CaTALOGO Direzione del Festival Paola Paoli Maresa D’Arcangelo Redazione catalogo Maresa D’Arcangelo Marinella Tucci Traduzioni Janina Casetti Sandra Bonciolini Tatiana Fedotova Anna Stryjecka Segreteria Isabella Mancini Coordinamento eventi Federica Rossi Grafica Andrea Magagnato Logistica David Gori Sito web Ozan Kamiloglu Manifesto Gianni Dorigo Mostra Manifesti Liceo Artistico L.B. Alberti di Firenze Raimondo Vacca Progetto Scuole Affetti Speciali Maresa D’Arcangelo Alessandra Vannoni Sottotitoli Concetta De Libero Marjo Pakkola Aikapro 50 Giorni di Cinema Internazionale a Firenze Coordinamento dei Festival Sveva Fedeli Ufficio stampa Elisabetta Vagaggini Coordinamento sala Odeon Camilla Toschi Coordinamento proiezioni Emilio Bagnasco INDICE p.5 editoriali p.9 I FILM p.61 Volver in Mostra: i Manifesti raccontano il Festival di Cinema e Donne di Firenze p.62 Regina Pessoa e Abi Feijó: i giganti portoghesi dell’animazione p.66 I mondi animati di Elena Petkevich p.68 Enti, sponsor e partner p.70 ringraziamenti Stella Targetti Cristina Scaletti Ho fatto un esperimento. Sono andata su google e ho scritto “donna 35 anni”. A parte la carrellata di foto di donne, i primi tre risultati sono stati: “35 anni: sentimentalmente parlando una donna è finita?”; “Secondo voi una donna a 35 anni inizia ad essere vecchia?”; “35 anni, donna e single: aiuto!!!”. Fortunatamente il quarto risultato è “Noi donne, meglio a 35 anni che a 20”! Al di là delle battute, mi sembra che perfino un piccolo esperimento come questo dica qualcosa su come viene attualmente definito – e in parte, ahinoi, anche autodefinito – il ruolo delle donne nella società. Ma, nella realtà, oggi una donna a 35 anni è e fa altre cento cose oltre alla sua vita sentimentale e alla cura del suo aspetto: lavora, ha passioni e interessi extralavoro, è madre, entra in un rapporto diverso con i propri genitori che iniziano a invecchiare... Suona banale dirlo, ma – soprattutto in Italia – purtroppo non lo è. Per questo sono così importanti appuntamenti come il Festival Internazionale di Cinema e Donne, che nei suoi 35 anni di vita (tanti auguri!) ha dato ospitalità e risalto allo sguardo femminile sul mondo. Uno sguardo che, a volerlo seguire, porta in posti molto diversi dai clichè di ieri e di oggi sulle donne. Buona visione a tutti. Questa edizione della 50 giorni di Cinema Internazionale a Firenze si apre con Cinema e Donne. Una scelta precisa, perché anche noi vogliamo dare il nostro contributo fatto di immagini e testimonianze alla battaglia contro la violenza sulle donne. Come ogni anno, da 35 anni, il festival regala al pubblico un’offerta originale e di spessore, che affronta temi delicati con sensibilità e attenzione all’attualità. In un anno tragico, segnato da un crescere di episodi di violenza e intolleranza, si fa sempre più evidente la necessità di una rivoluzione culturale. E attraverso il cinema e la sua potenza comunicativa ed emotiva possiamo partire da nuove riflessioni e dare un serio contributo alla battaglia contro ogni forma di sopruso e violenza, renderci più responsabili e in grado di agire con maggior coscienza sulla realtà. Vicepresidente - Regione Toscana Assessore Cultura, Turismo e Commercio - Regione Toscana Un grazie di cuore quindi a Cinema e Donne Auguro a tutti voi buona visione editoriali 5 Cristina Giachi Stefania Ippoliti Il Sigillo della Pace è caro a questa amministrazione. Non si tratta soltanto di un riconoscimento la cui storia ha origini lontane nel tempo e profondamente radicate nell’identità della nostra città come luogo di pace universale, ma anche di un modo per onorare il lavoro di tante autrici cinematografiche che instancabilmente affrontano nelle loro opere temi cruciali per una società che voglia essere, oltre che dirsi, costruttrice e promotrice di pace, di cultura civica, di umanità. Il Sigillo della Pace non conosce delimitazioni territoriali o tematiche, purché le premiate abbiano dedicato le loro opere alla testimonianza di situazioni di guerra, razzismo, oppressione sessista, e di un modo per superare queste criticità e i conflitti che ne derivano attraverso l’incontro delle culture, la conoscenza reciproca. Il Sigillo si affida alla prospettiva femminile perché è nato in un tempo nel quale era necessario valorizzare e far emergere tale prospettiva nel contesto di una cultura sempre fortemente schiacciata sull’orizzonte maschile. Ci piacerebbe poter dire che questo bisogno non è più attuale, ma non è così. La scelta del cinema, poi, dipende dal fatto che si tratta di una forma d’arte che bene si adatta a descrivere tutte le diversità; e la trattazione poetica dei tanti film premiati negli anni ha consentito di proporre anche ai cittadini più giovani, agli studenti, temi socialmente complessi, ma indispensabili da affrontare come la segregazione femminile, l’oggettivazione del corpo delle donne, il femminicidio. Crediamo fortemente in questo linguaggio per parlare ai giovani, sempre più bisognosi di un’attenta educazione emotiva e sentimentale. Questo è un tempo che troppo spesso suggerisce la dimensione dell’analfabetismo affettivo, e il cinema è una delle forme di espressione privilegiate per sperare di far crescere il numero dei cuori pensanti tra i nostri cittadini. Quest’anno la “50 Giorni” celebra la donna: proprio in un momento nel quale si moltiplicano in modo sempre più preoccupante e insistente i casi di violenza sulle donne, la rassegna vuole dare il proprio contributo per far sì che tutto ciò si fermi. L’idea nasce infatti dalla necessità, diffusamente avvertita, di contribuire ad alzare il livello di attenzione della società riguardo alle continue violenze che le donne subiscono in tutto il mondo e dalla consapevolezza che la cultura è lo strumento più importante perché questo avvenga. Non a caso ad inaugurare la rassegna quest’anno è stato il Festival Internazionale di Cinema e Donne, che da 35 anni valorizza le attrici, le registe e le produttrici che hanno fatto grande il cinema di tutti i tempi. Donne che hanno affermato con determinazione il proprio ruolo nella società e nel cinema, alimentando il rispetto dell’opinione pubblica per ciò che la donna è e può esprimere. Le ideatrici del festival, Paola Paoli e Maresa D’Arcangelo, sono un modello di energia perseverante e costruttiva che nel corso di tutti questi anni ha contribuito a coltivare un’idea di donna complessa e significativa come effettivamente è nella realtà; Paola e Maresa hanno fatto sì che migliaia di spettatori che hanno frequentato il festival assimilassero questa idea di profondo rispetto. La cultura e il rispetto vanno di pari passo ed è senz’altro necessario proseguire questo cammino fatto di impegno, di svago e di felicità condivisa che è la cifra del Festival di Cinema e Donne. Assessore al Turismo, Europa, Università, Ricerca, Politiche Giovanili, Pari Opportunità - Comune di Firenze 6 editoriali Responsabile Mediateca e Area Cinema - Fondazione Sistema Toscana Niente nasce dal niente e anche il nuovo protagonismo delle donne, nel cinema degli ultimi decenni, a cavallo tra due secoli, che vede entrare nel mestiere un numero considerevole di registe in ogni parte del globo, arriva da lontano. Alla fine degli anni ‘70 s’instaura una nuova relazione tra cinema e donne, che si presenta subito con delle caratteristiche molto moderne, anticipatrici di tendenze future. La prima è la consapevolezza della centralità delle comunicazioni di massa e dell’immagine e quindi del ruolo del cinema e delle donne, che in questo grande cambiamento, vogliono starci dentro con la propria diversa storia. C’è una comunità internazionale, diremmo oggi una community, che non accetta le regole del cinema dei padri e ne ricerca altre. Si tratta di un movimento di autrici-spettatrici che rivendica visibilità e spazi per le donne, innanzi tutto, ma anche una nuova creatività nelle storie e nei linguaggi. Dagli Stati Uniti alla Germania, passando per la Francia e l’Italia, insomma l’Europa, si presenta ovunque con la stessa forza collettiva dei gruppi che nascono dal movimento femminista e mixano estetica e politica, con le parole d’ordine: soggettività, sguardo, sperimentazione. Questo noi, che confligge con la solitudine dell’artista, ma che lega benissimo con la coralità del fare cinema e con la pratica del vedere e fare insieme, agisce già secondo la pratica della rete. La community, infatti, crea alcuni Festival, tra cui il nostro, che subito interagiscono, come luoghi in cui si sperimenta questo rapporto tra autrici, spettatrici e spettatori, per far crescere il dialogo e il confronto con pubblico e critica, un posto in cui la donna è al centro di un nodo problematico e non più soltanto un oggetto di piacere visivo. Un processo che s’immagina, come in effetti è ed è stato, di lungo corso e che necessita di riferimenti e di azione nel tempo e nello spazio. In primo luogo, ovviamente, guarda al lavoro di più generazioni di avanguardie. Non necessariamente e solo i film degli anni Sessanta, da cui nasce il cinema moderno e neppure solo quello degli anni Settanta, antiautoritari e sovversivi. Fin dall’inizio, lo sguardo del Festival è attento al Novecento del cinema e alla trasmissione della memoria femminile tra le generazioni. Riscopre e rimette in circolo le pioniere del cinema internazionale, da Matilde Landeta in Messico, Esfir Sub in Urss, Maria Luisa Bemberg in Argentina, almeno una importante in ogni cinematografia, in tutto il pianeta, di cui i dizionari riportano, quando va bene, appena brevi note. Indaga per decenni: gli anni ’20, ad esempio, che videro l’emersione di una donna nuova, la garçonne con gonna e capelli corti e il lavoro corrosivo dei surrealisti, che la francese Germaine Dulac raccontò in celebri film. Riporta alla luce lo spessore sociale e culturale dell’immagine femminile attraverso una genealogia di attrici emblematiche, a partire dalla danese Asta Nielsen, la grande diva del Nord negli anni ‘10, fino a Mariangela Melato, accomunate da una stessa figura essenziale e tutta occhi. Nel cinema italiano, internazionalmente rilevante fino alla prima guerra mondiale, si ritrovano le dive del muto, prima di tutte Lyda Borelli e insieme la sapienza artigianale di alcune autrici dimenticate, tra cui Elvira Notari, che con la complicità del marito Nicola e del figlio Gennariello, crea dei mélo napoletani che diventano grandi successi di pubblico nell’America del Sud. In Europa, l’era della sperimentazione degli anni ’70 e ‘80 ha due nomi: Chantal Akerman e Margherite Duras, che firmano film di culto, come Jeanne Dielman e India editoriali 7 Song, ma anche Coline Serreau, con la commedia sociale Tre uomini e una culla e Margarethe Von Trotta con il suo approccio nuovo alla storia della Germania: Anni di piombo. In Italia, Lina Wertmüller, la commedia Film d’amore e d’anarchia, Liliana Cavani, Giovanna Gagliardo. Il film di Muzzi Loffredo Occhio nero, occhio biondo, occhio felino. Per la prima volta appare una nuova generazione di registe: Francesca Archibugi, Cristina Comencini, Francesca Comencini, Fiorella Infascelli, Wilma Labate, Barbara Barni, Liliana Ginanneschi, Antonietta De Lillo, Roberta Torre, Emanuela Piovano, Anna Negri, Alina Marazzi, Isabella Sandri, Daria Menozzi, Elisabetta Lodoli, Cinzia Th Torrini già realizzano primi film promettenti. Annabella Miscuglio trova la sua cifra tra documentazione e sperimentazione, Rosalia Polizzi esordisce nella finzione. Storia del cinema, storia delle donne e storia di genere s’intrecciano in percorsi innovativi, ridisegnando la mappa del cinema come luogo di scoperte, ma anche di sacrosante rivendicazioni, perché il numero delle registe e delle donne che fanno cinema, in tutto il mondo, è ancora molto basso, come ben si vede nella selezione delle grandi competizioni di Cannes e Venezia. Il Festival guarda ad Est con la passione di andare oltre i muri delle convenzioni politico-geografiche: Marta Mészàros e Lana Gogoberidze ma anche Kira Muratova e Leida Lajus, tutte maestre della grande tradizione russa e poi ungherese, ucraina, estone, georgiana, polacca, ceca e slovacca. Ma anche a Sud: Africa del Nord e Sub Sahariana, la Spagna e l’America Latina, dove affiorano talenti internazionali come Moufida Tlatli, Fanta Regina Nacro, Maria Novaro. Gli anni 90’ e i primi anni del secolo sono dominati dai veli dell’Iran, con una pleiade di autrici di cui Rakhshan Bani Etemad è la punta di diamante, ancora oggi. Ma a poco a poco diventa più interessante la Turchia, che sforna ogni anno nuove registe e sicuramente il Marocco di tante autrici. Anche il Libano ha la sua maestra del cinema che è Jocelyne Saab. Oggi, come ieri, c’interessa attraversare i confini invi8 editoriali sibili che dividono gli uomini dalle donne, ma anche la montagna e la città: Séverine Cornamusaz, o il passaggio tra vita e morte, in una casa e in un giardino polacco: Dorota Kedzierzawska; certo anche quelli che separano e uniscono il Marocco all’Europa: Farida Benlyazid e Kadija Leclere (Sigillo della Pace 2013). Quelli tra povertà e ricchezza della politica e della società di Dominique Cabrera e quelli tra vecchiaia e giovinezza di Fabiana Sargentini. Nel film di Marion Hansel l’on the road tra Belgio e Francia, ancora tra città e montagna, dà spiegazioni sul senso della maturità nella relazione tra donna e uomo e la commedia ceca di Marie Polednáková, deve trovare un altrove per mettere in scena la stessa conquista ed è ancora il Marocco. Iveta Gròfovà situa nella città di Aš, al confine tra Repubblica Ceca e Slovacca, molto vicina alla ricca Germania, il sogno e la realtà delle giovani donne di ora di lavorare dignitosamente dopo il diploma. Helga Reidemeister, tra le più importanti documentariste tedesche, negli ultimi anni oltrepassa molte frontiere per arrivare al cuore della tragedia della vita quotidiana in Afghanistan. Attraversare i confini anche materiali dell’immaginazione è la specialità di Regina Pessoa, la regina portoghese dell’animazione mondiale. Infine, Nadia El Fani, Sigillo della Pace 2013, nella sua sfida alla malattia e all’integralismo in cui è caduta la sua Tunisia, ricorda la lezione di Victor Hugo: “Sono vivi solo quelli che lottano”. Paola Paoli Maresa D’Arcangelo Direzione Festival Internazionale di Cinema e Donne I FILM A tavola si cresce Italia/Germania, 2012/2013, digitale col., 40’ Regia: Sveva Fedeli Progetto esecutivo: Giovanna Malavolti, Antje Bostelman Consulenza pedagogica e testi: Penny Ritscher Coordinamento pedagogico servizi educativi alla prima infanzia del Comune di Firenze Produzione: Comune di Firenze, FST Mediateca, KLAX Berlino. Il pranzo educativo al Nido è un esempio di convivenza civile. Il rito della tavola è parte della nostra cultura e deve essere custodito e tramandato. Il tema del film è cosa si mangia e come si mangia e l’esperienza formativa proposta aiuta ad instaurare un rapporto sano e piacevole con la tavola. Perché ciò avvenga, occorre una regia educativa della situazione pranzo, bisogna essere consapevoli della complessità di questo momento e della sua potenziale ricchezza esperienziale dichiara la pedagogista Penny Ritscher consulente per il progetto del video. Il film è composto da una selezione di esempi, con l’intenzione di offrire un modello di riferimento, traccia utile per la definizione del Pranzo al nido nelle Linee guida per i Servizi educativi alla prima infanzia del Comune di Firenze e per i servizi educativi della KLAX di Berlino. SVEVA FEDELI Sveva Fedeli, fiorentina, è laureata al DAMS. Autrice di cortometraggi didattici, documentazione e video arte. Nel 1984 inizia a collaborare con il Comune di Firenze per il settore formazione del personale degli Asili Nido. Utilizza le sue competenze nell’audiovisivo per realizzare strumenti innovativi per i professionisti della cura e della crescita di bambini da 0 a 3 anni. Produce I bambini e l’acquaticità, Il gioco Euristico e A tavola si cresce. i film 11 Anfang Juni GIUGNO è IN ARRIVO - Germania, 2012, 16 mm col., 11’ Regia, sceneggiatura e montaggio: Kerstin Neuwirth Fotografia: Simon Rittmeier Interpreti: Asja Holl, Irina Potapenko, Ingrid Neuwirth, Jürgen Sarkiss Produzione: Academy of Media Arts Cologne Tra il sogno e la realtà: un eterno ricordo. I gesti antichi del lavoro nei campi. Un tempo sospeso tra il verde di erba e acqua. Le mele cadute galleggiano nello stagno e un’inquietudine, leggera come la foschia, aleggia su persone e cose. In un quadro forte e ricco di atmosfera, Kerstin Neuwirth crea un misterioso microcosmo. Donne di generazioni diverse si muovono mute in un ampio giardino. Si sente solo il suono della natura. Che relazione c’è tra i presenti, come è entrato l’uomo? È possibile uscirne? La regista volutamente tiene lo spettatore alla distanza necessaria per lasciare spazio all’interpretazione di ciascuno. 12 i film Kerstin Neuwirth Kerstin Neuwirth è nata nel 1986 a Wolfsberg in Austria. Nel 2006 si diploma in Product-Industrialdesign presso Höheren Technischen Bundeslehranstalt for Arts and Design di Graz. Studia Storia dell’Arte all’Università di Vienna e dal 2008 all’Academy of Media Arts di Colonia. Filmografia Hotel Uschi (cortometraggio, 2011); Bird Control (cortometraggio, 2012); Anfang Juni (cortometraggio, 2012). Až do mesta Aš Fino alla città di Aš - Repubblica Ceca/Slovacchia, 2012, DCP col., 84’ Regia: Iveta Grófová Sceneggiatura: Iveta Grófová, Marek Lešcák Fotografia: Viera Baciková Montaggio: Maroš Šlapeta Musica: Matej Hlavác Interpreti: Dorota Billá, Silvia Halušicová, Robin Horký Produzione: Protos Productions, Endorfilm Punkchart Aš è una cittadina industriale non distante da Praga. Siamo a poca distanza dal confine con la Germania. L’industria tessile impiega anche ragazze e donne che provengono di paesi vicini. Tra queste arriva Dorotka, originaria dalla Slovacchia orientale dove ha un ragazzo a cui vuol bene ma dove non riesce a trovare un lavoro decente. Pensa di costruirsi una nuova vita fatta di dignità e moderato benessere lavorando in fabbrica come sarta. Una delle sue compagne, Silvia, le fa conoscere un altro aspetto della vita di Aš quello degli uomini tedeschi che vengono in città in cerca di compagnia per divertirsi senza spendere troppo. Ho vissuto ad Aš dopo il diploma in questo ambiente e volevo far capire perché le giovani donne fanno compromessi con i loro valori e dimenticano i sogni. Per me era importante cogliere nel modo più autentico possibile le motivazioni che spingono una ragazza a scelte dure, apparentemente amorali. Con Viera Bacikova, la mia direttrice della fotografia, avevamo lavorato a dei documentari e pensavamo di trattare questo soggetto nello stesso modo, facendone, appunto, un documentario. Presto, però mi sono resa conto di cosa era importante per me: volevo parlare di una ragazza in particolare, non fare discorsi generici, mostrare come poteva cambiare la sua vita in determinate circostanze. Era tutto troppo intimo e, se volevo raccontare questa storia, dovevo passare per la fiction pur cercando di mantenere uno sguardo naturalista che fosse il più vicino possibile allo stile documentario. Iveta Grófová Iveta Grófová Iveta Grófová (Trencín, 1980) si è diplomata presso la facoltà di Film d’animazione (2004) e Film documentario (2009) dell’Accademia di arti dello spettacolo VSMU di Bratislava. Ha girato cortometraggi documentari, un cortometraggio animato. Až do mesta Aš è il suo primo lungometraggio di finzione ed è stato presentato all’International Film Festival di Karlovy Vary 2012 nella sezione in concorso East of the West. Filmografia Aspon, že tak (Perlomeno, 2003); Bolo nas 11 (Eravamo in 11, 2004); Politika kvality (La politica della qualità, 2005); Nazdar particka (Addio partito, 2005); Gastarbeiteri (Lavoratori stranieri, 2007); Až do mesta Aš (Fino alla città di Aš, 2012) i film 13 Ça ne peut pas continuer comme ça! Francia, 2012, digitale col., 95’ Regia: Dominique Cabrera Sceneggiatura: Dominique Cabrera, Olivier Gorce Montaggio: Marc Daquin Interpreti: Aurélien Recoing, Sylvia Bergé, Serge Bagdassarian, Denis Podalydès, Jean-Baptiste Malartre, Gilles David, Muriel Mayette, JulieMarie Parmentier, Bakary Sangaré, Nâzim Boudjenah, Suliane Brahim, Félicien Juttner, Stéphane Varupenne, Eliott Jenicot, Frédérique Lantieri Produzione: France 2, M.F.P., Comédie-Française Premio Gilda attrice a Sylvia Bergé Motivazione Splendida figlia d’arte e “attrice societaria” dell’immensa Comédie-Française, felicemente ed entusiasticamente coinvolta nel ruolo di moglie del Presidente della Repubblica francese dalla regista Dominique Cabrera. Commedia fantapolitica in cui il Presidente della Repubblica Francese decide di realizzare le riforme più avanzate possibili per mettere fine a sfruttamento e povertà nel suo paese. Non è impazzito, soltanto sa di essere gravemente malato e di non aver molto tempo da vivere quindi osa fare quello che ritiene giusto senza farsi condizionare da nulla e nessuno. Ma non ha più la forza di agire in prima persona e deve, per questo, cercare una controfigura. Gli suggeriscono un attore della Comédie-Française, Vincent, un tipo poco coraggioso e abituato a interpretare ruoli di secondo piano. L’attore inizia in modo ingenuamente professionale poi entra nella parte a tal punto da fare e determinare scelte. Grande offerta di attori di teatro poco visti al cinema, tutti membri della