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I PRESUPPOSTI SOGGETTIVI DI FALLIBILITÀ EX
ART. 1 L.F. ALLA LUCE DELLE PIÙ RECENTI
INTERPRETAZIONI GIURISPRUDENZIALI.
di GIUSEPPE BERSANI
Abstract.
Con il D. Lgs. n. 5/06 il legislatore ha riformulato i presupposti
per la dichiarazione di fallimento al fine di riservare una
procedura lunga e costosa come quella fallimentare solo alle
situazioni particolarmente rilevanti da un puto di vista
economico – patrimoniale.
Successivamente con il decreto “correttivo” n. 169/07 il
Legislatore ha previsto nuovi criteri di fallibilità, i quali sono
stati – negli anni successivi – oggetto di dibattiti dottrinali e
giurisprudenziali al fine di pervenire a conclusioni il più
possibile certe in ordine alla loro sussistenza e verifica
nell’ambito dell’udienza prefallimentare.
Vengono di seguito indicate le principali problematiche e le
soluzioni elaborate in giurisprudenza sulle tematiche di
maggiore frequenza e rilevanza in ordine alla sussistenza dei
presupposti oggettivi di fallibilità
1. Generalità e ragioni della riforma fallimentare del 2006 e
del “correttivo” del 2007
Come è noto a tutti gli operatori del settore fallimentare il
Legislatore della riforma mediante il D. Lgs. n. 5/06 aveva
riformulato i presupposti per la dichiarazione di fallimento al
fine di riservare una procedura lunga e costosa come quella
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fallimentare solo alle situazioni particolarmente rilevanti da un
punto di vista economico – patrimoniale.
La più rilevante novità dell’intervento legislativo del 2006
era costituita dal fatto che era stato sostituito il criterio di
elaborazione giurisprudenziale del “piccolo imprenditore”
alla sussistenza di due requisiti costituiti dal superamento delle
soglie degli “investimenti effettuati” e dei “ricavi lordi”
conseguiti dall’imprenditore.
I criteri indicati dal legislatore nella riforma del 2006 sono
stati considerati eccessivamente restrittivi, tanto che in alcuni
Uffici giudiziari si era registrata una diminuzione fino al 40%
dei fallimenti dichiarati, ed il Legislatore è tornato sui suoi
passi con il “decreto correttivo” n. 169/07, prevedendo criteri
soggettivi ed oggettivi di fallibilità in parte diversi ed in parte
nuovi.
Con la nuova formulazione dell’art. 1 l.f. la “non fallibilità”
dell’imprenditore
commerciale
viene
ancorata
alla
insussistenza non solo di uno due requisiti previsti a seguito
della riforma del 2006, (che comunque vengono meglio
precisati: attivo patrimoniale, da una parte, e ricavi lordi annui,
dall’altra), ma anche del nuovo parametro costituito dalla
esposizione debitoria complessiva - comprensiva, sia dei
debiti scaduti, che di quelli non scaduti - non superiore a
cinquecentomila euro.1
Il parametro alquanto vago e di incerta definizione
dell’ammontare degli “investimenti effettuati” è stato sostituito
con quello dell’”attivo patrimoniale”, il quale consente di far
riferimento alla precisa elencazione contenuta nell’art. 2424 c.
c.
E’ stato inoltre precisato che, l’ ”attivo patrimoniale
complessivo” annuo non superiore ad euro trecentomila da
prendere in considerazione è soltanto quello relativo agli ultimi
tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di
fallimento.
L’indicazione degli ultimi tre esercizi anteriori alla
presentazione del ricorso consente di delimitare con certezza
Cfr. per l’espressa indicazione di tali criteri alla luce delle interpretazioni
giurisprudenziali, Ferro – Di Carlo, L’istruttoria prefallimentare, Milano, 2010;
Capo, I presupposti del fallimento, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da
Buonocore e Bassi, vol. I, Padova, 2010, 63 ss.
