Relazione del Segretario Generale uscente

RAPPORTO
DI
ATTIVITA’
del Segretario Provinciale
Umberto Franciosi
6° CONGRESSO
DELLA FLAI CGIL DI MODENA
20 e 21 febbraio 2014
Premessa
Care delegate, cari delegati , signori invitati,
abbiamo deciso di svolgere il 6° Congresso della FLAI CGIL in questo Comune, non
solo per compiere un atto simbolico, ad un territorio ed una zona che in meno di due
anni ha subito un terremoto, trombe d’aria, siccità ed ora anche l’alluvione. Il nostro
è un atto che vuole essere solidale con questo territorio, ma che vuole anche fare
proposte.
In questo territorio, nella “bassa modenese”, dobbiamo ricordare pesanti processi di
ristrutturazione avvenuti all’inizio degli anni 2000, come quelli di Conserve Italia, con
la chiusura di due stabilimenti e la chiusura dello stabilimento Del Monte. Vicende
che hanno pesantemente compromesso la produzione e la trasformazione di prodotti
alimentari di un territorio ad alta vocazione agricola.
Come se non bastasse, sempre in questa zona, si sono abbattuti gli effetti della
riforma europea sulla produzione di zucchero causando, di fatto, la chiusura dello
stabilimento di Finale Emilia. Su questo stabilimento, negli ultimi anni, si è continuato
a rinnovare l’azione della nostra organizzazione sindacale per sollecitare il
mantenimento degli impegni governativi sulla riconversione produttiva di quel sito.
Nel mio rapporto cercherò di sintetizzare le attività e i risultati conseguiti dalla nostra
categoria nei quattro anni precedenti, ma ovviamente parlerò anche dei lavoratori
che, tutti i giorni, sono impegnati nella lavorazione dei prodotti agroalimentari della
nostra provincia. Vorrei anche richiamare l’attenzione su quei lavoratori, troppo
spesso dimenticati, che, con i loro saperi e le loro professionalità, contribuiscono a
fare grande il nome dei prodotti e delle merci che lavorano e trasformano.
Lavoratori che, giorno dopo giorno, assistono ad un peggioramento delle loro
condizioni di lavoro, con aumento dei ritmi lavorativi e di casi di sfruttamento, in
precarie condizioni di sicurezza, con poca e carente formazione e, spesso, nella non
completa legalità.
Sono perfettamente consapevole che siamo davanti ad una pesantissima crisi che sta
producendo una trasformazione epocale e un “cambiamento d’era” che interessa
tutto il Pianeta. Si sta producendo una diversa suddivisione della ricchezza sul piano
globale, miliardi di persone che vivono nei paesi in via di sviluppo, incominciano a
conoscere un livello di benessere simile a quello che noi abbiamo conosciuto dopo la
Seconda Guerra Mondiale. Miliardi di persone incominciano ad avere bisogno di
consumi simili ai nostri, compresi quelli alimentari, per non dimenticare i crescenti
bisogni di protezioni sociali (sanità, scuola, previdenza). Vediamo già i primi effetti
sui prezzi delle derrate alimentari, sui prezzi dei cereali e di tutte le materie prime.
Cerchiamo di valutare quante risorse, sia di materie prime che economiche, si
mettono in movimento, per non dimenticare le ingenti masse di denaro che si
spostano giornalmente da un continente ad un altro, spesso con semplici click su di
una tastiera di un computer o di uno smart phone, che producono effetti sui governi
e sulle popolazioni come se fossimo nel bel mezzo di una nuova guerra.
Ritenere che quanto stia accadendo, da qualche decennio, non produca effetti anche
sulle nostre condizioni di vita o di lavoro, credo sia un imperdonabile errore. Come
potrebbe essere un grande errore rimanere indifferenti e insensibili.
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Non sto affermando che dobbiamo rassegnarci a perdere diritti o ritirarci dalle nostre
posizioni. Voglio solamente dire che in un mondo che diventa sempre più piccolo,
veloce, in rete, in cui cambiano punti di riferimento e rapporti di forza, sono convinto
che anche noi dobbiamo riflettere su come questo contesto stia cambiando, anzi
abbia già cambiato anche il nostro sindacato.
Nella mio rapporto cercherò di analizzare questi macro argomenti, cercando di
contestualizzarli al nostro territorio.
Agricoltura
Parto dall’agricoltura perché, è bene ricordarlo, sta alla base del nostro settore, delle
nostre filiere e della nostra organizzazione. Il 40% delle risorse economiche della
nostra struttura provengono da questo settore il quale, se analizziamo questa platea,
non è equamente rappresentato. I delegati che provengono dal settore agricolo
rappresentano appena il 20% di questa platea, mentre i nostri iscritti sono pari al
39% del totale.
Si prevede per l’annata agraria 2013 un segno positivo: le stime dell'assessorato
all'Agricoltura della Provincia di Modena registrano infatti una crescita del 4 per cento
della Produzione Lorda Vendibile (PLV), che arriva a 519 milioni di euro, recuperando
la perdita del 2012 e attestandosi sostanzialmente al dato del 2011. A crescere di più
è stato il "peso" delle produzioni vegetali, che compongono il 56 per cento della PLV,
mentre le produzioni animali si fermano al 44 per cento, soprattutto a causa del calo
del comparto del latte vaccino, in particolare per la discesa dei prezzi del parmigiano
reggiano.
Il 2014 è una fase di passaggio molto delicata perché partirà il nuovo settennio di
una PAC (Politica Agraria Europea) su cui ci si dovrà misurare e confrontare. Oltre a
questo, le aziende agricole della “bassa modenese”, devono ancora finire di fare i
conti con le conseguenze del sisma e della siccità del 2012. Ed ora dovranno fare i
conti con gli effetti dell’alluvione.
Se i risultati positivi del 2013 hanno dato qualche segnale di speranza, ci sono,
invece, segnali preoccupanti per l’agricoltura in montagna, dove i terreni coltivati
continuano a diminuire, con tutte le conseguenze che ne derivano per la tenuta e la
salvaguardia del territorio.
Nella graduatoria delle dieci migliori produzioni agricole modenesi al primo posto si
trova il latte vaccino che rappresenta il 29 per cento della PLV, al secondo posto il
pero, salito al 21 per cento, mentre al terzo si piazza la vite. Seguono la carne suina,
che vede un calo del numero di animali allevati, il frumento tenero, la carne bovina, il
granturco, poi il ciliegio, susino e sorgo.
L'andamento produttivo e di mercato delle produzioni animali registra, nel 2013, un
calo del 4,5 per cento rispetto 2012. Diminuiscono di oltre il 7 per cento la carne
bovina, del 3,7 quella suina. La produzione di latte vaccino è calata di circa di 3 per
cento, così come il prezzo, influenzato dalla contrazione dei prezzi del parmigiano
reggiano. Si è ridotta di conseguenza anche la produzione di forme, diminuite del 3,7
per cento a ottobre 2013, che calano molto di più a Modena rispetto alle altre
province, forse anche a causa di un maggior ricorso alla vendita di latte come latte
alimentare, che ha prezzi in ascesa.
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I suini allevati a Modena sono calati nel 2013 di 22.400 capi, con una diminuzione del
7 per cento rispetto al 2012. Si arriva così a 295.623 capi allevati (nel 2002 erano
oltre 473 mila).
Non c'è un prodotto che domina in assoluto nell'agricoltura modenese, questa varietà
rappresenta un fattore positivo per la nostra agricoltura modenese e inoltre un
fattore distintivo nei confronti delle altre provincie della nostra Regione e del
territorio italiano.
L’agricoltura modenese, dove si è maggiormente sviluppata l’integrazione fra privato
e cooperative, con un’eccellenza nelle produzioni e spiccata professionalità, è una
delle realtà più floride del panorama regionale e italiano.
Nonostante questi aspetti positivi esistono carenze strutturali che ne possono
compromettere il futuro:
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nanismo delle imprese (troppo piccole)
imprenditori agricoli troppo anziani (la media supera abbondantemente i 65
anni)
scarso ricambio generazionale
settore poco appetibile per lavoratori italiani
unica manodopera disponibile è quella extracomunitaria, con stipendi molto
bassi
tanto lavoro nero (stimato al 40%).