gloriosa Comédie-Française, che dal 1680 fa da specchio alla società e al potere in Francia. L’idea del film, come l’autrice stessa dichiara, deve qualcosa a Il Grande dittatore di Chaplin. C’è un sosia che prende il posto di un uomo di Stato e si rende conto, un po’ per volta, che la condizione privilegiata in cui si trova e soprattutto l’accesso ai media gli permettono di modificare in 14 i film qualche modo l’ordine delle cose. Chaplin, però, di fronte alla tragedia usa i toni della farsa che volge al finale in idealismo. Cabrera affronta la mediocrità e la debolezza della politica contemporanea, sa che c’è più da riflettere che da ridere ma non rinuncia all’ironia e la seconda parte del film è addirittura commovente. Rimette la politica al centro del discorso e denuncia con chiarezza come la maggior parte delle ‘politiche’ siano oggi più al servizio degli interessi della finanza che al servizio dei popoli. Utilizza così la bella metafora dell’attore che getta la maschera e riprende il controllo - il potere? - sulla sua vita (il suo corpo, la sua voce) e si assume la responsabilità di quello che dice. La favola dunque ci parla del ruolo fondamentale che hanno (o dovrebbero avere) intellettuali ed artisti nella richiesta di un ordine politico e sociale più giusto e della possibilità della ribellione, degli ideali, forse dell’utopia. Con grande senso del ritmo e raffinatezza di testi Cabrera torna all’energia militante dispiegata nel bel film politico del 1999 su scioperi e scioperanti Nadia et les hippopotames. Finalmente un film dove il Presidente della Repubblica decide di aumentare i salari minimi e le pensioni sociali del 20% e di adottare delle misure radicali per mettere fine alla miseria, mandando al diavolo le agenzie di rating... Adeline Lamberbourg Dominique Cabrera Dominique Cabrera è nata in Algeria ed è arrivata in Francia nel 1962. Studia Lettere Moderne all’Università e poi si diploma presso l’IDHEC nel 1977. Lavora come montatrice nelle emittenti regionali di FR3 e allo stesso tempo, segue corsi di teatro. Il primo documentario, del 1981 è Je droit à la parole, uno sguardo su come si organizzano gli affittuari in una città di transito, alla periferia parigina. Di seguito, altri documentari che l’hanno fatta conoscere per il suo sguardo originale sulla vita sociale, come Chronique d’une banlieue ordinaire, Une poste à la Courneuve o anche Rester las-bas, in cui approccia uno suoi temi chiave: i legami tra la Francia e l’Algeria, attraverso il ritorno di quelli che sono rimasti laggiù. Per Dominique Cabrera non esiste una frontiera tra il documentario e la finzione. Realizza in questo senso, nel 1995, il documentario Demain et encore demain, un film autobiografico, diario di una cineasta in preda a dubbi e angosce, che uscirà solo nel 1998. Nel 1996 dirige Claude Brasseur in L’autre coté de la mer, il suo primo lungometraggio a soggetto, un film nostalgico e largamente autobiografico, sulla perdita di radici di una comunità di pied-noirs algerini. Nel 1999 gira Nadia et les hippopotames, protagonista Ariane Ascaride, sugli scioperi francesi dell’inverno 1995, presentato a Cannes nella sezione Un Certain Regard. Nel 2001 gira Le lait de la tendresse humaine con Marlyne Canto e nel 2004 Folle embellie. Filmografia Je droit à la parole (1981); L’air d’aimer (1985); La politique du pire (1987); Ici là-bas (1988); Un balcon au Val Fourré (1990); Chronique d’une banlieue ordinaire (1992); Rester las-bas (1992); Traverser le jardin (1993); Rêves de ville (1993); Réjane dans la Tour (1993); Une poste à la Courneuve (1994); L’autre côte de la mer (1996); Demain et encore demain (1998); Nadia et les hippopotames (1999); Le lait de la tendresse humaine (2001); Folle embellie (2004); Quand la ville mord (2009); Ranger les photos (2009); Ça ne peut pas continuer comme ça (2012); Ô Heureux Jours (2013). Quando ho incontrato Dominique Cabrera avevo appena visto il suo film Le lait de la tendresse humaine che mi aveva sconvolto. L’argomento di questo film era molto delicato e il rischio era di cadere nel pathos o nel sentimentalismo di cattivo genere. Non soltanto la regista ha evitato queste trappole ma è anche riuscita a dotare il film di uno humor caustico. Ho amato il suo modo di guardare le donne. In Ça ne peut pas continuer comme ça!, i personaggi femminili erano meno determinanti. Le ho detto che avrei voluto assumere il ruolo della moglie del presidente ma mi auguravo che lei non rimanesse una semplice vittima del complotto previsto dalla sceneggiatura iniziale. Dominique ha semplicemente cambiato il senso di una frase permettendo a questo personaggio di evolversi, di ribellarsi più chiaramente contro il ruolo di bella statuina nel quale il protocollo la imprigionava, di prendere in mano il suo destino e divenirne infine padrona. È il personaggio che finisce per tirare le fila della vicenda riuscendo ad avere la meglio su quelli che credono di essere i padroni del gioco. Dominique mi ha dato con questo ruolo, la possibilità di recitare su una larga gamma di registri: dall’emozione alla collera passando per la commedia. Davvero un bel regalo per l’attrice che sono, abituata al modo di recitare in teatro. Con lei ritrovo il piacere di passare da uno stile all’altro, cosa che facciamo senza sosta alla Comédie Française… Sylvia Bergé Sylvia Bergé, nota biografica Figlia di Georges Descrières, Doyen della Comédie-Française, e dell’attrice Geneviève Brunet, Sylvia Bergé è anche figlioccia di Jacques Charon. Decide di consacrare la sua vita al teatro dopo studi di lingue, canto e disegno. Entra, nel 1982, al Conservatorio Nazionale Superiore d’Arte Drammatica di Parigi. Recita per Jean-Louis Barrault et Philippe Adrien prima di essere ingaggiata dalla Comédie-Française per interpretare Elena in La guerra di Troia non si farà messa in scena da Raymond Gérôme e l’anno dopo è Eliante nel Misantropo messo in scena da Simon Eine. Da allora le sue interpretazioni di classici e contemporanei sotto la direzione di prestigiosi registi non si contano. Entrata nella Comédie-Française il primo dicembre 1988, Sylvia Bergé ne diviene, nel 1998, la 496ª sociétaire. Attrice, ma anche artista lirica recita, oltre che nella ComédieFrançaise, anche in altri numerosi teatri. Prende parte ad importanti festival musicali. Partecipa a letture ed eventi legati alla letteratura e al canto. i film 15 Coeur Animal Svizzera/Francia, 2009, 35 mm col., 90’ Regia: Séverine Cornamusaz Sceneggiatura: Marcel Beaulieu e Séverine Cornamusaz Fotografia: Carlo Varini Montaggio: Daniel Gibel Musica: Evgueni Galperine Interpreti: Olivier Rabourdin, Camille Japy, Antonio Buil, Alexandra Karamisaris Produzione: P.S. Productions, ADR Productions Paul è un pastore duro e chiuso come le rocce del paesaggio alpino, peraltro bellissimo, dove alleva il suo gregge. Ama la natura e i suoi animali che capisce e cura con attenta sensibilità. Capisce di meno le necessità e i desideri di Rosine, sua moglie, che divide con lui il letto e la solitudine dell’alpeggio in quota. Da lei si aspetta figli, lavoro indefesso e obbedienza assoluta. Non accetta che possa ammalarsi e non eseguire i suoi compiti ma non può fare a meno di prendere un lavorante che la sostituisca quando lei non più aiutarlo. Il nuovo arrivato si chiama Eusebio ed è spagnolo. È forte e duro anche lui ma non pensa solo al lavoro, e il suo modo di fare impone un confronto con un altro modello maschile più complesso e comunicativo che fa intuire a Rosine ma anche al Paul la possibilità di altre modalità di relazione. Rosine lascia l’alpeggio e torna in città. Paul deve iniziare un percorso arduo e incerto, mettere in crisi il suo universo di arcaici valori, riconoscere i suoi limiti e imparare i gesti del rispetto e dell’amore. Note di regia Mi interessano particolarmente, personaggi senza maschera sociale perché permettono di rivelare in modo brutale e diretto la realtà dei rapporti di odio e d’amore che si stabiliscono all’interno di una coppia. Il personaggio di Paul, la sua brutalità, il suo funzionamento arcaico, permette di mettere a fuoco questo meccanismo che, alla fine, è universale. L’atmosfera del film presenta una costante densità drammatica ma questo non esclude l’umorismo che è importante e 16 i film spesso salvifico e costruttivo. Paul e Eusebio hanno entrambi un rapporto particolare con la lingua francese: Paul con la sua immensa paura delle emozioni utilizza per organizzare i suoi ragionamenti un francese di base proprio terra terra, ed Eusebio, date le sue origini spagnole, parla un francese esotico. Questo contrasto così come le differenze culturali provoca situazioni comiche. Ma questo umorismo può anche diventare aspro quando Paul non riesce a stabilire una relazione con la realtà che lo circonda e rimane prigioniero della sua follia. Paul è capace di un umorismo crudele che dirige verso una vittima potenziale. Il décor del film, il paesaggio e quello che contiene, è un alpeggio montano, selvaggio, duro, capace di far da cassa di risonanza ai sentimenti che attraversano i personaggi. Questo mi ha permesso di spingermi molto in là. In più questo posto aveva anche un sapore un po’ western, paesaggio sontuoso ma certo non da cartolina con un clima dai rapidi cambiamenti che lo rendeva instabile e in qualche maniera faceva pensare alle origini del mondo… Mi sono ben guardata dal cliché della montagna Svizzera: uno chalet di legno con i gerani al balcone e in secondo piano tre mucche che brucano serenamente l’erba. Nel film gli edifici sono di pietra e si potrebbe essere in qualsiasi altro luogo, magari in Slovenia. Ho cercato di fare un lavoro di astrazione creando un’oscillazione costante tra naturalismo e falso naturalismo… Per quel che mi riguarda sono davvero vissuta in alta montagna con i miei nonni ma le cose sono cambiate moltissimo. Io ricordavo gesti regali di falci che tagliano l’erba e sono piombata in una realtà in cui si fa tutto con le tecnologie e quindi niente a che vedere con le immagini di paradisi perduti. Per gli attori ho preferito lo choc. Arrivati dalla città li ho immediatamente portati al pascolo delle mucche: immersione totale. Li ho fatti incontrare con la gente della montagna cercando di avvicinarli a questo universo. Sul set avevamo anche un contadino del posto per verificare che i gesti fossero giusti. Non ho mai creduto per un solo istante al binomio boia-vittima. Paul non è abbastanza “sofisticato” per essere “perverso” nella sua violenza. È un handicappato emozionale che non ha mai imparato a stare con gli altri. Si capisce di più con gli animali. Rosine certamente è più sottile ma possiamo immaginare che anche lei sia fuggita dal suo ambiente di origine. All’inizio deve esserci stata una storia d’amore, forse un colpo di fulmine. Penso che Paul e Rosine abbiano vissuto un momento bello della loro vita ma quando inizia il film sono una coppia disfunzionale. La relazione tra i due si deteriora perché Paul è disorientato da ciò che non controlla. Quando le cose sfuggono al suo controllo diventa violento. Non possiede gli strumenti per adattarsi alle situazioni affettive e umane… All’inizio Paul sembra proprio un mostro, impossibile da amare eppure il punto di vista che ho scelto per il film è unicamente il suo. Mi rendo conto che non si può fare a meno di rifiutare quasi tutto quello che fa. Poi però si comincia ad avvertire la sua sofferenza profonda. Un po’ per volta lo scopo del film è quello di farlo amare almeno un po’. Non mi piacciono i personaggi “lisci”, semplici, preferisco quelli rugosi, primitivi, anche se certo non trascorrerei il mio tempo con Paul. L’origine del film è un libro che s’intitola Rapport aux bêtes di Noëlle Revaz. Ma anche una storia di famiglia che mi ha raccontato mia madre e che riguardava i suoi genitori. Tutto accadeva in montagna negli anni ’60 e avevo sempre desiderato di realizzare un film su questo argomento. Questa storia continuava a girarmi in testa quando sono incappata nel libro di Revaz. Alla seconda pagina ero già innamorata del personaggio di Paul. L’universo della vicenda era molto simile a quello della mia storia di famiglia e io, ingenuamente ho pensato che, per un primo film, fosse meglio adattare un libro che mettere giù una sceneggiatura su cinque anni con dei bambini che crescono. Poi ho capito che avevo scelto un libro inadattabile di una qualità eminentemente letteraria, il linguaggio particolare creato per il personaggio di Paul. Me ne sono accorta poco per volta e adesso direi che ho creato una sceneggiatura liberamente ispirata al libro, praticamente un’altra sceneggiatura. Non volevo proprio fare un film letterario, era il cuore di Paul che mi interessava. Per fortuna avevo altre motivazioni, diverse da quella di adattare un libro, altrimenti avrei gettato la spugna. L’elemento misterioso è questa mia nonna, la madre di mia madre che non ho mai conosciuto. A volte ho l’impressione di portare il suo lutto. Lei è là, mi segue. D’altra parte è a lei che ho dedicato questo film, e Rosine, il mio personaggio femminile, porta il suo nome. Séverine Cornamusaz Séverine Cornamusaz Séverine Cornamusaz è nata nel 1975 a Losanna. Diplomata alla Scuola di Fotografia di Vevey. Fà il suo apprendistato alla New York Film Academy grazie a un master di regia a Varsavia, con Andrzej Wajda. Dal 1996 al 2005, ha diretto alcuni cortometraggi e ha lavorato come montatrice. Coeur animal è il suo primo lungometraggio a soggetto e risale al 2009. Ha ricevuto il Premio del Cinema Svizzero Quartz 2010 per miglior film e miglior attore e altri premi in festival internazionali. Il suo nuovo film Cyanure è uscito nelle sale in Svizzera e in Canada a febbraio del 2013. Filmografia Inside (cortometraggio, 1996); Intrusions (cortometraggio, 1997); Family bondage (cortometraggio, 1998); La moto de ma mere (cortometraggio, 2003); Crossing paths (cortometraggio, 2006); Coeur animal (2009); Cyanure (2013). i film 17 Consuelo Colombia, 2012, HD col., 15’ Regia e sceneggiatura: Natalia Helena Morales Herrera Fotografia: Cristian Poloche Gil Montaggio: Ginés Velázquez Musica: Camilo Pineda, Fabián González Interpreti: Consuelo Coronado, Luz Helena Herrera, María Gloria Arias Vedove in Colombia, preghiere, cimitero e fiori, ma anche lavoro, arte, canto, parola e condivisione. La morte fa parte della vita. Omaggio alle “miracolose” donne di Fusagasugá che giorno dopo giorno crescono i propri figli, sole. 18 i film Natalia Helena Morales Herrera Natalia Helena Morales Herrera è attrice e regista colombiana, nata a Fusagasugá Cundinamarca 29 anni fa. La sua formazione come attrice inizia nella Casa del Teatro Nazionale di Bogotà, continua poi avendo come illustri maestri: Rubén Di Pietro, Vilma Sánchez e Andrea Castaño. Si trasferisce a Buenos Aires per studiare Cinema presso la Escuela Nacional de Experimentación y Realización cinematográfica (ENERC). Nella capitale argentina, lavora due anni per Canal MTV Latinoamérica e realizza la sua prima regia teatrale, la commedia Ciclodiética. Il suo lavoro con la comunità colombiana inizia nel 2011 con il gruppo artistico AMCA, associazione di donne colombiane in Argentina con cui scrive e dirige tre opere su tre diverse regioni del paese: Rosas, Tomates y Folklore, Arrullos para Soñar e Oro. Con il suo primo cortometraggio, Consuelo, ha partecipato a festival cinematografici in Cile, Messico, Colombia, Spagna, Argentina e Italia. Cyanure Svizzera/Canada, 2013, 105’ Regia: Séverine Cornamusaz Sceneggiatura: Marcel Beaulieu, Séverine Cornamusaz Fotografia: Carlo Varini, Montaggio: Daniel Gibel Musica: Luc Sicard Interpreti: Alexandre Etzlinger, Roy Dupuis, Sabine Timoteo, Ludivine Geschworner, Christophe Sermet, Thierry Jorand, Marco Calamandrei, Lionel Frésard, Isabelle Caillat, Michel Demierre Produzione: P.S. Productions. l rapporto tra padri figli e la trasmissione di valori e modelli di comportamento sono al centro di questo film. Temi forti e importanti per Séverine Cornamusaz che sembra prediligere il confronto con figure maschili borderline per impostare i suoi teoremi. Questa volta c’è un figlio che, per la prima volta, incontra suo padre appena uscito di prigione. Fa il possibile attirare l’attenzione dell’uomo che all’inizio non lo considera granché. L’incontro avviene ed è pericoloso. Achille ha 13 anni è vissuto da solo con la madre, adora i manga e i film d’azione e ha fatto del padre il suo eroe. Inoltre spera che con l’arrivo del potente gangster la famiglia torni unita. Scoprirà la vera natura di questo padre idealizzato e ne prenderà le distanze. È il passaggio di quella che Conrad chiamava “linea d’ombra” che segna la fine dell’adolescenza e l’inizio della vita adulta. Il padre non sarà più il suo eroe, né un modello da ammirare e imitare ma accetterà di amarlo per quello che è, sbagli e debolezze comprese. Note di regia L’idea di Cyanure nasce da un libro di fotografie sull’ambiente carcerario in Belgio. Accanto a ogni immagine una leggenda, una storia. Una di queste mi ha particolarmente colpito. Era la cella di un plurirecidivo. La sua storia, piuttosto sconvolgente. L’uomo che non sopportava più il carcere aveva chiesto al figlio di trovargli una dose di cianuro. Il ragazzo avrebbe dovuto darne la metà a un grosso cane. Se il cane fosse morto l’altra metà l’avrebbe consegnata a suo padre. Questa richiesta disperata era, ovviamente, il punto di arrivo del film. Bisognava inventare l’inizio. Paul, il protagonista di Coeur Animal, e Joe, protagonista di Cyanure, si assomigliano. Joe è più vivace ma anche lui taciturno. Mi piacciono i personaggi semplici senza maschera sociale, senza filtri, poco borghesi, impulsivi, mi sembrano più cinematografici. Questi due uomini in fondo sono vicini a certi personaggi di film degli anni Settanta (Taxi Driver, Il padrino) dei bruti che possono farsi amare dallo spettatore. Per Coeur Animal mi ci sono voluti dieci anni di lavoro per avvicinarmi al risultato che cercavo. Per Cyanure sceneggiatura e realizzazione sono state rapide. D’altra parte questa volta non partivo da un libro ma da una suggestione reale e, per inventare una storia, non hai alcun problema di “lealtà verso l’autore”. Quando mi chiedono come mai c’è nel film un’irruzione di animazioni manga rispondo sempre con una battuta: c’erano pochi soldi e da un certo punto di vista è vero che gli effetti speciali di tipo hollywoodiano costano un sacco di soldi. Ma in realtà i manga corrispondono ad un aspetto della vita di Achille il figlio adolescente di Joe che divora manga, ama i film di azione, e sogna avventure movimentate. Così con la fantasia distrugge Alexis il nuovo amico della mamma, riducendolo in cenere. Proprio una situazione da manga. A proposito di fantasmi e omicidi è vero anche che Achille “uccide” l’idea che si era creato del padre. Ma in modo positivo alla fine accetta i problemi e i deficit di suo padre e decide che si può amare anche così, naturalmente in questo modo è libero dal dovere di obbedirgli sempre. Séverine Cornamusaz Biografia e filmografia dell’autrice a pag.17 i film 19 Dresden USA, 2013, DVD col., 5’ Regia, fotografia, montaggio: Tahnee Gehm Sceneggiatura: Tahnee Gehm, Cliff Hines Musica: Cliff Hines. Il terribile bombardamento di Dresda, i cui orrori sono indicibili, proposto in un’animazione appunto senza parole. Memoria della tragedia e monito per quanti, con scarsa consapevolezza e nulla coscienza, ripropongono la normalità della guerra. 