giornalino sezionale2

Arbitro, ma co dit ?
Volete darci una mano a far crescere questa iniziativa? Mandateci i vostri commenti e le vostre proposte all’indirizzo mail
[email protected]. Non sappiamo quanti numeri faremo, non è importante. Sappiamo che ci saremo. A presto.
La parola al Presidente
La porta della sezione si chiude al termine di uno dei suoi
tanti pomeriggi trascorsi dietro quella scrivania. Lo sguardo è quello di una persona pensierosa, la strada verso la
rinascita a cui ha puntato è ancora lunga e lastricata di
cose da fare, scadenze da onorare. “Accompagnami al
campo che vediamo cosa fanno i ragazzi”. L’intervista inizia così e, nel tono, si percepisce la grande carica che ha
dedicato alla passione della sua vita. Non lo dirà mai apertamente, forse perché è notoriamente uno schivo, ma quei
ragazzi che corrono verso il loro futuro sull’erba di Moletolo li considera un po’ come suoi figli. “A volte devi fare un
po’ e un po’ tra padre e presidente. Dopo pensi che i genitori li hanno già, basta e avanza. E poi, un “capo” troppo
affezionato rischia di diventar buono all’eccesso e questo
non paga. Non dobbiamo dimenticare di essere anche
educatori, abbiamo tra noi ragazzi in piena crescita e abituarsi al rispetto di alcune regole non può che far loro bene”. Il fischietto di Alessia, riccioluto quanto inflessibile
preparatore atletico, scandisce i tempi delle dichiarazioni.
E anche qui emerge il Boschi ben poco incline alla filosofia, pragmatico. Da dove ripartire quest’anno? “Da quello
che abbiamo iniziato qualche mese fa e da quel poco che
fatto per trasmettere una precisa idea di arbitraggio e associazionismo. Arbitrare non dura novanta minuti, è onorare gli orari e le consegne anche post-gara, è allenarsi insieme agli altri, è scoprire di far parte di un gruppo per
essere più forti. Su questo c’è da lavorare molto. Sarò soddisfatto quando la sezione di Parma si riprenderà il ruolo
che le compete, che le assegna una tradizione costruita
pazientemente da tanti grandi personalità”. Una bella responsabilità, non ti pare? “Essere qui e fare dei compromessi al ribasso non mi interessa. Visto che dobbiamo
rimboccarci le maniche per inseguire qualcosa, facciamolo per il meglio, senza avere rimorsi. Lo so che il compito
non è facile, non sono così ingenuo da pensare ad una
strada tappezzata ai lati da petali di rose, ma non accetto
l’idea di puntare a 80 se il massimo è 100”. Sul reclutamento cosa possiamo dire? Perché oggi un ragazzo dovrebbe
scegliere di fare l’arbitro? “Ai miei tempi si diceva che è
un modo diverso di fare sport. E’ una definizione che non
mi piace, come se ci conferisse uno status speciale, quasi
peggiorativo. Arbitrare è fare sport, è crescere, non rappresenta solo un essere preparati atleticamente e tecnicamente ma anche mentalmente. Non è tanto concedere un
calcio di rigore o annullare una rete (cose, tra l’altro, che
richiedono personalità), ma anche relazionarsi con gli altri
e, aspetto fondamentale per me, mostrare sempre rispetto
ed educazione verso tutti”. Per un presidente con associati
a disposizione di organi tecnici nazionali è meglio avere
con Alberto Boschi
Stagione sportiva 2014/15
Numero 1
Data Settembre 2014
L’AGENDA
1°venerdì del mese:
2°venerdì del mese:
3°venerdì del mese:
4°venerdì del mese:
O.T.R. e O.T.N.
Alberto Boschi, un presidente al
lavoro.
un numero di dismessi uguale al
numero di promossi oppure nessuno dei due? “Conta la base. Se
hai del materiale da modellare e
disposto a farsi modellare sei
sulla buona strada perché, male
che vada, ti sei garantito il futuro.
Poi, per carità, le individualità
che si distinguono sono sempre
gradite e vanno ben coltivate. Ma
sono la ciliegina sulla torta, come
il numero 10 che dà ulteriore pregio ad una squadra di calcio la
quale, però, non si può permettere di prescindere dal gruppo per
ottenere i risultati che vuole”.
Come si fa ad essere credibili in
campo? “Direi sommando tre
componenti: essere vicino
all’azione, decidere secondo
quello che prevedono le regole,
senza fare alcuno sconto, e agire
nel rispetto verso gli altri per
poter essere rispettati. Avrai capito che l’etica non può essere
lasciata nel borsone, o peggio
ancora, a casa”. Che voto si darebbe Boschi da marzo a oggi?
“Me lo devo dare da solo? Forse è
meglio lasciare giudicare gli altri.
Comunque, direi la sufficienza….spero….”.Glacialmente diplomatico, una garanzia.
R.T.O.
R.T.O.
R.T.O.
R.T.O.
plenaria
arbitri O.T.S.
osservatori
arbitri e A.A.
21 ottobre: Inizio corso arbitri 2014. Per i
ragazzi tra 15 e 25 anni: affrettatevi a
iscrivervi. Info in segreteria.
Sommario:
Bandierine a confronto
Filippo Meli
2
Bandierine a confronto
Angelo Cacciamani
3
Allenati a soffrire
Vi ricordate come ci vestivamo?
4
Pianeta 5: Dante and his friends
Quattro domande a…
5
Nella stanza dei bottoni.
Ripassi...Amo il regolamento
6
Regolatevi—Testate la vostra
conoscenza dei testi Sacri
7
Chiediamolo al Giudice
Fischi(ett)ando qua e là: pensieri
di un (in)selezionabile
8
Terzo tempo: scriviamo un buon
rapporto di gara
9
Regolamento story: quando
l’I.F.A.B. decise
9
Controcopertina
10
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Arbitro, ma co dit ?
Bandierine a confronto: il presente (e futuro…)
FILIPPO MELI
E’ un semplice ragazzo di serie A, Filippo. Potrebbe andarsene
in giro a sbandierare (il termine ci pare il più esatto) le sue 100
e più gare tra l’elite del calcio italiano, alzare la testa e salutare a
malapena i più giovani, lui che da poco ha anche varcato, per la
prima volta, i confini nazionali accompagnando l’arbitro Valeri
in Ungheria per la direzione di un preliminare di Europa League. Eppure Meli non lo fa: chi lo conosce bene dice che lui è
molto amico e ben poco personaggio. “Come, vuoi intervistare
me? E perché proprio io, che cosa ho fatto di così speciale per
meritare tanta attenzione?” – è l’attacco di Pippo alla richiesta di
una breve testimonianza sulla sua esperienza passata e presente.
Una nuova stagione è appena iniziata: con quali prospettive?
“Bella domanda, nessuno conosce il futuro e neanche io quindi.
Ovviamente la speranza è sempre quella di fare una bella figura,
sia per me stesso e poi anche per la sezione che mi onoro di
rappresentare sui campi. Credo che la cosa migliore sia quella
di guardare partita dopo partita, cogliere al meglio le occasioni
che si presenteranno ed evitare le piccole trappole che ogni
gara, sottoforma di episodi, può tenderti”.
stente, sia pure in un ruolo diverso, sono arrivate tante soddisfazioni e calcare campi ricchi di storia davanti a migliaia di tifosi
rappresenta per me motivo di grande orgoglio. A questo proposito, voglio dire grazie a tutti, a partire dalla mia famiglia senza
dimenticare tutti gli arbitri, dal più giovane al più anziano: se
dietro non hai valori e persone che possono darti una mano a
rialzarti quando sei a terra è finita. Non vai da nessuna parte.