Queste carenze strutturali possono compromettere un settore, quello dell’agricoltura
modenese, che produce il 20% del PIL agricolo dell’intera Regione
Come si stanno muovendo le imprese agricole
Notiamo, da parte delle imprese un esasperato contenimento dei costi, in particolare
quello del lavoro. Il rinnovo del contratto provinciale, dopo oltre 16 mesi dalla sua
scadenza, con una modesta soluzione economica, lo sta a dimostrare.
Troppo presente il lavoro nero e le tante forme di elusione fiscale e contributiva, che
provocano meccanismi di concorrenza sleale.
Preoccupante e da monitorare con attenzione, il protagonismo della Coldiretti sul
territorio nazionale e locale:
• A livello locale non ha firmato il contratto provinciale anche se, dopo qualche
giorno dalla firma, ha dichiarato che ne applicherà le tariffe;
• A livello nazionale sta giocando un ruolo politico sempre più smarcato dalle
altre associazioni, allargandosi anche nel settore cooperativo con UE COOP;
C’è da prevedere che la capacità organizzativa e la massa critica della Coldiretti, con
tutti gli appoggi politici trasversali, possa creare complicazioni anche negli assetti
contrattuali che vanno oltre l’agricoltura.
Voucher e retribuzioni
Non dobbiamo dimenticarci che i salari dei lavoratori agricoli sono tra i più bassi fra
tutti i settori produttivi. Un vortice che deve essere interrotto, se vogliamo tutelare la
nostra produzione agricola e la nostra occupazione.
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La nostra organizzazione sindacale, insieme a FAI e UILA, nel corso di questi anni ha
tenacemente contrastato l’applicazione dei voucher nel settore agricolo, a Roma
come in tutte le province: scioperi, manifestazioni, presidi davanti alle prefetture e
iniziative politiche di sensibilizzazione nei confronti dei parlamentari, dei gruppi
parlamentari di Camera e Senato, comprese le competenti Commissioni
dell’Agricoltura.
I governi, di ogni natura e orientamento, sono strutturalmente portati, forse perché
troppo condizionati da alcune associazioni agricole (Coldiretti), ad introdurre i
voucher in agricoltura. Ricordo che questo strumento di retribuzione fu introdotto
con l’intenzione di combattere il sommerso in un settore che, a livello nazionale,
supera il 40% degli addetti e a Modena non siamo molto lontani da questa cifra.
Ricordiamo inoltre che i voucher sono uno strumento inopportuno perché:
• annullano di fatto i diritti e le tutele legate al Contratto Nazionale di Lavoro;
• vanificano tutte le tutele previdenziali del mondo agricolo: le giornate lavorate
con i voucher, infatti, non sono valide ai fini della maturazione delle giornate
minime per aver diritto alla malattia, alla maternità, alla disoccupazione ed ai
benefici pensionistici;
• non risolvono il problema del lavoro sommerso, sia esso completamente nero
o grigio: mancando una formale corrispondenza tra un buono e la paga oraria
si può capire che con un buono si è tendenzialmente in regola anche per una
settimana di lavoro.
Continuiamo a fare questa denuncia perché la guardia su questo tema, come
l’esperienza ci insegna, non deve mai essere abbassata. Abbiamo evitato la completa
liberalizzazione in agricoltura, la quale avrebbe completamente “decontrattualizzato”
il nostro settore, producendo pesanti danni ai lavoratori agricoli.
Notiamo su questo argomento poca sensibilità, se non indifferenza, da parte delle
altre categorie sindacali. A volte si ha la sensazione di essere soli in una battaglia di
contenimento e di resistenza, che non è ancora stata ben compresa da molti
compagni.
Difficoltà in agricoltura e condizionamento di tutta la filiera
Vorrei comunque far notare che le difficoltà nel settore agricolo non coinvolgono solo
le piccole aziende o i piccoli allevamenti; segnali di difficoltà incominciamo a
registrarli in aziende più strutturate e grandi, come nel caso importanti allevamenti e
di macelli di rilevanti dimensioni, sia a livello nazionale che a livello europeo.
Situazione di crisi che abbiamo gestito cercando di utilizzare gli ammortizzatori sociali
in deroga a rotazione, utilizzando le ferie residue degli anni passati, cercando di
ridurre al minimo gli effetti occupazionali.
La crisi che sta vivendo il settore agricolo, anche se ha registrato un segnale di
tendenziale PLV nel 2013 positiva, se confrontata con il 2012, rimane ancora lontana
dai risultati degli anni passati. Inoltre la crescita di PLV riguarda solo alcune
produzioni e non quelle destinate prevalentemente alla filiera di trasformazione
modenese.
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La crisi del settore agricolo rischia di condizionare ancor di più alcune imprese
alimentari del nostro territorio, già gravate dalla crisi economica che si sta facendo
sentire con il calo dei consumi nel mercato interno.
L’agricoltura, così come viene trattata anche dalla politica, sembra figlia di un Dio
minore. E’ sufficiente considerare quanti Ministri siano stati nominati in questi ultimi
anni, i criteri delle loro nomine e le loro effettive competenze nel settore. Tutto ciò
rende molto complicato il rilancio, la tutela e l’investimento di un settore che,
probabilmente, è l’unica risorsa a disposizione del nostro Paese per resistere e per
avere spazio in questo potente cambiamento d’Era che stiamo vivendo!
Piano di Sviluppo Rurale (PSR)
Importante è stato il contributo che, insieme alle altre organizzazioni sindacali,
abbiamo portato nella fase di approvazione del “Piano di Sviluppo Rurale” della
nostra Regione. In Consulta Agricola non è stato semplice riuscire ad inserire, tra i
principi regolatori della distribuzione di risorse economiche, i temi del lavoro a noi
cari: rispetto delle normative contrattuali, previdenziali e della sicurezza sul lavoro.
Solo la nostra continua presenza a quel tavolo, insieme alla giusta sensibilità
dell’amministrazione regionale, ha permesso di introdurre principi che
condizioneranno gli interventi economici che il PSR erogherà, nel settennio
2014/2020, nei confronti delle imprese agricole modenesi.
E’ bene evidenziare che la Consulta Agricola regionale, tavolo in cui sono presenti
tutte le associazioni agricole e le organizzazioni sindacali, è un istituzione che, in
Italia, è presente solo nella nostra Regione. L’Emilia Romagna sta dimostrando, nel
panorama delle Istituzioni e in questo settore, di avere le giuste sensibilità.
Eventi climatici avversi
I cambiamenti climatici stanno diventando strutturali, si ripetono con molta frequenza
eventi meteorologici estremi che necessitano di maggior attenzione, continua ricerca
e investimento di risorse economiche.
L’evento sismico del maggio 2012 è solo una delle cause delle difficoltà in cui si trova
l’agricoltura modenese, ad essa si deve aggiungere il clima (siccità 2012, 103 giorni
di siccità continua) e la crisi economica.
La siccità ha colpito duramente l’agricoltura, causando la riduzione del 70% del
raccolto di mais, soia, barbabietole, ha ridotto le pezzature e la resa della frutta.
Dobbiamo considerare che, tra Modena e Ferrara, è presente l’80% di produzione
nazionale di pere.
La siccità, è facilmente prevedibile, può aumentare nei prossimi anni. Acqua ne
abbiamo in abbondanza, ma problemi riguardano l’irrigazione. Servirebbe un piano
per l’irrigazione che non c’è. Gli impianti d’irrigazione utilizzati, quelli a getto, sono
troppo impattanti per l’ambiente.
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Terremoto
A 21 mesi dal sisma che ha colpito pesantemente la “bassa modenese”, non abbiamo
ancora ben quantificato i pesanti danni causati da un evento sismico che sembra non
avere più l’attenzione dei mezzi di comunicazione nazionali.
Il sisma ha colpito una zona che produce il 2% del PIL nazionale e lo ha fatto
durante la più pesante crisi economica che il nostro Paese abbia mai vissuto.
Nonostante i tanti interventi, l’emergenza non è finita e non si potrà dire conclusa
fino a quando tutti i cittadini non saranno rientrati nelle loro case e tutte le attività
produttive non riprenderanno le loro produzioni.
Il terremoto ha impattato su fabbricati rurali, scorte e macchinari. Danni pesanti al
Parmigiano Reggiano: compromesse scorte, le quali erano l’unica garanzia con le
banche che consentivano di ottenere finanziamenti. E’ bene ricordare che il prodotto
richiede anni di stagionatura.
Si rischia, in questo settore e con queste continue avversità, che alcuni produttori
escano dal circuito del Parmigiano per entrare in quello dei formaggi più freschi che
consentono meno giorni di permanenza nei magazzini.