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il campo di indagine, evitando difformità di prassi applicative,
peraltro in coerenza con la disposizione dell’articolo 14, che fa
obbligo al debitore che chiede il proprio fallimento di
depositare presso la cancelleria “le scritture contabili e fiscali
obbligatorie concernenti i tre esercizi precedenti”.2
Anche il criterio dei “ricavi lordi” è stato opportunamente
precisato e reso più rigido, in quanto, una volta eliminato il
concetto di “media dei ricavi degli ultimi tre esercizi”, si
richiede che, in nessuno dei tre esercizi precedenti la data di
deposito dell’istanza di fallimento, l’imprenditore abbia
realizzato ricavi lordi annui superiore ad euro duecentomila.
Alla luce di tali modifiche parte della giurisprudenza3 ha
ribadito come la nozione civilistica di “piccolo imprenditore”
deve considerarsi completamente superata, ai fini della
fallibilità, dai criteri quantitativi e qualitativi dell’art. 1, comma
2, l.fall.: in particolare si è affermato4 che il novellato art. 1
l.fall. ha soppiantano i criteri qualitativi dell’art. 2083 c.c.
A tale primo criterio interpretativo, che a nostro giudizio
appare da preferire, si è contrapposta la soluzione proposta da
parte di altra giurisprudenza di merito la quale ha evidenziato
come costituirebbe onere degli imprenditori medio-grandi
dimostrare di non aver superato alcuna delle soglie di legge,
mentre per i piccoli imprenditori costituirebbe onere dei
creditori dimostrare l’insussistenza dei requisiti qualitativi
previsti dalla norma codicistica.5
La giurisprudenza di legittimità6 ha peraltro statuito che il
regime concorsuale riformato ha tratteggiato la figura
dell’‘‘imprenditore fallibile’’ con riferimento esclusivo a
parametri soggettivi di tipo quantitativo, i quali prescindono
del tutto da quello, canonizzato nel regime civilistico, della
prevalenza del lavoro personale rispetto all’organizzazione
aziendale fondata sul capitale e sull’altrui lavoro.
Cfr. Ferro – Di Carlo, op. cit. 245 ss.
Cfr. cfr. Appello Torino, 22 giugno 2007, in Il Fallimento., 2007, 1237,
secondo cui ai fini dell’individuazione dell’imprenditore soggetto a procedura
concorsuale deve farsi esclusivo riferimento ai criteri dimensionali prescritti dal
novellato art. 1, comma 2, l.fall., senza la necessita` di indagare ulteriormente se
costui sia da considerare piccolo imprenditore alla stregua dei criteri previsti
dall’art. 2083 c.c.
4
Cfr. Trib. Firenze 20 maggio 2008, in Foro Tosc., 2009, 110.
5
Cfr. Trib. Salerno 7 aprile 2008, in Il Fallimento, 2008, 939.
6
Cfr. Cass., sentenza 28 maggio 2010, n. 13086, in Il Fallimento, 2010, 1261.
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2. La rilevanza del dato contabile
Con specifico riferimento ai parametri di riferimento dell’art. 1
l.fall. sopra richiamati, va subito evidenziato come gli stessi
hanno tutti carattere contabile e sono desumibili, in linea
generale, dall’esame delle scritture obbligatorie per gli
imprenditori commerciali collettivi e dall’inventario annuale
che si chiude con il bilancio per gli imprenditori individuali; la
necessaria verifica del dato contabile ha portato la
giurisprudenza a ritenere irrilevante – ai fini della fallibilità
- il dato formale dell’iscrizione al registro delle imprese.7 In
giurisprudenza si è evidenziato come i bilanci degli ultimi tre
esercizi, ancorche´ privi di efficacia di prova legale,
costituiscono la base documentale imprescindibile della
dimostrazione dell’insussistenza dei presupposti (che il
debitore ha l’onere di fornire) per sottrarsi alla dichiarazione di
fallimento, in particolare quando siano stati redatti
conformemente alle disposizioni di legge in materia e non
siano stati oggetto di impugnativa per violazione delle
disposizioni stesse; da ciò deriva che il debitore può contestare
i dati dei propri bilanci purche´ la prova della non fallibilità
possa desumersi da documenti altrettanto significativi o nel
senso di verificare la correttezza e veridicita` del dato contabile
apparente, al di la` delle regole codicistiche.8
Sempre da parte della giurisprudenza di merito9 si è poi
ribadito che i dati contabili dell’impresa insolvente non
assumono valore di prova legale ne´ introducono una
limitazione all’assunzione e valutazione delle prove nel corso
dell’istruttoria prefallimentare, all’esito della quale e` possibile
procedere ad una loro rettifica ed integrazione, essendo scopo
della norma quello di accertare le dimensioni reali ed effettive
dell’impresa ritenuta insolvente.
