'azienda, per non delocalizzare. Per la segretaria nazionale della Fim Cisl, Anna Trovò, "il risultato è stato possibile grazie alla mobilitazione messa in campo dai lavoratori di tutti i siti italiani del Gruppo e alla volontà e capacità di trovare risposte condivise ai problemi di competitività posti da Electrolux attraverso lo strumento della contrattazione. La responsabilità dimostrata da ognuna delle parti coinvolte e la forte attenzione delle Istituzioni hanno consentito il raggiungimento di un risultato apprezzato e importante con l'accordo". 4 n maggi o 20 14 - I n cont ri L’ E D I TO R I A L E n FUTURO... QUALE BANCA? dal livello degli inquadramenti e dall’età, non vuole semplicemente lavorare, ma vorrebbe farlo meglio, partecipando in chiave attiva a un processo di cambiamento che se calato dall'alto, magari dalla solita società di consulenza, ha scarse possibilità di successo. D'altro canto, l’Associazione Bancaria nel corso del forum annuale sulle risorse umane, che si è svolto a Roma qualche giorno fa, immediatamente prima dell’apertura delle trattative per il rinnovo del CCNL, ha, almeno a parole, sostenuto tesi non molto lontane dalle nostre. “Le aziende devono gestire le diverse età del lavoro secondo profili professionali che cambiano: i giovani, gli anziani, le età di mezzo. Lo sviluppo e la ricollocazione professionale, la gestione di crisi occupazionali, le politiche attive del lavoro per i giovani, costituiscono le finalità del cambiamento; la formazione, il coaching, la valorizzazione delle competenze, alcuni degli strumenti per favorirlo”. Questi temi di sicura innovazione e importanza, aggiungiamo noi, potrebbero, per coerenza, diventare il punto di partenza per una trattativa che, viste le rigidità delle banche, si preannuncia complicata. La sfida che ci sentiamo di lanciare è quella che, almeno per una volta, alle dichiarazioni di principio seguano i fatti. Alla controparte chiediamo risposte e non minacce. Siamo stanchi di leggere sui giornali di esuberi, di chiusure di sportelli, di tagli.Vogliamo confrontarci, entrare nel merito dei problemi, tracciare dei percorsi che siano condivisi. Valutiamo positivamente l’utilizzo del Fondo per l’occupazione, peraltro alimentato con il contributo dei lavoratori, per sostenere la stabilizzazione di numerosi posti di lavoro e l’avvio di una nuova occupazione. Riteniamo tuttavia che ciò non sia sufficiente. Occorre andare oltre, DirCredito è disponibile a farlo, ma certo non come intende il Dr. Micheli che, come al solito, di un ragionamento complesso tende a cogliere solo la parte funzionale ai propri obbiettivi. Il pensare che la tanto invocata svolta digitale e lo svecchiamento del personale possano risolvere tutti i problemi delle banche ci sembra in netto conflitto, non solo con l’età media espressa dal board dell’ABI, che secondo i loro criteri anagrafici andrebbe interamente rottamato, ma anche con le dichiarazioni di principio espresse nei convegni. La coerenza si sa ha un prezzo, tuttavia ci pare che questo prezzo i banchieri tentino sempre di farlo pagare ad altri. “ Siamo stanchi di leggere sui giornali di esuberi, di chiusure di sportelli, di tagli. Vogliamo confrontarci, entrare nel merito dei problemi... Incon t ri - maggi o 2 014 n “ È da mesi che i banchieri continuano a parlare di un fantomatico nuovo modello di banca. Per la verità ho sentito diverse tesi, qualche volta anche contrastanti e ciò dimostra che, al di là delle perentorie affermazioni di ABI, neanche le stesse banche hanno una piena identità di vedute rispetto a quella che sarà la banca dei prossimi anni. Sarebbe quindi necessario prima di tutto fare chiarezza e capire bene come coniugare, anche in termini contrattuali, le esigenze di chi ritiene vincente un modello di banca evoluta, ma legata comunque a uno schema più tradizionale rispetto a chi scommette su una rivoluzione copernicana, immaginando le filiali del domani né più né meno come dei negozi, sul modello, per intenderci, di Mac Donald o Starbuck. Ovviamente, è una banalizzazione, ma serve a far capire quanto delicato e complesso sia il momento per gli oltre 300.000 colleghi bancari alla vigilia di un rinnovo contrattuale che, se non gestito con estrema attenzione, rischia di stravolgere la connotazione professionale dell'intera categoria. Sarebbe quindi preferibile lasciare tutto così? Naturalmente si tratta di una domanda retorica poiché risulta evidente come alcuni cambiamenti siano necessari per restare al passo con i tempi, anche se personalmente ritengo che, almeno in qualche caso, per andare avanti occorrerebbe semplicemente tornare indietro. Affermare ciò non significa essere “antichi” o pregiudizialmente contrari al cambiamento, ma semplicemente guardare la realtà, sforzandosi di trovare soluzioni che debbono coniugare i legittimi interessi aziendali con l'altrettanto sacrosanta tutela della professionalità della categoria e dei diritti dei lavoratori. La parola diritti non va intesa come privilegi e, soprattutto, non va declinata come una “conventio ad excludendum”. La stragrande maggioranza dei bancari che incontriamo, a prescindere di Maurizio Arena 5 n INTERNAZIONALE BREVI DAL MONDO Notizie, fatti e curiosità oltre i confini L’EUROPA DEI “MURI” Dopo la Grecia, che ha costruito un muro tra le anse del fiume Evros al confine con la Turchia, ora il muro lo costruirà la Bulgaria, perché i profughi siriani, ma anche quelli provenienti dal Kurdistan, Afghanistan, Marocco e Mali, non riuscendo a passare dalla Grecia, entrano in Bulgaria, una decina di chilometri più in là dal muro greco. Non si conoscono i dettagli del progetto ma la spesa sì, circa 2 milioni di euro per erigere un muro d’acciaio o di cemento per 30 km, a coprire una zona di montagna al confine con la Turchia, nei pressi della cittadina di Elhovo, difficilmente sorvegliabile dalla polizia di frontiera. La gestione dei profughi è in effetti un problema quasi insormontabile per uno dei paesi più poveri d’Europa, che ha allestito delle strutture fatiscenti - secondo l’Onu - per accogliere le migliaia di persone che arrivano a Elhovo, senza aiuti dalla Comunità Europea. L’Europa comune nella politica, nelle merci e nelle persone si infrange sui “muri” dei suoi paesi più deboli, muri che devieranno la marcia dei disperati della guerra e della fame verso i barconi che salpano dalla Libia, oppure verso nuovi 6 valichi di terra, dove probabilmente presto saranno progettate ulteriori barriere. CILE, STUDENTI AL POTERE l ritorno di Michelle Bachelet alla presidenza del Cile - il nuovo mandato ha avuto inizio lo scorso 11 marzo - vede il movimento studentesco entrare a pieno titolo nel Parlamento, dopo aver creato non pochi problemi al governo uscente di Sebastian Pinera. C’è chi parla di cooptazione della protesta da parte del Governo, grazie anche alle promesse della nuova premier di accogliere le richieste degli studenti. Ma i ragazzi negano e, per dare un segnale, nel giorno dell’insediamento hanno organizzato una manifestazione di liceali e occupato simbolicamente la sede della Democrazia Cristiana della capitale. La più famosa e agguerrita è Camila Vallejo, 25 anni, laureata, sposata e madre, che in una intervista ha dichiarato: “come deputata la mia sfida sarà quella di portare in Parlamento i contenuti imposti nelle piazze dal movimento sociale... il diritto all’istruzione pubblica, gratuita e di qualità. Una nuova Costituzione... una nuova legge del lavoro... una sanità decente che non sia basata sul lucro... un sistema pensionistico giusto e ugualitario...”. n maggi o 20 14 - I n cont ri GERMANIA, VIA LIBERA AL SALARIO MINIMO Sono ora 21 i paesi in Europa che hanno adottato il salario minimo. La Germania, ultima per ordine di tempo, ha appena approvato un disegno di legge che introdurrà un tetto di 8,50 euro l’ora sotto il quale i datori di lavoro non potranno scendere. La legge entrerà in vigore dal 1° gennaio 2015 e varrà anche per i diciottenni e per i praticanti nel periodo di formazione. FRANCIA, GLI INDUSTRIALI PROPONGONO UN SALARIO PIÙ BASSO DEL MINIMO Per la Confindustria transalpina il salario minimo è un deterrente motivazionale per le persone che escono dal mercato del lavoro, le quali preferiscono “essere pagate al di sotto del salario minimo che restare disoccupate”. La proposta di Gattaz (presidente del Medef) è di avere una soluzione provvisoria per il primo anno, erogando un salario inferiore a quello minimo. I sindacati ritengono la proposta indecente, poiché il salario minimo (1.445 euro lordi) è già alla soglia di povertà e andrebbe, invece, aumentato di almeno 250 euro. GIAPPONE, DI LAVORO SI MUORE Il termine “karoshi” indica una morte causata da eccesso di lavoro. Si tratta di un fenomeno sociale in preoccupante aumento. Le vittime di karoshi sono principalmente maschi, di età compresa tra i 30 e i 40 anni, generalmente impiegati, che lavorano più di 60 ore alla settimana, fino ad arrivare a 100 ore con il lavoro extra, senza considerare però gli straordinari non retribuiti. Molteplici sono le cause di morte del karoshi: ictus, infarto, incidente stradale mortale causa sonno e, in casi estremi, suicidio. S I N D A C AT O n MULTIMEDIALITÀ “MADE IN ABI”: CHE CONFUSIONE L’Associazione Bancaria con le sue di- chiarazioni a mezzo stampa, nonostante da alcune settimane si sia aperto un tavolo di trattativa per il rinnovo del CCNL, continua a stupirci. Dal Capo Delegazione in giù arrivano segnali poco incoraggianti rispetto alla piattaforma sottoposta al voto dei lavoratori e presentata all’ABI dai sindacati. Non è un buon viatico per la trattativa che “colà dove si vuol ciò che si puote”, a Palazzo Altieri, si dica di condividere solo il preambolo della piattaforma, liquidando il resto come un impianto vecchio. Un’affermazione curiosa, perché, almeno da un punto di vista della semantica, è proprio nel preambolo che si fissano le premesse concettuali che verranno esplicitate nella parte successiva del testo. Detto ciò siamo abituati alle posizioni distruttive “made in ABI” che alla vigilia di ogni trattativa delineano scenari apocalittici poi smentiti dai fatti. Tuttavia, questa volta lo scenario è un po’ diverso per due ordini di motivi. Da un lato questo rinnovo contrattuale non nasce sotto la stella migliore vista la disdetta anticipata e unilaterale da parte di ABI di cui è figlio e il tentativo della stessa di barattare salario contro occupazione. Dall’altro stona il riferimento di ABI alla necessità di rottamare gli over 55, magari Quadri Direttivi, vittime designate di una non meglio definita affermazione del concetto di multimedialità. Ma che cosa è questa svolta digitale a cui molti banchieri, peraltro quasi tutti over 55, guardano come madre di tutte le soluzioni? Nel linguaggio comune la “multimedialità” è intesa come la compresenza e interazione di più mezzi di comunicazione di massa in uno stesso supporto o contesto informativo. Anche la ricerca psicologica ha contribuito ad ampliare il significato del termine, distinguendo due forme di multimedialità: come formato di presentazione che utilizza più canali sensoriali; come processo cognitivo che consente l'acquisizione di nuove conoscenze. Ma cosa c’entra la multimedialità con il “fare banca” e “farlo bene”? Come può un concetto, più orientato al mondo della comunicazione che a quello dei servizi, intercettare le esigenze di famiglie e imprese che denunciano la distanza siderale che li separa dalle aziende di credito. Come si può infine rilanciare Paese e settore solo attraverso la multimedialità che, a questo punto, riteniamo sia un modo maldestro per far riferimento a una massiccia informatizzazione, leggasi standardizzazione dei processi? Da alcune settimane il Governo fa riferimento a una necessaria e indifferibile riforma della pubblica amministrazione, basata su principi di qualità, semplificazione e standardizzazione. Vorremmo tuttavia far notare alle banche che esse non sono paragonabili agli enti pubblici e ai servizi che questi ultimi erogano ai cittadini. Se nel pubblico la semplificazione/standardizzazione dei processi agevola i cittadini/utenti, riducendo tempi di attesa e abolendo, con buona Incon t ri - maggi o 2 014 n pace degli alberi Italiani, la circolazione di milioni di documenti cartacei inutili, in banca le cose stanno diversamente. È infatti diversa la natura dei servizi che i cittadini/clienti chiedono e si aspettano dalle aziende di credito. Chiedere un mutuo è diverso da chiedere un certificato. Mentre nel primo caso lo Stato è tenuto a fornire al cittadino la documentazione richiesta, l’erogazione di un mutuo a una famiglia o di un finanziamento a una impresa sottostanno a una serie di criteri valutativi, oggettivi, ma anche discrezionali, che non possono venire standardizzati. Un servizio bancario di qualità non può che essere personalizzato. Tale personalizzazione può venire velocizzata da una maggiore informatizzazione, ma non può compiersi senza la presenza del fattore umano e quindi della professionalità. Detto ciò, ci appare poco opportuno e anacronistico pensare che la svolta digitale, da sola, intesa come alternativa ai lavoratori, possa dare risposte concrete e costruttive a quelle domande che il Paese e non solo i mercati “mordi e fuggi” si aspettano dalle banche. Cristina Attuati 7 n POLITICA ASSEMBLEA BANKITALIA: L’OFFENSIVA DI VISCO Gli “intoccabili” potranno essere rimossi dai loro incarichi, se sbagliano "La Banca d'Italia: un'istituzione aperta al cambiamento". Sembrerebbe una affermazione un po' utopica in realtà è il titolo di un capitolo delle Considerazioni Finali lette dal governatore dell'istituto centrale all'assemblea annuale dello scorso 30 maggio. Ma questo è solo l’antipasto, in termini di novità, poiché Palazzo Koch, fino a pochi mesi fa simbolo dell’immutabile, sembra aver colto il messaggio che da alcuni mesi serpeggia, nemmeno tanto silenziosamente, nel Paese: o si cambia o si muore. Ed ecco che, musica per le nostre orecchie, il Governatore tocca nel suo intervento, davanti al Gotha della Finanza italiana, temi come la necessità di una separazione più netta e trasparente fra fondazioni e banche, la maggiore attenzione da porsi ai conflitti e gli intrecci fra banche e imprese, e il nodo della governance. ”Le fondazioni bancarie – sottolinea Visco – si sono impegnate nelle operazioni di ricapitalizzazione, contribuendo alla solidità del sistema nella 8 fase più critica”.Tuttavia va evitato il fenomeno, spesso ricorrente, in cui i vertici di banche e fondazioni si scambiano i posti di comando estendendo il divieto di controllo ai casi in cui esso è esercitato di fatto, anche congiuntamente con altri azionisti. Ma il Governatore va oltre, puntando il dito contro i conflitti di interesse tra banche a imprese partecipate dalle stesse. Non è infatti raro che banche, soprattutto di grandi dimensioni, oltre a erogare credito, detengano quote del capitale delle imprese. Questo intreccio partecipativo non può e non deve distorcere le scelte di affidamento o contribuire al tentativo di occultamento delle difficoltà dei debitori. I rischi connessi a questi legami, volutamente tenuti nell’ombra, unitamente a quelli derivanti dai rapporti con controparti strettamente legate alle banche, devono venire segnalati e costantemente presidiati dagli organi aziendali. Se da un lato quindi si ribadisce che la n maggi o 20 14 - I n cont ri Vigilanza non può e non deve vagliare preventivamente le singole scelte di