Il sisma ha colpito anche le persone, non solo nella zona coinvolta, il così detto
“cratere”, ma anche quelle residenti in buona parte della provincia modenese. Li ha
colpiti e condizionati psicologicamente, tenendoli lontani dalle loro case per paura o
perché inagibili. Continuare a lavorare in quelle condizioni e con quel disagio non è
certo stato facile.
Non ci si può dimenticare del prezioso lavoro che i compagni e le compagne della
CGIL, sia funzionari che delegati, hanno continuato a fare nelle nostre sedi e nelle
aziende. Alcune nostre sedi furono completamente inagibili o necessitavano di
interventi di ristrutturazione. Importante è stato il contributo di solidarietà che alcune
categorie nazionali hanno fatto pervenire, con mezzi e risorse. La FLAI nazionale ha
affittato, per la CGIL di Modena, tre camper da utilizzare come sedi provvisorie.
Un particolare ringraziamento va dato alle compagne e ai compagni della FLAI di
Modena, sia funzionari che delegati, che hanno continuato fra mille difficoltà a
prestare la propria attività lavorativa ed il proprio impegno.
Quell’evento sismico rimarrà sempre impresso nella mia memoria, in particolare per i
giorni successivi alla seconda scossa del 29 maggio 2012. Erano i giorni in cui le
aziende, per continuare a lavorare, dovevano rispettare alcuni requisiti minimi
previsti dal famoso “Decreto Gabrielli”: mi riferisco all’imbollunatura delle travi, la cui
assenza fu tra le principali cause di crollo dei capannoni.
Quei giorni hanno dimostrato come un essere umano reagisca quando un’
emergenza, o un potenziale pericolo, si contrappone al “Dio profitto” e al “Dio
mercato”. Durante le scosse del 29 maggio abbiamo assistito ad aziende che hanno
messo in libertà i loro dipendenti spontaneamente (su alcune di queste non avrei
scommesso un soldo), mentre su altre la nostra categoria è dovuta intervenire
pesantemente con i propri funzionari.
Nei giorni seguenti, nella zona del “cratere”, dove il Decreto Gabrielli chiedeva
precise condizioni per poter lavorare, le difficoltà che abbiamo avuto nel tener fuori i
lavoratori, fino a quando non si fossero messe in sicurezza le travi, bruciano ancora!
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Brucia la fatica, il contrasto e la lotta con le imprese e un Assessore di Carpi, come
nel caso dell’Italcarni, nel chiedere l’applicazione del “principio della precauzione”
prima di far ripartire la produzione in luoghi di lavoro che non garantissero le
condizioni di sicurezza previste dal Decreto. La terra continuava a tremare con decine
di scosse al giorno e per la FLAI di Modena non si poteva correre il rischio di entrare
in aziende che non garantissero un minimo di sicurezza.
Ciò che brucia più di tutto è la fatica che abbiamo dovuto fare con i lavoratori per
convincerli a rimanere fuori dalle aziende. La risposta che ci veniva data era sempre
la stessa: “perdiamo clienti, con la crisi non ce lo possiamo permettere”. La stessa
religione del datore di lavoro.
Questo evento è stato molto complicato e, come altri che racconterò nel corso di
questa relazione, mi sta facendo riflettere sul ruolo del sindacalista, così come noi lo
intendiamo nei nostri documenti, nelle nostre infinite discussioni e come si traduce
nella pratica di tutti i giorni.
Alluvione
Con l’alluvione i danni maggiori, nei settori produttivi, si stanno registrando in
agricoltura: oltre 6000 ettari coinvolti.
Danni complessivi superiori ai 70 milioni di euro, che comprendono coltivazioni,
macchinari, impianti, fabbricati agricoli, strade ecc.. Molti danni si sono avuti su beni
e strumenti acquistati con i contributi avuti dal sisma, i quali stavano per essere
rendicontati. Se non s’interviene i fretta queste imprese rischiano di chiudere.
L’alluvione ha colpito 9 comuni e oltre 400 aziende. Alcuni terreni sono stati allagati
con 2 metri d’acqua (viti e pere le coltivazioni più colpite). Oggi, con l’alluvione,
l’agricoltura di questa zona subisce un danno molto maggiore di quello che ha subito
con il terremoto.
La popolazione, già colpita dal sisma, è ovviamente stressata ed esasperata: c'è chi
ha perso tutto, auto, arredi, elettrodomestici.
Le imprese di questo territorio hanno già consumato tutta la liquidità disponibile.
Settore vitivinicolo, ortofrutticolo e della filiera del parmigiano, sono quelli che
probabilmente risulteranno i più coinvolti, con probabili ripercussioni su tutta la filiera
di trasformazione.
La conta finale dei danni la sapremo solo a fine anno, quando si capiranno gli effetti
di resa nel settore vitivinicolo e ortofrutticolo. Inoltre non sappiamo ancora se
l’alluvione abbia causato danni legati all’inquinamento (ad esempio i liquami degli
allevamenti del territorio coinvolto).
L'impresa agricola è l'unica custode del territorio, e da questo disastro ci aspettiamo
anche una verifica delle responsabilità, ma dovremmo cogliere l'occasione per
rivedere le norme sulla tutela del territorio. E’ sufficiente osservare ciò che accade in
montagna, la quale sta franando ovunque in Italia, compresa la provincia di Modena.
Le imprese agricole, compresi i suoi lavoratori, possono essere una risorsa per la
tutela del territorio.
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Per sostenere un'impresa agricola ci vogliono molte risorse e, soprattutto, molta
liquidità e disponibilità di credito che le banche ormai non concedono più. Se si
abbandona l'agricoltura, i danni possono essere incalcolabili e le risorse economiche
da spendere sarebbero maggiori di quelle che si dovrebbero investire per una
decente manutenzione presidio del territori.
La tutela del territorio, però, si deve fare anche nella programmazione territoriale,
cioè nei piani regolatori e non sempre le imprese agricole sono dimostrate sensibili a
quest’aspetto. Troppo spesso si chiede di costruire dove non si potrebbe, compreso
vicino agli argini. Non sempre le associazioni agricole, che oggi giustamente
denunciano la scarsa manutenzione degli argini, hanno sostenuto questo tipo
d’impostazione di tutela territoriale nel passato.
Siamo davanti ad un cambiamento climatico che si sta scaricando su un territorio
molto delicato. Ormai la calamità naturale non è più emergenza è la prassi. Non
bisogna parlare di cambiamento climatico, il clima è già cambiato.
L'emergenza è rappresentata dalle continue frane sul nostro nodo idraulico. Il nostro
sistema idraulico funziona, ma non riesce e regge enormi quantità di acqua, come
quelle cadute in pochi giorni a gennaio. Gli argini fanno fatica a reggere e stanno
franando. L’alluvione di domenica 19 gennaio è avvenuta quando il livello dell’acqua
era sotto di 1 metro rispetto al livello della settimana precedente. Lo stress, l’incuria
e la scarsa manutenzione hanno contribuito a questo disastro.
Le imprese agricole sono fra loro collegate e producono ricchezza attraverso il lavoro.
Se non interveniamo in fretta il nostro territorio rischia l’impoverimento e, con esso,
tutta la provincia modenese e non solo.
In queste settimane altre zone d'Italia stanno vivendo il dramma alluvione. Non
possiamo fare una gerarchia delle disgrazie, ma qui l’alluvione si è sovrapposta al
sisma.
Se amiamo il nostro territorio e il paesaggio, non possiamo più accontentarci che
Gabrielli e la protezione civile si limitino ad affrontare una calamità dopo all’altra. Ci
vuole una legge sulle calamità naturali che aiuti tutti i cittadini di fronte alle tragedie
come queste.
Questo è un territorio fragile, con enormi eccellenze che possono essere
compromesse. Il nostro territorio è quello che vanta il maggior numero di DOP e IGP
della nostra Regione, in Italia e in Europa. L’agricoltura non è una cenerentola, è
qualcosa che fa crescere, dà reddito ed è positiva per tutta la società.
Gli equilibri sono saltati e non solo dal punto di vista climatico, ma anche a causa
delle urbanizzazioni e della diminuzione della manutenzione. Per tutelare questo
territorio servono investimenti, come quelli che noi sosteniamo nel nostro Piano del
Lavoro. Investimenti per la tutela e la manutenzione del territorio, per creare lavoro
e per la crescita economica.