20 i film Tahnee Gehm Tahnee Gehm, autrice di film d’animazione vanta una ricca esperianza da illustratrice. Ancora studente, ha realizzato due film animati, illustrato libri per bambini e altre publicazioni. Designer di numerosi siti web e marchi industriali. Si è laureata nel 2012 in Character Animation. Drops Italia, 2012, col., 7’ Regia, sceneggiatura e montaggio: Emanuela Mascherini Fotografia: Alan Colins Musica: Giulia Mazzoni Interpreti: Emanuela Mascherini, Lexy Marsh, Luigi Campi Produzione: Drops’ Film. Un rubinetto rivela che ci sono cose che non riesci a confessare neanche a te stesso. La surreale e divertente vicenda che capita a una coppia di giovani a New York. Emanuela Mascherini Emanuela Mascherini è nata a Firenze e vive tra Roma e Firenze. È attrice e autrice. Nel 2005 si diploma in recitazione presso il Centro sperimentale di cinematografia e nel 2007 si laurea in Scienze Politiche con indirizzo media e comunicazione. Nel 2012 consegue un Master in digital filmaking presso il NYFA di New York. Fin da adolescente lavora come attrice in teatro, televisione e cinema, tra le esperienze più importanti si ricordano: il film da protagonista Ombre di Tessa Bernardi, il docufilm I gabbiani, da un adattamento de Il gabbiano di Cechov, per la regia di Francesca Archibugi, i film Cenci in Cina di Marco Limberti, Dieci ragazze di Tessa Bernardi, le fiction Raccontami, Il mostro di Antonello Grimaldi, Provaci ancora prof di Tiziana Aristarco. Al suo percorso di recitazione si affianca da alcuni anni quello di scrittrice. La sua produzione artistica e narrativa si caratterizza per l’attenzione e la ricerca espressiva sull’identità femmile e il rapporto uomodonna. Questi alcuni titoli: Non ci casco più! (ed. Kowalski-Feltrinelli 2012); Memorie del cuscino (ed. Castelvecchi 2009); Glass ceiling, oltre il soffitto di vetro. Professionalità femminili nel cinema italiano (ed. Edimond 2009); Un pittore senza tempo (pubblicato in Storie da legare di Ascanio Celestini, ed. Della Meridiana 2008). In ambito cinematografico, il suo primo cortometraggio è Nerofuori con Francesco Baccini. Offline, il suo secondo corto, fa parte di un percorso di ricerca sul rapporto uomo-donna. Luna semprestorta, un corto “no budget” racconta il punto di vista femminile ai tempi della crisi. Recentemente ha girato Dinamite, un documentario di ricerca sulle povertà estreme. I suoi lavori, in ogni ambito, sono stai mostrati e premiati in numerosi festival. Filmografia Nerofuori (cortometraggio, 2008); Offline (cortometraggio, 2009); Luna semprestorta (cortometraggio, 2011); La formazione teatrale (documentario, 2012); Drops (cortometraggio, 2012); Dinamite (documentario, 2012). i film 21 En la casa, la cama y la calle Nicaragua/Canada, 2013, HDV col., 35’ Regia e sceneggiatura: Liz Miller Montaggio: Liz Miller, Julian Ballester, Augusto Blandón Fotografia: Liz Miller, Deborah Vanslet Musica: Ricardo Wheelock, Katia Cardenal Interpreti: le componenti del gruppo Puntos de Encuentro Produzione: Red Lizard Media. Dal Nicaragua, un piccolo paese con una storia rivoluzionaria, viene una irresistibile, ambiziosa e seguitissima serie TV. Il documetario En la casa, la cama y la calle segue un vivace gruppo di donne, Puntos de Encuentro, che lavora per mettere fine alla violenza sulle donne in casa, nel letto e per le strade, attraverso una potente miscela di grande pubblico televisivo e comunità organizzata. Creata da donne e mandata in onda da una televisione commerciale, la serie Contracorriente ha raggiunto milioni di telespettatori in molti paesi del centroamerica e dell’area caraibica ed è al centro di una campagna di prevenzione contro il crescente fenomeno del traffico e dello sfruttamento sessuale. En la casa, la cama y la calle segue Tamara che, alla sua prima esperienza di attrice, interpreta il ruolo di Jessica, un’adolescente che rimane intrappolata nella rete della prostituzione. Ora, portavoce nazionale del problema, Tamara indaga la complessità del suo ruolo sullo schermo e nella sua vita. Bismarck, l’attore carismatico che interpreta il ‘magnaccia’, condivide le motivazioni del progetto e crede che la presa di coscienza del problema da parte dei ragazzi sia determinante; Silvia Elena, che nel telefilm interpreta la parte di una donna vittima di incesto e madre di Jessica, lavora instancabilmente per indurre le giovani vittime a rompere il silenzio. Cronaca di un progetto che si sviluppa su tre anni, En la casa, la cama y la calle ha dietro le quinte un team visionario di soggettisti, attori e produttori che “fa la televisione non per andare a Hollywood ma per fare la differenza”. 22 i film Liz Miller Liz Miller è una documentarista esperta in Comunicazione. I suoi film e i progetti multimediali su temi sociali d’attualità, come la privatizzazione dell’acqua, i migranti e i diritti delle donne, offrono nuove e importanti prospettive per movimenti e mass media. È da sempre interessata a nuove forme di collaborazione fra comunità e media, a nuovi modi di mettere in relazione storie personali e grandi problematiche sociali. Le sue opere hanno vinto molti premi, sono state parte di programmi di educazione e proiettati in scuole e università in vari paesi. Liz Miller insegna Comunicazione audiovisiva all’Università Concordia di Montreal. Per gruppi, organizzazioni di donne e organizzazioni per i diritti umani, tiene lezioni di produzione video, di narrazione digitale e l’uso dei mezzi di comunicazione. Ha vissuto per anni in Centro e Sud America e continua a collaborare con vari gruppi di donne e altre organizzazioni nel continente latinoamericano. Filmografia W.O.M.E.N. Women’s Observer Mission, Nicaragan Elections (documentario, 1997); Just Here (documentario, 1998); Parkville Portraits (documentario, 2000); Novela, Novela (documentario, 2002); Yanar Mohammed: Defending the Rights of Women in Iraq (documentario, 2004); The Water Front (documentario, 2007); Roots to Rap With (documentario, 2010); The First Door (documentario, 2011); On Tour (documentario, 2012); All I Remember (documentario, 2013); En la casa, la cama y la calle (documentario, 2013). Film d’amore e d’anarchia Ovvero: Stamattina alle 10 in via dei Fiori nella nota casa di tolleranza... Per ricordare Mariangela Melato Italia/Francia, 1973, 35 mm col., 125’ Regia e sceneggiatura: Lina Wertmüller Fotografia: Giuseppe Rotunno Montaggio: Franco Fraticelli Musica: Nino Rota, Carlo Savina Interpreti: Giancarlo Giannini, Mariangela Melato, Lina Polito, Eros Pagni, Pina Cei, Elena Fiore, Isa Danieli, Giuliana Calandra, Anna Bonaiuto Produzione: Euro International Films, Labrador Films. Omaggio a Mariangela Melato giovane e lunare negli abiti degli anni ‘30 e nell’Italia colorata e un po’ Far West con cui Lina Wertmuller conquistò i critici americani sazi del neorealismo bianco e nero e dei soliloqui dell’incomunicabilità. Un’Italia piena di anarchici baffuti che abitano nei bordelli preparando attentati. Giancarlo Giannini è Tunin in contadino lombardo che vuole uccidere Benito Mussolini. Mariangela Melato è una prostituta amica degli anarchici. Il mattino prescelto per l’attentato Tunin si sveglia tardi e vede i carabinieri entrati nella casa chiusa per un controllo. Si crede scoperto e spara. Lo arrestano e, in prigione, lo picchiano a morte. Ai giornali raccontano che si è suicidato. 24 i film Dichiarazioni di Mariangela Melato. Festival Amazzoni e Sirene. Firenze 2008 Diciamo che il nostro cinema è stato grande, quando ha avuto al centro delle grandissime figure di attrice, non occorre che ricordi adesso Anna Magnani che è stata accantonata perché era troppa (troppo grande, troppo brava, troppo presente, troppo importante). Mamma Roma è Pasolini ma anche Anna Magnani, Roma città aperta è Rossellini ma anche Anna Magnani come Senso di Visconti è Alida Valli. Il cinema di Bolognini senza Claudia Cardinale probabilmente non ce lo ricorderemmo, Monica Vitti è Antonioni. Il nostro cinema si è perduto quando ha perso l’amore per le donne (io credo) è diventato più piccolo, più claustrofobico, meno comunicativo perché le donne sullo schermo, e penso all’ultimo film che racconta la tragedia dell’Afganistan Viaggio a Kandahar di Makhmalbaf, le donne sullo schermo raccontano la storia come la vive la gente. La storia di chi la subisce e non la fa, di chi non usa le armi ma le riceve addosso. Racconta la violenza delle armi e delle religioni di cui le prime vittime sono le donne. Perché la gente si riconosca nello schermo c’è bisogno di una donna che raccolga tutto questo nel suo corpo, nel suo viso, in se stessa, nel suo modo di raccontare. Il nostro cinema e non so perché, da un po’ di tempo in qua, sembra che abbia paura, paura della storia, paura della politica, paura delle donne... Mariangela Melato Lina Wertmüller Una vera e propria gloria nazionale del teatro e del cinema. Il suo volto asimmetrico, ma sbarazzino, sensuale, anche ironico, superbo, ma antico, la sua passione e il suo talento hanno segnato un periodo importante del cinema italiano. Mariangela Melato nasce a Milano il 19 settembre del 1941. I primi successi teatrali arrivano nel 1968 con l’Orlando furioso, di Luca Ronconi, la sua affermazione definitiva pochi anni più tardi con Alleluia brava gente (1971) anche se prima aveva collaborato con Dario Fo e Luchino Visconti. Affronta interpretazioni e personaggi di grande impegno e nel cinema ha modo di alternare, in modo pregevole, ruoli drammatici con altri più classici. Ha lavorato con diversi grandi registi e tra i suoi film ricordiamo La classe operaia va in paradiso (1971, di Elio Petri); Todo modo (1976, di Elio Petri); Di che segno sei? (1975, di Sergio Corbucci, con Paolo Villaggio, Adriano Celentano, Renato Pozzetto, Alberto Sordi); Caro Michele (1976, di Mario Monicelli); Oggetti smarriti (1979, Giorgio Molteni) e Segreti segreti (1985, Giuseppe Bertolucci); fino a Film d’amore e d’anarchia (1973) e Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto (1974), di Lina Wertmüller, ma anche Casotto (1977) e Mortacci (1988), di Sergio Citti. A partire dagli anni ‘90 il suo curriculum annovera diverse fiction televisive tra cui Scandalo (1990) e L’avvocato delle donne (1997). L’impegno teatrale di Mariangela Melato continua negli anni con, ad esempio, Chi ha paura di Virginia Woolf? (2005), Nora alla prova, adattamento di Casa di Bambola di Ibsen diretto da Ronconi nel 2010, fino all’ultima prova al Teatro Stabile di Genova, nel 2011, per la regia di Massimo Luconi, con Il dolore, di Marguerite Duras. Iscrittasi ai corsi di regia dell’Accademia Pietro Sharoff nel 1951, dopo un’intensa attività di sceneggiatrice, dialoghista e regista (per il teatro di burattini di Signorelli, il cabaret, la commedia musicale di Garinei e Giovannini e la televisione, realizzando tra l’altro la regia della trasmissione Canzonissima), dopo avere esordito come aiuto regista di Fellini in 8 1/2 (collabora anche alla sceneggiatura), nel 1963 realizza un film d’autrice, I basilischi, tenera satira dei giovani delle province del sud, apprezzato sia in Italia sia all’estero, che ottenne la Vela d’argento e il premio Fipresci al Festival di Locarno nel 1963 e il premio della giuria dei giovani al Rencontres del Films pour la jeunesse. Con Nino Manfredi, gira nel 1965 Questa volta parliamo di uomini, vincitore della Maschera d’argento. Negli stessi anni diresse per la televisione Il giornalino di Gian Burrasca, adattamento dal romanzo di Vamba che fu subito un grande successo di pubblico, e due commedie musicali con Rita Pavone, sotto lo pseudonimo di George H. Brown, Rita la zanzara e Non stuzzicate la zanzara. Ottiene grande fama negli anni Settanta scrivendo e dirigendo una serie di straordinarie commedie: Mimì metallurgico ferito nell’onore (1972), Film d’amore e d’anarchia (1973), Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto (1974), Pasqualino settebellezze (1975), interpretati da Giancarlo Giannini e Mariangela Melato, che caratterizzano subito il modo particolare di fare regia della Wertmüller che predilige toni grotteschi e stravaganti ma anche affilata critica sociale. Seguono: Sotto... sotto... strapazzato da anomala passione (1984), Un complicato intrigo di donne, vicoli e delitti (1985), Notte d’estate con profilo greco, occhi a mandorla e odore di basilico (1986), In una notte di chiaro di luna (1989), Io speriamo che me la cavo (1992), Ferdinando e Carolina (1999). Dal 1988 al 1993 è stata commissario straordinario del Centro sperimentale di cinematografia. Nel 1996 dal romanzo di Danilo Rea ha realizzato Ninfa plebea e Metalmeccanico e parrucchiera in un turbine di sesso e politica, sul tema sempre presente nei suoi lavori del conflitto di classe, tra un operaio comunista e una parrucchiera leghista. i film 25 Frontieras Marocco, 2013, 35 mm col., 110’ Regia e sceneggiatura: Farida Benlyazid Fotografia: Kamal Derkaoui Montaggio: Fatema Benbrhim Musica: Moncef Adyel Interpreti: Romina Sanchez, Ismail Aboulkanater, Mohammed Marouazi, Amal Bouftah, Mohamed Bassou, Mly Mhammed Alaou Produzione: Cinetelema. Maite si reca a Laayoune dove Dahmane la sta aspettando per girare un documentario sul Sahara marocchino. Maite scopre però che la realtà non corrisponde affatto a ciò che si era immaginata. Crede che Dahmane voglia influenzare il suo lavoro e decide di abbandonare il suo progetto. Al momento della sua partenza incontra delle persone di un’organizzazione non governativa che si recano nel deserto. Si unisce a loro e da quel momento comincia un’avventura che, tra documentario e finzione, cattura la magia del deserto, scoprendo la bellezza dei suoi paesaggi e la ricchezza delle sue tradizioni. Note di regia All’improvviso mentre mi recavo al festival di Nouakchott tre anni fa ho desiderato realizzare un film sul deserto e sulla sua cultura essenzialmente orale. La poesia, il canto e la musica sono importantissime nella vita dei nomadi. Sono andata a Laâyoune per cercare l’ispirazione. Pensavo di girare un’epopea del Sahara. Arrivata laggiù mi sono trovata di fronte ad una realtà di cui nessuno capiva niente. Io, invece volevo proprio capire. Così è nato Houdoud oua houdoud che vuol dire Frontiere e frontiere. Da qui il titolo Frontieras che, più o meno va bene sia in francese che in spagnolo dato che il Sahara, come il nord del Marocco era diviso tra Spagna e Francia. D’altra parte, quando ero bambina per andare da Tangeri, città internazionale a Casablanca occorreva un passaporto per attraversare le frontiere imposte dalla Spagna quando si usciva e, al ritorno, attraversare la frontiera imposta dalla Francia dopo Larache, ad Arbauoa. Farida Benlyazid 26 i film Farida Benlyazid Regista, sceneggiatrice e giornalista marocchina, Farida Benlyazid è nata a Tangeri nel 1948. Si laurea in Regia cinematografica presso Ècole Supérieure d’Ètudes Cinématographiques nel 1976. L’anno successivo frequenta stages di cinema a Parigi e rientra in Marocco alla fine degli anni ‘80. È produttrice del film Une brèche dans le mur di Jillali Ferhati nel 1978 e sceneggiatrice del film dello stesso Ferhati Poupées de roseaux (1980). Il suo debutto alla regia è nel 1979 con Identité de femme. Come giornalista collabora con varie testate internazionali come Le Libéral, El Mundo, Autrement e Kantara. Nel 1988 gira il suo primo lungometraggio di finzione, Une porte sur le ciel. Nel 1991 fonda una società di produzione la Tingitania Films. Faryda Benlyazid nei suoi film racconta il Marocco attraverso la storia delle sue donne, la sua lunga attività comprende numerosi documentari e alcuni telefilm. Filmografia Identités de femme (1979); Une porte sur le ciel (1988); Aminata Traoré, une femme du Sahel (1993); Contra bande (1994); Sur la terrasse (1995); Cinq films pour cent ans (1995); Kaïd Ensa (1999); Nia taghleb (telefilm, 2000); El Boukma (telefilm, 2001); Casablanca Casablanca (2002); Juanita de Tanger. La chienne de vie de Junita Narboni (2005); Casanayda! (2007); Koul Ouahed ou Ryou (2012); Frontieras (2013). Girls who Smoke USA, 2012, HD col., 15’ Regia: Tawny Foskett Sceneggiaura: Garlon Farrell Fotografia: Sanne Kurz Montaggio: Jef Tayler Musica: Lucas Van Lenten, Lila Nelson Interpreti: Kristin Tayler, Loren Lockwood. Questo cortometraggio rovescia una convenzione narrativa e cinematografica consolidata che colloca le donne sicure in casa, in pericolo fuori. Qui, invece, le protagoniste si incontrano per strada. Escono rispettivamente da un’auto e da una casa infelici e arrabbiate. Nelle strade di periferia che percorrono, lungo i binari del treno e sulle scale di una casa, probabilmente disabitata, si scambiano comprensione e interesse reciproco: stanno bene insieme. Nelle case la mancanza di comunicazione e la solitudine hanno il sopravvento. L’evasione dura il momento di una sigaretta o al massimo di un pacchetto di sigarette. Girls who Smoke è ispirato ad un programma radiofonico dal titolo This American Life. Tawny Foskett Tawny Foskett inizia la sua carriera studiando e lavorando come attrice e ballerina negli anni ‘90. Inizia gli studi di cinematografia nel 2001 presso la Humboldt State University e si laurea in regia nel 2006 all’Australian’s Victorian College of the Arts. Rientra a New York nel 2007 e attualmente dirige il Beekman Theatre. Filmografia Annie & Mary: Reflection on the Railroad (cortometraggio, 2003); Lost Almost (cortometraggio, 2005); Three parts (cortometraggio, 2006); Whole Pieces (cortometraggio, 2006); A Second Chance (cortometraggio, 2009); Girls who Smoke (cortometraggio, 2012); i film 27 Goliarda sapienza: l’arte di una vita Italia, 2002, Beta SP, 30’ Regia: Manuela Vigorita Scrittura: Loredana Rotondo Produzione: Rai Educational. Il documentario, prodotto da Rai Educational nell’ambito della serie Vuoti di memoria, è stato uno dei primi lavori che ha riattraversato e presentato al pubblico la rocambolesca e intensa vita di Goliarda Sapienza. Dai suoi esordi teatrali all’esperienza di attrice cinematografica, passando per la sua irriverenza intellettuale fino ad approdare alla vocazione di scrittrice. Goliarda Sapienza nasce nel 1924 a Catania da una famiglia socialista anarchica. La madre, Maria Giudice, fu la prima donna a dirigere la Camera del lavoro di Torino, il padre, Giuseppe Sapienza, un avvocato sindacalista nella Sicilia prefascista. Muore a Gaeta dove amava stare a lungo sulla spiaggia a guardare il mare. La sua è stata una vita movimentata: dal successo come attrice negli anni ‘40 all’abbandono della carriera per un’intensa attività di scrittura, dalle vicende giudiziarie che l’avevano portata in carcere a Rebibbia - dove è nato il libro L’università di Rebibbia - e verso la fine della sua vita all’insegnamento al Centro Sperimentale di Cinematografia. Il suo libro più importante L’arte della gioia, frutto del lavoro di un decennio (1967/76), ha avuto una storia editoriale di rifiuti a causa del suo contenuto considerato immorale e scandaloso per la mentalità di quei tempi, fino a trovare ascolto e accoglienza nei circuiti editoriali alternativi. Nessuna meraviglia, poiché la storia, il personaggio, l’uso stesso della lingua agiscono come un’onda d’urto contro stereotipi e ipocrisia. 28 i film Manuela Vigorita È nata a Roma nel 1965. Si laurea in Lettere e Filosofia presso l’Università di Roma “La Sapienza” col massimo dei voti. È regista e autrice di numerosi documentari e cortometraggi. Le sue regie televisive, per lo più per Rai Educational e Rai International, sono spesso dedicate a figure dimenticate del passato, come Amelia Rosselli: La Rissa degli Angeli (2002); Goliarda Sapienza: Larte di una vita (2002); Annibale Ruccello: Le rose del noir (2005); Aldo Capitini: Il coraggio della non violenza (2005); Cristina Campo: L’imperdonabile (2007). Il suo lavoro, Io, Primo Carnera (2006), riattraversa la vicenda umana del pugile: dall’infanzia friulana ai primi anni da giovane emigrato in Francia; dagli inizi della carriera pugilistica alla conquista nel 1933, negli Stati Uniti, del campionato del mondo dei pesi massimi, fino al declino. Autrice di testi per spettacoli multimediali, nel 2003 pubblica il libro Viva (Tilda Fem). Filmografia La mia guerra (cortometraggio, 2002); Quasi ineffabile. Una femminsta alla Rai (documentario, 2004); Ottomarzo 2007 (cortometraggio, 2007); L’amore che non scordo, storie di comuni maestre (documentario, 2008); La politica del desiderio (co-regia con Flaminia Cardini, 2010); L’oro di Torvaianica (documentario, 2011). Loredana Rotondo È autrice di trasmissioni radio e tv per la RAI dal 1969 al 1996, e poi capo struttura di Rai International e Rai Educational. Laureata in Scienze Politiche a Bari, sua città natale, poi borsista Fulbrigth alla State University of New York-Rockfeller Foundation. Sin dal suo arrivo in Rai indaga il rinnovamento dei format e l’uso possibile delle nuove tecnologie dal punto di vista della “libertà femminile da liberare” convinta che la cultura della comunicazione di massa chieda maggiore attenzione e riflessione condivisa sul portato – simbolico e politico – delle immagini. Il suo interesse per le nuove tecnologie e le modalità della comunicazione, condiviso con alcune altre donne dell’impegno femminista dai primi anni ’70 al presente, è stato la scommessa e l’occasione per misurarsi con le condizioni della professione e i limiti posti dalle politiche aziendali, come racconta nel video Quasi ineffabile. Una femminista alla Rai realizzato nel 2004. Il suo impegno professionale e di ricerca l’ha portata a realizzare, all’interno della struttura Rai, un gruppo di lavoro molto speciale, segnato dall’intreccio di relazioni femminili ed un’attenzione particolare alle storie passate e presenti delle donne: il primo esteso progetto di simbolico femminile realizzato in Rai. Per la rubrica Vuoti di Memoria di Rai Educational nel 2002 progetta e realizza 15 ritratti di donne e uomini singolari. Tra i tanti segnaliamo Goliarda Sapienza. L’arte di una vita e Alzare il cielo. Ritratto di Carla Lonzi con la regie sapienti e amorose di Manuela Vigorita e Gianna Mazzini. i film 29 Good Night Regno Unito, 2012, HDCAM col., 24’ Regia e sceneggiatura: Muriel d’Ansembourg Fotografia: Arturo Vasquez Montaggio: Una Gunjak Musica: Jody K. Jenkins Interpreti: Anna Hogarth, Rosie Day, Jay Taylor, Dave Macrae, Michael Stevenson Produzione: Blindeye Films, London Film School. Rachel e Chloe sono stufe di essere banali quattordicenni innocenti. Basta essere ragazzine, è ora di vivere. Decidono di uscire di nascosto, con abiti decisamente da adulte emanando una sensualità che loro stesse conoscono appena. Ed è così che entrano in nuovi territori e il confine tra giochi innocenti e seducenti incontri pericolosi comincia a confondersi... Muriel d’Ansembourg Muriel d’Ansembourg vive tra New York, Amsterdam e Londra. Ha conseguito la laurea in Sceneggiatura in Olanda e, più di recente, si è laureata in Regia presso la London Film School. Ha scritto e diretto premiati cortometraggi e documentari presentati in molti festival in tutto il mondo. Durante i suoi studi alla London Film School, ha deciso di rivolgere il suo lavoro verso le problematiche legate ad adolescenza e pre-adolescenza. Good Night, infatti, è il suo film di diploma che ha ricevuto, tra gli altri, il Premio della Giuria al Palm Springs International Short Film Festival. Attualmente sta scrivendo la prima sceneggiatura di un lungometraggio a soggetto, nel frattempo continuerà a scrivere e dirigere cortometraggi per affinare le sue capacità professionali. Filmografia Just Another Day (cortometraggio, 2007); Capturing Space (documentario, 2008); Play (cortometraggio, 2008); Good Night (cortometraggio, 2012). 