Questi momenti sono anche per tutti loro”.
Bandierine elettroniche, auricolari, arbitri addizionali: negli ultimi anni il vostro ruolo ha subito una innegabile evoluzione.
“Tutto si propone di abbassare la possibilità di errore. Gli addizionali permettono di avere un controllo più capillare del campo, non aiutano solo nei casi di gol non gol come potrebbe ba-
A proposito di episodi: come è possibile giudicare situazioni
al limite del centimetro, per giunta in una frazione di secondo?
“Eh… Cosa credi, anche noi ci prepariamo bene alle gare. Non
si deve lasciare nulla al caso a partire dal lato atletico: se non sei
perfettamente allineato nelle situazioni che contano la percentuale di errore sale vertiginosamente. E gli sbagli ai massimi livelli, per quanto siano ovviamente possibili, sono spesso amplificati dalla cassa di risonanza mediatica. Poi voglio sottolineare
l’aspetto della concentrazione: non puoi staccare la spina un
attimo altrimenti arriva il lancio lungo, l’incrocio attaccantedifensore che ti punisce. E il tifoso tende a ricordare l’errore o
l’episodio dubbio piuttosto che tante chiamate buone e, spesso,
non facili. Fa parte del gioco”.
Quanto conta conoscere i protagonisti del gioco?
“E’ semplicemente fondamentale. Ci sono, oggi, tutti gli strumenti per essere informati su come le squadre giocano e affrontano determinate situazioni nel corso della gara. Ad esempio, se
ti trovi di fronte il Cagliari di Zeman devi già sapere come muoverti, prevedere mediamente le situazioni di gioco. Il difficile è
che, di anno in anno o anche nella stessa stagione sportiva, il
calcio è dinamico, i calciatori possono venire impiegati in modo
diverso, gli allenatori cambiano e stravolgono il gioco quindi
devi ricominciare daccapo. E studiare di nuovo, informarti, capire”.
Guardiamo indietro, all’album dei ricordi: il momento più
bello da arbitro e da assistente.
“Mi servirebbe un po’ di tempo per pensarci (sorride, nda). Da
arbitro direi la prima gara, quella di ragazzini alti così: era il
1992/93, avevo una quindicina di anni e tanta emozione nel trovarmi in mezzo al campo a decidere per gli altri. Una cosa che
solo a pensarla, a quell’età, ti fa crescere velocemente. Da assi-
Pippo Meli: più di una speranza per la sezione A.I.A. di Parma
nalmente sembrare. Gli auricolari permettono al sestetto di avere un contatto costante, di conoscere sempre il punto di vista di
tutti e quindi portano a capire meglio una decisione presa. Purtroppo, tutte queste cose non sono note alla maggior parte dei
tifosi per i quali le decisioni giuste, anche se difficili, sono solo la
norma e nulla di più”
Uno sguardo all’orizzonte di Meli: pronto per il prossimo
salto?
“Quale salto? Non mi pare abbia intenzione di darmi all’atletica
leggera! Scherzi a parte, non voglio pormi né precludermi nulla
come obiettivo. Ogni persona nel suo campo cerca di dare il
meglio e, per non esaltarsi e patire delusioni, è giusto vivere
con entusiasmo ogni momento di questa avventura. Io sono convinto che in questo modo le soddisfazioni non potranno non venire. Non sei d’accordo anche tu?”
Yes, of course. E chissà che non sia un buon auspicio.
Stagione sportiva 2014/15
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E uno aguardo alla tradizione ducale
...
ANGELO CACCIAMANI
Ha i capelli bianchi come tutti quelli che hanno da raccontare.
Ha conservato i baffi che portava anche nelle foto dei suoi anni
alla CAN, una ventina di anni fa. Angelo Cacciamani potrebbe
stare a divertirti con i suoi racconti per ore, in fondo ha attraversato trenta anni di campo e manca ormai poco per festeggiare le
nozze d’oro con l’associazione. Però, ed è molto bello, ha un
entusiasmo e un attaccamento sconosciuto a molti ragazzi:
nell’ultimo torneo di calcetto sezionale la sua cadenza dialettale
spiccava, di tanto in tanto, e accompagnava decisioni sancite da
quel mitico fischietto Balilla che deve averne visto, di calcio.
Cosa spinge una persona a rimanere così tanto all’interno di
un’associazione e a non stancarsi?
“La passione, non riesco a trovare un’altra motivazione valida.
Una passione, nel mio caso, nata quasi per caso, visto che io non
seguivo molto il calcio. Se è scoccata questa scintilla lo devo al
mio grande Maestro Ferruccio Bellè che tanta parte ha avuto
nella mia crescita non solo arbitrale, ma soprattutto umana. Poi,
al di là delle esperienze nazionali, posso dire che gli anni in
provincia sono stati comunque bellissimi, all’insegna di quel
calcio genuino che oggi è stato messo da parte nel nome di un
interesse spesso eccessivo e ingiustificato”
Senti senti….stai a vedere che Cacciamani ricorda maggior
più piacere la sua esperienza sui campetti di periferia che
non quella negli stadi d’elite.
“Perche? Ti sembra strano? Allora te lo confermo: anche negli
anni di permanenza alla CAN, se ero libero da impegni con la
bandierina prendevo il borsone e andavo ad arbitrare in terza
categoria. Mi divertivo moltissimo, mi piaceva respirare l’aria di
un calcio di casa, in cui se parlavi in dialetto comunque ti capivano tutti. E magari ci si faceva quattro risate insieme. Poi, io ero
molto conosciuto e le persone si fidavano della regolarità che
garantivo. E pensare che dirigere in terza categoria, regolamento associativo alla mano, non era permesso, anche se poi erano
tolleranti in questo senso. Eh, ne avrei da raccontare…”
Siamo qua apposta…
“Ricordo come se fosse ora un derby Bardi-Varsi, e gli ospiti
vincevano 1-0. Ad un certo punto, dopo un susseguirsi di interruzioni dovuti a infortuni, un calciatore non riusciva a rialzarsi e
il gioco era fermo da più di 3 minuti. Bene, ne avevo abbastanza:
sono andato, l’ho preso tra le braccia e, fatti 5 o 6 metri, l’ho
mollato subito dopo la linea laterale, fuori dal campo. Peccato
che non mi sia ricordato di tenerlo a mezzo metro da terra: quel
poveraccio si è schiantato a peso morto e, da qualche parte, mi
starà ancora maledicendo… Oppure, senti questa: a Vicofertile
gara infuocata, mando via tutta la panchina locale, ancora
c’erano i semplici scanni non coperti. «Voi tutti fuori, dissi, e
portatevi pure la panchina che è pericolosa». Il risultato fu che
tutti i calciatori, nel lasciare il terreno di gioco, trasportarono
anche la panca e la utilizzarono per sedersi al di là della rete”.
L’arbitro che ti ha impressionato di più nella tua esperienza
da assistente.
“E’ difficile scegliere. Dico il parmigiano di nascita e genovese
di adozione, Graziano Cesari. Il bello è che lui nell’intervallo si
concentrava fumando. Accendeva tre o quattro sigarette, ovviamente non le fumava tutte ma giusto qualche tiro. Diceva che
teneva alta la sua attenzione. Però nel campo era davvero bravo. Poi ricordo un aneddoto simpatico con Rodomonti: una volta
ci disse che il gol-non gol era di sua esclusiva competenza e che
noi dovevamo solo seguirlo nella decisione. «E no Rodomonti gli dissi - se per me la palla è dentro io vado a centrocampo e
se tu non vuoi dare la rete sono cavoli tuoi». Eravamo a San Benedetto del Tronto, tiro da lontano, incrocio dei pali e palla dentro-fuori. Per me è oltre la linea e via, corro veloce verso il centrocampo. Lui, secondo me di malavoglia, si è accodato e ha
dato il gol. I fotografi vicino la linea alla fine mi hanno confermato che era gol. E poi mi hanno mandato a casa il ritaglio di giornale in cui si diceva che ero stato bravo a dare il punto. Ancora
lontani i tempi della moviola…”
Avrai conosciuto nella tua lunga esperienza un’AIA diversa,
con qualcosa in più e qualcosa in meno rispetto a quella di
oggi.