affidamento, ad essa spetta il compito di fissare regole sulle operazioni con parti correlate e di valutarne il rispetto. Ciò con l’obiettivo di prevenire possibili distorsioni allocative e minimizzare i conflitti di interesse; prevedendo limiti quantitativi ai rischi, procedure deliberative rafforzate, presidi organizzativi e obblighi di comunicazione all’organo di vigilanza. Visco, probabilmente spinto da quanto recentemente avvenuto in Carige e non solo, va oltre affermando come “Le crisi aziendali spesso si associano con debolezze dei sistemi di governo societario, che possono favorire episodi di mala gestione”. Forte degli scandali, peraltro spesso annunciati, che hanno travolto i vertici di alcuni importanti Istituti Bancari il Governatore chiede l’attribuzione di poter rimuovere quando necessario e sulla base di fondate evidenze, gli amministratori di una banca dal loro incarico. Non si tratta di un atto rivoluzionario, ma della richiesta di un recepimento anticipato della direttiva europea sui requisiti di capitale che già prevede tali prerogative per gli istituti di vigilanza. Le parole di Visco, soprattutto se si tradurranno in fatti concreti, non possono altro che rallegrarci, in quanto già da molto tempo abbiamo denunciato come alla base del malessere che sta vivendo il settore non ci sia solo la crisi economica internazionale, ma anche scelte strategiche dissennate, spesso compiute ai limiti della legalità da vertici aziendali strapagati. Che dire: meglio tardi che mai. Maurizio Arena BANCHE n LA QUARESIMA DELLE BANCHE Revisione degli atti, stress test, sofferenze e aumenti di capitale UN CHECK-UP SUI BILANCI DELLE BANCHE “Diversi anni di recessione hanno messo a dura prova i bilanci delle banche italiane e la loro capacità di sostenere la ripresa dell’economia domestica”. Lo scrive la Commissione Europea. Ora la BCE, prima di acquisire la vigilanza diretta sulle 150 banche sistemiche, ha disposto di effettuare un check-up sui bilanci 2013 per valutare la bontà degli attivi (in particolare dei crediti) con l’asset quality review e, successivamente, verificare la risposta strutturale (qualità e consistenza) del capitale e portafogli finanziari a situazioni di stress determinate. Secondo uno studio recente le banche italiane in crisi che dovranno rafforzare il loro capitale attingendo al mercato in vista degli "stress test" previsti dalla BCE nel 2014 e negli anni a venire avranno bisogno di una cifra compresa tra i 17/23 miliardi di euro, facendo ricorso in primis agli azionisti e poi sottoponendosi al giudizio dei mercati. Le banche che per prime saranno obbligate a raccogliere fondi per un ammontare di circa sette miliardi sono almeno 15. Tra loro, Monte dei Paschi di Siena, terza banca del Paese, Banca Popolare di Milano e Banco Popolare, rispettivamente quinto e sesto istituto di credito per patrimonio. Inoltre Carige (Cassa di Risparmio di Genova) e nel nordest, la Banca Popolare di Vicenza. STRESS TEST, MAZZATE PER I NOSTRI ISTITUTI Secondo i risultati pubblicati, gli istituti della penisola hanno raggiunto risultati peggiori di tutti gli altri competitors europei nei primi "stress test" del 2011, ordinati da Ue e Bce dopo la recente crisi finanziaria globale. La banca peggiore in assoluto è risultata MPS, che infatti negli ultimi quattro anni è stata già salvata tre volte dallo Stato, allo scopo di evitare un possibile “fallimento” e, forse, un inevitabile effetto domino e un contagio al sistema. Le maggiori banche, insomma, per la prima volta vedono il loro potere messo seriamente in discussione. Lo stesso presidente della Bce Mario Draghi ha parlato, senza mezzi termini, di possibile "fallimenti", nel presentare gli "stress test" Incon t ri - maggi o 2 014 n che saranno condotti su maggiori istituti europei. La Bce lancerà a novembre un "asset quality review", ovvero la revisione della qualità degli attivi, per monitorare la solidità delle banche. L'esame di Eurotower durerà 12 mesi. Inoltre, l'Ue ha varato di recente l'Unione bancaria che, dal gennaio 2015, avrà il compito di chiudere o ristrutturare le 130 banche principali dell'area euro che si trovassero in difficoltà. Alle autorità nazionali spetterà, qualora si verificassero situazioni di crisi, preparare i piani d’azione per evitare, da un lato, i possibili e temuti fallimenti e, dall’altro, procedere al coinvolgimento, per una parte del capitale, anche degli obbligazionisti (cosiddetti bail-in) per poi attivare in ultima istanza l’intervento statale (cosiddetti bail out) prima che venga reso operativo il fondo comunitario ad hoc che entrerà in vigore a gennaio del 2016 con fondi accreditati nei prossimi otto anni dalle banche. MOODY’S E LE MAGLIE NERE ITALIANE Draghi si è espresso chiaramente: "Alcuni istituti avranno bisogno di fallire"; "se devono fallire, dovranno farlo, non c'è alcun 9 n BANCHE legame con il territorio e per una conduzione prudente, quasi ostile all'innovazione. Caratteristiche che avevano in apparenza permesso di far fronte meglio alla crisi globale. Ma l'esplodere delle tensioni sul debito sovrano europeo, l'attacco simultaneo all'euro e ai Btp italiani dell'estate 2011 e soprattutto la totale dipendenza e interconnessione tra sistema bancario e il colossale debito pubblico dell'Italia, che ammonta a oltre due miliardi di euro, negli ultimi due anni hanno messo alla scoperto la debolezza del sistema bancario italiano ad affrontare senza affanno le situazioni di crisi. dubbio su questo" e la responsabile dell’operazione stress test è stata in questo senso ancora più dura parlando di banche zombie che dovranno “sparire”. Goldman Sachs, illustrando il suo outlook su come gli "stress test" andranno a finire, sembra già aspettarsi che qualche grande istituto possa essere interessato da questo, ancor oggi, ipotetico rischio di default per cui è necessario, fin da subito, approntare il meccanismo di gestione del “paracadute” nazionale e comunitario. Anche l'agenzia di rating Moody's proprio sulle banche italiane annuncia che metterà sotto osservazione i 15 principali istituti, ovvero Banca Carige, Mps, Creval, Bper, Bpm, Popolare Sondrio, Popolare Vicenza, Banco Popolare, Credem, Iccrea, Intesa Sanpaolo, Mediobanca, Unicredit, Ubi Banca, Veneto Banca già interessati dagli stress test. Nelle previsioni del "Credit outlook" di Moody's si parla di "impatto negativo" per le banche che presentano indici di capitale deboli. Il documento segnala per la prima volta quali sono gli istituti più a rischio, citando in particolare Banca Carige, Bpm e Credito Valtellinese per il basso livello di capitale; Mps e Banco Popolare per la debolezza della qualità degli asset. L'agenzia precisa che Banca Carige, Banca Popolare e Mps prevedono di raccogliere capitali sul mercato o attraverso la cessione di attività. BANCHE ALLA RICERCA DEI FONDI PERDUTI Per gli analisti, le banche che presentano indici di capitale vicini o sotto la soglia 10 dell'8% del Common Equity Tier fissato dalla Bce, incontreranno difficoltà nell'ovviare alle carenze di liquidità attingendo a risorse private. Di conseguenza "aumentano le probabilità di fallimento o intervento pubblico" per salvare gli istituti, con "perdite per i detentori dei bond junior", dal momento che allo stato attuale delle cose "non esiste alcuna evidenza di una misura per bloccare eventuali deficit di capitale". In pratica queste banche se non dovessero raccogliere sul mercato capitali sufficienti o faranno bancarotta o finiranno sulle spalle dello stato, dei propri azionisti, degli obbligazionisti e infine di noi contribuenti. Insomma, il 2014 potrebbe essere un’odissea per le banche italiane ed è possibile che si scateni la solita ondata di fusioni e acquisizioni. Anche perché, scrive la commissione, “il settore bancario italiano è ancora caratterizzato da un numero di debolezze strutturali”. E “la persistente ma opaca influenza delle fondazioni può alla lunga non essere ottimale”. BANCHE, I PUNTI DEBOLI DEL NOSTRO SISTEMA A dicembre 2013 l'Italia aveva 694 banche, rispetto alle 623 della Francia e 358 della Gran Bretagna. Gli istituti italiani hanno in totale 33mila filiali e 310mila dipendenti, a fronte di 38mila con 416mila dipendenti filiale di Francia e 12mila filiali con 454mila dipendenti in UK. Fino al 2010 le banche italiane erano considerate tra le più solide in Europa e anche rispetto a quelle americane, per via del n maggi o 20 14 - I n cont ri LA STRETTA CREDITIZIA Per il credit crunch (stretta creditizia) le banche hanno drasticamente ridotto i prestiti alle piccole e medie imprese, per cui la ex presunta forza del sistema creditizio nazionale si è trasformata in un terribile handicap. Senza dimenticare l'altra grande anomalia, e cioè il fatto che il bilancio delle banche è composto in gran parte dai titoli di stato del debito sovrano (Bot e Btp) in via di lenta diminuzione, grazie soprattutto alle progressive favorevoli condizioni del mercato secondario e di conseguenza dello spread. PRESTITI IN SOFFERENZA, ALTO IL LIVELLO DI RISCHIO C'è poi il capitolo dei prestiti in sofferenza, cioè inesigibili, in Italia sono saliti a fine 2013 al nuovo record storico di 155 miliardi di euro (+20% rispetto a un anno prima) stando ai dati dell'Abi e di Bankitalia. Via Nazionale stima che i prestiti inesigibili continueranno a salire senza tregua nei prossimi anni (a febbraio 2014 siamo già a 160 mld). L'alto numero di prestiti in default (12,6%) o pre-default (16%) - appare chiaro - porteranno a incrementare le esigenze di ricapitalizzazione delle banche italiane e diverranno sempre più urgenti. Anche il Fondo Monetario Internazionale ha lanciato lo stesso identico allarme: la bassa redditività degli istituti dovuta al fatto che le banche non prestano all'economia reale per via della crisi, mentre i crediti in essere nel frattempo continuano a deteriorarsi, oltre al legame troppo stretto con il debito sovrano (titoli di stato) sono i veri motivi dell'alto livello di rischio tuttora presente nel sistema bancario italiano. Sistema che sta ora interessando anche le banche medio/pic- cole (in particolare la BCE) che hanno continuato a sostenere le imprese stante la vicinanza al territorio, al tessuto economico e per ultimo ma, non secondario, al sistema politico locale molto legato al settore produttivo. tutti gli asset ormai non esigibili. Come avvenne in Spagna, con l’aiuto della UE, la Sareb, nata con una cinquantina di miliardi di capitale, dopo il crollo del mercato immobiliare, la quale ha chiuso il bilancio 2013 in utile, riuscendo a recuperare crediti, anche problematici, ceduti dalle banche ordinarie. BANCHE n I LAVORATORI VITTIME DEGLI ERRORI ALTRUI, NO DEL SINDACATO! Appare importante rilevare l’atteggiamento intollerabile dei banchieri che cercano di sfruttare queste necessarie manovre di pulizia degli asset e di restiling dei bilanci per imporre nuovi modelli di organizzazione del lavoro che trasferiscono i costi ancora una volta sui lavoratori. Denunciare pesanti esuberi e, talvolta, esternalizzare attività o cedere interi rami d’azienda (ad esempio il back office e il recupero crediti) come step necessari e obbligati per raggiungere gli obiettivi di risanamento dei bilanci (apparentemente imposti da volontà superiori) tradiscono le verità oggettive e mortificano le professionalità, ma risultano alquanto efficaci per convincere i mercati circa le prospettive future dell’azienda (Unicredit docet). Lo scopo è sempre lo stesso, liberarsi ,per quanto più è possibile, della forza lavoro non utile nei nuovi standard organizzativi e, soprattutto, delle risorse medio alte, le più costose ma anche le più efficienti e capaci e, quindi, meno “elastiche” al cambiamento. La stagione dei rinnovi contrattuali si è appena aperta e solo la continua vigilanza del sindacato potrà arginare lo tsunami che sarà prodotto dall’ABI strumentalizzando anche i provvedimenti comunitari. IL “CHE FARE” DELLE BANCHE Cosa si può fare allora perché i prestiti inesigibili non creino seri problemi di li- TRASPARENZA E BILANCI, quidità? I due colossi italiani (too big to IL GIORNO DEL GIUDIZIO fail: troppo grandi per fallire) Unicredit e L'andamento reale dell'economia italiana Banca Intesa - stanno cominciando a lascia intendere che i famosi segnali di rivendere i loro asset deteriorati ad alcune presa per ora non si vedono affatto. In finanziarie e fondi specializzati soprat- aggiunta alla viziosa e nociva interdipentutto americani, come KKR (Kohlberg denza tra banche e debito pubblico, che Kravis Roberts & Co.). continua a crescere, avendo toccato a Questi ultimi ricomprano il credito de- gennaio 2014 il nuovo massimo storico. teriorato a prezzi molto scontati, libe- Per questi motivi, ammettono i banchieri, rando capitale, ora destinato agli l'ipotesi della "bad bank" di sistema, con accantonamenti, che potrebbe costituire intervento pubblico, in Italia è allo studio il volano moltiplicatore per riattivare il si- ma, al momento, impraticabile. stema di credito alle imprese e gestire, Le banche italiane sono arrivate, grazie anche in autonomia, i prestiti ristrutturati agli stress test della BCE, al giorno di un o incagliati. Unicredit, per esempio, ha severo giudizio sulla realtà e trasparenza preferito affrontare la situazione annun- del bilancio. Dopo anni di gestione ciando la più colossale perdita della sto- miope, conservatrice e clientelare, azioria bancaria europea: una perdita di 14 nisti e manager dovranno affrontare con miliardi di euro, (per svalutazione dell’av- crudo realismo i risultati di questo esame viamento e accantonamenti su crediti). E e non nascondere le proprie responsala perdita sarebbe stata anche più ampia bilità. Perché un sistema bancario malato se non fosse intervenuta la rivalutazione è parte rilevante della crisi che attanaglia delle quote Bankitalia voluta dal governo il nostro Paese. Gli stress test saranno a favore delle banche azioniste. I nego- quindi anche uno stimolo affinché venga ziati per cedere al mercato gli asset rap- riattivato il circuito virtuoso del fare presentati dai crediti in sofferenza non banca “tradizionale” evitando di ricercare Dante Sbarbati sono facili. Infatti i compratori “pagano in facili guadagni con operazioni di trading media 30 centesimi per 1 euro e in certi o derivati. casi appena 10, quindi con uno sconto del 7090% rispetto al valore I PARAMETRI DEGLI STRESS TEST originale pre-crisi di quel cespite ormai molto svaL’Autorità Europea bancaria (Eba), concordemente con la BCE, ha comunicato gli indici e lo lutato”. Tuttavia, se l'opescenario macro economico avverso che sarà considerato nei prossimi stress test cui verrazione si conclude, la ranno sottoposte le 124 banche europee sistemiche. L’esame inizierà a fine maggio, si conbanca si libera del credito cluderà a ottobre e le banche dovranno dimostrare di avere un capitale sufficiente (5,5% di deteriorato o in default, core Tier 1) per resistere alla crisi. anche se fondamentale Lo scenario immaginato è estremamente pesante con un calo del Pil, rispetto alle previsioni poi è che la perdita (della Commissione UE, dello 0,7% nel 2014, del 1,5% nel 2015 e dello + 0,1% del 2016, 70/90%) appaia effettivache equivale a una contrazione dell’economia pari al 2,1%. Lo stress sulle banche interviene mente in bilancio (come sugli interessi del debito che aumenta mediamente di 150 punti nel 2014 e di 110 punti nel ha fatto Unicredit). Molti 2015 e 2016; la caduta dei valori azionari con una contrazione