Investendo sull’agricoltura s’investe, indirettamente, anche su tutta la filiera di
trasformazione: cooperative agricole, allevamenti, macelli, impianti di lavorazione
delle carni, salumifici e prosciuttifici. Solo per citare alcuni nomi, nella filiera di
trasformazione: Apofruit, Agrintesa, Menù, Conserve Italia, Conserve della Nonna,
Italcarni, Agricola Tre Valli (AIA), ALCAR, SUINCOM, Grandi Salumifici Italiani, Villani,
INALCA ecc… Potevo citare tante altre aziende, tutte, nella filiera, legate tra rapporti
di fornitura e sub fornitura.
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Un sistema d’imprese che sta in piedi anche grazie alla professionalità e al lavoro di
oltre 12.000 lavoratori e lavoratrici modenesi nel settore della trasformazione. Su
questi lavoratori, dobbiamo, da sindacalisti, porre la nostra attenzione e su questo
tema, da anni, spesso inascoltati e a volte derisi, abbiamo denunciato e segnalato,
con tutti i mezzi disponibili, una pericolosa deriva che rischia pesantemente di
compromettere dei settori strategici dell’economia modenese e italiana.
Macellazione e lavorazione e trasformazione delle carni
Il primo di questi settori è quello della lavorazione e trasformazione delle carni. Sono
perfettamente consapevole che in questo settore è in atto una fase assai complicata,
aggravata da una crisi economica pesantissima, dalle forti oscillazioni sul prezzo delle
materie prime e da una forte concorrenza della carne importata dall’estero.
La redditività all'interno della filiera, nel 2013, è inferiore gli altri anni. I capi macellati
nel 2013 sono di poco superiori ai valori del 2011 e del 2012. Valori, questi ultimi,
che sono tra i più bassi della storia di questo indice.
La redditività DOP (prosciutto di Parma, San Daniele, Modena) continua a calare. Un
calo iniziato dal 2011. Mentre è in continua crescita la redditività sulle cosce suine
stagionate che provengono dall’estero.
E’ bene ricordare che fino a qualche anno fa le cosce suine del circuito DOP
rappresentavano il 60% della redditività di un “suino pesante”. Oggi questa
percentuale è quasi al 40%. Ricordo anche che la nostra filiera di macellazione, in
particolare quella modenese, è totalmente dedicata alla macellazione di quel tipo di
suino. Evidenzio che, nella nostra provincia, risiedono i due macelli suinicoli più
grandi d’Italia (Italcarni e Agricola Tre Valli).
La suinicoltura non viene sostenuta con interventi di sostegno comunitario (PSR),
ma, anzi, subisce gli effetti indiretti del sostegno dato agli altri comparti, come ad
esempio: il sostegno alle produzioni dei cereali, delle oleaginose e delle bioenergie.
Effetti che producono una “selezione” degli allevamenti: resistono le imprese più
strutturate, ovviamente scaricando su quelle più deboli le conseguenze.
I risultati si vedono anche a Modena: continua la chiusura o il ridimensionamento
degli allevamenti suinicoli. La crisi economica ha accelerato i processi di chiusura.
Stanno aumentando le aziende che chiudono le scrofaie a causa della non
sostenibilità economica. Questo vuol dire che si sta compromettendo il comparto
DOP e causando la perdita del patrimonio genetico.
Come abbiamo fatto in più occasioni, a livello locale, regionale e nazionale,
continuiamo a segnalare nella filiera della carne suina un problema molto serio di
come si distribuisce il valore.
Gli allevatori, che per anni hanno pagato il prezzo maggiore, sono sicuramente
l’anello più debole di una filiera che oggi non c'è più, nella quale è in atto una guerra
fratricida fra i soggetti che la compongono.
La filiera dovrebbe essere ricostruita: gli allevatori dovrebbero aumentare la loro
capacità di aggregazione, così pure i macellatori.
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Non possiamo continuare a dire che abbiamo i prosciutti più buoni del mondo,
mentre i prodotti esteri stanno conquistando quote di mercato sempre maggiori. Se
non cambiamo, anche le nostre produzioni d’eccellenza, verremo spazzati via dai
nostri cugini europei e non dai cinesi.
Gli allevatori, così come i macellatori, continuano a sperare che le cose si aggiustino
naturalmente o, peggio, sperano nella scomparsa dei competitori più prossimi, per
conquistare quote di mercato, come nel caso della macellazione.
Non si ha il coraggio di attivarsi per mettere in atto aggregazioni, in particolare nelle
imprese di macellazione associate alle centrali cooperative.
Non c’è più tempo da perdere, se guardiamo gli scenari internazionali: una società
USA del settore suinicolo, che produce il doppio dei nostri suini (mi riferisco a tutti
quelli prodotti nel nostro territorio nazionale), è stata rilevata dai cinesi. Esempio che
ci fa capire quanto, in poco tempo, possano esserci cambiamenti epocali!
Con il “nanismo” delle nostre imprese non riusciamo a competere in questo contesto
mondiale. Gli allevatori ed i macellatori dovrebbero trovare il coraggio di aggregarsi e
non fermarsi a contendersi l'alternarsi della redditività nei due settori.
Macellazione ed allevamenti sono due comparti che vivono in simbiosi, sono legati al
territorio e hanno lo stesso obiettivo: valorizzare il suino nazionale. Altri soggetti della
filiera, i trasformatori e i grandi salumifici, non hanno lo stesso interesse, possono
approvvigionarsi anche in Europa.
Se gli allevatori e i macellatori non sapranno reagire, unendosi, non riusciranno mai
ad avere un potere contrattuale con l’industria di trasformazione, la quale continuerà
ad approcciarsi con loro dalla stessa posizione di potere.
L’industria di trasformazione, come accaduto in questi ultimi anni, ha messo in atto
processi di aggregazione, con ancora ampi spazi a disposizione, come nel settore
dell’industria dei salumi. Stesso processo di aggregazione lo ha fatto la Grande
Distribuzione Organizzata (GDO) che, con le sue private leable, sta pesantemente
condizionano tutte le filiere.
Nel settore della macellazione è in atto una rivoluzione poiché è subentrato un nuovo
soggetto (Pini), che ha come primo obiettivo quello di aggredire un settore con i
soggetti più deboli di tutta l'Europa.
A Pini, le associazioni agricole hanno chiesto se volesse sottoscrivere accordi
interprofessionali e lui ha risposto che, lavorando in Europa, questi non gli servono.
Quindi cosa dovrebbero fare gli allevatori e i macellatori, se non rispondere cercando
di aggregarsi? Invece no, si aspetta la morte dell’altro per conquistare le sue quote
di mercato.
La nostra è una filiera troppo frammentata, dove ognuno guarda al proprio interesse
e scarica sui lavoratori tutte le difficoltà competitive.
Queste conseguenze le stiamo combattendo, contrastando e in alcuni casi subendo,
in molte imprese della macellazione e della lavorazione delle carni: ritmi, orari,
velocità, esplosione delle malattie professionali, illegalità sempre più diffuse e
sfruttamento dei lavoratori. Per non dimenticare la prolificazione delle esternalizzaioni
e degli appalti, quasi sempre di dubbia liceità.
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Non c’è giorno che un nostro delegato sindacale, o un nostro funzionario, non debba
fronteggiare questi problemi. Ormai noi e i lavoratori siamo al limite della
sopportazione.
Sappiamo molto bene che le complessità che ho descritto ci impongono un diverso
approccio, in particolare nella gestione dei picchi e dei flessi produttivi. Sappiamo
molto bene che dovremmo gestire e adottare orari di lavoro diversi da quelli
tradizionali, comprese la flessibilità degli orari sempre più condizionata dall’apertura
della GDO nei giorni festivi.
Sappiamo molto bene che, quando affrontiamo questi argomenti con i lavoratori,
tocchiamo nervi sensibili e, spesso, paghiamo prezzi molto alti. Non abbiamo mai
rifiutato il confronto con le imprese, se questo porta beneficio all’impresa con
contestuale incremento dell’occupazione e stabilizzazione dei lavoratori precari.
Noi, come abbiamo già fatto in molte occasioni, siamo disponibili a trovare tutte le
soluzioni che consentano alle aziende di sfruttare al meglio gli impianti, aumentando
così efficienza, produttività e la capacità di rispondere alle richieste di mercato, ma se
manca il rispetto della legalità ci metteremo di traverso e sempre lo faremo! Questo
è, e rimane, il nostro “limite”!
