Capitolo 3 Chimica della stratosfera. La chimica della stratosfera `e soprattutto conseguenza di alcune reazioni di fotodissociazione, tra cui la pi` u importante `e quella dell’ossigeno molecolare, O2 . Una reazione fotochimica avviene quando una molecola assorbe un fotone, cio`e una quantit`a di energia luminosa pari ad hν, dove h `e la costante di Planck e ν `e la frequenza della radiazione. Indicheremo quindi le reazioni hν fotochimiche con una freccia sovrastata dal simbolo hν; ad esempio, AB −→ A+B. La velocit`a e quindi l’importanza di una reazione fotochimica dipende la due fattori: il numero di fotoni assorbiti dal reagente, per unit`a di tempo e di volume, e la probabilit`a che una molecola di reagente, una volta eccitata, subisca il processo reattivo di interesse; tale probabilit`a `e detta resa quantica della reazione. Il numero di fotoni assorbiti ad una certa lunghezza d’onda λ dipende a sua volta da tre fattori: l’intensit`a della radiazione o irradianza I(λ) (W/m2 ), la concentrazione della specie chimica che assorbe, ed il suo coefficiente di estinzione ε(λ). La resa quantica di fotodissociazione, per piccole molecole in fase gassosa, di solito `e uguale a 1 o quasi, purch´e l’energia del fotone sia sufficiente a rompere un legame: infatti, soprattutto per gas rarefatti, ogni altro processo che potrebbe competere con la dissociazione (disattivazione dello stato eccitato per urti, luminescenza, etc) `e molto pi` u lento. In qualche caso si ha competizione tra due diverse frammentazioni. L’energia del fotone `e E = hν = hc/λ, dove c `e la velocit`a della luce. Misurando λ in nanometri (nm) e l’energia in kcal/mol, abbiamo E = 28592/λ. Cos`ı, con luce rossa (λ=750 nm) si pu`o rompere un legame con energia di dissociazione pari a 38.1 kcal/mol; all’altro estremo del visibile (λ=400 nm) l’energia `e 71.5 kcal/mol, e al limite dell’ultravioletto “da vuoto” (λ=200 nm) l’energia `e 143 kcal/mol. 67 3.1 Il ciclo dell’ozono nella stratosfera. L’energia di dissociazione di O2 `e 118 kcal/mol, che corrisponde a λ=243 nm. A questa lunghezza d’onda l’ossigeno assorbe debolmente, ma a λ pi` u corte di 200 nm l’assorbimento diventa molto intenso. La reazione si pu`o indicare con hν O2 −→ 2 O (3.1) Ogni atomo di ossigeno pu`o reagire con diverse altre molecole, ma non con l’azoto, che `e molto stabile; se la pressione totale non `e troppo bassa, la reazione pi` u probabile `e O + O2 + M → O3 + M (3.2) Qui M `e una qualsiasi molecola (di solito N2 oppure O2 ) che, partecipando all’urto triplo, acquista un po’ di energia (traslazionale, rotazionale o vibrazionale), in maniera da stabilizzare il prodotto di reazione; ci`o `e necessario, perch´e non si pu`o produrre una piccola molecola per associazione Figura 3.1: Concentrazioni di ozono in funzione dell’altitudine (da http://www.ccpo.odu.edu/SEES/index.html, dati NASA). Altitude (km) 50 40 30 20 10 0 1 2 3 4 5 Number Density 3 12 (X 10 molecules/cm ) 68 6 di due frammenti, senza sottrarre energia fino a passare al di sotto del limite dissociativo. L’intensit`a della luce UV necessaria per la reazione (3.1) diminuisce rapidamente scendendo nella stratosfera, a causa dell’assorbimento dell’ossigeno stesso e soprattutto dell’ozono, prodotto dalla reazione (3.2). Perci`o la fotodissociazione di O2 diviene rapidamente trascurabile al di sotto dei 15-20 km di altezza. D’altra parte, la velocit`a della reazione di associazione (3.2) `e proporzionale al quadrato della pressione totale, P 2 ; infatti, PO2 `e proporzionale a P e la pressione del terzo corpo M si identifica con P stessa. Ne segue che l’efficienza della reazione (3.2) diminuisce rapidamente con l’altitudine. A causa di questa doppia limitazione, verso il basso per la reazione (3.1) e verso l’alto per la (3.2), l’ozono viene prodotto in quantit`a non trascurabile solo tra 15 e 50 km di altezza, cio`e nella stratosfera. Questa non `e una coincidenza: `e proprio l’assorbimento di raggi UV da parte dell’ozono che riscalda la stratosfera e le impartisce la sua caratteristica stabilit`a. Il rapporto di concentrazione tra ossigeno atomico e ozono `e influenzato dall’efficienza relativa delle due reazioni (3.1) e (3.2) e dalla fotodissociazione di O3 : hν O3 −→ O2 + O (3.3) Quest’ultima reazione non necessita di luce ultravioletta: infatti, il legame OO nell’ozono `e piuttosto debole, e pu`o essere dissociato da luce con λ < 1180 nm; inoltre l’ozono assorbe, sia pure molto debolmente, anche nel visibile. Nella stratosfera gli atomi di O, a causa della loro reattivit`a, rimangono comunque a concentrazioni molto basse; negli strati pi` u alti il rapporto [O]/[O3 ] `e dell’ordine di 1:100; scendendo nella stratosfera, la fotodissociazione di O2 perde importanza rispetto alla reazione (3.2) e il rapporto diminuisce ulteriormente. C’`e infine una reazione che consuma sia l’ozono che il suo precursore, l’ossigeno atomico, riconvertendoli a O2 : O3 + O → 2 O2 (3.4) A causa di questa reazione, la concentrazione di ozono si mantiene a livelli quasi stazionari, con fluttuazioni stagionali. Di notte, o durante gli inverni polari, entrambe le reazioni che distruggono O3 sono inefficaci: la (3.3) perch´e non c’`e luce e la (3.4) perch´e gli atomi di ossigeno, avendo concentrazioni molto pi` u basse delle molecole di ozono, non possono distruggerne una frazione significativa. Quindi al buio i livelli di ozono si conservano quasi invariati. Le concentrazioni di ozono variano a seconda dell’irraggiamento solare e della temperatura; infatti, la reazione (3.4) ha una 69 Figura 3.2: Spettri di assorbimento di O3 e O2 e attenuazione della luce solare nell’UV (da http://www.ccpo.odu.edu/SEES/index.html, dati NASA). La sezione d’urto σ (cm2 ) `e proporzionale al coefficiente di estinzione molare ε (mol−1 ·L·cm−1 ): σ = 3.8235 · 10−21 ε. Absorption Cross Section 10-16 cm2 10-17 O3 10-18 10-19 10-20 200 O2 (x104) 225 250 275 300 Wavelength (nm) 325 350 w c m - 2 nm-1 Solar flux 10-4 Top of the atmosphere 10-6 10-8 30 km 30 km UV-A 10-10 200 UV-B Surface 225 250 275 300 Wavelength (nm) SZA=45o 325 piccola ma non trascurabile energia di attivazione (4.4 kcal/mol) e quindi a basse temperature corrispondono concentrazioni maggiori. Inoltre, vicino all’equatore le infiltrazioni di aria calda, priva di ozono e ricca di gas in traccia provenienti dalla troposfera, fanno scendere i livelli di ozono nella bassa stratosfera. La figura 3.1 mostra tre profili della concentrazione di ozono in funzione dell’altezza, ottenuti prendendo le medie di diverse misure rappresentative di tre fasce di latitudine. La densit`a di O3 integrata lungo la coordinata verticale si pu`o misurare con uno strumento abbastanza semplice, basato sulla spettroscopia di assorbimento differenziale (DOAS). Si tratta di misurare l’intensit`a della luce solare a diverse 70 350 lunghezze d’onda nella zona fra 320 e 340 nm, dove l’ozono ha diversi picchi di assorbimento (vedi figura 3.2). La differenza di intensit`a tra lunghezze d’onda vicine, corrispondenti rispettivamente ad un massimo e ad un minimo nel coefficiente di estinzione, pu`o essere attribuita unicamente all’assorbimento da parte dell’ozono, con buona approssimazione. La concentrazione integrata di ozono `e proporzionale al rapporto delle due intensit`a misurate, e la si esprime come se l’ozono fosse concentrato in uno strato a pressione e temperatura standard (1 atm e 273 K). Lo spessore di questo strato si esprime in unit`a Dobson (DU), pari a 10−3 cm. Normalmente, si trovano valori tra 250 e 400 DU, mediamente 300. La distribuzione altitudinaria si pu`o ottenere mediante strumenti portati da palloni sonda, o per mezzo di misure da satelliti. 