30 i film In guerra senza uccidere Italia, 2012, Digitale col., 90’ Regia e sceneggiatura: Ornella Grassi Riprese: Emiliano Madiai, Tommaso Cimò Montaggio: Ornella Grassi, Emiliano Madiai Voci fuori campo: Ornella Grassi, Gianni Esposito - Testimonianza di Giorgio Grassi (classe 1922) Organizzazione generale: Elisa Favilli Produzione: Fondazione Sistema Toscana Un particolarissimo racconto di guerra. Un obiettore di coscienza, ante litteram, formatosi alla scuola del fascismo che educava Balilla e Giovani Italiani a un destino di guerrieri, trova in sé le ragioni per non uccidere. Attraversa illeso l’inferno di fuoco e di ghiaccio della campagna italo tedesca contro la Russia e la successiva, micidiale ritirata. Un documentario in cui il “cosiddetto” nemico non è mai tale, ma un essere umano come un altro... un ragazzo come te e non lo uccidi né ti uccide. Gli sguardi, a volte, contano più delle ideologie e degli ordini. Un atto di accusa contro tutte le guerre. Ci sono cose della mia infanzia che non riesco a dimenticare. Mio padre che racconta della Russia, della guerra, di vite sprecate, di come un ragazzo di 19 anni si trovi di fronte a sofferenza, sgomento, fame, gelo. Perché questa è la verità della guerra: la guerra è strazio, esplosione del male. Eppure lui è riuscito a conservare la propria dignità di uomo. È tornato. Tornato a piedi dalla Russia. È uno scampato in tutti i sensi. Scampato perché il caso lo ha fatto trovare più avanti o più indietro nella ritirata, perché si era soffermato in un’isba piuttosto che in un’altra. Ma è anche uno scampato dall’odio, dalla violenza. Non dai ricordi... Ornella Grassi Ornella Grassi Ornella Grassi è laureata in Lingue all’Università di Firenze. Inizia a lavorare in RAI all’età di cinque anni, in trasmissioni radiofoniche per bambini, diventando in seguito una delle principali interpreti radiofoniche italiane. Sempre per la radio, è ideatrice, attrice e regista di Femminile plurale, una serie di 13 puntate sceneggiate da opere letterarie. Parallelamente alla radio, ha una brillante attività televisiva al fianco di grandi attori e in ruoli da protagonista. La tv tedesca Sudwestfunk, la sceglie per una serie di undici telefilm. In teatro lavora a fianco di Lilla Brignone, Nora Ricci, Giancarlo Giannini, Gianmaria Volonté, tra gli altri. È stata protagonista con Dacia Maraini alla Biennale di Venezia nel ’74 dell’opera teatrale La donna perfetta che tante polemiche scatenò sul tema dell’aborto. Tra le ultime produzioni il monologo Bagheria di Dacia Maraini, e L’Estrosa abbondanza di Anne Sexton per i quali è autrice della riscrittura teatrale. Per il cinema lavora con Cinzia Torrini (La colpevole), con Francesca Archibugi (Con gli occhi chiusi) con Sergio Bertossa (Artemisia Gentileschi), Reality News di Salvatore Vitiello e sempre per il cinema lavora come doppiatrice. Esegue doppiaggi di cartoni animati, presta la voce per mostre, corsi di lingua, letture di poesie, cd e brani letterari, è anche la voce off in sevizi giornalistici. Ideatrice e docente del primo corso italiano ed europeo per la formazione di attori speaker e registi radiofonici non vedenti finanziato dalla Regione Toscana con il FSE. In guerra senza uccidere è la sua prima personalissima esperienza col documentario. i film 31 In vino veritas Repubblica Ceca, 2012, Digitale, col., 10’ Regia, sceneggiatura e animazione: Aneta Kýrová Žabková Montaggio: Ludek Hudec Musica: Ivan Doležálek Produzione: FAMU. La foto di tre giovani amiche. Poi le stesse dopo venticinque anni da quello scatto. Tre donne fanno il punto sui risultati raggiunti nel tempo trascorso. Graffiante umorismo in un’animazione della gloriosa scuola di cinema FAMU di Praga. 32 i film Aneta Kýrová Žabková Filmografia Nic nového pod sluncem (cortometraggio, 2007); Dobré jitro pane Upíre (cortometraggio, 2007); Chybicka se vloudí (cortometraggio, 2008); In vino veritas (cortometraggio, 2012). Intervista con Cecilia Mangini Italia, 2012, digitale col., 23’ Regia: Matilde Gagliardo Cecilia Mangini racconta ragioni e segreti della realizzazione del film La torta in cielo girato assieme al marito Lino Del Fra, dal romanzo di Gianni Rodari. Operazione eversiva, ancora capace di entusiasmare piccoli e grandi. Il documentario è stato girato dopo la proiezione del film La torta in cielo per gli scolari delle scuole primarie fiorentine, al Cinema Odeon il 3 dicembre 2012. Invitata d’onore del Festival di Cinema e Donne, Cecilia Mangini è stata accolta, al suo arrivo nel cinema Odeon, da un concerto dalla banda musicale La Polverosa dell’Istituto Comprensivo Verdi. Matilde Gagliardo Matilde Gagliardo, nata a Palermo, vive e lavora a Firenze. Storica dell’arte del Rinascimento, ha scritto saggi sull’iconografia delle Sibille e delle Età del mondo, è autrice di documentari e di video. Ha realizzato numerose interviste a personaggi italiani e stranieri, videoclip musicali, video ritratti, backstage. Ha filmato performances, concerti, spettacoli teatrali, trasmissioni radiofoniche. Filmografia Ritratti (2005/2013); Nello studio di Grisha. Colm Tóibín (2005); Improvvisazione (2005, videoclip); Isolamento (2005, videoclip); Dietro le quinte di Viaggio segreto un film di Roberto Andò (2007); L’infanzia di Orlandino. Antonio Pasqualino e l’Opera dei pupi (2007); Il tajine di Irène (2007); ‘Io clown te down’ e altri spettacoli di Bobo Rondelli (2007); Paolo Virzì e Bobo Rondelli dietro le quinte de L’uomo che aveva picchiato la testa (2009); Riprese delle Registrazioni e del Backstage della Trasmissione Radiofonica Il Dottor Djembe (2010); Monicelli a Cesena (2011); Intervisa a Cecilia Mangini (2012); Appunti per un Documentario. L’Aquila 13 Marzo 2012 (in produzione). i film 33 Kader Germania, 2013, 16 mm col., 13’ Regia, sceneggiatura e montaggio: Esin (Büyükyıldırım) Özbanazi Fotografia: Piotr Rosołowski Musica: David von Ilsemann Animazione della sabbia: Pengyu Huang Interpreti: Zeynep Özerol, Özlem Öksüz Produzione: Kunsthochschule für Medien Köln. Premio del pubblico Anna Magnani miglior cortometraggio (Giuria Junior) Motivazione Kader mette in scena, con sensibilità e fantasia, una storia giovane e mediterranea. Apprezzabili, la costruzione della storia, le animazioni, e l’atmosfera evocativa. Una ragazza si reca a casa di una donna anziana che legge il futuro nei fondi del caffè. La donna racconta la storia allarmante di una giovane veggente che perde la giovinezza per aver voluto conoscere il proprio futuro. La ragazza vuole comunque sapere cosa il fondo del caffè ha in serbo per lei. Dalla tazzina rovesciata cominciano a emergere visi e immagini che prendono vita.… 34 i film Esin Özbanazi Esin Özbanazi è nata a Istanbul nel 1978. Si è laureata prima all’Università di Ankara, Dipartimento di Radio, Cinema e Televisione e poi alla Facoltà di Media Arts dell’Università di Colonia, Dipartimento di Media Design. Attualmene vive a Colonia dove lavora come freelance, media desiger e giornalista. I suoi film brevi sono stati premiati in numerosi festival del cortometraggio. Filmografia Terk-i Diyar (cortometraggio, 2000); Zamanın 3 Hali (cortometraggio, 2000); Hocam (documentario, 2001); Çalıntı Hikayeler (cortometraggio, 2002); Yorumsuz (cortometraggio, 2003); Bir Varmıs – Bir Yokmus (cortometraggio, 2003); 18 Parallel (documentario, 2007); Kader (cortometraggio, 2013). Ma l’amor mio non muore Italia, 2013, b/n, 90’ Regia: Mario Caserini Sceneggiatura: Emiliano Bonetti, Giovanni Monleone Fotografia: Angelo Scalenghe Interpreti: Lyda Borelli, Mario Bonnard, Vittorio Rossi Pianelli, Emilio Petacci, Camillo De Riso, Gian Paolo Rosmino, Dante Cappelli, Maria Caserini Produzione: Gloria Film. Nel Granducato di Wallenstein ai primi del Novecento vive una bella ragazza di nome Elsa Holbein, figlia del capo di Stato Maggiore colonnello Julius Holbein. Costui si uccide perché accusato ingiustamente di tradimento, in quanto è stato derubato dei suoi piani strategici da Moise Stahr. Elsa sconvolta dalla morte del padre, si allontana e si rifugia in Riviera, dove calca le scene come cantante e pianista con lo pseudonimo di Diana Cadouleur e ottiene notevole successo ritrovando la serenità. Nel pieno del suo successo la ragazza conosce il Principe Massimiliano e, da subito, i due si innamorano. Durante una gita in battello sul lago di Locarno, la coppia incontra Moise Stahr che, riconosciuta la donna e venendo da essa respinto, per ripicca diffonde nel Granducato notizie false sulla condotta del Principe Massimiliano, appena ristabilitosi dopo una grave malattia. Il Granduca di Wallenstein fa richiamare in patria il principe e i due giovani si separano. Il Principe Massimiliano cerca ugualmente Elsa, riesce a trovarla in teatro, ma troppo tardi: la ragazza è morta per aver assunto del veleno. Note di critica Fra le poche certezze relative al cinema italiano realizzato negli anni dieci del novecento c’è quella che Ma l’amor mio non muore di Mario Caserini con Lyda Borelli ha dato origine, nel 1913, al divismo italiano. Fenomeno declinato al femminile, impregnato di decadentismo, diffuso dai pochi canali mediali dell’epoca - giornali, riviste, fotografie, locandine, cartoline postali - ma paragonabile, anche a livello sistemico, solo a quello parallelamente sviluppato nell’industria cinematografica americana. Il film, un melodramma di forte impianto teatrale e dal linguaggio visibilmente arcaico, dominato da una presenza femminile che definisce il proprio vivere in base all’amare in modo travolgente e al mostrarsi sulle scene, ebbe ampia diffusione e risonanza, nonostante la casa produttrice Gloria fosse una piccola e neonata impresa torinese. Con questa pellicola Lyda Borelli, acclamata giovane attrice del teatro di prosa, riscosse un successo personale non paragonabile a quello, pure notevole, precedentemente conquistato sulle tavole del palcoscenico in grandi compagnie primarie, fra cui quella di Eleonora Duse. Divenne una popolarissima icona liberty e interpretò altri tredici film (fino al 1918) lasciando memoria di sé anche nella lingua italiana: “borellismo” significò atteggiarsi come lei, furono definite “borelline” le imitatrici delle sue pose languide e sfinite accompagnate dall’esibizione di abiti confezionati con strati di velo impalpabile per lasciar libero il corpo di muoversi. A cent’anni dalla realizzazione del film la Cineteca di Bologna, in collaborazione con la Fondazione Cineteca Italiana e il Museo del Cinema di Torino, ha ricostruito Ma l’amor mio non muore a partire da una copia composta da sei bobine (nella versione italiana il film fu distribuito in due versioni, una da sei e una da sette atti, mentre all’estero una di cinque) cui sono state integrate didascalie mancanti e alcune scene fra cui il bacio in barca nel finale censurato in Italia. La nuova versione viene proposta con accompagnamento musicale dal vivo (Marina Longo, pianoforte, Paola Saponara, flauto). Cristina jandelli i film 35 Mario Caserini Mario Caserini, figlio di Oreste e di Isabella Rosati, cresce in una famiglia piccolo-borghese. Dopo una breve e poco nota parentesi teatrale, inizia a lavorare per il cinema presso la Alberini & Santoni, prima manifattura romana, divenuta poi Cines. Caserini inizia la sua carriera come aiuto regista del francese Gaston Velle. Il primo film da regista è II romanzo di un Pierrot (1906). Nel 1907 diviene direttore artistico della Cines, e da quel momento orienta la produzione verso il genere storico-letterario. Tra il 1909 e il 1910 furono girati alcuni dei suoi film di maggior successo come Anita Garibaldi, Beatrice Cenci, Dramma medievale, Giovanna d’Arco, L’innamorato, La dama di Monserau, La gerla di papà Martin, Macbeth, Otello, Wanda Soldanieri e altri. Nel 1911 passa all’Ambrosio Film di Torino, assieme ai suoi collaboratori. Nello stesso anno sposa Maria Gasparini, attrice e ballerina conosciuta cinque anni prima. Nella casa torinese i suoi film di maggior rilievo furono Mater dolorosa, Parsifal e Sigfrido. Appena due anni dopo passa dall’Ambrosio alla Gloria Films, della quale fu uno dei soci fondatori e direttore artistico. Nel 1913 dirige quello che è ritenuto il film più significativo della sua carriera, Ma l’amor mio non muore con protagonisti Lyda Borelli e Mario Bonnard. Torna all’Ambrosio nel 1914, ma l’anno seguente fonda una propria casa di produzione, la Caserini Films, per la quale dirige solo due film La pantomima della morte e Ma l’amor tuo mi redime (1915). Dal 1916 fino alla morte, lavora nuovamente alla Cines, e gira circa una ventina di film di successo tra cui Amore che uccide, Dramma di una notte, La vita e la morte, Passano gli anni, Sfinge e Tragedia senza lacrime. Filmografia Il romanzo di un Pierrot (1906); Otello (1906); Garibaldi (1907); Il fornaretto di Venezia (1907); Romeo e Giulietta (1908); Leggenda medievale (1908); Giovanna d’Arco (1908); L’abbandonata (1908); Amleto (cortometraggio, 1908); Wanda Soldanieri (1909); I tre moschettieri (1909); La signora de Monsoro (1909); Parsifal (1909); Marco Visconti (1909); Macbeth (1909); L’innominato (1909); La gerla di papà Martin (1909); Beatrice Cenci (1909); Amleto (1910); Lucrezia Borgia (1910); Jane Eyre (1910); Giovanna la pazza (1910); Federico Barbarossa (1910); Cola di Rienzo (1910); Messalina (1910); Il Cid (1910); Catilina (1910); Anita Garibaldi (1910); L’amorino’ (1910); Amleto (1910); Giovanni dalle Bande Nere (1910); L’ultimo dei Frontignac (1911); Mademoiselle de Scudery (1911); 36 i film Antigone (1911); Sigfrido (1912); Santarellina (1912); La ribalta (1912); Il pellegrino (1912); Parsifal (1912); I mille (1912); Mater dolorosa (1912); Dante e Beatrice (1912); Arabian Infamy (1912); Il treno degli spettri (1913); Nerone e Agrippina (1913); Ma l’amor mio non muore (1913); Florette e Patapon (1913); Gli ultimi giorni di Pompei (1913); Nidia la cieca (1914); La gorgona (1914); La pantomima della morte (1915); Monna Vanna (1915); La vida y la muerte (1916); L’amor tuo mi redime (1916); Madame Tallien (1916); Fiore d’autunno (1916); Come quel giorno (1916); Amor enemigo (1916); Amore che uccide (1916); La divetta del reggimento (1916); Chi mi darà l’oblio senza morte? (1917); L’ombra (1917); Il filo della vita (1917); Resurrezione (1917); La signora Arlecchino (1918); Il dramma di una notte a Calcutta (1918); Primerose (1919); Capitan Fracassa (1919); Fior d’amore (1920); Las delicias del campo (1920). Mac book Pro Italia 2013, col, Digitale, 15’ I.I.S.S. Pietro Calamandrei di Sesto Fiorentino- Classe IV A Linguistico, coordinamento progetto didattico: Sara Renda Regia, montaggio e didattica del linguaggio cinematografico: Vincenzo Buonfiglio Soggetto: tratto dalla novella omonima di Lucrezia Bernacchi Adattamento e sceneggiatura: Vincenzo Buonfiglio e Patrizia Di Virgilio con la collaborazione di Silvia Bensi Segreteria generale: Anna Bindi, Assistenza sul set:Lucrezia Bernacchi,Eleonora Crezzini, Alice Giorgeschi Costumi e trucco:Noemi Di Napoli, Ilaria Medani, Ilaria Ricci Scenografia: Elisa Di giovanni, Chiara Boanini, Giulia Marchi Assistenza presa diretta:Virginia Taiti Riprese, backstage e foto: Lucrezia Bernacchi, Giulia Marchi, Ilaria Ricci Interpreti: Elisa Boccardi (Alice), Simona Silvestro (Bea), Silvia Bensi (Mamma), Patrizia Naldi (La signora in rosso), Marco Alessandrini, Lucrezia Bernacchi, Chiara Boanini, Elisa Di Giovanni, Alice Giorgeschi, Giulia Marchi. Produzione: Laboratorio Video per le scuole della Provincia di Firenze. (Istituto Agrario via delle Cascine 11). Produttori esecutivi: Francesco Panichi e Silvia Bensi (Diritto allo Studio - Progetti educativi e rete scolastica Provincia di Firenze) PREMIO ECCELLENZA DIDATTICA PER I LINGUAGGI AUDIOVISIVI Motivazione Per la capacità di trarre una sceneggiatura ben articolata da un bel racconto della studentessa dell’Istituto Calamandrei Lucrezia Bernacchi. Per aver efficacemente percorso tutte le tappe del ciclo produttivo di un’opera audiovisiva ottenendo un brillante risultato. Per aver affrontato, con umorismo e serietà, un tema complesso come quello della comunicazione tra figli e genitori e del corretto uso delle nuove tecnologie. PREMIO MIGLIOR PERCORSO DIDATTICO 2012/2013 Per il programma Affetti Speciali proiezioni e incontri per le scuole realizzato nell’ambito del Festival di Cinema e Donne di Firenze in collaborazione con Unicoop Firenze, sono state premiate le classi V A e V B della Scuola Primaria D.Gabbrielli di Scandicci per la realizzazione del miglior percorso didattico in relazione al film La torta in cielo di Lino Del Fra. La pellicola è stata proiettata per i più giovani durante la scorsa edizione del Festival dalla sceneggiatrice e illustre documentarista Cecilia Mangini. Hanno collaborato all’evento Mediateca Regionale Toscana, Provincia di Firenze, Unicoop Toscana e Giardino dei Ciliegi. Motivazione Per l’originalità nell’ideazione, la costanza dell’impegno e i molteplici e multiformi elaborati prodotti. Studenti e docenti hanno anche fatto buon uso delle indicazioni artistico-didattiche di Gianni Rodari. i film 37 Même pas mal Tunisia, 2012, HD Cam col., 66’ Regia: Nadia El Fani, Alina Isabel Pérez Fotografia: Alina Isabel Pérez, Dominique Lapierre, Nadia El Fani, Fatma Cherif Montaggio: Jeremy Leroux Produzione: K’ien Production, TV5 Monde. Premio Sigillo della Pace per il film documentario Nadia El Fani Motivazione Per il coraggio di aver condiviso con il più largo numero possibile di persone, attraverso il cinema, la sua duplice battaglia per la vita contro la malattia e la violenza oscurantista che nega cittadinanza e diritti alle donne. Per il talento grazie al quale, mirabilmente, mette in relazione, una storia privata con gli avvenimenti e gli scontri sui temi fondamentali della laicità e della libertà di pensiero e di azione che hanno caratterizzato la storia recente della Tunisia e di tutta l’Africa mediterranea. Nadia El Fani pratica un particolarissimo stile di documentazione sociale coinvolgente, personale, antiretorico, spesso ironico, e molto efficace nel diffondere informazioni e speranze, aprendo varchi attraverso i quali superare i muri del silenzio e della paura. È nata nel 1960 a Parigi da padre tunisino e madre francese. Nel 1982 è stagista nella troupe del film di Schatzberg Besoin d’amour, quindi assistente di Polanski, Arcady, Bouzid, Goupil, Zeffirelli. Nel 1990 realizza il primo cortometraggio e fonda la società di Produzione Z’yeux Noirs Movies in Tunisia. La sua lunga carriera di filmmaker, impegnata nel movimento femminista e progressista tunisino conta ad oggi una sola, ma originale, incursione nel cinema di finzione, Bedwin hacker. Per il futuro ha però in progetto altri due lungometraggi di finzione: Aziza ne sait plus ce qu’elle dit e Frankaouis. Poi un nuovo documentario sulla doppia nazionalità, Harissa et moutarde. Note di regia È tutta una questione di cellule: cellule di crisi, cellule tumorali, cellule nervose della materia grigia, cellule terroristiche, celle della prigione, dell’informazione, certe cellule si moltiplicano in modo anarchico, altre in misura più ordinata, a volte cellule più aggressive attendono nell’ombra il momento più opportuno per attaccare. [...] La battaglia contro il tumore è stata vinta, ma le metastasi nella società tunisina sono sempre più diffuse e minacciano di averla vinta su un corpo sociale che ha isole di resistenza e dissidenza civile ancora molto forti. Nadia El Fani 38 i film Filmografia Pour le plasir (cortometraggio, 1990); Fifty-fifty mon amour (cortometraggio, 1992); Tanitez moi (documentario, 1993); Du cote des femmes leaders (documentario, 1993); Tant qu’il y aura de la pelloche (cortometraggio, 1998); Bedwin hacker (2002); Unissez-vous, il n’est jamais trop tard! (cortometraggio, 2005); Ouled Lenin (documentario, 2007); Laïcité, inch’Allah! (2011); Nos seins, nos armes (2012); Même pas mal (2012). Alina Isabel Pérez È nata nel 1975. I suoi campi di attività sono la fotografia e le arti plastiche. Même pas mal è il suo primo film. Non ho mai visto il mare Italia, 2013, digitale col., 10’ Regia, ideazione e testo: Matilde Tortora Montaggio: Orazio Garofalo. Un film breve sul ricordo di una rincorsa, muta, accelerata, reiterata quanto basta poi a divenire adulto: la ricerca da parte di chi è stato bambino, di chi è bambino oggi, di quanto gli è spesso con arbitrio negato, l’insanabile malinconia dell’alluce del suo piede destro, checché ne dicano gli altri, e a volte finanche molto di più. Un cigno di plastica, una madre oberata e imprevisti compagni: “Io vedevo/sulla tolda prendere/un bagno di Sole,/era del tutto solo./In altre ore giocava a schacchi/col suo canuto vicino di casa.” MATILDE TORTORA Matilde Tortora, regista e storica del cinema, nota per i suoi studi e le ricerche di cinema che ha condotto e pubblicato anche fuori dai confini nazionali. Insignita nel 2000 del Premio della Cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri, è stata più volte chiamata a far parte di Giurie