Il caso Italcarni
Come nel caso dell’Italcarni ci sono limiti che non possiamo superare. Non sono
possibili soluzioni simili a quella annunciata, da mesi, dall’Italcarni: azzeramento di
tutta la contrattazione di secondo livello, continua e spasmodica volontà di
terziarizzare a false cooperative parti del processo produttivo.
Noi siamo disponibili a trovare tutte le necessarie soluzioni, ma non a subire o a
chiudere gli occhi davanti ad appalti che, quasi sempre, nascondono illegalità e
sfruttamento dei lavoratori.
Come, ovviamente, non siamo disponibili ad accettare l’azzeramento di diritti
sindacali conquistati in decenni di confronti sindacali. Quello che è veramente
scandaloso è, che questa proposta, provenga da una importante cooperativa, la più
grande cooperativa di macellazione, aderente a Legacoop.
Se dalla semplice dichiarazione si passerà ai fatti, la FLAI saprà mettere in atto tutta
la sua forza e, ne sono sicuro, questo non riguarderà solo i lavoratori di
quell’impresa. La capacità di reazione, i lavoratori dell’Italcarni l’hanno già dimostrata
nel 2010, dove con 48 ore di sciopero ininterrotte, hanno fatto ritirare una procedura
di mobilità aperta unilateralmente dall’azienda. Anche allora, le RSU come la FLAI
CGIL e la FAI CISL, hanno dimostrato il livello di disponibilità e di responsabilità nel
trovare l’accordo.
Un esempio e una vertenza che dovrebbero essere ricordati dalla stessa cooperativa
e dalle associazioni delle imprese private che, troppo spesso, ci accusano di essere
troppo duri con le loro associate e troppo teneri con le associate del movimento
cooperativo.
Il caso dell’Italcarni rappresenta benissimo lo stato in cui versa la macellazione
suinicola italiana. Come con l’Italcarni, anche con altre imprese, non accettiamo di
dover pagare noi le inefficienze o le mancate scelte altrui. Siamo pronti a trovare
tutte le soluzioni possibili per rendere più efficienti le imprese, ma in pochi casi ci
viene richiesto.
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Ad esempio, nel comparto delle carni di Vignola, dov’è la necessità di concordare
flessibilità o turni di lavoro, quando hai a disposizione, con un semplice sms, squadre
di soci lavoratori in appalto che ti costano 12 euro all’ora, contro i 22 che
costerebbero ad un impresa dell’industria alimentare, se fossero assunti
regolarmente? Ovviamente sto parlando di costo del lavoro effettivo, comprese le
incidenze di tutti gli istituti contrattuali e delle imposte.
Chiunque sa che con questi prezzi, applicati da queste false cooperative, che a volte
sono anche inferiori, non è possibile mantenere in regola nessun dipendente.
Chiunque potrebbe immaginare, dato che questi lavoratori lavorano mediamente
oltre le 220 ore al mese, che tutto il sistema si regga con forti dosi di evasioni fiscali
e contributive.
Lo ripeto, se si continua a voler percorrere queste strade, non solo non c’è la nostra
disponibilità, ma nemmeno la nostra indifferenza. C’è in gioco l’affidabilità di questo
distretto alimentare.
Le imprese più blasonate, che sfavillano codici Etici e millantano “Responsabilità
sociale” e che vengono nel nostro territorio a comprare le loro materie prime, si
dovrebbero almeno porre il problema del giusto prezzo del lombo o del coscio di
suino che acquistano, così come del giusto costo delle carni che tritano per fare dei
prelibati e certificati insaccati.
Non abbiamo esitato, anche nel campo della certificazione etica, come nel caso della
SA 8000, a fare le opportune segnalazioni; alcune hanno prodotto significative ed
importanti soluzioni, altre un po’ meno, ma sicuramente, hanno dato maggior
soddisfazione delle 60 segnalazioni che abbiamo inviato alla Direzione Provinciale del
Lavoro locale.
Le false cooperative
Le “false cooperative” sono ampiamente diffuse nel settore della lavorazione della
carne, ma sono ormai presenti anche in altri. Sono fenomeni che da anni abbiamo
segnalato agli organi competenti, all’opinione pubblica, e che stanno generando
una spietata concorrenza sleale che calpesta e ignora tutti i bei principi sull’eticità dei
prodotti e la responsabilità sociale d’impresa, mettendo a rischio l’esistenza di
quelle imprese che vogliono comportarsi e competere correttamente.
Dopo anni di denuncie pubbliche e alle competenti istituzioni, di mobilitazioni, di
scioperi, di inchieste giornalistiche e televisive, nelle quali siamo stati purtroppo
protagonisti, finalmente oggi possiamo dire che i nostri temi non sono solo urla di
qualche pazzo rivoluzionario, visionario o con tendenze di protagonismo.
Oggi la Guardia di Finanza fa ispezioni ed interventi in quasi tutte le imprese del
settore della lavorazione delle carni, riscontrando evasioni ed elusioni fiscali nel
sistema degli appalti e, in alcuni casi, rimettendo in discussione la legittimità
dell’appalto stesso. Alcune false imprese cooperative che operavano all’interno di
importanti imprese della lavorazione delle carni, sono state chiuse d’imperio
dall’autorità giudiziaria.
La Provincia di Modena si è interessata all’argomento, con l’attivazione di due
Commissioni consiliari, promuovendo incontri fra le associazioni dei produttori e le
organizzazioni sindacali. Ovviamente, la FLAI di Modena, insieme alla CGIL, era
presente ed ha riportato gli argomenti su cui vi stiamo “triturando” da almeno sette
anni.
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In quella sede abbiamo ribadito, che il settore dell’industria della carne modenese e
non solo, dalla macellazione alla trasformazione, sta correndo un serio pericolo, se
non s’interviene immediatamente sugli elementi di concorrenza sleale generati dal
sistema degli appalti alle false cooperative.
Confindustria, per anni, ha sempre negato il problema, sostenendo sin dal 2006 che
“la casa non bruciava” e che gli appalti nelle aziende avvenivano “nel pieno rispetto
delle norme di legge”! Oggi sostiene il contrario ed afferma di essere molto
preoccupata e di voler trovare soluzioni coerenti al rispetto della legge e dei contratti.
Bene, ora speriamo di vedere quanto questa importante affermazione si applicherà ai
loro associati.
Stessa affermazione, speriamo di sentirla anche da Legacoop che, oltre a condannare
nei comunicati stampa le false cooperative, sembra non essere molto attenta agli
appalti che le loro associate fanno alle false cooperative.
Dietro queste false cooperative si sta formando un “nuovo” e moderno schiavismo!
Prima lo definivo “nuovo caporalato”, ma ormai non mi sembra più una formula
efficace per descrivere la condizione di questi lavoratori. Chiamati con SMS al lavoro,
sanno quando devono entrare al lavoro, ma non sanno quando ne usciranno.
Sottoposti a ritmi di lavoro e orari stressanti, senza un minimo di formazione sanitaria
o di sicurezza sul lavoro. Se provano a ribellarsi, o alzare la testa, vengono cacciati e
non vengono più richiamati. Trattati come bestie, anzi peggio, con urla e insulti, da
caporali rozzi, ignoranti e spesso amici o in combutta con il committente, o con il
direttore del committente.
Uso parole pesanti, lo so, ma questa è la situazione con cui noi, funzionari e delegati,
ci scontriamo quotidianamente, spendendo energie, risorse, tempo e salute
psicofisica in vertenze senza fine. Senti e percepisci la tensione, a volte riesci a
toccarla, sembra che sia sul punto di esplodere, ma poi, tra lavoratori, prevale la
paura di perdere quel poco che si può guadagnare con quel lavoro.
Ripeto, la tensione c’è, esasperata dal voler recuperare spazi di competitività agendo
sempre e solo sul costo del lavoro.
Ma dove si vuole arrivare? Vogliamo arrivare ai lavoratori polacchi in Germania che
percepiscono 4 euro all’ora?
Se qualcuno cerca di raggiungere quell’obiettivo, è avvisato! Noi, quella tensione,
stiamo cercando di organizzarla. Per ora non c’è ancora uno “Spartaco” che riesca ad
organizzare i lavoratori. In certe aziende non ci siamo ancora riusciti, ma quando
accadrà nessuno ci venga a chiedere responsabilità e moderazione! Queste imprese
committenti, sia del movimento cooperativo che di quello privato, sono state
abbondantemente avvisate nel passato.