“I tempi erano molto differenti e non si possono fare paragoni.
Però ricordo con grande piacere gli anni di Campanati, un vero
signore, e quelli del Conte Giulini. Eravamo una grande sezione
all’epoca e, per gli arbitri del Nord, la sosta a Parma di ritorno
dalle rispettive gare era praticamente obbligata. Si cenava con
tagliatelle e funghi o polenta e funghi a seconda della stagione e
si tornava al lunedì mattina. Tutti facevano così, da Concetto Lo
Bello a Luciano Giunti e altri. Si aveva la percezione di essere
una bella famiglia. Oggi siamo più professionali, siamo più preparati, siamo più atleti ma non c’è nulla da fare: chi si appassiona al calcio deve aver ben presente che il gioco è fatto di errori
e quelli dell’arbitro devono essere messi in conto,. Altrimenti
affidiamo tutto ad un robot: ma sarebbe ancora un gioco?”
Ti vedresti oggi con bandierina elettronica e auricolari?
“Io penso che mi ci troverei. D’altra parte, per quanto questi
strumenti siano utili, la regola d’oro rimane quella dell’amico
Dino Sozzi secondo cui la bandierina è come il bisturi di un chirurgo: va usata solo quando è necessario. Ricordiamoci che si
chiamano assistenti perché aiutano l’arbitro e non perché lo
sostituiscono. Quindi, elettronica o no, il consiglio è ricordarsi
di essere utili, non onnipresenti. Se l’arbitro deve apparire poco, l’assistente ancora di meno. Lo so, non è facile soprattutto
perché, specie sul fuorigioco, la regola è stata complicata in
nome di una maggiore spettacolarizzazione del gioco. Forse, mi
permetto di dire, era meglio puntare alla linearità e alla semplicità. Poi, alcune volte si fan passare come novità cose che sono
già note da tempo e che si sono sempre fatte”.
A proposito di assistenti, in sezione c’è Pippo Meli…
“Gran bravo ragazzo e assistente validissimo. E’ riuscito in pochissimo tempo ad immedesimarsi e ad impadronirsi di un ruolo non suo. Lo sanno tutti che ha fatto l’arbitro fino alla CAN Pro
e poi ha preso la bandierina: ha fatto una grande annata e ha
cominciato bene questo campionato.
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Arbitro, ma co dit ?
Allenati a soffrire…
A vederlo, col nuovo look, sembra possa
essere uno di quei poeti romantici usciti
direttamente dallo “Sturm und Drang” di
metà Settecento o, meno nobilmente, un
individuo ricercato dalle polizie di mezzo
mondo per chissà quali intenti eversivi.
Keep calm, nulla di tutto questo. Il buon
Beppe Bisquadro è “solo” uno dei professori atletici dei direttori di gara parmigiani. Fino a qualche mese fa apprezzato
assistente alla CAN D, arrivato a mezzo
centimetro dalla categoria professionistica, ora mette a disposizione (come, del
resto, ha sempre fatto) la sua esperienza
e la sua volontà allo scopo di preparare al
meglio arbitri-atleti. Insieme a lui, la preparatrice Alessia Castagnetti, una ragazza
tutto pepe per nulla impressionata
dall’avere a che fare con alcuni pelandroni dell’altro sesso, spesso recalcitranti e
refrattari alla fatica.
Allora Beppe, è davvero così importante il lato atletico nel mix di doti che
deve possedere un arbitro?
“Essere allenati significa avere la possibilità di seguire l’azione da vicino e quindi
aumenta la possibilità di vedere bene
quel che serve vedere. Non solo: se hai
una certa abitudine allo sforzo ne guadagni in lucidità e le tue decisioni sono più
credibili. Esempio: se si presentano due
o tre capovolgimenti di fronte consecutivi
e non sono allenato, rischio, bene che mi
vada, di decidere da trenta o quaranta
metri e con i riflessi appannati. In altri
termini, un disastro”.
Eppure qualche anno fa si vedevano
arbitri non proprio figurini, per usare
un eufemismo.
“Può essere, ma oggi non te lo puoi più
permettere. Una volta anche i calciatori,
da un punto di vista atletico, erano più
sprovveduti, lasciavano ampio spazio
all’improvvisazione. Hai visto oggi anche
nelle categorie minori? Arrivano tutti in
netto anticipo e fanno il loro riscaldamento, si avvicinano nel migliore dei modi al
fischio d’inizio. In tale contesto, non è
possibile fare a “tanto al chilo” perché i
difetti vengono fuori e originano delle
lamentele. Dalla preparazione settimanale, al riscaldamento pre-gara (almeno 15’
fateli!) tutti i tasselli devono essere al loro
posto”
Cosa si può/si deve fare?
“Allenarsi, allenarsi, allenarsi. Su tutto.
All’arbitro serve tanto la resistenza quanto la velocità perché deve fronteggiare
uno sforzo comunque prolungato e non
soggetto a cambiamenti di velocità che
siano regolari. Il momento in cui devi
scattare e fare i 50 o i 70 metri al massimo
non è definibile a priori, sai solo che c’è.
Insomma, lo svolgimento della gara e la
reazione dell’arbitro sono paragonabili
ad un flipper dove la pallina è impazzita e
tu devi fare di tutto per tenerla dentro il
più possibile. E poi...”
E poi?
“Frequentare la sezione per allenarsi,
consentimelo, è uno splendido modo per
socializzare, per fare squadra, per confrontarsi e, perché no, mettersi sanamen-
con Beppe Bisquadro
te in competizione con gli altri. Di sicuro,
rispetto agli anni scorsi, il fatto che si
venga guidati da un preparatore (Alessia,
nda) è una ricchezza che dobbiamo sfruttare nel migliore dei modi. Devo dire
che, tirando le somme, sono soddisfatto
sia della partecipazione dei colleghi sia
dello spirito con cui sono state affrontate
le sedute. Serie e professionali al punto
giusto, senza trascurare una risata di tanto
in tanto”.
Un consiglio sui si e i no a tavola.
“L’alimentazione è senza dubbio molto
importante perché può spingerti o, viceversa, farti muovere con il freno a mano
tirato. Se mangio una pizza o una bistecca
prima di una gara magari il palato è soddisfatto ma rischio di dover noleggiare
uno scooter per seguire da vicino i novanta minuti. Non bisogna esagerare e
mangiare le cose giuste: due o tre ore
prima del fischio d’inizio pasta, scaglie di
grana, niente intingoli e goloserie. Magari, dopo una bella prestazione, c’è sicuramente lo spazio per qualche concessione.
D’altra parte, siamo uomini anche noi
no?”
A proposito di menù: quello dei test
atletici standard cosa prevede?
“Beh, lo yo-yo (la navetta che stronca i
poco allenati senza pietà, nda) e i 40 m,
ciascuno con i tempi di riferimento a seconda dell’organo tecnico di appartenenza e della possibilità di selezione”.
Vengano, siori e siore, vengano. E buon
appetito….
Vi ricordate come ci vestivamo?
Raccontò, un ex arbitro di serie A, di aver scosso la testa sconsolato di fronte a quella visione: le divise della stagione 2002/2003
proprio non gli andavano giù. Appariscenti, forse troppo per chi
pochi anni prima era abituato a vestirsi rigorosamente di nero.