7
Cfr. Trib. Milano 11 aprile 2011 , in www.ilcaso.it, secondo cui nessun rilievo
ha il dato formale puro e semplice della attuale insussistenza dell’iscrizione
come imprenditore individuale nel Registro delle imprese, giacché la qualità
imprenditoriale si assume con l’esercizio effettuale di un’attività impresa, e la
relativa sussistenza può essere provata con ogni mezzo, comprese le presunzioni
(art. 2727, 2729 c.c.), come nel caso di qualunque quaestio facti il cui
accertamento è rimesso al solo apprezzamento del giudice di merito e resta
insindacabile in sede di legittimità.
8
Cfr. App. Torino 4 marzo 2011, in Il Fallimento, 2011, 632.
9
Cfr. Trib. Terni 4 luglio 2011, in Il Fallimento, 2011, 1427.
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Da parte del Tribunale di Udine10 si è poi sottolineato che la
valutazione dell’ammontare dell’attivo patrimoniale, in quanto
mirante a far emergere la realta` economica dell’impresa, deve
prescindere dalla formale applicazione dei principi contabili e
della normativa in tema di redazione dei bilanci ogni qualvolta
il loro rigoroso rispetto venga a determinare una divergenza tra
il dato ‘‘formale’’ contabile e la reale dimensione dell’impresa.
Il dato contabile può pertanto essere disatteso quanto lo
stesso sia frutto - per qualsiasi ragione – di irregolari
annotazioni contabili: si è a questo proposito affermato che pur
quando nella contabilità aziendale appaia superato il parametro
previsto dall'art. 1 della legge fallimentare in relazione
all'ammontare dell'attivo patrimoniale, ma questo sia il frutto di
un'erronea contabilizzazione degli importi relativi alla voce
"titolare c/prelievi", il ricorso per dichiarazione di fallimento
deve essere respinto in quanto ciò che rileva sono le risultanze
sostanziali della contabilità. 11
3. La determinazione dell’attivo patrimoniale
Da parte della dottrina12 è stata valutata positivamente la scelta
normativa del “correttivo” di far riferimento all’attivo
patrimoniale rispetto alla nozione di “capitale investito”
introdotta inizialmente con il D.Lgs. n. 5/06, sottolineando
come, in tal modo, si è consentito “l’ancoraggio ad un dato
contabile certo, con un significato giuridico preciso”.
Per ‘‘attivo patrimoniale’’ si intende quella parte di
patrimonio indicata nel bilancio disciplinata dagli artt. 2424 e
2425 c.c. per le società di capitali e quella parte dell’inventario
redatto all’inizio di ogni esercizio e contenente l’indicazione
delle attivita` ai sensi dell’art. 2217 c.c. per gli imprenditori
individuali e le societa` di persone.
Con riferimento a tale concetto, la giurisprudenza di merito
si e` mostrata molto sensibile alla necessita` di valorizzare il
dato contabile sostanziale, in linea con l’evoluzione normativa;
10
Cfr. Trib. Udine 13 gennaio 2012, www.osservatorio-oci.org.
Cfr. Trib. Udine 30 novembre 2012, in www.ilcaso.it
12
Cfr. U. Macrì Art. 1 l. fall. Limiti dimensionali, soglie di fallibilità, questioni
probatorie, in Il Fallimento, 2013, pag. 1002.
