Registrazione al Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 - Redazione: C.so della Repubblica 343 - 00049 VELLETRI RM - 06.9630051 - fax 0696100596 - [email protected] Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri -Segni Anno 11, numero 11(113) - Nov. 2014 Novembre 2014 2 - Sinodo: l’Evangelo della famiglia va annunciato come via e orizzonte di vita, + Vincenzo Apicella - Vita Consecrata in Ecclesia Hodie Evangelium, Prophetia, Spes p. 20 - 2015. Un Anno dedicato alla Vita Consacrata, Stanislao Fioramonti p. 20 p. 3 - Sinodo: opportunità e responsabilità in una chiesa senza veli, Laura Dalfollo p. 5 - Sinodo, si comincia. Da alcuni punti fermi, Massimo Introvigne p. 6 Ecclesia in cammino Bollettino Ufficiale per gli atti di Curia Mensile a carattere divulgativo e ufficiale per gli atti della Curia e pastorale per la vita della Diocesi di Velletri-Segni - “Bene comune della famiglia umana” : a messaggio per la 64 Giornata nazionale del Ringraziamento, Commissione Ep. per i Problemi sociali , lavoro, giustizia e pace p. 23 Direttore Responsabile Mons. Angelo Mancini Collaboratori - Conferenza stampa di Papa Francesco durante il volo di ritorno dalla Corea, Stanislao Fioramonti p. 7 - Gli ammonimenti di Papa Francesco, Sara Gilotta p.10 - La Chiesa intercetta il cammino della famiglia, p. Vincenzo Molinaro p. 25 Stanislao Fioramonti Tonino Parmeggiani Mihaela Lupu Proprietà - “I pomeriggi dell’Ufficio catechistico”: Riscoprire la narrazione, sr. Francesca Langella p. 26 Diocesi di Velletri-Segni Registrazione del Tribunale di Velletri n. 9/2004 del 23.04.2004 - Il disorientamento morale, inganno educativo della nostra società, Marta Pietroni p. 11 - Convocati per ascoltare la Sua parola, don Alessandro Tordeschi - Mamma e figlio, mirabile unità, don Gaetano Zaralli - Fiducia, comunione e vita: la parrocchia educa alla preghiera, mons. Franco Risi - Il volontariato internazionale di Gabriella in Perù / 2, Gabriella Fioramonti p. 12 Stampa: Tipolitografia Graphicplate Sr.l. - C.E.I., SALERNO, 24.10.2014 - Convegno Nazionale: “Nella precarietà, la Speranza” - Colleferro, parrocchia S. Bruno: rinnovata l’Esultanza per il suo patrono, Giovanni Zicarelli - La Diocesi ad Assisi per la Festa di San Francesco e l’offerta dell’olio, Roberto Caramanica - Lariano: seconda esperienza Camminata sui passi della fede, Tiziana Pagliara p. 27 p. 29 p. 30 p. 32 p. 14 p. 15 p. 16 - Anno dei religiosi / 1: la santità dei religiosi esempio e testimonianza della santità di tutti, don Antonio Galati p. 19 - Il sacro intorno a noi / 7: l’eremo di San Leonardo e la rava S. Maria a Sgurgola, Stanislao Fioramonti p. 33 - Educare oggi : Madri e figlie, Antonio Venditti p. 35 - “Actus Tragicus” , Johann Sebastian Bach, Mara Della Vecchia p. 36 - La Cappella di san Brizio nel Duomo di Orvieto / 1, don Marco Nemesi p. 38 - Nomine e decreti vescovili Redazione Corso della Repubblica 343 00049 VELLETRI RM 06.9630051 fax 96100596 [email protected] A questo numero hanno collaborato inoltre: S.E. mons. Vincenzo Apicella, mons. Franco Risi, don Alessandro Tordeschi, don Gaetano Zaralli, don Antonio Galati, Suore Apostoline Velletri, p. Vincenzo Molinaro, sr. Francesca Langella, don Marco Nemesi, don Daniele Valenzi, p. Vincenzo Molinaro, Marta Pietroni, Laura Dalfollo, Massimo Introvigne, Giovanni Zicarelli, Tiziana Pagliara, Roberto Caramanica, Gabriella Fioramonti, Antonio Venditti, Sara Gilotta, Mara Della Vecchia. Consultabile online in formato pdf sul sito: www.diocesi.velletri-segni.it DISTRIBUZIONE GRATUITA p. 37 Il contenuto di articoli, servizi foto e loghi nonché quello voluto da chi vi compare rispecchia esclusivamente il pensiero degli artefici e non vincola mai in nessun modo Ecclesìa in Cammino, la direzione e la redazione. Queste, insieme alla proprietà, si riservano inoltre il pieno ed esclusivo diritto di pubblicazione, modifica e stampa a propria insindacabile discrezione senza alcun preavviso o autorizzazioni. 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Di questa preziosa consegna Papa Francesco ne ha fatto uno dei punti qualificanti del suo Pontificato, tanto da indire contemporaneamente due Sinodi dei Vescovi, a distanza di un anno l’uno dall’altro e sullo stesso tema della famiglia. Qualcuno ha fatto notare che anche il primo Sinodo convocato da San Giovanni Paolo II, all’indomani della sua elezione a Vescovo di Roma, trattava dello stesso argomento ed ha attribuito la somiglianza alla provenienza di ambedue dalla conduzione diretta di una grande Diocesi, il che aiuta a percepire le priorità dei problemi e delle sfide, che la Chiesa è chiamata ad affrontare. Certamente, la famiglia non è un problema, ma una risorsa, che però, come tutte le risorse, oggi corre il rischio dell’inquinamento, se non dell’esaurimento. E’ necessario, allora, che la gioia dell’evangelizzazione si estenda anche a questo ambito, che è quello originario e permanente di ogni esistenza umana ed anche quello in cui più massicciamente si fanno sentire le mutazioni culturali e sociali in cui siamo tutti coinvolti. Papa Francesco ha dettato all’inizio lo stile ed il metodo dei lavori sinodali, presenziando poi a tutte le Congregazioni, senza intervenire nel dibattito, salvo concluderli con un applauditissimo discorso finale. Lo stile doveva essere quello di “parlare chiaro”, con libertà e senza giri di parole, con la piena consapevolezza della propria responsabilità episcopale, ma, prima ancora, di “ascoltare con umiltà” quanto gli altri vescovi avevano da comunicare, nella ricerca della via su cui il Signore stesso intende condurre il Suo gregge. Se questo è stato lo stile dei lavori, non si vede perché debba aver suscitato tanta meraviglia la diversità delle opinioni su tanti argomenti scottanti e la vivacità della discussione, che ricorda quella delle Sessioni conciliari di cinquant’anni fa, segno di vitalità e di passione apostolica. Anche il metodo ha ricalcato la stesso percorso, articolandosi su tre momenti dello stesso impegno: “ascoltare”; ascoltare anzitutto “la gente”, i suoi problemi concreti, le sue ansie, le sue gioie e le sue fatiche nel contesto sociale e culturale di oggi e questo, per la prima volta, è avvenuto anche nella fase preparatoria del Sinodo, con un questionario a cui sono state chiamate a rispondere tutte le Diocesi del mondo. Quindi l’ascolto di Cristo, della sua Parola, dell’Evangelo, che illumina la nostra storia e che per la Chiesa è l’unico e insostituibile punto di riferimento, di cui siamo costituiti servi e non padroni, interpreti ed annunciatori, senza cedimenti o accomodamenti, pertanto chiamati ad una fedeltà che non può tollerare alcuna alterazione dei contenuti fondamentali della fede. Infine l’ascolto reciproco, che nel Sinodo ha trovato ampio spazio, soprattutto nel tornante tra le due settimane, quando si è trattato di discutere il documento che sintetizzava la prima fase dei lavori, quella delle Congregazioni generali, per essere poi esaminato e rielaborato nei 10 Gruppi minori, divisi per aree linguistiche, in modo da pervenire ad una Relazione finale. A questo punto i 183 Padri sinodali hanno espresso ben 470 modifiche o aggiunte e anche delle 62 proposizioni della Relazione finale tre non hanno raggiunto l’approvazione dei due terzi dell’Assemblea, essendo così rinviate ad un ulteriore approfondimento. Le tre proposizioni riguardano i temi più spinosi e controversi: sulla possibilità che i divorziati e risposati possano accedere ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucarestia, sul rapporto tra Comunione sacramentale e quella spirituale, sull’attenzione pastorale verso le persone con orientamento omosessuale. Su questi argomenti occorrerà pervenire a formulazioni più chiare e condivise e a questo si potrà lavorare nel prossimo anno, in vista dell’Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, prevista per l’ottobre 2015. Sì, perché, insieme alla chiarezza ed alla trasparenza (sono state pubblicate tutte le relazioni dei Gruppi minori, oltre a quella della sin- continua a pag. 4 4 Novembre 2014 segue da pag. 3 tesi di metà percorso, insieme a tutti i voti ottenuti dalle proposizioni della Relazione finale), un’altra delle caratteristiche che rendono questo Sinodo veramente “straordinario” è di essere, come è stato detto, un work in progress, cioè un lavoro che non ha voluto essere definitivo, ma servire soprattutto ad aprire delle piste su cui si dovrà ulteriormente procedere. Detto tutto questo, ci si può chiedere qual è il lascito di queste due intense settimane di fatica a cui si sono sottoposti i Padri sinodali? Quali dati, quali indicazioni e prospettive sono emersi? Da osservatore esterno, vescovo, ma non partecipante direttamente ai lavori, mi sembra di doverne sottolineare almeno tre: l’atteggiamento di fondo che la Chiesa intende assumere, la valorizzazione di quanto appartiene alla realtà umana del matrimonio, l’Evangelo della famiglia cristiana proposto come via e non semplicemente come norma giuridica. Le parole che tornano più spesso negli interventi e nei documenti prodotti sono: attenzione, accoglienza, cura, accompagnamento, misericordia. Un clima positivo di accoglienza e di gioia si sta ormai diffondendo gradualmente nell’aria che si respira nella Chiesa, a partire da quel formidabile documento programmatico di papa Francesco che è l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, credo il documento più citato dai Padri in questi giorni, insieme alla Familiaris Consortio e ai Documenti conciliari. Non possiamo innanzitutto tradire la parola stessa Ev-angelo, che ha proprio come contenuto originario la gioia, la speranza, il valore sacro di ogni persona, per la quale si apre la promessa concreta e realizzata in Gesù di Nazareth della riconciliazione con il Padre, del perdono nello Spirito e, in definitiva, della Resurrezione in Cristo. Tutto questo non è soltanto “forma”, è il contenuto principale del messaggio cristiano e deve avere il primato su tutto il resto e deve essere proposto e percepito prima di tutto il resto e tutto il resto è ordinato ad esso. Ciò non vuol dire cedere alla tentazione di un “buonismo distruttivo, che a nome di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e medicarle, che tratta i sintomi e non le cause e le radici”, come ha detto il Papa nel discorso conclusivo, dopo aver parlato dell’altra tentazione, quella “dell’irrigidimento ostile, cioè il voler chiudersi dentro lo scritto (la lettera) e non lasciarsi sorprendere da Dio, dal Dio delle sorprese (lo spirito); dentro la legge, la certezza di ciò che conosciamo e non di ciò che dobbiamo ancora imparare e raggiungere”. Questo atteggiamento di fondo, ormai, non può più essere eluso e, provvidenzialmente, sembra essere un punto di non ritorno nello slancio missionario dell’evangelizzazione, che Papa Francesco col suo ministero e la sua testimonianza vuole trasmettere a tutte le realtà ecclesiali. In secondo luogo, il Sinodo ha evidenziato una importante sottolineatura conciliare: “facendo nostro l’insegnamento dell’Apostolo secondo cui tutta la creazione è stata pensata in Cristo e in vista di Lui (Cf. Col.1,16), il Concilio Vaticano II ha voluto esprimere apprezzamento per il matrimonio naturale e per gli elementi validi presenti nelle altre religioni (Cf. Nostra Aetate, 2) e nelle culture nonostante i limiti e le insufficienze (Cf. Redemptoris Missio, 55). La presenza dei semina Verbi nelle culture (Cf. Ad Gentes, 11) potrebbe essere applicata, per alcuni versi, anche alla realtà matrimoniale e familiare di tante culture e di persone non cristiane. Ci sono quindi elementi validi anche in alcune forme fuori del matrimonio cristiano – comunque fondato sulla relazione stabile e vera di un uomo e di una donna – che in ogni caso riteniamo che siano ad esso orientate.” (Relazione finale, 22). Questi principi, espressi nella seconda parte, “Lo sguardo su Cristo”, vengono ripresi negli orientamenti pastorali della terza parte, in cui si afferma: “Mentre continua ad annunciare e promuovere il matrimonio cristiano, il Sinodo incoraggia anche il discernimento pastorale delle situazioni di tanti che non vivono più questa realtà… Una sensibilità nuova della pastorale odierna, consiste nel cogliere gli elementi positivi presenti nei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, nelle convivenze. Occorre che nella proposta ecclesiale, pur affermando con chiarezza il messaggio cristiano, indi- chiamo anche elementi costruttivi in quelle situazioni che non corrispondono ancora o non più ad esso.” (Relazione finale, 41). Il matrimonio e la famiglia sono realtà, che, prima di essere illustrate nel Liber Scripturae, sono già contenute nel Liber naturae, anche se questa rimane una natura lapsa, cioè ferita dal peccato. Da questo peccato siamo liberati in virtù della grazia, che sgorga incessantemente dal costato aperto del Signore Nostro Gesù Cristo, Crocefisso e Risorto: è Lui il Nymphios, lo Sposo, il Nuovo Adamo da cui trae la sua esistenza la Nuova Eva, la Chiesa, la Sposa. E’ in virtù di questa grazia, alla quale va riservato sempre il primato (EG,112), che possiamo vivere ed annunciare L’Evangelo del Matrimonio cristiano, che proprio per questo è stato riconosciuto dalla Chiesa come Sacramento. Ma la grazia suppone la natura, sanandola, non in modo automatico e magico, bensì accompagnando la natura nel suo faticoso cammino di guarigione, che inevitabilmente passa anch’esso attraverso la croce. Ne fanno esperienza quotidiana tutti i battezzati, che, santificati dallo Spirito nell’acqua battesimale, sono chiamati a vivere concretamente ogni giorno di più questa santità, che non viene dalle nostre opere, ma dalla fede in Cristo Gesù. Sappiamo tutti quanta fatica occorre per portare accesa fino alla fine la lampada che ci è stata consegnata il giorno del nostro Battesimo e quante volte diventiamo anche noi “lucignoli fumiganti”. Non per nulla nella storia della Chiesa la prassi del sacramento della Penitenza o Riconciliazione è andata soggetta a tanto grandi e profonde trasformazioni , a partire dai tempi apostolici, con buona pace dei “montanisti” o “donatisti” di ogni epoca. Nel Sinodo si è parlato di “legge della gradualità”, concetto già sotteso in molti passi dell’Evangelii Gaudium, in tutto il primo capitolo, soprattutto dal n. 34 al 49, ma anche nei paragrafi 169-173 e nel primo dei quattro grandi principi enunciati nel capitolo quarto: “Il tempo è superiore allo spazio” (EG,222-225). Per tutto questo l’Evangelo della famiglia va annunciato come via e orizzonte di vita e non trasformato in pura norma giuridica, riportando alla mente che nella frase di Gesù: “all’inizio non fu così” (Mt.19,8) la parola “inizio” (archè) va tradotta con “principio”, principio costitutivo permanente che va sempre più esplicitato e vissuto e non semplice status quo ante, inizio cronologico a cui dovremmo tornare. D’altra parte la sofferenza di tante famiglie “irregolari” nasce proprio dalla maturazione di una sensibilità umana e cristiana assente al momento del primo Matrimonio, per cui, secondo alcuni Padri, “andrebbe considerata la possibilità di dare rilevanza al ruolo della fede dei nubendi in ordine alla validità del sacramento del Matrimonio, tenendo fermo che tra battezzati tutti i matrimoni validi sono sacramento” (Relazione finale, 48). Nei Gruppi minori si è detto, comunque, che “legge della gradualità” non significa “gradualità della legge” ed il Papa, nel discorso conclusivo, ha ringraziato i Padri perché essi hanno avuto sempre “davanti ai propri occhi il bene della Chiesa, delle famiglie e la suprema lex, la salus animarum (Cf. Can.1752). E questo sempre senza mettere mai in discussione le verità fondamentali del sacramento del Matrimonio: l’indissolubilità, l’unità, la fedeltà e la procreatività, ossia l’apertura alla vita (Cf. Cann.1055, 1056 e Gaudium et Spes, 48). “Molte altre annotazioni andrebbero fatte a partire da quanto è emerso nel Sinodo: il ruolo delle legislazioni nazionali ed internazionali, le enormi disparità culturali nell’ambito stesso della Chiesa, le situazioni drammatiche dovute ai conflitti, alle persecuzioni, all’emigrazione forzata, alla povertà, alle violenze, la necessità per la famiglia stessa dell’apertura al servizio, senza dimenticare che, anzitutto, il Sinodo ha sentito “il dovere di ringraziare il Signore per la generosa fedeltà con cui tante famiglie cristiane rispondono alla loro vocazione e missione” (Relazione finale, 1). Il lavoro ora continua e non solo più per i Padri sinodali, ma per tutta la Chiesa, per tutti noi, che, cum Petro et sub Petro, siamo tenuti a farci carico di quella realtà sacra ed insostituibile che si chiama “Famiglia”. Novembre 2014 Laura Dalfollo «Già il convenire in unum attorno al Vescovo di Roma è evento di grazia, nel quale la collegialità episcopale si manifesta in un cammino di discernimento spirituale e pastorale. Per ricercare ciò che oggi il Signore chiede alla Sua Chiesa, dobbiamo prestare orecchio ai battiti di questo tempo e percepire l’«odore» degli uomini d’oggi, fino a restare impregnati delle loro gioie e speranze, delle loro tristezze e angosce (cfr Gaudium et Spes,1). A quel punto sapremo proporre con credibilità la buona notizia sulla famiglia». I n queste parole di Papa Francesco, pronunciate durante la veglia di preghiera in preparazione al Sinodo dei Vescovi, è possibile individuare l’itinerario proposto e auspicato per il lavoro sinodale, che ha interessato il mondo intero dal 5 al 19 ottobre scorso. La mia intenzione è offrire una indicativa riflessione, a partire da questa breve citazione, al fine di poterci disporre in atteggiamento attento e fruttuoso rispetto gli accadimenti di questo tempo. Siamo parte di una storia dalla quale non possiamo farci trascinare al modo di un tronco galleggiante. Questa è la nostra storia e ne siamo protagonisti, responsabili di un divenire il cui appello richiede il nostro impegno per essere compreso nella sua verità. Nell’evento di questo sinodo su Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’Evangelizzazione cosa ci è dato di leggere? Emerge la dinamica di novità, ma nella continuità. Non a caso viene richiamato il Concilio Vaticano II. Le sfide pastorali chiamano all’ascolto del tempo in cui siamo immersi. Non vi sono stravolgimenti, cesure, cambiamenti irreversibili. La dinamica è di sviluppo della comprensione dell’unica dottrina di fronte alle nuove domande, alle nuove sfide che la famiglia pone e a cui, essa stessa, è posta. La dimensione pastorale è espressa nella figura del “buon pastore”, non idealizzato, ma concretamente presentato in quella vicinanza sensibile alle proprie pecore, tale da percepirne l’odore, esserne impregnato, essere egli stesso parte del gregge. La Chiesa si offre in questo momento Madre, senza dimenticare di essere Maestra. Misericordia e giustizia procedono assieme in una tensione indissolubile, insuperabile, nel suo equilibrio prova a cui il lavoro sinodale è chiamato. La Chiesa si riconosce chiamata non a giudicare, bensì ad accompagnare in un cammino reale, che possa aiutare ciascun uomo a procedere verso quella pienezza di fede a cui è da sempre chiamato. La Chiesa come Madre e Maestra, si riconosce chiamata alla giustizia e alla misericordia, chiamata alla giustizia di Dio che è misericordia, non cieco buonismo, bensì insegnamento mansueto, accoglienza e accompagnamento. Quale domanda ai credenti? Come si accoglie e vive la proposta pastorale? Essa certamente impegna i pastori nella loro cura per una fruttuosa e sincera ricerca della Verità, tuttavia il fedele non è passivo spettatore. La nostra attenzione si pone sulla responsabilità del credente, nel suo essere parte viva della Chiesa: non silenzioso ed immobile appartenente, ma attento ed informato figlio. In questo tempo di grazia il credente deve riconoscere il suo ruolo attivo come membro della Chiesa di Cristo, non passivo uditore di una moltitudine di voci ed interpretazioni. Si articola in questo modo la responsabilità morale come duplice. Un primo aspetto riguarda la cura per la propria infor- 5 mazione; essa non può essere superficiale, non può accontentarsi della rassegna stampa mattutina. La Chiesa stessa ha offerto un sinodo aperto. Attraverso il sito vaticano una finestra sempre spalancata sui lavori sinodali ha permesso di seguire conferenze stampa, interviste ai padri sinodali, progressivamente relazioni e comunicati nelle diverse lingue. La questione viene così diretta alla nostra volontà di capire, conoscere, affidarci nel senso più profondo del termine, ovvero consegnare noi stessi a queste parole. Non vi sono alibi: è responsabilità personale del singolo fedele informarsi nella misura della sua possibilità e capacità. La facile reperibilità di informazioni alla fonte, rende quasi impossibile nascondersi dietro l’idea di un’ignoranza invincibile. Ciascuno di noi può, e quindi deve, conoscere le reali e veritiere risposte che la Chiesa offre a quelle sfide che si propone di affrontare, nella convinzione che nel dubbio o nell’incertezza è la parola della Chiesa da considerarsi parola sicura. Questo significa che la formazione della propria coscienza si affida alla Chiesa e non alle superficiali interpretazioni dei giornali di divulgazione o quotidiani in cerca del titolone da prima pagina. E qui l’altra dimensione della responsabilità, la dimensione testimoniale. Senza conoscere non si può vivere, testimoniare significativamente. La famiglia è chiamata ad uno slancio missionario nella Chiesa come presenza viva e vera dell’amore di Cristo, possibile anche in questo tempo. Di fronte alle sfide pastorali sulla famiglia la Chiesa con coraggio realista si propone come riferimento, non solo ad intra, bensì per il mondo intero. Nuovamente l’immagine di questo spazio dato dalla tensione che si riconosce al binomio misericordia - giustizia, concetti non separabili che nel concreto si attuano, concreto che la Chiesa stessa sta riconoscendo come domanda alla sua presenza nel mondo reale, fatto di uomini e donne non solo da evangelizzare, ma già essi stessi evangelizzatori in quanto testimoni primi della grazia di Dio. A conclusione il richiamo alla méta indicata da papa Francesco: giungere a proporre con credibilità la buona notizia sulla famiglia. Questo il dovere e desiderio della Chiesa famiglia delle famiglie, l’auspicio e l’impegno della pastorale famigliare, il dono e la chiamata di ogni fedele, nel cui cuore risuona l’amore di Dio da far vivere nel mondo di oggi. Novembre 2014 6 Massimo Introvigne* C omincia oggi il Sinodo Straordinario dedicato alla famiglia, preceduto ieri sera da una veglia di preghiera in Piazza San Pietro a cui hanno partecipato 80mila persone. Papa