di Festival di Cinema Internazionali. Nel 2011 ha ideato e realizzato il film breve Il Sole con l’alchèrmes sui 150 anni dell’Unità d’Italia, nel 2012 il secondo cortometraggio Alla ricerca della scarpa perduta. Autrice, tra l’altro, dei libri Viaggi nell’animazione. Interventi e testimonianze sul mondo animato. Da Émile Reynaud a Second Life, che raccoglie testimonianze di autori internazionali dell’animazione e nel 2010 Le donne nel cinema d’animazione. È membro della Cinémathèque Française e dirige fin dagli inizi il Premio Internazionale Simona Gesmundo Corti d’animazione. i film 39 Non lo so ancora Italia, 2013, RedCam, 83’ Regia: Fabiana Sargentini Soggetto: Fabiana Sargentini, Morando Morandini Sceneggiatura: Fabiana Sargentini, Carlo Pizzati con la collaborazione di Morando Morandini Fotografia: Simone Pierini Montaggio: Fabio Nunziata Musica: Nicola Campogrande Interpreti: Donatella Finocchiaro, Giulio Brogi, Orietta Notari, Pierluigi Pasino, Alessandra Frabetti Produzione: Settembrini Film Srl.. Giulia ed Ettore non hanno niente in comune quando si incontrano per caso nel parcheggio di un ospedale dove sono appena andati a fare analisi. Sempre per una serie di coincidenze finiranno per aspettare insieme il risultato nella località balneare dove si trovano. Nella più classica unità di tempo e di spazio, un giorno un luogo, nasce un rapporto delicato e prezioso fatto di sfumature, di umori cangianti ed emozioni accennate. Anche il clima condensa le sue possibilità in una giornata, dal mare che invita a bagnarsi all’acquazzone autunnale. Due persone sole aspettano un appuntamento con il destino, cercando di non guardare l’orologio, e trovano il modo di offrirsi leggerezza, buonumore e protezione reciproca contro la paura. Levanto, filmato con amore, è il terzo protagonista della storia: una stazione climatica sul punto di chiudere la stagione, gli stabilimenti, gli ombrelloni ridotti di numero, pochi villeggianti sparuti rimasti a gustarsi gli ultimi scampoli di vacanze. Un piccolo paese che sta per cambiare, dopo i fasti dell’estate si prepara a tornare a una versione più moderata: si torna alla morigeratezza dell’inverno, alla rigidità del freddo, alla noia del cielo grigio e di un mare che incute timore invece di attirare nelle sue brame azzurre. Vicoli, palazzetti, il lungomare, la spiaggia sono tutti luoghi che raccontano, insieme agli attori, l’avvicinamento di due solitudini, i silenzi, la conoscenza reciproca, il motore che manda avanti la breve storia di un incontro. Bell’esordio nel lungometraggio che omaggia alla lontana anche l’indimenticabile Clèo dalle cinque alle sette di Agnes Varda. Protagonista Donatella 40 i film Finocchiaro, assieme ad Aldo Brogi. Il poliedrico Morando Morandini partecipa sia al soggetto che alla sceneggiatura. I costumi sono di Lia Morandini. Note di regia Non lo so ancora è un film su come un incontro casuale può cambiare la vita. Qualche anno fa ho incontrato Morando Morandini. Era il direttore del festival di Bellaria e il mio documentario Sono incinta vinse il primo premio del concorso. L’incontro con quest’uomo di cinema, che conosceva così tanti film da racchiuderli in un dizionario, molto in là con gli anni allora stava per varcare la soglia degli ottanta – è stato per me incredibile ed imprevedibile. Non mi era mai capitato di riconoscermi a prima vista con qualcuno di così lontano da me: dal primo sguardo la sintonia, al di là delle evidenti differenze, era immediata. Un mentore, un padre buono, un compagno vissuto in un lasso temporale sbagliato, un marito in un’altra reincarnazione? Non lo so ancora, non l’ho ancora capito. Ma è certo che capirsi, conoscersi, scambiarsi tra due generazioni così distanti come le nostre è qualcosa che ha lasciato subito un segno profondo, qualcosa che ha cambiato l’assetto e la direzione della mia vita, da quel momento in poi. È nata forte in me l’urgenza di raccontare questo incontro (un’amicizia a prima vista, come la chiama lui). Questa storia contiene una ricca gamma di temi: la vecchiaia, il tempo che passa e porta con sé cambiamenti ineluttabili e invincibili, l’amore tra un uomo e una donna, la possibilità e la scelta di mettere al mondo dei figli, l’avvicinarsi della fine dell’esistenza. Tutto questo si agita nella vita dei protagonisti messi a raffronto in stati d’animo diversi eppure vicini, accomunati nella distanza, sospesi in un’attesa di verità che forse, da soli, non sarebbero in grado di affrontare… Nel film c’è un’altalena continua di toni e di ruoli: l’anziano ironico e distaccato urta contro una sorta di romanticismo ingenuo della giovane donna; l’uomo, alle volte paterno, possiede anche la fragilità di un bambino; lei, forse infertile nella vita, è materna e protettiva nei confronti di un uomo come non lo è mai stata prima; lo scherzo e il gioco li fa volare da una dimensione all’altra, piacevolmente leggeri nelle nuove ali di cera, di cui andare fieri ma da tenere a debita distanza dal sole. È estate ma è anche autunno, si è giovani anche a ottant’anni suonati, si può soffrire il freddo anche sotto un sole cocente… Venendo dal mondo dei documentari, mi piacerebbe che il film fosse visto come uno spiare per caso, senza essere visti, due passanti che s’incontrano, si scontrano e poi si salutano, forse per non rincontrarsi mai, in un giorno della loro vita. Vorrei che il pubblico si sentisse partecipe, un po’ intruso un po’ voyeur, di una storia privata, ma al tempo stesso comune: sullo schermo ci sono Ettore e Giulia ma potremmo essere anche un po’ noi. Fabiana Sargentini FABIANA SARGENTINI Fabiana Sargentini nasce a Roma nel 1969. Dal 1988 al 1997 collabora con la galleria d’arte contemporanea L’Attico di Roma come curatrice. Dopo la laurea in Lettere (Storia e Critica del Cinema) con una tesi su Robert Altman, lavora come assistente e aiuto regia nel cinema e nella pubblicità. Nel 1998 partecipa al Sacher Festival di Nanni Moretti con il cortometraggio in Super8 Se perdo te, autobiografico racconto tragicomico della fine di una storia d’amore. Da allora ha realizzato altri cortometraggi, che hanno percorso le vie dei festival, e documentari musicali e d’arte per canali satellitari. Nei primi mesi del 2003 gira il documentario d’arte Tutto su mio padre Fabio Sargentini, ritratto familiare e professionale del gallerista romano, vincitore del primo premio “miglior biografia d’artista” al Pieve di Cadore Art Film Festival 2004. Il documentario Sono incinta (presentato per la prima volta al Torino Film Festival 2003) ha vinto il Bellaria Film Festival 2004 ed è stato mandato in onda per DOC3 su RaiTre. Il successivo Di madre in figlia (presentato al Torino Film Festival 2004 e al Festival dei Popoli 2004) ha vinto Sguardi Altrove Festival di Cinema Femminile a Milano, nel febbraio 2005 e, per il secondo anno consecutivo, il Bellaria Film Festival 2005. Nel dicembre 2004 riceve l’ABO, premio per la produzione documentaristica, da parte di Achille Bonito Oliva. Ciro e Priscilla, in concorso al Torino Film Festival 2005, ha vinto il premio speciale della giuria. Nel luglio 2006 vince il secondo premio al festival CineMadeinLazio. Nell’autunno-inverno 2005-2006 ha realizzato La sicurezza è vita, un documentario sulla sicurezza nei posti di lavoro per l’Enel, intervistando operai di tutt’Italia vittime di infortuni. Due puntate monografiche dedicate ai suoi lavori de La 25ª ora sono andate in onda su La7 nel febbraio 2007. Da un soggetto scritto a quattro mani con Morando Morandini, per il quale nel 2008 ha ricevuto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali il finanziamento allo sviluppo della sceneggiatura del suo primo lungometraggio dal titolo Non lo so ancora. Località delle riprese: la riviera ligure di levante. Filmografia Mani (cortometraggio, 1994); Lo sgarro (cortometraggio, 1996); Viso (cortometraggio, 1997); Se perdo te (cortometraggio, 1998); Il matrimonio può attendere (cortometraggio, 1999); Il cerchio che si chiude (cortometraggio, 2000); Notte israeliana all’Argentina (documentario, 2000); Ho perso il treno (cortometraggio, 2001); SitarGuitar (documentario, 2002); Tutto su mio padre Fabio Sargentini (documentario, 2003);Sono incinta (documentario, 2003); Di madre in figlia (documentario, 2004); Ciro e Priscilla (documentario, 2005); La sicurezza è vita (documentario, 2006); Non lo so ancora (2013). i film 41 Nos seins, nos armes Francia, 2012, Beta Num col., 66’ Regia: Nadia El Fani, Caroline Fourest Produzione: Nilaya Productions. Sì, sono proprio loro le famosissime Femen a seno nudo contro dittature, guerre, ingiustizie e altri mali endemici del patriarcato che raccontano la genesi di un movimento ormai difficile da definire per diffusione e influenza. Due le caratteristiche fondamentali: la nonviolenza e l’uso del corpo esibito e utilizzato come mezzo di comunicazione immediata e dirompente. Hanno fatto del loro corpo un’arma. Molte hanno preso spunto da loro, dalle migliaia di donne sulle spiagge australiane nude a formare il simbolo della pace contro la guerra in Iraq alle ragazze arabe che rischiano grosso su Facebook alle Pussy Riot russe. Caroline Fourest Nadia El Fani È nata nel 1975 a Aix-en-provence. Saggista, giornalista, scenografa e regista, è cofondatrice e redattrice capo della rivista ProChoix (femminista, antirazzista, laica) dal 1997. Attraverso articoli e inchieste, si è specializzata nello studio dei movimenti estremisti e in particolare integralisti. Un tema sul quale sta lavorando da 14 anni. È nata nel 1960 a Parigi da padre tunisino e madre francese. Nel 1982 è stagista nella troupe del film di Schatzberg Besoin d’amour, quindi assistente di Polanski, Arcady, Bouzid, Goupil, Zeffirelli. Nel 1990 realizza il primo cortometraggio e fonda la società di Produzione Z’yeux Noirs Movies in Tunisia. La sua lunga carriera di filmmaker, impegnata nel movimento femminista e progressista tunisino conta ad oggi una sola, ma originale, incursione nel cinema di finzione, Bedwin hacker. Per il futuro ha però in progetto altri due lungometraggi di finzione: Aziza ne sait plus ce qu’elle dit e Frankaouis. Poi un nuovo documentario sulla doppia nazionalità, Harissa et moutarde. Filmografia Pour le plasir (cortometraggio, 1990); Fifty-fifty mon amour 42 i film (cortometraggio, 1992); Tanitez moi (documentario, 1993); Du cote des femmes leaders (documentario, 1993); Tant qu’il y aura de la pelloche (cortometraggio, 1998); Bedwin hacker (2002); Unissez-vous, il n’est jamais trop tard! (cortometraggio, 2005); Ouled Lenin (documentario, 2007); Laïcité, inch’Allah! (2011); Nos seins, nos armes (2012); Même pas mal (2012). Ouled Lenine Figli di Lenin - Francia/Tunisia, 2007, 81’ Regia e sceneggiatura: Nadia El Fani Fotografia: Paul Wattebled Montaggio: Thierry Simonnet Musica: Jean Ferrat, Claude Nougaro, Marcel Mouloudji, Georges Moustaki. Ma chi erano i Figli di Lenin, i comunisti tunisini? Servi dell’Unione Sovietica o spiriti liberi e rivoluzionari? Quali erano i loro rapporti con il socialismo panarabo di Nasser? In tempi di risorgenti nazionalismi ed identità religiose forti e politicizzate Nadia El Fani, prima della cosiddetta “primavera araba” ricerca i giovani comunisti di un tempo, e li convince a parlare nonostante i rischi della dittatura. Come ci riesce? Partendo da suo padre che è stato uno di loro e che non ha mai rinnegato i suoi ideali giovanili. È un racconto molto personale, la storia del partito comunista tunisino e il ritratto delle persone che lo animarono dagli anni Cinquanta agli anni Ottanta. Pone la questione della loro eredità. Le convinzioni e le speranze di una generazione militante, laica, un episodio politico della Tunisia quasi sconosciuto. Chi erano i ragazzi che a 20 anni lottavano per l’indipendenza della Tunisia quando tutti i sogni sembravano possibili? Hanno atteso con troppa prudenza che il paese fosse maturo, o il tempo è volato troppo in fretta per i loro sogni? Un emozionante confronto padre-figlia nelle vie di Sousse o in casa a Sidi Bou Said. Eppure tutto era cominciato così bene: l’Indipendenza, l’emancipazione delle donne, lo sviluppo... Era un tempo in cui musulmani, ebrei, cristiani, atei, uomini e donne indifferentemente, vivevano insieme, lottavano insieme per un mondo migliore fatto di tolleranza, di uguaglianza e di passione. Avevo dieci anni e non posso dire che sia stato il momento migliore della mia vita... Nella Tunisia indipendente di Bourguiba ma che entrava già nell’era della disillusione, siamo stati pochi a condividere il segreto dell’appartenenza: figli e figlie di comunisti... Ssssh! Nadia El Fani i film 43 O šunce Il prosciutto - Repubblica Ceca, 2012, Digitale, col., 6’ Regia, sceneggiatura, fotografia e musica: Eliška Chytková Montaggio: Libor Nemeškal Produzione: FMK UTB Zlín. Immaginate cosa può succedere se il più famoso spirito maligno, il diavolo in persona, approfitta di una momentanea distrazione dello Spirito del Bene per prendere la vita del mondo. Animazione scatenata e divertente di un’allieva della Facoltà di Multimedia e Comunicazione dell’Università di Zlín. 44 i film Eliška Chytková Eliška Chytková, nata nel 1988, si è laureata in Comunicazione Multimediale presso la Tomas Bata University di Zlín nella Repubblica Ceca. O šunce è il suo primo cortometraggio. Pora umierać TEMPO DI MORIRE - Polonia, 2007, 35 mm b/n, 104’ Regia e sceneggiatura: Dorota Kedzierzawska Fotografia: Artur Reinhart Montaggio: Dorota Kedzierzawska, Artur Reinhart Musica: Wlodzimierz Pawlik Intepreti: Danuta Szaflarska, Krzysztof, Patrycja Szewczyk, Kamil Bitau, Robert Tomaszewski, Małgorzata Rozniatowska Produzione: Tandem Taren-To, Kid Film, TVP S. A. Una casa di legno antica e molto bella nascosta tra gli alberi di un giardino che da troppo tempo nessuno cura. Le tracce della storia, quella con l’iniziale maiuscola e quella con la s minuscola molto più importante per le persone che l’hanno vissuta: ricordi di felicità lontane, vittorie e sconfitte e un presente non facile da decifrare. L’ultimo inquilino se ne va e la casa ritorna finalmente alla sua padrona, una donna molto anziana, portamento elegante, sguardo disincantato e intelligente. Unica compagnia e discreto confidente un cane, anzi una cagna di media taglia, capace di capire qualsiasi cosa l’amica si aspetti da lei e risolvere situazioni difficili. Ha un nome poco canino, Filadelfia. Attorno un figlio gaglioffo, una nipote viziata e consumista e un pericoloso speculatore che ha messo gli occhi sulla casa. Una bellissima (e molto premiata) prova d’attrice, un assolo per Danuta Szaflarska, la più famosa attrice polacca del dopoguerra, diretta magnificamente da Dorota Kedzierzawska e filmata in uno splendido bianco e nero. Note di regia Pora umierać è un monodramma ispirato da una persona speciale, e per lei, appositamente, scritto. Danuta Szaflarska non è solamente un’attrice brillante, ma anche una persona particolarmente affascinante. Da almeno 15 anni pensavo di scrivere una sceneggiatura per Danuta, dalla prima volta che ci incontrammo sul set di Diably, diably. [...] Oltre alla protagonista, ovviamente, anche la casa gioca un ruolo importante nel film. Il terzo punto focale della narrazione è il cane. L’ho inserito nella sceneggiatura perché odio i monologhi interiori e la mia protagonista parla davvero tanto, allora il cane diventa il suo interlocutore, unico coinquilino, amico e custode. Da queste conversazioni si capisce come Aniela percepisce la realtà, come guarda la realtà con un sorriso ironico, lo stesso sorriso che utilizza per vincere la solitudine. [...] Da subito sapevamo che il film sarebbe stato in bianco e nero, così come volevamo che la narrazione fosse sobria in modo che niente disturbasse la semplicità dei rituali quotidiani della nostra eroina. Guardando le vecchie foto di famiglia, in bianco e nero, automaticamente indugiamo, esaminiamo i volti, le persone, gli ambienti con lentezza, con una maggiore attenzione come se da queste foto emanasse una specie di potere magico, la nostalgia. Volevamo far vivere agli spettatori questo genere di “pausa” e solo con il bianco e nero potevamo riuscirci. [...] Soprattutto Danuta Szaflarska è la più grande attrice del cinema polacco del dopoguerra, a partire dai primi due film interpretati dopo il 1945: Zakazane piosenki e Skarb. A dispetto della sua età, è nata nel 1915, è ancora piena di energia e continua a calcare le scene di cinema e teatro. Dorota Kedzierzawska i film 45 Danuta Szaflarska Riferendosi a Danuta Szaflarska Erwin Axer scrive: Danuta era sempre aperta alla vita. Ma oggi, quando si occupa del teatro, si vede che tutto ciò contiene la verità. Ogni suo ruolo brilla come un cristallo. Lavorare con lei è il massimo piacere per un regista. Lei è come un diapason, che permette di giudicare la purezza del suono dell’intera orchestra. La pura naturalezza, La Repubblica n.52, 24-30 dicembre 1999 Dorota Kedzierzawska Dorota Kedzierzawska è nata a Łódz nel 1957. Figlia della regista Jadwiga Kedzierzawska, specializzata in film per bambini, Dorota fin da piccola segue la madre sul set e nel 1972 è attrice in un suo film, Ucieczka-wycieczka. Dal 1976 al 1978 studia Lettere all’Università di Łódz e nel 1981 si laurea in Regia presso la PWSFTviT Film School di Łódz. Studia poi Regia per due anni al VGIK di Mosca. Inizia la sua carriera negli anni ‘80 come assistente alla regia sui set della madre. Tutti i film di Dorota Kedzierzawska possono definirsi noncommerciali, di produzione indipendente. I personaggi dei suoi film vivono ai margini della società, sono poveri, soli, in difficoltà. Cercano amore, aiuto e umana comprensione. Per Kedzierzawska questa è una scelta di coscienza. Il lessico cinematografico di Dorota Kedzierzawska è unico, ogni particolare è costruito con cura, ogni cosa sul set, le luci i colori, i gesti, gli sguardi fino al make-up degli attori. Riesce a creare un’atmosfera speciale per ogni film e con tutti i suoi personaggi. Filmografia Agnieszka (1981); Jajko (1982); Poczatek (1983); Sosnowiec (1984); Gucia (1985); Koniec swiata (1988); Diabły, diabły (1991); Wrony (1994); Nic (1998); Jestem (2005); Pora umierać(2007); Jutro bedzie lepiej (2010). Mi osservo oggi e rivedo la bambina che ero quando correvo scalza attraverso la campagna, cosa mi è rimasto di lei? Tutto. L’amore per la natura, il carattere, l’indipendenza... Dalla natia Kosarzysk si trasferisce a Nowy Sacz. Qui, al ginnasio, l’insegnante di pittura che conduce anche il laboratorio teatrale della scuola le affida il ruolo di Michas nell’opera di Słowacki intitolata Horsztynski. Così a dodici anni, nel 1927, Danuta Szaflarska calca per le prima volta le tavole di un improvvisato palcoscenico e s’innamora della recitazione. Negli anni 1936-1939 studia all’Istituto Statale D’Arte Teatrale. La scuola di Zelwerowicz mi ha insegnato la professione afferma dopo anni. Tutta la sua generazione è segnata, in Polonia, dall’esperienza dalla II guerra mondiale. La memoria del periodo degli stermini accompagna tutta la vita dell’attrice ed è la fonte della sua forza della sua arte a partire dal primo film uscito nel dopoguerra ed intitolato Le canzoni proibite (1946) fino ai ruoli eccellenti degli ultimi anni - moglie del dottore ne L’addio a Maria (1993) e la signora Tabori in un spettacolo televisivo Il coraggio di mia madre (2002). Danuta è una dama d’altri tempi, porta in sé splendori dei tempi passati e grande modernità – afferma Artur Reinhart, il direttore della fotografia del film Tempo di morire. La cinepresa, in linea di massima, non si muove, tutto il peso della storia è affidato all’attrice. I mezzi plastici sono ridotti al minimo, l’immagine è in bianco e nero, così com’è il mondo dei valori della Danuta Szaflarska, che indicano con chiarezza la linea che separa il bene dal male. Nel “vecchio fulgore” possiamo comprendere la grande competenza professionale ma anche l’adesione ad un sistema di valori umani. Per quanto riguarda la modernità è significativo che la Szaflarska non ha mai rappresentato, con la sua arte, un modello tradizionale. Piuttosto è sempre stata percepita, anche dai giovani, come una maestra di modernità. Forse ciò accade perche lavorare nel cinema esige un rinnovamento continuo. Oppure è dovuto alla sua straordinaria capacità di osservare la gente e il corso degli eventi, alla innata curiosità del mondo unita alla gioia di vivere. Mi sembra di non essere mai cresciuta, e perciò come una bambina posso gioire della vita – dice l’attrice. Paweł Smolis, Il Giornale 46 i film Stacja kolejowa Krasne-Busk Stazione ferroviaria di Krasne-Busk - Polonia, 2012, Digitale col., 60’ Ideazione e coordinamento: Sławomira Walczewska, Alina Doboszewska Storie ascoltate e filmate da: Jessica Bock, Halyna Bodnar, Alina Doboszewska, Tetyana Dzyadevych, Tekla Fodor, Małgorzata, Goliszewka, Gelinada Grinczenko, Irina Konchenkova, Agnieszka Król, Grazyna Kubica, Olena Kułak, Magdalena Kwiecieska, Lena Lytovka, Olga Łaniewska, Lilija Musichina, Helena Szczodry, Sławomira Walczewska, Dorothee Walka, Meike Walka Montaggio: Małgorzata, Goliszewka, Agnieszka Król Musica: Lena Selyanina. Krasne, snodo ferroviario delle deportazioni - Indagine storica sulle deportazioni nell’Ucraina Occidentale è un progetto di storia ideato e realizzato da organizzazioni non governative di tre paesi: la Dobra Wola Foundation, in collaborazione