Quando mettere una divisa rossa si verificava giusto se giocava
la Scozia con il suo blu scuro che creava, con la giacchetta del
direttore di gara, inevitabile imbarazzo cromatico. Per il resto ci
si arrangiava come capitava: nella serie C2 edizione 1994/95 ,
mica nella 3°categoria, in Catanzaro-Benevento gli ospiti sanniti
si presentarono con la maglia nera e l’arbitro, Pellegatta di Collegno, fu costretto ad indossare una pettorina da raccattapalle
per distinguersi. Non c’era il problema della scarsa visibilità
nelle divise del 2002/2003 tanto che gli arbitri passarono più
come gli “evidenziatori” che non come ufficiali di gara. Arancio
(colore che venne distribuito alle sezioni versione manica corta), verde fluo e nero grigio furono le tinte scelte con i calzoncini
neri e il risvolto delle tasche dello stesso colore dominante della
blusa. I calzettoni, anche loro si presentavano in tre versioni.
Dopo quella stagione il verde scomparve dai tavoli dei sarti
arbitrali e l’anno dopo le divise vennero completamente rinnovate con giallo fluo e addirittura bianco a far compagnia al tradizionale nero. Gli arbitri, così, divennero improvvisamente gelatai e infermieri e ricordo ancora perfettamente quella gara di
seconda categoria verso la fine di Maggio quando un attempato
signore calabrese, vedendomi tutto di bianco vestito mi ammonì: “Arbitro, le prime comunioni sono state ieri!”Ma questa, in
fondo, è un’altra storia.
Divise saltate fuori da un vecchio borsone: chi le ricordava?
(Foto A.Blasi)
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Stagione sportiva 2014/15
Pianeta 5: Dante and his friends
Prendi una sera del 1999, davanti
all’allora sede di via Saffi: da una parte
Romano Martini e Angelo Copercini,
dall’altra Dante Zamboni. Così, quasi tra il
serio e il faceto, l’invito: “Dante, perché
non ti occupi tu del calcetto in sezione?
Sai, abbiamo bisogno di una persona che
faccia settore e tu ci sembri quello giusto”. La risposta, rivissuta 15 anni dopo,
davanti ad un registratore che non ha il
pregio di poter trasmettere lo sguardo e
l’emozione di chi, all’improvviso, rivive
una decisione che ha segnato inevitabilmente la sua vita associativa. “Devo dire
che ormai nel calcio a 11 non avevo molto
da dare, era un campo che non sentivo
più mio come una volta. Allora lì sei ad un
bivio: o vivacchi nella permanenza sezionale o cerchi nuovi stimoli. Ecco, direi
che il calcino, come lo chiamavano a quei
tempi, era una sfida che mi affascinava.
Rappresentava il nuovo ancora da esplorare. Si trattava, in altri termini, di ricominciare daccapo o quasi perché, a dispetto dei nomi simili, non era solo passare da un sostantivo ad un diminutivo, ma
bisognava cambiare regole, mentalizzarsi
ad un nuovo sport dove non ci sono pause. Nel calcio a 5 i capovolgimenti di fronte sono la norma e non l’eccezione come
nel calcio in cui, spesso, il gioco è più
manovrato”. A distanza di tanti anni, soddisfatto, deluso, pentito, entusiasta….”Non c’è dubbio, se mi ricapitasse
altre mille volte, rifarei sempre la stessa
scelta. Dopo un breve periodo di un anno
e mezzo come osservatore in regione
(premiato come migliore da Rosetti, nda)
sono passato alle categorie nazionali e lì
sono rimasto per otto anni, il massimo
consentito dalle norme. Ho fatto tutto,
dalla B alla A1 e, devo dirti, mi sono divertito molto. Ho visto crescere tanti giovani e girato mezza Italia, conosciuto persone eccezionali e osservato da vicino
come il calcino ha saputo ritagliarsi uno
spazio proprio tanto che oggi non è per
niente –ino”. Situazione arbitrale per il
Futsal in Italia e, in particolare, in Emilia
Romagna. “Direi che parliamo di una
scuola, quella italiana, che è invidiata da
molti nel resto dell’Europa e non solo.
Tutto ciò perché i dirigenti sono stati bravi, si sono formati direttamente sul campo: penso ai Lastrucci, ai Cumbo, gente
dal curriculum impressionante, che ha
diretto a livello internazionale gare di
ogni sorta. In Emilia Romagna le cose,
ovviamente in scala ridotta, non sono molto diverse e direi che potremmo definirla
come un bacino alimentato con acqua
buona. Più di qualcuno, come Stampacchia e Arnò, ha fatto e bene la sua strada
e adesso aspettiamo di vedere crescere
dei giovani che, se manterranno le promesse, regaleranno belle soddisfazioni a
noi dirigenti”. Perché un arbitro di calcio
a 11 dovrebbe fare la scelta di passare
nel futsal? “Certamente per aver un’altra
possibilità di ambire a quei livelli nazionali che magari non è riuscito a centrare
nel calcio. E poi, l’impegno, soprattutto
quello fisico, è certamente minore in
quanto le dimensioni del campo di calcio
a 5 sono circa un terzo rispetto a quelle
tradizionali. Per carità, non ci si può permettere di rimanere fermi, anzi, però si
riesce a stare più facilmente nei limiti dei
test. Mi rivolgo anche a tutti i delusi che
speravano nell’olimpo dei grandi: non
appiattitevi su voi stessi, provate una nuova strada, vedrete che non vi pentirete di
aver scelto il calcio a 5, soprattutto scoprirete che avete molto da dare. Vuoi
sapere una cosa? Gli arbitri che, magari,
arrivano da un mancato passaggio alle
categorie nazionali da noi riescono bene,
hanno un’esperienza e un occhio che li
rende, forse, anche avvantaggiati purchè
sviluppino determinate qualità”. Ovvero… “Certamente una preparazione specifica, basata su una resistenza allo scatto
per via delle caratteristiche del gioco di
cui si parlava prima. Poi, la conoscenza
del regolamento: non ci si può illudere di
essere arbitri di calcio e, conseguentemente, di saper dirigere nel futsal. Ci
sono dei punti di contatto ma anche delle
significative differenze. Il lato motivazionale è importante poichè non si tratta di
venire ad attendere la pensione nel calcio
a 5: o lo vuoi fare seriamente o lascia perdere. Molto dipende anche dal motivatore e da quanto l’interessato vuole condividere uno spirito di gruppo che, nella categoria, è molto marcato”. Un nome che ti
è rimasto impresso nei tuoi anni di permanenza al nazionale. “Non ci sono dubbi: Malfer. Nei primi tempi era deluso,
quasi svogliato. Ma quando lo vidi in campo capii che questo ragazzo poteva fare
grandi cose se solo avesse ritrovato gli
stimoli giusti dentro di sé. Tempo tre anni
ed è diventato internazionale, un traguardo che nel calcio a 11 non avrebbe mai
raggiunto. E meno male che all’inizio era
deluso…”. Situazione a Parma: il primo
problema da affrontare e risolvere? “Il
reclutamento, senz’altro. Abbiamo bisogno di arbitri, di ragazzi che si vogliano
mettere in discussione, che desiderino
un’altra opportunità. Sappiamo di essere
con Dante Zamboni
uno sport con meno visibilità del calcio
ma non appiccicateci l’etichetta di parente povero. Chi viene da noi rimane
nell’associazione e sceglie semplicemente un’altra strada: qualcuno a Parma lo ha
già fatto e con ottimi risultati. Sai che
abbiamo quattro dei nostri ragazzi al
nazionale? Orzi, Gandolfi, Mavaro e Mezzadri portano in giro il nome della nostra
sezione per tutta Italia. Sarebbe davvero
una prova di puro autolesionismo non
sfruttare la loro esperienza per crearci
un substrato da cui attingere in futuro.