Francesco ha detto che il Sinodo è chiamato a «prestare orecchio ai battiti di questo tempo e percepire l’odore degli uomini di oggi», ma per discernere e «proporre con credibilità la buona notizia sulla famiglia» che viene dal Vangelo. E ha chiesto di pregare perché si sappia «mantenere fisso lo sguardo su Gesù Cristo». Proprio per questo continuiamo a proporre l’insegnamento del Magistero in tema di comunione ai divorziati risposati, tema caldissimo di questo Sinodo. Oggi affrontiamo il tema della pastorale per chi si trova in questa situazione. «Amare la famiglia con lo sguardo di Cristo» Veglia per il Sinodo Ottantamila persone hanno partecipato in Piazza San Pietro, sabato 4 ottobre 2014, alla veglia di preghiera con Papa Francesco per il Sinodo straordinario sulla famiglia. Tra le testimonianze che sono state proposte, ha commosso quella di due sposi di Tivoli che, dopo essere stati separati per sei anni, hanno trovato nella fede il coraggio per tornare a vivere insieme. Nel suo intervento, a conclusione della veglia, Papa Francesco si è rivolto alle «care famiglie», rilevando che su Piazza San Pietro si era ormai fatta sera, e «la sera è l’ora in cui si fa volentieri ritorno a casa per ritrovarsi alla stessa mensa nello spessore degli affetti», magari – e qui il Pontefice ha alluso al Vangelo appena letto delle Nozze di Cana – per consumare quel «vino buono che anticipa nei giorni dell’uomo la festa senza tramonto». Ma la sera, ha aggiunto, è anche «l’ora più pesante per chi si ritrova a tu per tu con la propria solitudine, nel crepuscolo amato di sogni e di progetti infranti». Troppo spesso per costoro la sera è l’ora in cui s’imbocca il «vicolo cieco della rassegnazione e dell’abbandono se non del rancore». Offrendo con Gesù il «vino della gioia», che contiene «il sapore e la sapienza stessa della vita», la Chiesa vuole farsi «voce degli uni e degli altri», di chi vive la famiglia nella gioia come di chi è disperato. Il Papa non ha ovviamente anticipato le conclusioni del Sinodo, ma ha ricordato come «anche nella cultura individualista che snatura e rende effimeri i legami, in ogni nato di donna rimanga vicino un bisogno essenziale di stabilità». Con la sua cura dei bambini e degli anziani, con il suo «accompagnamento educativo», «la famiglia continua a essere scuola senza pari di umanità e offre un contributo indispensabile a una società giusta e solidale». «Più le sue radici sono profonde, più nella vita è possibile andare lontano». Non sappiamo che cosa ci dirà il Sinodo, ha detto il Pontefice, ma sappiamo che il Sinodo è importante, che già il «convenire in unum» di tanti vescovi intorno al Papa è un «evento di grazia», dove «la collegialità si manifesta in un cammino di discernimento». Il Sinodo è chiamato a «prestare orecchio ai battiti di questo tempo e percepire l’odore degli uomini di oggi», ma per discernere e «proporre con credibilità la buona notizia sulla famiglia» che viene dal Vangelo. Sappiamo che solo il Vangelo contiene l’indicazione per la vera felicità, che solo nel Vangelo «c’è la salvezza che compie i bisogni più profondi dell’uomo». Se annunciassimo opinioni di uomini e non il Vangelo, ha ammonito il Papa, «il nostro edificio resterebbe solo un castello di carte e i pastori si ridurrebbe a chierici di Stato sulle cui labbra il popolo cercherebbe invano la freschezza e il profumo del Vangelo». Ci sarà il momento per entrare nei contenuti del Sinodo, ma la veglia è stato il momento della preghiera, di cui il Pontefice ha indicato tre contenuti. Primo: chiedere allo Spirito Santo «il dono dell’ascolto», prima di Dio e poi del popolo di Dio, in questo ordine. Secondo, chiedere che i padri sinodali siano disponibili «a un confronto sincero aperto e fraterno che ci porti a farci carico con responsabilità pastorale degli interrogativi che questi cambiamenti d’epoca porta con sé». La famiglia ha molti problemi: «Lasciamo che si riversino nel nostro cuore, senza perdere la pace ma con la serena fiducia che a suo tempo non mancherà l’intervento del Signore per ricondurre tutto all’unità». Qui Papa Francesco ha fatcontinua nella pag. accanto Novembre 2014 7 sintesi a cura di Stanislao Fioramonti Sung Jin Park, della Yonhap News, l’agenzia coreana. Santo Padre, a nome dei giornalisti coreani e del nostro popolo, desidero ringraziarLa per la Sua visita. Lei ha portato la felicità a molta gente, in Corea. E grazie anche per l’incoraggiamento all’unificazione del nostro Paese. Lei si è rivolto in primo luogo alle famiglie delle vittime del disastro del traghetto Sewol e le ha consolate. Che cosa ha provato quando le ha incontrate? Non si è preoccupato che il Suo gesto potesse essere frainteso politicamente? Quando ti trovi davanti al dolore umano, devi fare quello che il tuo cuore ti porta a fare. Poi diranno: “Ha fatto questo perché ha questa intenzione politica o quell’altra…”. Si può dire tutto. Ma quando tu pensi a questi uomini, a queste donne, papà e mamme, che hanno perso i figli, i fratelli e le sorelle, al dolore tanto grande di una catastrofe, non so, il mio cuore… io sono un sacerdote, e sento che devo avvicinarmi! Lo sento così; è prima di tutto questo. Io so che la consolazione che potrebbe dare una parola mia non è un rimedio, non restituisce la vita a quelli che sono morti; ma la vicinanza umana in questi momenti ci dà forza, c’è la solidarietà… Ricordo che come arcivescovo a Buenos Aires ho vissuto due catastrofi di questo tipo: una, l’incendio di una sala da ballo, dove si teneva un concerto di musica pop: sono morte 193 persone! E poi, un’altra volta, una catastrofe con i treni, credo che sono deceduti in 120. E io, in quei momenti, ho sentito lo stesso: di avvicinarmi. Il dolore umano è forte, e se noi in questi momenti tristi ci avviciniamo, ci aiutiamo tanto. E su quella domanda, alla fine, io vorrei aggiungere una cosa. Io ho preso questo. Dopo averlo portato per mezza giornata - l’ho preso per solidarietà con loro , qualcuno si è avvicinato e mi ha detto: “E’ meglio toglierlo… Lei dev’essere neutrale…” - “Ma, senti, con il dolore umano non si può essere neutrali”. Così ho risposto. E’ quello che io sento. Grazie della tua domanda, grazie. Alan Holdren di EWTN e Catholic News Agency, ACI Prensa a Lima, Perù. Le forze militari degli Stati Uniti da poco hanno incominciato a bombardare dei terroristi in Iraq per prevenire un genocidio, per proteggere il futuro delle minoranze - penso anche ai cattolici sotto la Sua guida. Lei approva questo bombardamento americano? Grazie della domanda così chiara. In questi casi, dove c’è un’aggressione ingiusta, posso soltanto dire che è lecito fermare l’aggressore ingiusto. Sottolineo il verbo: fermare. Non dico bombardare, fare la guerra, ma fermarlo. I mezzi con i quali si possono fermare, dovranno essere valutati. Fermare l’aggressore ingiusto è lecito. Ma dobbiamo anche avere memoria! Quante volte, con questa scusa di fermare l’aggressore ingiusto, le potenze si sono impadronite dei popoli e hanno fatto una vera guerra di conquista! Una sola nazione non può giudicare come si ferma un aggressore ingiusto. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, è stata l’idea delle Nazioni Unite: là si deve discutere, dire: “E’ un aggressore ingiusto? Sembra di sì. Come lo fermiamo?”. Soltanto questo, niente di più. Secondo, le minoranze. Perché a me dicono: “I cristiani, poveri cristiani…” Ed è vero, soffrono. Sì, ci sono tanti martiri. Ma qui ci sono uomini e donne, minoranze religiose, non tutte cristiane, e tutti sono uguali davanti di Dio. Fermare l’aggressore ingiusto è un diritto dell’umanità, ma è anche un diritto dell’aggressore, di essere fermato per non fare del male. Jean-Louis de la Vaissière, di France Presse. Tornando ancora sulla vicenda irachena, Lei sarebbe pronto a sostenere un intervento militare sul terreno in Iraq per fermare i jihadisti? Lei pensa di potere andare un giorno in Iraq, forse in Kurdistan, per sostenere i profughi cristiani che La aspettano, e pregare con loro in questa terra dove vivono da duemila anni? Io sono stato poco tempo fa con il Presidente del Kurdistan, e lui aveva un pensiero molto chiaro sulla situazione, come trovare soluzioni… Ma era prima di questa aggressione ultima. Alla prima domanda ho risposto: io sono d’accordo sul fatto che, quando c’è un aggressore ingiusto, venga fermato… Sì, io sono disponibile, ma credo che posso dire questo: quando abbiamo sentito con i miei collaboratori di questa situazione delle minoranze religiose, e anche il problema, in quel momento, del Kurdistan che non poteva ricevere tanta gente, ci siamo detti: che cosa si può fare? Abbiamo pensato tante cose. Abbiamo scritto prima di tutto un comunicato che ha fatto padre Lombardi a nome mio. Questo comunicato è stato inviato a tutte le Nunziature perché fosse comunicato ai governi. Poi abbiamo scritto una lettera al Segretario Generale delle Nazioni Unite… E alla fine abbiamo deciso di inviare un Inviato Personale, il Cardinale Filoni. E infine abbiamo detto: se fosse necessario, quando torniamo dalla Corea, possiamo andare lì. Era una delle possibilità. Questa è la risposta: sono disponibile. In questo momento non è la cosa migliore da fare, ma sono disposto a questo. continua a pag. 8 segue da pag. 6 to cenno a momenti di dibattito anche aspro che però, ha detto, non devono scandalizzare. Troviamo «nella storia della Chiesa tante situazioni analoghe che i nostri padri hanno saputo superare con ostinata pazienza e creatività».La soluzione è il terzo contenuto della preghiera per il Sinodo, il più importante: chiedere la grazia di «mantenere fisso lo sguardo su Gesù Cristo, sostare nella contemplazione e nell’adorazione del suo volto», «assumerne il suo modo di pensare», se necessario facendolo prevalere sul nostro. «Ogni volta che torniamo alla fonte dell’esperienza cristiana» troviamo la forza per «rinnovare la Chiesa e la società con la gioia del Vangelo». La Chiesa oggi vive «afflizioni e difficoltà che le ven- gono sia da dentro sia da fuori». La soluzione è sempre la stessa: fede intrepida, speranza che ritrovi «la vivacità e il dinamismo dei primi missionari del Vangelo», carità «creativa che consenta di amare come Gesù ama». Per dire davvero alla famiglia che è «amata con lo sguardo di Cristo», i padri di una Chiesa «riconciliata e misericordiosa» pregheranno, discuteranno, studieranno ma dovranno anzitutto ascoltare Maria a Cana, in quello che resta il suo «testamento spirituale»: «Qualsiasi cosa Gesù vi dica, fatela». *da lanuovabq.it 05.10.2014 8 Fabio Zavattaro, della Rai. Lei è il primo Papa che ha potuto sorvolare la Cina. Il telegramma che ha mandato al presidente cinese è stato accolto senza commenti negativi. Pensa che questi siano passi in avanti di un dialogo possibile? E avrebbe desiderio di andare in Cina? Quando stavamo per entrare nello spazio aereo cinese, io ero nel cockpit con i piloti, e uno di loro mi ha fatto vedere lì un registro e ha detto: “Mancano dieci minuti per entrare nello spazio aereo cinese, dobbiamo chiedere l’autorizzazione. Si chiede sempre, è una cosa normale, ad ogni Paese si chiede”. E ho sentito come chiedevano l’autorizzazione, come si rispondeva… Sono stato testimone di questo. E il pilota ha detto: “Adesso va il telegramma”, ma non so come abbiano fatto. Poi mi sono congedato da loro, sono tornato al mio posto e ho pregato tanto per quel grande e nobile popolo cinese, un popolo saggio… Penso ai grandi saggi cinesi, una storia di scienza, di saggezza… Anche i gesuiti: abbiamo storia lì, con padre Ricci… E tutte queste cose venivano da me. Se io ho voglia di andare in Cina? Ma sicuro: domani! Eh, sì. Noi rispettiamo il popolo cinese; soltanto, la Chiesa chiede libertà per la sua missione, per il suo lavoro; nessun’altra condizione. Poi, non bisogna dimenticare quel documento fondamentale per il problema cinese che è stata la Lettera inviata ai Cinesi da Papa Benedetto XVI. Quella Lettera oggi è attuale. Rileggerla fa bene. Sempre la Santa Sede è aperta ai contatti, perché ha una vera stima per il popolo cinese. Paloma García Ovejero della Cope, la Radio cattolica spagnola. Il prossimo viaggio sarà in Albania. Forse l’Iraq. Dopo, Filippine e Sri Lanka… Ma dove andrà nel 2015? Lei sa che in Avila e in Alba de Tormes c’è tanta attesa: possono ancora sperare? Sì, sì… La Signora Presidente della Repubblica di Corea, in perfetto spagnolo, mi ha detto: “La esperanza es lo ultimo que se pierde”. Così m’ha detto, riferendosi all’unificazione della Corea. Mi viene da dire questo: si può sperare, ma non è deciso. Quest’anno è prevista l’Albania, è vero. Alcuni dicono che il Papa ha uno stile di incominciare tutte le cose dalla periferia. Ma no, vado in Albania per due motivi importanti. Primo, perché sono riusciti a fare un governo - pensiamo ai Balcani! -, un governo di unità nazionale tra islamici, ortodossi e cattolici, con un consiglio interreligioso che aiuta tanto ed è equilibrato. E questo va bene, è armonizzato. La presenza del Papa è per dire a tutti i popoli: “Si può lavorare insieme!”. Io l’ho sentito come se fosse un vero aiuto a quel nobile popolo. E l’altra cosa: se pensiamo alla storia dell’Albania, è stata religiosamente l’unico dei Paesi comunisti che nella sua Costituzione aveva l’ateismo pratico. Se tu andavi a Messa era anticostituzionale. E poi, mi diceva uno dei ministri, che sono state distrutte - voglio essere preciso nella cifra - 1.820 chiese. Distrutte! Ortodosse, cattoliche… in quel tempo. E poi, altre chiese sono state trasformate in cinema, teatro, sale da ballo… Io ho sentito che dovevo andare: è vicino, in un giorno si fa… Poi, l’anno prossimo vorrei andare a Philadelphia, all’incontro delle famiglie; e sono stato anche invitato dal Presidente degli Stati Uniti al Parlamento americano, e anche dal Segretario Novembre 2014 delle Nazioni Unite, a New York: forse le tre città insieme... Il Messico: i messicani vogliono che io vada alla Madonna di Guadalupe, e si potrà approfittare di quel viaggio, ma non è sicuro. E infine, la Spagna. I Reali mi hanno invitato e l’episcopato mi ha invitato… c’è una pioggia di inviti per andare in Spagna: Santiago de Compostela… forse è possibile, ma non dico di più perché non è deciso; andare al mattino ad Avila e ad Alba de Tormes, e tornare il pomeriggio… Sarebbe possibile… Johannes Schidelko dell’Agenzia cattolica tedesca. Quale tipo di rapporto c’è tra Lei e Benedetto XVI? esiste un abituale scambio di opinioni, di idee, esiste un progetto comune dopo questa Enciclica? Ci vediamo… Prima di partire sono andato a trovarlo. Lui, due settimane prima, mi ha inviato uno scritto interessante: mi chiedeva l’opinione… E abbiamo un rapporto normale, perché torno a questa idea, che forse non piace a qualche teologo – io non sono teologo –: penso che il Papa emerito non sia un’eccezione, ma dopo tanti secoli, questo è il primo emerito. Pensiamo, sì, come lui ha detto: “Sono invecchiato, non ho le forze”. E’ stato un bel gesto di nobiltà e anche di umiltà e di coraggio. Io penso: 70 anni fa anche i vescovi emeriti erano un’eccezione, non esistevano. Oggi i vescovi emeriti sono una istituzione. Io penso che “Papa emerito” sia già un’istituzione. Perché? Perché la nostra vita si allunga e a una certa età non c’è la capacità di governare bene, perché il corpo si stanca, la salute forse è buona ma non c’è la capacità di portare avanti tutti i problemi di un governo come quello della Chiesa. E io credo che Papa Benedetto XVI abbia fatto questo gesto che di fatto istituisce i Papi emeriti. Ripeto: forse qualche teologo mi dirà che questo non è giusto, ma io la penso così. I secoli diranno se è così o no, vedremo. Lei potrà dirmi: “E se Lei non se la sentirà, un giorno, di andare avanti?”. Farei lo stesso, farei lo stesso! Pregherò molto, ma farei lo stesso. Ha aperto una porta che è istituzionale, non eccezionale. Il nostro rapporto è di fratelli, davvero. Io ho detto anche che lo sento come se avessi il nonno a casa per la saggezza: è un uomo con una saggezza, con le nuances, che mi fa bene ascoltarlo. E anche mi incoraggia molto. Questo è il rapporto che abbiamo con lui. Yoshimori Fukushima del Mainichi Shimbun. In questo viaggio Lei ha incontrato delle persone che hanno sofferto. Che cosa ha provato quando lei ha salutato le sette “donne comfort” alla Messa di questa mattina? Per quanto riguarda la sofferenza delle persone, come in Corea, c’erano i cristiani nascosti anche in Giappone, e l’anno prossimo sarà il 150° anniversario della loro “riemersione”. Sarà possibile pregare per loro insieme con Lei a Nagasaki? Sarebbe bellissimo! Sono stato invitato: sia dal governo, sia dall’episcopato. Le sofferenze… Lei torna su una delle prime domande. Il popolo coreano è un popolo che non ha perso la dignità. E’ stato un popolo invaso, umiliato, ha subito guerre, adesso è diviso, con tanta sofferenza. Ieri, quando sono andato all’incontro con i giovani, ho visitato il Museo dei martiri. E’ terribile la sofferenza di questa gente, semplicemente per non calpestare la Croce! E’ un dolore o una sofferenza storica. Ha capa- cità di soffrire, questo popolo, e anche questo fa parte della sua dignità. Anche oggi, quando c’erano queste donne anziane, davanti, a Messa: pensare che in quell’invasione sono state, da ragazze, portate via, nelle caserme, per sfruttarle… e loro non hanno perso la dignità. Oggi mostravano il volto, anziane, le ultime che rimangono… E’ un popolo forte nella sua dignità. Ma tornando a queste realtà di martirio, di sofferenze, anche di queste donne: questi sono i frutti della guerra! E oggi noi siamo in un mondo in guerra, dappertutto! Qualcuno mi diceva: “Lei sa, Padre, che siamo nella Terza Guerra Mondiale, ma ‘a pezzi’?”. Ha capito? E’ un mondo in guerra, dove si compiono queste crudeltà. Vorrei fermarmi su due parole. La prima è crudeltà. Oggi i bambini non contano! Una volta si parlava di una guerra convenzionale; oggi questo non conta. Non dico che le guerre convenzionali siano una cosa buona, no. Ma oggi arriva la bomba e ti ammazza l’innocente con il colpevole, il bambino, con la donna, con la mamma… ammazzano tutti. Ma noi dobbiamo fermarci e pensare un po’ al livello di crudeltà al quale siamo arrivati. Questo ci deve spaventare! Non lo dico per fare paura: si può fare uno studio empirico. Il livello di crudeltà dell’umanità, in questo momento, fa piuttosto spaventare. E l’altra parola sulla quale vorrei dire qualcosa, e che è in rapporto con questa, è la tortura. Oggi la tortura è uno dei mezzi quasi - direi - ordinari dei comportamenti dei servizi di intelligence, dei processi giudiziari… E la tortura è un peccato contro l’umanità, è un delitto contro l’umanità; e ai cattolici io dico: torturare una persona è peccato mortale, è peccato grave! Ma di più: è un peccato contro l’umanità. Crudeltà e tortura. Mi piacerebbe tanto che voi nei vostri media faceste delle riflessioni: come vedete queste cose, oggi? Com’è il livello di crudeltà dell’umanità? E cosa pensate della tortura? Credo che farà bene a tutti noi, riflettere su questo. Deborah Ball di Wall Street Journal. Lei tiene un ritmo molto, molto impegnativo, molto serrato e si concede poco riposo e nessuna vacanza; fa questi viaggi massacranti. Poi, negli ultimi mesi, abbiamo visto che Lei ha dovuto cancellare qualche appuntamento, anche all’ultimo momento. C’è da preoccuparsi per il ritmo che Lei tiene? Eh sì, qualcuno me l’ha detto! Io ho fatto le vacanze, adesso, a casa, come faccio di solito, perché… una volta, ho letto un libro, interessante, il titolo era: “Rallegrati di essere nevrotico”! Anch’io ho alcune nevrosi, ma bisogna trattarle bene, le nevrosi! Dare loro il mate ogni giorno… Una di queste nevrosi è che sono un po’ troppo attaccato all’habitat. L’ultima volta che ho fatto vacanze fuori Buenos Aires, con la comunità gesuita, è stato nel 1975. Poi, sempre faccio vacanze – davvero! –, ma nell’habitat: cambio ritmo. Dormo di più, leggo le cose che mi piacciono, sento la musica, prego di più… E questo mi riposa. A luglio e parte di agosto ho fatto questo, e va bene. L’altra domanda: il fatto che ho dovuto cancellare [degli impegni]: questo è vero. Il giorno che dovevo andare al “Gemelli”, fino a 10 minuti prima, ero lì ma non ce la facevo, davvero… Erano stati giorni molto impegnativi. E adesso devo essere un po’ più prudente. Tu hai ragione! continua nella pag. accanto Novembre 2014 Anaïs Feuga della Radio Francese. A Rio, quando la folla gridava: “Francesco, Francesco”, Lei rispondeva: “Cristo, Cristo”. Oggi Lei come gestisce questa immensa popolarità? Come la vive? Ma, non so come dire… Io la vivo ringraziando il Signore che il suo popolo sia felice – questo lo faccio davvero – e augurando al popolo di Dio il meglio. La vivo come generosità del popolo, questo è vero. Interiormente, cerco di pensare ai miei peccati e ai miei sbagli, per non illudermi, perché io so che questo durerà poco tempo, due o tre anni, e poi… alla casa del Padre… E poi, non è saggio chiedersi questo, ma la vivo come la presenza del Signore nel suo popolo che usa il vescovo che è il pastore del popolo, per manifestare tante cose. La vivo più naturalmente di prima: prima mi spaventava un po’… Faccio queste cose… Mi dico anche nella mente: non sbagliare, perché tu non devi fare torto a questo popolo; e tutte queste cose… Un po’ così… Jürgen Erbacher, della televisione tedesca. Si parla da tempo del progetto di un’Enciclica sull’ecologia. Si può dire quando uscirà e quali sono i punti centrali? Questa Enciclica… Ho parlato tanto con il Cardinale Turkson e con altri, e ho chiesto al Cardinale Turkson di raccogliere tutti i contributi che sono arrivati. E prima del viaggio, quattro giorni prima, il Cardinale Turkson mi ha consegnato la prima bozza. La prima bozza è grossa così... Direi che è un terzo di più della Evangelii gaudium! E’ la prima bozza. Ma adesso è un problema non facile, perché sulla custodia del creato, l’ecologia, anche l’ecologia umana, si può parlare con una certa sicurezza fino ad un certo punto. Poi vengono le ipotesi scientifiche, alcune abbastanza sicure, altre no. E un’Enciclica così, che dev’essere magisteriale, deve andare avanti soltanto sulle sicurezze, sulle cose che sono sicure. Perché, se il Papa dice che il centro dell’universo è la Terra e non il Sole, sbaglia, perché dice una cosa che dev’essere scientifica, e così non va. Così succede adesso. Dobbiamo fare adesso lo studio, numero per numero, e credo che diventerà più piccola. Ma, andare all’essenziale e a quello che si può affermare con sicurezza. Si può dire in nota, a piè di pagina, “su questo c’è questa ipotesi, questa, questa…”, dirlo come informazione, ma non nel corpo di un’Enciclica, che è dottrinale