martello 2014-3

«COLUI CHE USA L’ACQUA PER FACILITARE UN ATTACCO SARA’ FORTE - L’ACQUA PUO’ ESSERE USATA PER ISOLARE - MA NON PER DISTRUGGERE» (SUN TZU, L’ARTE DELLA GUERRA)
FOGLIO VOLANTE EDITO A PESCINA DA FRANCO MASSIMO BOTTICCHIO – DIRETTORE ANGELO VENTI – REGISTRAZIONE TRIBUNALE AVEZZANO N. 176/2004 – ANNO XI - NUMERO 3 (FEBBRAIO 2014)
REDAZIONE VIA DANTE 3, PESCINA (67057) AQ E-MAIL: [email protected] – http://www.site.it – CICLINPROP LOCALITÀ PETOGNA 15 LUCO DEI MARSI – DISTRIBUZIONE GRATUITA
RINNOVARE LE COSIDDETTE ENERGIE RINNOVABILI
Il problema è politico
S
i parte dal paleozoico (è la tendenza delle
persone non più giovani): alla fiammata che
negli anni Ottanta accese, in Abruzzo alla
stregua dell’Italia intera, il fuoco (fatuo)
dell’Ambientalismo, successe, come era inevitabile – per via della teoria del pendolo e più ancora
per ragioni sedimentate nei nostri modelli culturali e processi mentali – un periodo di lunga ed
amara disillusione, di disingaggio. Da noi, in tale
frangente di riflusso, senza più resistenza alcuna,
alle vestigia mentali del mondo agricolo, da secoli
quasi immutato, hanno finito definitivamente per
sovrapporsi, in un processo che non poteva di
certo essere infrenato (ma governato meglio sì:
moooolto meglio) le nuove forme della società dei
consumi, dello sviluppo incontrollato, nella versione un poco lasca già sperimentata e conosciuta
sulla Costa abruzzese, forme che da noi si sono
innestate su un tessuto sociale sano ma non sufficientemente consapevole, sfilacciato e rissoso nei
suoi corpi intermedi, abituato, nella sua componente notabilare – nei cui ranghi, scomparsi i proprietari, cominciavano ad inserirsi i dipendenti
pubblici, nel mentre vi si confermavano vieppiù gli
avvocati – a recitare un ruolo puramente subalterno verso le istanze superiori provenienti, sostanzialmente, da Roma e comunque dall’economia.
Quel Paesaggio – bene tutelato dalla Costituzione
– che costituiva il nostro vanto, ha subìto, nell’ultimo quarto di secolo, più attentati di quanti ne avessero portati la natura ed i nostri avi in migliaia di
anni. Un deficit di programmazione (che non è una
parolaccia: programmazione non è una espressione disdicevole, se non da noi; sinonimo di vaghezza, indeterminatezza, fumosità) e la declinazione
arrangiata di un “lasciar fare” paesano ideologicamente decantato (per definitivamente gettarsi alle
spalle, ci si è raccontato, quel secolare pauperismo
che le stesse persone [interessate] hanno peraltro
descritto con sembianze ben peggiori di quelle che
effettivamente ebbe) ci hanno consegnato, alla fine
della fiera, un territorio sostanzialmente devastato.
La prima cosa che balza agli occhi è la mancanza di
un qualsiasi disegno appena organico in tema di
infrastrutture, di insediamenti produttivi. Non c’è
proprio una logica di sistema, a meno che non si
intenda per logica il perseguimento parcellare di
molteplici istanze confliggenti quando non proprio
inconciliabili tra di loro. Un poco per spirito insofferente alle regole, un poco per interesse, appena
vagamente definito il quadro entro il quale delimitare l’azione dei cittadini (sempre meno tali, e sempre più consumatori: di beni, di suolo, di ragionamento), lo si è sostanzialmente lasciato senza controllo da parte delle Autorità e dalla politica (istanze che, in questo modo, hanno avuto rispettivamente meno lavoro da sbrigare e più consensi nelle
urne da spendere). Ma si è trattato di un atteggiamento assolutamente miope, che per risolvere
l’oggi ha finito per compromettere quel domani
che è arrivato inesorabilmente a presentarci il
conto, dopo il fuoco di paglia (o di pino, al limite)
delle casette sui poggi e nelle zone agricole (tanto
chi la coltiva più la terra?), degli insediamenti produttivi (ma che porta[va]no lavoro!) a ridosso delle
case (c’è il caso eclatante dell’incendio Reselplast ad
Ortucchio), dei capannoni per i quali ci stavano i
contributi. Un certo tipo di edilizia – figlio del desiderio di uscire per sempre dall’era delle baracche
asismiche (paesi fucensi tutti), o dell’anelito di voler
scimmiottare realtà più grandi lucrando qualche
abitante ai centri viciniori (Avezzano) – e la politica
che ne ha incarnato il gretto spirito ci hanno precipitato in un cono d’ombra di centri commerciali,
deserto industriale, immondizia, dove ora possono
avere campo libero tutta quella serie di imprenditori legati alla vocazione di distretto energeticominerario alla quale, da sempre votati, ci siamo
ormai irrimediabilmente condannati, con le nostre
mani, agendo, tollerando e (quasi) sempre tacendo.