Non ci siamo nemmeno fermati davanti alle centinaia di disdette sindacali che ci sono
arrivate dopo nostri semplici tentativi di conciliazione, vertenze individuali e collettive,
denunce pubbliche o alla Direzione Provinciale del Lavoro. Ovviamente erano disdette
organizzate, promosse e incentivate dalle imprese committenti o appaltatrici, decine
arrivate in serie e con un testo identico alle altre, pure scritte di pugno con calligrafia
tremolante.
Non ci fermiamo nemmeno quando vediamo la trasmigrazione collettiva di decine e
decine di nostri iscritti verso altre organizzazioni sindacali, sempre organizzata dai
soggetti citati in precedenza.
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Non ci fermiamo perché quando un cittadino ha davanti a se fenomeni di illegalità
non si deve fermare, tanto più se questo cittadino è anche un sindacalista!
Il settore dell’ortofrutta
Cambiando settore, nel settore dell’ortofrutta, per effetto delle riforme comunitarie,
stiamo continuando a gestire importanti fusioni ed aggregazioni che hanno
interessato importanti cooperative agricole modenesi: APOFRUIT, AGRINTESA e
FRUIT Modena Gruoup. Tali processi hanno coinvolto complessivamente, circa 500
lavoratori stagionali, quasi tutte donne.
Aggregazioni che hanno reso possibile alle cooperative agricole modenesi di
sopravvivere e di rimanere competitive sul mercato anche in una pesante situazione
di crisi economica, come quella attuale, ma anche quella ormai strutturale che sta
coinvolgendo il settore ortofrutticolo nazionale e regionale.
Il comparto ha tenuto sicuramente grazie a queste aggregazioni che, il sindacato, ha
sostenuto e cercato di governare riducendo al minimo gli effetti sul personale
impiegatizio, per quanto concerne le mansioni e, anche in questo caso, evitando
licenziamenti coercitivi.
Le aspettative occupazionali che ci si attendeva, ad oggi, non si sono ancora
concretizzate: stiamo continuando a registrare un calo delle giornate lavorate e solo
gli accordi sindacali, le cosiddette “convenzioni”, permettono di garantire un minimo
di giornate lavorative su cui contare effettivamente.
Da segnalare, come elemento negativo, le incertezze sul sito produttivo di APOFRUIT
di San Martino Spino, pesantemente colpito dal sisma del 2012 e dalla tromba d’aria
dello scorso anno, sul quale stiamo cercando di trovare occupazioni alternative e
governando i trasferimenti dei lavoratori sugli altri siti produttivi. In questo lavoro,
FAI e FLAI, hanno coinvolto anche l’amministrazione locale.
Da segnalare come elemento positivo l’importante risultato contrattuale ottenuto con
il rinnovo dell’integrativo del gruppo APOFRUIT: 1800 lavoratori in Emilia Romagna,
di cui 120 a Modena. Nell’integrativo rinnovato l’anno scorso il gruppo si è impegnato
a non appaltare e a non effettuare esternalizzazioni in tutte le aziende del gruppo e il
rientro, nella stabilimento di Longiano, delle attività di logistica precedentemente
appaltate. Inoltre, l’accordo di gruppo, introduce pause retribuite per dare maggiori
garanzie di tutela della salute e sicurezza del lavoro.
Evidenzio che, anche il settore dell’ortofrutta, è soggetto a forte concorrenza sleale e
a marginalità molto basse, ed è sicuramente in condizioni competitive molto peggiori
rispetto a quello della trasformazione delle carni suine, ma la risposta contrattuale
che dà deve essere sicuramente presa come esempio, nonostante i tanti problemi
che ancora rimangono aperti con la forte stagionalità e precarietà che caratterizza
tutto il settore dell’agricoltura.
Il settore vitivinicolo
Nel settore vitivinicolo, dopo l’acquisizione della Cavicchioli Spa di San Prospero, il
gruppo Cantine Riunite & Civ ha rivisto la propria presenza sul territorio regionale,
mantenendo operativo lo stabilimento di Campegine (RE) insieme alle cantine di
pigiatura e vinificazione presenti nel reggiano e nel modenese, prevedendo però la
chiusura dello stabilimento del Civ & Civ di via Polonia a Modena.
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La preoccupazione degli 80 lavoratori dello stabilimento Civ & Civ di via Polonia e
nostro, erano quelle di un massiccio spostamento delle produzioni sul territorio
reggiano, con una forte penalizzazione della produzione vitivinicola modenese.
La trattativa con la dirigenza del gruppo, durata oltre un anno, ha governato
l’impatto sulle persone, gestendo i trasferimenti sui due siti produttivi, compresa la
ricollocazione in altre aziende del territorio modenese, evitando così licenziamenti.
Come FLAI modenese, insieme a quella regionale, abbiamo cercato di governare il
processo utilizzando una serie di strumenti che hanno evitato licenziamenti coercitivi.
Come ho già dichiarato quattro anni fa, valutando il primo processo di fusione fra il
CIV & CIV e Cantine Riunite, se è vero che noi in questa fase, abbiamo svolto nel
migliore dei modi il nostro ruolo, anche grazie all’apporto fondamentale dei delegati
sindacali modenesi e reggiani, la stessa cosa non possiamo dirla per Legacoop
Modena che, a mio giudizio, poteva e doveva fare molto di più per tutelare lo
sviluppo produttivo del vitivinicolo a livello provinciale.
Il settore delle bevande
Coca Cola, ogni anno, annuncia a livello nazionale dei piani di ristrutturazione, ma
alla fine del 2012, per lo stabilimento modenese, è stato più pesante del previsto.
Coinvolti, nel modenese più di 150 addetti commerciali esterni, che fanno capo a
questa sede, molti ragazzi più o meno giovani, quasi nessuno vicino all'età
pensionabile. Nel 2013 tocca alla Bev Service, costola della Coca Cola, che si occupa
del settore tecnico, con l’annuncio di altri esuberi.
Ancora una volta, una blasonata multinazionale, che cerca di far pagare il conto ai
lavoratori per scellerate e sbagliate scelte commerciali.
In un difficile contesto di capacità di mobilitazione di questi lavoratori, per le tante
sedi sparse sul territorio nazionale, le risposte che la FLAI e le RSU modenesi sono
riuscite a mettere in campo hanno evitato, con l’utilizzo degli ammortizzatori e la
mobilità incentivata, licenziamenti coercitivi.
L’industria alimentare
Nella nostra provincia sono presenti oltre 450 imprese di trasformazione che
occupano circa 12.000 addetti e costituiscono il secondo comparto manifatturiero
dopo quello metalmeccanico, con un fatturato vicino ai 4 miliardi di euro. Da
evidenziare che le imprese che superano i trenta addetti sono poco più di una
trentina.
Continuiamo ad assistere a trasformazioni rilevanti all’interno dell’industria alimentare
locale. In particolare, i processi di riorganizzazione e di concentrazione in atto ormai
da tempo, hanno portato ad un peso crescente dei gruppi, a cui fanno capo aziende
medie e grandi, con un aumento della dimensione media d’impresa. Ciò sta
modificando il modello organizzativo della produzione con effetti anche sulle
condizioni lavorative.
Negli ultimi anni l’industria alimentare modenese ha registrato segni di sofferenza , in
particolare nel 2012, ma anche nel 2013. Solo l’export ha attenuato dei dati molto
negativi, segnale che sta per esaurirsi l’anticiclicità che ha sempre contraddistinto il
nostro settore.
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Il dato occupazionale, citato in precedenza, si riferisce agli addetti “stabili”; a questi
vanno aggiunti circa 1.700 lavoratori stagionali e altri 1.300 dipendenti di imprese
esterne (quasi tutti di “false cooperative”) che operano all’interno delle aziende
alimentari modenesi.
Da evidenziare la difficoltà che le imprese hanno nell’accesso al credito, in particolare
quelle di piccole e medie dimensioni, ma anche quelle imprese che mantengono alti
volumi e fatturati. Anche “l’anticipo fatture”, da parte degli istituti di credito, non
viene più concesso. Registriamo segnali di ritardo dei pagamenti degli stipendi in
alcune grandi imprese.