3.2 Cicli catalitici e ozono. Le quattro reazioni (3.1-3.4) costituiscono il cosiddetto ciclo di Chapman, dal nome di colui che le indic`o come responsabili dell’esistenza di uno “strato di ozono” nell’alta atmosfera, nel 1930. Se per`o si misurano in laboratorio le velocit`a di reazione, se ne deduce che le concentrazioni di ozono dovrebbero essere circa 5 volte superiori a quelle osservate sul campo. La ragione `e che esistono altre reazioni capaci di consumare ozono. Si tratta di cicli catalitici, in cui un singolo radicale X pu`o convertire migliaia di molecole di O3 e atomi di O in O2 , prima di ricombinarsi a sua volta. Il meccanismo `e O3 + X → O2 + XO (3.5) O + XO → O2 + X (3.6) La somma di queste due reazioni equivale alla (3.4), ma esistono diversi radicali X che reagiscono con O3 pi` u facilmente di O, ossia con una barriera di attivazione pi` u bassa. Le coppie X/XO pi` u attive sono H/OH, OH/OOH, NO/NO2 , Cl/ClO e Br/BrO. Come la (3.4), queste reazioni eliminano, oltre ad una molecola di O3 , anche un atomo di ossigeno che ne sarebbe con alta probabilit`a un precursore. Tutte le specie attive nel catalizzare la riconversione di O3 /O in O2 sono presenti nella stratosfera (in piccolissime concentrazioni), per cause in parte naturali e in parte antropiche. I radicali OH sono generati dall’attacco di atomi di ossigeno su molecole di acqua o metano: H2 O + O(1 D) → 2 OH (3.7) 71 CH4 + O(1 D) → CH3 + OH (3.8) L’ossigeno atomico nello stato fondamentale non `e in grado di strappare un idrogeno a molecole stabili, ma lo fa nello stato eccitato indicato come O(1 D). Questo `e prodotto dalla dissociazione di O3 o NO2 con fotoni sufficientemente energetici: λ < 411 nm per O3 e λ < 300 nm per NO2 . Perci`o, anche le reazioni (3.7) e (3.8) sono conseguenza di processi fotochimici. L’acqua, presente in abbondanza nella troposfera, condensa quasi tutta ad altitudini ben inferiori alla tropopausa; una piccola quantit`a riesce per`o a penetrare nella stratosfera, soprattutto in conseguenza di uragani che perturbano il confine tra le due zone. Il metano arriva nella stratosfera grazie al suo tempo di residenza molto lungo (≃ 10 anni), al contrario della maggior parte degli inquinanti che vengono degradati chimicamente o dilavati dalle precipitazioni prima di attraversare la tropopausa. Un’altro composto con tempo di residenza lunghissimo (≃ 120 anni) `e N2 O, che reagisce con atomi di ossigeno eccitati producendo ossido nitrico: N2 O + O(1 D) → 2 NO (3.9) Come abbiamo gi`a visto nella sezione 2.3, CH4 ed N2 O sono prodotti da processi naturali, ma le loro concentrazioni sono in aumento per l’interferenza di attivit`a antropiche. Gli ossidi di azoto NO e NO2 sono prodotti anche da processi di combustione (vedi sezione 4.4), ma sono rapidamente eliminati per ossidazione e dilavamento nell’ambiente troposferico. I voli di aerei supersonici, che si spingono ad altitudini superiori a quelle usuali per altri aerei, allo scopo di minimizzare la resistenza dell’aria, emettono direttamente ossidi di azoto nella bassa stratosfera. La maggior parte di questi voli `e di aerei militari, ma il progetto di una flotta passeggeri supersonica, lanciato negli anni 1970, fece nascere forti preoccupazioni per l’inquinamento della stratosfera. Il progetto si concretizz`o nell’aereo “Concorde”, che fu un insuccesso commerciale, per cui il numero di voli non fu mai molto alto. Questo dibattito stimol`o fortemente lo studio della chimica della stratosfera, a partire dalla coppia di reazioni del tipo (3.5-3.6): O3 + NO → O2 + NO2 (3.10) O + NO2 → O2 + NO (3.11) Il cloro viene trasportato nella stratosfera sotto