e deve essere sicura. Jung Hae Ko, di un giornale coreano. Appena prima della Messa finale alla Cattedrale di Myeong-dong, Lei ha consolato alcune “donne di conforto”: quali pensieri l’hanno attraversata? Pyongyang afferma che il Cristianesimo rappresenta una minaccia diretta al suo regime e alla sua leadership. Noi sappiamo che qualcosa di terribile è successo ai cristiani nordcoreani. Non sappiamo però cosa sia accaduto. C’è un impegno particolare nel Suo animo per tentare di cambiare l’approccio di Pyongyang ai cristiani nordcoreani? La prima domanda, ripeto questo: oggi, queste donne erano lì perché, malgrado tutto quello che hanno sofferto, hanno dignità: ci hanno messo la faccia. Io ho pensato quello che ho detto anche poco fa, alle sofferenze della guerra, alle crudeltà che porta una guerra… Queste donne sono state sfruttate, sono state schiavizzate, queste sono crudeltà… Ho pensato tutto questo: la dignità che loro hanno e anche quanto hanno sofferto. E la sofferenza è un’eredità. Noi diciamo, i primi Padri della Chiesa dicevano che il sangue dei martiri è seme di cristiani. Voi coreani avete seminato tanto, tanto. Per coerenza. E si vede adesso il frutto di quella semina dei martiri. Sulla Corea del Nord, io non so… So che è una sofferenza… Una la so di sicuro: che ci sono alcuni parenti, tanti parenti che non possono ritrovarsi, e questo fa soffrire, questo è vero. E’ la sofferenza di questa divisione del Paese. Oggi, in cattedrale, dove ho indossato i paramenti per la Messa, c’era un regalo che mi hanno fatto, che era una corona di spine di Cristo, fatta con il filo di ferro che divide le due parti dell’unica Corea. E questo regalo io lo porto sull’aereo… La sofferenza della divisione, di una famiglia divisa. Come ho detto, abbiamo una speranza: le due Coree sono fratelli, parlano la stessa lingua. Quando si parla la stessa lingua è perché si ha la stessa madre e questo ci dà speranza. La sofferenza della divisione è grande, io capisco questo e prego perché finisca. Pulella, del gruppo di lingua inglese. Lei ha parlato del martirio: a che punto siamo con il processo per il vescovo Romero? Lei cosa vorrebbe vedere uscire da questo processo? Il processo era alla Congregazione per la Dottrina della fede, bloccato “per prudenza”, si diceva. Adesso è sbloccato. E’ passato alla Congregazione per i Santi. E segue la strada normale di un processo. Dipende da come si muovono i postulatori. Questo è molto importante, di farlo in fretta. Io, quello che vorrei, è che si chiarisca: quando c’è il martirio in odium fidei, sia per aver confessato il Credo, sia per aver fatto le opere che Gesù ci comanda, con il prossimo. E questo è un lavoro dei teologi, che lo stanno studiando. Perché dietro di lui [Romero], c’è Rutilio Grande e ci sono altri; ci sono altri che sono stati uccisi, ma che non sono alla stessa altezza di Romero. Si deve distinguere teologicamente, questo. Per me Romero è un uomo di Dio, ma si deve fare il processo, e anche il Signore deve dare il suo segno… Se Lui vuole, lo farà. Ma adesso i postulatori devono muoversi perché non ci sono impedimenti. Céline Hoyeau, di La Croix, giornale cattolico francese. Vista la guerra a Gaza, è stata un fallimento, secondo Lei, la preghiera per la pace organizzata in Vaticano l’8 giugno scorso? Grazie, grazie per la domanda. Quella Preghiera per la pace, assolutamente non è stata un fallimento. Primo, l’iniziativa non è venuta da me: l’iniziativa di pregare insieme è venuta dai due Presidenti, dal Presidente dello Stato di Israele e dal Presidente dello Stato di Palestina. Loro mi avevano fatto arrivare questo desiderio. Poi, volevamo farla là [in Terra Santa], ma non si trovava il posto giusto, perché il costo politico di ognuno era molto forte se andava dall’altra parte. La Nunziatura sarebbe stata un posto neutrale, ma per arrivare in Nunziatura il Presidente dello Stato di Palestina sarebbe dovuto entrare in Israele e la cosa non era facile. E loro mi hanno detto: “Lo facciamo in Vaticano, e noi veniamo!”. Questi due uomini sono uomini di pace, sono uomini che credono in Dio, e hanno vissuto tante cose brutte che sono convinti che l’unica strada per risolvere quella storia 9 è il negoziato, il dialogo e la pace. Ma la sua domanda, adesso: è stato un fallimento? No, io credo che la porta è aperta. Tutti e quattro, come rappresentanti, e Bartolomeo ho voluto che fosse lì come capo dell’Ortodossia, Patriarca ecumenico dell’Ortodossia – non voglio usare termini che forse non piacciono a tutti gli ortodossi – come Patriarca ecumenico era bene che fosse con noi. E’ stata aperta la porta della preghiera. E si dice: “Si deve pregare”. E’ un dono, la pace è un dono, un dono che si merita con il nostro lavoro, ma è un dono. E dire all’umanità che insieme con la strada del negoziato - che è importante -, del dialogo - che è importante - c’è anche quella della preghiera. Dopo è arrivato quello che è arrivato. Ma questo è congiunturale. Quell’incontro invece non era congiunturale: è un passo fondamentale di atteggiamento umano: la preghiera. Adesso il fumo delle bombe, delle guerre non lascia vedere la porta, ma la porta è rimasta aperta da quel momento. E siccome io credo in Dio, io credo che il Signore guarda quella porta, e guarda quanti pregano e quanti gli chiedono che Lui ci aiuti. Sì, mi piace questa domanda. Grazie, grazie per averla fatta. Grazie. Novembre 2014 10 Sara Gilotta “Si può confutare l’errore di chi parlando bene ed operando male crede di educare gli altri nella vita e nei costumi, dimenticando che le mani di Giacobbe hanno persuaso più delle sue parole, benché le mani persuadessero il falso e le parole il vero”. Q ueste parole, in verità piuttosto semplici da capire sono state scritte da Dante nella sua opera intitolata “De Monarchia”, ma a me sembrano ben riguardare anche la nostra realtà tutta, compresa quella del clero, cui il Papa si è specificamente rivolto, in apertura del Sinodo sulla famiglia, usando un termine assai forte: cupidigia. La cupidigia è desiderio di beni terreni, ma anche di potere in qualunque forma pensato ed attuato. Un vizio assai grave, dunque, perché inevitabilmente produce forme di sottomissione e spesso di sopruso soprattutto sui più deboli. Se poi un tale “peccato” è commesso da chi, appartenendo al clero, ha scelto di essere al servizio degli altri, allora davvero il Papa ha voluto toccare una realtà dolorosa e grave. D’altra parte e non dimenticando assolutamente che la storia della Chiesa è ricca di sacerdoti santi, che hanno speso la loro vita al servizio degli altri, bisogna aggiungere che la cupidigia è un male antico , che ha accompagnato la Chiesa, sin dai primi secoli dalla sua fondazione, soprattutto a causa di quel potere temporale che faceva dei Papi dei re e del clero tutto soggetto di potere e quindi soggetto ed oggetto di corruzione e, appunto, di cupidigia. Per tutto questo Machiavelli potè affermare che “ …abbiamo adunque che la Chiesa e con i preti noi italiani questo primo “obbligo” , di essere diventati senza religione…”e successivamente Foscolo dirà “ or di preti e di frati facciamo sacerdoti” a conferma che soprattutto dagli intellettuali si alzava un vero e proprio grido di dolore nei confronti di chi nella Chiesa aveva dimenticato il suo dovere e la sua missione di pastore di anime. Ma è soprattutto Dante, che nella “Commedia” alzò la sua voce , per piangere sul destino della Chiesa caduta in mano ad usurpatori spinti solo dalla cupidigia . E senza dubbio il canto in cui il poeta esprime con più sdegno il problema che interessa non solo la chiesa, ma l’intera umanità è il diciannovesimo, quello in cui egli colloca e condanna i simoniaci. E, se i simoniaci sono coloro che vendet- tero i doni di Dio per acquistare denaro e potere, capovolgendo completamente gli insegnamenti di Cristo, sicuramente Dante condannando i prelati e i papi ad una pena davvero infamante e terribile si rivela non solo teologo, ma forse ancor di più uomo esacerbato dalle sofferenze, vittima di ingiustizie e soprusi. Soprusi che, peraltro, non hanno colpito solo lui, ma hanno indebolito sia il potere spirituale della Chiesa, sia quello temporale dell’ impero. Necessari ambedue, per dare alla società equilibrio, di pace e di equità. La pena riservata ai simoniaci è, come dicevo terribile, ma soprattutto molto particolare e consiste nell’aver sovvertito il peccatore nella sua persona: i dannati sono, infatti, precipitati in una buca a testa in giù ed esprimono i loro sentimenti agitando le gambe, mentre le piante dei loro piedi vengono lambite da fiamme. E se si pensa che Dante colloca nella terza bolgia ben tre papi e cioè Niccolò III, Clemente V E Bonifacio VIII, allora si comprende anche meglio tutto lo sdegno del poeta per chi ha snaturato la purezza evangelica per tramare con i re, come la bestia con le sette teste e le dieci corna dell’Apocalisse. Con l’aggiunta poetica molto efficace ed astuta per la quale solo il primo pontefice si trova già all’inferno, degli altri due viene annunciato l’arrivo in una condanna preventiva, ma consapevolmente e polemicamente violenta. Né certamente a caso Dante colloca Bonifacio VIII nell’inferno, prima ancora che muoia a conferma che molto soffrì come credente offeso e come uomo perseguitato ingiustamente ed ingiustamente reso esule da un potere corrotto che aveva danneggiato la vera missione della Chiesa. Un rimprovero, dunque, davvero forte quello del Papa, che, sin dalla sua elezione sta indicando a tutti ed innanzitutto ai componenti del clero la necessità di una rinnovata umiltà capace di essere di esempio per i fedeli, che, a loro volta, schiacciati dalla negatività del reale avvertono l’esigenza di incontrare veri pastori. Novembre 2014 l 9 ottobre scorso, il Tar del Lazio ha respinto l’istanza cautelare presentata da alcune associazioni contro il decreto emanato il 12 maggio 2012 dal presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, decreto attraverso il quale si obbligano i medici dei consultori a prescrivere la cosiddetta contraccezione d’emergenza e la certificazione per l’aborto. Tali indicazioni, scritte nelle <<Linee di Indirizzo regionali per le attività dei Consultori familiari>> sono state motivate, a detta di Zingaretti, da un ragionevole bilanciamento dei diritti coinvolti. Bisogna però ricordare che il giudizio del Tar, essendo cautelare, è sempre sommario; questo significa che la partita è ancora aperta. Ha invece rassegnato le sue dimissioni l’infermiera di Voghera che settimane fa aveva tentato Da qui, la discutibile volontà del direttore medico di redigere un codice di comportamento generale per il personale sanitario da adottare in caso di richiesta del suddetto farmaco. Lo scorso febbraio, l’Aifa – l’Agenzia Italiana del farmaco – aveva tolto dal foglietto illustrativo della pillola del giorno dopo il riferimento al possibile effetto abortivo, dichiarando la sua azione limitata alla capacità di ritardare l’ovulazione. Ora, questo intervento di cambiamento è sotto il giudizio del Consiglio di Stato proprio perché il nuovo “bugiardino” (non a caso detto tale), non chiarisce in realtà quale sia l’azione del farmaco a fecondazione avvenuta; quest’ultima può infatti avvenire già da mezz’ora dopo il rapporto sessuale. In questo caso, provocando delle modificazioni a carico dell’endometrio, impedirebbe l’annidamento dell’embrione nell’utero materno, andando così ad avere un effetto chiaramente di convincere due ragazze a non assumere la pillola del giorno dopo. Le due ragazze, si erano recate di notte presso il pronto soccorso di Voghera per richiedere la cosiddetta pillola del giorno dopo, il farmaco che, preso entro 72 ore dal rapporto sessuale, permette di evitare una gravidanza. L’infermiera ha dichiarato di aver agito spinta dalla sua coscienza, con l’intento di non salvare, eventualmente, delle vite umane. Episodio simile in un ospedale del basso vicentino dove l’11 ottobre scorso una coppia di fidanzati si è vista rifiutare la richiesta di prescrizione del Norlevo (pillola del giorno dopo). abortivo. E’ di qualche settimana fa invece la notizia che è di circa 6.000 il numero delle coppie in attesa della fecondazione eterologa; criteri operativi ancora non chiari, tariffe non definite ma tanta impazienza di agire. A Firenze intanto era in programma per il 14 ottobre la prima fecondazione eterologa presso l’ospedale Carreggi. Di fronte a tutte queste disorientanti notizie non si può e non si deve davvero restare indifferenti. Continuiamo ad assistere ad una trasformazione della nostra idea di nascita, di genitorialità, di procreazione. L’uomo ha nelle mani un potere tecnologico smi- Marta Pietroni I 11 surato, che non è seguito pari passo da una consolidata riflessione etica. I danni di una cultura che ha deresponsabilizzato l’atto sessuale, diseducando le nuove generazioni, alimentandole con una cultura della superficialità, si riscontra oramai su tanti fronti. Le conseguenze si riflettono in un’antropologia che non riesce a far proprio il concetto di responsabilità e che vede in ogni desiderio un diritto che qualcuno deve sempre essere pronto a soddisfare. Tralasciando l’aspetto meramente economico, che vede anche da parte delle case farmaceutiche vere e proprie operazioni commerciali, l’aspetto estremamente preoccupante è rappresentato dalla giustificazione sociale che oramai segue certe vicende. Le innumerevoli polemiche contro il comportamento dell’infermiera di Voghera sono emblematiche, il voler “risolvere” il problema dell’obiezione di coscienza è di una gravità non trascurabile. In passato alcune azioni e scelte trovavano una generale disapprovazione morale, oggi a doversi vergognare sembra dover essere chi si ritrova a perdere il lavoro per aver tentato di difendere la vita umana. Su queste basi socio-culturali, come possono i nuovi futuri adulti sviluppare un senso di rispetto verso se stessi, verso il proprio corpo e verso l’altro? La grande libertà di cui l’individuo gode nella civiltà occidentale ha annebbiato la capacità critica di riflessione. Il senso del giusto è limitato al senso del giusto privato. Concetti come dovere, rispetto e responsabilità fanno fatica a trovare giustificazione all’interno del confronto sociale. I due ragazzi di Voghera avevano più di venti anni, non erano dei ragazzini. Le coppie in attesa di fecondazione artificiale eterologa pensano mai seriamente al senso profondo del loro progetto? All’interno di questo smisurato desiderio di gravidanza, qual è il posto concesso al rispetto verso il figlio? Questa nuova persona nasce già con un inganno programmato alle spalle. L’intera società ne è complice. Tutti ci stiamo ingannando su queste vicende così complesse. Non basta esaudire i desideri perché ne abbiamo i mezzi per stare dalla parte del giusto. Speriamo soltanto di accorgercene presto, tanti danni sono già stati fatti. Nell’immagine del titolo un’opera pittorica di Darly Zang. Novembre 2014 12 don Alessandro Tordeschi Visibilità della Parola “Il sacerdote Esdra portò la legge davanti all’assemblea degli uomini, delle donne e di quanti erano capaci di intendere. Esdra lo scriba stava sopra una tribuna di legno, che avevano costruito per l’occorrenza... Esdra aprì il libro in presenza di tutto il popolo, poiché stava più in alto di tutto il popolo; come ebbe aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi. Esdra benedisse il Signore Dio grande e tutto il popolo rispose: «Amen, amen», alzando le mani; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore.”1 Siamo di fronte a parole e gesti liturgici: il libro della Legge deve essere visto prima di essere ascoltato, perché il libro ha una visibilità necessaria. Il libro è elevato agli occhi del popolo che si alza in segno di rispetto. Lo scriba Esdra formula una benedizione e il popolo risponde “Amen, Amen”, parola che è confessione di fede e adesione, accompagnate da gesti che esprimono timore, adorazione e rispetto: alzando le mani; si inginocchiarono e si prostrarono con la faccia a terra dinanzi al Signore. Con questi segni il popolo esprime la sua fede: stare dinanzi al libro della Legge significa stare “alla presenza del Signore”. Elevare alla vista di tutti il rotolo della Torà è dunque un atteggiamento rituale che rappresenta la presenza santa di Dio in mezzo al suo popolo. Anche oggi nella liturgia sinagogale, si svolge il rito dell’innalzamento detto “ haghahà”: prima della lettura, il rotolo della Legge viene prelevato dall’arca e l’officiante lo tiene aperto sulle braccia rivolto verso la comunità con un gesto al tempo stesso di elevazione e ostensione in modo che passando attraverso la sinagoga tutta l’assemblea veda la Scrittura e la testimonianza, la veneri anche baciandola mentre si canta: “Questa è la legge che Mosè espose ai figli di Israele”2, e “secondo la parola data dal Signore per mezzo di Mosè”3. Il rito sinagogale dell’haghahà da cui ha avuto origine l’analogo gesto di ostensione dell’evangelario nella liturgia cristiana, attesta che nella liturgia la parola di Dio è una realtà che deve essere vista come libro presentato all’assemblea e successivamente udita come testo letto all’assemblea. L’ostensione delle Scritture è dunque già in se un’ermeneutica (arte di interpretare antichi testi e documenti)4, ricordando così che non solo le parole omiletiche hanno funzione ermeneutica ma anche i gesti compiuti nella liturgia sono già ermeneutica delle Scritture. Prima di essere letto e ascoltato il libro è visto. Nella liturgia la chiesa presenta ai fedeli riuniti in assemblea il loro segno di identità e di riconoscimento, e in questo modo l’evangelario svolge la triplice funzione simbolica. Elevando e ostendendo l’evangelario, la chiesa richiama anzitutto la superiorità e l’autorità della parola di Dio su ogni parola umana. Poi la chiesa dichiara che il libro è mostrato a tutti perché è destinato a tutti e dunque tutti possono accedere liberamente alla Parola di salvezza. Infine, la chiesa attesta che quest’unica parola di salvezza nella quale tutti possono riconoscersi crea una relazione tra le persone che non si sono scelte, ma si riconoscono come debitrici dell’unica alleanza. Parafrasando una celebre frase di Henri de Lubac, secondo cui “la chiesa fa l’eucarestia e l’eucarestia fa la chiesa”5, è possibile affermare “ la chiesa fa le Scritture e le Scritture fanno la chiesa. Anche Nella liturgia cristiana, nella sua forma più solenne, prevede due ostensioni dell’evangelario. La prima avviene nel corso della processione iniziale, quando il diacono porta l’evangelario elevato attraverso l’assemblea, collocandolo poi sull’altare dove resta fino alla proclamazione del vangelo. Prima ancora dell’ambone, l’altare è il luogo primario poi vedremo il perché. La seconda ostensione dell’evangelario avviene durante la processione con la quale il diacono porta il libro dall’altare all’ambone per la lettura della pagina evangelica. Gran parte degli elementi rituali comuni a tutte le liturgie cristiane corrispondono ai gesti di venerazione del libro della Legge narrati da Neemia e presenti in diverse tradizioni rituali sinagogali. Tuttavia uno degli elementi imprescindibili della lettura liturgica delle Scritture. È che nel culto sinagogale il rotolo della Legge è prelevato dall’aron dove è custodito, nella liturgia delle chiese l’evangelario è preso dall’altare dove si trova dall’inizio della celebrazione. Evangelario e altare, “parola della croce”, ed eucarestia Mettendo all’inizio della liturgia l’evangelario al centro dell’altare, in quel momento libero da ogni altro oggetto, la chiesa riconosce al libro dei vangeli la stessa dignità dei doni eucaristici. Sull’altare l’evangelario tiene lo stesso posto dell’eucarestia, così il libro dei vangeli non è solo oggetto del culto ma anche di culto. La collocazione dell’evangelario sull’altare realizza una figura di intenso significato teologico che il Concilio Vaticano II ha richiamato: il cristiano si nutre “del pane della mensa sia della parola di Dio che del corpo di Cristo”6. Come il pane e il vino eucaristici sono presi dall’altare perché i fedeli si nutrano del corpo e del sangue di Gesù, così anche il vangelo è preso dall’altare affinché i fedeli si nutrano della parola di Cristo: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”7, e anche “chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna”8. L’evangelari è preso dall’altare per attestare l’ascolto e la manducazione eucaristica della parola di Dio. L’evangelario è posto sull’altare, luo- Novembre 2014 go del memoriale del sacrificio della croce, poi di qui prelevato per la proclamazione del vangelo dall’ambone al fine di significare che il vangelo di Cristo deve essere ascoltato partendo dal mistero della croce, perché ogni volta che si predica il vangelo di Cristo è la parola della croce che è predicata: “ La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio… è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso” 9. Così, l’innalzamento e l’ostensione dell’evangelario davanti all’assemblea è già proclamazione del verbum crucis. È come se si dicesse silenziosamente “Ecce verbum crucis”, eco dell’antico canto “Ecce lignum crucis” nella liturgia solenne del venerdì santo. Elevando la croce ed elevando l’evangelario si compie lo stesso atto, si proclama l’unica Parola, la parola della croce. Questo è significato dal piccolo segno di croce che chi proclama il brano del vangelo traccia sulla pagina dell’evangelario, gesto con il quale poi, insieme ai fedeli si segna la fronte, le labbra e il petto a significare l’accesso della parola del vangelo nelle facoltà fondamentali della persona: intelletto, il linguaggio e la volontà. Memoria dello sphraghis battesimale, questo gesto è incisione cruciforme del verbum crucis sulla fronte, luogo della mente e dell’intelligenza; sulle labbra, spazio della voce e della parola; sul cuore, sede della volontà e degli affetti. Una sintesi del legame tra l’evangelario e l’altare, e dunque tra parola della croce e l’eucarestia è espresso mirabilmente da Agostino in una delle sue espressioni: “Ci nutriamo della croce del Signore, quando mangiamo il suo corpo”.10 La voce del lettore Gesù “aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: ‘ Lo spirito del Signore è sopra di me’”11. L’atto di aprire il rotolo o il libro delle scritture è atto che è esso stesso una liturgia: “non si può negare la portata iconica del libro e la forza mistagogica della sua apertura e della sua chiusura”12. È per questa ragione che la liturgia dell’apertura del libro delle Scritture è solennizzata nel libro stesso delle Scritture: lo compie Esdra, il quale “aprì il libro in presenza di tutto il popolo…e, appena aperto il libro, tutto il popolo