Qualche cosa di buono si vede
all’orizzonte ma bisogna lavorarci bene
perché il seme dia il suo frutto”. E, quindi, affinchè il calcino continui a crescere.
“Se lo chiami di nuovo così non mi faccio
più intervistare da te”. Vero, ero rimasto
a 15 anni fa. Troppi, per chi vuole continuare a correre.
4 DOMANDE A….
STEFANO BELFIORE
Anni: 24
Arbitro dal: 2005
1) La città o il borgo più bello che hai
visitato quest’anno alla C.A.I...
2) Il posto dove hai mangiato meglio...
3) Una data e uno stadio da ricordare…
4) Se non fossi un arbitro , in campo saresti….
1) Gaeta, senza dubbio. Parte vecchia
sul mare spettacolare e città comunque ricca di cose da visitare. Se passi
da quelle parti fermati.
2) Eh, tu fai domande troppo difficili.
Aspetta un attimo…Ci sono: Grottammare, nelle Marche. Ascolta: antipasto misto, risotto ai frutti di mare, grigliata di pesce, dolce e caffè. 27 Euro.
Oh, che hai capito? Mica prima della
gara eh…
3) Vicino Verona, gara tirata, piena di
episodi. Un rosso, un rigore, un allontanamento, ma tutto ok. Nettamente
promosso.
4) Ma che fai, le studi? Boh, visto che
mi piace correre direi un’ala. Come
Abagnale? No, no, lui è più bravo. Io
non ho piedi ma ferri da stiro...
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Arbitro, ma co dit ?
Nella stanza dei bottoni,il percorso di una designazione
da Sinfonia4you al pronto AIA viaggio dietro le quinte
La Protezione Civile ha la sua sala operativa, l’aeroporto la torre di controllo, uno
studio tv la cabina di regia. Gente che
lavora, che in pochi vedono ma che manda avanti la baracca. Una sezione arbitri
ha la stanza dell’Organo Tecnico dove
non solo si decidono le designazioni ma
dove, purtroppo spesso, si coprono buchi
che si aprono qua e là a causa di indisponibilità improvvise. “E’ proprio così– dice
Benegiamo, uno dei tre moschettieri rinchiusi a doppia mandata tre giorni a settimana nella stanza dei bottoni. Spesso
siamo costretti a mettere un po’ da parte
il lato tecnico per far fronte a delle emergenze che ci impongono prima di tutto di
garantire la disputa delle gare che ci
sono affidate. Purtroppo molti ragazzi non
hanno un mezzo proprio con cui spostarsi
e quindi dobbiamo cercare pure gli incastri giusti con i mezzi pubblici”. Qualche
volta può capitare che il lavoro fatto venga, di fatto, cancellato o quasi da situazioni contingenti. “E’ il nostro spauracchio
che sfortunatamente non di rado si è materializzato. Con Alberto e gli altri ragioniamo molto su come distribuire le gare
della giornata, su quale arbitro può essere adatto per questa o quella partita, anche in funzione delle relazioni che ci
mandano gli osservatori. Un lavoro lungo
e difficile, fatto il Venerdì, ovvero più di
una settimana prima della giornata. Poi,
però, alcune defezioni condizionano il
quadro d’insieme e bisogna fare degli
spostamenti. La designazione viene, in
questo caso, declassata a semplice copertura della gara”. Che significa….”Significa solo mandare un arbitro
per permetterne la disputa senza altre
considerazioni tecniche che, invece, stanno alla base di una buona designazione.
Vorrei fare un appello a tutti i ragazzi: se
tutti diamo maggiore disponibilità ed
evitiamo rifiuti dell’ultimo momento, anche il nostro lavoro risulta essere più
equilibrato. E’ evidente che in situazione
di emergenza io Organo Tecnico non
posso preoccuparmi di capire quante
volte un arbitro ha già diretto una squadra, ma posso solo pensare di mandarlo
al campo. Devo fare anche io un ragionamento di emergenza”. Al di là di queste
considerazioni, il criterio che sovrintende
a una designazione è…”Privilegiare i
giovani per le gare di cartello. Boschi,
che è il primo Organo Tecnico, ha dato
direttive molto precise in merito: se dobbiamo mandare al Regionale dei ragazzi,
devono essere pronti a sostenere il peso
di gare più impegnative. La palestra, con
tutto il rispetto, non sono né gli Juniores
né gli Allievi, ma gare di terza e seconda
categoria, anche con importanza di classifica. Un rischio certamente calcolato nel
senso che non mandiamo nessuno allo
sbaraglio pur non dimenticando di voler
investire sulla linea verde”. Paolo Brignoli, l’Athos dei Moschettieri, è la voce del
Pronto AIA, una sorta di ultima spiaggia
da interpellare quando al campo l’arbitro
non è ancora arrivato. La leggenda narra
che, alcune volte, sia sul punto di impazzire per chiamare di qua e di là i ritardatari di turno. “No, no, guarda che non è
affatto una leggenda. Ci sono domeniche
si e domeniche no. In queste ultime c’è
da mettersi le mani nei capelli perché
mica è facile trovare un sostituto un’ora
prima della gara. E poi, benedetti ragazzi: volete lasciare acceso il telefono prima
della gara così possiamo contattarvi specie se ancora non siete arrivati a destinazione?”. Rischia di diventare, questo numero,
una sorta di 118 arbitrale…”Guarda, ci manca solo che mi chiedano informazioni sulle bollette o un consiglio su come far pace con la moglie o i
figli. Ma mi sto attrezzando pure per quello…”
Ripassi...Amo il Regolamento
L’inizio di stagione è tempo di test atletici e di quiz regolamentari, giusto per riscaldare i motori prima di partire per la nuova
stagione. Mentre, nel pomeriggio, arbitri ed assistenti sudavano
agli ordini dei preparatori atletici, la sera il professor Cerbero
Comastri (quando leggerà chissà se gradirà il titolo) allenava i
presenti a non cadere nei trabocchetti tesi dal Settore Tecnico
nei suoi quiz tecnici e associativi. Due serate dedicate al ripasso
del regolamento e alla simulazione dei test da effettuare il giorno del raduno. Un’occasione importante, anche perché Matteo è
stato bravo a creare un clima gioviale pur nel rispetto di una
materia, quella tecnico-associativa, meritevole di attenzione. Ti
accorgi che quello che sai o credi di sapere non è mai abbastanza: la condotta violenta non sempre si punisce on un calcio
di punizione diretto, l’arbitro non sceglie il pallone della gara se
non in caso di controversia, non si può segnare un’autorete su
calcio di punizione, sia diretto che indiretto. Tanti pezzi di un
mosaico apparentemente complicato che un arbitro deve saper
padroneggiare, per giunta in una frazione di secondo e senza
alcuna possibilità di tornare indietro sulle sue decisioni. Solo chi
va in campo capisce cosa vuol dire. Carta, penna e uno schermo
che scandisce le domande con il cronometro che scorre. Inesorabile. E’ vero o è falso, tu che dici? Qualcuno cerca conforto
nello sguardo del vicino (che ne sa meno di lui) ma Matteo lo
stronca subito. “Ehi tu, cosa credi, che nel campo puoi chiedere
consigli al calciatore o al dirigente?”. Parole sante. Sul terreno
di gioco si è soli a decidere per tutti. E’ impossibile non sbagliare, sia chiaro, ma errare per colpa di una mancata conoscenza
delle regole di cui l’arbitro deve essere garante non è scusabile. Su alcune domande sono nati piccoli dibattiti conditi da gustosi siparietti che hanno reso più piacevoli le serate. Un grazie
particolare a Matteo per il tempo speso e la competenza mostrata .