forma di idrocarburi clorurati e d`a luogo ad un’altra analoga coppia di reazioni, complessivamente la pi` u 72 importante nel tenere bassa la concentrazione di O3 : O3 + Cl → O2 + ClO (3.12) O + ClO → O2 + Cl (3.13) Il cloro `e presente nella troposfera in diverse forme con tempo di residenza molto basso, essendo solubili in acqua, come NaCl o HCl. Il composto naturale pi` u importante nel trasportare cloro fino alla stratosfera `e il clorometano, CH3 Cl, che viene prodotto da attivit`a biologica negli oceani, da incendi forestali e da eruzioni vulcaniche. Gli idrocarburi alogenati sono lentamente ossidati nella troposfera, purch´e abbiano almeno un atomo di idrogeno; infatti, la reazione iniziale `e del tipo: CH3 Cl + OH → CH2 Cl + H2 O (3.14) Vedremo in sezione 4.6 come prosegue l’ossidazione dei radicali cos`ı prodotti. Per ora basta dire che, nonostante la reazione (3.14), il CH3 Cl ha un tempo di residenza abbastanza lungo, circa 1.5 anni, per cui una frazione delle emissioni totali in atmosfera arriva alla stratosfera. Qui la sua degradazione inizia con la reazione (3.14) e produce alla fine atomi di cloro; nelle parti pi` u alte della stratosfera `e possibile anche la sua fotodissociazione. Il contributo pi` u grande al carico di Cl nella stratosfera viene per`o dai clorofluorocarburi (CFC). Si tratta di idrocarburi in cui tutti gli atomi di idrogeno sono sostituiti da F o Cl: CFCl3 (sigla CFC-11), CF2 Cl2 (CFC12), CF2 ClCFCl2 (CFC-113) e molti altri. L’assenza di H conferisce ai CFC un’altissima stabilit`a, non solo rispetto all’ossidazione in aria, ma anche rispetto alla combustione. Questa e altre propriet`a positive (non sono tossici n´e esplosivi, non si degradano ad altri inquinanti pi` u pericolosi, sono chimicamente e biologicamente inerti) li hanno fatti scegliere per una variet`a di usi: fluidi refrigeranti per frigoriferi e condizionatori (perch´e bollono vicino alla temperatura ambiente), agenti schiumogeni per polimeri espansi (usati soprattutto come pannelli isolanti), solventi nell’industria elettronica, propellenti per bombolette spray. I CFC hanno tutti tempi di residenza in atmosfera molto lunghi (da 40 a 300 anni), perch´e vengono distrutti solo quando salgono abbastanza in alto nella stratosfera, dove trovano radiazione UV di lunghezza d’onda adatta per fotodissociarli; ad esempio: hν CF2 Cl2 −→ CF2 Cl + Cl (3.15) Le reazioni che seguono la fotodissociazione finiscono col liberare tutti gli atomi di Cl. In questo modo i CFC danno un contributo sproporzionatamente 73 grande al cloro totale nella stratosfera, almeno l’80% del quale `e oggi di origine antropica. Considerazioni simili valgono per il bromo, che per`o `e presente in concentrazione molto inferiore al cloro. Il contributo maggiore al bromo stratosferico viene da CH3 Br, che `e prodotto da attivit`a biologica negli oceani come CH3 Cl, e in quantit`a confrontabile `e stato utilizzato in varie attivit`a, soprattutto per la fumigazione dei terreni. Altra sorgente importante di bromo stratosferico sono i bromofluorocarburi (“halon”), usati negli estintori. Non `e facile prevedere l’effetto complessivo di tutte le coppie di radicali che catalizzano la riconversione di O3 /O, perch´e le loro azioni non sono semplicemente sommabili. Vi sono infatti sequenze di reazioni che coinvolgono due o pi` u radicali X/XO con X diversi. Inoltre, la velocit`a di reazione per alcuni cicli dipende in maniera non lineare dalle concentrazioni di radicali. Ad esempio, la fotodissociazione di NO2 , annulla l’effetto della reazione 3.10: O3 + NO → O2 + NO2 (3.10) hν NO2 −→ NO + O (3.16) O + O2 + M → O3 + M (3.2) D’altra parte, la conversione di NO ad NO2 pu`o avvenire anche in altro modo, accoppiando il ciclo catalitico di NO/NO2 con quello di Cl/ClO: ClO + NO → Cl + NO2 (3.17) Altri cicli permettono di consumare O3 senza coinvolgere l’ossigeno atomico, la cui concentrazione pu`o essere molto bassa. Per esempio: O3 + Cl → O2 + ClO (3.12) O3 + OH → O2 + OOH (3.18) ClO + OOH → HOCl + O2 (3.19) hν HOCl −→ OH + Cl (3.20) oppure O3 + Cl → O2 + ClO (3.12) O3 + NO → O2 + NO2 (3.10) ClO + NO2 + M → ClONO2 + M 74 (3.21) hν ClONO2 −→ Cl + NO3 (3.22) hν NO3 −→ NO + O2 (3.23) Entrambi questi cicli di reazione distruggono due molecole di O3 , accoppiando il ciclo del Cl con quelli di OH e di NO. Un altro modo di riprodurre atomi di cloro da ClO, senza far intervenire l’ossigeno atomico, `e il seguente: ClO + ClO + M → ClOOCl + M hν ClOOCl −→ O2 + 2 Cl (3.24) (3.25) In tutti i casi, si tratta di passare attraverso composti pi` u facilmente fotodissociabili rispetto all’O2 , che permettono di rigenerare atomi di cloro con luce di lunghezza d’onda pi` u lunga. Le reazioni (3.19), (3.21) e (3.24) generano tre “composti serbatoio”, cio`e specie relativamente stabili prodotte per combinazione di radicali attivi nella riconversione di O3 /O; questi composti possono essere fotodissociati, o reagire termicamente, riproducendo i radicali da cui provengono; ma, esaminando il carico di cloro o azoto in forma ossidata nella stratosfera, si trova che una grande frazione del totale `e sotto forma di composti serbatoio, cio`e inattiva; l’esistenza dei composti serbatoio va quindi a diminuire fortemente l’attivit`a catalitica delle specie considerate. Oltre ai composti serbatoio gi`a visti, HOCl, ClONO2 e ClOOCl, ve ne sono altri, tra cui N2 O5 , HNO3 , HCl, HOBr e BrONO2 . Una conseguenza paradossale dell’esistenza di composti serbatoio misti alogeno/azoto `e che, data la prevalenza degli alogeni come catalizzatori della riconversione di O3 /O, un moderato aumento degli ossidi di azoto porta a diminuire complessivamente l’attivit`a catalitica, trasformando una maggior frazione di Cl e Br in composti serbatoio (ClONO2 e BrONO2 ). Alla complessit`a dei cicli reattivi si aggiungono effetti di retroazione, come quello legato alla temperatura; infatti, una diminuzione della concentrazione di ozono porta ad un minore assorbimento di luce UV, e quindi ad un abbassamento della temperatura; ma questo ha l’effetto di rallentare le reazioni termiche, soprattutto la (3.4), col risultato di moderare la variazione di concentrazione (retroazione negativa). 75 3.3 Riduzione dell’ozono stratosferico e sue conseguenze Durante gli anni 1980 furono accumulati dati sufficienti sulle concentrazioni di composti in traccia nella stratosfera e sulle loro reazioni, per tentare una stima del decremento nella concentrazione di ozono conseguente all’aumento del carico di cloro e di altri catalizzatori. Le stime oscillavano tutte intorno a qualche punto percentuale, e si sono rivelate realistiche, con l’eccezione delle zone polari. Infatti, ad oggi si rileva una diminuzione intorno a 10-12 unit`a Dobson (3-4%), considerando una media globale sul periodo di un anno; la variazione `e pi` u forte alle latitudini alte e quasi nulla all’equatore. Lo strato di ozono `e necessario per impedire alla luce UV di raggiungere la superficie terrestre, dove sarebbe molto dannosa a quasi tutti gli esseri viventi. La figura 3.2 mostra che praticamente non arriva al suolo luce UV con lunghezze d’onda λ < 290 nm, essendo tutta assorbita dall’ozono. Tenuto presente che il rapporto tra O3 e O2 totali `e circa 1:30000, ma che l’assorbimento di O2 `e molto pi` u debole in tutto l’intervallo di λ considerato nella figura, si vede che il contributo di O2 prevale solo a λ < 200 nm. Gli intervalli di lunghezze d’onda che hanno importanza per gli effetti biologici sono 280 < λ < 315 nm (i cosiddetti UV-B) e 315 < λ < 400 (UVA). Vi sono