si alzò in piedi”13; lo compie Gesù nella sinagoga di Nazareth e lo compie infine l’Agnello nella liturgia del cielo: “Chi è degno di aprire il libro e scioglierne i sigilli?” (Ap 5,2) proclama l’angelo a voce forte, e quando l’Agnello prende il libro “dalla mano di colui che sedeva sul trono” (Ap 5,8) si innalza il canto: «Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione e li hai costituiti per il nostro Dio un regno di sacerdoti e regneranno sopra la terra».14 “Scena affascinante, istante unico nel quale l’Annunciato afferra l’annuncio, il Significato “manipola” il significante, il Santo tiene il testo nelle sue stesse mani, l’Esegeta fa l’esegesi della sua stessa parola”15. Nella sinagoga di Nazareth l’esegeta Gesù “aprì il rotolo… riavvolse il rotolo”. Uno dei padri cistercensi, Gilberto di Holyland, commenta: “Trattieni ciò che tieni; tieni e tocca con insistenza e amore il verbo della vita; riavvolgi il volume della vita, il volume che Gesù riavvolse, anzi che è Gesù stesso. Avvolgiti in esso rivestiti del tuo amato, il Signore nostro Gesù Cristo… la sua Parola è di fuoco” “Gesù aprì il rotolo” è il primo gesto del suo ministro, come prendere e “aprire” il pane nell’ultima cena fu l’ultimo gesto del suo ministero. Gesù prende il rotolo come il proprio corpo e, preso nelle proprie mani, il rotolo diventa il suo corpo di Scrittura, il suo corpo dato, consegnato, offerto. Prendere il libro e aprirlo: solo l’Agnello è degno di compiere questo atto perché è stato immolato. L’agnello immolato compie lo stesso gesto compiuto da Gesù nella sinagoga di Nazareth: riceve il libro e lo apre per rivelare il suo mistero. Ecco il lettore Gesù, il lettore che è sempre essenziale al libro. La lettura fa parte della scrittura, perché la scrittura è fatta per essere letta. Ma qui Gesù è in piedi e legge ad alta voce. La voce del lettore!! Affinchè si realizzi il processo con cui il libro, che contiene la parola di Dio, consegna la Parola alla comunità, è necessaria la voce del lettore. La Scrittura in cui la comunità si riconosce necessita di qualcuno che la proclami, abbisogna di una voce. In ebraico Scrittura si dice miqrà deriva dalla radice q r’ e dal verbo qara’ che significa leggere a voce alta, chiamare, gridare, nominare: tutti verbi che evocano eventi legati all’ascolto. Scrittura significa dire “Proclamata”, cioè fatta per essere letta a voce alta e ascoltata. La voce del lettore cosa fa? La voce si appoggia sullo “sta scritto”, sta allo “sta scritto” il quale impedisce al lettore di prendere il posto della scrittura stessa. La voce si sottomette allo sta scritto , così come la voce di Gesù si è sottomessa ai versetti del profeta Isaia. La voce del lettore che risuona nella comunità che ascolta dice dunque la necessità del processo di lettura, di ascolto, di interpretazione e di attualizzazione, senza la quale la Bibbia sarebbe lettera morta. Ecco, cosa produce la celebrazione della Parola: la voce sottomettendosi allo scritto fa rivivere la parola scritta, fa risuscitare la lettera altrimenti morta della Bibbia, la fa vivere. Per questo proclamare la Scrittura davanti alla comunità è rivolgere la Parola di vita ad essa in nome del Signore. Dalla Scrittura si deve passare alla parola rivolta, proclamata, creatrice di comunità. Ecco perché nella liturgia della Parola, Dio parla e quindi forma, plasma, crea la comunità e questo è un evento che solo la Parola del Signore può realizzare. In questo senso “nella liturgia della Parola Dio 13 parla al suo popolo”16; ciò spiga ragione per cui l’assemblea al termine della proclamazione del vangelo acclama: “ Lode a te o Cristo”. La liturgia pone sulla bocca un’alta professione di fede in quanto Cristo in persona parla alla sua comunità per far ascoltare alla chiesa e attualizzare in essa la sua Parola. “ Os Christi, evangelium est” (Bocca di Cristo è il Vangelo)17. “Si alzò a leggere” ci racconta Luca, Gesù adempì quel sabato il servizio liturgico del lettore. Apprendiamo dagli insegnamenti dei rabbini, la necessità che colui che legge adempia il servizio di lettore con dignità e serietà, in virtù del rispetto dovuto alla Parola di Dio. Nei testi rabbinici il lettore è esortato a stare ritto, a parlare con voce alta e chiara, a scandire in modo distinto le parole, a indossare un vestito dignitoso, e a preparare con cura la lettura rileggendola più volte. Sulla scia dell’insegnamento rabbinico, anche la tradizione cristiana riserva grande cura alla qualità della lettura liturgica. Nella regola di San Benedetto è scritto: “ nessuno pretenda di cantare o di leggere se non chi è in grado di adempiere a questo ufficio in modo tale che ne siano edificati quelli che ascoltano; e questo avvenga con umiltà, serietà e tremore, e soltanto da parte di colui al quale l’avrà comandato l’abate”.18 Il commento di Origene alla pagina Lucana che abbiamo meditato, rappresenta la più adeguata conclusione della nostra riflessione, perché in esso Origene indica il significato ultimo della lettura delle Scritture nella liturgia: “Gli occhi di tutti nella sinagoga erano fissi su di lui. Anche ora, se lo volete, in questa sinagoga, in questa nostra assemblea, i vostri occhi possono fissare il Salvatore. Quando voi riuscirete a rivolgere lo sguardo più profondo del vostro cuore verso la contemplazione della Sapienza, della Verità e del Figlio unico di Dio, allora i vostri occhi vedranno Gesù. Beata assemblea quella in cui la Scrittura testimonia che “gli occhi di tutti erano fissi su di lui””19 1 Cfr Ne 8,2.4-6 2 Dt 4,44 3 Nm 9,23 4 Dizionario italiano 5 H. de Lubac Meditazioni sulla chiesa, Milano 1965 6 Concilio Vaticano II Dei verbum 21 7 Gv 6,54 8 Gv 5,24 9 Cfr 1 Cor 1,18-23 10 Agostino di Ippona, Esposizione sui Salmi, 100,9 11 Lc 4,17-18 12 Gregorio Magno, Omelie sui vangeli 13 Ne 8,5 14 Ap 5,9-10 15 Francois Cassingena-Trevedy 16 Sacrosactum Concilium 33 17 Agostino di Ippona, Discorsi 85,1 18 Regola di Benedetto, 47,3-4 19 Origene, Commento al Vangelo di Luca Novembre 2014 14 don Gaetano Zaralli Donatella raccontava: “Sono la mamma di due bambini meravigliosi Federico e Ludovico. Federico è il primogenito, un bambino non vedente. Dopo la sua nascita c’è stato diagnosticato il suo handicap, si può immaginare la nostra angoscia… Io mamma, pensando di avvicinarmi alla FEDE e di fare il suo bene, ho iniziato ad andare per santuari, santoni, preti esorcisti, guaritori, ecc.. Era per me una sofferenza dover constatare ogni volta che i cambiamenti da noi desiderati e soprattutto da loro promessi non c’erano e così, associando tutto questo alla FEDE, per me è stato il buio totale, chiusa nel mio dolore mi ponevo mille domande: “Perché proprio a me? Che cosa ho fatto di così grave per meritarmi questo?” Poi è successo qualcosa dentro di me. Ci siamo chiesti, perché non fargli fare la prima comunione? E’ un bambino come tutti gli altri! Per un anno e mezzo, insieme con altri suoi coetanei, ha frequentato il catechismo nella chiesa di... . Tornava a casa sempre agitato, si tappava continuamente le orecchie, gli altri bambini lo innervosivano, troppa confusione. Non lo mandai più. Poi conobbi Don Gaetano: la sua catechesi comprendeva soprattutto la presenza di noi genitori. FANTASTICO!… Era quello che cercavamo per Federico. Lui ascoltava tutto quello che si diceva; coccolato dai suoi genitori, partecipava rispondendo alle domande che gli faceva il parroco. E’ stata un’esperienza bellissima di comunità, di socializzazione, di scambi di pareri diversi. Soprattutto è servito a me per riavvicinarmi a Gesù! Grazie a questa catechesi ho imparato che il vero miracolo lo facciamo noi con l’amore per nostro figlio.” Donatella C. Il 4 gennaio del 2009 lo ricorderò per un fatto triste. C’era il sole quella mattina ed era domenica. Il vestito scuro e il volto segnato dal dolore erano l’immagine straziante di una donna che piangeva la morte di una persona cara. - Donatella, cosa ti succede? - Federico!… La pochezza delle parole si rivelò immediatamente incapace di colmare il vuoto causato dalla perdita di un figlio. Tutto ciò che avrei potuto dire morì sulle labbra, lasciando al silenzio il compito gravoso di consolare una mamma. Le mamme dei bambini portatori di handicap soffrono già abbastanza nella loro vita e il buon Dio non dovrebbe continuare a martoriarle con altro dolore. Questo fu il primo pensiero che ebbi, ma che non manifestai, frenato dal ruolo che fa di me il mercante di idee non sempre condivise, nonostante la mia fede sia proclamata a piena voce. Quanto è difficile affidarsi alla bontà di Dio, quando si ha dinanzi lo morte di un ragazzo che godeva, nonostante il suo essere cieco, della gioia formidabile di vivere. - Adesso che faccio? Lo smarrimento di Donatella era totale. Aveva dedicato tutto il proprio essere alla sua creatura, colmando passo dopo passo le lacune di quella natura apparentemente malvagia. Ora, la scomparsa improvvisa del motivo fondamentale della sua esistenza, provocava in lei il vuoto più assoluto, quel vuoto che fa desiderare la morte, anzi, che è la morte. Se poi dai cocci di una vita distrutta si riuscirà a mettere insieme qualcosa che somigli ad un esistere comunque, ciò che ne verrà fuori apparirà diverso, perché da lì inizierà una nuova storia. Quella mamma rinascerà senz’altro dal dolore che l’attanaglia, e ciò accadrà non per il figlio che non c’è più, ma per i figli degli altri che l’opinione pubblica continua a condannare chiamandoli “disabili”. Continuano, purtroppo, ad esistere persone malvagie che dell’handicappato fanno motivo di guadagno … e allora la mamma, rinata dal dolore, scaglierà contro di loro la rabbia di una giustizia ferita. Le istituzioni, che carinamente chiamano “non vedente” il cieco, offrono tutt’ora strutture con gravi limiti per incuria o per egoismo… e allora la mamma, di nuovo padrona del tempo, a gran voce indicherà, proprio là dove il tremore un tempo l’aveva bloccata, le soluzioni migliori per una giusta assistenza alle famiglie che la pietà cristiana continua a chiamare “benedette dal Signore”. E stiano in guardia coloro che degli handicappati fanno una merce da mostrare nei santuari o da porre in prima fila sulle piazze, magari sotto un sole cocente, magari senza il conforto di un gesto che li faccia sentire realmente importanti. Stiano in guardia coloro che elargiscono benedizioni sui fruitori di carrozzelle, senza affondare le mani, sporcandosele, nelle tragedie delle famiglie che con amore li sostengono… Tutti costoro stiano in guardia, perché Donatella, già da questo momento, scansando gli abbracci consolatori, potrebbe denunciare la strumentalizzazione sciocca e malevola che dei portatori di handicap si fa sfacciatamente. La mamma di un bambino portatore di handicap, mentre lo trastulla nelle carezze, avverte che il suo amore cresce per lui in dismisura… e quell’amore fonde i due cuori, le due anime, le due volontà, le due vite in una mirabile unità inscindibile. Per cui chi nega la comunione al cerebroleso condanna la stessa mamma all’astinenza eucaristica; chi scarica il bambino “superattivo”, ritenendolo incapace di guadagnare il traguardo dell’amore di Dio, stupidamente sbarra alla stessa mamma la strada che porta alla Grazia. Novembre 2014 15 mons. Franco Risi N ell’articolo del mese di ottobre ho parlato del valore della recita del santo rosario in onore della Vergine Maria, che ci faccia incontrare il Figlio Gesù e ci conduca a rivolgere la nostra preghiera al Padre che mandi operai nella sua vigna. In questo mese di novembre credo opportuno invitare a riflettere che non dobbiamo essere cristiani capaci solo di ammirare gli ideali, ma far sì che ciò che è ideale diventi concreto. La recita del rosario può essere un ottimo strumento per chiedere al Signore, tramite l’intercessione di Maria, il dono di sante vocazioni sacerdotali e religiose e sante famiglie che vivono secondo il Vangelo. La vocazione di una persona scaturisce, si nutre e vive all’interno di un cammino di fede in una realtà parrocchiale. Il Concilio Vaticano II ci insegna che la chiamata di Dio si percepisce nell’interpretare e rivelare i segni e così scoprire il progetto che Lui ha su ogni persona. Tale progetto va riconosciuto, esaminato e custodito attraverso quei segni di cui si serve ogni giorno il Signore per far capire la sua volontà agli uomini e alle donne credenti: ai sacerdoti spetta quindi di cogliere attentamente questi segni. Il cammino di fede che ogni cristiano è chiamato a percorrere deve aiutare a capire la volontà di Dio nella propria vita. Il punto di partenza è la sequela di Cristo. Questo esige che nella crescita umana e spirituale venga coltivato un clima di preghiera personale e comunitario, di ascolto dello Spirito Santo e di ricerca della volontà del Padre. Certamente occorre fare ciò in modo graduale, innanzitutto bisogna accendere l’interesse, rispettando i vari stati di crescita della persona: ciascuno deve sentirsi stimolato a incontrare Gesù nella propria quotidianità, mettere a disposizione degli altri i propri doni e così operare un apostolato di carità verso il prossimo. Nell’analisi dell’attuale contesto sociale in cui ci troviamo a vivere è sempre più urgente da parte delle comunità parrocchiali la realizza- zione di cammini di fede che aiutino le intere realtà e i singoli cristiani a crescere nella fede e a trovare un posto all’interno della società. Tante e diverse sono le situazioni che si incontrano: tutte dimostrano che l’uomo ha bisogno dell’incontro con Dio per dare senso alla propria vita. Ecco perché papa Francesco non si stanca mai di ricordarci di non perdere la speranza e continuamente ci invita ad avere coraggio e fiducia nel coltivare i doni e le capacità che ciascuno porta dentro di sé. E ancora, in una delle omelie a santa Marta, il Pontefice ha rimarcato che: «Pregare è fare memoria davanti a Dio della nostra storia…la storia dell’amore Suo verso di noi». Scriveva papa Benedetto: «Dobbiamo ritrovare il gusto di nutrirci della Parola di Dio, trasmessa dalla Chiesa in modo fedele, e del Pane della vita, offerti a sostegno di quanti sono suoi discepoli». Dove ritrovare questo aspetto se non in una Parrocchia? La Parrocchia è il luogo dove si prende esatta coscienza della propria fede, dove la si ravviva, dove la si purifica, dove la si conferma e dove si trova la forza per uscire nelle periferie esistenziali e lì dare la propria testimonianza di credenti conquistati da Cristo. A questo riguardo, durante la Giornata Mondiale della Gioventù a Rio de Janeiro, il Papa ha esortato i cristiani, ed in particolare i giovani, a non rimanere a guardare il mondo dal balcone, ma inserirsi nella società, come veri testimoni del Vangelo. In questa prospettiva, nella Parrocchia non deve mai venir meno lo stile di preghiera che caratterizzò la prima comunità di credenti: essi erano assidui nella preghiera diventando un cuor solo e un’anima sola (cfr. At 4, 32). La preghiera, quindi, sull’esempio della prima comunità cristiana, è fiducia, comunione e vita. Viviamo in un tempo caratterizzato da una forte esigenza di fiducia in Dio: non si può fare più autentica esperienza di preghiera personale senza fidarsi di Dio Padre, affidarsi a Lui, alla sua passione per la salvezza dell’uomo. La preghiera non può essere esclusivamente un fatto privato; essa ha per volere di Cristo una natura ecclesiale: «Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18, 20). La preghiera come comunione nasce all’interno della storia del popolo dei credenti e viene trasmessa di generazione in generazione. La preghiera infine è vita se è espressione e concretizzazione di una fede adulta. Essa non è fine a se stessa, deve risplendere nelle molteplici forme dell’esperienza umana: in famiglia, nell’ambito scolastico, nel mondo del lavoro, nelle situazioni di fragilità e di sofferenza. La preghiera come vita diventa qualificata ed adulta nel momento in cui essa rappresenta la sintesi tra il Vangelo e la vita quotidiana. Alla luce di quanto detto allora ne risulta che la parrocchia è il luogo privilegiato entro il quale il cristiano viene educato ad una preghiera basata sulla fiducia, sulla comunione e sulla vita: pertanto tutte le attività che vengono in essa proposte debbono avere un taglio vocazionale, per consentire ai credenti, specialmente ai giovani, di far luce e chiarezza con fede nella loro vita. Tutto ciò diventa possibile nel momento in cui ogni battezzato sente la chiamata di Dio e vi risponde con amore e responsabilità. Novembre 2014 16 Gabriella Fioramonti “Quando si e’ in isolamento ci si stanca di se stessi e il sonno diventa l’unica via di fuga”. la frase che più mi ha colpito di un libro che ho letto parecchi anni fa; raccontava di un uomo ingiustamente incarcerato che per sopravvivere leggeva e sognava, e per evadere dalla sua realtà cruda e dolorosa di un cella di isolamento esplorava nuove realtà e nuove dimensioni. La frase è rimbalzata tra i miei pensieri durante tutto il viaggio nella selva peruviana, anche se all’inizio non ne coglievo il significato, la connessione. Ad accogliermi il primo giorno ad Iquitos, capoluogo della regione amazzonica, è stato uno scenario completamente diverso da quello stretto e angusto di una cella: la vegetazione verde intenso della giungla, che si tuffava rigogliosa nei fiumi imponenti e serpeggianti in mezzo ad essa, protagonisti dello spettacolo davanti a noi, anche se un po’ ritiratisi per via della stagione secca. Uno spazio immenso, selvaggio, dove la città e l’uomo facevano da cornice alla natura e non viceversa, a cui gli abitanti cercavano in tutti i modi di adattarsi, di strappare a fatica un po’ di spazio per sopravvivere, come funamboli in equilibrio su palafitte sottili e gracili. Tutto sembrava leggero, più ci si avvicinava al fiume più la presenza umana si faceva silenziosa e quasi sottomessa all’incombere della forza della foresta. Eppure in quei nove giorni di viaggio avrei scoperto che quella natura sconfinata e immensa avrebbe finito comunque per imprigionare l’uomo. Lo ha imprigionato nella miseria, nella dimenticanza. Relegandolo ai margini della società lo ha imprigionato in sé È stesso, nella sua stessa immaginazione, uno strumento che da sempre e’ servito all’uomo per evadere, per spiegare ciò che l’evidenza e la ragione non riescono a spiegare, per sopravvivere alla realtà. Tutto ciò può sembrare la conclusione affrettata di un turista distratto ma in realtà per arrivare ad essa mi sono domandata miliardi di volte quale fosse la chiave di quel mondo, così diverso e lontano da tutti quelli finora conosciuti, così pieno di magia e di racconti, di esseri soprannaturali e presenze ultraterrene. Non riuscivo a capacitarmi del fatto che tutti credessero fermamente negli spiriti della foresta, nello Chullachaqui per esempio, il folletto con un piede storto, re della giungla, che si lascia seguire dai malcapitati per farli perdere dietro le sue impronte fuorvianti. Tutti, nessuno escluso, avevano una storia da raccontare, un’esperienza di contatto con abitanti di mondi paralleli, oltre il cielo o sotto l’acqua del fiume, momenti di vita vissuta, non racconti, non leggende, ma fatti accaduti realmente, veri al cento per cento perché condivisi da molti altri e soprattutto, cosa fondamentale e ricorrente, certificati da un sogno! Ho passato nove giorni ad ascoltare racconti, e tutti si somigliavano nella struttura: avvicinamento con l’essere/spirito di turno, stupore iniziale ma mai paura dell’incontro, spiegazione spesso anche molto ragionevole, testimoni a favore e sogno rivelatore che dava la conferma il giorno dopo. Inizialmente ascoltavo tutte queste storie con divertimento, quasi con superiorità mi dicevo: “Ma come si fa a credere a tutte queste cose?” Dopo qualche giorno, la sicurezza che leggevo negli occhi dei narratori e il moltiplicarsi incessante di episodi mi stavano quasi convincendo di tutto; sono passata per una fase in cui ero arrivata a credere a tutto senza nemmeno fare più domande finché sono giunta alla conclusione con cui ho aperto quest’articolo. Perché si comprenda davvero il mio discorso è però necessario raccontare le storie incriminate. E allora ne copio qualcuna trascritta durancontinua a pag. 17 Novembre 2014 te una notte in cui il sonno era poco, come la luce a disposizione, e la carta per scrivere ancora meno. L’originale infatti l’ho scritto su un pezzo di scottex a lume di una lampada a gas, la seconda notte nel lodge di Carmencita, nella riserva di Allpahuayo Mishana, quando ormai confusa e intorpidita dai mille racconti decisi di trascrivere esattamente quello che la nostra guida stava raccontando proprio in quel momento: Comunidad Nueva Esperanza – Distrito San Juan Bautista – Km 22 de la carretera Iquitos – Nauta – región de Loreto – 27-29 de Julio de 2014 – Jhonny nuestra guìa, guardiano notturno della fabbrica di cemento del km 1 della stessa “carretera” - una casa di travi di legno, 4 materassini al suolo con i suoi 4 mosquiteros, senza elettricità, copertura di rete telefonica né acqua potabile. Come sempre mi disconnetto facilmente da tutto ciò che è materiale ma non riesco mai a disconnettere il cervello. Ho deciso di venire a provare quest’avventura seguendo i miei desideri, considerando ma non facendomi bloccare da chi me lo sconsigliava come pericoloso, seguendo il mio istinto, ma nonostante ciò senza riuscire a disconnettermi dalle ansie e paure di sempre. Vado girando completamente coperta dalla testa ai piedi per paura di letali punture di insetti malarici, in un posto dove si suda restando fermi!!Le mie ansie non mi fanno rilassare neanche in vacanza, in più la nostra guida non fa altro che riempirci la testa di mille storie, assurde, di piante che curano tutti i mali, di insetti che tolgono la fame, di piante da mangiare. Ho la testa pesante e Jhonny continua a raccontare: “Io e i miei due fratelli siamo cresciuti qui, in una capanna in mezzo a questo terreno dove ora c’è il lodge e dove mia madre ha dovuto reinventarsi una vita senza mio padre, che ci ha abbandonato quando eravamo piccoli, me, Carmencita e mio fratello più grande. 