La sala durante una delle due serate dedicate al Regolamento
(Foto M.Comastri)
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Stagione sportiva 2014/15
REGOLATEVI….
Allenatela vostra conoscenza dei Testi Sacri
(in collaborazione con il settore tecnico)
Domanda 1
Domanda 4
Una Società non è presente all’ora fissata per la
gara. Cosa deve fare l’Arbitro?
Un calciatore ritarda volontariamente la battuta di
un calcio di punizione a scopo ostruzionistico. Deve essere punito e come?
A) Imprecare ad alta voce perché ha un appuntamento con una bella bionda 30 minuti dopo la fine della
gara e certamente farà tardi.
B) Chiamare il dirigente accompagnatore della Società presente, lasciargli il numero di telefono e chiedere di rintracciarlo al bar vicino dove segue la serie
A e controlla le sue scommesse
C) Telefonare al Pronto AIA o a Boschi urlando: “$!
*#x$!*#x”
Domanda 2
A) No, e lasciamolo stare poverello: sta facendo solo i
suoi interessi e quelli della sua squadra.
B) No, anzi l’arbitro deve obbligare il capitano della
squadra avversaria a portargli un bicchiere di the
caldo con pasticcini per allietare l’attesa
C) Si, disciplinarmente con l’ammonizione e tecnicamente con un calcio di punizione indiretto sulla linea
dell’area di porta, da posizione centrale, senza barriera e con il portiere legato ad un palo con una corda all’uopo reperita.
Decide l’arbitro con quale pallone iniziare la gara?
Domanda 5
A) Certo, altrimenti che ci sta a fare?
Una gara iniziata con luce naturale può continuare validamente con illuminazione artificiale?
B) Si, tranne che nelle categorie inferiori (dalla Promozione in giù): tanto con quei piedi che si ritrovano
non fa alcuna differenza.
C) No, solo in caso di controversia e purchè si chieda
al figlio del custode di prestare il proprio Super Santos.
Domanda 3
L’arbitro
deve
segnalare
nel
referto
l’ammonizione di un calciatore che a fine gara si
è scusato?
A) Si, ma solo se il calciatore si scusa subito con non
meno di venti flessioni.
B) Si, ma solo se al bar di vicino casa vostra cappuccino e brioches sono pagati per 30 giorni a partire da
quello successivo alla gara.
C) No, perché mai ad uno che ti ha fracassato gli zebedei o che ha attentato alle caviglie di un avversario
dovresti fare una cortesia?
A) Si, ma solo dopo che la società ospitante ha dimostrato, tramite atti scritti, di essere in regola con i pagamenti all’Ente gestore del servizio.
B) Si, e non solo con la luce elettrica. Sono accettate
anche file di candele o ceri votivi o similari lungo le
linee perimetrali purchè approvati dall’I.F.A.B.
C) No se non c’è l’espresso consenso del dirigente
della Società ospitante: la spesa imprevista, infatti,
potrebbe sballare i parametri di bilancio e l’arbitro
non ha il potere di imporre tale circostanza.
Domanda 6
Una gara può continuare senza assistenti di parte?
A) Certamente, anzi sarà proprio l’arbitro a toglierli
visto che sono palesemente la cosa più inutile del
globo calcistico
B) Si, ma solo in caso di pioggia o neve e se sostituiti
da spaventapasseri o omini tipo quelli dell’ANAS
buoni per ogni stagione, presenti da 20 anni (e chissà
per quanti ancora…) sulla Salerno-Reggio C.
C) No, perché la forma è di gran lunga più importante della sostanza. Sorry, this is the Italy.
SOLUZIONI: LASCIATE ALL’IRONIA E AL BUONSENSO DEL COMPILATORE.
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Arbitro, ma co dit ?
Chiediamolo al Giudice…
Svolge le mansioni di giudice sportivo, ma non ha certo
dimenticato di essere ancora un arbitro, seppur con tanto di
deroga per ricoprire questa importante carica in seno al
comitato provinciale di Parma. Valter Visentini identifica da
tempo ormai la persona che redige il comunicato ufficiale e
che, sulla base dei referti arbitrali, stabilisce per quanto tempo
mandare dietro la lavagna i cattivi di turno. Vicino di scrivania
il fido Gianluca Buratti, anche lui immerso nel delicato compito
di passare al setaccio le gare del week-end. “La nostra
delegazione – comincia Valter – gestisce due gironi di seconda
categoria (a tutti gli effetti un campionato regionale), un girone
di terza, due raggruppamenti ciascuno di juniores provinciali,
allievi e giovanissimi provinciali e interprovinciali. Come avrai
capito, una bella mole di lavoro, visto che, con l’inizio di tutti i
campionati, ci saranno da giudicare oltre settanta gare a
settimana”. Come se ne esce, ovvero come si può garantire
puntualità ed equità nei provvedimenti da prendere?
“Ovviamente non si tratta di un’operazione semplice, direi che
non si può prescindere dalla collaborazione tra le società, la
federazione e l’associazione arbitri. Se solo una di queste
componenti non fa bene ciò che deve fare il prodotto scade e si
dà adito a lamentele. Devo dirti che, onestamente, allo stato
attuale si può ancora migliorare (Buratti annuisce con le mani
nei capelli per un referto poco leggibile appena arrivato) e, pur
se nel rispetto della funzione di ognuno, bisogna sempre
cercare un franco dialogo con tutti”. Un particolare normativo
su cui porre l’accento in quest’annata .“Ce ne sarebbero tanti,
al punto che, d’accordo con i presidenti Varoli e Boschi,
con Valter Visentini
abbiamo istituito un’apposita rubrica sul comunicato ufficiale
che possa essere letta da arbitri, società e semplici tifosi. Se
permetti, volevo sottolineare ancora una volta l’importanza di
far accedere al terreno di giuoco, oltre ai calciatori, solo le
persone munite di tessera da dirigente ufficiale. Il documento
personale di identità, per i dirigenti, se non accompagnato
dalla richiesta di emissione tessera, per ragioni prettamente
assicurative, non dà diritto a stare in panchina o comunque
oltre la recinzione”. Quanto ti è servita l’esperienza sul campo
da direttore di gara in questo nuovo ruolo? “Molto, moltissimo.
Evidente che, in tanti anni, avendo compilato centinaia di rapporti di gara, ho imparato a leggere nelle pieghe dei referti, a
capire il punto di vista dell’arbitro. D’altra parte, il Giudice
Sportivo, oltre ad essere competente sulla normativa federale,
è assolutamente indispensabile che padroneggi con sicurezza
anche le regole del gioco sulla base delle quali un arbitro decide. In questo caso, l’esperienza arbitrale è stata ed è preziosissima”. Un augurio particolare ai direttori di gara che hanno
appena iniziato una nuova stagione. “Certamente, con piacere.
Un pensiero va a chi insegue un salto di categoria, a chi investe
quotidianamente pensieri ed energie in questo hobby. Che sia
la vostra stagione, ricca di soddisfazioni. Però due parole le
spendo anche per i più anziani, quelli senza ambizioni di carriera: se tanti campionati vanno avanti è anche grazie a loro,
all’attaccamento a questa associazione. Io che ho cominciato ad
arbitrare a 33 anni so bene cosa significa farlo per puro divertimento. Grazie di cuore”.
Fischi(ett)ando qua e là:pensieri di un (in)selezionabile
Per chi è lanciato verso alte categorie e
grandi sogni l’arbitraggio è spesso adrenalina allo stato puro: la paura di sbagliare e la voglia di volare rendono spesso
indimenticabile il profumo della Domenica.