del 18,6 nel 2014 e del 19,2 banchieri, in privato, amnel 2016; del mercato immobiliare (ad esempio per l’Italia del 13%); il corso dei cambi con mettono che per le banuno scenario dove aumenta il valore dei bond USA con tensioni e fuga di capitali provoche italiane la soluzione cando pressioni specifiche sui corsi valutari e sulle dinamiche di finanziamento. Infine la dimigliore sarebbe un'altra: soccupazione che aumenterà mediamente al 14,4%. lo stato, potrebbe dar Una fotografia a tinte fosche che, questa volta, risparmierà all’Eba le critiche sui precedenti vita a una "bad bank" di stress test considerati poco efficaci, ma garantirà trasparenza e credibilità ponendo in assosistema, un istituto publuto rilievo le residue vulnerabilità delle banche. blico nuovo a cui cedere Incon t ri - maggi o 2 014 n 11 n L AV O RO BANCHIERI: “CHI NON IMPARA DAL PASSATO È COSTRETTO A RIVIVERLO” Top management privo di visione e senso del reale, ossessionato dai tagli Sono ancora vive nella nostra memoria le immagini con cui di fatto si aprì, nel lontano 2008, la crisi di Lehman Brothers che in pochi mesi avrebbe assunto una connotazione globale, travolgendo anche il nostro Paese. Chi non ricorda i bancari americani, letteralmente messi alla porta che in fila ordinatamente lasciavano le aziende per cui fino a pochi minuti prima avevano lavorato, reggendo nelle mani degli anonimi scatoloni da cui spuntavano tristemente quei pochi oggetti personali, foto, gadget, cancelleria usata che “arredavano”, rendendole meno anonime, le loro postazioni di lavoro. Non si tratta certo di scene isolate, ma di veri e propri drammi che conti- “ Nonostante una calma apparente, costruita più ad uso dei mercati che basata su dati reali, la stragrande maggioranza delle banche, italiane comprese, hanno continuato negli ultimi due anni a comprimere il numero degli addetti 12 n maggi o 20 14 - ” I n cont ri nuano a ripetersi a causa di un sistema finanziario che, nonostante gli sforzi dei sistemi nazionali, spesso più formali che sostanziali, non riesce a riformarsi continuando a produrre danni incalcolabili all’economia reale e alla creazione di valore sostenibile. É opinione comune, anche se datata, che i dipendenti delle banche siano dei privilegiati dotati di retribuzioni di tutto rispetto e soprattutto arbitri del destino di centinaia di famiglie e imprese che si rivolgono loro per avere un credito che spesso gli viene negato. La realtà, invece, è tutt’altra, soprattutto in paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, dove in qualsiasi momento si può venir chiamati dall’ufficio del personale e accompagnati alla porta senza la necessità di un motivo plausibile. Una sorta di decimazione istantanea, tanto veloce da passare inosservata anche per chi ti lavora accanto. Una frase tristemente famosa recita che “chi non impara dal passato è costretto a riviverlo”, tuttavia a più di cinque anni dal fallimento di Lehman Brothers, è legittimo chiedersi se quella spirale si sia veramente esaurita o se è solo questione di tempo perché il gioco d’azzardo finanziario, mai veramente interrottosi, faccia sentire i propri effetti generando una nuova serie di fallimenti a catena. Nonostante una calma apparente, costruita più a uso dei mercati che basata su dati reali, la stragrande maggioranza delle banche, italiane comprese, hanno continuato negli ultimi due anni a comprimere il numero degli addetti, riducendo da un lato il costo del lavoro di impiegati, quadri e middle management e aumentando esponenzialmente i compensi per top manager e consulenti esterni. L’incertezza, la totale mancanza di prospettive generano nel personale di L AV O RO n ogni ordine e grado una tensione strisciante che logora quotidianamente e che rende estremamente complicato svolgere serenamente il proprio lavoro. Il concetto di lealtà verso la propria azienda, considerato come un cardine per chi lavorava in una banca, si infrange oggi contro la logica di politiche di ristrutturazione selvagge che sacrificano professionalità consolidate, costruite in anni di impegno, alla politica del taglio dei costi, della standardizzazione a oltranza, dell’automatizzazione che trasforma la banca in altro da sé, facendole perdere quella vicinanza al territorio fondamentale per interpretarne le esigenze. In questo clima i top Manager bancari tendono, nella stragrande maggioranza dei casi a non curarsi degli interessi a lungo termine delle aziende, puntando su una massimizzazione dei profitti che, grazie a criteri premianti del tutto stravaganti, privilegiano gli exploit, spesso più figli di tagli indiscriminati che di reali politiche di crescita e rilancio. Questo “modus operandi” rende in un certo senso superata l’idea della banca come azienda singola, caratterizzata quindi da una certa unità di scopi e attività, con una visione strategica comune a cui attenersi. La banca, soprattutto ai livelli apicali muta la sua natura tradizionale trasformandosi in un insieme di individui in posizioni di comando, gli uni armati contro gli altri. Ognuno cerca infatti di esercitare le proprie “autonomie” in una logica totalmente individualistica e naturalmente distonica rispetto a un progetto comune. Forse sarebbe opportuno prendere in considerazione gli effetti sociali che tale individualismo esasperato può produrre sulle imprese, sulle famiglie e anche sul personale che lavora nelle banche. Nonostante infatti la loro centralità nella vita di ogni Paese, le banche restano ancora degli oggetti misteriosi, difficilmente comprensibili e analizzabili dai non addetti ai lavori. Incon t r i - marzo 201 4 n Per i top manager ambiziosi la riduzione del personale con conseguente taglio del costo del lavoro rappresentano l’opportunità di capitalizzare velocemente quei risultati che consentiranno loro accesso al sistema premiante. Ma un sistema così strutturato pecca certamente di miopia, poiché si basa su incentivi non redistribuiti su tutta la filiera produttiva e soprattutto congeniati in modo da spingere costantemente i dipendenti a pensare solo agli interessi a breve termine. Le risorse umane diventano strumenti, considerati al pari di computer e cancelleria e con le ristrutturazioni non si crea maggiore efficienza, ma semplicemente si fa pulizia di diritti e garanzie. La domanda che sorge quindi spontanea è come sia possibile immaginare che le grandi banche possano trattare imprese e famiglie meglio di quanto trattino le risorse impiegate al loro interno? Giulia Ranieri 13 n LEGALE OSSERVATORIO SULLA GIUSTIZIA a cura di Claudio Minolfi n Suprema Corte di Cassazione - Sezione Lavoro Sentenza n° 26143 del 21 novembre 2013 n Suprema Corte di Cassazione - Sezione Lavoro Sentenza n° 4723 del 27 febbraio 2014 LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE CHE HA SVIATO LA CLIENTELA DIROTTANDOLA VERSO I SERVIZI DI UN’AZIENDA CONCORRENTE Ribadendo il contenuto di precedenti propri pareri, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione con cui la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha dichiarato la legittimità del licenziamento della lavoratrice che con il proprio comportamento ha sviato parte della clientela, favorendo un’azienda in concorrenza con quella presso cui prestava la propria opera. A nulla è valso il tentativo difensivo di sminuire la rilevanza delle prove testimoniali, essendo ormai acclarato che le risultanze di tali adempimenti probatori, nonché quelle del giudizio sull’attendibilità e credibilità dei testi, sono valutazioni afferenti ad apprezzamenti riservati al Giudice del merito che ben possono essere da lui posti a fondamento del proprio convincimento. Nel caso in specie, poi, ogni circostanza addotta a difesa della dipendente licenziata è stata ampiamente valutata dai Giudici o da questi, comunque, ritenuta di scarso significativo valore ai fini di causa. Anche se il danno arrecato può essere stimato di minima entità o addirittura assente, sono state considerate irrilevanti le osservazioni in ordine alla proporzionalità della sanzione irrorata; ciò che invece giustamente rileva, per la decisione finale, è la manifesta idoneità della condotta del lavoratore a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento della prestazione lavorativa. 14 n maggi o 20 14 - I n cont ri comportamento in evidente violazione della sfera privata dei soggetti le cui conversazioni erano state segretamente registrate, non solo in ambito strettamente lavorativo “ manifesta idoneità della condotta del lavoratore a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento della prestazione lavorativa “ Pienamente confermando le decisioni assunte in prima istanza dal Tribunale e successivamente dalla Corte d’Appello di Torino, la Corte di Cassazione ha definitivamente sancito la legittimità del licenziamento comminato al lavoratore dipendente che, nell’intento di poter provare le attività finalizzate al mobbing, a suo dire, messe in atto nei suoi confronti, ha in modo clandestino registrato alcune conversazioni avvenute fra i suoi colleghi di lavoro. La Suprema Corte, con il descritto assunto, ha quindi ritenuto ampiamente e correttamente motivate le precedenti sentenze, e in particolare quella di secondo grado, con cui i Giudici di merito hanno considerato la gravità del comportamento in esame tale da compromettere il rapporto fiduciario tra lavoratore e azienda datrice di lavoro. Pur avendo il dipendente licenziato sostenuto, a sua difesa, la legittimità delle registrazioni in quanto destinate, salvo il loro ufficiale disconoscimento, a essere utilizzate esclusivamente in sede giudiziaria e pertanto non lesive di alcun diritto alla riservatezza, la Cassazione ha evidenziato come sia stato ben motivato, nel provvedimento impugnato, il convincimento circa la particolare gravità dell’episodio contestato. Le risultanze processuali hanno, infatti, dimostrato l’esistenza di un comportamento in evidente violazione della sfera privata, e quindi del diritto alla riservatezza dei soggetti le cui conversazioni erano state segretamente registrate non solo in ambito strettamente lavorativo, ma anche negli spogliatoi e nei locali destinati alla comune frequentazione, per essere tra l’altro utilizzate per una denunzia di mobbing rivelatasi, poi, infondata. “ “ LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO DEL DIPENDENTE CHE CLANDESTINAMENTE HA REGISTRATO LE CONVERSAZIONI DEI COLLEGHI CON L’INTENTO DI SUPPORTARE UNA DENUNCIA PER MOBBING CONTRO IL DATORE DI LAVORO L AV O RO n PIANO “GARANZIA PER I GIOVANI” CHE SIA FINALMENTE L’INIZIO... Istituzioni e imprese: fronte comune contro la disoccupazione giovanile Il 1° maggio, con una dotazione finanziaria iniziale per il biennio 2014/2015 di oltre 1,5 miliardi di euro, ha preso avvio in tutta Italia il Piano Nazionale Garanzia Giovani. Youth Guarantee o Garanzia Giovani è il Piano Europeo per la lotta alla disoccupazione giovanile ed è rivolto a tutti i Paesi Membri con tassi di disoccupazione giovanile oltre il 25%. In sinergia con la raccomandazione del Consiglio Europeo del 22 aprile 2013, il Governo italiano ha stanziato per il Piano esattamente 1.513 milioni di euro, di cui 567 dalla Youth Employment Initiative, 567 dal Fondo Sociale Europeo e 370 di cofinanziamento nazionale. L’obiettivo, rivolto a giovani compresi tra i 15 e i 29 anni, è quello di destinare i finanziamenti previsti in politiche attive di orientamento, istruzione e formazione e inserimento al lavoro. L’attuazione del Piano garantisce, entro quattro mesi dall’uscita dal mondo del lavoro o dal sistema scolastico, ai giovani disoccupati o Neet – Not in Education, Employment, Training – ovvero non impegnati in una attività lavorativa, né inseriti in un percorso scolastico o formativo – un’offerta valida di lavoro, il proseguimento degli studi, l’apprendistato o il tirocinio. Le risorse stanziate saranno ripartite tra le diverse misure del programma direttamente dalle Regioni, che dovranno definire anche modalità organizzative e di attuazione degli interventi all’interno del proprio territorio, nel quadro delle linee guida stabilite a livello nazionale. I costi sostenuti dalle Regioni per fornire i servizi per l’impiego e per tutte le altre modalità previste saranno riconosciuti esclusivamente in base ai risultati e ai percorsi attivati. In questa ottica, il coinvolgimento del mondo delle imprese, che deve assu- mersi delle responsabilità tangibili verso una delle maggiori emergenze del momento, diventa di fondamentale importanza. Le principali associazioni imprenditoriali e di categoria, e anche alcune grandi imprese, in collaborazione con il Ministero del Lavoro, devono farsi carico di predisporre, promuovere e attuare specifici Protocolli di intesa e di collaborazione che definiscano i percorsi idonei alla concreta realizzazione del Piano. Dopo Confindustria e Finmeccanica, CIA (Confederazione Italiana Agricoltori) e AGIA (Associazione Giovani Imprenditori Agricoli), Confcommercio e altre Associazioni, anche l’Associazione Bancaria Italiana (ABI), lo scorso 15 maggio, ha firmato un Protocollo di intesa con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali “finalizzato a promuovere azioni concrete a sostegno dell’occupazione giovanile”. Con questa firma, ABI si impegna a promuovere politiche attive sulle misure previste nel Piano, sviluppando direttamente azioni specifiche e informando i propri associati delle iniziative che possono favorire l'avvicina- Incon t ri - maggi o 2 014 n mento e l'inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. In particolare, verrà istituito un elenco delle aziende disponibili a ospitare tirocinanti, sensibilizzando le imprese associate a un utilizzo significativo dei tirocini e dell'apprendistato favorendo la comunicazione delle offerte di lavoro rivolte ai giovani. Prevista anche la costituzione di un gruppo di coordinamento destinato a promuovere la definizione di azioni formative a livello nazionale e territoriale, a monitorare l'avanzamento delle iniziative e coordinando le azioni di comunicazione riferite al Protocollo. Non si può che essere favorevoli a questo tipo di iniziative, sperando che non si tratti della solita “campagna pubblicitaria”. Ora l’attenzione è rivolta al rinnovo del CCNL. L’Associazione Bancaria dovrà dimostrare di saper far fede a quanto sottoscritto con il Ministro Poletti, nelle considerazioni del Protocollo: “il principio di responsabilità sociale d’impresa comporta uno sforzo straordinario per fronteggiare le difficoltà della società italiana provocate dalla lunga crisi economica di questi anni”. Silvio Brocchieri 15 n L AV O RO LE RIUNIONI DI LAVORO SPENGONO IL CERVELLO In disarmo stakanovisti e presenzialisti di ogni genere Lo sapevate che le “riunioni di lavoro” spengono il cervello? Che l'attenzione cala vertiginosamente dopo 20 minuti? Che la maggior parte di questi incontri serve a decidere quando si terrà il prossimo? Che il New York Times stronca tutti i vantaggi dei lunghi meeting, suggerendo se proprio si vogliono fare, di programmare riunioni brevi e in piedi, come fanno da tempo i francesi, in modo da non permettere una rilassatezza del corpo e del cervello? Se non lo sapevate ve lo spiega uno studio del Virginia Tech Carillon School of Medicine and Research Institute, che pare concepito apposta per alimentare le più fosche paranoie dei “presenzialisti”, di coloro cioè che non lasciano mai l'ufficio prima delle otto di sera, che quando intervengono in una riunione, e intervengono