17 Si chiama Freddy mio fratello ed e’ l’unico che non riesce proprio a tornarci qui; dice che gli tornano in mente brutti ricordi, quelli legati alla madre, agli anni difficili vissuti qui, alla notte in cui gli alieni hanno illuminato a giorno tutto il nostro terreno - Anche Jhonny dovette lasciare la scuola per aiutare la madre a coltivare la terra, poi passò 6 anni nella Marina, ma poi dovette abbandonare la carriera perché un compagno con più soldi gli rubò il posto - Freddy vedeva sempre apparire vicino alla casa un uomo altissimo, di 2 metri, che lo proteggeva perché lui stava lì solo, non riuscì mai a vederlo in viso, non glielo mostrava, però lo proteggeva, con lui la paura, che sentiva fortissima soprattutto di notte, si affievoliva un po’. E chissà, dico io, che non fosse proprio la trasposizione che un ragazzino impaurito nel buio intenso della giungla faceva del papà che li aveva abbandonati. Dall’unica stanza del lodge ci spostiamo all’aperto, sotto un manto meraviglioso di stelle, protagoniste indiscusse delle notti nella giungla, dove nessuna luce artificiale può interferire con la potenza di un cielo stellato come quello. Ecco che ricominciano le storie, di navi fantasma, di bimbi trasformati in uccelli una volta abbandonati dai genitori nella giungla, il cui canto malinconico recita il lamento: “Ayaymama”. Il racconto che più mi colpì ce lo raccontò Carmencita e riguardava gli Yacuruna, uomini bellissimi che si innamorano delle donne della comunità, le seducono e le conducono con una sorta di ipnosi sonnambula nel loro mondo subacqueo, nella profondità del fiume, dove finalmente possono rivestire le loro vere vesti di uomini orribili, pieni di peli lunghi davanti al volto e lungo tutto il corpo. Ovviamente non si tratta di una leggenda! Carmencita lo sa che è tutto vero, ne è certa, perché proprio uno Yacuruna fu ripescato da una coppia di pescatori, padre e figlio che se lo sono malauguratamente ritrovato nelle loro reti. In questo stesso mondo subacqueo vanno a continua a pag. 18 18 segue da pag. 17 finire i bimbi “speciali”, o per lo meno questa è la giustificazione per le varie sparizioni di bimbi che una madre mortificata per la sua distrazione può darsi; o meglio che l’abitudine e il senso comune si danno da anni in queste zone. Sì perché quello dell’infanzia e’ un discorso ben complicato, nella giungla così come nelle montagne, nelle zone più povere del Perù insomma. Siamo capitati ad Iquitos nella stagione secca e non so dire se è stato un bene o un male. Durante il giro che Carmencita ci ha fatto fare per la città abbiamo avuto la fortuna di poter visitare il quartiere in cui ha lavorato per otto anni, di cui sei mesi in compagnia del nostro amico volontario Marco. Il quartiere si chiama Pueblo Libre e forma la favela contigua al mercato del Belén. Una favela costruita sul fiume Itaya, divisa dal mercato da una montagna di spazzatura alla quale siamo arrivati appena riusciti a catapultarci fuori dal mercato: un gorgoglìo e una confusione di banchi con coccodrilli, polli, iguane squartati e ammucchiati l’uno sull’altro, tartarughe sgusciate in mostra mentre sul fuoco il loro stesso guscio fungeva da pentola per la zuppa di tartaruga - appunto - frutta, spiedini di vermi, punch fatto montare a ripetizione dalle venditrici, ragazzini che correvano tra la folla e il fango, cani pulciosi che uscivano da sotto le bancarelle, bottiglie di tutti i tipi di rimedi contro ogni male e odori cosi intensi e nuovi che mi riempivano le narici fino a farmi perdere per un attimo l’orientamento. In questa sensazione di smarrimento in cui mi trovavo ai piedi della montagna di spazzatura ho dovuto affrontare uno smarrimento ancora più grande suscitato dalla favela stessa. Un susseguirsi di case, quattro mura di toghe di legno sorrette dagli steli sottili delle palafitte; simili a gracili gambe di anziane, tremule, stanche, appesantite dagli anni e dalla fatica. Tutto ciò non era solo una mia sensazione, le case tremavano sul serio. Siamo saliti a far visita a una conoscente di Carmencita e la casa dondolava; oscillava dolcemente, richiamando il dondolio delle amache, unico arredo dell’intera stanza, divisa da quella dei vicini solo da due travi orizzontali. Il peggio però non era rialzato, stava giù, nella strada che avevamo percorso schivando i pantani, la spazzatura e il fango, nella strada che nulla aveva per poterla chiamare cosi, era melma, escrementi di animali e di abitanti, che scendevano a cascata all’improvviso dalla palafitta sovrastante, una delle poche con bagno interno, era il campo da gioco dei Novembre 2014 bambini, il cortile dove razzolavano i cani, lo scarico dei servizi igienici e la via d’accesso alle case, era tutto questo insieme ma non una strada. Durante la piena del fiume tutto viene ricoperto dalla sua acqua, in cui comunque i bambini si tuffano e giocano nonostante quello che nasconde e dove, ci racconta la stessa signora che ci ha aperto le porte della sua casa, durante le piene più brutte perdono la vita molti neonati, annegando intrappolati nelle loro stesse case. Cosi si parla della morte dei bambini, così si vive la morte in generale, come una fatalità, spiegata magari come un passaggio nel mondo subacqueo dove sicuramente i bambini si troveranno bene, perché così lo ha sognato la mamma del bimbo “speciale” del racconto di Carmencita, finalmente felice in un mondo che può dargli tutto quello che un bambino può avere: attenzioni, cibo, affetto, educazione, una casa; insomma tutto quello che nella realtà non ha mai avuto. Il Belèn è forse stato il posto che più mi ha impattato finora in Perù, ma anche qui gli sforzi per migliorare non si sono fatti attendere. Carmen ci racconta orgogliosa della scuola dove lei e Marco lavoravano e che ormai purtroppo è chiusa, dell’orto che ancora riesce a dare qualche frutto alle signore che ci lavorano e che lei ha seguito per tutti questi anni, un orto piccolissimo, insignificante si potrebbe dire ma che in mezzo a tutta quella desolazione emana una forza e un desiderio di cambiamento fortissimi. Il resto dei giorni nella selva li abbiamo passati a Nauta, un villaggio di pescatori ancora più povero di Iquitos, caratteristico per i lunghissimi ponti di legno su cui sfrecciano impazziti i mototaxi, come se fossero costretti a correre per paura che il ponte cedesse da un momento all’altro. Ancora più immersi nella natura abbiamo navigato i fiumi Ucayali e Marañon, fin dove si uniscono per formare il Rio delle Amazzoni. Abbiamo avvistato scimmie, serpenti boa, delfini rosa, iguane, bradipi e uccelli colorati, ascoltato racconti di sirene e rituali purificatori e anche lì dove la natura era l’unica religione che si potesse accettare ho visitato il santuario della “Virgen María Rosa Mística” nel CENCCA, casa di ritiro e formazione campesina di catechesi, dove tre anni fa (26 ottobre 2011) è apparsa la Madonna. La laica spagnola che mi accoglie è una signora anziana e anche in lei ritrovo la stessa voglia di raccontare degli altri molteplici “cantastorie” già incontrati. Con questo termine non voglio sminuirli ma anzi trasmettere quella sensazione di magia e spiritualità che essi trasmettevano a me, stessero parlando di Yacuruna o della Madonna. La signora infatti ne parlava come se l’avesse ancora davanti agli occhi, diceva che da li a qualche minuto sarebbe arrivata per parlarle come ogni giorno da tre anni. Anche con lei, malgrado sia credente e quindi niente affatto scettica per principio riguardo a questi temi, non ho potuto non riavere lo stesso pensiero: quando si e’ in isolamento ci si stanca di sé stessi – della solitudine (una volontaria ormai anziana, rimasta solo con altre due collaboratrici in un centro immenso e pieno di aule e laboratori ormai vuoti), del fatto che la propria comunità sperduta nella giungla non interessi a nessun sindaco della zona, delle proprie difficoltà ad andare avanti – e il sonno, i sogni, le chimere, diventano l’unica via di fuga. Novembre 2014 19 don Antonio Galati I l 29 e 30 novembre 2014 inizia l’anno dedicato alla vita consacrata, indetto nell’occasione del 50esimo anniversario dello svolgimento del concilio Vaticano II. Nelle intenzioni doveva concludersi il 21 novembre dell’anno successivo, 50 anni dopo la promulgazione del documento Perfectae caritatis, il decreto conciliare per il rinnovamento della vita religiosa, ma si chiuderà il 30 gennaio e 2 febbraio 2016. Questa iniziativa permette di riaccostare gli insegnamenti che lo stesso concilio ha prodotto per i consacrati e per il loro posto e la loro funzione all’interno della Chiesa. Questi insegnamenti possono individuarsi nel decreto già citato e nel capitolo VI della Lumen gentium dedicato proprio ai religiosi, il quale è la base per lo stesso Perfectae caritatis e che, a sua volta, si poggia sul capitolo V della costituzione sulla Chiesa, dedicato alla vocazione universale alla santità. L’intento di questo e dei prossimi articoli, quindi, è quello di commentare, per quanto possibile, tutti questi testi che illuminano la vita dei religiosi e il loro ruolo all’interno della Chiesa. Però, prima di procedere al commento delle varie parti di questo insegnamento, è necessario indicare l’orizzonte descritto dal magistero conciliare circa la vita religiosa, che si intuisce subito nel momento in cui si prende come riferimento di questo insegnamento, non solo il capitolo specifico sui religiosi della Lumen gentium e il decreto, altrettanto specifico, sul rinnovamento della vita religiosa, ma anche il capitolo dedicato alla vocazione universale alla santità della costituzione sulla Chiesa. Questo ulteriore riferimento non può dirsi del tutto arbitrario, ma diviene necessario in forza di quanto affermato dalla stessa Lumen gentium: «questa santità della Chiesa [] in un modo tutto suo proprio si manifesta nella pratica dei consigli che si sogliono chiamare evangelici. Questa pratica dei consigli, abbracciata da molti cristiani per impulso dello Spirito Santo, sia a titolo privato, sia in una condizione o stato sanciti nella Chiesa, porta e deve portare nel mondo una luminosa testimonianza e un esempio di questa santità» (LG 39). In altre parole, ciò che è caratteristico dell’universalità dei cristiani, e cioè il loro tendere alla santità, non solo deve considerarsi caratteristico anche per i religiosi in quanto appartenenti al Popolo di Dio, e ai quali si fa riferimento nel momento in cui si introduce il discorso sui consigli evangelici, ma per questi la vocazione alla santità è una peculiarità specifica, che caratterizza il loro essere membra del Corpo di Cristo che è la Chiesa. Ecco allora chiarito l’orizzonte in cui si deve iscrivere sia l’insegnamento conciliare che la sua interpretazione. In sintesi, solo comprendendo questa tensione della Chiesa verso la santità si comprendono la vita e il ruolo dei religiosi, i quali devono testimoniare ed essere esempio della Chiesa santa. Chiarito questo, è allora possibile estrapolare quello che il concilio afferma circa la santità della Chiesa e dei suoi membri, per poi applicarlo in maniera specifica alla vita religiosa. La prima cosa degna di nota è che «la Chiesa [] è agli occhi della fede indefettibilmente santa. Infatti Cristo, Figlio di Dio, il quale col Padre e lo Spirito è proclamato “il solo Santo”, amò la Chiesa come sua sposa e diede se stesso per essa, al fine di santificarla (cfr. Ef 5,25-26), l’ha unita a sé come suo corpo e l’ha riempita col dono dello Spirito Santo» (LG 39). In altre parole, principio della santità della Chiesa è il Cristo e, inoltre, la santità, si può dire per spiegarsi, appartiene in primo luogo alla Chiesa più che ai suoi singoli membri. Non sono i fedeli a rendere santa la Chiesa, ma Cristo con il dono dello Spirito Santo, ed è la Chiesa che rende santi i suoi membri, in forza del suo essere santa. In altre parole quella che è santa è la comunità ecclesiale piuttosto che il singolo fedele e il singolo è santo proprio per la virtù della santità della Chiesa. Nel passaggio conclusivo di questo capitolo della Lumen gentium sulla vocazione universale alla santità, il concilio si sofferma sulle vie e i mezzi attraverso cui, le varie membra della Chiesa, possono far fruttificare i doni di grazia dello Spirito e quindi partecipare alla santità della Chiesa. In linea con l’insegnamento di san Paolo (cfr. 1Cor 12,31), il Vaticano II indica nella carità il dono primo e necessario per l’esercizio di tutti gli altri mezzi e vie di san- tificazione (cfr. LG 42). In questo modo il fedele può «ascoltare volentieri la parola di Dio e con l’aiuto della sua grazia compiere con le opere la sua volontà, partecipare frequentemente ai sacramenti, soprattutto all’eucaristia, e alle azioni liturgiche; applicarsi costantemente alla preghiera, all’abnegazione di se stesso, all’attivo servizio dei fratelli e all’esercizio di tutte le virtù» (LG 42). Questi sono quindi i mezzi ordinari per l’esercizio della santità della Chiesa. Insieme a questi, inoltre, esistono nella Chiesa vie che il Signore permette ad alcuni di percorrere per un esercizio ulteriore della santità e che discendono, anch’esse, dal dono della carità. La prima di queste vie –che potremmo definire straordinarie per il fatto che, anche se tutti i cristiani devono essere disposti a seguirle, non sono di fatto percorse da tutti nell’ordinarietà– è quella del martirio (cfr. LG 42). Insieme a questa i cristiani possono esercitare la santità nella carità mettendo in pratica quei «molteplici consigli che il Signore nel Vangelo propone all’osservanza dei suoi discepoli» (LG 42) e, tra tutti, eccellono «il prezioso dono della grazia divina, dato dal Padre ad alcuni (cfr. Mt 19,11; 1Cor 7,3234), di consacrarsi, più facilmente e senza divisione del cuore (cfr. 1Cor 7,7), a Dio solo nella verginità o nel celibato. [] Uomini e donne che seguono più da vicino questo annientamento del Salvatore e più chiaramente lo mostrano, abbracciando, nella libertà dei figli di Dio, la povertà e rinunziando alla propria volontà» (LG 42). Ecco che qui il concilio presenta i consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza come mezzi di santificazione che, tradizionalmente, sono distintivi della vita dei religiosi. Per concludere, si può affermare: come i continua a pag. 20 Novembre 2014 20 Stanislao Fioramonti o aveva annunciato Papa Francesco, religioso gesuita, incontrando il 29 novembre 2013 i Superiori generali degli Istituti maschili. Il 30 gennaio 2014 c’è stata la presentazione degli obiettivi e di alcuni eventi da parte del cardinale João Braz de Aviz e di mons. José Rodríguez Carballo, rispettivamente prefetto e segretario della Congregazione vaticana per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. Pensato nel contesto delle celebrazioni per i 50 anni del Concilio Vaticano II, definito “soffio dello Spirito”, e più in particolare nella ricorrenza dei 50 anni dalla pubblicazione del Decreto conciliare Perfectae caritatis sul rinnovamento della vita consacrata, l’appuntamento - ha sottolineato il cardinale - vuole “fare memoria” del “fecondo cammino di rinnovamento” della vita consacrata in questo periodo, riconoscendo “anche le debolezze e le infedeltà come esperienza della misericordia e dell’amore di Dio”. Questo è il primo obiettivo dell’Anno della vita consacrata. Il secondo è quello di “abbracciare il futuro con speranza”; il momento presente è «delicato e faticoso» e la crisi che attraversa la società e la stessa Chiesa tocca pienamente la vita consacrata. Ma vogliamo assumere questa crisi non come l’anticamera della morte, ma come un’occasione favorevole per la crescita in profondità e, quindi, di speranza, motivata dalla certezza che la vita consacrata non potrà mai sparire nella Chiesa, poiché «è stata voluta dallo stesso Gesù come parte irremovibile della sua Chiesa» (Benedetto XVI). Terzo obiettivo di questo Anno è vivere il presente con passione. La passione parla di innamoramento, di vera amicizia, di profonda comunione Di tutto questo si tratta quando parliamo di vita consacrata, ed è questo che dà bellezza alla vita di tanti uomini e donne che professano i consigli evangelici e seguono “più da vicino” Cristo in questo stato di vita. L’Anno della vita consacrata sarà un momento importante per “evangelizzare” la propria vocazione e testimoniare la bellezza della sequela Christi nelle molteplici forme in cui si esprime la nostra vita. I consacrati raccolgono il testimone lasciato loro dai rispettivi fondatori e fondatrici. Vogliono «svegliare il mondo» con la loro testimonianza profetica, particolarmente con la loro presenza nelle periferie esistenziali della pover- L VITA CONSECRATA IN ECCLESIA HODIE EVANGELIUM, PROPHETIA, SPES U na colomba sostiene sulla sua ala un globo poliedrico, mentre si adagia sulle acque da cui si levano tre stelle, custodite dall’altra ala. Il Logo per l’anno della vita consacrata, opera della pittrice Carmela Boccasile, esprime per simboli i valori fondamentali della vita consacrata. In essa si riconosce l’ «opera incessante dello Spirito Santo, che nel corso dei secoli dispiega le ricchezze della pratica dei consigli evangelici attraverso i molteplici carismi, e anche per questa via rende perennemente presente nella Chiesa e nel mondo, nel tempo e nello spazio, il mistero di Cristo» (VC 5). Nel segno grafico che profila la colomba s’intuisce l’arabo Pace: un richiamo alla vocazione della vita consacrata ad essere esempio di riconciliazione universale in Cristo. I SIMBOLI NEL LOGO La colomba sulle acque La colomba appartiene alla simbologia classica per raffigurare l’azione dello Spirito Santo fonte di vita e ispiratore di creatività. È il richiamo agli inizi della storia: in principio lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque (cf Gen 1,2). La colomba, planando su un mare gonfio di vita inespressa, richiama la fecondità paziente e fiduciosa, mentre i segni che la circondano rivelano l’azione creatrice e rinnovatrice dello Spirito. La colomba evoca altresì la consacrazione dell’umanità di Cristo nel battesimo. Le acque formate da tessere di mosaico, indicano la complessità e l’armonia degli elementi umani e cosmici che lo Spirito fa “gemere” secondo i misteriosi disegni di Dio (cf Rom 8, 26-27) perché convergano nell’incontro ospitale e fecondo che porta a nuova creazione. Tra i flutti della storia la colomba vola sulle acque del diluvio (cf Gn 8, 8-14). I consacrati e le consacrate nel segno del Vangelo da sempre pellegrini tra i popoli vivono la loro varietà carismatica e diaconale come “buoni amministratori della multiforme grazia di Dio” (1Pt 4,10); segnati dalla Croce di Cristo fino al martirio, abitano la storia con la sapienza del Vangelo, Chiesa che abbraccia e risana tutto l’umano in Cristo. Le tre stelle Ricordano l’identità della vita consacrata nel mondo come confessio Trinitatis, signum fraternitatis e servitium caritatis. Esprimono la circolarità e la relazionalità dell’amore trinitario che la vita consacrata cerca di vivere quotidianamente nel mondo. Le stelle richiamano anche il trino sigillo aureo con cui l’iconografia bizantina onora Maria, la tutta Santa, Madre di Dio, prima Discepola di Cristo, modello e patrona di ogni vita consacrata. continua nella pag. accanto continua nella pag. accanto segue da pag. 19 martiri concretizzano perfettamente la vocazione di tutta la Chiesa alla testimonianza della fede fino all’effusione del sangue, i religiosi devono concretizzare in maniera totale, all’interno della Chiesa, la vocazione universale della comunità ecclesiale alla santità, per mezzo dell’esercizio completo dei consigli evangelici. Questi ultimi, però, devono considerarsi nella loro giusta prospettiva, che è quella di essere i mezzi e le vie per la manifestazione della santità della Chiesa. In altre parole, il fine della vita religiosa non è quello di esercitare i consigli evangelici, ma quello di partecipare in maniera particolare, e di esprimere in maniera il più possibile piena, la santità della Chiesa, attraverso questa sequela della povertà, dell’obbedienza e della castità che sono di Cristo Gesù, che è il principio e la fonte della santità della Chiesa. Inoltre, tenendo conto di quanto appe- na detto, e cioè che la vocazione specifica dei religiosi è quella di testimoniare ed essere esempio della santità della Chiesa e, in aggiunta, che questa santità si manifesta praticamente nella ricchezza e nella varietà dei doni dello Spirito Santo (cfr. LG 39), si può comprendere il motivo per cui, nel corso del tempo e in varie parti del mondo, esistono diversità di ordini e di istituti religiosi. Secondo il duplice principio, per cui i doni dello Spirito Santo dipendono sia dalle peculiarità della “natura” di chi li riceve che dalla loro necessità di essere condivisi con il resto della comunità dei credenti, la varietà degli ordini religiosi e dei carismi propri, sia dei singoli come delle famiglie di consacrati, diventano l’espressione della varietà dei doni dello Spirito Santo che, condivisi e spesi nell’ottica della carità, manifestano la multiforme grazia di Dio (cfr. 1Pt 4,10) che è la santità della Chiesa. Novembre 2014 21 tà e del pensiero, come Papa Francesco ha chiesto ai Superiori generali. Tutto questo porterà i religiosi e i consacrati a continuare il rinnovamento proposto dal Concilio, potenziando la loro relazione con il Signore, la vita fraterna in comunità, la missione, e curando una formazione adeguate alle sfide del nostro tempo, in modo da «riproporre con coraggio» e con «fedeltà dinamica» e creativa (cf. VC 37) l’esperienza dei loro fondatori e fondatrici. L’anno inizia il 29 / 30 novembre 2014, I dom. di Avvento, e termina il 2 febbraio 2016. Iniziative certe sono: la solenne concelebrazione d’inizio in San Pietro, presieduta dal Santo Padre. A novembre, l’Assemblea plenaria della Congregazione, che avrà come tema: Il novum nella vita consacrata a partire dal Vaticano II. Il 2 febbraio 2015: Giornata Mondiale della Vita Consacrata. Per le suore contemplative, “Catena mondiale di preghiera fra i monasteri”. Diversi incontri internazionali a Roma, tra i quali: - Incontro per giovani religiosi e religiose: novizi, professi temporanei e professi perpetui con meno di 10 anni di professione; - Incontro dei formatori e formatrici; - Congresso internazionale di teologia della vita consacrata, sul tema: “Rinnovamento della vita consacrata alla luce del Concilio e prospettive di futuro”. - Mostra internazionale su “La vita consacrata Vangelo nella storia umana”. Prevista la pubblicazione di lettere circolari: la prima conterrà una serie di domande poste dal Papa sul tema, in cui si invita ad andare alle “periferie esistenziali della povertà e del pensiero”. - Infine durante l’Anno della Vita Consacrata si attende dal Santo Padre una nuova Costituzione Apostolica sulla vita contemplativa al posto dell’attuale “Sponsa Christi” promulgata dal Papa Pio XII nel 1950. La Congregazione vaticana per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica si occupa di tutto ciò che riguarda gli Istituti di Vita consacrata (Ordini e Congregazioni religiose, sia maschili che femminili, Istituti secolari), e le Società di Vita apostolica quanto a regime, disciplina, studi, beni, diritti, privilegi. E’ anche competente per quanto riguarda la vita eremitica, le vergini consacrate e relative associazioni, le