L’aumento dei costi energetici e di trasporto, che sono molto più incidenti del costo
del lavoro, potranno ridurre ancor di più le marginalità delle imprese
Crisi - Settori produttivi più colpiti a Modena
Tre le piccole aziende e medie aziende del settore Pastaio, Panificazione, Forni,
Pasticcerie e Molitorio, c’è un incremento molto sostenuto dei casi di richiesta di CIG
in deroga, settori che, per primi, risentono del calo del potere di acquisto dei
consumatori.
Nel settore della lavorazione delle carni suine, per ora abbiamo qualche segnale di
crisi occupazionale nelle piccole aziende. Ultimamente ne stanno risentendo anche
piccoli salumifici, che non vendono prodotti di nicchia o di qualità riconosciuta.
Segnali di sofferenza provengono da quegli impianti che fanno subfornitura di
semilavorati alle grandi imprese della salumeria locale (budellerie, sezionamento….)
Qualche segnale di crisi lo riscontriamo anche nei settori dell’eccellenza (parmigiano
e aceto balsamico). Più che a una crisi, ci troviamo davanti a difficoltà competitive di
alcune imprese che non hanno marchi riconosciuti e che non hanno significativi
sbocchi all’estero.
Situazione contrattuale
I maggiori CCNL sono stati tutti rinnovati.
Preoccupa la spaccatura che si sta profilando in Federalimentari, che può seriamente
compromettere le relazioni sindacali future e nei grandi gruppi. La neonata
UNAITALIA, praticamente l’unione di Amadori e AIA, sembra volersi posizionare fuori
da Federalimentari. Da evidenziare che AIA e Amadori applicano due CCNL
completamente diversi (cooperative agricole e industria alimentare).
Da evidenziare, inoltre, le crescenti difficoltà che ci sono nel tenere insieme,
all’interno di Federalimentari, Assica e Assocarni. Fibrillazioni che non fanno presagire
nulla di buono. Abbiamo già visto cosa accade quando nascono nuove associazioni:
altri CCNL! Evidenzio che ne abbiamo già oltre 400, quando, invece di aumentare
dovrebbero diminuire.
Ma non sono solo CCNL “alla bisogna”, c’è anche chi pensa, da indiscrezioni, di
emulare Marchionne, come il gruppo Cremonini, che vorrebbe costituire un contratto
unico per tutti i suoi dipendenti (copiando il “modello FIAT”), mettendo insieme
commercio, ristorazione e industria alimentare.
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Il comparto delle carni si sta organizzando per cercare di “imporre” la propria
specificità. Fenomeno che si autoalimenterà con la forte presenza di concorrenza
sleale nel settore, come, ad esempio quella portata dalle carni estere macellate con
costi del lavoro estremamente competitivi (in Germania non c’è il CCNL dell’industria
di alimentare e nemmeno di macellazione).
Grandi gruppi industria alimentare e contrattazione secondo livello
Si prevede una stagione complicata per i rinnovi dei contratti di secondo livello.
Alcuni gruppi chiedono il congelamento dell’attuale contratto, altri non intendono
proprio procedere al rinnovo.
La nostra capacità di fare contrattazione aziendale sta diminuendo. Da oltre 60
contratti aziendali che la categoria gestiva nel 2006, oggi ne gestiamo 40. Evidenzio
che, almeno 10 delle 60 aziende, hanno cessato l’attività o subito dei processi di
ristrutturazione e trasferimento.
28 contratti aziendali, degli attuali 40, sono stati rinnovati fra il 2010 e 2011, altri 12
sono in fase di rinnovo.
Fra i 12 in fase di rinnovo spiccano quelli del comparto delle carni. Fortunatamente,
per ora, stiamo procedendo a riconoscere, almeno, l’applicazione del contratto
scaduto.
Per quanto riguarda le prospettive, sulla contrattazione aziendale non credo possa
esserci spazio per l’ottimismo: crisi, concorrenza sleale, appalti selvaggi, ingresso di
Pini nel settore della macellazione, nuovi assetti in Federalimentare e grandi gruppi
che annunciano il blocco della contrattazione, disegnano un quadro molto
complicato.
Se questo si verificasse si delineerebbe uno scenario da cui si può uscire solo con
l’unione di tutte le forze in un’unica grande vertenza generale.
L’Accordo del 10 gennaio e i Congressi di Base
Abbiamo svolto un Congresso “surreale”. L’accordo sulla rappresentanza del 10
gennaio 2014, firmato da CGIL, CISL, UIL e Confindustria, ha, a mio giudizio, rimesso
in discussione alcuni assi strategici del documento in cui io mi sono riconosciuto.
L’Accordo del 10 gennaio 2014 ha sicuramente introdotto elementi importanti, molti
dei quali sono sempre stati nostri: misurazione della rappresentanza, della
rappresentatività, certificazione degli iscritti, voto dei lavoratori sui CCNL.
Se ci fossimo trovati davanti ad un normale accordo, come tanti ne facciamo, in cui
devi pesare i pro e i contro, in cui bisogna fare una valutazione complessiva (cioè
una “pesata” finale), non avrei avuto dubbi nel sostenere tale accordo.
L’ipotesi di sanzionare i delegati sindacali (che è ancora un principio), prevista
dall’Accordo di gennaio, al quarto capitolo, dove si affronta il tema dell’esigibilità dei
contratti, è a mio giudizio una materia che non era a disposizione di nessuno,
nemmeno del Segretario generale della nostra organizzazione.
Se l’introduzione di quel principio costituiva l’unico elemento per chiudere l’accordo,
occorreva fermarsi un attimo e attivare una consultazione, la più vasta possibile. Non
c’è stato solo un errore di metodo, ma anche di merito.
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Devo però affermare, con rammarico, che questa mia valutazione, condivisa dal
gruppo dirigente più stretto della FLAI di Modena, non è stata però registrata nelle
assemblee congressuali come elemento di particolare preoccupazione. Non certo
perché ne condividevano i contenuti dell’Accordo, ma perché non ne conoscevano i
termini.
In particolare, fra i nostri delegati, solo 3 su 129 mi hanno posto il problema nei
giorni seguenti il 10 gennaio, mentre gli altri non conoscevano i contenuti di
quell’accordo. Forse è proprio da questo punto che dobbiamo iniziare, prima di
intraprendere consultazioni generalizzate: far conoscere l’accordo a tutti i delegati.
Questo evento mi ha molto colpito, forse perché è troppo forte in me il ricordo di
quando ero delegato sindacale. Il delegato sindacale è davanti alla “bocca del
cannone”, troppo spesso da solo e con poco sostegno da parte dei suoi colleghi di
lavoro. In questa sala ci sono tanti che hanno dovuto sopportare attacchi diretti da
parte di qualche “padrone delle ferriere”. I delegati sindacali vanno protetti e
nemmeno per idea devono essere passibili di qualche ipotetica sanzione!
Le RSU: il nostro patrimonio
La FLAI di Modena ha 129 delegati sindacali che costituiscono un patrimonio
insostituibile per la nostra categoria. Una fondamentale risorsa che ci permette di
esercitare contrattazione, in molti casi di eccellente livello, ma anche presidio di
legalità! Da evidenziare, però, che all’inizio del 2010 i RSU erano 130. Non cresciamo,
anzi caliamo leggermente.
Una risorsa che è necessario preservare e tutelare con un’adeguata e continua
formazione. Negli ultimi quattro anni abbiamo attivato moduli formativi di base che
hanno coinvolto tutti i nuovi delegati.
Ma l’investimento principale che la CGIL ha fatto sui nostri delegati, in merito alla
formazione, è quelle dei moduli formativi “Prometeo” e “Spartaco”. Moduli formativi
che, in giro per l’Italia, in CGIL, facciamo solo noi, e che hanno come scopo quello di
formare tecnicamente i delegati per fornire le prime risposte ai lavoratori. Un vero e
proprio delegato dei diritti che, in alcune aziende, ha prodotto interessanti risultati
non solo nelle pratiche effettuate direttamente in azienda, ma anche per le iscrizioni
effettuate. Fra queste, il primato assoluto, aspetta a Grandi Salumifici Italiani.
Noi, gli iscritti e le risorse economiche
Nel 2010 gli iscritti alla FLAI di Modena erano 5.300, al 31 dicembre 2013 sono
aumentati a 5.623. Se scomponiamo il dato notiamo, comparando il 2013 con il
2010:
• deleghe agricole -36
• deleghe settore alimentare -55
• deleghe caseifici -23
• deleghe disoccupazioni agricole +218
• deleghe ASPI/DSO/DSRR +217
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Dati che ovviamente dicono tante cose: un calo tra gli attivi che risente della crisi,
ma anche un aumento del tesseramento dovuto solo ed esclusivamente alle iscrizioni
su disoccupazione.