sempre, leggono per mezz'ora una lunga circolare aziendale munita di slides luccicanti, e poi per un'altra mezz'ora, se va bene, la commentano a braccio, autocompiacendosi della propria retorica. Proviamo a metterla così: gli americani sono esagerati, alcuni manager (non è un dato certo, ma sembra siano solo donne) sono arrivati addirittura a tenere riunioni di lavoro anche nella toilette del- 16 livia n maggi o 20 14 - I n cont ri l'ufficio, sperando di ottimizzare i tempi e ottenendo invece il risultato opposto, se non addirittura un pericoloso blocco delle vie urinarie. In teoria le riunioni di lavoro servono: a organizzare l'agenda lavorativa giornaliera, settimanale o mensile, a risolvere problemi complessi mettendo a confronto gli esperti interni nei vari campi, a proporre idee, utilissime allo sviluppo aziendale. In teoria servono, però se ne fanno troppe e troppo lunghe. Non si sottrae soltanto tempo al lavoro, ma anche a se stessi, alla famiglia, ai figli, al piacere di stare con gli amici. Una bella lezione di cambiamento per ridurre questo spreco collettivo arriva appunto dalla Francia dove, con la regia del governo, imprenditori e sindacati hanno sottoscritto un accordo per contenere la febbre delle riunioni aziendali. Due i punti più interessanti: le riunioni in azienda sono vietate prima delle 9 e dopo le 18 ; le mail di lavoro, tra dirigenti e dipendenti, non sono previste durante il fine settimana. L'accordo è stato battezzato “La carta per l'equilibrio dei tempi della vita” ed è stato sottoscritto da numerose imprese, in particolare da 16 grandi gruppi, tra cui Coca-Cola, Carrefour, Allianz, Lvmh, Bnp Paribas, Michelin. Si tratta di un vero e proprio contenimento degli sprechi (in questo caso di tempo e di lavoro) ed è anche un modo per incoraggiare tutti a rispettare il tempo dedicato alla famiglia, niente impegni professionali a fine giornata, ma neanche troppo presto al mattino (bisogna accompagnare i bambini a scuola). In Italia pochi sono gli esempi virtuosi, uno su tutti la Cassa Rurale di Aldeno e Cadine, provincia di Trento, 14 filiali, 103 dipendenti, chiude gli sportelli alle 16 e vieta qualsiasi riunione dopo quest'ora. Con buona pace degli americani, esagerati, e dei nostri stakanovisti forzati, compreso il giovane Capo del governo che pur “tenendo famiglia” organizza riunioni alle 7 del mattino. Elisabetta Giustiniani ncontri I idee&fatti 22 maggio 2014 anno IV ESTERNALIZZAZIONI come orientarsi n S P E C I A L E I N S E RTO n S P E C I A L E I N S E RTO ESTERNALIZZAZIONI come orientarsi 3 3 5 7 8 II n n n n n INTRODUZIONE IL CONCETTO DI “OUTSOURCING” IL TRASFERIMENTO D’AZIENDA E RAMO D’AZIENDA ESTERNALIZZAZIONI: APPLICAZIONE CONCLUSIONI Testi a cura di DirCredito Comunicazione n maggi o 20 14 - I n con tri ESTERNALIZZAZIONI come orientarsi n INTRODUZIONE La globalizzazione dei mercati e l’utilizzo sempre più consistente delle nuove tecnologie nelle attività aziendali, ha spinto le imprese a gestire ogni singolo processo produttivo in funzione della massimizzazione del profitto, attraverso la migliore destinazione possibile delle risorse disponibili. In considerazione del fatto che i più rilevanti cambiamenti del mercato del lavoro passano dalla riconsiderazione dei modelli di organizzazione del lavoro, il tema dell’outsourcing rende interessante e di grande attualità l’analisi e lo studio degli strumenti utilizzati, tra i quali le delocalizzazioni, le esternalizzazioni, i trasferimenti aziendali e le joint venture. L’argomento è stato, recentemente, oggetto di analisi di uno studio – con il patrocinio dell’Unione Europea e del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – dell’Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (ISFOL). Le esternalizzazioni sono ormai un fenomeno caratterizzante anche del sistema bancario e, per questo motivo, in presenza di significative modifiche a livello contrattuale riguardanti la flessibilizzazione dei rapporti di lavoro, impattano inevitabilmente sulle condizioni di lavoro dei dipendenti e sulle sorti dell’occupazione. L’incidenza di questi processi sulle politiche di governo delle risorse umane e, conseguentemente, sulla qualità e sulle condizioni di vita dei singoli lavoratori e delle loro famiglie viene evidenziata dall’attenzione con cui le Organizzazioni sindacali presidiano costantemente questo tipo di operazioni, con prolungate trattative, dall’inizio della procedura fino al raggiungimento di complessi accordi. Tuttavia, nonostante la rilevanza In c on tr i - del tema, risulta ancora poco agevole definire l’entità del fenomeno e stabilire quanti e quali siano i lavoratori coinvolti, esposti agli effetti della globalizzazione e del radicale mutamento dei mercati. Questo impone al legislatore e alle parti sociali interessate un costante e difficile lavoro di adeguamento normativo e negoziale, alla ricerca di soluzioni equilibrate ed efficaci anche sul versante dell’organizzazione dei processi produttivi, ineluttabilmente correlati alle condizioni di lavoro. n IL CONCETTO DI OUTSOURCING Il termine outsourcing deriva dalla contrazione dell’inglese outside resourcing, letteralmente procurarsi all’esterno. Diversi studiosi si sono occupati di approfondire la materia, arrivando a diverse conclusioni. Così l’outsourcing è stato definito come quella “particolare modalità di esternalizzazione che ha per oggetto l’enucleazione di intere aree di attività, strategiche e non, e che si fonda sulla costituzione di una partnership tra l’azienda che esternalizza e una azienda già presente sul mercato in qualità di specialista” (Arcari). Oppure come il “processo maggi o 2 014 n III n S P E C I A L E I N S E RTO attraverso il quale le aziende assegnano stabilmente a fornitori esterni (eventualmente con trasferimento dell’intero settore di attività), per un periodo contrattualmente definito, la gestione operativa di una o più funzioni in precedenza svolte all’interno” (Boin, Savoldelli, Merlino in “Outsourcing: uno strumento operativo o una moda?”). Altri ancora precisano si tratti di una modalità di organizzazione esterna dei servizi da attuare attraverso una serie di contratti tra le parti (outsourcee e outsourcer), impegnandole in investimenti congiunti e a forme di collaborazione, sia per quanto riguarda la progettazione che la produzione dei servizi. Dall’analisi delle definizioni con cui viene trattato l’argomento si evince grafico 1 che l’outsourcing si differenzia dalle altre forme di esternalizzazione in quanto presuppone una relazione strutturata tra cliente e fornitore, dove i rapporti tra chi esternalizza e chi acquisisce l’attività ceduta si fondano su relazioni, sia di mercato che collaborative. Il presupposto principale è un coinvolgimento strategico del fornitore, nei programmi a medio-lungo termine, nello sviluppo aziendale del cliente. In definitiva, come sottolinea la Everest Europe Group – società internazionale focalizzata sui servizi di sourcing – un’operazione di outsourcing è una alleanza strategica basata sul riconosci- IV mento delle reciproche competenze, sulla volontà di stabilire una effettiva collaborazione a lungo termine e sulla disponibilità di sviluppare relazioni corrette e trasparenti. In Italia il fenomeno si è imposto negli anni sessanta, a causa della consistente differenza nel costo del lavoro tra le piccole/medie imprese e le grandi realtà dove, anche per l’azione di tutela dei lavoratori svolta dal sindacato, si verificò un positivo e adeguato innalzamento del livello salariale. Negli ultimi anni è in atto un ulteriore impulso al decentramento a causa dell’inasprirsi della concorrenza e del perseguimento di un modello di sviluppo dalle peculiari caratteristiche, quali la costante ricerca della riduzione dei costi e l’innalzamento del livello qualitativo dei servizi o dei prodotti intermedi necessari. In riferimento allo sviluppo del mercato dei servizi di offshoring, cioè il trasferimento di attività in un paese diverso dalla sede aziendale, generalmente a più basso costo del lavoro, e outsourcing, in Europa, il Regno Unito rappresenta il 50% del mercato europeo. Seguono Germania con il 20%, Benelux con il 10%, Francia e Italia – in recupero rispetto agli altri mercati - con circa il 5% ciascuno (vedi grafico 1). Pochi grandi contratti – Schneider e Renault in Francia; Fiat, Ferrovie dello Stato e Telecom in Italia – influenzano notevolmente la dimensione dei mercati europei. Il valore percentuale di ricorso all’outsourcing in relazione ai contratti sottoscritti rispetto al PIL risulta significativamente più basso in Europa rispetto agli Stati Uniti; unica eccezione il Regno Unito dove l’adozione è pari a circa l’80% di quello statunitense, mentre l’Italia si posiziona sotto il 10%. n maggi o 20 14 - I n con tri E STERNALIZZAZIONI come orientarsi n IL TRASFERIMENTO D’AZIENDA grafico 2 - E Nonostante nel nostro Paese il fenomeno risulti in continua crescita, il trend di sviluppo è ancora inferiore a quello che si registra a livello mondiale e, soprattutto, è basato su pochi grandi contratti principalmente focalizzati sull’Information Technology (IT). L’outsourcing costituisce – o meglio, dovrebbe costituire – un valido strumento in caso di ristrutturazioni e riorganizzazioni aziendali in quanto, allocando all’esterno produzioni e lavorazioni non ritenute core business, consente all’impresa di concentrarsi sulle attività chiave, con la possibilità di valorizzare le risorse interne, accrescendone contestualmente le competenze. Questo processo di esternalizzazione permette altresì la drastica riduzione, se non la completa eliminazione, dei costi di investimento in nuova tecnologia e di ricerca, con la diretta conseguenza sui costi relativi alla formazione dei dipendenti addetti a gestire tali procedure, potendo accedere – anche parzialmente – direttamente alle conoscenze specifiche del provider. Nel grafico 2 vengono identificate, da uno studio condotto dal The Outsourcing Institute su un campione di 1.200 società americane, le dieci principali motivazioni che inducono all’outsourcing. Lo schema evidenzia, piuttosto chiaramente, come il fattore principale per il quale le aziende ricorrono all’outsourcing sia la riduzione dei costi, accompagnata dalla necessità di focalizzarsi sul core business. In c on tr i - RAMO D’AZIENDA Il trasferimento di azienda e di ramo di azienda, strumento giuridico con cui vengono più frequentemente realizzate operazioni di outsourcing, è regolamentato dall’art. 2112 del Codice Civile e, per quanto riguarda il settore del credito, dall’art. 17 CCNL del 19 gennaio 2012. Il Codice Civile definisce che “ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo (2112) si intende per trasferimento di azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di una attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento, la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l’usufrutto o l’affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di una attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario, al momento del suo trasferimento”. Tutto il complesso delle norme è improntato a evitare l’elusione delle regole in materia di licenziamenti indivi- maggi o 2 014 n V n S P E C I A L E I N S E RTO duali e collettivi e di appalti di servizi, ovvero alla tutela dei lavoratori nella continuità dei rapporti di lavoro, malgrado il mutamento soggettivo del titolare dell’impresa. Infatti, è ancora l’articolo 2112 a stabilire che “in caso di trasferimento d’azienda, il rapporto di lavoro continua con l’acquirente e il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano” e che “il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi, previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali e aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all’impresa del cessionario. L’effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello”. Particolare rilievo riveste, nel settore del credito, il trasferimento del ramo di azienda. In questo ambito diventa essenziale definire due requisiti fondamentali al perfezionamento dell’operazione, ossia “il carattere dell’autonomia” e quello della “preesistenza e identificazione soggettiva”. Il principio che definisce l’autonomia di un ramo di azienda va individuato nella organizzazione di beni e di persone al fine della produzione di determinati beni o servizi per il conseguimento di specifiche finalità produttive. L’art. 32 del D.Lgs. 276/2003 riforma la precedente normativa e stabilisce che la preesistenza dell’autonomia funzionale, potendo il ramo essere identificato al momento del suo trasferimento, non è più richiesta purché il ramo di azienda ceduto si presenti come una organizzazione di mezzi idonea, anche mediante successiva integrazione, allo svolgimento delle attività di impresa. L’articolo 17 del CCNL dei bancari, “Ristrutturazioni e/o riorganizzazioni – Trasferimenti di azienda”, in otto commi definisce l’iter procedurale alle quali le parti – azienda e sindacato – si devono attenere. In sintesi: 1. nei casi di rilevanti ristrutturazioni e/o riorganizzazioni … l'informazione e la consultazione sono successive alla fase decisionale. 2. l'informazione scritta deve riguardare i motivi della programmata ristrutturazione e/o riorganizzazione, le conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori …, le eventuali misure previste nei confronti di questi ultimi. 3. le ricadute sulle condizioni di lavoro del personale nei VI casi suindicati formano oggetto di apposita procedura di contrattazione prima dell'attuazione operativa … . 4. la prima fase di detta procedura, salvo diversi accordi tra le Parti, si svolge in sede aziendale e deve esaurirsi entro il termine di 15 giorni … . 5. Qualora in tale sede non si giunga a un accordo si dà luogo a ulteriori incontri negoziali che devono esaurirsi entro altri 30 giorni, trascorsi i quali l'impresa può attuare i provvedimenti deliberati, per la parte concernente il personale … . 6. Nelle ipotesi, invece, di trasferimento di azienda - quali fusione, concentrazione e scorporo - si applica la disciplina di legge, a prescindere dal numero dei dipendenti delle imprese interessate. 7. Nel caso di cessione del pacchetto azionario di controllo l'impresa cedente e quella cessionaria, nonché quella ceduta, dopo la cessione medesima, ne informano con immediatezza gli organismi sindacali aziendali e verificano con gli stessi se vi sono ricadute sulle condizioni di lavoro del personale, ai fini dell'eventuale attivazione della procedura di cui al comma 1. 