nuove forme di vita consacrata. Gli Istituti religiosi e gli Istituti secolari sono le due categorie che compongono principalmente lo stato della vita consacrata. Degli Istituti religiosi si chiamano Ordini (Ordini regolari) quegli Istituti nei quali secondo la loro storia e indole o natura, si emettono voti solenni al meno da una parte dei loro membri. I membri tutti degli Ordini si dicono Regolari, e se di sesso femminile, Monache. Gli altri Istituti religiosi sono chiamati Congregazioni o Congregazioni religiose e i loro membri Religiosi di voti semplici. Dal Codice di Diritto Canonico sono detti Istituti clericali quelli che, secondo il progetto del fondatore, oppure in forza di una legittima tradizione, sono governati da chierici, assumono l’esercizio dell’ordine sacro e come tali vengono riconosciuti dalla Chiesa. Se invece il patrimonio proprio dell’Istituto non comporta l’esercizio dell’ordine sacro e viene riconosciuto come tale dalla Chiesa, si chiama Istituto laicale. Istituti religiosi: Canonici Regolari; Monaci (tipi: occidentale: Benedettini e Certosini; orientale: paolino, antoniano e basiliano); Ordini Mendicanti (Francescano, Domenicano, Agostiniano ecc); Chierici Regolari (Teatini, Barnabiti ecc.); Congregazioni religiose clericali e laicali. Istituti secolari: clericali o laicali, maschili o femminili. Società di vita apostolica: sono formate da associazioni maschili o femminili che fanno vita in comune ma senza essere legati da voti religiosi. Nella diocesi di Velletri-Segni sono presenti queste famiglie religiose (in neretto quelle maschili): Artena: OFM - Figlie della Carità di San Vincenzo de Paoli. Colleferro: OFMConv. - Ist. Pie Operaie – Figlie di Maria Ausiliatrice (Salesiane). continua nella pag. 22 Il globo poliedrico Il piccolo globo poliedrico significa il mondo con la varietà dei popoli e delle culture, come afferma Papa Francesco (cf EG 236). Il soffio dello Spirito lo sostiene e lo conduce verso il futuro: invito ai consacrati e alle consacrate «a diventare portatori dello Spirito (pneumatophóroi), uomini e donne autenticamente spirituali, capaci di fecondare segretamente la storia» (VC 6). IL LEMMA Vita consecrata in Ecclesia hodie Evangelium, Prophetia, Spes Il lemma dona ulteriore risalto a identità e orizzonti, esperienza e ideali, grazia e cammino che la vita consacrata ha vissuto e continua a vivere nella Chiesa come popolo di Dio, nel pellegrinare delle genti e delle culture, verso il futuro. Evangelium: indica la norma fondamentale della vita consacrata che è la «sequela Christi come viene insegnata dal Vangelo» (PC 2a). Prima come «memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù» (VC 22), poi come sapienza di vita nella luce dei molteplici consigli proposti dal Maestro ai discepoli (cf LG 42). Il Vangelo dona sapienza orientatrice e gioia (cf EG 1). Prophetia: richiama il carattere profetico della vita consacrata che «si configura come una speciale forma di partecipazione alla funzione profetica di Cristo, comunicata dallo Spirito a tutto il Popolo di Dio» (VC 84). Si può parlare di un autentico ministero profetico, che nasce dalla Parola e si nutre della Parola di Dio, accolta e vissuta nelle varie circostanze della vita. La funzione si esplicita nella denuncia coraggiosa, nell’annuncio di nuove «visite» di Dio e «con l’esplorazione di vie nuove per attuare il Vangelo nella storia, in vista del Regno di Dio» (ib.). Spes: ricorda il compimento ultimo del mistero cristiano. Viviamo in tempi di incertezze diffuse e di scarsità di progetti ad ampio orizzonte: la speranza mostra la sua fragilità culturale e sociale, l’orizzonte è oscuro perché «sembrano spesso smarrite le tracce di Dio» (VC 85). La vita consacrata ha una permanente proiezione escatologica: testimonia nella storia che ogni speranza avrà l’accoglienza definitiva e converte l’attesa «in missione, affinché il Regno si affermi in modo crescente qui e ora» (VC 27). Segno di speranza la vita consacrata si fa vicinanza e misericordia, parabola di futuro e libertà da ogni idolatria. «Animati dalla carità che lo Spirito Santo infonde nei cuori» (Rm 5,5) i consacrati e le consacrate abbracciano perciò l’universo e diventano memoria dell’amore trinitario, mediatori di comunione e di unità, sentinelle oranti sul crinale della storia, solidali con l’umanità nei suoi affanni e nella ricerca silenziosa dello Spirito. L’artista del Logo La creazione del Logo per l’Anno della Vita consacrata è stata affidata alla pittrice CARMELA BOCCASILE dello Studio d’Arte Dellino fondato nel 1970 (Bari – Roma, ITALIA) da Lillo Dellino e Carmela Boccasile. Per questi artisti la visione pittorica è “icona” sia nel senso formacontinua nella pag. 22 22 le che in quello originario, ovvero invito, incontro e dialogo. Ogni segno artistico, così inteso, viene vissuto come finestra sul visibile che intuisce e introduce all’invisibile: icona come segno che trascende l’idolo e si apre al divino. Una concezione vicina alla visione segnata per l’arte sacra dai Padri della Chiesa durante il II Concilio di Nicea (787). Carmela Boccasile, pittrice ed esperta iconologa, è attenta interprete dei linguaggi tradizionali in chiave nuova e moderna. Si distingue per la ricercatezza del dettaglio e per quello che potremmo chiamare uno scrupolo cromatico: scrupolo che sembra rispondere all’invito dell’icona, ed è fatto di ascolto e attenzione, di ricerca del suono interno dei colori. Affiancando il lavoro dello Studio, Carmela Boccasile condivide l’idea artistica e l’itinerario culturale, differenziandosi e distaccando la sua produzione per una propria particolare vocazione nell’elaborazione di icone sacre ispirate alla tradizione cattolica e greco-ortodossa e con una particolare dedizione a quelle mariane e nicolaiane. Il tratto pittorico della Boccasile, anche eccellente ritrattista, si definisce come espressione di “materia pneumatofora” e di “contrappunto tonale”. Lillo Dellino, pittore, grafico, fotografo, scenografo e progettista (Bari, 1943 – Parigi, 2013) – (discepolo del maestro Maestro Nicola La Fortezza, vincitore di numerosi premi artistici, direttore artistico di mostre e gallerie d’arte, collaboratore di progetti scientifici con Silvio Ceccato, Pino Parini e Maurizio Calvesi) - sposa la Boccasile, diventando con la sua intelligente e forte potenza creativa compagno di vita e d’arte nella comune continua ricerca dello Spirito. Lavorano insieme per decenni come consulenti del Centro Studi Internazionale della Pontificia Basilica di San Nicola di Bari, del Teatro Lirico Petruzzelli, di altri Enti di cultura musicale e religiosa, invitati dalla CEI per un progetto pilota di nuove chiese italiane. Si forma un sodalizio artistico di grande spessore a cui oggi si aggiunge il figlio Dario che unisce alla sua esperienza di scrittore e di studioso di semiotica quella visiva e figurativa che gli è stata trasmessa dai genitori. Questa coppia di sposi e di artisti, con il loro lavoro nutrito da una rara unità di vita, ha contribuito alla rivisitazione della pittura e della grafica italiana contemporanea, anche nella ricerca del Trascendente nel segno della tradizione cristiana. Novembre 2014 Lariano: Chierici Regolari della Madre di Dio – Suore dell’Unione Mysterium Christi. Segni: Ist. del Verbo Incarnato; OFM Cappuccini - Suore della Carità di S. Giovanna Antida Thouret; Suore Angeliche di S. Paolo; Ist. Serve del Signore e della Vergine di Matarà. Valmontone: OFM - Figlie della Carità di S. Vincenzo de Paoli; Ist. Figlie dell’Immacolata. Velletri: OFM Cappuccini; Chierici Regolari Somaschi; Pia Op. Divina Provvidenza (Don Orione); Suore dell’Apostolato Cattolico (Pallottine); Suore Maestre Pie Venerini; Suore Orsoline dell’Unione Romana; Suore Adoratrici del Sangue di Cristo; Suore degli Abbandonati di Aluvà; Suore N.S. Monte Calvario Ist. Stella Maris; Suore Serve di Maria Riparatrici; Suore di S. Marta Casa Betania; Suore della Misericordia di Verona; Suore Apostoline (Acero); Ist. Serve del Signore e della Vergine di Matarà (clausura); Suore Ancelle della BMV Immacolata; Missionarie di S. Paola Frassinetti. OFM (Artena, Valmontone) OFMConv (Colleferro, parr. Immacolata) S. Francesco d’Assisi (1181-1224) OFMCap (Segni, Velletri) Suore Angeliche di S. Paolo (Segni) S. Antonio M. Zaccaria (1502 – 1539) e Luigia Torelli, 1536 Figlie della Carità (Artena, Valmontone) S. Vincenzo de’ Paoli (1581 – 1660) e S. Luisa de Marillac (1591 – 1660), 1636 Suore della Carità di S. Giovanna Antida Thouret (1765 – 1826), 1799, (Segni) Figlie di Maria Ausiliatrice (Salesiane) (Colleferro) S. Giovanni Bosco (1815 – 1888), 1865 Istituto Pie Operaie (Colleferro) Suor Maria Lilia Mastacchini (1892 – 1926), 1920 Istituto Figlie dell’Immacolata (Valmontone) Chierici Regolari della Madre di Dio, (Lariano, parr. S. Eurosia) S. Giovanni Leonardi (1543 – 1609), 1574 Suore dell’unione Mysterium Christi (Lariano) Più fondatrici, Parigi, 1976 Istituto del Verbo Incarnato (Segni) Ist. Serve del Signore e della Vergine di Matarà (clausura a Velletri, Segni?) Argentina, 1984 Chierici Regolari Somaschi, 1534 (Velletri, parr. S. Martino) S. Gerolamo Emiliani (1486 – 1537), 1534 Pia Opera della Divina Provvidenza (Orionini) (Velletri) B. Luigi Orione (1872 – 1940) Suore dell’Apostolato Cattolico, Pallottine (Velletri) S. Vincenzo Pallotti (1795 – 1850), 1838 Suore Maestre Pie Venerini (Velletri) S. Rosa Venerini (1656 – 1728), 1685 Suore Orsoline dell’Unione Romana (Velletri) S. Angela Merici (1474 – 1540), Suore Adoratrici del Sangue di Cristo (Velletri) S. Maria de Matthias (1805 – 1866), 1834. Suore degli Abbandonati di Aluvà (Velletri) Suore di N.S. del Monte Calvario – Ist. Stella Maris (Velletri) B. Virginia Centurione Bracelli (1587 – 1651) Suore Serve di Maria Riparatrici (Velletri) M.E. Andreoli – M. Ferraretto, 1892, 1900. Suore di Santa Marta – Casa Betania (Velletri) Mons. Tommaso Reggio (1818 – 1901), 1878 Suore Apostoline (Acero, Velletri) B. Giacomo Alberione, 1959. Novembre 2014 La Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace 23 a Giornata del Ringraziamento 2014 precede di alcuni mesi l’apertura di Expo Milano 2015 dedicato a “Nutrire il pianeta. Energia per la vita”, un tema di particolare rilevanza per il nostro Paese e non solo. della terra, ma anche tremendo interrogativo per l’indifferenza delle nazioni più ricche. Infatti, alla sottonutrizione di alcuni, si affianca un dannoso eccesso di consumo di cibo da parte di altri. È uno scandalo che contraddice drammaticamente quella destinazione universale dei beni della terra richiamata – quasi cinquanta anni or sono – dal Concilio Vaticano II nella Costituzione pastorale Gaudium et spes (cf. n. 69). È una questione di giustizia, che pone gravi interrogativi in merito al nostro rapporto con la terra e con il cibo.In questa Giornata del Ringraziamento guardiamo dunque all’agricoltura, che – attraverso i suoi frutti – è fonte della vita. tivarla e a custodirla. Il testo ebraico rimanda ad una sorta di servizio verso la terra, tramite la dignità del lavoro, che si fa subito anche custodia, affinché essa a sua volta serva l’uomo, donandogli il cibo per la vita. Ma il peccato spezza tale alleanza, associando il lavoro della terra al peso di una fatica che appare insostenibile. Il sogno del Dio creatore resta invece quello di una sorta di reciprocità: ad un lavoro umano rispettoso della terra che si fa giardino, essa corrisponde con la generosa e vivificante produzione di frutti. Il sistema agricolo contemporaneo appare però spesso distante da tale immagine: la sua com- Esso invita a dedicare un’attenzione speciale al tema del cibo, quale dono di Dio per la vita della famiglia umana. Così, nel ringraziare il Padre per i frutti della terra, ci rendiamo consapevoli di coloro che patiscono la fame. Papa Francesco richiama spesso “la tragica condizione nella quale vivono ancora milioni di affamati e malnutriti, tra i quali moltissimi bambini”1. La fame è minaccia per molti dei poveri La terra, il lavoro, i frutti. Potremmo muovere da un’immagine biblica molto bella e dolce: quella della felicità dell’uomo che coltiva la terra, per poi mangiarne i frutti nella pace, benedicendo il Creatore per i suoi doni. Già il racconto della creazione in Gen 2 disegna, in effetti, quest’alleanza dell’uomo con la terra. Nel versetto 2,15, Adam è chiamato a col- plessità esige considerazioni ben più articolate. Infatti, nelle zone agricole di grande vastità, l’attività tende spesso a coinvolgere sempre più reti di imprese e comporta l’uso di tecniche anche complesse (si parla di “agricoltura industriale”). La finanza poi, purtroppo, si comporta con il cibo come una pura merce, su cui scommettere per trarne profitto, a prescinde- «Tu fai crescere l’erba per il bestiame e le piante che l’uomo coltiva, per trarre cibo dalla terra, vino che allieta il cuore dell’uomo, olio che fa brillare il suo volto e pane che sostiene il suo cuore» (Sal 104, 14-15). L continua nella pag. 24 Novembre 2014 24 segue da pag. 23 re dal destino di chi di esso vive. E sulla terra si specula! La sua stessa disponibilità è a rischio: spesso essa è destinata ad altri scopi o diviene oggetto di una lotta commerciale tra le economie più forti. E non mancano le pressioni crescenti sul piano della legalità: la salubrità dei prodotti è minacciata da abusi e forme di inquinamento che talvolta neppure percepiamo. Una situazione complessa, dunque, che mette a rischio la capacità dell’agricoltura di garantire sicurezza alimentare, per avere un cibo che possa nutrire gli abitanti del pianeta e che sia affidabile per chi lo consuma. Come uscire da tale situazione? Come far sì che anche nella complessità rimanere fisso, è fare un dialogo, un dialogo fecondo, un dialogo creativo. È il dialogo dell’uomo con la sua terra che la fa fiorire, la fa diventare per tutti noi feconda. Questo è importante”2. Consumatori corresponsabili La custodia della terra per nutrire il pianeta è impresa che richiama anche la responsabilità delle singole persone e delle famiglie: siamo consumatori, ma anche cittadini attivi e responsabili. Educarci alla custodia della terra significa altresì adottare comportamenti e stili di vita in cui l’uso del cibo e dei prodotti alimentari sia più attento e lungimirante. Con le nostre scelte di acquisto del cibo possiamo offrire sostegno alle produzioni locali. Spesso è il modo di acquistare di ognuno di noi che decide il futuro di una piccola cooperativa locale, come a decidere del futuro dei nostri territori è anche – in prospettiva nazionale – il dato in aumento degli studenti che frequentano le scuole agrarie e il crescente dato di occupazione in agricoltura. Sono segnali positivi che spingono a privilegiare le coltivazioni biologiche e sostenibili, dedicando anche più attenzione a cosa mangiamo. È saggezza privilegiare la qualità rispetto alla quantità, sapendo che – nei prodotti a forte impatto ambientale e sociale – la qualità aiuta la sostenibilità. Altrettanto importante è agire nelle nostre famiglie, per ridurre ed eliminare lo spreco alimentare, che nelle società agiate raggiunge livelli inaccettabili. Papa Francesco ha più volte denunciato la “cultura dello scarto”, cultura che “tende a diventare mentalità comune che contagia tutti”, rendendoci “insensibili anche agli sprechi e agli scarti alimentari, che sono ancora più deprecabili quando in ogni parte del mondo, purtroppo, molte persone e famiglie soffrono fame e malnutrizione. [… ] Il consumismo ci ha indotti ad abituarci al superfluo e allo spreco quotidiano di cibo, al quale talvolta non siamo più in grado di dare il giusto valore, che va ben al di là dei meri parametri economici. Ricordiamo bene però che il cibo che si butta via è come se venisse rubato dalla mensa di chi è povero, di chi ha fame!”3. Ecco dunque alcune scelte che indichiamo alle nostre comunità, frutto della benedizione del cibo: - coltivare la terra in forme sostenibili, per nutrire il pianeta con cuore solidale; - adottare comportamenti quotidiani basati sulla sobrietà e la salubrità nel consumo del cibo; - soprattutto, rendere grazie a Dio e ai fratelli umilmente (da humus) per il dono che ogni giorno riceviamo dalla terra e dal lavoro dell’uomo, in modo tale da tutelarli anche per le prossime generazioni. Ci sarà prezioso, nel compiere questo percorso di speranza, rileggere il piccolo Libro di Rut. Così è scritto: “il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio” (Rt 1,16). È una storia di persone fragili che – operando in solidarietà e condivisione – giungono a costruire vita buona, basata sull’istituto della spigolatura, al fine di coniugare l’attenzione per il povero e il contrasto allo spreco. Così, quella vicenda di dolore diventa una storia di speranza, che riesce a trovare vie d’uscita anche dalle situazioni difficili e disperate: “È nato un figlio a Noemi!” (Rt 4, 17). Roma, 7 ottobre 2014 Memoria della Beata Vergine Maria del Rosario 1 FRANCESCO, Messaggio per la Giornata Mondiale dell’Alimentazione, 16 ottobre 2013, n. 1. 2 FRANCESCO, Discorso all’incontro con il mondo del lavoro e dell’industria, 5 luglio 2014. 3 ID., Udienza generale, 5 giugno 2013. Novembre 2014 25 p. Vincenzo Molinaro È passato un mese dalla conclusione del Convegno diocesano. Per quanto riguarda la pastorale della famiglia si è trattato di un periodo segnato dalla celebrazione del Sinodo straordinario che per forza di cose influenza la riflessione di tutta la chiesa. Aveva detto il Papa, in piazza San Pietro, guidando la Veglia di preghiera indetta per l’apertura del Sinodo stesso: “Scende ormai la sera sulla nostra assemblea. È l’ora in cui si fa volentieri ritorno a casa per ritrovarsi alla stessa mensa, nello spessore degli affetti, del bene compiuto e ricevuto, degli incontri che scaldano il cuore e lo fanno crescere, vino buono che anticipa nei giorni dell’uomo la festa senza tramonto. È anche l’ora più pesante per chi si ritrova a tu per tu con la propria solitudine, nel crepuscolo amaro di sogni e di progetti infranti: quante persone trascinano le giornate nel vicolo cieco della rassegnazione, dell’abbandono, se non del rancore; in quante case è venuto meno il vino della gioia e, quindi, il sapore - la sapienza stessa - della vita[...] Degli uni e degli altri questa sera ci facciamo voce con la nostra preghiera, una preghiera per tutti”. Si può dire che in queste semplici parole è racchiuso non solo l’intento del Sinodo, ma la volontà di tutta la chiesa di farsi le domande giuste e di cercare le risposte adeguate a tali domande. Se da un lato, è sempre attiva, costruttiva ed efficace, la vita di tante fami- glie dove la sera si attende il ritorno del padre per sedersi attorno alla mensa e raccontare i fatti della giornata illuminandoli con il calore degli affetti, dall’altro lato c’è anche la solitudine di chi torna a casa sapendo di non trovare nessuno, oppure di chi torna a mani vuote. Vino buono e vino annacquato, presenti sulle nostre tavole, ma non secondo i gusti. Spesso imposti dalla violenza, dalla inettitudine, dalla incapacità di salvaguardare gli affetti. Anche la nostra diocesi nel corso del Convegno diocesano, si è posta le domande sul cammino della pastorale familiare. Sulla rivista Ecclesia in cammino (Ottobre 2014, pag. 23) è stato riportato il testo che il gruppo di lavoro “Vita affettiva e famiglia” ha elaborato durante il convegno. Certo la riflessione continua e si sviluppa, però si cerca come mettere in atto quanto è stato proposto. A questo scopo vengono proposti così alcuni momenti di incontro e di comunione a livello diocesano, altri a livello parrocchiale. Sono rivolti a tutte le persone che erano presenti nel Gruppo ma anche alle coppie sposate di recente e che vogliono proseguire il loro cammino. Chi è interessato? A chi sono rivolti questi incontri? Ai diretti interessati, giovani, fidanzati, giovani coppie di sposi, a tutte le persone che hanno manifestato interesse alla creazione di un movimento diocesano di sensibilizzazione familiare. Sarebbero queste le prime risposte alla esigenza di un cammino fatto insieme, come un orientamento base che poi viene completato nelle singole parrocchie con il tradizionale percorso. Centro di ascolto Altra proposta fatta al convegno era quella di aprire un centro di ascolto ove le coppie con qualche difficoltà potessero trovare ascolto, aiuto e accompagnamento per superare i momenti di crisi. Parlandone, ci siamo accorti che si tratterebbe di dar vita a una struttura certo impegnativa. La parrocchia di Lariano sta studiando e cercando una soluzione adeguata. Se entro due mesi avremo risolto la questione ne daremo notizia. L’intenzione è di cominciare offrendo il servizio a tutta la diocesi. Accanto a questo semplice calendario continua la riflessione che fa capo al dibattito apertosi nella chiesa con la convocazione dei due sinodi sul tema della famiglia. Aspetteremo soltanto che il prossimo sinodo decida come muoverci oppure possiamo incominciare adesso la ricerca di nuove piste? A giorni avremo il documento finale di questo sinodo straordinario. A leggerlo avremo certamente la cognizione dell’orientamento della chiesa. Sappiamo già che non si è continua a pag. 26 Novembre 2014 26 Quindi attraverso un gioco “di ruoli” al quale la platea ha risposto con curiosità e trasporto, ci siamo immersi in un racconto attuale per poi trasportarci nel famoso episodio biblico del peccato del re Davide con Betsabea. Quando ascoltiamo un racconto che già conosciamo spesso diamo per scontato sr. Francesca Langella D omenica 19 Ottobre nel salone della Parrocchia di Santo Stefano ad Artena si sono ritrovati una sessantina di persone, tra catechisti e animatori della nostra diocesi, per il primo appuntamento de “I pomeriggi dell’Ufficio catechistico”, una serie di incontri proposti e pensati per una formazione attiva e concreta nel servizio dell’annuncio e della catechesi. L’intervento del prof. Marco Tibaldi. Don Daniele Valenzi ringrazia il prof. M. Tibaldi. A tenere questo interessante incontro è stato il prof. Marco Tibaldi, membro della Consulta dell’Ufficio Catechistico Nazionale che, in un crescendo di simpatia e convivialità, è riuscito a trasportare i presenti e a coinvolgerli nella narrazione, riscoprendo come proprio il raccontare una storia ci permette di entrare nei personaggi e negli eventi narrati. le risposte, pensiamo di avere già le risposte, andiamo in automatico; invece immedesimarsi nei personaggi ci permette di metterci nei panni dell’altro e di chiedersi: “io cosa avrei fatto? Come mi sarei comportato?” La Bibbia è ricchissima di racconti, perciò il genere letterario narrativo si coniuga bene con la proposta e l’annuncio che siamo chiamati a fare nel- segue da pag. 25 trattato