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si è pertanto affermato che - con riferimento alle societa` di
capitali - occorrerà fare riferimento al complesso delle voci
dell’art. 2424 c.c. e quindi alle immobilizzazioni, all’attivo
circolante, ai ratei ed ai risconti.13
Nel caso degli imprenditori non tenuti alla redazione del
bilancio, invece, si e` statuito che tra le poste attive della
situazione patrimoniale andranno sicuramente ricomprese
anche le rimanenze di magazzino, mentre nel passivo devono
essere computati i debiti contratti per l’acquisto degli stessi
beni.14
Con particolare riferimento ai beni ai beni oggetto di
contratti di leasing si è precisato come gli stessi dovranno
senz’altro essere inclusi nell’attivo patrimoniale, evidenziando
come - in caso contrario - si determinerebbe un’ingiusta
discriminazione nei confronti di quegli imprenditori che
abbiano utilizzato beni del tutto analoghi, ricorrendo pero` alle
tradizionali forme di indebitamento.15
Ulteriore problema affrontato dalla giurisprudenza è stato
quello relativo alla valutazione da attribuire ai beni immobili,
individuando quello del “costo storico” al netto degli
ammortamenti.16
Tale orientamento è stato ribadito in altra occasione,
precisando che nell'ambito del procedimento per dichiarazione
di fallimento, al fine di verificare l'esistenza dello stato di
insolvenza dell'impresa, il valore delle immobilizzazioni
materiali da prendere in considerazione deve essere quello
determinato secondo il criterio di cui all'articolo 2426, comma
1, n. 1 c.c. del costo di acquisto o di produzione e non quello
del valore di mercato.17
Il criterio indicato ha ottenuto l’avallo della giurisprudenza
di legittimità secondo cui per gli immobili, iscritti tra le poste
attive dello stato patrimoniale, opera - al pari che per ogni altra
13
Cfr. Cass. 29 ottobre 2010, n. 22146, in Il Fallimento, 2011, 438, Cass. 29
luglio 2009, n. 17553, in Giur. comm., 2010, I, 1701.
14
Cfr. Cass. 29 luglio 2009, n. 17553, cit.
15
Cfr. Trib. Terni 4 luglio 2011, in Il Fallimento, 2011, 1247 e
www.osservatorio-oci.org. La conseguenza di tale interpretazione è che
costituirà onere dell’imprenditore dimostrare che il valore di tali beni non debba
essere considerato parte dell’attivo patrimoniale in ragione delle condizioni del
loro utilizzo, del loro valore residuo e del prezzo finale di riscatto.
16
Cfr. Appello L’Aquila, 22 febbraio 2012, in Il Fallimento, 2012, 742.
17
Cfr. Trib. Benevento 8 aprile 2013, in www.ilcaso.it
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immobilizzazione materiale - il criterio di apprezzamento del
loro costo storico al netto degli ammortamenti, quale risultante
dal bilancio di esercizio, ai sensi dell’art. 2426, numeri 1 e 2,
c.c., e non il criterio del valore di mercato al momento del
giudizio.
Da parte di altra giurisprudenza18 al fine di determinare
l’”attivo patrimoniale” si è fatto riferimento ai “criteri di
funzionamento”, affermando che per quanto riguarda gli
imprenditori collettivi obbligati a redigere e depositare il
bilancio di esercizio, l'attivo di cui alla lettera a) dell'articolo 1,
comma 2, legge fallimentare, è quello delle voci di cui
all'articolo 2424, lettere a), b), c) e d), appostate in conformità
ai criteri di valutazione previsti dal successivo articolo 2426
c.c.
Da parte del Tribunale di Novara si è inoltre precisato che
“... ai fini del raggiungimento della soglia dimensionale in
questione, rilevano, quindi, le immobilizzazioni materiali,
immateriali e finanziarie (articolo 2424 c.c., sezione attivo,
voci di BI, BII e BIII); i beni acquisiti con leasing traslativo (i
cui valori sono ricavabili dai conti d'ordine); l'attivo circolante,
al netto delle imposte rettificative (rimanenze, crediti, attività
finanziarie non costituenti immobilizzazioni, escluse le azioni
proprie); le disponibilità liquide. Per la valutazione delle voci
sopra indicate appare corretto far riferimento a criteri di
funzionamento e non a criteri di liquidazione. La necessità di
utilizzare criteri dimensionali effettivi e non meramente
contabili – cui appare ispirarsi la giurisprudenza sopra citata - è
stata, al contrario, evidenziata, da parte del Tribunale di
Udine19, precisando come, ai fini della valutazione della
sussistenza dei presupposti soggettivi per la dichiarazione di
fallimento (tra cui quello relativo all'ammontare dell'attivo
patrimoniale degli ultimi tre esercizi antecedenti la data di
deposito della istanza di fallimento), appare conforme alla
"ratio" della legge, che li ha introdotti in funzione di una
valutazione della dimensione dell'impresa, operare una verifica
che tenga conto dell'effettivo "attivo patrimoniale" quale
espressione della reale dimensione dell'impresa stessa,
evidenziando quindi come “.. tale accertamento pertanto, per
rispecchiare la realtà di un'impresa, deve poter prescindere
18
19
Cfr. Trib. Novara 3 novembre 2012, in www.ilcaso.it
Cfr. Trib. Udine 13 gennaio 2012, in www.ilcaso.it
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dalla formale applicazione dei principi contabili e della
normativa in tema di redazione di bilanci ogni qual volta la
loro rigorosa applicazione possa comportare una divergenza tra
il dato "formale" contabile, e la realtà economica dell'impresa”.