con la Women Foundation (Cracovia, Polonia), la International School of Equal Opportunities (Kyiv, Ucraina), e la Jugendwerk der AWO Württemberg (Stuttgart, Germania) in partnership con MONAliesA e.V. (Leipzig, Germania). Nel 2010, grazie ad un altro progetto realizzato in comune dalle stesse O.N.G., un team di ricercatrici aveva incontrato gruppo di abitanti della città di Krasne, che erano stati deportati in Siberia e dopo la guerra nuovamente deportati nella Polonia occidentale, nel villaggio di Jugów (prima della guerra Hausdorf) nella Bassa Slesia. Dalle interviste registrate in quella occasione era nato un documentario, intitolato come lo stesso progetto del 2010, Memoria e Oblio. Nel 2012 per il nuovo progetto Krasne - Busk nodo ferroviario delle deportazioni un gruppo di 12 ricercatrici ha visitato i villaggi di Krasne e Busk, nell’Ucraina Occidentale, per capire cosa è rimasto di quegli eventi così tragici, nella memoria degli attuali abitanti del luogo. Il piccolo villaggio di Krasne, a 40 chilometri da Lviv, nell’Ucraina Occidentale, prima della Seconda Guerra Mondiale apparteneva alla Polonia. La maggior parte dei suoi abitanti erano ucraini ma c’erano anche polacchi, ebrei e qualche tedesco. Durante la guerra i polacchi sono stati, in parte, deportati in Siberia dalle autorità sovietiche (NKVD) mentre altri furono spostati nella Polonia occidentale dopo il 1945. Nelle loro case sono andati a vivere ucraini provenienti da deportazioni dalla Polonia Occidentale e altri con altre storie e radici. I cittadini ebrei furono uccisi o mandati nei campi di concentramento nazisti mentre i tedeschi dovettero fuggire alla fine della Guerra. La stazione dei treni di Krasne era diventata il punto in cui si dipartivano e si incrociavano i cammini di queste deportazioni di polacchi, tedeschi, ebrei e ucraini. L’impostazione della ricerca mirava a far emergere il punto di vista delle donne che erano state testimoni di quegli avvenimenti. Avevano ancora memoria di quei polacchi, ebrei e tedeschi che abitavano prima in quel luogo? E cosa ricordavano delle deportazioni, delle fughe? Come sono riusciti gli ucraini a ricostruirsi una nuova vita durante il periodo dell’Unione Sovietica? Qual è stata e qual è la consapevolezza degli avvenimenti trascorsi? Quante e quali tracce del passato multiculturale rimangono ancora? La metodologia utilizzata dalle ricercatrici è stata quella dell’intervista registrata su supporto digitale. Il risultato di tutto questo lavoro è sintetizzato in questo documentario di un’ora. i film 47 Sławomira Walczewska Alina Doboszewska È nata il 25 giugno 1960 a Czestochowa. Attivista femminista e sociale, filosofa, giornalista, saggista, traduttruce, edittrice. Si laurea in Filosofia (1985) presso l’Università Jagellonica di Cracovia. Negli anni 1986-1990 ha conseguito il dottorato presso l’Istituto di Filosofia dell’Università Jagellonica. Negli anni 1992-1997 ha studiato presso la Scuola di dottorato di Scienze Sociali dell’ Istituto di Filosofia e Sociologia dell’Accademia Polacca delle Scienze a Varsavia, conclusa con il saggio Signori, cavalieri e femministe: discorso sull’ emancipazione femminile in Polonia, poi pubblicato e tradotto in varie lingue e molto premiato. Ha ricevuto borse di studio presso le Università di Friburgo (1985), di Bonn (1993) e l’Istituto di Scienze Umane di Vienna (1995). Attiva nei Gender Studies presso Università di Varsavia (1997), Università Jagellonica di Cracovia (2001) e Accademia Femminista EFKA (2002-2004). È giornalista e redattrice di varie riviste. Attiva nel movimento delle donne polacco dagli anni ‘80, organizza incontri e coordina progetti. È membro fondatore della Rete delle Donne Wschód-Zachód (Est-Ovest, 1991). Membro dei consigli di amministrazione di diverse organizzazioni tra le quali: il Centro dei Diritti delle Donne, Il Laboratorio per tutti gli esseri, la LGBT Foundation, la Fondazione per una cultura della tolleranza. Alina Doboszewska ha studiato teatro e storia dell’arte presso l’Università di Cracovia. Ha pubblicato saggi ed articoli inerenti alla storia dell’arte e alla storia della letteratura. Attiva nella cooperazione internazionale attraverso le organizzazioni non governative si occupa, in particolare, di storia orale e di metodologia dell’indagine biografica per la formazione e la ricerca. Specializzata in progetti cooperativi polacco-ukraini è presidente della Fondazione Dobra Wola. Ha realizzato scambi di giovani e laboratori teatrali nell’ambito del programma europeo Youth in Action. Ha preso parte al progetto europeo European Biographies. Biographical Approach in Adult Education, 2009–2011 che sperimentava la storia orale e l’approccio biografico allo studio del passato per l’educazione degli adulti. A questo progetto, realizzato sempre con il sostegno della UE, partecipavano partner italiani, tedeschi, austriaci e turchi. Dal 2010 è stata coordinatrice del progetto Memoria e Oblio, da cui ha origine il film Stacja kolejowa Krasne-Busk. 48 i film Le sac de farine Belgio/Tunisia/Marocco, 2012, DCP col., 92’ Regia: Kadija Leclere Sceneggiatura: Kadija Leclere, Pierre Olivier Mornas Fotografia: Gilles Porte, Philippe Guilbert Montaggio: Virginie Messiaen, Ludo Troch Musica: Christophe Vervoort Interpreti: Hafsia Herzi, Hiam Abbass, Mehdi Dehbi, Rania Mellouli, Smain Fairouze, Souad Saber, Hassan Foulane Produzione: La Cie Cinématographique, Sahara Productions, Tchin Tchin Productions. Premio Sigillo della Pace per il film lungometraggio a soggetto Kadija Leclere Motivazione Per aver portato sullo schermo una tematica di grande rilievo, quella dei nuovi cittadini europei, cresciuti tra due culture, due lingue e due tradizioni, che devono riuscire ad elaborare una sintesi positiva del loro duplice bagaglio esistenziale. Questo percorso di formazione e di scelta, molto complesso e difficile, è narrato con sensibilità, maestria e chiarezza da Kadija Leclere in un film fortemente autobiografico. Molto sincero e coinvolgente, lascia, ed è un pregio, parecchie domande senza risposta e ci avvicina ad un Marocco dell’anima e della famiglia lontano dalle immagini convenzionali del turismo e dei tanti film a diffusione planetaria girati nel paese. Una menzione speciale per le bravissime attrici che interpretano il personaggio protagonista: Rania Mellouli (Sarah bambina) e Hafsia Herzi (Sarah adulta). Kadija Leclere ha iniziato la carriera prima come attrice, poi come direttore del casting. È sempre stata affascinata dal cinema e spinta dalla necessità di raccontare le proprie storie. Ha autoprodotto il suo primo cortometraggio, Camille, nel 2002 cui sono seguiti Sarah (2007) e La Pelota de Laine (2010). Le Sac de Farine (2012) è il suo primo lungometraggio. Nota di regia Desideravo raccontare la differenza attraverso una bella storia di confronto tra due culture. Ho avuto l’immenso privilegio di guardare il mondo attraverso lo sguardo di Sarah. Un po’ come quando, da bambini, si fantastica di essere un topolino per conoscere dall’interno le vicende della vita altrui. Mi spiego meglio: ho avuto “la fortuna” di vivere una parte di questa storia, di essere rapita e segregata per due anni quattro mesi e dieci giorni. E davvero per fortuna ne sono venuta fuori. Sono potuta tornare a scuola, ho imparato a leggere e a scrivere, ho scoperto la letteratura. Ho incontrato il mondo del teatro e poi quello del cinema, gli ambienti in cui adesso lavoro. Credo, con questo film di aver dovuto alleggerire me stessa da quel peso, in modo positivo. Naturalmente volevo anche parlare di famiglia, un tema che mi sta molto a cuore. Dedico questo film a tutte le ragazze che non hanno potuto scegliere se tornare o no in Europa e per loro voglio far conoscere questa storia. Kadija Leclere i film 49 Shattered - Afghanistan. How Can I Dream of Peace? Germania, 2013, Digitale,col., 73’ Regia: Helga Reidemeister Fotografia e riprese: Lars Barthel Produzione: Basis-Film Verleih Berlin. Come possono gli afghani sopravvivere in un paese costantemente in guerra? E che futuro sognano per la loro vita? Shattered - Afghanistan ci avvicina agli invalidi di guerra, alla loro impressionante tenacia e volontà di vivere. L’italiano Alberto Cairo presta il suo aiuto a tutti i feriti, senza discriminazioni. Bambini, donne e uomini che vengono da ogni parte del paese, procura loro protesi e sedie a rotelle e offre loro nuove prospettive di vita. La clinica ortopedica di Cairo a Kabul, fondata con l’aiuto della Croce Rossa Internazionale, è diventata un’istituzione per l’intero paese conosciuta in tutto il mondo. Mettendo insieme singoli frammenti, il film ci racconta di persone che non hanno permesso che la distruzione della guerra li vincesse. Nel Museo Nazionale di Kabul, abbiamo visto archeologi afghani che cercano di ricomporre le opere d’arte distrutte dai talebani. I loro tentativi sembrano surreali. Le scene di strada della città distrutta ci lasciano confusi, divisi tra la curiosità e l’orrore. La miseria di più di trenta anni di guerra ci si mostra dolorosamente. Ma c’è un luogo di speranza e di assistenza in cui il nostro orrore è temperato da un sentimento di sorpresa. Qui ci si prende cura di uomini, donne e bambini che hanno perso gli arti. Arrivano corpi dilaniati e la miseria fisica delle amputazioni e delle cicatrici incombe. Eppure nel centro ortopedico, il cuore della Croce Rossa a Kabul, c’è un’atmosfera cordiale, allegra, anche piena di speranza e vivacità. Alberto Cairo, il capo della clinica, pensa che sia un miracolo quando un giovane ragazzo, Sher Achmad, torna di nuovo alla sua vita. Accompagniamo Sher Achmad nel viaggio di ritorno al suo piccolo villaggio nel sud dell’Afghanistan, al confine con il Pakistan. Helga Reidemeister 50 i film Helga Reidemeister Helga Reidemeister è nata ad Halle nel 1940. Dopo le scuole a Colonia ha studiato Arte all’Università di Berlino e lavorato come restauratrice. Attivista nel movimento studentesco, ha lavorato nel sociale a Maerkisches Viertel nell’interland berlinese. Nel 1973 ha iniziato gli studi alla German Academy of Film end Television (dffb) a Berlino e girato i primi due film, entrambi con gli abitanti di Maerkisches Viertel. Il suo film di laurea Von wegen Schicksal, ritratto di una madre che si ribella al suo ruolo nella società, ha vinto il German Film Award e suscitato molto interesse per il film documentario in Germania. I suoi film, pluripremiati in molti festival internazionali, sono caratterizzati da un costante impegno politico, dalla denuncia dei precari equilibri del potere e da come politica, potere, ingiustizia, guerra, bisogno e disagio influenzino le vite delle persone, in particolare delle donne. Impressionata dalla “guerra al terrore” che punisce l’Afghanistan con milioni di bombe a grappolo e mine anti-uomo, Helga Reidemeister decide di partire alla ricerca di rapporti umani credibili e di menti lucide nonostante il panico generale causato dalla situazione internazionale. Da allora, dal 2002 al 2012 Reidemeister è tornata molte volte in Afghanistan e da questi viaggi ha riportato storie, incontri, emozioni custoditi in una trilogia di documentari sul tempestoso paese asiatico di cui Shattered è l’ultimo atto. Almeno per ora. Filmografia Wohnste sozial, haste Qual (1971); Der jekaufte Traum (1977); Von wegen Schicksal (1979); Mit starrem Blick aufs Geld (1983); Drehort Berlin (1987); Aufrecht gehen, Rudi Dutschke-Spuren (1988); Im Glanze dieses Glueckes (1990); Rodina heisst Heimat (1992); Frauen in schwarz (1997); Lichter aus dem Hintergrund (1998); Im leben bleiben (1999); Gotteszell (2001); Texas Kabul (2004); War and Love in Kabul (2009); Shattered - Afghanistan. How Can I Dream of Peace? (2013). Il sole a scacchi: racconti dalla fortezza Italia, 2013, Digitale col., 15’ Regia, ideazione e testi: Sara Barbanera Riprese e montaggio: Oronzo Cagnazzo Produzione: Unicoop Firenze, Sicrea. Premio del pubblico Alida Valli miglior cortometraggio (Giuria Senior) Motivazione Il sole a scacchi fa conoscere un’esperienza di assoluta avanguardia nel panorama carcerario italiano. Permette allo spettatore di avvicinarsi, in modo diretto e immediato, ai protagonisti delle “cene galeotte” del carcere di Volterra, registrandone opinioni ed emozioni. Questi protagonisti sono gli ideatori delle “cene”, quelli che le sostengono, i responsabili e gli operatori carcerari, i detenuti che le animano e coloro che partecipano a questi appuntamenti superando stereotipi e pregiudizi. Non soltanto un’esperienza indimenticabile, non soltanto solidarietà, non soltanto dimostrazione esemplare di un carcere italiano simbolo di umanità Le “cene galeotte” sono una delle molte attività d’avanguardia che caratterizzano il carcere di Volterra. In cinque anni diecimila persone sono entrate in carcere partecipando al progetto che vede cuochi di fama e detenuti lavorare fianco a fianco. Sara Barbanera Sara Barbanera è nata a Foligno nel 1977. Dopo le scuole superiori si trasferisce a Roma, dove, nel 2001, si laurea in Scienze della Comunicazione presso l’Università La Sapienza. Dal 2001 è giornalista pubblicista, con numerose collaborazioni attive con la cronaca umbra de Il Messaggero e altri periodici locali. Dopo la laurea, ha diverse esperienze di lavoro a Roma, in Umbria e all’estero. Dal 2004 si trasferisce a Firenze per lavorare con Unicoop. Dal 2011 è direttore responsabile dell’Informatore Unicoop Firenze, responsabile di produzione della trasmissione tv e web Informacoop e della produzione video dell’ufficio Comunicazione Istituzionale di Unicoop Firenze. Per l’Ufficio Comunicazione ha curato alcuni prodotti editoriali cartacei e video su numerosi argomenti e gli allestimenti di mostre presso le gallerie commerciali dei punti vendita di Unicoop Firenze. Dal 2009 studia Sviluppo Economico e Cooperazione Internazionale all’Università di Firenze. Scrive racconti e poesie. Una sua poesia sul tema della violenza sulle donne è stata utilizzata come soggetto per il cortometraggio Donne, danno prodotto nel 2013 nell’ambito delle attività della Scuola di Cinema “Anna Magnani” di Prato. i film 51 La tendresse Belgio/Francia/Germania, 2013, col., 78’ Regia e sceneggiatura: Marion Hänsel Fotografia: Jan Vancaillie Montaggio: Michèle Hubinon Musica: René-Marc Bini Interpreti: Olivier Gourmet, Marilyne Canto, Adrien Jolivet, Margaux Chatellier, Sergi Lopez Produzione: Man Films Productions, ASAP Films, Neue Pegasos Filmproduktion. Un ragazzo in vacanza con gli amici ha un grave incidente di sci. Chiama i genitori che lo aiutino e riportino in città lui e l’auto che, per il momento, non è in grado di guidare. Frans e Lisa si mettono in viaggio, devono arrivare da Bruxelles alle Alpi. Partono insieme ma con un po’ di imbarazzo perché sono separati da quindici anni. Per due giorni sono di nuovo vicini come un tempo e devono fare i conti con sentimenti e ricordi. Rancore? Gelosia? Un po’, ma anche una forma di amicizia e intimità che assomiglia all’amore. Note di regia Volevo scrivere una storia semplice, lineare, della durata di due giorni, una storia per parlare di gente come voi e me, adulti piuttosto contenti della loro vita, che però, proprio come noi, qualche volta provano delle piccole sofferenze e magari anche qualche dolore più profondo. Volevo anche parlare delle relazioni genitori/figli ma con humor, senza affrontare il tema della crisi intergenerazionale. Ho visto un sacco di film che raccontano crisi famigliari e la maggior parte di questi finisce male. Uomini e donne che dopo essersi amati, dopo aver avuto dei figli insieme, una volta separati cominciano ad odiarsi, si fanno del male oppure non si parlano neanche più. A me tutto ciò è sempre sembrato strano. Come si fa a commettere errori di questo genere? Come può l’amore trasformarsi in un sentimento di segno così diverso? D’altra parte non ricordo d’aver visto nessun film in cui un divorzio finisce serenamente, la coppia continua ad avere reciproca stima, aiutarsi e mantie- 52 i film ne un buon rapporto. Il mio lavoro come regista si è prevalentemente basato su adattamenti di opere letterarie che mi rassicurano perché posso appoggiarmi a lavori che già esistono. Qualche anno fa, invece, ho scritto una sceneggiatura originale Sur la terre comme au ciel e anche Nuages, lettres à mon fils un lavoro poetico costruito su delle lettere, non una vera e propria sceneggiatura. Per scrivere La tendresse ho sperimentato una nuova formula composta da commedia romantica e road-movie. La vicenda si svolge durante il viaggio in macchina di una coppia e il paesaggio, la natura rivestono un ruolo importante. Girare in una macchina non è semplice perché non puoi stabilire nessuna distanza con le persone che filmi e alla fine si possono fare solo pochi movimenti. Si crea una vera e propria prossimità fisica con gli attori determinata dallo spazio ristretto che puoi utilizzare all’interno di una macchina. Ho usato colori chiari e gioiosi come il rosso della giacca a vento, il verde degli alberi in primavera, la neve bianca e il cielo blu. Ho alternato primi piani dei visi, mani sul volante, sigarette e accendini. Ho anche inserito qualche ripresa aerea dell’auto in autostrada e sulle montagne. Per questo tipo di riprese mi sono ispirata ad un film russo che amo Silent Souls di Aleksei Fedorchenko. Anche la scelta dell’edificio che ospita i ragazzi che sono andati a sciare, nelle alpi francesi, non è stata casuale. È un posto particolarissimo, costruito negli anni ’70 dall’architetto Marcel Breurer tutto in cemento con una pista da pattini centrale e scale metalliche che collegano i differenti livelli. Ci sono statue di Picasso, Vasarely e Dubuffet. Oggi somiglia più che altro ad un UFO. Non c’è niente di caldo nei materiali usati, niente chalet di legno né il solito piccolo villaggio della Savoia con la chiesa al centro. Stranamente il contrasto con il triste e grigio cemento fa emergere la bellezza delle montagne e della natura circostante. Marion Hänsel Marion Hänsel Marion Hänsel è scrittrice, regista, produttrice e attrice. Ha recitato in vari teatri d’avanguardia a Bruxelles prima di iniziare la carriera di regista di cortometraggi e lungometraggi. Eletta “Donna dell’anno” in Belgio nel 1987, fa parte di quella generazione di registi che hanno contribuito a rendere universale il cinema belga. Cresciuta ad Anversa, si è trasferita prima a New York, poi a Parigi. Il suo primo cortometraggio è Palaver e risale al 1969. Il primo lungometraggio, Le Lit (1982) è tratto da un romanzo di Dominique Rollin. Marion Hänsel è la prima regista belga a ricevere il Leone d’argento al Festival di Venezia con il film Dust (1985), tratto dal romanzo del sudafricano J.M. Coetzee (che riceverà il premio Nobel per la letteratura nel 2003). Nel 1987, ha diretto The Wedding Barbaro, un adattamento del libro di Yann Queffelec. Nel 2006 ha diretto Sounds of Sand, girato nel deserto di Gibuti. Black Ocean è ambientato su una nave della Marina francese nel Pacifico. Filmografia Palaver (1969); Le Lit (1982); Dust (1985); The Wedding Barbaro (1987); Between the Devil and the Deep Blue Sea (1995); Hell (2005); Sounds of Sand (2006); Black Ocean; La tendresse (2013). i film 53 Wanda USA, 1970, 35 mm col., 102’ Restaurato da UCLA Film e Film & Television Archive. Restauro finanziato da Gucci e The Film Foundation Regia e sceneggiatura: Barbara Loden Fotografia: Nicholas Proferes Montaggio: Barbara Loden, Nicholas Proferes Interpreti: Barbara Loden, Dorothy Shupenes, Frank Jourdano, Michael Higgins, Peter Shupenes, Valerie Manches, Jerome Thier, Marian Thier Produzione: Foundation for Filmakers. Restauro dell’unico e miracoloso film diretto e interpretato da Barbara Loden la bella e sfortunata moglie di Elia Kazan, attrice di teatro e cinema. Tutti avevano riconosciuto Marilyn Monroe nella sua interpretazione in Dopo la caduta di Arthur Miller. Non si era trattato solo di una prodezza da Actor’s Studio. Era una condivisione di esperienze e attitudine esistenziale. Quando nel 1970 Barbara Loden gira Wanda nello stile libero e povero del cinema indipendente delinea un personaggio commovente e indimenticabile, una giovane donna in crisi che abbandona casa e bambini, cercando, a suo rischio, di riconnettersi con una realtà che la esclude e svaluta a priori. Un’interpretazione straordinaria ma anche la messa a nudo dei rapporti di forza, violenti e implacabili da cui nasce il disagio femminile. 