8. Durante le procedure di cui al presente articolo le Parti si asterranno da ogni iniziativa unilaterale e da ogni azione diretta. L’analisi dell’art. 17 evidenzia come la procedura che viene messa in atto permetta comunque all’azienda, esperiti i tempi destinati alla trattativa, di procedere alla cessione del ramo di azienda anche senza aver raggiunto un accordo sindacale. In questo caso siamo di fronte a una cosiddetta “procedura debole” dove l’operazione di cessione viene regolamentata esclusivamente attraverso la normativa dell’art. 2112 Codice Civile che così assume un ruolo di rilevante importanza strategica. n maggi o 20 14 - I n con tri E STERNALIZZAZIONI come orientarsi n ESTERNALIZZAZIONI: APPLICAZIONE Nel mondo bancario i comparti maggiormente assoggettati a operazioni di esternalizzazione sono quelli legati al settore dell’Information Technology (IT) e del Back Office (BO) e lo strumento giuridico, largamente più adottato in questo tipo di procedure, è quello della cessione del ramo di azienda. La storia ci insegna che i grandi gruppi bancari costituiscono inizialmente un Consorzio o una Joint Venture dopodiché, acquisite attività e lavoratori, spacchettano parti di lavorazioni, con i relativi addetti precedentemente acquisiti, e le conferiscono in altra società. In questo capitolo cercheremo di analizzare due esempi di accordi di outsourcing e più precisamente quello di Ubis (Gruppo UniCredit) con la V-TService e quello, sottoscritto non unitariamente dalle Organizzazioni sindacali, in Monte di Paschi di Siena con Fruendo. Gruppo Unicredit V-TServices SpA è una società costituita tra IBM al 51% e Ubis al 49%, alla quale sono state cedute attività di ICT Infrastructure Management e conferiti, senza soluzione di continuità, 309 dipendenti. In questo caso, l’accordo sottoscritto dai sindacati e approvato dai lavoratori con circa il 95% dei consensi dei votanti pari al 65%, prevede trai punti più significativi: - l’iscrizione all’Associazione Bancaria Italiana e l’applicazione del CCNL del Credito anche per i neo assunti; - garanzie occupazionali di lungo periodo, con diverse articolazioni, dal 31/08/2018 fino al 31/08/2028. In caso In c on tr i - di tensioni occupazionali, il Gruppo Unicredit si impegna, esperite le necessarie procedure di legge e di contratto – ivi compreso il Fondo di Solidarietà di settore, a ricollocare i lavoratori ceduti in Ubis o altre Aziende del gruppo; - la salvaguardia dei trattamenti normativi, di welfare (compresi quelli previdenziali), economici e delle condizioni riservate ai dipendenti del Gruppo; - il mantenimento degli accordi di secondo livello fino al 31 dicembre 2014. Monte dei Paschi di Siena Fruendo Srl è una società neo costituita tra Bassilichi SpA al 60% e Accenture Insurance Services SpA al 40%; il ramo di azienda ceduto da Monte Paschi è relativo alla “Divisione Attività Amministrative Contabili Ausiliarie” e coinvolge 1.066 lavoratori. L’accordo, non firmato da tutte le Organizzazioni sindacali, oltre a prevedere che i contratti di servizio – anche attraverso i partner industriali, soci della medesima – presentano attività per Fruendo per una durata di 18 anni, eventualmente rinnovabili, stabilisce l’applicazione del Contratto bancario a tutti lavoratori ceduti con il mantenimento dei trattamenti retributivi e degli inquadramenti in essere. A livello previdenziale, Monte Paschi si impegna ad attivarsi presso gli Organi competenti dei Fondi affinché per i dipendenti coinvolti nell’accordo – che alla data del trasferimento siano iscritti a uno dei Fondi pensione aziendali di MPS – sia consentito il mantenimento dell’iscrizione al Fondo originario. In alternativa, qualora la continuità non si perfezionasse, sarà possibile aderire a Previbank, eletto quale Fondo di riferimento e, anche in questo caso, Fruendo si farà carico di versare un contributo pari al 2,50% della base di calcolo del Tfr, così come definita dal CCNL vigente. Le operazioni in questione incorporano la caratteristica principale dell’outsourcing, vale a dire una relazione strutturale tra cliente e fornitore, evidenziata da contratti di fornitura di servizi, più o meno duraturi nel tempo, e in cui – caso V-TServices – nella compagine sociale compare anche la società cedente (Ubis). Le due diverse cessioni di ramo di azienda – entrambe regolate dall’art. 2112 Codice Civile, dall’art. 17 CCNL e dall’art. 47 L. 428/90 – hanno in comune “l’autonomia funzionale e organizzativa” e la “preesistenza”, ma differiscono su alcuni punti fondamentali quali le garanzie occupazionali di lungo termine. maggi o 2 014 n VII n S P E C I A L E I N S E RTO n CONCLUSIONI Il ricorso alle esternalizzazioni, di lavoro e di uomini, inteso nel complesso di tutte le sue tipologie – che vanno dall’appalto alla delocalizzazione, dalla costituzione di joint venture al trasferimento del ramo di azienda – è attualmente una prassi di ordinaria amministrazione all’interno della organizzazione aziendale. Nei fatti, l’outsourcing costituisce ad oggi uno strumento totalmente utilizzato a perseguire finalità produttive, quali l’incremento dell’efficienza, il mantenimento di un adeguato livello di competitività, ma soprattutto l’esasperata ricerca del contenimento dei costi. In questo ultimo caso, la riduzione dei costi e nella fattispecie quella relativa ai costi del lavoro, purtroppo non ha come scopo principale quello di accrescere la produttività, bensì quello di aumentare, a beneficio “dei pochi”, solo ed esclusivamente i margini di profitto da distribuire. Ne deriva che la tutela dei lavoratori possa risultare notevolmente influenzata, specie quando la procedura di esternalizzazione “nasconde” la volontà manageriale e aziendale di tagliare voci di costo connesse essenzialmente al lavoro e ai profili professionali. L’impatto che la crisi economico-finanziaria sta producendo sul settore del credito – calo di redditività, incremento dei crediti anomali e/o a sofferenza – non deve giustificare, e non giustifica, l’imprevidente strategia aziendale di “perdere” know out e capitale umano. L’evoluzione e il rinnovamento del sistema bancario, indispensabile per sorreggere l’economia nazionale e la competizione internazionale delle nostre aziende, può essere sostenuto in casi eccezionali da operazioni di outsourcing, ma non è accettabile il ricorso indiscriminato a tale strumento e, soprattutto, che il tutto avvenga a discapito dei lavoratori e delle loro tutele. Le esternalizzazioni incidono infatti inevitabilmente sulla qualità e sulle condizioni di vita e di lavoro delle persone coinvolte e delle loro famiglie. Basti pensare alla “umana” conflittualità che il solo annuncio del trasferimento di un ramo d’azienda – nell’ambito di un’operazione di trasferimento di funzioni in precedenza svolte all’interno – può generare tra il gruppo di coloro che ne sono destinatari e quello di chi invece continuerà a lavorare nell’azienda cedente. Oppure basti riflettere sugli effetti che produce un cambio di sede di lavoro, imposto per “esigenze organizzative”, sui lavoratori trasferiti, con impatto immediato sulle loro abitudini quotidiane e sulla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. O ancora pensare al senso di inadeguatezza che pervade chi, dopo avere lavorato per anni, a volte decenni, nella stessa azienda – aderendo perfettamente ai profili delle posizioni via via ricoperte – viene trasferito a una nuova azienda, che percepisce come estranea, talvolta come ostile, nella quale deve ricostruire i rapporti interpersonali e il proprio spazio lavorativo. Basti immaginare il senso di fallimento che travolge chi vive questo trasferimento non solo come il venir meno di una determinata realtà o aspettativa lavorativa, ma anche come il venir meno del futuro immaginato, della progettualità personale, o peggio come la perdita della propria identità. La piattaforma per il rinnovo del CCNL, al capitolo dedicato alle esternalizzazioni, evidenzia come: “il consolidamento dell’area contrattuale, il contrasto alle esternalizzazioni e alla dispersione di posti di lavoro e di professionalità sono elementi fondamentali, anche se indiretti, nella difesa dell’occupazione, in quanto attinenti alla tenuta del perimetro contrattuale”. Diventa quindi di fondamentale importanza il rafforzamento delle procedure attualmente in essere, tra le quali la verifica in via preventiva della sussistenza dei requisiti richiesti in ordine alla cessione del ramo di azienda, nonché l’allungamento dei tempi relativamente alla durata della trattativa – da 30 a 60 giorni – e l’assimilazione, in analogia con l’art. 20, degli strumenti alternativi alla cessione del personale. In termini giuridico-legislativi, infine, potrebbe risultare utile la modifica di alcuni aspetti della disciplina sul trasferimento del ramo di azienda come, per esempio, l’introduzione di maggiori oneri e responsabilità in capo ai soggetti protagonisti dell’operazione. n maggi o 20 14 - I n con tri LEGALE n IL FILO D’ARIANNA Suggerimenti per districarsi nel labirinto della vita quotidiana Nuove tecnologie. Impianti per la produzione di energia elettrica mediante fonti rinnovabili. Gli impianti “fotovoltaici” installati sul tetto di casa, qualora rispondenti ad alcune caratteristiche, potrebbero far aumentare la rendita catastale e di conseguenza le imposte a questa ricollegabili. Con la Circolare n° 36 del 19 Dicembre 2013, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto opportuno altresì intervenire per fornire alcuni necessari chiarimenti in ordine ai profili catastali e, quindi, agli aspetti fiscali degli impianti fotovoltaici. A seguito, infatti, del forte incremento registrato sul mercato della produzione di energia elettrica generata da fonti alternative e rinnovabili, altrettanto numerose sono state le richieste di chiarimenti rivolte alle competenti Autorità, soprattutto in ordine a ciò che concerne la qualificazione mobiliare o immobiliare degli impianti fotovoltaici e alle conseguenze che rispettivamente ne rivengono in ambito catastale e tributario. Non rileva infatti, ai fini di un loro accatastamento, la sola inamovibilità degli impianti fotovoltaici o la loro collocazione in un luogo diverso dall’immobile cui sono riferibili. È pertanto da chiarire che, per l’Amministrazione Finanziaria, l’unità immobiliare è costituita da un fabbricato o da una porzione di fabbricato, ovvero da un’area che, nello stato in cui si trova e secondo l’uso locale, presenta una inequivocabile potenzialità di autonomia funzionale e reddituale. Analogamente son da considerarsi unità immobiliari, purché verificatane la stabilità nel tempo e presentino l’indicata autonomia funzionale e reddituale, i manufatti cosiddetti “prefabbricati”. Ne consegue che, ai fini dell’obbligo di accatastamento degli impianti fotovoltaici per l’individuazione di una loro propria rendita catastale, o dell’obbligo di denunciarne la variazione per la rivisitazione della rendita eventualmente già esistente, è quindi determinante la loro capacità di produrre un certo reddito entro un lasso rilevante di tempo. Precisa però, la sopra indicata Circolare n° 36, che non hanno alcuna rilevanza catastale le porzioni di immobili su cui risultino installati impianti per la produzione di energia di modesta entità, quali quelli destinati a consumi domestici che, fortunatamente per i contribuenti, sono un gran numero. In particolare, non sussiste alcun obbligo di dichiarazione qualora l’impianto non superi i 3 Chilowatt di potenza per ogni unità immobiliare servita o che la potenza complessiva non superi di tre volte il numero delle unità assistite. Per quanto concerne invece le installazioni radicate al suolo, oltre che presentare alternativamente una di tali ultime indicate caratteristiche, può essere sufficiente per non ritrovarsi assoggettati agli obblighi di accatastamento o di variazione catastale, che l’area destinata all’intervento non superi complessivamente i 150 metri cubi. Qualora, infine, la produzione d’energia dell’impianto fotovoltaico fosse riferibile a un’unità immobiliare già accatastata, si renderà necessaria la variazione della rendita catastale, unicamente se il valore dell’impianto superi il 15% della rendita preesistente. È ovvio che per tale forma d’aggiornamento, per maggiore tranquillità degli interessati, trattandosi di computi che andranno a impattare su tutte le imposte la cui base di calcolo è appunto la rendita catastale (es.: Imu, Tasi, Registro), si renderà consigliabile il coinvolgimento professionale di tecnici abilitati ad approntare le dovute verifiche. Incon t ri Claudio Minolfi - maggi o 2 014 n 17 n SOCIETÀ PAPA FRANCESCO: CORROTTI E PECCATORI NON SONO LA STESSA COSA FRANCESCO/1: MONITO AI POLITICI Per loro stessa ammissione, se ne sono tornati allo scranno parlamentare delusi e in evidente disagio i 518 deputati che avevano partecipato alla messa celebrata riservatamente per loro, alle sette del mattino e a porte chiuse, nella Basilica di San Pietro, da papa Francesco. Le loro aspettative di ritrovarsi di fronte il solito pontefice che più "familiare" non si può, sono andate, però, completamente deluse perché Francesco, nell'occasione, non si è mostrato loro col volto sorridente, socievole e amicale, come appare sempre in mezzo alla sua folla. Tutti i partecipanti, dopo averlo ascoltato con la massima attenzione, hanno capito che il tema trattato nell'omelia papale non era affatto casuale e che, pur richiamandosi all'epoca di Gesù, si proiettava totalmente nell'era moderna, quella loro. Un papa che descrive così bene la figura del corrotto, differenziandola, per 18 sua natura, da quella del peccatore non s'era mai visto prima, attraverso un messaggio indirizzato a un nutrito gruppo di politici, ai quali è apparso chiaro che lo stesso fosse stato confezionato ad hoc per la loro categoria. Senza pacche consolatorie sulle spalle, nessun buffetto incoraggiante sulle guance, pochi sorrisi e solo una formale cordialità: si è trattato di una severa ramanzina pontificia, propria della serie evangelica: "chi ha orecchi per intendere, intenda" Dopo questa solenne strigliata papale, riportata con gran clamore da tutti i mass media, il ruolo dei politici ne esce notevolmente ridimensionato non solo sotto l'aspetto meramente sacro, ma soprattutto nell'immagine. Dio, dice Francesco, riconosce il perdono al peccatore pentito, per qualsiasi colpa commessa, e lo riaccoglie, ma allontana da sé il corrotto che continua, imperterrito, ("fissato nelle sue cose"), nella sua azione devastatrice, approfittando delle cariche o degli incarichi n maggi o 20 14 - I n cont ri conferitigli magari proprio da quelli che, poi, saranno le sue vittime preferite. Dunque, i peccatori saranno perdonati, i corrotti no: un richiamo, forte, deciso, severo, che non può non scuotere qualsiasi coscienza. Dio, ha spiegato il papa, vede il suo popolo come "pecore senza pastori" e, purtroppo, i politici-pastori di oggi sono, in massima parte, affaccendati in tutt'altre faccende personali anziché curare gli interessi dei cittadini. Papa Francesco, in tutte le manifestazioni ufficiali, ha sempre dato scarsa o nessuna importanza ai politici presenti, definiti in questa storica omelia "uomini di buone maniere ma di cattive abitudini" alla stessa stregua dei noti "sepolcri imbiancati" come li aveva definiti Gesù, all'epoca sua. A distanza di duemila anni, cambia la definizione letterale, ma il significato rimane lo stesso. Già lo scorso anno, papa Francesco, in un suo libro dal titolo molto esplicativo "Guarire dalla corruzione", aveva approfondito l'argomento della condotta del pubblico ufficiale che riceve indebite elargizioni, con delle affermazioni sul "corrotto che ha la faccia del non sono stato io, la faccia da santarellino, a meritarsi la laurea honoris causa in cosmetica sociale". E, di recente, tanto per non cambiare, il calendario della corruzione viene aggiornato con lo scandalo tangentizio di Expo 2015, nel quale, attraverso filmati, si vedono e si sentono corrotti e corruttori scambiarsi frettolosamente sostanziose mazzette. Una volta tanto, colti sul fatto, perché la corruzione in Italia avviene sempre in termini ufficiosi (tutti ne sono a conoscenza perché riguarda sempre gli… altri), in forma sotterranea e, come rincara il papa, "i corrotti temono la luce perché la loro anima ha acquisito le caratteristiche del lombrico nelle tenebre e sotto terra". I corrotti