Riteniamo preferibile l’interpretazione di tipo “contabile”,
da cui deriva che il valore del capitale investito sarà costituito
dal valore dei beni risultanti dal bilancio, detratto il fondo di
ammortamento relativo.
Si tratta di una soluzione opinabile che, tuttavia, presenta il
vantaggio della certezza e della rapidità, rendendosi necessaria
– in caso di adesione alla soluzione che valuta i beni impiegati
nell’azienda secondo il loro “valore effettivo o di mercato” –
una consulenza al fine di effettuare una valutazione di mercato
dei principali beni aziendali. E’ evidente che tale ultima
soluzione sarebbe impraticabile – o praticabile con grandi
difficoltà - sacrificando i tempi della proceduta prefallimentare
che il Legislatore della riforma ha voluto accelerare - in caso di
richiesta di fallimento di società che impiegano numerosi beni
sottoposti a svalutazioni periodiche, spesso difficilmente
quantificabili, ma tuttavia ancora utilizzabili nel processo
produttivo. 20
Relativamente all’individuazione dell’”attivo patrimoniale”
qualora venga richiesto il fallimento di una impresa
individuale, da parte della giurisprudenza21 si è optato per la
soluzione che comporta la confusione in un unico patrimonio
dei rapporti giuridici inerenti l'esercizio dell'impresa e di quelli
personali dell'imprenditore, con la conseguenza che
l'imprenditore diviene fallibile anche in ragione di debiti
personali, atteso che tutti i crediti e i debiti faranno
unitariamente ed inscindibilmente capo all'unico debitore, il
20
Cfr. Trib. Piacenza, 7 dicembre 2007, in Il Fallimento, 2007, 591.
Cfr. App. Torino 7 ottobre 2010, in www.ilcaso.it; nel caso concreto , la Corte
d'Appello di Torino ha dichiarato infondata la censura di parte appellante,
secondo cui quello verso la banca era debito personale, quale fideiussore di una
società di capitali, di cui il reclamante fu il legale rappresentante e liquidatore, e,
pertanto, non inerente all'attività imprenditoriale attuale. Si è ancora precisato
che l'opzione per la contabilità semplificata viene effettuata dall'imprenditore a
proprio rischio, posto che costituisce una “conclamata eccezione al principio
generale valido sul piano civilistico e tributario dell'obbligatorietà delle scritture
contabili - ha sicuramente efficacia sul piano tributario, ma è del tutto irrilevante
su quello civilistico. Pertanto, l'impossibilità per l'imprenditore di assolvere
all'onere di provare i fatti impeditivi di cui all'art. 1, legge fallimentare sulla base
delle scritture contabili obbligatorie deriva da una sua scelta insindacabile”.
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quale risponde di essi con tutto il suo patrimonio ex art. 2740,
c.c., senza alcuna differenza in ordine alla natura dei debiti
stessi.
4. La determinazione dei ricavi lordi
Al fine della determinazione concreta del concetto di “ricavi
lordi” non si può prescindere dall’apporto giurisprudenziale,
ove si è precisato22 che occorre fare riferimento, come per
l’attivo patrimoniale, alle corrispondenti indicazioni fornite
dalla disciplina codicistica di bilancio e in particolare alle voci
dell’articolo 2425 c.c. A1, 2, 3 e 5 (con l’avvertenza che i
valori delle voci 2 e 3, se negativi, vanno detratti), C15 e C16,
E20 (plusvalenze da alienazione di immobilizzazioni), mentre
vanno escluse dal computo le voci A4 (incrementi delle
immobilizzazioni per lavori interni) e D18 (rivalutazioni).