54 i film barbara loden Barbara Loden, attrice e regista statunitense. Ex modella, dalla fine degli anni ’50 ottiene piccole parti a Broadway. Elia Kazan la scopre durante un’audizione per il suo Fango sulle stelle (1960) e le offre un breve ruolo, per poi affidarle un personaggio complesso in Splendore nell’erba (1961). Continua a recitare in teatro, in particolare si ricorda la sua interpretazione di Marilyn Monroe nell’opera teatrale di Arthur Miller, Dopo la caduta. Vince un Tony nel ’64. Nel 1968 sposa Kazan e scompare dai palcoscenici così come dagli schermi. Nel 1970 torna al pubblico in veste di regista, sceneggiatrice e interprete di Wanda che a Venezia vinse il Premio Internazionale della Critica nel 1971. Scoraggiata da Kazan, che non ha stima delle sue doti, avvia un nuovo progetto di regia nel 1980, ma tragicamente muore di cancro a soli 48 anni. Quattro “fermo immagine” da Wanda Prima immagine. Una figurina bianca con una grande testa attraversa il paesaggio sconvolto della Pennsylvania mineraria. Sembra di essere sulla luna tra crateri e materiali scuri di riporto. Quasi ti aspetti gli astronauti con i caschi e le tute spaziali. È anche effetto del chiaroscuro un po’ sgranato tra abiti e paesaggio. Le televisione aveva diffuso così le immagini dei primi passi umani sulla luna. Non siamo, però, sulla luna, ci sono scavatrici e grossi camion che fanno manovra nella polvere di carbone. Incontriamo così Wanda/Barbara Loden. Sembra un’apparizione inquietante e un po’ magica. Decisamente fuori luogo. Una donna con i bigodini sotto un fazzoletto bianco vestita e calzata in un modo disadatto ad affrontare la durezza del paesaggio attraversato, che non è una campagna ma neanche uno spazio ordinato, organizzato per la vita come anche una brutta periferia può essere. Non è pulito, non è curato anzi porta come ferite, le tracce/stigma dell’attività umana. Il film è già iniziato. Sappiamo che Wanda ha abbandonato marito e bambini, non sono capace con i bambini e nemmeno con la casa. Però porta,obbediente, i bigodini che le fanno la testa così grande in distanza. È di troppo anche a casa della sorella dove ha trovato temporaneo rifugio. Anche li ci sono bambini da accudire e un marito cui rendere conto di chi si ospita in casa Lui mi odia perché sto qui. In tribunale il marito la accusa di abbandono del tetto coniugale e ha fretta di risposarsi con la giovane donna che ora si prende cura dei bambini. Lei non si difende, vuole solo tagliar corto: Se lui vuole il divorzio, dateglielo! Perde il lavoro, in fabbrica, le annunciano il licenziamento perché è troppo lenta per gli standard di produzione. Anche stavolta nessuna difesa e, apparentemente, nessun rimpianto. A questo punto, senza lavoro, casa, famiglia, non resta che la strada, partire in autostop senza una meta precisa. Il viaggio, elemento fondante della letteratura e del cinema americano, al femminile, non funziona affatto. C’è anche un corrispettivo dello zaino dei road movies ispirati alla beat generation: la grande borsa che dovrebbe contenere quello che la donna ha deciso di portare via dalla precedente vita. Ma si direbbe che non contenga nulla di utile dato che niente ne viene estratto. Comunque il poco denaro che contiene svanirà, rubato in un cinema dove Wanda si è addormentata. Per i personaggi maschili il viaggio è certamente (ma non sempre) una cesura con un vecchio tipo di vita, però, contiene la promessa di nuove forme e possibilità di relazione. Si affronta con determinazione e scelta come affermazione del proprio punto di vista. Per Wanda il punto di vista è sempre quello degli altri, che la guardano anche se non la “vedono” per davvero (questo non significa che non ne possano fare comunque un oggetto sessuale) anche in senso propriamente cinematografico lei non ha prospettiva, sguardo e desiderio tranne che in pochissime occasioni. Se un uomo parte dal suo mondo ne raggiunge un altro. Ma che succede se una donna decide di fuggire dal ruolo che le è stato assegnato dalla società? Marion Meade, nella sua recensione al film, scrive efficacemente E adesso Barbara Loden arriva al cuore del problema che è “dove puoi andare se rifiuti la sola vita che la società ti permette? Quando una donna guadagna la sua libertà, poi che se ne fa? dove può andare? La risposta è: niente e da nessuna parte”. Si direbbe un’affermazione ben poco costruttiva e così fu interpretata dal movimento delle donne che di lì a poco sarebbe nato riservando ai linguaggi visivi e, in primis al cinema, un’attenzione particolare. Si volevano eroine, o anche (prevalentemente) antieroine che facessero riferimento ad un “mondo comune delle donne”e da questo prendessero forza per la rivolta e il cambiamento. Per Barbara Loden tutto questo non esisteva, era davvero una pioniera senza modelli. Personalità come Maya Deren o Germaine Dulac erano da lei lontanissime per tempo e formazione. Non le sono utili nemmeno i modelli del New American Cinema che in quel momento si affermava. Si tiene ben lontana da New York e San Francisco, gira tra i film 55 Pennsylvania e Connecticut, stati non poi così ricchi di glamour cinematografico. Certo non si allontana troppo da una delle case di Elia Kazan, e questo economicamente significa parecchio, ma la scelta corrisponde bene anche al desiderio di location non saturate dall’immaginario hollywoodiano. Piuttosto riprende modi e stilemi del documentarismo politico, indipendente per definizione. Una piccolissima squadra: quattro persone, la macchina da presa 16millimetri in mano a Nicholas T. Proferes, collaboratore di Pennebaker ma in proprio documentarista sensibile ed impegnato. Il suo lavoro più noto e premiato (Free at Last) è dedicato a Martin Luther King di cui seguì e filmò l’ultima campagna attraverso gli States prima che lo uccidessero a Memphis. Riprese sempre molto vicine agli attori, camera a mano, nessun copione ma grande libertà di improvvisazione e, tranne che per il ruolo di Mr Dennis e, naturalmente, per quello di Wanda, attori non professionisti. Tutto questo costituisce precisamente la forza del film. Loden non accetta per Wanda la definizione di “mentalmente disturbata” che molti critici le attribuiscono con grande superficialità. Ammettendo una profonda identificazione con il personaggio afferma, Non è Wanda ad essere sbagliata, è sbagliato il mondo intorno a lei. Dunque non sceglie la rivolta prometeica di un individuo che vince o muore ma descrive con partecipazione interna e grande capacità di comunicazione una condizione che non può essere cambiata da un singolo e neanche da uno solo dei sessi ma necessita di un grande sforzo collettivo, di una presa di coscienza che riguarda uomini e donne. La sua strepitosa interpretazione (ed è davvero tutta sua perché nessuno le dice cosa e come fare) è la commovente testimonianza di una condivisa Linea di condotta femminile che attraversa classi e condizioni sociali fino a comprendere icone del divismo come Marilyn Monroe. Wanda applica con metodo la resistenza passiva alle traversie e alle aggressioni che la colpiscono. Cerca di attutire i colpi dicendo che non fanno male, sorridendo quando non ce n’è ragione sempre cercando di disturbare il meno possibile, disposta anche all’invisibilità per essere accettata. Quando il datore di lavoro la licenzia e poi le gira le spalle continuando a fare le sue cose, senza neanche salutarla, lei se ne va dicendo: Grazie! Da non dimenticare che l’idea del film nasce da una vicenda di cronaca nera in cui una ragazza (la vera Wanda Goronski), dopo una rapina finita male, aveva ringraziato il giudice che la condannava a venti anni di galera. Perché questo episodio era sembrato a Loden così interessante? Certamente per quello che riguarda il controllo 56 i film dell’ansia. La vera Wanda trovava nel carcere, la fine della tensione che certamente aveva caratterizzato la sua vita sino ad allora e probabilmente anche il sollievo di non essere stata uccisa durante la rapina. Loden, però, pone l’ansia, o la paura di essere scoperte, se vogliamo cambiare nome al sintomo, come conseguenza inevitabile della strategia della passività che fa vivere la condizione femminile in perpetua anestesia. Parlando della propria esperienza dice Ci sono in me molta sofferenza e rabbia repressa, proprio come in Wanda. In un film di Chantal Akermann, un film di qualche anno successivo, Jeanne Dielman, 23, Quai du Commerce, 1080 Bruxelles si mette in scena la strategia opposta, quella della perfezione irreprensibile nell’organizzazione di una casalinga di Bruxelles Alla fine una frattura casuale nella ripetizione quotidiana degli avvenimenti porta la protagonista, altrettanto alienata e spaventata di Wanda, a compiere un omicidio. Seconda immagine. Un’auto parcheggiata nel solito nulla. Un uomo in piedi sul tetto dell’auto, agita le braccia per scacciare o affrontare qualcosa che non vediamo ma di cui sentiamo il ronzio. Grande suggestione visiva di un gesto gratuito e non immediatamente comprensibile. Ancora per associazione spontanea: Don Chisciotte che affronta i mulini a vento, ma non con la prosopopea del personaggio di Cervantes che corre entusiasta verso il disastro. La scena nasce per caso. Lo sappiamo da Proferes che lo racconta in un’intervista. Al margine del campo in cui stavano girando c’erano un uomo e un bambino intenti a far volare un areoplanino giocattolo teleguidato. Barbara Loden li vede e chiede al fidato collaboratore e operatore se poteva farne qualcosa. Il risultato segna il momento di massima sintonia tra i due che sono diventati una coppia anche se lei lo chiama Mr. Dennis e lui non smette mai di ricordarle la sua inadeguatezza. Chi non ha soldi non vale niente. Hai dei capelli tremendi e via brontolando. D’altra parte è stata lei a cercare di entrare in contatto con l’uomo incontrato in un bar. Sfortunatamente lui non era lì solo per un caffè o un bicchiere di birra ma per vuotare la cassa e, quando escono insieme, la donna ha indubbiamente accettato un ruolo di complice. Quanto alle armi, che non preoccupano Wanda, c’è il racconto di Elia Kazan che riferisce dell’ambiente working class da cui la Loden proveniva e di come il padre e i fratelli uscissero con le pistole anche per andare al bar la sera. Certo tutto quello che sappiamo della regista lo raccontano gli uomini della sua vita, di lei parla solo questo film che, però, dice tanto, anche che la peggiore violenza non è quella delle armi, almeno non la sola. Terza immagine. Wanda con indosso il vestitino corto bianco e un’acconciatura/cuffia di fiori bianchi in testa. Sembra un abito da sposa ma non lo è. È l’inizio della fine, Wanda ha finalmente abiti nuovi ma serviranno per una rapina in banca, il colpo grosso che Mr Dennis ha progettato per risolvere la propria esistenza ed anche per dimostrare a suo padre di essere capace di arricchirsi, in un modo o nell’altro, come il sogno americano comanda. Anzi con l’intento di sembrare la coppia più normale del mondo lei potrebbe simulare l’attesa di un bambino con un cuscino infilato sotto gli abiti. Wanda e Mr Dennis sono ai perfetti antipodi di Bonnie e Clyde. Non sono belli e dannati e soprattutto non sono assolutamente tagliati per il rischioso mestiere del rapinatore. Mr Dennis ha deciso di rapire il direttore della banca per farsene scudo durante la rapina ma resta spiazzato dalla decisa reazione dell’uomo, che lo metterebbe ko se l’incapace Wanda non raccogliesse e impugnasse prontamente una pistola caduta a terra. Gli abiti sono importanti in questo film anche se non sono costati molto. Li ha prevalentemente procurati il solito Proferes e ciascuno poteva adattarli o proporre integrazioni con altri capi. Però gli abiti di Michael Higgins/Mr Dennis provengono dal guardaroba di Elia Kazan. Sono abiti smessi che Loden ha recuperato e suggeriscono qualcosa. Non è difficile vedere nella preparazione della rapina la scena primaria del cinema: quella tra il regista e la sua attrice. Lui scrive il copione, appunta tempi e fasi del crimine poi fa imparare a memoria la parte all’attrice. Per lei è tutto difficile ma lui la chiama per la prima volta per nome e le dice che può farcela. Li vediamo nello specchio. Lei è seduta, lui è alle sue spalle fiducioso e burattinaio contemporaneamente. bigui del non detto femminile, della repressione senza parole che facilmente volge in depressione. Rompe le dighe di questa condizione cui è ancora spesso negata o impossibile la parola e lascia fluire libere le immagini che permettono l’avvio della riflessione e del discorso. Barbara Loden ha deciso di modificare significativamente la conclusione della storia di Wanda Goronski non facendo arrestare il suo personaggio. Non ha voluto concederle questo momento faustiano e probabilmente spettacolare. Wanda non è riuscita, neanche questa volta, a svolgere bene il compito che le era stato assegnato. Non arriva in tempo per partecipare alla rapina e quando arriva Mr Dennis è già morto. Noi sappiamo che non è colpa sua e che Mr. Dennis non ha disinnescato l’allarme della banca, ma lei non lo sa. D’altra parte il piccolo gangster aveva probabilmente messo in conto il suicidio in caso di fallimento preferendo la morte a un nuovo arresto. Così Wanda si ritrova nelle stesse condizioni in cui l’avevamo trovata all’inizio del film: non ha denaro, non ha un lavoro, non ha un compagno. Un poliziotto riconosce ad istinto la preda facile ma questa volta si sbaglia: Wanda reagisce, urla, si batte e fugge via. Come in una favola attraversa il bosco (un giardino alberato?) e semina il lupo. La storia è finita. Perfettamente anonima e perfettamente simile alle donne che incontra e che la invitano, lasciamo Wanda ad ascoltare musica in un locale popolare. C’era una canzone di Phil Ochs che Joan Baez cantava in quegli anni. Si intitolava, se ricordo bene, There but for Fortune e il ritornello diceva: Ascoltami ragazzo e ti dimostrerò perchè è soltanto per un caso che, al suo posto, non ci siamo tu o io. Maresa D’Arcangelo Quarta immagine: Wanda tra le braccia di un poliziotto. Lui sembra molto più grande di lei, il colore chiaro della camicia “spara” aumentando il volume del braccio. Non è minaccioso, anzi sembra volerla proteggere da un pericolo o dalle brutte cose che potrebbe vedere se andasse oltre. Occhi stretti nello sforzo di guardare lontano e bocca imbronciata di una bambina che sta per piangere. Ma non piangerà. Non può permettersi di perdere il controllo o meglio in lei scatta automaticamente il meccanismo che associa pericolo e impassibilità. Dicono sia un riflesso dell’antichissimo “cervello rettile” che, ad esempio durante incidenti d’auto o eventi traumatici d’altro genere, salva alcuni da reazioni scomposte e fatali o perde altri immobilizzandoli e impedendo loro di fuggire prontamente. Di certo Loden si avventura coraggiosamente nei territori am- i film 57 Women’s Police Station Germania/India, 2012, HD col., 64’ Regia, sceneggiatura e fotografia: Ulrike Mothes Montaggio: Ujjwal Utkarsh Musica: Martin Hirsch Produzione: Bauhaus University (Weimar). I casi di stupro a Nuova Delhi all’inizio del 2013 hanno riportato all’attenzione delle pubbliche coscienze il problema dei diritti violati delle donne indiane. Ancora oggi i feti di sesso femminile vengono forzatamente abortiti, le donne subiscono violenza e abusi all’interno del matrimonio, o vengono sfegiate col fuoco salvo poi mascherare l’accaduto con un comune incidente domestico. Il governo, per proteggere le donne dalle discriminazioni, ha istituito delle stazioni di polizia femminili, i cui agenti sono esclusivamente donne. Da quando le 31 poliziotte della stazione di polizia di Bangalore sono entrate in servizio, non si sono solo dovute occupare di redimere le liti familiari, ma anche hanno dovuto difendere il loro ruolo da mariti e suoceri che non riconoscono la loro autorità. A Shakunthala, la divisa da poliziotto è sempre sembrata irresistibile. Bhagia sogna ancora i bei vecchi tempi in cui andava a caccia di borseggiatori nel Bazar. Racconta con rispetto le liti familiari di cui è testimone ogni giorno. Sarojamma è la poliziotta capo ed è incaricata delle indagini. Tocca a lei tenere sotto controllo la folla in attesa e anche far rispettare la disciplina alle sue sottoposte. Nessun caso legale però riesce a distrarla dai suoi rituali religiosi cui attende con zelo assistita dalle colleghe. Un’unica grande sala e una veranda nel mezzo del traffico caotico della città, questa è la sede della stazione di polizia femminile di Bangalore. Qui Shakunthala, Bhagia ,Sarojamma e le altre portano avanti il loro lavoro e raccolgono le denunce delle donne. Nella loro routine quotidiana si occupano di casi di violenza sulle donne e crimini legati alla dote. Qui le donne vittime di soprusi hanno la possibilità di raccontare e denunciare le discriminazioni subite libere dall’umiliante sguardo dell’autorità maschile. Nei loro Sari color cachi, le poliziotte rappresentano un’autorità difficile da accettare per gli uomini indiani. D’altro canto, in quanto figlie e mogli a loro volta, le agenti, vivono le stesse dinamiche di potere delle donne che cercano il loro aiuto. Il film assume come proprie speranze e paure delle donne che lottano per il riconoscimento dei loro diritti. L’osservazione delle poliziotte rivela diverse sfaccettature di un inusuale lavoro di polizia. 58 i film Ulrike Mothes Ulrike Mothes, regista e docente universitaria. Tra il 2007 e il 2010 ha insegnato nel Film Department della Srishti School of Art, Design and Technology di Bangalore in India dove ha anche realizzato alcuni video. Attualmente è assistente unversitaria presso la Bauhaus University di Weimar. Durante i suoi studi di Dottorato ha approfondito il genere docu-fiction in India. Women’s Police Station è il suo primo primo lungometraggio a soggetto. You kiss like devil Líbáš jako d’ábel - Baci come un diavolo - Repubblica Ceca/Slovacchia, 2012, 35 mm col., 113’ Regia e sceneggiatura: Marie Polednáková Fotografia: Vladimír Smutný Montaggio: Adam Dvorák Interpreti: Kamila Magálová, Eva Holubová, Oldrich Kaiser, Jirí Bartoška, Nela Boudová, Jirí Langmajer Produzione: Falcon. Della più famosa autrice di commedie della Repubblica Ceca l’ultimo film, incentrato sulle nuove relazioni d’amore. I risultati sono dolci e amari a fasi alterne. Quando sembra che il caos prevalga, lo sguardo ironico della regista tiene tutto sotto controllo, guidando lo spettatore verso una “divertita saggezza”. Baci come un diavolo è la seconda parte di un dittico dedicato alle relazioni amorose di fascia senior. Nella prima parte Baci come un Dio (Líbáš jako Buh) si prendeva atto che, al giro di boa dei 50 anni, si può essere travolti dall’amore e di conseguenza sconvolgere il tranquillo tran tran della propria esistenza, ma anche le vite di parecchi altri. Con un occhio ai cambiamenti della società un altro al lato comico che questi “amorosi sconvolgimenti” comportano. Tutto molto praghese, serio il tema ma molto divertente lo svolgimento e di grande successo. Questo secondo exploit delle due coppie di attori predilette dalla Polednáková accentua le caratteristiche da situation comedy esportando, però, il famoso umor nero ceco nell’assolato panorama del Marocco. I due protagonisti, Helena (Kamila Magálová) e František (Oldrich Kaiser) hanno entrambi divorziato dai loro partner, sono quindi liberi di dedicarsi alla loro nuova, reciproca passione. Solo che ciascuno di loro ha, ormai, le sue abitudini alle quali non intende rinunciare e soprattutto una famiglia ben contenta di rovinare i primi, preziosi, momenti di vita in comune della nuova coppia. Bohunka, (ex moglie di František interpretata Eva Holubová) non si dà pace di essere sola e abbandonata e Karel, (ex marito di Helena interpretato da Jirí Bartoška) prende in giro, appena può, i due piccioncini. Banalità e incomprensioni minacciano l’idillio. Dunque la nuova coppia decide di sottrarsi all’influenza pericolosa degli ex fuggendo in un luogo non troppo facilmente raggiungibile, il romantico ed esotico Marocco. Qui, però, i piccoli guai praghesi diventano tragedie e, per risolverli, quali sono le persone più fidate alle quali ci si può sempre rivolgere? Ma naturalmente i vecchi partners che fanno subito ben più di quanto loro richiesto, prendono l’aereo e rientrano prontamente in gioco. Marie Polednáková Marie Polednáková è nata nel 1941 a Strakonice nell’allora Cecoslovacchia. È sceneggiatrice, regista e produttrice. Si è laureata presso la Academy of Performing Arts di Praga nel 1970. Dal 1961 al 1983 ha lavorato per la televisione cecoslovacca, prima come assistente alla regia, poi come sceneggiatrice e regista. Nel 1990 è tra i fondatori di FTV Premiere che ha ottenuto la prima licenza per la radiodiffusione televisiva privata nella Repubblica Ceca. Dal 1994 lavora con lo studio di produzione Premiere Studio. Filmografia Hlinený vozícek (1973); Otevrený kruh (TV, 1973); Královské usínání (TV, 1974); Jak vytrhnout velrybe stolicku (1977); Jak dostat tatínka do polepšovny (1978); Kotva u prívozu (TV, 1980); S tebou me baví svet (1982); Zkrocení zlého muže (1987); Dva lidi v ZOO (1990); Jak se krotí krokodýli (2006); Líbáš jako Buh (2009); Líbáš jako d’ábel (2012). i film 59 La regina della commedia Marie Poledňáková Marie Polednáková sta al cinema ceco come Lina Wertmüller sta al cinema italiano. Tutti conoscono i suoi film e ne citano le battute. Perché il gusto di ridere sulle tragicommedie della vita quotidiana fa parte della tradizione alta della cultura ceca come pure della speculare cultura popolare fatta di battute agrodolci e autoironiche. Il centro attorno al quale ruotano tutti i suoi film è il nodo dei legami familiari e la critica alla banalità dei comportamenti superficiali e abitudinari che perpetuano gli stereotipi. Ha realizzato commedie e film tv che hanno seguito, negli anni, l’evoluzione del modello familiare e spesso parlato di padri e figli come in Con te il mondo mi diverte, probabilmente il suo lavoro più noto, in cui tre padri devono rinunciare al loro viaggio annuale per soli uomini perché le mogli gli hanno affibbiano i figli da badare, compreso un lattante. Mi è sempre piaciuto mettere in scena i bambini, anzi è causa loro che sono diventata regista. Scrivevo sceneggiature e per me andava benissimo. Sono