diversi tipi di danni biologici da radiazione UV: al DNA, al sistema fotosintetico delle piante, al sistema visivo e all’integrit`a della pelle. Questi ultimi riguardano soprattutto l’uomo (eritemi solari) e altri animali non protetti da peli, squame, penne o esoscheletri; sono causati soprattutto dagli UV-B, ma anche dagli UV-A, che hanno intensit`a molto maggiore. I danni al sistema visivo (per esempio, cataratta precoce) possono riguardare anche molti animali, oltre che l’uomo. L’assorbimento del DNA cresce rapidamente verso lunghezze d’onda corte, dove per`o diminuisce l’intensit`a della luce solare; il miglior compromesso, cio`e, la massima efficacia nel causare danni di tipo fotochimico al DNA, si ha verso λ=300 nm, nel pieno degli UV-B. Danneggiando il DNA nella pelle, si possono causare tumori, anche di tipo grave (melanomi). Luce con λ < 310 nm degrada vari componenti del sistema fotosintetico delle piante, con ricadute negative sulla produttivit`a delle colture e sullo sviluppo degli ecosistemi. Bisogna considerare che l’intensit`a di radiazione UV che arriva al suolo `e fortemente variabile, e non solo in dipendenza dalla concentrazione di ozono: fattori importanti sono l’inclinazione dei raggi solari (quindi, latitudine, ora del giorno e stagione), la copertura nuvolosa e l’altitudine (perch´e anche nella 76 troposfera la radiazione UV `e in parte assorbita e diffusa). Inoltre, la dose di UV che una persona riceve dipende da altri fattori ancora: in primo luogo il tempo passato all’aperto e il vestiario; analoghe considerazioni valgono per lo stile di vita degli animali, molto meno per le piante. La sensibilit`a ai danni causati dalla radiazione varia infine a seconda delle specie e, tra gli uomini, dipende dal colore della pelle, in quanto la melanina agisce come fattore protettivo. La stima dei danni che potrebbe provocare un assottigliamento dello strato di ozono ha quindi un carattere unicamente statistico e non ha valore per il singolo individuo. La relazione tra diminuzione percentuale dell’ozono stratosferico ed aumento della radiazione UV al suolo non `e affatto lineare. L’intensit`a I della luce UV che riesce ad attraversare la stratosfera `e legata allo spessore s dello strato di ozono, misurato in unit`a Dobson, attraverso la legge di Lambert-Beer: I(λ) = I0 (λ) e−ε(λ)l (3.26) Qui I0 `e l’intensit`a che arriva ai confini della stratosfera, ε `e il coefficiente di estinzione, dato in atm−1 cm−1 , e l `e il percorso della luce solare attraverso lo strato di ozono, immaginato ridotto a pressione e temperatura standard. Questo percorso, in cm, `e l = D/(1000cosθ), dove θ `e l’angolo che i raggi solari fanno con la verticale. Se viene a mancare una frazione F della concentrazione di ozono, lo spessore D si riduce a D ′ = D(1 − F ). Esprimiamo l’aumento conseguente nell’irraggiamento UV come rapporto tra la nuova intensit`a I ′ e la precedente, I: 10−ε(λ)D(1−F )/(1000cosθ) I ′ (λ) = = 10ε(λ)DF/(1000cosθ) −ε(λ)D/(1000cosθ) I(λ) 10 (3.27) Assumendo D = 300 unit`a Dobson e una riduzione del 5% nell’ozono stratosferico (F =0.05), possiamo calcolare l’aumento di intensit`a. Quando il Sole `e allo zenit (θ = 0), abbiamo un aumento del 13% per λ=300 nm (ε=3.6 atm−1 cm−1 ) e del 2% per λ=315 nm (ε=0.54). L’aumento `e ancora minore a lunghezze d’onda pi` u lunghe (UV-A), ma `e maggiore quando il Sole non si trova allo zenit. In base alle previsioni elaborate dagli scienziati dell’atmosfera, negli anni 1980 furono intavolate trattative internazionali per impedire un progressivo assottigliamento dello strato di ozono, riducendo la produzione delle sostanze che lo danneggiano. Una spinta decisiva alle trattative venne dalla scoperta del tutto imprevista del “buco nell’ozono” sull’Antartide (vedi