In quest’ottica, e per le caratteristiche del nostro
territorio (quello spazio a disposizione tanto decantato da Luciano D’Alfonso, le macerine delle nostre
montagne, il vento), appena esauritosi l’effetto
dopante del capannone (fuori il casello di AielliCelano vi è la rappresentazione vivente di quali
danni possa provocare la persona sbagliata al
posto non giusto), a far da contraltare alle tante
zone industriali ed artigianali disseminate sul territorio al chiaro scopo di non farne decollare nessuna (se non come ricovero di carri di carnevale, parcheggi, ecc.), è sopraggiunto il flagello delle cosiddette energie rinnovabili. Flagello – ovvio – non
perché sia in astratto contestabile il tentativo, voluto dalle regole europee, di incentivare il ricorso a
fonti diverse da quelle fossili, in specie in Italia; ma
perché questo insieme di rinnovabili è un guazzabuglio che ricomprende di tutto (persino la combustione dei rifiuti), e con dei profili assai impattanti per i territori interessati. Da noi si è cominciato con le pale eoliche, e pur senza giungere alla
patologia di altre lande meridionali, pure un effetto deleterio il fenomeno lo ha immediatamente
determinato: quello di“dopare”la politica locale. Sì,
perché accanto alle tante ricadute determinate
dalle rinnovabili vi è quella che la produzione di
energia, attraverso il libero esercizio dell’impresa
privata (invero largamente e generosamente sovvenzionata, per tale attività, dalle nostre bollette
elettriche), arriva ad assurgere ormai ad un’importanza in grado di determinare gli indirizzi politici
sul territorio, molto più che gli altri settori, in specie in tempi di profonda crisi di un certo tipo di
economia agricola-edile. Le norme e le procedure
sono sfacciatamente formulate per agevolare questo tipo di insediamenti (che sia solo la smania di
voler aumentare il Pil nazionale è cosa che comincia ad apparire dubbia), e basta volgere lo sguardo
WALDEN
d’attorno per farsi un’idea se il gioco, sino ad oggi,
sia valso la candela. Certo che sì per gli imprenditori del fotovoltaico – società in massima parte
dotate di un capitale minimo e della certezza di un
incasso duraturo nel tempo –, molto meno, pensiamo, per il resto della collettività (che sia solo un
esempio: da tutte quelle connessioni di privati alla
rete Enel nella fascia Cerchio Collarmele Pescina,
noi cittadini abbiamo ritratto sostanzialmente il
solo peggioramento dello stato del manto stradale della statale 83, che è ora di una pericolosità
ancor più accentuata). E non si tratta di voler fare
dell’estremismo ambientalista, o di voler cristallizzare una zona, un paesaggio, ancorandoli ad un
tempo passato irriproducibile e che non sortisce
più né occupazione né reddito né bellezza. Quasi
mai, come zona che non necessita di tutta quest’energia, ci abbiamo guadagnato (neppure, per
interposto soggetto, pagando meno, magari, l’energia utilizzata dal Cam S.p.A. per sollevare l’acqua nei paesi, ecc.): il profitto, come la responsabilità penale, è personale. Le ricadute di tutto ciò,
invece, risultano collettive.