non sono solo gli uomini politici, e loro dovrebbero costituire da esempio, ma tante altre categorie di cittadini comuni, magari all'apparenza onesti e inermi: i falsi invalidi e i medici che li hanno resi tali; i funzionari pubblici e privati abituati a "chiudere un occhio"; gli artigiani e i professionisti che propongono due preventivi, uno con l'Iva, contabilizzato, e uno senza, in nero; quelli che vivono di lavori pubblici che non arrivano mai a conclusione; quelli che sprecano il denaro pubblico in opere che non servono a niente e a nessuno; quelli che mettono a tacere testimoni e prove delle loro malefatte offrendo cariche e prebende di varia natura; quelli che fanno sfoggio di ricchezza apparente costruita sul lavoro sommerso o illecito degli altri; quelli che falsificano i bilanci per coprire le loro ruberie; quelli che, in ambito industriale, anche dopo aver portato colossi aziendali al dissesto, se ne vanno con laute buonuscite, giustificate solo col desiderio di mandarli via. Quelli che... Purtroppo, si potrebbe continuare all'infinito. Il Vangelo è pieno di personaggi dediti alla corruzione: sono gli stessi che oggi, sotto altre forme e sembianze, inquinano l'economia, la finanza, la società, il mondo del lavoro, recitando bene la loro parte, fra inganno e opportunismo. SOCIETÀ n FRANCESCO/2: MONITO AI (PRESUNTI) SPORTIVI Era stato proprio un bell'incontro quello avuto dal Papa con i calciatori di Fiorentina e Napoli, il giorno prima della finale di Coppa Italia. Francesco si era congedato con un "buon lavoro a tutti voi e che domani sera sia una bella festa sportiva". A nulla, purtroppo, è servito quest'augurio e anche le altre considerazioni svolte dal pontefice sul tema sportivo, perché la partita in questione è stata funestata da incidenti, dentro e fuori lo stadio a colpi non solo di bombe carte ma anche di pistolettate… E pensare che Francesco, nel suo discorso, aveva appositamente sottolineato che "lo sport contiene in sé una forte valenza educativa". L'appello a una responsabilità sociale, rivolto a tutti i componenti sportivi (calciatori, dirigenti, tifosi), è stato da subito disatteso e con una violenza non solo fisica, ma anche morale attraverso nuove espressioni di razzismo (lancio di banane) al passo dei tristi tempi attuali. Il calcio, prima ancora che essere uno Incon t ri - maggi o 2 014 n sport, è ormai un settore economico intorno al quale ballano cifre stratosferiche e, quindi, interessi destinati solo ad allargarsi. Altro importante messaggio papale: "Ma il fattore economico non deve prevalere su quello sportivo perché rischia di inquinare tutto". Questo inquinamento, che inizia sulle carte delle scrivanie di manager super pagati, inevitabilmente si propaga a parecchi calciatori in campo che fanno poco o nulla per offrire quella "valenza educativa" richiamata dal Papa e influisce in negativo sul tifoso ultras, abbagliato solo dalla forza prevaricatrice sull'avversario, non solo quello in campo, ma anche quello sul marciapiede. Nel calcio attuale, l'avversario non è un semplice antagonista, ma un nemico da combattere e da abbattere: solo così si potranno difendere i propri interessi calcistici, economici o di assurdo campanilismo violento. Proprio quello che papa Francesco ha suggerito di evitare. 19 Dante Columbro n S I N D A C AT O BANCARI IN SCIOPERO SEMPRE I LAVORATORI NEL MIRINO I bancari, dopo il 31 ottobre dello scorso anno, tornano a scioperare. Si tratta certamente di mobilitazioni ristrette e identificative di specifiche situazioni aziendali, comunque significative nel rimarcare come le problematiche dei lavoratori del credito non siano diverse da altre realtà, sistematicamente e strumentalmente pubblicizzate e rese note dalla stampa. Analogie, giornalmente evidenziate, che si calano perfettamente nella drammaticità strutturale che questa crisi prolungata ha portato con sé. Il 28 e 29 aprile scorso, le Segreterie sindacali regionali di Puglia e Basilicata delle Banche di Credito Cooperativo hanno indetto l’astensione dal lavoro, al fine di poter riaprire il confronto su basi dialettiche trasparenti, senza pregiudizi e posizioni precostituite. In campo la ricerca di soluzioni relativamente ad annose vertenze ancora aperte, tra le quali spicca il mancato riconoscimento del Premio di risultato. 20 Le Parti sociali coinvolte denunciano il fatto che, paradossalmente, a fronte di una Federazione regionale incapace di intrattenere proficue e risolutive relazioni industriali, alcune realtà locali di “buona volontà” si stiano proficuamente confrontando con l’obiettivo finale di trovare risposte sostenibili e condivise. La massiccia adesione dei lavoratori – un successo senza precedenti – ha comportato, per la prima volta nella storia del mondo cooperativo regionale, la quasi totalitaria chiusura delle filiali e delle sedi delle Banche di Credito Cooperativo delle regioni Puglia e Basilicata. Altra vertenza, che ha visto le Organizzazioni sindacali “obbligate” a mobilitare la categoria, è quella relativa a Unicredit Credit Management Bank. I lavoratori della Società del Gruppo Unicredit hanno aderito in massa, con una percentuale vicina al 90 per cento, alla giornata di sciopero proclamata per il giorno 9 maggio. n maggi o 20 14 - I n cont ri Le Rappresentanze sindacali aziendali, con la solidarietà e la condivisione delle Rappresentanze di Gruppo, denunciano il fatto che i colleghi “sono ormai stremati dall’incertezza che scaturisce dal futuro assetto societario, che prevede, come chiaramente evidenziato dal Piano Industriale di Unicredit, la possibilità di cessione di UCCMB, a cui fa seguito un assordante silenzio della Banca”. Il tutto “mentre in Azienda si registra un aumento dei carichi di lavoro già definiti eccessivi, aggravati dai nuovi obiettivi commerciali che poco si conciliano con la natura di UCCMB e la professionalità degli addetti”. Nel Gruppo Tercas, da tempo commissariato da Bankitalia, la situazione non è delle migliori e, anche in questo caso, si va verso la mobilitazione. L’incertezza nei modi e nei tempi di uscita del Gruppo dalla procedura commissariale, abbinato all’incertezza delle Fondazioni alla partecipazione al capitale sociale del “nuovo Gruppo Tercas” non aiutano certo a favorire un clima di serenità in cui operare. Situazioni e problematiche, apparentemente diverse e distanti fra loro, ma con un unico “soggetto” in comune: i dipendenti, i lavoratori del credito, le persone con le loro famiglie. Vertenze sempre uguali a se stesse, dove il costo del lavoro è sempre “troppo tanto alto”… Che non siano gli stessi anche coloro che, con le stesse consulenze, hanno determinato questo disastroso quadro economico? S.B. PREVIDENZA n PREVIDENZA COMPLEMENTARE Distinzione tra vecchi iscritti, neo-iscritti e neo-assunti In tema di “Previdenza complemen- tare”, argomento riportato all’attenzione pubblica dalla cosiddetta Legge Fornero, si intende qui definire la distinzione tra “vecchi e nuovi iscritti” e “nuovi occupati”. Il D.Lgs. n. 252/2005, art. 11 comma 3, determina: “Le prestazioni pensionistiche in regime di contribuzione definita e di prestazione definita possono essere erogate in capitale, secondo il valore attuale, fino a un massimo del 50 per cento del montante finale accumulato, e in rendita. Nel computo dell’importo complessivo erogabile in capitale sono detratte le somme erogate a titolo di anticipazione per le quali non si è provveduto al reintegro. Nel caso in cui la rendita derivante dalla conversione di almeno il 70 per cento del montante finale sia inferiore al 50 per cento dell’assegno sociale di cui all’articolo 3, commi 6 e 7, della legge 8 agosto 1995, n. 335, la stessa può essere erogata in capitale”. L’art. 23 – Entrata in vigore e norme transitorie - comma 7 lettera c, evidenzia poi che “Per i lavoratori assunti antecedentemente al 29 aprile 1993 e che entro tale data risultino iscritti a forme pensionistiche complementari istituite all’entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421: … c) …ferma restando la possibilità di richiedere la liquidazione della intera posizione pensionistica complementare in capitale…”. In tale contesto legislativo la differenziazione, tra vecchi e nuovi iscritti e nuovi occupati, assume aspetto di fondamentale rilevanza in termini di prestazioni ai fini della liquidazione finale del montante maturato. Vecchi iscritti: appartengono a questo tipologia tutti i lavoratori iscritti a forme di “previdenza complementare” prima del 28.04.93. In questo caso non esiste l’obbligo di far confluire il Tfr nella propria posizione previdenziale che può quindi rimanere in azienda ed è possibile, se le regole del Fondo di appar tenenza lo consentono, incassare l’intero montante finale in linea capitale. Nuovi iscritti: di questa categoria fanno parte tutti coloro che hanno iniziato la loro vita lavorativa prima del 29.04.93 ma si sono iscritti a forme di previdenza dopo tale data. Questi lavoratori Incon t ri - maggi o 2 014 n hanno avuto la facoltà di non far confluire l’intero Tfr nel Fondo, ma potranno ritirare al massimo il 50% dell’ammontare maturato in linea capitale mentre il restante 50% costituirà il montante su cui sarà conteggiata la pensione integrativa. Nuovi occupati: tutti quei lavoratori che hanno come data di primo impiego e conseguentemente di iscrizione alla previdenza successiva al 29.04.93. Questi hanno l’obbligo di destinare interamente il Tfr alla previdenza e la quota da ritirare in linea capitale non potrà superare il 50% del totale maturato. In ogni caso, per tutti, rimane sempre valida la facoltà di poter usufruire , dopo 8 anni di appartenenza al fondo, di una anticipazione per un massimo del 75% dell’ammontare, fino a quel momento maturato, per le casistiche previste dalle legge – gravi spese sanitarie per sé e per la famiglia, acquisto prima casa anche per i figli, etc. – nonché una quota fino al 30% senza documentazione di spesa. 21 Enrico Rossi n POLITICA MATTEO RENZI E CARLO MESSINA NELLA CABALA DEL 10 Affidati al numero dieci i successi del premier e di Intesa Sanpaolo Era lo scorso 12 marzo, quando il neo premier italiano Matteo Renzi, al termine del Consiglio dei Ministri, annunciava il regalo agli italiani: «Circa 10 milioni di italiani andranno a prendere 10 miliardi di euro su base annua, cioè 1000 euro ciascuno all'anno, cioè in media 80 euro circa al mese per dodici mensilità». La copertura arriverà «dal risparmio di spesa», da altre manovre di bilancio e, ha assicurato il premier, «senza aumento di tassazione». Ma le novità del neo governo italiano finalizzate a sistemare i conti dello Stato non si fermavano qui.Tra le tante proposte, compariva anche il taglio del 10% dell’Irap, che così scendeva al 3,5% e, a proposito di sobrietà, si annunciava la sparizione delle tariffe agevolate postali finalizzate alla campagna elettorale per un importo pari a 10 milioni di euro. Poche settimane dopo, Renzi ricorreva a 10 tweet, pubblicati sul profilo twitter di Palazzo Chigi, per illustrare le misure decise dal Consiglio dei Ministri, quale seguito della suddetta conferenza stampa. Solo pochi giorni dopo, Intesa Sanpaolo 22 presenta alla stampa specializzata l’ambizioso obiettivo del suo nuovo piano d’impresa previsto per i prossimi quattro anni: utile netto pari a 4,5 miliardi di euro nel 2017 e oltre 200 miliardi di contributo all’economia, tra cui 170 miliardi di nuovo credito per famiglie e imprese. L’istituto di credito, dopo una maxi pulizia nei conti, chiude il 2013 con un rosso di 4,5 miliardi di euro. Senza le svalutazioni - fanno notare dalla banca - l'utile netto sarebbe stato pari a 1,2 miliardi. Ebbene, si chiederanno i più, che c’entra il premier Renzi col piano d’impresa di Intesa Sanpaolo? C’entra, c’entra per la logica dei numeri perché, similmente al premier, la Banca, nel confermare il dividendo già erogato l'anno scorso, prevede di erogare ben 10 miliardi di dividendi in quattro anni senza intaccare il patrimonio (nel dettaglio, si stimano cedole per un miliardo quest’anno, due miliardi per il prossimo, tre per quello successivo e quattro nel 2017). A questo importo potrebbero aggiungersi, dal 2016-17, altri 8 miliardi di capitale in eccesso da distribuire agli azionisti. n maggi o 20 14 - I n cont ri Ma il richiamo al valore 10 non finisce qui perché il piano industriale è un piano incentrato sulla redditività e l'AD di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, vuol puntare ad un ROE al 10% nel 2017. E se ci saranno 10 miliardi cash per gli azionisti, si prevedono altrettanti 10 miliardi ma questa volta per lo Stato, sotto forma di imposte. E continuando sempre nella cabala del dieci, quanto vale la metà di dieci? Cinque. Ecco che, per Carlo Messina, il potenziamento del business esistente, la cessione di attività non core e la valorizzazione «delle persone e degli investimenti come fattori abilitanti», determina il varo, in Banca dei Territori, di "Banca 5", con tremila gestori dedicati, nel 2017, a circa 5 milioni di clienti cui verranno offerti 5 prodotti chiave: carte di debito, carte di credito, finanziamenti personali, assicurazioni danni, investimenti quali piani di accumulo e previdenziali. Infine, indovinate a quanto ammonterà il dividendo unitario quest’anno? Esatto, proprio a 5 centesimi! «Dieci ragazze per me posson bastare, dieci ragazze per me voglio dimenticare, capelli biondi d’accarezzare e labbra rosse sulle quali morire, dieci ragazze per me, solo per me» cantava Lucio Battisti nel lontano 1969. Oltre 40 anni dopo il numero uno del Governo Italiano, Matteo Renzi, e il numero uno della prima banca italiana per asset, Carlo Messina, affidano la loro speranza di successo ancora al numero dieci (compresi multipli e divisori). Per Lucio Battisti fu un successo strepitoso. Oggi, per la nota teoria dei corsi e dei ricorsi storici del noto filosofo napoletano Giambattista Vico, il numero dieci è chiamato a confermare di essere ancora fattore di grande successo. Armando Della Bella L AV O RO n LA “MULTIMEDIAMORFOSI” DEL SISTEMA BANCARIO Potrebbe costare migliaia di posti di lavoro La parola chiave dei nuovi contratti è “multimedialità”. Cerchiamo di chiarire alcuni aspetti di questo nuovo tormentone. Il sistema bancario sembra basarsi su tre grandi pilastri: la gestione dei depositi dei cittadini; la gestione degli investimenti, la gestione del credito. Vi è poi l’area dei servizi di vario genere, impor tante come funzione di “retention”, con riflessi sociali e relazionali. L’offerta dei prodotti bancari, allo stato attuale, è abbastanza strutturata. Il successo dei suoi prodotti è il frutto della mediazione fra il prodotto stesso e il cliente e si conclude e materializza con un atto formale che risiede nella sottoscrizione di un documento o il rilascio di una ricevuta: l’oggetto materiale. La funzione del bancario dunque è quella del mediatore fra interessi delle banche e bisogni del cliente. Il successo di questa funzione non è dovuto certamente alla strumentazione tecnologica, ma alle capacità professionali del dipendente. Se volessimo misurare il peso che sul risultato ha la tecnologia o che potrebbe avere la multimedialità, la preponderanza dell’azione delle risorse umane pende smaccatamente dalla parte del personale. La multimedialità, intesa come integrazione di diversi media, può diventare sicuramente un fattore di razionalizzazione del processo lavorativo, strumento di velocizzazione delle procedure, ampliamento delle