oltre), pubblicata nel 1985. Nel 1987 venne concordato il protocollo di Montreal, che poneva limiti nella produzione dei CFC, e pi` u volte negli anni successivi questi limiti 77 furono rivisti al ribasso. La produzione della maggior parte dei CFC `e attualmente quasi nulla e le loro concentrazioni nella troposfera sono in calo dagli anni ’90; nella stratosfera, dato il ritardo con cui i gas si propagano verso l’alto, le concentrazioni hanno raggiunto il massimo approssimativamente nel 2000. Per diversi anni continuer`a il rilascio di CFC da parte di manufatti dismessi e non correttamente smaltiti (circuiti di raffreddamento di frigoriferi e condizionatori e pannelli isolanti). La diminuzione sar`a molto lenta, dati i lunghi tempi di residenza in atmosfera di queste sostanze. Per alcuni usi, i CFC sono stati sostituiti da idrocarburi non peralogenati (HFC e HCFC), cio`e contenenti almeno un atomo di idrogeno. Grazie all’ossidazione catalizzata da radicali OH (vedi sezione 4.6), gli HCFC hanno tempi di residenza molto pi` u brevi, nella maggior parte dei casi uno o pochi anni; perci`o, solo una piccola frazione delle emissioni totali raggiunge la stratosfera. L’annuncio dell’esistenza di un “buco nell’ozono” fu fatto nel 1985 da un gruppo di scienziati del British Survey che misurano da molti anni le concentrazioni totali sopra la base antartica della baia di Halley. I dati vengono solitamente riportati come medie mensili e mostrano, a partire dalla fine degli anni 1970, un forte calo durante i mesi di settembre e ottobre; dalla met`a degli anni 1980, i questi due mesi si oscilla intorno a 150 unit`a Dobson, circa la met`a di quanto `e considerato normale. Tra novembre e dicembre la concentrazione risale a valori normali (vedi figura 3.3). Dal 1978, dati molto pi` u dettagliati vengono raccolti per mezzo di strumenti basati su satelliti, che possono creare mappe della concentrazione di ozono su estese regioni. L’elaborazione della notevole massa di dati, per mezzo di un calcolatore, prevedeva di scartare le misure troppo lontane dalla media, come errori strumentali: cos`ı, i dati sul “buco” vennero scartati e l’onore della scoperta and`o a ricercatori che operavano con mezzi molto pi` u poveri. In seguito, i dati da satellite furono recuperati; essi confermarono in pieno quelli misurati da terra; le mappe mostrano che il “buco” `e approssimativamente circolare ed ha un’estensione circa pari a quella del continente antartico. Questi risultati pongono tre questioni. Perch´e questo assottigliamento dello strato di ozono `e tanto maggiore di quello previsto dai modelli e verificato nelle altre zone del globo? Perch´e si trova proprio sull’Antartide? Perch´e proprio nei due primi mesi della primavera antartica, quando torna la luce al di l`a del circolo polare? La chiave del problema sta nella meteorologia del tutto particolare della regione antartica. La stratosfera `e ovunque molto secca e perci`o generalmente priva di nubi; tuttavia, durante l’inverno (giugnoagosto) sull’Antartide si raggiungono temperature cos`ı basse (-80◦ C) che la scarsa umidit`a presente condensa a formare cristalli di ghiaccio, probabilmente 78 Figura 3.3: Concentrazione totale di ozono in unit`a Dobson, sopra la baia di Halley, Antartide. Medie mensili a settembre, ottobre e dicembre, a partire dal 1956. Fonte: British Antactic Survey (www.antarctica.ac.uk/met/jds/ozone/). settembre ottobre dicembre “spessore dello strato” di ozono (10−3 cm) 400 350 300 250 200 150 1960 1970 1980 1990 2000 2010 anno con l’aiuto di nuclei di condensazione costituiti da acido solforico (vedi sezione 4.1); insieme, condensa anche l’acido nitrico derivante dagli ossidi di azoto; questa inusuale composizione caratterizza le nubi stratosferiche polari (PSC, polar stratospheric clouds). Queste condizioni prevalgono all’interno di un vortice di aria fredda, generato dalla rotazione terrestre, con un debole flusso discendente che richiama aria dalle regioni circostanti, a grande altitudine; sostanzialmente per`o il vortice rimane isolato dal resto della stratosfera fino alla primavera inoltrata (novembre). 