Da parte della giurisprudenza di legittimità23 si è poi
precisato i ricavi lordi vanno considerati sulla base degli atti a
disposizione, a prescindere dalle allegazioni del debitore.
La problematica dell’esatta individuazione del dato contabile
è stata esaminata sotto altri molteplici aspetti da parte della
giurisprudenza di merito: si è evidenziato24 come nel caso di
imprese in contabilita` semplificata, il dato di riferimento sarà
costituito dalla dichiarazione dei redditi e piu` precisamente si
è fatto riferimento alla nozione dell’art. 85 T.U.I.R. In altra
occasione25 si è poi evidenziato come, i ricavi lordi dovranno
essere calcolati al lordo dell’I.V.A.
Nel caso di esercizio avente durata inferiore all’anno da
parte della giurisprudenza si è affermato che il parametro
previsto dall'articolo 1, legge fallimentare, dei ricavi lordi per
un ammontare complessivo annuo superiore ad euro
duecentomila costituisce un dato di flusso assunto dal
legislatore con riferimento al periodo annuale normalmente
pari alla durata dell'esercizio sociale, con la conseguenza che in
22
Cfr. Trib. Novara 3 novembre 2012, cit.
Cfr. Cass. 23 luglio 2010, n. 17281, in Il Fallimento, 2011, 447, con nota di P.
Vella.
24
Cfr. Trib. Piacenza 22 gennaio 2007, cit.
25
Cfr. Trib. Imperia 29 novembre 2010, in www.osservatorio-oci.org.
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tale fattispecie i ricavi conseguiti in detto periodo dovranno
essere ragguagliati all’anno. 26
In giurisprudenza27 si è affermato che i ricavi lordi devono
essere valutati al netto di sconti, abbuoni, premi ed imposte
direttamente connesse alla vendita dei prodotti ed alla
prestazione di servizi, ma al lordo di altri costi imputabili
all’attività, quali costi di trasporto e di assicurazione.
Inoltre, in considerazione del fatto che l’art. 1, comma 2,
lett. b), l.fall. impone di prendere in considerazione i ricavi
annui lordi ‘‘in qualunque modo risulti’’ si è affermato che tra i
ricavi occorrerà tener conto anche di quelli non annotati nelle
scritture contabili, ma accertati dall’amministrazione
finanziaria anche in modo non definitivo, o quelli emersi dalle
indagini effettuate dalla Guardia di Finanza.28
Si è pertanto precisato29 che fra i ricavi lordi andranno
ricompresi anche quelli “in nero” al fine di evitare effetti
paradossalmente premiali per gli evasori fiscali.
La Corte di Cassazione30 ha fornito un importante contributo
al fine di individuare con esattezza il concetto di “ricavi lordi”,
precisando che per l'individuazione dei "ricavi lordi", che
vanno considerati ricavi in senso tecnico, occorre fare
riferimento alle voci n. 1 ("ricavi delle vendite e delle
prestazioni") e n. 5 ("altri ricavi e proventi") dello schema
obbligatorio di conto economico previsto dall'art. 2425, lett. A,
c.c.”
Da parte dei giudici di legittimità si è poi evidenziato come
non possono farsi rientrare in tale nozione le voci dalla n. 2 alla
n. 4 del menzionato schema e, in particolare, le variazioni delle
26
Cfr. Trib. Pordenone 4 novembre 2010, in www.ilcaso.it. Nel caso concreto il
Tribunale aveva ritenuto la sussistenza del requisito in questione in presenza di
ricavi lordi per euro 185.297,00 conseguiti in un periodo di 11 mesi.