possibilità di marketing del prodotto in termini sia di visualità sia di supporto e semplificazione espositiva. Di fronte a questa nuova dimensione la strategia migliore da adottare risulta essere quella di considerare la multimedialità come forma d’integrazione ambientale, valore aggiunto processuale, piuttosto che come forma in grado di rimpiazzare la funzione reale del dipendente. In sostanza la “multimediamorfosi bancaria” non potrà diventare strumentalmente motivo occulto o esplicito per giustificare politiche restrittive dell’occupazione. Così concepita potrebbe essere interpretata invece come “facciata giustificazionista” dei fallimenti strategici del top management e rivelarsi un’ennesima ubriacatura perpetrata a danno dei lavoratori del settore e degli utenti bancari, con danni incalcolabili. La multimedialità potrà fornire risposte standardizzate se costruita secondo obiettivi neutrali e impersonali. Non potrà certo capire e interpretare la lettura dei contesti, i mutamenti socioeconomici nel territorio, le dinamiche produttive e professionali, il clima del business, la trasformazione del commercio all’ingrosso e al dettaglio, l’incremento occupazionale nelle attività scientifiche e tecniche, sportive, del tempo libero, della ristorazione e dei gusti. La multimedialità potrà dire si o no a Incon t ri - maggi o 2 014 n una procedura, ma non ha capacità di contestualizzare un cliente, non ha cultura e capacità di discernimento antropico, non riesce a spiegare i perché di tutto ciò che si chiede o si risponde. È su questo crinale che si gioca anche la nuova concezione della banca. Se si dispone di conoscenze, competenza, esperienza, motivazione e riconoscimento professionale, spirito di cooperazione e si volessero valorizzare questi fattori, allora sì che la multimedialità potrà assumere un carattere di spinta in termini di qualità delle prestazioni, produttività del lavoro, soggettiva e collettiva e diventare valore aggiunto e di sviluppo di nuova occupazione, altro che tagli al personale. È evidente che la multimedialità così concepita non è un nemico da respingere e rifiutare. Se invece, come sembra, il board del sistema bancario la concepisce come strumento ossessivo per colpire l’occupazione, allora potremmo immaginarci in territorio coreano, ma della Corea del Nord. 23 Franz Foti n SOCIETÀ LA LEGALITÀ SEPPELLISCA LE URLA DEI CORROTTI E DEI DISONESTI Perché non sia inutile il sacrificio dei nostri nonni e dei nostri padri Recentemente ho letto un post tratto dal blog di Alessandro Gassmann che mi ha colpito, da un lato per la sua crudezza e dall’altro per i numerosi spunti che offre per aprire una riflessione su quanto sta accadendo nel nostro Paese. Il titolo, da solo, è tutto un programma: “I coglioni di una volta”. Ma chi sono questi personaggi che, utilizzando un termine gergale, la comunità moderna considera incapaci di perseguire i propri interessi e che invece il noto attore guarda con nostalgia, perché architrave di un paese integro ed onesto che non sembra esistere più? Partiamo dall’inizio. Gasmann esprime il suo sconforto di cittadino di fronte ai ripetuti scandali, truffe, episodi di malaffare che caratterizzano la storia quotidiana dell’Italia. Non è uno scandalizzarsi di maniera, perché va oltre la semplice condanna 24 divenuta ormai di pragmatica, dietro cui si celano i nostri uomini pubblici, che si limitano a prendere le distanze da quanto accaduto. Egli ha il coraggio, a mio parere, di andare oltre, di aprire una riflessione forse scomoda, sicuramente amara, ma che, anche se quasi mai manifestata apertamente, accomuna le molte persone perbene che vivono in questo Paese e che sono ostaggio di chi perbene non lo è. La realtà è dura, ma per cambiarla non va fuggita o esorcizzata, va affrontata con determinazione, senza alibi e senza paura. Il pensiero, oggi prevalente, perché più evidente a chi si approccia alla realtà italiana, è che tutti pensano a “fregare” gli altri, per non usare un termine più crudo che tuttavia rende meglio l’idea della battaglia quotidiana che chi sta dalla parte della ragione è costretto ad ingaggiare per far valere i propri diritti. n maggi o 20 14 - I n cont ri Ma si può vivere in un Paese dove, se non si ha un “santo” a cui votarsi, anche la cosa più semplice diventa complicatissima, anzi impossibile? In un Paese dove per nascere, per vivere, per lavorare e addirittura per morire occorre avere una raccomandazione, un’entratura, un contatto. È più facile che chi dispone di mezzi vanti anche quelle conoscenze che gli consentono di accedere gratuitamente a quei servizi minimi pagati con tasse di altri che magari ne vengono esclusi. Il paradosso è talmente entrato nella nostra mentalità che, non appena accade qualcosa, non ci affidiamo alle istituzioni che consideriamo troppo compromesse per darci fiducia, ma ricorriamo al “potente” di turno, sia pure una mezza calzetta, che ci garantisce non che i nostri diritti vengano rispettati, al pari di tutti gli altri, ma che si individui la cosiddetta “corsia preferenziale”. Immaginate quanto sa- rebbe più semplice giusto e trasparente accedere a ciò a cui si ha diritto senza impelagarsi nel tentativo, peraltro condiviso dai più, di trovare una scorciatoia che ci fa superare gli altri, perché nella nostra mentalità “bacata” è più importante arrivare primi che arrivare tutti. A discolpa di chi si arrabatta per campare ci si deve domandare quanto sia faticoso e avvilente vivere in un sistema che quotidianamente bastona le persone corrette e lascia sempre una via d’uscita ai delinquenti. Si può resistere a lungo in una società dove per farsi ascoltare bisogna gridare più forte degli altri e mandare a quel paese tutto e tutti? E che dire poi dell’informazione, o meglio della disinformazione, che quotidianamente ci bombarda. A tutti, a prescindere dalla loro appartenenza politica, è ormai noto che la stampa, il web, la televisione non riportano mai i fatti nella loro interezza, ma li interpretano, purtroppo piegandoli ai rispettivi orientamenti. Ed ecco che a seconda del TG o del Blog che consulti scopri che gli “asini” che gli uni descrivono con le ali per gli altri non volano più, anzi vanno sottacqua. La situazione è talmente evidente che tutto il mondo ci irride, ma noi ce ne freghiamo, perché in fondo non ci sentiamo un popolo, ma tante individualità. Quindi ciò che viene detto di vero o di falso contro l’Italia ci trova indifferenti, perché pensiamo tocchi tutti tranne noi. Ma, cogliendo lo spunto fornitomi da Gassmann apro un’altra riflessione. Quale differenza esiste tra noi, generazione di ex rampanti, sempre griffata, sempre falsamente brillante, sempre al top e quei “poveri cristi” di italiani che un secolo fa andavano per il mondo a cercar fortuna? Loro fuggivano dalla miseria, sapevano a mala pena leggere e scrivere, venivano irrisi, perché poveri e sprovveduti. Spesso, lo testimoniano tragedie come quella avvenuta nelle miniere di Marcinelle, erano considerati alla stregua di bestie, tuttavia camminavano a testa alta. Loro, i nostri nonni i nostri padri, quelli che si sono fatti ammazzare per liberare questo Paese e per fare in modo che ognuno potesse esprimere la propria opinione senza doverla gridare in faccia agli altri, loro un sogno, un obiettivo ce lo ave- SOCIETÀ n LA TAVOLA DEI CAVALIERI NON È PIÙ ROTONDA L’egoismo, un “valore” in espansione Avanzare…, sostenere…, continuare ad avanzare…, sono i principi fondamentali su cui si basa uno sport, apparentemente violento e duro come il rugby, dove per raggiungere l’obiettivo – la meta – servono sostegno reciproco, stessa visione di gioco e soprattutto il contributo di tutta la squadra. Anche di quelli che stanno in panchina, pronti, in ogni momento, a prendere il posto del proprio compagno quando questi ha dato tutto quello che aveva e non ce la fa più. Questo accade in ogni partita. Concetti quali lo spirito di squadra, il lavoro orientato a perseguire un obiettivo, il rispetto delle regole e delle persone, la necessità di doversi affidare al proprio compagno per raggiungere il risultato e la conseguente fiducia che ciascuno deve riporre negli altri giocatori della propria squadra, sono gli stessi che dovrebbero animare un qualsiasi gruppo di lavoro, una Istituzione, una moderna società che intenda definirsi vincente. In questo gioco, dove il reciproco rispetto è una consolidata filosofia, tutti possono e devono essere protagonisti: alti e bassi, magri e robusti, veloci e passisti. Ognuno, in funzione delle proprie caratteristiche fisiche e delle proprie attitudini, ricopre un ruolo e tutti i ruoli sono parimenti importanti per raggiungere l’obiettivo finale. Tutti giocano e tifano, non contro l’avversario, ma per la propria squadra. Il contrasto con la società di oggi appare evidente, i “moderni” praticano il culto dell’esaltazione del singolo, il non rispetto delle regole e il “tutto presto e subito”. (dis)valori che, abbinati alla autoreferenzialità di cui sono portatori i poteri forti e alla globalizzazione che “questi pochi” hanno fortemente voluto e alimentato a discapito di “molti altri”, hanno determinato sconcerto e delusione nelle vecchie generazioni togliendo, nel contempo, sogni e speranze ai giovani. La ricetta appare sempre la stessa, ma un salto culturale verso una nuova visione del mondo è ormai inevitabile e, ricordando il kantiano “desiderio di agire secondo un ideale”, cogliamo il futuro che sta passando. S.B. vano. Era quello di migliorare e di migliorarsi, non truffando gli altri, ma costruendo un futuro per sé e per le generazioni a venire. Noi quel futuro prezioso che abbiamo ereditato ce lo stiamo giocando, qualcuno per egoismo, qualcuno per dabbenaggine, qualcuno per disonestà. Siamo tutti egualmente responsabili e a nulla vale tirarci fuori, prendere le distanze, dobbiamo invece rimetterci in gioco, rischiare e far sentire la nostra voce. Per una volta facciamo si che il silenzio, lo Incon t ri - maggi o 2 014 n sdegno e il rifiuto di chi vive nella e per la legalità seppellisca le urla dei corrotti, dei disonesti, dei manipolatori di cui siamo ostaggio. Se non saremo in grado di farlo perderemo il nostro futuro e, mi rammarica dirlo, il sacrificio di quei “coglioni di una volta”, che come ho già detto probabilmente sono i nostri nonni e i nostri padri, sarà stato completamente inutile. C.A. 25 n SOCIETÀ PARTO FISIOLOGICO INDOLORE Alle donne va garantito il diritto di scelta Il dolore durante il travaglio del parto è considerato uno dei dolori più forti che l'organismo possa percepire. L’anestesia epidurale è la tecnica di analgesia del parto più praticata nel mondo in quanto efficace, priva di rischi importanti e soprattutto permette di umanizzare il parto. L'epidurale è un tipo di anestesia locale che viene somministrata alla partoriente poco prima del momento del parto: questo trattamento fa sì che la donna provi meno dolore e che rimanga cosciente durante il parto. Partorire in modo naturale e senza sofferenza è un diritto ancora poco garantito alle future mamme italiane che desiderano vivere la nascita di un figlio consapevolmente, ma in serenità. Nel nostro Paese l'analgesia epidurale è ancora poco diffusa, nonostante la comunità medico-scientifica la consideri la tecnica più efficace e sicura per avere un parto spontaneo e indolore. 26 In Spagna la partoanalgesia epidurale è utilizzata dal 60% delle partorienti, in Francia e Gran Bretagna dal 70%, negli USA si sale al 90%. In Italia l'epidurale interessa solo il 15% delle partorienti, percentuale che abbassava notevolmente la media europea, e la situazione cambia non solo da regione a regione, ma anche da ospedale a ospedale. A offrire l'epidurale 24 ore su 24 a carico del servizio sanitario sarebbe solo il 16-18% dei punti nascita. In parecchi ospedali, anche se prevista sulla carta, non viene garantita, oppure è offerta saltuariamente, garantita solo per poche ore al giorno, o esclusivamente a pagamento. Ovviamente è giusto scegliere in piena autonomia se praticare l'anestesia epidurale oppure no, però sarebbe altrettanto giusto che ogni ospedale potesse garantire alle donne la possibilità di scegliere. Invece in Italia viviamo una situazione di arretratezza: le politiche sanitarie pubbli- n maggi o 20 14 - I n cont ri che sulla maternità contrastano l'anestesia epidurale, restando all'insegna del "principio biblico” secondo cui la donna deve partorire soffrendo. Per sfuggire alla prospettiva del dolore un numero enorme di partorienti sceglie il cesareo che, soprattutto in molte zone del Sud, supera abbondantemente il 50% sul totale dei parti. Se il parto spontaneo e senza dolore è ancora poco eseguito, dunque, è soprattutto a causa di un ritardo culturale che nella pratica si traduce in strutture inadeguate e personale carente o non formato. L’epidurale resta quindi un miraggio per la maggior parte delle donne italiane, che spesso vanno in ospedale convinte di poter avere accesso alla partoanalgesia, salvo scoprire, a travaglio già iniziato, che si tratta di un servizio considerato poco più che un optional. Nelle strutture in cui il servizio è garantito in modo gratuito e continuativo le donne che lo scelgono superano picchi del 90%. Eppure, l’epidurale è un diritto acquisito non solo in Paesi come la Spagna, la Danimarca, la Svezia, ma anche in Paesi molto meno all’avanguardia dell’Italia come la Malesia, ad esempio. Il diritto all’epidurale garantita per tutte le future mamme che la chiedono rappresenta oggi una delle grandi battaglie per la civiltà, per il rispetto della salute e per i diritti delle donne nel nostro Paese. Insomma, la questione è: se si può avere il diritto di vivere un parto quanto più naturale possibile, se si ha il diritto di partorire in acqua, perché non si può offrire a tutte le donne il diritto al parto con epidurale, che rappresenta oggi uno dei più elementari servizi garantiti nel resto del mondo? Anna Bianco CURIOS@NDO n LE CARTE DI CREDITO ... SONO NATE COSÌ n Cenni sulle origini I primi strumenti simili alle attuali carte di plastica sono riconducibili alle prime compagnie telefoniche statunitensi, realizzati già agli inizi del secolo scorso, per facilitare l’interazione con le apparecchiature telefoniche da parte dei loro clienti. Ecco alcune delle tappe più significative del loro percorso evolutivo: • all’inizio degli anni cinquanta, il Diners Club realizza un prototipo somigliante ad una carta, utilizzabile dal titolare per pagare negli hotels e nei ristoranti; • verso la fine degli anni cinquanta, American Express realizza la prima carta di plastica simile alle attuali; • in contemporanea, la Bank of America lancia la carta BankAmericard; • nel 1967 Interbank emette la carta MasterCharge per le sue banche aderenti. Alla fine degli anni ‘60, abbiamo il primo sviluppo in direzione della trattazione elettronica delle carte di plastica, che fino ad allora era stato esclusivamente cartaceo, grazie alla introduzione della banda magnetica realizzata a norme ISO (International Standards Organization). Infatti, sulla banda magnetica sono poi state progressivamente normalizzate tre tracce: • ISO 1 – 79 caratteri alfanumerici, introdotta da IATA (International Air Transportation Association) per standardizzare la produzione e la gestione della biglietteria aerea; • ISO 2 – 40 caratteri alfanumerici, sviluppata dalla American Bank Association per standardizzare l’automazione delle transazioni finanziarie e che sarà adottata universalmente; • ISO 3 – 107 caratteri alfanumerici, l’ultima sviluppata cronologicamente, che è quella utilizzata in Italia dai Circuiti Bancomat e PagoBancomat. Mentre si afferma la banda magnetica, alla fine degli anni ‘70 si affaccia sulla scena il “chip” che consente la realizzazione di carte “a memoria”, più sicure di quelle a banda perché meno suscettibili di possibile manipolazione dei dati. Il “chip” viene adottato inizialmente e principalmente nella telefonia (la storia si ripete) e solo successivamente nelle carte di pagamento, come ad esempio in Francia, per opera del Groupement des Cartes Bancaires “CB”, agli inizi degli anni ‘80. Alla fine degli anni ‘80 il “chip” evolve in “microprocessore”, quindi con capacità elaborative, e apre la porta ai successivi sviluppi che stiamo vivendo e che vedremo progredire. n Introduzione del nuovo standard EMV e il Contact Less Con l’evoluzione della tecnologia e stante la necessità di innalzare il livello di sicurezza dei sistemi di trattazione, i maggiori Circuiti internazionali (Euro- Incon t ri - maggi o 2 014 n pay, MasterCard e Visa) nel 1996 consolidano e pubblicano lo standard EMV nella nuova versione 3.1.1, una evoluzione rispetto alla precedente emanata nel 1993, e spingono fortemente gli aderenti a intraprendere la migrazione tecnologica verso il microprocessore. Quello standard, che ha continuato a evolversi, è stato poi fortemente utilizzato nell’area SEPA (Single Euro Payments Area – Area Unica dei Pagamenti in Euro). Oggi le moderne carte, grazie all’alloggiamento di un’antenna all’interno della plastica, consentono anche utilizzi senza contatti (Contact Less), solo sfiorando gli apparecchi di lettura, i cosiddetti POS (point of sale). Siamo quindi passati dalla trattazione cartacea, in parte poi automatizzata con la stampigliatrice manuale detta “imprinter”, a quella elettronica con la “strisciata” della carta nel POS, per la lettura della banda magnetica, fino alla lettura “a contatto” richiesta dal chip e alla lettura a sfioramento. 