diventata regista per necessità. Sapevo che la regia comportava un sacco di stress ma non volevo che altri rovinassero il mio lavoro. Non che non ci fossero buoni registi ma non sapevano girare con i bambini e quindi ho deciso che dovevo dirigere i miei film. D’altra parte anche l’approdo al cinema come professione non è stato lineare né pianificato. Piuttosto è in buona parte determinato dalle vicende storiche del suo paese. Marie Polednáková, allora Maria Jandová è entrata giovanissima in fabbrica per ottenere uno stato sociale che le permettesse di iscriversi all’università. Infatti una famiglia dell’alta borghesia con tra i parenti un senatore della prima repubblica, un deputato nazionalsocialista e un padre professore di economia erano, allora, gravi ostacoli al progetto di frequentare la Facoltà di chimica come la ragazza desiderava fare. Ma il destino non prevedeva per Marie le pareti tranquille di un laboratorio. Ballerina appassionata vince un concorso per Miss Charlestone e incontra il musicologo Ivan Polednák di dieci anni più grande di lei che sposa. Grazie a questo incontro entra nell’ambiente degli artisti e uno di loro, lo scrittore Jaroslav Dietl, le offre un lavoro in televisione come assistente di scena. Per circa venti anni lavora il televisione in vari ruoli, soprattutto come sceneggiatrice, nel frattempo studia regia all’Accademia Teatrale di Praga e si laurea. Passa alla regia e ha un figlio, Petr, la cui crescita è fonte di ispirazione per molte situazioni proposte poi sullo schermo. Dal 1983 inizia a lavorare presso i famosi Studi Cinematografici Barrandov, allora di Stato. Dopo il grande cambiamento di sistema Marie Polednáková 60 i film diviene proprietaria di parte delle azioni degli Studi cinematografici Barrandov che, come fece anche il collega Jiri Menzel, vende per investire il ricavato in una nuova impresa, la FTV Premiere, ottenendo una delle prime licenze per le televisioni private. Mantiene in parte questa nuova personalità di imprenditrice come co-proprietaria di Premiere Studio ma non rinuncia a realizzare le sue commedie familiari. La coppia dei nuovi film Baci come un dio e Baci come un diavolo ha lasciato piuttosto fredda la critica. L’accoglienza del pubblico, invece è stata calorosa e i doppi Baci sono stati campioni di incassi. La regina della commedia può ancora contare sulla fedeltà dei suoi sudditi. Maresa D’Arcangelo Corridoio delle Carrozze di Palazzo Medici Riccardi Appartamento - Via Ginori 14 Fin dall’inizio, negli anni ’70, il visual scelto per ogni edizione del festival di cinema e donne si lega al titolo-tema dell’anno: L’occhio negato, ad esempio, parla, oggi più di ieri, di quel clima di ribellione e rabbia delle donne ma anche della loro volontà di affermare il proprio mondo nel cinema. Così i manifesti offrono una chiave di lettura del momento storico, sociale e politico, l’aria del tempo in cui collocare i film e le registe che si avvicendano, raccontando le loro storie dai diversi paesi di provenienza. Questo approccio nasce dalla convinzione che per entrare nella densità del nuovo sguardo che le registe portano nel cinema internazionale, sia necessario munirsi di strumenti figurativi e concettuali più ampi di quelli legati alla forza comunicativa delle immagini e alla loro intrinseca bellezza. Certo, i manifesti sono belli, alcuni anche molto, ma non era solo questo l’intento. Alcuni sono firmati da grafici noti in Toscana, altri da artisti noti o emergenti, altri da studenti brillanti come Caterina Masseini, allora allieva del Liceo Artistico Leon Battista Alberti di Firenze. Poco importa. A tutti abbiamo chiesto d’interpretare un tema che ci pareva riflettere il senso di quello che si costruiva anno dopo anno, come memoria del cinema e delle donne nel presente: Archivi visivi della memoria, per citare un altro titolo degli anni ’80. Come anche Il cinema delle isole e La casa e il mondo, rispettivamente dedicati all’ingresso sulla scena del cinema mondiale delle registe australiane e canadesi, ne dicono anche l’insularità e la modalità. Così come Il granito e l’arcobaleno e La distanza delle cose vicine, raccontano la Nouvelle Vague tedesca e francese delle registe, ma danno anche elementi per la percezione di questa presenza nel panorama del cinema internazionale. E se la La rosa dei venti allude ai cambiamenti indotti dalla mondializzazione in questo secolo, Amazzoni e sirene e Corpo a cuore, descrivono i modi in cui le registe affrontano i nuovi e antichi problemi. Ma il valore aggiunto di questa mostra è nella sua realizzazione, affidata ad una squadra di giovani talenti del Liceo Artistico, guidati di loro insegnanti. Una collaborazione importante per la storia del nostro Festival, che nelle sinergie e nella formazione crede molto e ringrazia di cuore tutto il gruppo di lavoro, studenti e professori, la Dirigente Scolastica Laura Simonini e la Provincia di Firenze. Laboratorio Immagine Donna Regina Pessoa e Abi Feijó: i giganti portoghesi dell’animazione os Salteadores Fado Lusitano a noite Ciclo vicioso i fuorilegge Portogallo, 1993, 35 mm col., 14’ Animazione-disegno su carta con matita in grafite. Portogallo, 1995, 35 mm col., 6’ Animazione-decoupage. LA NOTTE Portogallo, 1996, 35 mm col., 7’ Animazione-pittura e scultura su lastre di gesso. CIRCOLO VIZIOSO Portogallo, 1999, Betacam b/n, 23’’ Regia: Abi Feijó Animazione: Tânia Anaya, Laura Carvalhosá, Filipe Moreira da Silva, Maria Moreira da Silva, Lino Dias, Graça Gomes, João Pedro Gomes, Raquel Morais, Clídio Nóbio, Regina Pessoa, Zé Carlos Pinto, José Miguel Ribeiro Fotografia: Pedro Serrazina, Martín Koscielniak Musica: Manuel Tentugal Produzione: Filmógrafo. I fuorilegge del titolo sono i repubblicani spagnoli che sconfitti nella Guerra Civile del loro paese cercarono rifugio sui monti nel nord del Portogallo. Vennero considerati da alcuni dei banditi, altri li nascosero dalla polizia di Salazar. Nel film, ambientato nel 1950, si discute sull’identità di un gruppo di uomini uccisi anni prima. Impossibile dimenticare la Storia. 62 Regia e fotografia: Abi Feijó Sceneggiatura: Abi Feijó, Oscar Branco, Luisa Mareante, Pedro Serrazina, Teresa Feijó, Clídio Nóbio, Maria Moreira da Silva Animazione: Abi Feijó, Regina Pessoa, Filipe Moreira da Silva, Graça Gomes, João Carlos Feitas, José Carlos Pinto Voce narrante: Mário Viegas Musica: Manuel Tentugal Produzione: Filmógrafo Un poetico atto d’amore per il Portogallo, malinconico e appassionato come la sua musica. Regia e animazione: Regina Pessoa Montaggio: Abi Feijó, Regina Pessoa Musica: Tentugal Voce narrante: Maria Povoa da Cruz Produzione: Filmgrafo, RTP. L’incomunicabilità tra una madre e la sua bambina. È un’opera al tempo stesso poetica e minuziosa, che racconta le paure e i silenzi della bambina, di notte. Oscuro come la notte è ogni luogo abitato dalla solitudine. Regina Pessoa e Abi Feijó: i giganti portoghesi dell’animazione Regia e animazione: Regina Pessoa, Abi Feijó, Pedro Ferrazina Una campagna pubblicitaria contro in fumo, realizzata su commissione per Glaxo Wellcome. CLANDESTINO Odisseia nas Imagens Portogallo/Canada, 2000, 35 mm col., 8’ Animazione con sabbia. Odissea per immagini Portogallo, 2001, 35 mm b/n, 35’’ Regia: Abi Feijó Animazione: Abi Feijó, Regina Pessoa Montaggio: Saguenail Regina Guimaraes Voci narranti: Jorge Mota, João Cardoso, Jorge Vasques, João Pedro Vaz Musica: Manuel Tentugal Produzione: Filmógrafo, French Animation Studio of National Film Board, RTP. La vigilia di Natale, da un vecchio cargo scende a terra furtivamente un passeggero clandestino. La libertà gli viene regalata da un ufficiale che lo scopre ma lo lascia andare. Un regalo di natale? Regia e animazione: Regina Pessoa Sigla di apertura del Festival Odisseia nas Imagens (Porto 2001) História trágica com final feliz Bergamo Film Meeting Storia tragica con lieto fine Portogallo/Canada/Francia, 2005, 35 mm b/n, 8’ Animazione-raschiatura su carta dipinta. Portogallo, 2012, 4’ Regia e animazione: Regina Pessoa, Sylvie Leonard, Laurent Repiton Sceneggiatura: Regina Pessoa Monatggio: Hervé Guichard Musica: Normand Roger Voce narrante: Manuela Azevedo, Alina Lowhenson Produzione: MC, ICAM, ARTE France, Centre National de la Cinématographie, RTP. Regia e animazione: Regina Pessoa e Abi Feijó Girato durante il Bergamo Film Meeting del 2011. Il desiderio di omologazione può essere per qualcuno l’obiettivo della vita, fingere e nascondere le proprie differenze. Altri, gioiosamente le rivendicano. Caratterizzato da un disegno duro, definito da dense linee nere, il film ci racconta ancora di una bambina speciale Regina Pessoa e Abi Feijó: i giganti portoghesi dell’animazione 63 Kali o pequeno vampiro Kali, il piccolo vampiro Portogallo/Canada/Francia, 2012, digitale b/n, 9’ Regia, animazione e sceneggiatura: Regina Pessoa Produzione: Ciclope Filmes, ONF, Folimage. Un ragazzo particolare alle prese con le sue paure. Come un raggio di luce sparisce per un po’ nell’oscurità, in attesa di trovare una sua collocazione. Regina Pessoa Abi Feijó È nata a Coimbra nel 1969 e nel 1998 si laurea in Pittura alla Scuola di Belle Arti di Porto. Frequenta vari studi di animazione e dal 1992 lavora presso lo studio Filmógrafo con Abi Feijó, regista e presidente della Casa da Animação di Porto, con cui è coautrice di Ciclo Vicioso (1996) e Estrelas de Natal (1998). Utilizza con coraggio la tecnica dell’incisione e della pittura su lastre di gesso che richiede tempi lunghissimi anche solo per pochi minuti di film. Il suo primo film da sola, A Noite (1999), vince numerosi premi in tutta Europa. Sei anni dopo, termina História Tragica com Final Feliz (2005) che vince, tra gli altri, il prestigioso Annecy Cristal per il miglior cortometraggio agli Annecy Awards 2006. Kali, o Pequeno Vampiro chiude la trilogia dell’infanzia nel 2012. Oggi Regina Pessoa è una delle figure più rappresentative del nuovo cinema d’animazione mondiale. Álvaro Graça de Castro Feijó è nato a Braga il 18 luglio del 1956. Ha studiato Arte grafica e disegno alla Scuola Superiore di Belle Arti a Porto. Durante gli studi ha frequentato vari atelier di animazione tra i quali quelli organizzati dall’Office National du Film du Canada sotto la guida di Pierre Hébert. Qui ha realizzato il suo primo film d’animazione, Oh que Calma! Nel 1978 ha fondato il Filmógrafo - Estúdio de Cinema de Animação di Porto. Accanto a una brillantissima e molto premiata carriera di animatore e regista, Abi Feijó si è dedicato all’insegnamento universitario e alla formazione di giovani animatori. Ha creato a Porto l’Associazione culturale Casa da Animação e la casa di produzione Ciclope Filmes, Unipessoal Lda. Filmografia Ciclo vicioso (co-diretto con Abi Feijó e Pedro Ferrazina, 1996); Estrelas de Natal (codiretto con Abi Feijó, 1998); A noite (1999); Odisseia nas imagens (2001); História trágica com final feliz (2005); Kali o pequeno vampiro (2012). 64 Regina Pessoa e Abi Feijó: i giganti portoghesi dell’animazione Filmografia Oh que calma! (cortometraggio, 1986); A noite saiu à Rua (cortometraggio, 1988); Os Salteadores (cortometraggio, 1993); Fado Lusitano (cortometraggio 1994); Clandestino (cortometraggio, 2000). Charlie Chaplin, per me, era “cioccolata” Sono cresciuta in un piccolo villaggio del Portogallo negli anni Settanta, senza televisione e cinema, molto lontana da ogni genere di immagine in movimento. Dovevamo quindi riempire questo vuoto con qualcosa di diverso: con l’immaginazione. La mia sorella maggiore mi portò in una biblioteca ambulante (con il sostegno della Fondazione Gulbelkian), alla quale si era iscritta senza il permesso di nostro padre, che pensava che i libri dovessero provenire solo dalla scuola. Prima che io imparassi a leggere, mia sorella leggeva spesso per me. Presto appresi a riconoscere storie nel piccolo mondo attorno a me, nella gente comune, le cui vite segrete erano piene di tragedia e poesia allo stesso tempo. E poi, naturalmente, c’era lo zio Tomás, che per me è stato una figura formativa. Sempre in completo e cappello, teneva la contabilità per mio nonno e mi portava a fare passeggiate in campagna, raccogliendo frutti col suo coltellino e raccontandomi di alberi, erbe, clima. Diceva “Tuo zio Tomás è un pazzo sentimentale!”. Avevo solo otto anni e lo trovavo affascinante. Era un tipo solitario che non riusciva a dormire la notte e andava a trovare le galline nel pollaio. Accendeva la torcia e con la sua luce svegliava i polli, che cominciavano a saltellare tutt’attorno…Come rideva! E poi preparava per me giocattoli e dolci, creandoli da bolle di sapone. Ma, cosa ancora più importante, insegnava a noi nipoti a disegnare: eravamo molto poveri, non possedevamo matite né carta, quindi usavamo il carbone sulle pareti bianche e sulle porte della casa della nonna: nero su bianco. Lo zio Tomás disegnava enorme facce e noi cercavamo di copiarle. Diceva “No, non così, dovete trovare la proporzione tra gli occhi e la bocca”. Lui creava visi e cercava di dar loro espressione, poi sbottava a ridere forte… E così ho imparato che si può crescere in diversi modi, che si può essere buffi e teneri discreti ed eccentrici, anonimi e straordinari allo stesso tempo. Un giorno, nel mio piccolo villaggio senza cinema e televisione, apparve un uomo misterioso su una macchina con un proiettore. Diceva che serviva a mostrare film e si stabilì nella sala comunale, proprio vicino casa mia. Era gratis e l’intero villaggio andava a vedere. Il film che mostrava era in bianco e nero, come gli enormi visi disegnati dallo zio Tomás. C’era una casa in bilico sul bordo di un dirupo, poi il protagonista mangiava i suoi stivali con un tale gusto che io dissi a mia sorella “È cioccolata!”. Avevo quattro anni. Fu il primo film che vidi e non lo dimenticherò mai. In seguito scoprii che era Charlie Chaplin e il film La febbre dell’oro: una buona introduzione al cinema! Regina Pessoa Me, animation and life – Regina Pessoa in Le donne nel cinema d’animazione Matilde Tortora, Ed. Tunué, Latina, 2010, pp. 115, 116 Regina Pessoa e Abi Feijó: i giganti portoghesi dell’animazione 65 I mondi animati di Elena Petkevich Fairy Tales of an Old Piano Once upon a Christmas eve… Snow White and Red Rose Bielorussia, 2011, Digitale col., 13’ Bielorussia, 2010, Digitale col, 10’ Bielorussia, 2009, Digitale col., 6’ Regia: Elena Petkevich Sceneggiatura: Irina Margolina Produzione: National Film Studio BelarusFilm. Regia: Elena Petkevich Produzione: National Film Studio BelarusFilm. Della Bielorussia una meravigliosa storia ispirata alla vita e l’opera di J.S. Bach. Anche una riflessione sull’incomprensione che spesso circonda il genio e sul mistero, forse divino, dell’ispirazione. 66 Un gatto, dei bambini e degli adulti nella magica notte di Natale. I mondi animati di Elena Petkevich Regia: Elena Petkevich Sceneggiatura: Dmitry Yakutovich Animazione: Elena Lapotko, Dmitry Zhukov, A. Sidorov Produzione: National Film Studio BelarusFilm. La fiaba del principe orso e delle due bambine poeticamente reinterpretata. The magic store Bielorussia, 2006,Digitale col., 11’ Regia: Elena Petkevich Sceneggiatura: Dmitry Yakutovich Animazione: O. Korshakevich, Vitaly Bobrovsky Musica: V. Sukhodolov Produzione: National Film Studio BelarusFilm. Sotto la neve si possono fare strani incontri. Può apparire anche un negozio che vende sogni. Note di regia Sono cresciuta in una piccola città bielorussa, Grodno, sul fiume Neman. Quando ho finito la scuola sognavo di fare la scultrice ma avevo anche iniziato i miei studi presso il Dipartimento di Architettura. Poi ho lavorato come architetto a Minsk per alcuni anni. Contemporaneamente scrivevo racconti, poesie e disegnavo molto. Alla fine, la vita mi ha portato a Mosca e sono entrata al VGIK dove ho studiato sceneggiatura, regia e animazione (tra i miei professori Fiodor Khitruk e Jury Norshtain), però il film di diploma, Lafertovskaya Makovnitsa, l’ho realizzato, nel 1986, con Belarusfilm. […] Non ho mai pensato agli spettatori potenziali del mio lavoro. Vivo dentro le mie storie che diventano film. Mi innamoro dei miei personaggi. Quel che trovo di più eccitante è creare composizioni inusuali, immagini sorprendenti che conferiscano forza visiva alla storia. Quando ho la fortuna di trovarle e farle vivere sullo schermo, a questo punto penso si stabilisca il contatto con lo spettatore... L’anima non ha età. Io spero, con le mie storie e immagini di arrivare all’anima dello spettatore. [...] Durante gli ultimi cinque anni ho anche insegnato presso il Dipartimento di Animazione dell’Accademia d’Arte Bielorussa di Minsk. Questa primavera si sono diplomati otto giovani registi con i loro otto primi film. Mi sembra un ottimo risultato e ne sono felice. Spero che continuino a fare film e a fare entrare l’aria fresca della loro creatività. Mi capita, spesso, di lavorare con giovani artisti. Per molti di loro i miei film hanno segnato il debutto nell’animazione. Poi qualcuno è diventato a sua volta regista, o ha messo su famiglia o è emigrato in altri paesi. Lavorare bene insieme ad altri arricchisce molto i risultati che si ottengono. Sono davvero fortunata ad avere accanto persone piene di talento, energia e passione per la vita. Elena Petkevich Elena Petkevich è nata a Orel, in Russia. Nel 1974 si è laureata in Architettura. Dal 1982 al 1984 ha frequentato la Scuola superiore di Sceneggiatura e Regia al WGIK di Mosca e nel 1986 si è laureata in Regia cinematografica. Dal 1979 è direttore della sezione Cinema d’animazione del Film Studio BelarusFilm. Filmografia Lafertovskaya Makovnitsa (1986); Moon (1993); Fairy tales of Wood (1997); Optimus Mundus. Golden Leaf (1998); A Ruff and a Sparrow (2000); A Song for a Canary (2002); The Magic Shop (2006); The Tales of Old Piano (2009) Once upon a Christmas eve… (2010); Fairy Tales of an Old Piano (2011); Snow White and Scarlet Flower (2012). Da un’intervista di Isabella Mancini - ottobre 2013 I mondi animati di Elena Petkevich 67 Palazzo Coppini Centro studi e incontri internazionali Firenze Via del Giglio, 10 www.palazzocoppini.org - [email protected] partner del XXXV FESTIVAL INTERNAZIONALE DI CINEMA E DONNE In collaborazione con: Consolato Onorario della Repubblica Ceca per la Toscana Con il supporto di: Life Beyond Tourism ® HOTEL PITTI PALACE al PONTE VECCHIO Centro Congressi al Duomo FIRENZE Palazzo Coppini International Meeting and Study Centre Florence IL GIARDINO DEI CILIEGI Piazza Lorenzo Ghiberti 50122 - Florence - Italy tel. +39 055 234 3885 +39 055 234 3885 e-mail: [email protected] RINGRAZIAMENTI Ginevra Di Marco Francesco Magnalli Morando Morandini Gianni Dorigo Achille Normanno Olga Branzovska Paolo Crescente Mario Giannone Alessandro Bernardi, Università degli Studi di Firenze Ester Carla De Miro D’Ajeta, Università degli Studi di Genova Cristina Jandelli, Università degli Studi di Firenze Isabelle Mallez, direttrice dell’Institut Français Firenze Heiner Roland, direttore del Deutsches Institut Florenz Marcin Robert Wyrembelski, Università degli Studi di Firenze Laura Simonini, dirigente scolastica Liceo Artistico Leon Battista Alberti di Firenze Raimondo Vacca, docente Liceo Artistico Leon Battista Alberti di Firenze Giacomo D’Agostino, dirigente scolastico, ITIS-IPSIA Leonardo da Vinci di Firenze Attilio Valeri, docente ITIS-IPSIA Leonardo da Vinci di Firenze Giovani Di Fede, Assessore alla Pubblica Istruzione Provincia di Firenze Silvia Bensi, Provincia di Firenze Marusca Mani, Provincia di Firenze Antonella Ierardi, Provincia di Firenze Cineteca Nazionale – Centro Sperimentale di Cinematografia Cineteca di Bologna UCLA Film e Film & Television Archive Gucci The Film Foundation Jan Bradác, Falcon Film Daniela Hurábová. Czech Film Center Hanna Horner, doc&film Marina Mazzotti, Festival International de Films de Femmes de Créteil 70 ringraziamenti Console della Repubblica della Bielorussia a Firenze, Marco Bacci Julia Sawizkie e Alessia Sawizkie (Culture and Education Development Fund, Belarus) Ambasciata della Repubblica Ceca in Italia S.E. l’Ambasciatore della Repubblica Ceca a Roma Giovanna Dani Del Bianco, Console onoraria della Repubblica Ceca a Firenze Aranka Myslivcová, ARCA – Florencie, Amici della Repubblica Ceca Associati, Firenze Michaela Zackova Rossi Ambasciata del Regno del Marocco in Italia S.E. l’Ambasciatore del Regno del Marocco in Italia Sidi Mohammed Fadel Dadi, Ministro plenipotenziario Istituto Polacco di Roma Pawel Stasikowski, Direttore Elzbieta Wykretowicz, Vicedirettrice Marta Sputowska, Media & cinema Maria Gratkowska Scarlini, Associazione Italo Polacca in Toscana Ambasciata del Portogallo in Italia S.E. l’Ambasciatore del Portogallo a Roma Isabella Padellaro, Settore cultura Ambasciata della Repubblica Slovacca in Italia S.E. l’Ambasciatrice della Repubblica Slovacca a Roma Monika Cechovicová Carta, Affari culturali, Istituto Slovacco di Roma Ambasciata della Svizzera in Italia S.E. l’Ambasciatore della Svizzera in Italia Ruth Theus Baldassarre, responsabile Cultura, scienza e media Maria Chiara Donvito, Addetta alle relazioni pubbliche Un particolare ringraziamento a tutto il personale del cinema Odeon e alla FST Mediateca Regionale. Via Vittorio Emanuele II, 303 50134 - Firenze Tel: +39 0554288054 Fax: +39 0554486908 e-mail: [email protected] www.laboratorioimmaginedonna.it
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