27
Cfr. Appello Torino 15 giugno 2010, in www.ilcaso.it
28
Cfr. App. L’Aquila 22 febbraio 2012, cit., nonché Trib. Udine 19 maggio
2011, in www.ilcaso.it secondo cui “I ricavi lordi possono risultare, oltre che dai
documenti e dalle registrazioni contabili, fiscali e di bilancio (ove presenti)
dell'impresa, anche da altri elementi rappresentati dagli accertamenti induttivi
condotti dall'amministrazione finanziaria, anche se non definitivi, o dai dati
extracontabili desumibili dalle indagini effettuate dalla Guardia di Finanza, pure
se non ancora tradottesi in accertamenti definitivi dell'Agenzia delle Entrate”.
29
Cfr. in tal senso F. Commisso, osservazioni a Cassazione Civile, Sez. I, 27
dicembre 2013, n. 28667, in Il Fallimento, 2014, pag. 777.
30
Cfr. Cassazione Civile, Sez. I, 27 dicembre 2013, n. 28667, in Il Fallimento,
2014, pag. 776 ss.
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rimanenze, “… le quali rappresentano dei costi comuni a più
esercizi, che vengono sospesi, in conformità del principio di
competenza economica di cui all'art. 2423 bis c.c., per essere
rinviati ai successivi esercizi, in cui si conseguiranno i relativi
ricavi.
5. La quantificazione dei debiti complessivi anche non
scaduti
L’art.1, comma 2, lett. c), l.fall., prende in considerazione,
come terzo elemento alternativo alla cui ricorrenza (alternativa)
deve essere dichiarato il fallimento, la valutazione
dell’esposizione complessiva dell’imprenditore, anche con
riguardo ai debiti non scaduti, trattandosi di un requisito
assunto dal legislatore del decreto “correttivo” quale indice
dimensionale dell’impresa.
In tale contesto dovranno essere considerati, secondo
l’interpretazione giurisprudenziale, anche i debiti condizionati,
così come quelli derivanti dalla prestazione di garanzie che
presuppongono la preventiva escussione del debitore31, nonché
i debiti contestati,32 in quanto la contestazione non ne
impedisce l’inclusione nel computo dell’indebitamento
complessivo e non si sottrae alla valutazione del giudice
chiamato a decidere sull’apertura della procedura concorsuale
anche se la relativa pronuncia non pregiudica l’esito della
controversia volta all’accertamento di quel credito.
Secondo la giurisprudenza deve – inoltre - ritenersi
indifferente la natura civile o commerciale del debito33, in
quanto, ai fini dell’accertamento dello stato d’insolvenza,
occorrerà tener conto solo del complesso delle obbligazioni
gia` scadute al tempo della dichiarazione di fallimento che si
possono ritenere ragionevolmente certe.34
31
Cfr. in tal senso Cass. 4 maggio 2011, n. 9760, in Il Fallimento, 2012, 231;
Trib. Novara, 3 novembre 2012, in www.ilcaso.it
32
Cfr. Cass. 2 dicembre 2011, n. 25870.
33
Cfr. Cass. 4 giugno 2012, n. 8930.
34
Cfr. App. Brescia 9 luglio 2010, in www.ilcaso.it
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L’individuazione del momento in cui rileva la
sussistenza dei presupposti di fallibilità
Da parte della giurisprudenza35 36 sono state fornite precise
indicazioni anche con riferimento al momento da cui
retroagisce il triennio cui fare riferimento per la sussistenza dei
presupposti di fallibilità sopra esaminati, precisando che tale
valutazione andrà riferita al momento della declaratoria di
fallimento, poiché è entro l’udienza prefallimentare che il
debitore deve presentare tutta la documentazione attestante la
propria situazione patrimoniale e finanziaria.
In tal senso si è pronunciata anche la giurisprudenza di
legittimità37 affermando che nel giudizio di opposizione alla
sentenza dichiarativa di fallimento hanno rilevanza solo i fatti
esistenti al momento della stessa e non i fatti sopravvenuti, dal
momento che la pronuncia di revoca del fallimento presuppone
che venga acquisita la prova che i presupposti per l’apertura
della procedura non sussistevano già nel momento in cui la
stessa fu aperta.