Per
ch i
è
solo
un
“vecchietto” (epiteto spesso addolcito
dal tecnicismo non selezionabile) la domenica è invece un’isola felice rispetto al
mare di una settimana che propone più
problemi che gioie. E’ un gioco figlio
della vita, di capelli che si ingrigiscono,
di gambe che non corrono più come una
volta, di giovani che non sono più tuoi
coetanei, di voglia che, però, rimane
intatta e incarna l’appartenenza ad una
famiglia più che ad un’associazione. Prima della scorsa stagione erano cinque
anni che, esclusa qualche partitella di
Allievi o Giovanissimi, non vedevo il
campo. Il lavoro mi ha portato lontano
dalla mia regione e anche dai miei campetti polverosi in cui, nonostante tutto, mi
sentivo a casa. Parma, da un punto vista
arbitrale, era per me una novità: gli impianti anche immersi nei parchi e qualcuno addirittura senza recinzione annunciavano un altro mondo. Dai colori forse
meno passionali ma certamente più adat-
to agli esperti come me. E vecchie sensazioni non hanno tardato a rifarsi vive,
come se mai fossero state effettivamente
sopite. Preparare il borsone, non dimenticare la divisa di riserva e il secondo
orologio, portare il lucido per le scarpe e
l’adattatore per il fon perché se piove e la
spina non va nella presa sei veramente
rovinato. Specie se hai una cervicale che
si lamenta rumorosamente ogni volta che
becchi due gocce d’acqua. E poi l’arrivo
al campo dopo il percorso fatto in autobus sperando che la corsa non porti ritardo . Ognuno ha i suoi piccoli riti, le sue
scaramanzie. Io accompagno i passi verso gli spogliatoi con la Toccata di Paradisi, quella del vecchio intervallo RAI, che
ho caricato nello smartphone: mi mette di
buon umore e quando incontri gente che
magari non conosci (e che ti squadra dal
primo momento che ti vede) è meglio
farlo col sorriso sulle labbra. Le fotografie
che ti lascia dentro una gara possono
essere le più disparate: dal bel vantaggio
concesso all’episodio che, a mente fredda, forse avresti giudicato in maniera
diversa. Ma per noi più anziani c’è qualcosa che va oltre il racconto tecnico di
una partita, di una prestazione, di un voto:
essere ancora in campo significa far parte
di un mondo e dare ad esso il nostro
contributo non fatto di luci della ribalta ci
mancherebbe, ma di una passione senza
condizioni. In questo contesto, poco importa se a Borgotaro mi si sono riversate
contro tonnellate di acqua la domenica in
cui Giove Pluvio aveva deciso di aprire
anche le cateratte di riserva. Ci sono cose
che ti sorprendono e per cui il campo di
calcio è solo un pretesto: un calciatore mi
viene incontro, mi sembra di averlo visto
ma non ricordo altro. Mi fa: “Prof? Si ricorda di me? Sono quello che cinque anni
fa ha saputo poco o nulla in matematica
agli esami di Stato. Ma davvero fa
l’arbitro? Non me la farà pagare oggi per
allora?”. Al di la della battuta, è bello
pensare di poter fondere la realtà di tutti i
giorni con la figura domenicale
dell’arbitro, capire che chi fischia, grazie
al Cielo, ha una vita di tutti i giorni e che
il suo universo non si ferma a 90 minuti.
Specie per chi ha qualche capello bianco
e, magari, una famiglia da mantenere.
Fateci una cortesia: capitelo presto. Ci
guadagneremo tutti.
Gaetano Pugliese
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Stagione sportiva 2014/15
Terzo tempo: scriviamo un buon rapporto di gara
Quando redigerlo?
A cosa porre più attenzione?
Cosa altro si può guardare?
E’ opportuno distinguere tra due situazioni diverse: se la gara è filata liscia senza
particolari provvedimenti è auspicabile
che il rapporto venga stilato e spedito
subito secondo quanto concordato con il
competente organo tecnico. In caso di
gara accesa e con episodi è consigliabile
fermarsi il tempo necessario per focalizzarli e ricostruirli bene onde permetterne
una minuziosa e fedele ricostruzione,
magari facendosi aiutare dalle figure
preposte. Ricordiamoci che, anche se
qualche calciatore ci ha risposto/trattato
male non abbiamo vendette da consumare ma semplicemente fatti da narrare in
modo che chi non ha visto la partita possa avere tutti gli elementi per giudicare al
meglio. Comunque, spedire il rapporto
di gara entro i termini stabiliti non è un
favore che facciamo a qualcuno, è semplicemente un obbligo.
Il provvedimento principale che richiede
un esame attento da parte degli organi di
giustizia sportiva è certamente
l ’ e spu ls io n e
di
un
c al c ia to re
(allontanamento di altra persona in distinta). Proprio per questo non si possono
usare, per esso, motivazioni generiche
che dicono poco. Voi cosa fareste se
qualcuno scrivesse “Espulso per fallo o
per proteste o per condotta violenta”?.
Per un cartellino rosso non ci sono altre
strade se non quella di attenersi ai fatti e
descriverli oggettivamente, senza incorrere in espressioni figlie di opinioni personali. L’arbitro è un notaio che prende
atto di ciò che avviene, non un tifoso che
sguazza nelle chiacchiere da bar dello
sport. E’ vero che non è opportuno, tranne casi particolari, scrivere molto, ma
essere incisivi. Dire “espulso per fallo da
ultimo uomo”, ad esempio, non è esatto;
la dizione corretta, invece, potrebbe essere “condotta gravemente sleale: sgambettando un avversario lo privava della
chiara opportunità di realizzare una rete”.
Adesso va molto meglio.
In primis il corretto computo del tempo.
L’equazione è semplice: ora di inizio +
durata dei tempi + durata intervallo +
entità del recupero deve essere uguale
all’ora della fine altrimenti si pecca di
incoerenza (ad essere buoni). I minuti
delle reti devono essere, in totale, pari ai
gol realizzati e in accordo con il risultato
indicato. Sembra stupido da dire, ma
qualcuno ancora sbaglia. Occhio agli
assistenti di parte: non riportarli significa,
di fatto, ammettere che la gara non è valida secondo quanto previsto dalle normative federali. Siccome non può che trattarsi di una dimenticanza, per evitare la ramanzina basta poco. Nello spazio dedicato ai dirigenti riportare i nominativi indicati sulle distinte di gara. Precisazione
per l’addetto all’arbitro: si tratta della
figura che assiste il direttore di gara da
quando arriva al campo e fino a che lo
abbandona definitivamente. Se non possiede la tessera da dirigente ufficiale non
può entrare sul terreno di gioco: in caso
di bisogno, pertanto, dovrebbe commettere un’azione illecita per tutelare la vostra persona. Non vi sembra un po’ farraginoso? Ultime due righe sui documenti
dei calciatori: validissimi i documenti di
identità e i cartellini rilasciati dalle Leghe
o dai Comitati, purchè non scaduti. Molte
società presentano cartellini non validi da
due o tre anni. A chi vi taccia di pignoleria rispondete così: “Signor X, provi ad
entrare in uno Stato extraeuropeo col
passaporto scaduto. Ci riesce?” L’ho provata come risposta. Funziona.
Come redigerlo?
Nel 2014 penso che tutti possano usare il
computer: ciò conferisce eleganza e precisione ad un atto che non può essere
gravato da improvvisazione. Con i moduli
a disposizione si impiegano pochi minuti
e l’invio telematico evita pure la consegna diretta al giudice sportivo. Nel caso
si voglia usare la vecchia penna, evitate
colori chiari che possano risultare poco
leggibili dopo la stampa. Un referto è un
atto che dovrebbe parlare da solo, chi
decide non è chiamato a fare l’interprete
di pensieri oscuri né deve possedere
l’abilitazione a perito calligrafico.