79 Quel che mancava nei modelli della chimica della stratosfera prima della scoperta del “buco” antartico `e un’adeguata considerazione delle reazioni in fase eterogenea, all’interfaccia tra aria e cristalli di ghiaccio/HNO3 . Durante l’inverno, sulla superficie dei cristalli, avvengono reazioni del tipo: ClONO2 + HCl → Cl2 + HNO3 (3.28) ClONO2 + H2 O → HOCl + HNO3 (3.29) e Queste reazioni contribuiscono ad abbassare la concentrazione di composti dell’azoto, prima nell’aria, perch´e HNO3 rimane in fase condensata, e poi nella stratosfera in generale, con la lenta deposizione delle particelle di ghiaccio. L’equilibrio si sposta quindi verso i prodotti Cl2 e HOCl, e quest’ultimo pu`o essere ancora convertito a Cl2 : HOCl + HCl → Cl2 + H2 O (3.30) Il cloro molecolare rimane in fase gassosa ed `e pi` u facilmente fotolizzato rispetto a ClONO2 , in quanto assorbe molto pi` u intensamente per λ > 300 nm. All’inizio della primavera, quando la regione antartica `e di nuovo illuminata dalla luce solare, sia pure con debole intensit`a, quasi tutto il cloro presente viene convertito alle forme attive (Cl atomico e ClO) e i livelli di ozono precipitano. Dati i bassi livelli di ossigeno atomico e composti dell’azoto, acquista importanza il ciclo di reazioni (3.24-3.25) e altri simili coinvolgenti il bromo. Una prova convincente del meccanismo descritto viene dalla misura delle concentrazioni di varie specie in funzione della latitudine (vedi figura 3.4), a fine settembre. Le concentrazioni di H2 O, NOX (somma di NO e NO2 ) e ozono calano tutte drasticamente entro pochi gradi intorno a 65◦ S, mentre quella di ClO sale in coincidenza. A novembre il vortice stabile sull’Antartide comincia a dissolversi e le concentrazioni delle varie specie nella stratosfera tornano alla normalit`a. Per breve tempo, la diluizione dell’aria povera di ozono con quella circostante porta ad una certa diminuzione della concentrazione di O3 a latitudini inferiori. Fenomeni simili, ma meno accentuati, sono stati riscontrati anche sull’Artide negli ultimi anni; qui le temperature sono un po’ pi` u alte e la formazione di PSC `e meno frequente, a causa di differenze geografiche (presenza del mare invece che di un continente, correnti calde oceaniche, diverso regime dei venti). Le massime diminuzioni dello strato di ozono hanno toccato il 20% circa; significativamente, sono state riscontrate in coincidenza con inverni particolarmente freddi nella stratosfera artica; questa tendenza potrebbe essere 80 Figura 3.4: Concentrazioni di H2 O (vapore), NOX (= NO + NO2 ), O3 e ClO in funzione della latitudine, nella stratosfera antartica alla fine di settembre. Notare le diverse scale dovuta all’aumento dei gas-serra, che trattengono energia nella troposfera e raffreddano invece la stratosfera. In seguito alla scoperta dell’importanza della chimica in fase eterogenea per l’ozono stratosferico, `e stato accertato che anche alle latitudini medio-basse la presenza di aerosol pu`o indurre piccole diminuzioni della concentrazione di O3 , in sinergia con l’effetto catalitico del cloro. L’aerosol nella stratosfera, in assenza di PSC, `e formato da acido solforico, per lo pi` u di origine vulcanica; infatti, fluttuazioni negative nello spessore dello strato di ozono sono state osservate negli anni successivi a due recenti eruzioni esplosive (El Chichon, 1982; Pinatubo, 1991). 81
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