La particolare struttura dell’imprenditoria locale –
che com’è giusto e naturale, tende a massimizzare
il proprio tornaconto – ha poi fatto sì che si realizzassero dei trust industriali paesani che si occupano contemporaneamente del vecchio e del
nuovo, integrando al loro interno l’edilizia palazzinara, le costruzioni, la produzione di energia nelle
sue multiformi modalità e persino la sua distribuzione, sino ai rifiuti. Inutile dire che in simili casi, la
stella cometa di chi legittimamente opera (e si fa il
mazzo) sarà quella dell’implementazione del proprio ciclo integrato, non certo la tutela del paesaggio ammirato da quei quattro scioperati in piazza
che non fanno nulla dalla mattina alla sera (cit.).
Da tempo immemorabile, le persone di
Fontamara, altro che previsioni del tempo, sono
aduse a comprendere l’evoluzione della giornata –
fatto non esattamente di scarsa importanza, per
chi lavora[va] all’aperto – guardando il profilo del
monte Parasano, e le nuvole che vi fanno eventualmente capolino. E’ di pochi giorni or sono il
rigetto di un progetto che prevedeva la posa di
altre sei pale eoliche proprio sopra quel monte, a
continuare quella teoria ormai ininterrotta da
Cerchio a Cocullo, e (s)fortuna ha voluto che vi si
opponesse, con delle osservazioni formulate in
maniera impeccabile, l’«Associazione per la
Conservazione dell’Orso Bruno Marsicano-onlus»
(che, a conferma della nostra ignavia di comprensorio, ha bizzarramente sede a Montesilvano),
prima che le varie Autorità chiamate ad esprimere
il proprio parere concludessero che in quel
posto… è troppo. Ma il concetto di “troppo” è
aleatorio, ed ognuno ha il suo, e d’altronde molti
ritengono che nessun “troppo” possa e debba fermare-ostacolare lo sviluppo (sviluppo spesso inteso come un’immediata produzione di qualcosa,
senza stare troppo a sottilizzare sulla destinazione
di questo “qualcosa” e sulla durata nonché sull’utilità dello stesso), senza considerare che il “troppo”,
per la legge, viene dopo un “abbastanza” che è
abbastanza grande da ricomprendervi la qualunque. La fisima di voler veder libero Parasano dalle
CONTINUA A PAGINA DUE:
il martellod
delfucino
numero 3 - febbraio 2014
CONTINUA DA PAGINA UNO:
Il problema è politico
pale potrebbe esser giudicata di per sé (monda
dell’Orso) eccessiva ma molte altre pretensioni di
una porzione della popolazione potrebbero rivelarsi maggiormente fondate, ed al punto nel quale
ci troviamo, addirittura doverose da perseguire,
ove si desideri avere un futuro, quale contrada (e
non quale semplice distretto energetico-minerario), anche mutando le regole, se necessario. Non
nel senso di agevolare gli interventi… in questo
malinteso desiderio di voler evocare la produzione
a tutti i costi…. che poi sviluppo non è…. se è vero
come è vero che più si fanno questi insediamenti e
più il tessuto produttivo si sfarina (potrebbero non
essere connesse, le due cose, ma a noi richiamano
alla mente quel popolare motteggio che prendeva
di mira il‘voler togliersi la sete con il prosciutto’….).