E per le ammonizioni?
Essendo un provvedimento decisamente
più soft, è comunemente accettata una
motivazione generica (proteste, gioco
falloso, comportamento antisportivo, trattenuta per la maglia e via discorrendo).
Riportare sempre il minuto, il nome
dell’ammonito e la società di appartenenza evitando la superficialità e la fretta che
fanno sbagliare anche le cose più banali.
Regolamento story: quando l’I.F.A.B. decise ...
1990: La svolta sul fuorigioco
Subito dopo i mondiali italiani delle Notti
Magiche, la nuova stagione portò con sé
una innovazione regolamentare destinata
a cambiare sostanzialmente la regola 11,
quella sul fuorigioco. Quella circolare
modificò il punto b) del comma 1 che,
precedentemente, recitava: “Un calciatore si trova in una posizione di fuorigioco
salvo che almeno due avversari si trovino
più vicini di lui alla propria linea di porta” riformulandolo con una piccola sottigliezza. “Un calciatore si trova in una
posizione di fuorigioco (…) salvo che non
sia più vicino alla linea di porta avversaria rispetto ad almeno due dei suoi avversari”. In sostanza, il messaggio era che il
calciatore in linea con il penultimo difendente non doveva più essere considerato
in posizione irregolare. Questione praticamente di centimetri, certo. Ma, concettualmente parlando, un abisso.
1992: Stop al retropassaggio
Dicono che la spinta definitiva sia stata
data ai Piani Alti dall’abnorme numero di
retropassaggi dei danesi al loro portiere
Schmeichel nella finale dell’Europeo svedese (arbitro il maestro elementare svizzero Bruno Galler) contro i tedeschi, sorpresi e sconfitti da una squadra che a
quella manifestazione neanche doveva
esserci e che venne ripescata al posto
della Jugoslavia, frantumata da una san-
guinosa guerra interna. Eccolo,
l’originale testo che cambiò per sempre il
gioco del calcio e, in particolare, il ruolo
del portiere: “Ogni volta che un calciatore colpisce deliberatamente il pallone in
direzione del portiere della sua squadra,
quest’ultimo non può toccarlo con le mani. Se il portiere tocca il pallone con le
mani, deve essere concesso un calcio di
punizione indiretto alla squadra avversaria nel punto in cui l’infrazione è stata
commessa. (Fatte salve le deroghe di cui
alla Regola 13)”. Come si nota, in origine
era consentito il retropassaggio al proprio portiere direttamente su rimessa
laterale. Non durò ancora per molto.
Pagina 10
Arbitro, ma co dit ?
ANGELO CACCIAMANI
←Segue da pag.3
Sarebbe bellissimo se riuscisse a volare verso
traguardi ancora più grandi. Vedi, io sono uno
che parla, parla e parla ma non ho mai avuto
invidia verso nessuno. La mia gioia è vedere
arrivare lontano arbitri di Parma, gli stessi che
vedo sacrificarsi negli allenamenti e che spero
mantengano i piedi per terra perché solo chi è
umile può arrivare. Filippo è uno di questi”.
Un rimpianto…
“Chissà, forse mi sarebbe piaciuto avere un erede all’interno dell’associazione. Mio figlio, però,
ha scelto altre strade e gioca a calcio in seconda
categoria, anzi qualche volta ho dovuto relazionare sull’arbitro che dirigeva la sua squadra e
non mi sono mai fatto condizionare nel giudizio.
Poteva riuscire bene, secondo me. Per il resto
sono contentissimo di aver trascorso tanti anni
nell’AIA (non ditegli che è invecchiato, potrebbe
arrabbiarsi, nda), per le possibilità che mi ha
dato e per tutte le belle persone che ho conosciuto”.
Due righe per un motto.
“Me ne basta una: l’arbitro , in modo autorevole
ma non autoritario, deve comandare in campo, è
importantissimo. Ricordalo, ragazzo”.
Mica tanto ragazzo, ma grazie lo stesso.
Scene da un inizio di preparazione agostano.
“Puoi farci piangere, ma non puoi farci cedere: noi siamo il fuoco sotto la cenere”
Controcopertina: l’importanza di esserci
Queste iniziative nascono quasi per caso,
per scherzo. O per scommessa. Non hanno molte pretese e neanche noi, quindi,
vogliamo dimostrare di essere i migliori,
tantomeno coltiviamo sogni di infallibilità..
Sfonderemmo ampiamente il muro del
ridicolo e non ci pare il caso. Tanto più
che si tratta di un qualcosa a metà tra il
serio e il faceto, pensato per dare voce a
tutti quelli che voce vogliono avere. Allora, anzitutto è importante esserci: prima
per ascoltare, poi per contribuire a raccontare, di tanto in tanto, le piccole storie
di una grande famiglia. Famiglia perché
quando rimani molto tempo a contatto con
le stesse persone e se aspetti il venerdì o
il lunedì per sapere dove fischierai la
prossima settimana, allora capisci che
l’arbitraggio è diventato per te qualcosa
di più di un hobby. Una sorta di angolino
in cui potersi rifugiare per allontanarsi
dalle proprie faccende quotidiane e dai
segni meno che esse propongono. Bisogna, però, dimostrare che come associazione in generale e come sezione in particolare si è vivi e pulsanti: non ci si può
adagiare sulle proprie convinzioni erroneamente giudicate immutabili perché
significherebbe non stare al passo con un
tempo che le tue idee può cambiarle ad
ogni batter di ciglia o quasi. D’altra parte,
le sezioni non nascono come mero luogo
di partecipazione a riunioni tecniche obbligatorie: fare sano associazionismo non
può mai identificarsi con la firma di un
foglio presenze. O lo senti come piacere
o ne rimani ai margini. E non è bello.
Dotarsi di uno strumento di comunicazione come un periodico, in questo contesto,
non deve essere vissuto né come un semplice vezzo né come qualcosa di anacronistico negli anni di internet e della rete
che sa tutto di tutti. Continuiamo a pensare che un giornale, per quanto piccolo
come il nostro, sia un’altra cosa, comunque non incompatibile con un sito. Vorremmo, ogni tanto, poter descrivere non
solo agli associati ma a tutti quelli che si
troveranno questo pezzo di carta in mano
la storia di una parte di Parma sportiva
che, piano piano, vuole riprendersi un
ruolo di primo piano e che, quindi, desi-
dera riportare il nome della città in vetta
alle gerarchie dei direttori di gara. Impegnarsi, fare, mettere a disposizione il proprio tempo per la causa comune: anche in
questo occorre fare squadra. Il plurale
usato in questo pezzo, al momento, sa
molto di maiestatis ma all’inizio deve esserci sempre qualche pioniere che si
prende l’onere di (ri)cominciare. Sarebbe
bello costituire un’equipe, una squadra
goliardica che facesse di questo appuntamento una sorta di piacevole abitudine,
ciascuno portando il proprio contributo.
Da soli siamo convinti che non si va lontano e che, anzi, si è sempre più poveri qualitativamente. Un mezzo di comunicazione
è più efficace se tante persone fanno sentire la loro vicinanza, la loro voce, la loro
critica. Vogliamo, in definitiva, provare a
continuare la lodevole opera di chi, in un
recente passato, aveva intuito che il giornalino sezionale poteva costituire una
sorta di piazza virtuale in cui incontrarsi.
Per ora non è niente di speciale: solo timido un numero pilota. Ma volevamo esserci. E ci siamo.