7. L’individuazione del periodo di riferimento per la
sussistenza dei presupposti di fallibilità: il triennio
precedente la presentazione del ricorso di fallimento
Il periodo di riferimento in cui deve verificarsi il superamento
dei limiti dimensionali sopra esaminati è costituito – come già
evidenziato - dal triennio precedente l’istanza di fallimento e
va riferito agli anni commerciali della gestione economica e
Cfr. App. Venezia – sez. I – 25 ottobre 2012 n. 2327, in
ww.ilfallimentarista.it, 25 novembre 2013, con commento di E. Genero Le
soglie di fallibilità: sussistenza e momento di valutazione. Da parte dei giudici
veneziani si evidenzia come soltanto una circostanza sopravvenuta potrebbe
avere l’efficacia di revocare la sentenza di fallimento, ossia il pagamento
integrale dei creditori.
35
37
Cfr. Cass. civ. sez. VI, 11 febbraio 2011, n. 3479.
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non agli anni solari,38 con decorrenza dalla presentazione del
ricorso per la dichiarazione di fallimento.39
Il concetto di “capitale investito” pertanto dovrà essere
inteso non facendo riferimento al totale di quelli effettuati nel
corso degli anni dall’imprenditore, bensì solo all’attivo degli
ultimi tre esercizi in ui rileverà il superamento del limite anche
per un solo esercizio.40
Si è ancora sottolineato che la locuzione "tre esercizi
antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento" che
all'art. 1, legge fallimentare, ha sostituito l'espressione "ultimi
tre anni" in forza del decreto correttivo numero 169 del 2007,
deve essere interpretata nel senso che devono essere presi in
considerazione i tre esercizi precedenti già conclusi prima
dell'anno di presentazione dell'istanza di fallimento. Questa
impostazione consente di prendere in esame esercizi chiusi ed
evita di porre in essere una complessa attività istruttoria, in
conformità con la volontà del legislatore di semplificare
l'accertamento dei presupposti per la dichiarazione di
fallimento.41
Nello stesso senso si è ribadito42 che i tre esercizi precedenti
la data di deposito dell'istanza di fallimento di cui all'articolo 1,
legge fallimentare, sono quelli “chiusi”, cioè “conclusi” a detta
data. A tale conclusione si perviene – secondo la citata
giurisprudenza - alla luce di quanto disposto dall'articolo 14,
legge fallimentare, il quale prescrive il deposito delle scritture
contabili e fiscali obbligatorie per tre esercizi (chiusi)
precedenti, nonché per intuitive esigenze di semplificazione,
dovendosi altrimenti riclassificare i dati contabili per
ricostruire un triennio che non coincide necessariamente con
gli esercizi.
Come si è già anticipato, a nostro avviso appare corretta
l’interpretazione secondo cui deve ritenersi integrato il
requisito della fallibilita` anche con il superamento di uno
38
Cfr. Cass. 3 dicembre 2010, n. 24630, in Il Fallimento, 2011, 955.
Cfr. App. Torino 16 maggio 2007, in Il Fallimento, 2007, 843 e Trib. Mantova
30 agosto 2007, in www.ilcaso.it
40
Cass. 23 marzo 2012, n. 4738.
41
Cfr. Trib. Sulmona 18 novembre 2010, in www.ilcaso.it; nonché Trib.
Sulmona 20 maggio 2010, in Il Fallimento., 2010, 997.
42
Cfr. Trib. Novara 3 novembre 2012, in www.ilcaso.it.
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solo dei limiti dimensionali relativamente ad un solo
esercizio.43
A questo proposito si è precisato44 la soglia dell’art. 1,
comma 2, lett. b), l.fall. si riferisce ai ricavi lordi conseguiti in
ciascun anno e non alla media dei ricavi dell’ultimo triennio di
esercizio, confermando il fatto che il richiamo ai tre esercizi
antecedenti è riferito all’esigenza di rendere quanto piu`
possibile, oggettiva ed adeguata alla realta` dell’ultimo periodo
la valutazione dimensionale dell’impresa, onde evitare che la
media dei ricavi venga fittiziamente contenuta mediante
operazioni puramente strumentali per eludere il fallimento e
comunque non rispecchianti l’effettiva entita` dimensionale in
ciascuno dei periodi gestionali presi a riferimento.45
43
Cfr. Trib. Imperia 29 novembre 2010, cit.
Cfr. App. Torino, 15 giugno 2010, in www.ilcaso.it.
45
Cfr. U. Macrì, op. cit. pag. 1007.
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