In questi anni, a Fucino, si è assistito ad una corsa
alla valorizzazione del territorio che si è presto
mutata nel suo aperto scempio, ed anche il semplice opporsi ad un simile andazzo si è rivelata –
oltre a relegarne gli autori nel limbo degli appestati – un’opera assolutamente improponibile, alla
stregua dello svuotare il mare con un secchiello:
senza richiamare Valle dei fiori (siamo di parte),
basta andare alla mente con l’altra vicenda con la
quale da anni riempiamo le colonne di questo
foglio fondamentalmente inutile: la depurazione
fucense. Avremmo dovuto fare, per la scandalosa
vicenda del depuratore di San Benedetto dei
Marsi, una rivoluzione: sì e no ne è uscita qualche
sommessa chiacchiera, quasi che un simile sconcio, lautamente pagato dai cittadini, rientri nella
fisiologia delle vicende umane. Indice ulteriore di
un simile processo di acquiescenza alle enormità
(che si accompagna al sentimento di subalternità
sopra adombrato, che alberga nell’animo della
nostra politica nei municipi / fatti salvi casi isolatissimi, non a caso passati tra gli appestati) è la decisione degli uffici regionali di avallare la sottrazione
di alcuni impianti, quale quello di «produzione di
energia elettrica di 999 kWel alimentato da biomassa solida con ciclo di gassificazione della
biomassa e motore endotermico a ciclo otto»
venuto recentemente agli onori delle cronache a
San Benedetto dei Marsi, alla valutazione di
impatto ambientale, per la più sbrigativa «procedu-
ra abilitativa semplificata». Le decisioni tecniche
sono in realtà (quasi) sempre politiche, e la politica
regionale ha fatto sì che in luogo di nessun progetto (nessuno si sarebbe mosso, in specie da
Napoli, ma anche da Roma, per un impianto di 200
Mw, ovvero di un quinto della potenza di quello
proposto, per rimanere nell’alveo tranquillizzante
della procedura semplificata), di progetti di tal
tenore, con la soglia per la VIA elevata a 1 Mw, ce
ne siano diversi. Ci ricorderemo, tra qualche settimana, quando verranno a chiederci il voto, di far impegnare il nostro prescelto alle urne a far ridiscendere la
soglia, una volta all’Emiciclo? Si potrà dire che di tali
impianti beneficerà, oltre che nell’immediato chi lo
realizzerà vendendo la propria corrente, anche chi
fornirà la materia prima (vinacce[?], mais…) e
curerà la manutenzione del gassificatore (taccio
per carità di patria sulla convenzione in itinere con
il municipio marruviano, dove si tratta[va] di spiccioli – la norma invero non dà molto spazio di
manovra – utili a rifare dieci metri di marciapiede)
ma è a tutti evidente, anche ad una semplice grossolana valutazione costi-benefici, quadro e squadro, da neofiti quali noi siamo, che tutti questi
impianti a Fucino non avrebbero ragione di esistere, se compulsati dal punto di vista della popolazione (cosa diversa è la prospettiva di chi lo realizza). Ci ricorderemo, tra qualche settimana, quando
verranno a chiederci il voto, di far impegnare il nostro
prescelto alle urne a determinare la giunta regionale
– quando non è in altre cose affaccendata – a ruotare i vertici degli uffici, a svecchiare una dirigenza
incancrenitasi sulle poltrone, a far scivolare verso la
pensione i Sorgi, i Caputi, i Gerardini, le Flacco, ecc.?
La recente polemica sull’impianto a biomassa sambenedettese ha prodotto una singolare e inattesa
presa di posizione dell’Innominabile, sindaco di
Cerchio, in ordine al tema – ed in effetti gli impianti di tal genere previsti in quel paese, a pochi metri
dal territorio di Marruvium, sono ben due / anche
se da tale uscita pare provenire una fragranza
soprattutto… elettorale [cfr. revirgination] – nonché la nascita di un Comitato per la Salute
l’Ambiente e Territorio a Marruvium, che sabato
primo febbraio ha animato un’assemblea tenuta in
concomitanza con il... consiglio comunale (benin-
teso: la convocazione dell’assemblea del Comitato
era precedente a quella dell’assise civica) veramente molto interessante, che ha preso atto con
sollievo del momentaneo stop del progetto voluto
dalla Regione – che sino ad oggi aveva bellamente
ignorato le doglianze della Asl sul fatto che gli
impianti proposti fossero tre, con conseguente
ricadute sulla qualità dell’aria incompatibili con il
Piano datosi dalla Regione stessa per la tutela della
qualità (già scarsa) dell’aria medesima – attraverso
una diffida inoltrata alla Provincia affinché questa
riconsideri il proprio parere (autorizzatorio), peraltro rilasciato su dati e presupposti forniti dagli altri
attori in campo e sotto l’usbergo di un parere
regionale su come considerare la circostanza dei
tre impianti difficilmente conciliabile con la
“nuova”posizione odierna. E via così… Un autentico delirio, dai contorni piuttosto imbarazzanti, che
evidenzia la necessità di una diversa gestione di
simili questioni, a partire da più alti livelli di consapevolezza e conoscenza. Maggiori livelli auspicabili per chi decide ancor prima che per la popolazione (che in tutto questo bailamme ha dimostrato
un equilibrio rimarchevole).