di un dialogo tra sordi, tradizionalisti da una parte e progressisti dall’altra. Tutti gli intervenuti hanno avuto la consapevolezza della gravità e dell’urgenza del problema senza contrapposizioni di schieramenti. Qual è dunque il problema? Cosa c’è dietro questa grande crisi? Da dove comincia? Qui possiamo limitarci a dare degli indicatori. Crisi antropologica, individualismo, irruzione del consumismo, movimento femminista, distacco della vita personale dalla morale cristiana: queste e altre le cause dell’attuale situazione in cui vediamo soffrire le famiglie, le coppie sono alla ricerca di quella felicità personale che è diventata la bandiera di ogni battaglia. L’effetto è distruttivo, le unioni sono effimere, di breve durata e di respiro corto. La paura spesso isola le persone la catechesi, occorre però soprattutto una buona conoscenza del testo biblico e un po’ di fantasia. La finalità è quella di poter portare la Bella Notizia che è Gesù a chi ancora non la conosce o l’ha dimenticata o sente noioso e lontano tutto ciò che ruota attorno alla Chiesa. Perciò è necessario conoscere il mondo attuale e trovare la via più giusta per attrarre e suscitare l’interesse di tante persone. La gente viene e si avvicina se attratta da qualcosa di bello! La narrazione ha regole proprie di funzionamento che ne fondano il fascino e l’efficacia. Come il prof. Tibaldi, più volte ci ha ripetuto, il destinatario è il vero protagonista di ogni storia, senza la sua collaborazione il testo non esprime tutta la sua ricchezza. La narrazione è un vero metodo che, mettendo in atto strategie pianificate, coinvolge l’ascoltatore nella trama stessa, lasciando che si immedesimi anzi, lasciando che egli stesso diventi protagonista, vagliando tante possibilità di sviluppo quanti sono i giocatori. Ci è stato infine proposto un video sui Dieci comandamenti, nel quale a parlare erano simboli, musiche e colori. Sia che avvenga attraverso le immagini, come nell’arte sacra, sia che avvenga attraverso le parole come nelle Bibbia, in un film, in un reality o in una fiction, il racconto, infatti, mette in scena dei simboli primordiali, antropologici. Dobbiamo imparare a riconoscere e tenere sempre ben presenti quei quesiti naturali sul quale l’uomo si interroga. La narrazione è un potente strumento di comunicazione perché risponde ai bisogni fondamentali di ogni essere umano, è necessario dunque, per chiunque sia impegnato in un’attività di tipo educativo, sia il catechista, l’insegnante, il nonno o il genitore, a conoscerne i meccanismi e le dimensioni che coinvolge. Questo primo incontro ci ha introdotto e fatto riscoprire il fascino sempre nuovo della narrazione. Auspichiamo che nella nostra diocesi questo discorso possa concretizzarsi e si possa formare un gruppo di catechisti e educatori proprio impegnati in questo tipo di annuncio. L’invito e l’augurio per tutti noi è quello di non perdere la possibilità di entrare nelle storie per viverle come protagonisti, per lasciarci interrogare e affascinare. Di entrare nella nostra storia e nella Storia che ha preso e cambiato tutta la nostra vita: la Storia di Gesù! persino all’interno del focolare della famiglia, luogo per antonomasia di comunione. In questo la fede è stata spazzata via, è rimasta una sovraccoperta, un involucro esterno di riti e di tradizioni purtroppo senz’anima e senza incidenza nella vita. Lo vediamo anche nei matrimoni celebrati in chiesa. Spesso affiora l’intento di farne una esibizione, una dimostrazione del potere della famiglia, più difficilmente si entra “nel santuario” con umiltà e delicatezza consapevoli della delicatezza e gravità dell’impegno. Inevitabilmente, dopo pochi anni, i coniugi vivranno da singoli. E le conseguenze non tarderanno. Da dove cominciare? Credo che il punto giusto sia l’annuncio. Dire il vangelo della famiglia, dire il progetto di Dio, dire il senso della esistenza cominciando “da principio”. Novembre 2014 27 n.d.r. “Nella precarietà la speranza” è il titolo del convegno nazionale - promosso da tre Commissioni episcopali Cei (Laicato, famiglia e lavoro) programma a Salerno dal 24 al 26 ottobre. Scopo dell’iniziativa, spiegano gli organizzatori, “far conoscere le molteplici azioni che le diocesi italiane offrono come segni di speranza all’interno Paese, in risposta alla sfida che la precarietà porta con sé”. Ad inaugurare i lavori venerdì (ore 15.30) monsignor Giancarlo Bregantini, presidente Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace; quindi le relazioni di padre Francesco Occhetta, “I giovani italiani, il dramma del lavoro e il progetto familiare” e di Giuseppe Savagnone, “Progettare famiglia e creare lavoro: compito tipico di laici per la vita e la speranza”. Sabato, dopo la celebrazione eucaristica presieduta alle 7.30 da monsignor Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, la relazione di Cinzia Masina e una tavola rotonda con Giuliano Poletti, ministro del Lavoro; Raffaele Bonanni, segretario generale Cisl; Stefano Franchi, direttore generale Federmeccanica. Modera Paolo Ruffini, direttore di rete di Tv2000. Nel pomeriggio di sabato 25 ottobre, è intervenuto monsignor Enrico Solmi su “Giovani, lavoro e famiglia: nella precarietà non lasciamoci rubare la speranza!”. Domenica 26, alle 7.30, mons. Luigi Moretti, arcivescovo di Salerno, ha presieduto la celebrazione eucaristica. Alle 9 la tavola rotonda “Chiesa italiana e precarietà, una speranza fondata” con, fra gli altri, monsignor Giancarlo Bregantini, Gianni Bottalico (Acli), Roberto Moncalvo (Coldiretti). Alle 12 le conclusioni di monsignor Domenico Sigalini, presidente Commissione episcopale per il laicato. L’intervento di S.E. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei; a destra, Giuliano Poletti, ministro del Lavoro. tezze in ambito religioso, politico e sociale - ha proseguito il vescovo -. Abbiamo perso molte di queste certezze non solo perché soggettivamente instabili o indecisi, ma perché si sono dissolte in larghi strati e non sono più riconosciute come valori stabili e universali”. “La condizione odierna L’intervento di S.E. mons. G. Bregantini. potrebbe essere rappresentata come un Pantheon che ha tanti altari, ma tutti equidistanti dal centro. Ci manca un punto centrale di riferimento e questo è il simbolo della nostra condizione”. Il segretario della Cei ha parlato di “mancanza di gerarchia dei riferimenti su cui orientare le nostre decisioni e la nostra vita”. “Viviamo la precarietà e provvisorietà a vari livelli: nelle coppie, nella società, nel lavoro. Dobbiamo prendere coscienza e realisticamente imparare ad affrontare e orientare le nostre scelte contando su una ‘speranza ragionevole’”. “Molte volte si semina una speranza che è parensignor Nunzio Galantino, che ha aperto la tavo- te dell’illusione - ha proseguito Galantino. la rotonda “Perché e per cosa sperare nella pre- L’Unione europea ha tentato di orientare posicarietà”, organizzata nell’ambito del convegno tivamente con la ‘flexsecurity’, nel tentativo di far sì che la flessibilità generi nuovi posti di lavo“Nella precarietà la speranza”. “Siamo nomadi quando non abbiamo più cercontinua a pag. 28 Al convegno ha partecipato anche una delegazione sella nostra Diocesi guidata dal vescovo diocesano Mons. Vincenzo Apicella. Oggi siamo nomadi perché precari”. È lo slogan scelto dal segretario generale della Cei, mon- Novembre 2014 28 segue da pag. 27 ro. Qualcuno si è lasciato un po’ troppo abbagliare da questa formula che è diventata una specie di mantra. Ma non dobbiamo lasciarci abbagliare da questi tentativi”. “Il sistema europeo si è dimostrato incapace, a differenza di quello statunitense, di garantire a chi esce dal sistema di trovare nuove opportunità per rientrare - ha proseguito. Questo non avviene in Europa e tantomeno nel nostro Paese. Da noi flessibilità è l’altro nome di precarietà, e entrambe sono anticamera della disoccupazione”. Secondo Galantino, “la buona occupazione non si misura sulla durata del lavoro ma sul fatto che il maggior numero abbia sempre un rapporto col lavoro”. Da qui il suo appello “per cui la sussidiarietà emerga come via per promuovere lavoro, concependo la disoccupazione come serbatoio di risorse e qualità da impiegare e mettere a frutto”. Da ultimo ha richiamato la “speranza cristiana che pone la persona come ‘fine’ della società. Ognuno ha una dignità sacra in quanto immagine divina. Se manca il lavoro la persona non riesce a realizzarsi e abbiamo a che fare con lo ‘scarto’, che provochiamo noi con i nostri comportamenti”. C’è stato anche spazio per una riflessione sulla cronaca politico-sindacale. “Quello che sta succedendo tristemente e malinconicamente oggi a Roma, io non lo so capire. Ma credete che questo ci porti da qualche parte?”. Lo ha chiesto, sempre durante al tavola rotonda il segretario generale della Cei, riflettendo sulla manifestazione sindacale indetta dalla Cgil contro il governo e le sue politiche sul lavoro, il Jobs Act. “Oggi a Roma sta succedendo qualcosa di originale - ha proseguito Galantino -: ci sono persone che hanno dato il 40,8% a Renzi e oggi vogliono gridare contro di lui. Come leggere que- sto fatto?”. Nella tavola rotonda su lavoro e precarietà il segretario confederale Cisl, Luigi Sbarra, ha auspicato che “gli imprenditori in questo momento di crisi ricomincino ad investire e non si limitino a delocalizzare le loro imprese”. Il direttore generale di Federmeccanica, Stefano Franchi, ha risposto che “è giusto l’appello a coinvolgere di più tutte le realtà, comprese le imprese, per il rilancio del Paese, ma io, girando per l’Italia, ho visto moltissimi imprenditori che sono blemi sociali e il lavoro, nell’ultima giornata del convegno nazionale “Nella precarietà, la speranza” di Salerno nel corso della quale Bregantini ha letto la lettera indirizzata ai precari. Un appello “alle parrocchie, al sindacato, al mondo educativo, alle banche e soprattutto alle istituzioni per ripulire l’orizzonte futuro, in modo da guardare avanti senza più rabbie, nè senso di sconfitta, nè ostacoli, che fino ad oggi hanno reso il nostro Paese incapace di sviluppo, di sciogliere questo terribile nodo” è stato rivolto da m Bregantini. Il ministro G. Poletti firma il Progetto Policoro. loro per primi dei grossi lavoratori e si impegnano direttamente in azienda accanto ai loro collaboratori”. Bregantini: Lettera ai precari “La precarietà non è aridità, ma attesa. Arido è stato semmai quel sistema che ha sciupato inutilmente tante risorse, rubando la speranza che in voi va soltanto ridestata e rilanciata”. E’ quanto ha scritto in una lettera indirizzata ai precari monsignor Giancarlo Bregantini, presidente della Commissione Episcopale per i pro- “Chiediamo al mondo industriale di restare fortemente innamorato di questa nostra terra italiana, superando la facile tentazione di delocalizzare” dice. ‘’E’ fondamentale la modernizzazione di un piano industriale più organico da parte di una politica responsabile, capace di difendere i nostri stabilimenti, garantendo posti di lavoro per tutti. La precarietà si vince insieme’’ creando ‘’un patto di fiducia tra le parti, superando ogni logica di scarto ed esclusione”. Novembre 2014 29 Giovanni Zicarelli N umerose sono state le attività in onore di san Bruno di Segni nel corso della “Festa dell’Esultanza” che si è tenuta, dal 4 al 12 ottobre, presso la parrocchia di San Bruno di Colleferro, in ricordo del giubilo con cui il popolo di Segni accolse, il 13 ottobre del 1111, il ritorno dell’amato vescovo dopo il lungo periodo trascorso all’abbazia di Montecassino, di cui fu abate. Se ne ricordano alcune tra le più significative. Il mattino del 9 ottobre, un manipolo di parrocchiani di San Bruno, con in testa il parroco don Augusto Fagnani, ha percorso, come ormai da tradizione, l’antica via della Mola a piedi. Più che altro un sentiero di montagna lungo circa 5 chilometri che dai pochi metri sul livello del mare di via Carpinetana porta fino al centro storico di Segni, 668 m di altitudine, per poi giungere, attraverso il centro abitato, fino alla concattedrale di Santa Maria Assunta. Un cammino sulle orme dei fedeli che oltre nove secoli prima si recarono, percorrendo questa via, ad omaggiare san Bruno, vescovo di Segni. Ad accogliere i pellegrini mons. Franco Fagiolo, parroco della concattedrale. All’interno della chiesa, ostentato per l’occasione, l’argenteo bustoreliquiario di san Bruno contenente il teschio del santo davanti al quale, alle ore 11, don Augusto ha celebrato, alla presenza di fedeli di Colleferro e Segni, la Santa Messa per poi, con i fedeli con cui era giunto, intraprendere la via del ritorno. La sera, alle 18,30, nella “sala Bachelet” della parrocchia di San Bruno, si è tenuta la conferenza “San Bruno, poeta ed esegeta”, con introduzione di don Augusto e relatori don Daniele Valenzi e don Claudio Sammartino, che già si era tenuta in Segni, nella navata centrale della concattedrale, il 23 luglio, durante le celebrazioni per la ricorrenza della morte di san Bruno (18 luglio 1123), patrono di Segni. Don Claudio, con mirabile scioltezza, ha fornito elementi sulla vita del santo mentre don Daniele, con altrettanta efficacia, si è soffermato, anche con inedite rivelazioni, sulla sua dotta attività di esegeta finendo la conferenza con la lettura di alcuni passi del commento di Bruno all’episodio delle “Nozze di Cana” contenuto nel Vangelo di San Giovanni (2, 1-11). Illuminante la conclusione di questa esegesi di san Bruno: in essa egli afferma che l’acqua rappresenta la semplice comprensione letterale delle Scritture mentre, il miracoloso vino, ne simboleggia l’alta comprensione spirituale. La sera del 10 ottobre si è svolta, nell’ampia sala ricreativa della parrocchia, la “cena di fraternità” a cui, oltre ad alcuni parrocchiani, hanno partecipato anche il sindaco di Colleferro, Mario Cacciotti, ed altre autorità comunali. Don Augusto celebra a Segni la Santa Messa . Pellegrini da Colleferro accolti a Segni da mons. Franco Fagiolo. A conclusione dei festeggiamenti, sabato 11 ottobre si è svolta la solenne processione che ha visto la partecipazione di S.E. mons. Vincenzo Apicella, coadiuvato da don Augusto, del sindaco e di numerosi fedeli. La statua lignea di san Bruno è stata portata a spalla per alcune vie del quartiere (itinerario che varia ogni anno così da interessare, di anno in anno, tutte le zone) per poi far ritorno in parrocchia dove, dopo un breve saluto del vescovo dal sagrato della chiesa, sono stati esplosi alcuni fuochi d’artificio in segno, appunto, di esultanza. La festa è proseguita, nel segno della piacevole convivialità, con le gradevoli consumazioni presso gli stand gastronomici, gestiti dai volontari della parrocchia per il salato e dai ragazzi dell’Azione Cattolica Giovani (A.C.G.) per il dolce. Novembre 2014 30 Don G. Cappucci con il gruppo di Valmontone. Roberto Caramanica I l 4 ottobre scorso un folto gruppo interparrocchiale di valmontonesi, accompagnato da don Giorgio Cappucci e dall’Associazione Genitori Valmontone (A.Ge.), è stato in pellegrinaggio ad Assisi per partecipare - in una splendida cornice paesaggistica e meteorologica - alla celebrazione del 75° anniversario della proclamazione di San Francesco patrono d’Italia. La Diocesi ha molto incoraggiato l’iniziativa tramite don Paolo Picca, che ha anche guidato il gruppo di Velletri e al educatori. La nostra giornata è iniziata con la partenza da Valmontone alle sei circa; lungo il tragitto don Giorgio ha ripercorso e invitato a riflettere su alcuni passi dell’intervento di Papa Francesco dell’ottobre del 2013, che proprio da Assisi ha messo tutti in guardia dal pericolo della mondanità, “che ci porta alla vanità, alla prepotenza, all’orgoglio”; giunti ad Assisi, alle 10.00 abbiamo assistito alla Santa Messa solenne presieduta dal Cardinale Agostino Vallini. Alla celebrazione, cui hanno partecipato più di 20 vescovi e circa 100 sacerdo- quale si è fatto riferimento. Credo che l’esperienza sia stata positiva, nonostante la ressa (pare che fossero presenti quasi 5.000 pellegrini) e l’inaccessibilità della Basilica di San Francesco. E’ stato bello e doveroso esserci proprio il 4 ottobre di quest’anno, che è toccato ai fedeli del Lazio offrire l’olio per la Lampada votiva che rischiara perennemente la cripta dove riposano le spoglie mortali del Poverello di Dio. Mi è sembrato quasi che San Francesco, magari aiutato da fratello sole, sia riuscito senza sforzo alcuno in un intento in Foto del gruppo di Velletri guidata da mons. Paolo Picca. cui la pastorale familiare classica è talvolta in difficoltà: attrarre tanti nonni, genitori e figli, almeno tre diverse generazioni che non sempre oggi riescono a dialogare con facilità; nel gruppo valmontonese erano presenti quasi tutti i ragazzi del dopo-cresima della Parrocchia S. Anna, accompagnati dai loro Novembre 2014 31 ti, sono seguiti interventi delle principali Autorità politiche del Paese. I Comuni del Lazio presenti hanno fatto sfilare il proprio gonfalone; tra questi anche il Comune di Velletri rappresentato dal Sindaco Fausto Servadio e gentile consorte, dall’assessore Luca Masi e dal gonfalone della città scortato da tre vigili; il Comune di Lariano rappresentato dal sindaco Maurizio Caliciotti, e il Comune di Valmontone, la cui rappresentanza era guidata dal Vice Sindaco Eleonora Mattia. Al termine, dopo una passeggiata nel centro di Assisi e uno Al centro della foto il Gonfalone della Città di Velletri. spuntino veloce, ci siamo diretti verso la Basilica di Santa Maria degli Angeli dove, alla Porziuncola, si naggio ad Assisi sia il segno che iniziative un valido strumento di pastorale famisvolge la cerimonia del Transito, la bea- di questo tipo possono rappresentare liare. Resta secondo me essenziale per il coinvolgimento dei giota morte di vani e degli adulti meno viciFrancesco avveni o che rischiano di allonnuta all’ora del tanarsi dalla comunità partramonto del 3 rocchiale - saper dosare l’inottobre 1226. tensità della componente spiLungo la via del rituale, in particolare preveritorno, non prima dendo spazi ricreativi approdi una riflessione priati, che possano favorisul significato crire ciò che in un precedenstiano della giornata, te numero di questo giornale abbiamo colto l’ocho identificato con tre “C” maiucasione per una rinscole: Comunicazione, francante sosta Condivisione, Conoscenza nel bellissimo bor(cfr Ecclesia; luglio-agosto 2014). go di Todi. In definitiva, penso che la positiva Nelle foto: a sinistra, S.E. mons. V. Apicella con il sindaco di Lariano, Maurizio Caliciotti; a destra, il Presid. della Regione Lazio, Nicola Zingaretti con Eleonora Motta, risposta intergenerazionale al pellegriVice-sindaco di Valmontone. Il sindaco di Velletri, Fausto Servadio (a dx) firma il Registro degli ospiti illustri del Comune di Assisi. Alcuni partecipanti veliterni con il sindaco Fausto Servadio. Novembre 2014 32 Tiziana Pagliara I l giorno 12 ottobre 2014 in Lariano si è svolta la seconda CAMMINATA DELLA FEDE. Questa iniziativa, anche quest’anno ha dato una risposta positiva e partecipata da parte delle famiglie, delle associazioni e gruppi parrocchiali, nonché dalla presenza di giovani e laici impegnati. Il senso di questi “passi della fede” che, non a caso proprio quest’anno ben si inseriscono nei lavori del Sinodo straordinario sulle famiglie, ha come finalità quella di unire e accompagnare i fedeli a percorrere una strada comune che porti ad una maggiore consapevolezza che il nostro esistere è intimamente legato a Dio e che da Lui non può prescindere. La nostra camminata, iniziata dalla Chiesa S. Maria Intemerata e animata dalla preghiera e dal canto, ha avuto tre tappe significative. La prima tappa è stata la visita alla cappella delle Suore di Cristo, una congregazione religiosa presente a Lariano da tanti anni, che con il suo apostolato in vari campi, viene incontro a varie esigenze spirituali (in particolare riguardo all’Eucaristia: le suore ogni mattina fanno l’adorazione fino alle 12) della nostra comunità. Ad accoglierci è stata la nuova Madre Superiora: Suor Mirelle di nazionalità francese, che ci ha brevemente illustrato le origini del loro istituto religioso e i luoghi che le vedono impegnate in diverse parti d’Europa e del mondo. Dopo aver condiviso un momento di preghiera insieme, abbiamo proseguito verso il Cimitero, seconda tappa del nostro cammino. Questo è stato un momento di forte e profonda vicinanza della comunità ai nostri cari defunti. La consapevolezza che la morte sia strettamente legata alla vita di ognuno e che tutto faccia parte di un progetto di Dio che non dobbiamo fug- gire ma accogliere, in vista di un ben più grande dono: quello della salvezza, è stata per tutti una realtà condivisa. Il nostro pregare insieme ai nostri defunti, ha rafforzato ancora di più questa consapevolezza. I nostri passi sono proseguiti alla volta dell’ultima tappa, la fonte “Ontanese”. Questo luogo oltre ad essere una mèta per tante famiglie dove trascorrere una giornata all’aria aperta e godere dei benefici della natura, si presta molto bene anche per incontri di raccoglimento e attività oratoriali e ludiche per i giovani . Inoltre da diversi anni è stato dedicato un angolo, ai piedi di una collinetta, alla Vergine Maria, posizionando una statua della Madonna come segno di devozione della nostra comunità. E’ proprio in questo angolo che ci siamo stretti in un lungo e fervido momento di preghiera, recitando il S. Rosario e affidando alla Sua protezione materna tutta la nostra comunità e tutti i suoi figli. La nostra CAMMINATA DELLA FEDE si è conclusa facendo ritorno in Chiesa, ringraziando il Signore per averci fatto vivere un momento così speciale e denso di emozioni; anche il tempo si è mostrato generoso regalandoci una calda giornata di ottobre che ha reso più piacevole il nostro cammino. Crediamo che ogni comunità abbia bisogno di momenti di preghiera e condivisione per crescere nella fede e nell’unità, e che non debbano mai mancare i segni che testimonino il nostro essere cristiani, la “camminata della fede” è uno di questi. Il nostro proposito è quello di mantenere vivo e costante questo impegno, con la certezza che porterà frutti abbondanti e duraturi. Novembre 2014 33 Stanislao Fioramonti E ntrando a Sgurgola da ovest (m 386) si giunge in piazza Arringo, aperta sulla valle del Sacco, nei cui pressi sono i resti della chiesa dell’Arringo con un affresco di San Sebastiano. Nel luogo si concentrarono i congiurati della zona seguaci dei Colonna e dunque filofrancesi contro i Caetani, prima del tentativo di catturare papa Bonifacio VIII (schiaffo di Anagni, 3 settembre 1303). Procedendo per il corso della Repubblica si arriva in piazza Pietro Sterbini, con la chiesa