27 Roberto Favale n CURIOS@NDO I PIÙ RICCHI AL MONDO MICHELE FERRERO PRIMO DEGLI ITALIANI La ricchezza dei primi dieci italiani prosciugherebbe la nostra disoccupazione Ovviamente lascia un po’ il tempo che trova però quando Forbes pubblica la classifica dei più ricchi al mondo la curiosità finisce per vincere l’indifferenza. Letta la lista è difficile astenersi poi dalle domande più scontate: ma che ci farà questo qui con tutti questi soldi? Avrà mai il tempo di consumarli tutti? Per finire in bellezza: “certo, io saprei proprio cosa farci!” Ma siamo proprio sicuri di sapere cosa fare di un patrimonio come quello di Bill Gates, per esempio, che ammonta 28 alla stratosferica cifra di ben 76 miliardi di dollari pari a 76 volte 1000 milioni di dollari, sono 76 mila volte un milione. Altro che ville, auto di lusso e vacanze ai Caraibi…. È praticamente impossibile spendere una cifra simile, non vi pare? Dopo Bill Gates, inventore ed ex proprietario del software più importante al mondo, al secondo posto c’è un messicano, Carlos Slim, magnate delle telecomunicazioni, quindi lo spagnolo Amancio Ortega, unico europeo fra i primi dieci più ricchi, proprietario n maggi o 20 14 - I n cont ri della catena di negozi Zara. Poi tutti americani a dispetto della recente notizia secondo la quale l’economia cinese ha superato quella degli Stati Uniti. Si tratta di una notizia attesa, ma non per questo meno sorprendente. Il primo degli italiani in classifica è Michele Ferrero, inventore della Nutella, mentre al 38° posto c’è Leonardo Del Vecchio, proprietario di Luxottica che chiude la presenza degli italiani fino al cinquantesimo posto. In Italia, dopo Ferrero e Del Vecchio, i più ricchi sono Miuccia Prada, Giorgio Armani, Patrizio Bertelli, marito di Miuccia Prada, Stefano Pessina (Boots), quindi Silvio Berlusconi. Renzo Rosso chiude la classifica dei primi dieci in Italia. Il proprietario di Diesel ha un patrimonio di 3 miliardi di dollari, dunque un poveraccio, infatti è il 458esimo al mondo. Sono numeri, solo numeri certo, che misurano però la distanza siderale con la realtà che viviamo ogni giorno tutti noi. Numeri, ma anche emozioni. Pensiamo solo qualche secondo se in Italia mettessimo insieme i capitali dei nostri dieci più ricchi. Avremmo circa 100 miliardi di euro, cioè 100.000 milioni o meglio 100 volte mille milioni di euro. Certo, le emozioni sono quello che sono, stati d’animo che passano e lasciano il posto ad altre emozioni e così via tutti i giorni. Però poi in testa qualcosa rimane, non solo un prurito ma l’idea che a questo mondo c’è qualcosa che non va per il verso giusto. Pensate a cosa si potrebbe fare con 100 miliardi di euro in Africa, quante vite salvate, quanti bambini cresciuti, quante epidemie e guerre scongiurate… I soldi sono numeri ed emozioni, come vite umane, voci e sentimenti. Altro che ville, auto di lusso e vacanze ai Caraibi. Livio Iacovella CURIOS@NDO n CINQUE MILIONI DI ITALIANI IN SELLA ALLA BICICLETTA Al lavoro e per passeggio, cresce l’esercito dei ciclisti Gli italiani vanno sempre più in bicicletta. Colpa della crisi, si dirà, ma non solo. A guardare chi pedala nelle grandi città come Roma e Milano, infatti, si percepisce sempre più forte la scelta ecologica, il gesto di costume e il desiderio di sentirsi alla moda. È il trionfo della bici a scatto fisso e delle bici colorate utilizzate sempre più per lo spostamento quotidiano fra casa e università, lavoro e palestra. Una tendenza testimoniata dai numeri. Nel 2013, dopo quasi cinquant’anni di dominio assoluto, in Italia si sono vendute più bici che automobili. Inoltre l’utilizzo medio della bicicletta è triplicato rispetto al passato. In pratica si calcola che circa cinque milioni di italiani utilizzano la bicicletta per i loro spostamenti almeno tre o quattro volte alla settimana. IL FENOMENO È EUROPEO Il ritorno della mobilità in bicicletta è un fenomeno che investe un po’ tutta l’Europa, alle prese con uno scenario piuttosto preoccupante: rallentamento economico e costo del carburante e del trasporto pubblico in continua ascesa. Così a Londra e Madrid sono nati i primi bar "byker-friendly", il primo ministro inglese David Cameron ha dichiarato che governo e autorità locali stanzieranno circa 150 milioni di sterline nel biennio 2014/15 per rendere le strade inglesi più sicure per i ciclisti. A Parigi il Governo ha stanziato dei fondi per premiare i dipendenti che raggiungono in bicicletta il posto di lavoro. BIKE SHARING IN CHIAROSCURO Controverso invece è il fenomeno della condivisione, il cosiddetto bike sharing: all’estero vola mentre da noi stenta ancora. Barcellona, Lione, Città del Messico, Montreal, New York, Parigi e Rio de Janeiro le sette città che possono vantare il più alto tasso di penetrazione del sistema di condivisione in area urbana. Lo attesta una ricerca dell'Institute for transportation and development policy di New York, che ha osservato 400 città di cinque continenti. Incon t ri - maggi o 2 014 n Dalla classifica risulta il grave ritardo italiano sebbene Milano e Torino abbiano progetti importanti. In Italia, però, solo la metà dei 117 capoluoghi di provincia ha avviato il servizio. Una curiosità statistica: è Savigliano, in provincia di Cuneo, che vanta il rapporto più alto tra biciclette a disposizione dei residenti: ventisei ogni 10.000 abitanti. LE BICI PREFERITE DAGLI ITALIANI Nel conto totale delle vendite a conquistare il primo posto ci sono le trekking o city bike (32%), seguite dalle mountain bike (30%), le bici da bambino (18%), da corsa (7%), le classiche (10%) e le bici elettriche (3%), dotate di un motore che aiuta a evitare la fatica. Nel 2013 nel nostro Paese ne sono state vendute ben 46.000. Sono bici molto comode da usare, sono totalmente ecologiche e permettono lunghi spostamenti anche alle persone con qualche chilo di troppo. L. I. 29 n CURIOS@NDO LE STRATEGIE DI MANIPOLAZIONE DEL CONSENSO Noam Ciomsky e le dieci regole per abbattere il pensiero autonomo Che in Italia la libertà di stampa, più in generale dei media, sia un miraggio è testimoniato da tutti gli osservatori internazionali. Non che gli altri Paesi occidentali stiano meglio, s’intende, però da noi la situazione appare più che preoccupante. I dati sono questi: la classifica dei 179 Paesi rilevati dall’Economist vede in testa la Finlandia, piccolo paradiso della comunicazione libera, dunque, insieme all’Olanda. Ma la Gran Bretagna è al 37° posto, gli USA sono al 32°, l’Italia è relegata al 57° posto. I comunicatori di professione in Italia, più che in tanti altri Paesi, non riescono dunque a mantenere autonomia e indipendenza a favore di lobby e interessi privati. Solo a volte questa dipendenza si manifesta in modo evidente, spesso si usano metodi e tecniche molto sofisticate, indi- 30 viduate da uno studio scientifico realizzato da un luminare della materia: Noam Chomsky, statunitense, ottuagenario professore del MIT, linguista di chiarissima fama, filosofo e teorico della comunicazione di valore mondiale. Nella sua attentissima analisi Chomsky ha individuato un vero e proprio decalogo sulla manipolazione sociale attraverso i mass media: 1. La strategia della distrazione: distogliere l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dai cambiamenti decisi dal “potere” con un flusso continuo di informazioni, spesso insignificanti. 2. Creare il problema e poi offrire la soluzione: si crea un problema, una “situazione” che produrrà una determinata reazione nel pubblico, in modo che sia questa la ragione delle misure che si desidera far accettare. n maggi o 20 14 - I n cont ri 3. La strategia della gradualità: per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, col contagocce, per un po’ di anni consecutivi. 4. La strategia del differire: un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, guadagnando in quel momento il consenso della gente per una sua applicazione futura. 5. Rivolgersi alla gente adulta come a dei bambini: la maggior parte della pubblicità diretta al grande pubblico usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione par ticolarmente infantile, spesso con voce flebile, come se lo spettatore fosse un bambino di pochi anni o un deficiente. 6. Usare l’aspetto emozionale molto più della riflessione: sfruttare l’emotività per provocare un corto circuito dell’analisi razionale e del senso critico. 7. Mantenere la gente nell’ignoranza e nella mediocrità: far si che la gente sia incapace di comprendere le tecniche ed i metodi usati per il suo controllo e il suo asservimento. 8. Stimolare il pubblico a essere favorevole alla mediocrità: spingere il pubblico a ritenere che sia di moda essere stupidi, volgari e ignoranti. 9. Rafforzare il senso di colpa: far credere all’individuo di essere esclusivamente lui il responsabile delle proprie disgrazie per insufficiente intelligenza, capacità o sforzo. In poche parole, indurre alla nonazione. 10. Conoscere la gente meglio di quanto essa si conosca: il sistema è riuscito a conoscere l’individuo comune molto meglio di quanto egli conosca se stesso. Con la conseguenza di avere un più ampio controllo e un maggior potere sulla gente, superiore a quello che la gente esercita su se stessa. Ovviamente noi consumatori dell’informazione non ci accorgiamo facilmente di tutto questo, proprio a dimostrazione che le tecniche sono molto efficaci. L.I. CURIOS@NDO n IL LAGO MAGGIORE FRA LOMBARDIA, PIEMONTE E SVIZZERA Aria lacustre a base di arte, storia, sfondi fantastici e cibi prelibati Questo mese vi invitiamo a preparare la valigia per un’altra bellissima destinazione del nostro magnifico Paese: il Lago Maggiore. Il lago, secondo per estensione solo al lago di Garda, vanta una caratteristica unica. Nei suoi 65 chilometri di lunghezza il Lago Maggiore ha approdi in province della regione Lombardia, sponda est, regione Piemonte, sponda ovest, e Svizzera, sponda nord. E’ un lago che misura una larghezza massima di 10 chilometri ed una minima di quattro e ciò consente di godere sempre di un orizzonte molto nitido ed interessantissimo. Se si guarda il lago dalla Lombardia lo sfondo è dominato dal massiccio del Monte Rosa, se guardiamo dal lato piemontese l’occhio corre subito al castello di Angera. E’ comunque naturale rimanere incantati a guardare oltre lo specchio d’acqua che pure ha moltissimo da offrire. Si gode di un panorama che può essere gradito a tutti i tipi di escursionisti. Storicamente tutto il bacino è legato alla famiglia Borromeo di cui si trovano ovunque tracce recentissime. Ancora oggi, alcuni fra i palazzi storici del Lago Maggiore sono legati ai discendenti di quel Carlo Borromeo di Arona, cardinale e santo del sedicesimo secolo, che diede inizio allo sviluppo di tutto il territorio. Un po’ tutti conoscono la statua a lui dedicata, alta 23 metri e con l’interno visitabile. Il Sancarlone si trova poco fuori l’abitato di Arona. Alla statua è legata la curiosità secondo cui la tecnica di costruzione ha ispirato la ben più celebre statua della Libertà che caratterizza la città di New York, di dimensioni doppie rispetto al Sancarlone. Il lago vanta numerosi castelli. Tra questi forse quello più famoso è la Rocca di Angera che ospita il museo della bambola (oltre mille, collezionate dal 1988 dalla principessa Bona Borromeo Arese). I musei sono molto particolari. Si va dal museo del Paesaggio di Verbania, al Museo del Cappello a Ghiffa e al museo dell’ombrello a Gignese. Chiese e santuari si trovano un po’ ovunque. Assolutamente da non mancare è l’eremo di Santa Caterina del Sasso, del 1200, che si trova a Leg- giuno, in provincia di Varese, a cui si accede dal lago salendo 80 gradini oppure dalla strada scendendone 240. Ma niente paura, per i più sedentari c’è a disposizione anche un comodo ascensore. Il Lago Maggiore si offre con generosità anche ai più esigenti dal punto di vista culturale. Da maggio a settembre Stresa ed Arona propongono tante opportunità musicali e a Luino (VA) si tiene il festival del Teatro e della Comicità. Nel tempo le sponde del lago hanno ospitato scrittori di fama mondiale come Hemingway e Dickens. Le testimonianze sono ricorrenti. Inoltre ogni anno a Stresa viene assegnato uno dei premi letterari più importanti. L’attrazione più forte in assoluto del Lago Maggiore rimangono però le Isole Borromee: Isola madre, Isola Bella e Isola dei Pescatori magnifiche per le stupende residenze, i magnifici giardini e …. i ristoranti dove si possono gustare piatti prelibati a base di pesce. Visitare il lago Maggiore e le sue bellissime isole è molto semplice grazie al servizio di navigazione efficiente e poco costoso. Chi volesse vivere una bella vacanza con base in un hotel direttamente sulla spiaggia può utilizzare l’hotel Riva di Reno di Leggiuno, poco distante dal Bistrot Laguna Blu, a pochissimi minuti da Laveno Mombello, sede ideale di partenza per le escursioni sul lago senza dimenticare Locarno, in Svizzera, sul cui lungolago si possono consumare ottimi aperitivi. Incon t ri - maggi o 2 014 n 31 Livio Iacovella al riparo con PACCHETTO ASSICURATIVO DIRCREDITO POLIZZA RC PROFESSIONALE POLIZZA CASSIERI POLIZZA INFORTUNI POLIZZA TUTELA GIUDIZIARIA (VITA PROFESSIONALE) POLIZZA TUTELA GIUDIZIARIA (VITA PRIVATA) POLIZZA RC CAPOFAMIGLIA e ancora... Polizza Long Term Care Prodotti Vita n Polizza RC Auto Polizza Viaggi n Polizza Casa Progetto Welfare Spese Odontoiatriche Consulta la pagina AON su www.dircredito.info
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