Il mio invito è di tenerlo aperto questo Comitato,
che ce n’è tanto bisogno di una voce che si occupi
di queste cose, e che ci faccia soggetti attivi e
coscienti cittadini. Cittadini cioè che non debbono
apprendere dai giornali – dopo una scalmana del
Forum Acque di Augusto De Sanctis – di vivere in
una zona dove si sospetta fortemente (e già che ci
sia vaghezza, oltre ad essere grave, è vergognoso)
un’incidenza di patologie tumorali maggiore che
nel resto degli Abruzzi ma che prevenga tutto ciò:
ci ricorderemo, tra qualche settimana, quando verranno a chiederci il voto, di far impegnare il nostro
prescelto alle urne a determinare la giunta regionale
ad istituire il famoso – a chiacchiere – osservatorio
epidemiologico?
Forse non tutto il male viene per nuocere, e chissà
che questi gassificatori non inneschino, inopinatamente, un circolo virtuoso nel rapporto tra uomo
ed ambiente… Tenetelo aperto, dunque, questo
Comitato… Per far cambiare le regole… e soprattutto per farle rispettare….
Franco Massimo Botticchio
’idea forse non è ancora ben radicata, e si
rischia, in qualche maniera, di soffocarla sul
nascere. Pure qualcuno (e recentemente se
ne è parlato in una cena“mista”, dove al centro del
tavolo erano, oltre alcune prelibatezze, le scarsissime prospettive politiche e amministrative di chi,
alle prossime regionali, non intende associarsi a
nessuno dei principali autori-attori dello sfascio
italiano ed abruzzese / a ciascuno dei lettori l’onere di dare un nome ed volto a costoro: per noi
sono Pd e Pdl, in egual misura, sodali in tutto e per
tutto) deve iniziare: Pescina e San Benedetto dei
Marsi debbono riunirsi in unico comune.
Negli anni abbiamo ripercorso, in maniera del
tutto disorganica, le vicende ottocentesche della
frazione di San Benedetto, il suo tumultuoso sviluppo in corrispondenza del prosciugamento del
Fucino, le lotte di inizio novecento, Francesco
Ippoliti, gli anarchici, i signori di Pescina (i
Palladini), il disastroso terremoto, i fascisti, Nelio
Cerasani, l’emancipazione del 1945, l’alienazione
pescinese delle terre di Fucino.
Dopo tanti anni da quegli eventi e dalla elevazione di San Benedetto in municipio autonomo, e
che oggettivamente hanno a lungo tenuto vagamente ibernate, nei loro reciproci rapporti, delle
comunità che vivevano accanto ed oggi sono letteralmente attaccate, non sarà male ragionare, e
cominciare a porsi la questione se la separazione
da Pescina, per quanto sacrosanta allora, non rap-
A FURIA DI LITIGARE...
SI FA IL GIOCO DEGLI ALTRI
presenti, oggi, un motivo di debolezza, e basta
volgere lo sguardo poco lontano per comprendere come centri appena più consistenti delle nostre
due popolazioni abbiano un peso incommensurabilmente più grande in tutte le vicende del territorio, per darsi una prima risposta. E quanto lo
stare insieme potrebbe rappresentare un fattore
di ripresa di programmazione, di prospettive di
sviluppo, ecc.. Anche in un’ottica territoriale più
vasta, che ricomprenda i centri della Valle del
Giovenco sino al Parco.
Un periodo storico si è chiuso: anche gli ultimi
superstiti di quel momento del distacco, grandi
figure quali Romolo Liberale [i comunisti peraltro
non erano esattamente a favore del comune autonomo, che infatti fu un parto liberale e di destra] e
Sebastiano Simboli, nello scorso anno ci hanno
lasciati, a testimoniare che un ciclo è finito e forse
occorre aprirne un altro. Va bene conservare la
memoria, preservare l’identità, celebrare e fare
temi, persino prendersi in giro, però….
Inoltre, a breve, sarà proprio lo stato centrale ad
imporre l’unione dei comuni. Già da oggi chi lo fa
ottiene molti vantaggi, anche in termini di tassazione e sgravi. Nel 2013 solo in Toscana ci sono
stati sette casi del genere, e nessuno ha perso
nulla in termini di storia e orgoglio delle proprie
origini. Pensiamoci.
cobianchi
L
[ 02 02 14 400 ]