Lo svolgimento delle assemblee
Abbiamo svolto 76 assemblee congressuali, nelle quali erano coinvolti più di 3649
iscritti. Hanno partecipato al voto in 1281, quindi il 35% degli aventi diritto.
Tra i 1281 votanti, 945 iscritti hanno votato per il Documento Camusso, pari al
77.1% dei voti validi, mentre in 281 iscritti si sono riconosciuti nel Documento
Cremaschi, raggiungendo il 22.9% dei voti validi.
Il nostro Congresso ha interessato solo il 22.78% degli aventi diritto. Ogni commento
è inutile, questo dato parla da solo.
Così come parlano da soli i dati di questo congresso, se confrontati con quello del
2010. Facciamo più assemblee (8), ma caliamo di quasi un 3% di votanti nelle
aziende dove abbiamo fatto assemblee e caliamo di un altro 3% per quanto riguarda
gli aventi diritto.
Cala la partecipazione dei nostri iscritti e questo è un indice che non va bene e che ci
deve far nascere dei seri interrogativi.
Ovviamente, non voglio tornare a discutere dei documenti congressuali contrapposti,
su di essi le assemblee di base si sono già espresse, anche se dobbiamo ammettere
che il nostro dibattito si è prevalentemente concentrato su pochi temi, quelli che
hanno caratterizzato la storia della nostra organizzazione: riforma Dini, scala mobile,
riforma Fornero, insufficienza di scioperi e di lotte, nostra capacità d’incidere nei
processi e autonomia dalla politica.
Il risultato conseguito in quelle assemblee, per come si sono espresse con il voto,
deve essere per noi un elemento di riflessione. Mi riferisco alla lettura e alla
interpretazione di quel voto.
La lettura, in particolare dove il documento Camusso ha perso o vinto di stretta
misura, non può essere ricondotto solo ad un segnale di malessere verso il gruppo
dirigente che, comunque, nelle assemblee e fra i nostri iscritti, abbiamo sentito molto
chiaramente.
E’ anche un segnale che parla a noi! Che parla a noi funzionari e che parla anche ai
singoli delegati. Spesso, in quel voto, c’era un messaggio che parlava a noi, per il
ruolo che svolgiamo in quell’azienda.
Non voglio distribuire pagelle e probabilmente sbaglio nell’analisi, ma in certe aziende
il funzionario, o i delegati, raccolgono decine di preferenze, mentre in altre arrivano a
poche, pochissime unità, in alcuni casi a zero!
Mi rendo conto che il voto è condizionato da tanti fattori, ma questo, a mio avviso,
deve interrogarci un pò tutti fin da ora, perché in discussione non c’è solo la caccia al
voto di preferenza, ma anche il rapporto con i nostri iscritti e colleghi di lavoro. Non
dobbiamo vivere questo come una sconfitta, ma come un punto da cui partire per
ricostruire il rapporto con chi rappresentiamo e con chi ci ha dato fiducia.
L’elemento, invece, che temo di più, è rappresentato dal clima di “ostilità” nei
confronti del sindacalista di mestiere che, in alcuni casi, si percepisce tra i lavoratori.
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E’ una percezione che, forse, sentirò solo io. Se la mia valutazione è corretta sta
suonando una campanella che ci sta dicendo che qualcosa si sta rompendo nel
rapporto con i lavoratori. Una rottura che è simile a quella che sta vivendo la politica,
e altre associazioni.
Solo la serietà e la correttezza dei compagni che presentavano il documento
Cremaschi, al netto delle loro tesi politiche, ha evitato di produrre ed alimentare
fratture e lacerazioni forti con i lavoratori. Nonostante la forte critica al gruppo
dirigente nazionale, questi compagni hanno dimostrato rispetto e riconoscenza al
gruppo dirigente locale, senza utilizzare il becero e volgare qualunquismo che in altre
categorie è stato utilizzato. Qualunquismo, il “tutti a casa” per intenderci, che, se
utilizzato come una clava, in certe situazioni e contesti può produrre effetti
devastanti.
Mentre, come dicevo poc’anzi, il segnale di malessere nei confronti del nostro gruppo
dirigente l’abbiamo percepito, in particolare, quando si toccava il tema della Riforma
Fornero sulle pensioni. E’ una ferita ancora aperta e ciò che noi abbiamo fatto per
contrastare quella Riforma, non ha avuto tra i lavoratori un giudizio positivo. Non ci
sono giustificazioni che tengano. Non possiamo difenderci con le difficoltà che ci sono
nel mobilitare i lavoratori: il nostro operato, come quello di tutto il gruppo dirigente,
è valutato come non adeguato!
Conclusione
Mi avvio alla conclusione. Ho l’impressione che si stia incrementando un senso
d’impotenza che, con il passare del tempo, può trasformarsi in frustrazione. Un senso
d’impotenza che, spesso, si avverte davanti a persone che si arrabbiano con il
funzionario, ma anche con il delegato, perché lo considerano responsabile della loro
situazione, poiché lo vedono come qualcuno che, in un qualche modo, rappresenta lo
Stato.
I luoghi di lavoro, negli ultimi decenni, si sono profondamente ridisegnati. Non ci
sono più coloro che sono portatori di quella cultura sindacale che hanno creato la
CGIL così come la vediamo oggi, o meglio, come la vorremmo vedere. Nell’azienda in
cui mi sono formato sindacalmente non ci sono più quei compagni di lavoro che mi
hanno “culturalmente” contaminato, quelli che tenevano le assemblee e gestivano la
contrattazione aziendale anche senza il funzionario, quelli che erano d’esempio per
tutti, sia sul lavoro che nell’attività sindacale. Io, se non avessi incontrato quei
compagni, con i loro principi ed esempi, non sarei diventato un sindacalista.
Quell’azienda, oggi, è radicalmente cambiata. E’ cambiata una generazione, ci sono
etnie diverse, giovani formati e nati dopo la caduta del Muro di Berlino, nell’era
Berlusconi.
La Cgil dovrebbe sapersi adeguare, senza perdere i valori fondamentali che fanno
parte del nostro atto costitutivo e sono il nostro Dna. Dovrebbe riorganizzarsi, nel
territorio e al proprio interno, con una nuova struttura organizzativa più semplificata
per chi ci guarda dall’esterno, che cerchi di dare risposte ai nuovi bisogni e alle nuove
richieste di aiuto, sempre più individuali e meno collettive, che i lavoratori ci
pongono.
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E’ sufficiente passare qualche ora in una Camera del lavoro di medie dimensioni ma
anche nel paesino più sperduto, per accorgersi di quanto aiuto ci venga chiesto. Tra
mille sacrifici siamo in grado di dare risposte anche molto qualificate, che non
sempre riescono a rispondere all’attuale domanda e spesso non riusciamo nemmeno
a socializzare con queste persone, perché fuori c’è la fila. Un errore: non riusciamo a
sfruttare l’occasione di parlare con chi chiede aiuto, per fargli capire chi siamo, come
siamo organizzati e cosa proponiamo.
La Cgil ha un’inestimabile ricchezza accumulata in oltre cento anni di storia, fatta di
valori, principi, professionalità ed esperienze che devono essere rimesse in gioco
anche in questa “nuova era”. Bisognerebbe ricreare, con una diversa struttura
organizzativa delle categorie e una diversa presenza nel territorio, quei nuovi
“catalizzatori generazionali” in grado di far partire la “reazione” della nuova
solidarietà e della nuova unità.
Avrei tanto voluto che il nostro Congresso avesse parlato anche di questo, purtroppo
ci siamo imprigionati in una discussione che ci ha riportati indietro, come in un
gigantesco gioco dell’oca.
Ho chiuso così la mia relazione, con poco entusiasmo e poca positività, perché sento
che stiamo sprecando un’occasione. Sento che dobbiamo radicalmente cambiare e
dovremmo avere il coraggio di rompere con gli schemi tradizionali.
Schemi tradizionali che ci fanno vivere come se fossimo su un altro pianeta, come se
vivessimo una realtà parallela a quella che vivono i lavoratori che vorremmo
rappresentare.
Se non siamo artefici del nostro cambiamento, ora e in questo contesto, ce lo
imporranno altri.
Grazie per l’attenzione
Bastiglia (MO), 20 febbraio 2014
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