parrocchiale di Santa Maria Assunta, il suo campanile e di fronte l’ottocentesca torre dell’orologio. Attraverso questa si accede alla parte più antica del borgo: per i vicoli si sale verso la Rocca e riscendendo si giunge alla piazza e chiesa di San Giovanni. Prima che il corso giunga in piazza Sterbini, da destra parte una strada sinuosa in salita (via 2 Giugno) che dopo 6-700 metri sbocca poco sopra il paese sulla strada pedemontana (Via Monti Lepini). Di fronte inizia la sterrata per l’eremo di san Leonardo, indicato da una bacheca dei sentieri della zona (m 414) posta dall’Associazione Fonte dell’Acero – Insieme per la Montagna. Se si segue la pedemontana verso Morolo, si incontrano subito i ruderi della chiesa di San Nicola (sec. XIII), con la sua fonte; ne restano solo i due piani di mura in pietra calcarea bianca, una volta a crociera, una porta laterale e una lunetta sul portale principale. Alla fine di luglio 1301 il medico e alchimista catalano Arnaldo da Villanova (1240-1313) vi avrebbe realizzato il sigillo astrologico d’oro, racchiuso in un cinto di cuoio, con cui curò papa Bonifacio VIII dal mal della pietra (calcoli renali). Cura efficace, forse per un semplice effetto meccanico sui reni, che procurò all’alchimista una lauta ricompensa papale e molte invidie e risentimenti nella corte pontificia. Arnaldo, medico del re Giacomo II d’Aragona e docente all’Università di Montpellier e alla Scuola Medica Salernitana, qui avrebbe anche composto il De mysterio cymbalorum Ecclesiae, opera apocalittica in cui traeva le conseguenze ascetiche della imminente venuta dell’anticristo e della fine del mondo; egli vi si presentava come il profeta che suonava le campane della verità evangelica e preconizzava la povertà assoluta (Wikipedia). Da San Nicola si può proseguire verso il cimitero di Sgurgola, dove di fronte alla veduta del paese ciociaro è la chiesa della Badìa cistercense della Madonna de Viano; al suo interno è affrescato un Cristo Salvatore bizantino del 1100. Partendo invece dal bivio per san Leonardo, si può iniziare una splendida escursione su un settore dei monti Lepini ricco di boschi, sorgenti e grotte. Con una mulattiera tutta in salita, sco- moda e sassosa, e poi con un sentiero che sale a tornantini sulla roccia, in 1 ora circa si raggiunge a mezza costa prima una fonte d’acqua fresca e perenne poi, appena più su, l’eremo di S. Leonardo, m 725 (chiesetta e panorama), sui resti di un monastero occupato fino al Settecento dai monaci della congregazione del Santo Spirito di Maiella, detta dei Celestini dopo che il suo fondatore, Pietro da Morrone, fu eletto papa nel 1284 con il nome di Celestino V. Alla stessa congregazione appartennero nei dintorni gli insediamenti di S. Antonio Abate a Ferentino, di S. Antonino ad Anagni, di S. Pietro Celestino a Supino (sorto però nel ‘500) e di S. Leonardo a Valmontone (seconda metà del ‘300). La data di fondazione dell’eremo sgurgolano è incerta, probabilmente molto antica. Nella cappelletta povera e spoglia, la statua del santo titolare in veste rossa e catene in mano, e una piccola lapide: “Angelo Moscarelli/ con l’aiuto del popolo/ restaurò. Anno 1952”. All’esterno un’altra lapide ricorda il gesuita padre Mario Rosin, indimenticabile padre spirituale del Collegio di Anagni e di tanti giovani della zona: “Dare la vita/ goccia a goccia/ senza che nessuno/ se ne accorga./Non c’è amore/ più grande di questo./ P. Mario Rosin S. J./ I giovani di Sgurgola/ nel 2° anniversario grati/ 29 aprile 1993”. San Leonardo abate di Noblac, originario del Limosino (castello di Vendôme, Corroi, circa 496 – Noblac, 6 novembre 545 o 559), fu un eremita del VI secolo e uno dei santi più venerati continua a pag. 34 34 segue da pag. 33 in Europa nel medioevo; per le vicende che lo videro restituire la libertà a molti prigionieri, è considerato il patrono dei carcerati e anche dei fabbricanti di catene, fibbie, fermagli ecc. Nella zona di Liegi in Belgio è patrono dei minatori. La sua intercessione viene anche invocata per i parti difficili, i mal di testa, le malattie dei bambini e del bestiame, la grandine, contro i banditi e contro l’obesità. E’ il patrono di Sgurgola dal 1200. La terza domenica di ottobre, in prossimità della festa patronale, un corteo cittadino parte alle 19 dal paese, sale all’eremo a prelevare la sua statua e con una fiaccolata e fuochi d’artificio la porta processionalmente nella parrocchiale di S. Maria Assunta. Alcuni giorni dopo la festa patronale del 6 novembre, che oltre alla processione della vigilia prevede anche una tradizionale fiera, la statua è riportata all’eremo in forma più sommessa e privata. Se non si vuole fare l’erto percorso diretto per l’eremo, 15-20 minuti dopo la partenza si può deviare a destra della mulattiera (cartello) e raggiungere la Fonte dell’Acero, m 745 seguendo un sentiero che in molti tratti sembra una cengia, correndo attaccato alla roccia della montagna. Il luogo è bello, la fonte freschissima e attrezzata con massi e recinzioni e tavoli di legno e con una grossa griglia per arrostire la carne. Da lì parte un altro sentiero che torna indietro a un livello più alto e in 15’ giunge a un bivio: a sinistra si scende in 10’ all’eremo di San Leonardo e alla sua fonte; a destra si sale per la Cima del Monte (m 976) raggiungibile in 45’. Se si sceglie questa, arrivati in cima si giunge a un altro bivio: scendendo a destra (ovest) si incontra subito un casotto di cacciatori e più avanti un volubro e si arriva in 1 ora a Gorga; se invece si continua dritti lungo la Valle Forana si arriva in 15 minuti al rifugio Santa Maria (m 942), una costruzione in legno recente e comoda, posta Novembre 2014 in una radura in mezzo al bosco. Da qui con altri 15-20 minuti di salita si raggiunge la Rava Santa Maria (m 1051), una cimetta rocciosa presso la quale nel 2011 è stata posta una statua dell’Immacolata, sovrastante l’abitato di Sgurgola e l’intera valle del Sacco con un panorama eccezionale. Sul basamento della statua due targhe; la prima: “Comune di Sgurgola, Progetto Popolare, Settore “Vivere la Montagna”. L’ A m m i n i s t r a z i o n e Comunale con il Settore “Vivere la Montagna” e i volontari dell’Associazione “Fonte dell’Acero” hanno voluto la collocazione su questa Rava Santa Maria della statua dell’Immacolata Concezione, donata dall’Amministrazione Comunale. Si ringrazia mons. Lorenzo Loppa, Vescovo della diocesi di Anagni-Alatri e don Agostino Santucci parroco di S. Maria Assunta in Sgurgola per la celebrazione della Santa Messa. Il Presidente del Settore Tiziano Camilli; il Sindaco prof. Antonio Corsi. Sgurgola 10 settembre 2011”. Sulla seconda targa è una “profetica” poesia in dialetto scritta nel 1933 da Tito Govi e intitolata “La Rava di Santa Maria”. Credo che valga la pena riportarla per intero. Quando te guardo, rava relucente,/ je non me pozzo più rentrattené./ Mille pinsiere me revevo a mente/ i me rebbatte iu coro comecché./ Po m’addimanno: ma chi sa perché/ così a ti chiamà l’antica gente?/ Forse perch’eri la passione sé,/ forse perché tu sì così ‘mponente?/ O forse ca me pari tu ‘n artaro/ fatto pe stacci ‘ncima ‘na Madonna/ pe proteggià ste case i cheste terre/ da terramoti, grandine i da guerre/ da quant’atro jo diavolo se sonna/ pe’ fà de chisto munno ‘no ‘nfangaro?”. Il percorso - che sale ancora fino alla vetta di m. Filaro (m 1230) - fino al rifugio è evidente, con paline di segnalazione e segni rossi; il proseguimento fino a m. Filaro è fuori sentiero ma la zona non è scoscesa e non si segnalano particolari difficoltà. Zona molto verde, la maggior parte del percorso è nel bosco, il periodo consigliato è la media stagione in considerazione della scarsa elevazione del percorso. Dislivello 815 m; ore di cammino 5; difficoltà media. Novembre 2014 35 Antonio Venditti D ue madri sono salite, con le loro figlie, alla ribalta della cronaca, per una vicenda di squallida attualità: la prostituzione minorile. Entrambe sono accomunate dal fatto che le loro figlie, di quattordici e quindici anni, invece di frequentare regolarmente la scuola, si prostituivano con uomini maturi, che potevano essere i loro padri ed i loro nonni. Tutto è stato scoperto, perché una delle madri, sorpresa dalle disponibilità finanziarie della figlia, ha intuito prima ed ha accertato poi la terribile devianza e, per stroncarla, non ha trovato altro modo che la denuncia. Denuncia “doverosa” per tutti i cittadini che vengono a conoscenza di un reato. Ma parliamo di una madre, “buona”, che, però, non riusciva più a controllare una figlia all’inizio della fase adolescenziale, non aveva più alcuna forma di “potere” su di lei e non era in grado, quindi, di svolgere la sua funzione educativa. L’altra madre, alla quale spetta l’epiteto di “cattiva”, era, invece, a conoscenza dell’immonda attività della figlia, che si prostituiva per avere ampia disponibilità di soldi, guadagnati facilmente, che le permettessero di vivere da ricca, soddisfacendo, nell’acquisto di abiti e nei divertimenti, tutti i desideri più smodati. La madre sapeva ed anzi spingeva la figlia a “produrre di più” in quella nefasta professione, richiedendo anche una parte dei guadagni. Si “giustificherà”, poi, negando di sapere che la figlia si prostituiva, ma credeva che la notevole disponibilità finanziaria dipendesse dallo “spaccio” di stupefacenti: come se, quand’anche fosse stata questa la ragione, non si trattasse di niente di anormale e di immorale! Speriamo che, in carcere, la donna possa capire, finalmente, l’estrema gravità delle sue colpe, e possa ravvedersi! A tale degrado, dunque, è sceso il ruolo della “madre”?! Sappiamo di tanti padri degeneri, i cui comportamenti, ovviamente, sono sconvolgenti, ma sapere che una “madre” arriva al punto di avviare una figlia alla prostituzione ed un’altra non si accorge che la figlia è in pericolo tale, da seguire l’esempio di una compagna quasi coetanea, ci riempie di desolazione e di scoraggiamento senza fine. E’ questa la famiglia, idealizzata come riparo dai pericoli e dalle paure, nella fragilità della crescita di figli/e? E’ questa la società del progresso umano e civile? E’ questa la scuola che deve formare cittadini/e di un mondo migliore? Non ci sono parole, per rispondere, ma c’è il pianto della sofferenza interiore, nell’inevitabile silenzio. Superato il disorientamento totale, riprendiamo pazientemente i fili della riflessione. Partiamo dalle due “ragazzine”, che hanno rinunciato alla purezza ed alla bellezza del loro corpo, nel momento dello sviluppo verso la fioritura giovanile, connotata dall’assunzione progressiva della personalità di “donna”, come per l’altro sesso, si raggiunge quella di “uomo”, nella pari dignità, pur nella diversa assunzione dei ruoli, naturali e sociali. Come si possono autodistruggere i propri corpi e le proprie personalità? Negli interrogatori, le due ragazze hanno tentato confuse e quanto meno superficiali spie- gazioni: oltre ai desideri smodati di ricchezza, appare quello che per i bempensanti è uno spauracchio, ma per tanti diventa un alibi: la droga. “Che sarà mai?! E’ un’esperienza! Non si pensa più niente e diventa facile fare di tutto… prostituzione compresa!” Dovremmo di nuovo fermarci, per il disgusto, ma continuiamo a riflettere: entrano in scena i “burattinai”, perfidi individui che sanno solo imbrogliare, manovrare e trarre guadagni dall’asservimento degli altri, scelti con oculatezza, sfruttando le situazioni più a rischio. Attenzione, però, a farne i maggiori responsabili, “riabilitando” tutti gli altri che stanno nella vicenda! Le stesse ragazze restano colpevoli, perché, all’inizio, hanno ricercato loro, in internet, gli approcci, evitando accuratamente i giovani: non solo per “timore” di essere riconosciute, ma, soprattutto per le loro scarse disponibilità finanziarie. Ed i clienti che colpa hanno? Hanno creduto che si trattasse di “maggiorenni”, come del resto esse si dichiaravano! Questa è la loro linea di difesa, non certo originale, perché è assunta da tutti gli inquisiti per reati del genere. Intanto, cerchiamo di non dimenticare che uomini maturi, se non addirittura anziani, hanno scelto prostitute “giovani”, ritenute diciottenni e su di lì, per l’appagamento di desideri “immondi”, perché soddisfatti con “donne” aventi spesso la stessa età di figlie o nipoti. E poi non si distingue il corpo di un’adolescente, anche truccata e con tacchi alti, da quello di una donna? Sappiamo che, invece, esiste ed è nutrito il gruppo di uomini che vanno alla ricerca delle prostitute “ragazzine”, in patria, come all’estero, dove programmano vacanze a tale turpe scopo. Come andrà a finire? Si chiedono tutti, stimolati da giornali e televisioni che hanno materia ampia per tante trasmissioni e aggiornano sulle indagini della Magistratura, che coinvolgerebbero già molte decine di “clienti”, persone “perbene”, ben collocate nella scala sociale ed insospettabili. Tra dinieghi e piccole ammissioni, nonostante alcune evidenze appurate con le intercettazioni, si fa strada, nei “salotti televisivi”, per i personaggi più noti, la lamentela di essere vittime della “gogna mediatica”, facendo intendere che della vicenda non si dovrebbe parlare, per non “turbare” lo svolgimento delle indagini (che in Italia durano tanto tempo e, in questo caso, la lunghezza fa comodo) e, soprattutto, per la difesa di coniugi e figli incolpevoli. Strana tesi questa, perché, con tutto rispetto dei membri della famiglia, la notorietà è sempre ricercata con ogni mezzo e come un giusto tributo ai “meriti”, più o meno presunti, mentre, in caso di guai, tutti i mezzi mediatici dovrebbero spegnersi, magari fino alla “rivincita”, cioè alla dimostrazione che il fatto non è dimostrabile, almeno nella “presunta” gravità. Il che significa che tutto, con il tempo, deve essere accettato, anche l’uso della droga e la prostituzione minorile, che, semmai, è colpa delle “ragazzine sfacciate” e non degli uomini, che la ricercano e l’alimentano! In siffatte situazioni, dove tutto si vuole coprire, con l’omertà e l’ipocrisia dilagante, l’educazione davvero viene resa inoperante e si addensano nubi oscure per l’avvenire. Nell’immagine del titolo: un’opera pittorica di Edgar Mendoza Mancillas Novembre 2014 36 Mara Della Vecchia ella Riforma luterana, avviata, come è noto, nel XVI secolo in Germania, un ruolo importante era stato riservato anche al rinnovamento della musica liturgica, quale elemento imprescindibile per una preghiera dei fedeli veramente collettiva,sincera e consapevole, che non fosse ridotta a una ripetizione di formule in latino ormai poco comprensibili da parte del popolo più ignorante. Durante la messa, l’assemblea doveva poter cantare e dunque partecipare attivamente a tutta la celebrazione liturgica, senza incontrare ostacoli dovuti alla lingua sconosciuta o alla difficoltà di apprendere una melodia troppo complessa o addirittura districarsi tra i vari registri vocali dei canti polifonici. Nasceva così il Corale luterano che prevedeva il testo in tedesco e pur essendo polifonico, presentava una voce superiore molto riconoscibile, rispetto alle altre, con frasi melodiche non troppo lunghe o troppo articolate che terminavano con una nota lunga e accompagnamento dell’organo, permettendo a tutti di cantare, anche a quelli meno abili, tuttavia successivamente,anche il Corale nella sua semplicità ed essenzialità, cominciò a mutare, ad evolversi e fatalmente, a complicarsi. Tra la seconda metà del XVIII secolo e tutto il XIX, non più il Corale, ma la Cantata è la forma che caratterizza la musica della liturgia luterana; si tratta di una composizione piuttosto lunga formata da arie, duetti, cori recitativi con accompagnamento strumentale; si eseguiva durante la messa tra la declamazione del vangelo e il sermone. Il testo riguardava il vangelo del giorno, e includeva brani delle Sacre Scritture, poesia composte appositamente e testi dei corali, ovviamente in lingua tedesca. Johan Sebastian Bach, il grande compositore del tedesco, dedicò molta della sua musica sacra alla cantata; fra le prime che compose troviamo quella conosciuta come Actus Tragicus N del 1707-08 la quale conserva ancora una struttura che ricorda il Corale, in quanto non presenta né poesie né recitativi. Actus Tragicus, il cui titolo originale è Gottes Zeit ist die Allesbeste Zeit, viene così soprannominato perché destinato ad una cerimonia funebre. Inizia con un bano strumentale per due flauti, due viole da gamba e basso continuo, detto “Sonatina”, molto bello dove, sull’accompagnamento delle viole e del basso continuo, i flauti disegnano una malinconica melodia; la Sonatina è seguita da un coro a quattro voci con il medesimo accompagnamento orchestrale della sezione precedente. In questa parte si distinguono tre parti: la prima sulle parole del titolo della cantata :”Il tempo del Signore e il migliore del tempo”, la seconda parte è costituito da un Allegro fugato sulle parole di un versetto tratto dagli Atti degli Apostoli: “ In Lui abbiamo la vita, il movimento e l’essere”; chiude la terza parte con un Adagio assai con il seguente testo : “In Lui la morte al tempo fissato”. Il coro è seguito da un’aria per tenore con andamento lento sul testo del Salmo: “Facci conoscere il numero dei giorn che possiamo dedicare i nostri cuori alla saggezza”. Termina l’aria del tenore e inizia, senza alcuno stacco, un’aria del basso, Vivace e con diversi vocalizzi ripresi da un solo flauto, questo il testo: “Così dice il Signore. Dai le disposizioni per la tua casa, perché morrai e non guarirai più”. Interviene di seguito un terzetto (contralto, tenore, basso) con il solo accompagnamento del basso continuo e le parole sono tratte dall’Ecclesiastica: “è legge antica, l’uomo deve morire”, ma il terzetto è interrotto dal soprano che interviene con un arioso accompagnato dalle viole e dai flauti, nel quale si ascoltano le parole: “Sì, sì, vengo Signore Gesù”, mentre gli strumenti dell’orchestra seguono la melodia a quattro voci del Corale: “Io ho affidato tutto quanto a Dio, egli fa di me ciò che vuole. Se devo vivere qui a lungo, senza opporre resistenza devo sottomettermi alla sua volontà”. Il basso solista si inserisce, dopo la conclusione del terzetto, con le parole: “Nelle tue mani raccomando il mio spirito, tu mi libererai, o Signore, Dio dei verità”, è il basso continuo che accompagna questa parte, come più oltre, con le parole: “Oggi sarai con me in paradiso”. Di nuovo l’inserimento di un Corale eseguito sai contralti e dalle viole: “Con pace e gioia, ivi mi conduco nella volontà di Dio, il mio cuore e il mio intelletto sono consolati, miti r tranquilli. Come Dio mi ha promesso, la morte è divenuto il mio riposo”. Il finale è su parole di gloria e di fede, dunque è tutto il coro che canta con tutta l’orchestra con andamento vivace e grande sonorità. Recita il testo:” In Te ho sperato, o Signore, aiutami perché io non cada nell’ignominia e nel disprezzo in eterno. Di questo io ti prego: conservami fedele a Te, mio Dio:” Actus tragicus, nonostante la stessa destinazione della Messa da Requiem, ne differisce molto: nell’opera bachiana è assente la terrificante immagine e la plateale drammaticità del giorno del giudizio, qui si affronta il tema della morte come ogni cristiano dovrebbe affrontare ogni giorno della propria vita cioè nella fede in Dio, nell’abbandono alla sua volontà e fiducia nella sua misericordia e non solo ciò riguarda il testo utilizzato, ma con la stessa valenza anche la musica esprime con potenza espressiva il medesimo messaggio. Novembre 2014 37 Bollettino diocesano: Prot. VSCA 44/2014 Al Reverendo Don Fabrizio MARCHETTI del Clero diocesano di Velletri-Segni Salute nel Signore Le parrocchie di Santa Maria in Trivio, del SS.mo Salvatore, di Santa Lucia e di San Michele Arcangelo in Velletri sono state affidate, a partire dal 5 ottobre p.v., a don Roberto Mariani, in qualità di Parroco, egli sarà anche Amministratore della parrocchia della Madonna del Rosario e responsabile di tutta l’Unità Pastorale, pertanto si richiede la presenza di un sacerdote disponibile a tempo pieno capace di collaborare alla cura delle necessità spirituali dei fedeli e alla crescita della comunione ecclesiale. Pertanto, con gratitudine per la tua disponibilità e fiducioso nel tuo zelo apostolico, TI NOMINO In virtù delle mie facoltà ordinarie Vicario parrocchiale della suddetta Unità Pastorale, a norma dei canoni 545-552 del Codice di Diritto Canonico. Il presente decreto entrerà in vigore a partire da Domenica 12 ottobre 2014. Ti assista nella tua opera apostolica la protezione e l’intercessione di Santa Maria delle Grazie, dei Santi Clemente e Bruno, Patroni della Diocesi e ti benedica il Signore. Velletri, 06.10.2014 + Vincenzo Apicella, vescovo ——————————————————————————————————— Prot. VSCA 45/2014 Al Reverendo Don Andrea PACCHIAROTTI del Clero diocesano di Velletri-Segni Salute nel Signore La parrocchia di San Giovanni Battista in Velletri, affidata a partire dal 5 ottobre p.v. a Mons. Cesare Chialastri, in qualità di Amministratore parrocchiale, richiede la presenza di un sacerdote disponibile a tempo pieno capace di favorire la crescita di una comunità viva e ben articolata . Pertanto, con gratitudine per la tua disponibilità e fiducioso nel tuo zelo apostolico, TI NOMINO In virtù delle mie facoltà ordinarie Vicario parrocchiale della suddetta parrocchia di San Giovanni Battista in Velletri, a norma dei canoni 545-552 del Codice di Diritto Canonico. Il presente decreto entrerà in vigore a partire da Domenica 12 ottobre 2014. Ti assista nelle fatiche pastorali la protezione e l’intercessione di Santa Maria delle Grazie, di San Giovanni Battista e di San Clemente e ti benedica il Signore. Velletri, 06.10.2014 + Vincenzo Apicella, vescovo ——————————————————————————————————Prot. VSCA 46/2014 Al Reverendo Don Rinaldo BRUSCA del Clero diocesano di Velletri-Segni Salute nel Signore Nella nostra diocesi opera da molti anni con grande utilità pastorale l’Aggregazione ecclesiale U.N.I.T.A.L.S.I., il cui Assistente spirituale, don Marco FIORE, parroco di San Pietro in Montelanico, è stato chiamato a svolgere anche l’incarico di Vicerettore presso il Pontificio Collegio Leoniano di Anagni. Pertanto, volendo provvedere alla cura di questa importante realtà diocesana, con gratitudine per la tua disponibilità e fiducioso nella tua esperienza e nel tuo zelo apostolico, TI NOMINO In virtù delle mie facoltà ordinarie Assistente spirituale della suddetta Aggregazione ecclesiale. Il presente decreto entrerà in vigore a partire da Domenica 12 ottobre 2014. Ti assista nella tua opera la protezione e l’intercessione dei santi Clemente e Bruno, Patroni della diocesi e ti benedica il Signore. Velletri, 06.10.2014 Mons. Angelo Mancini Cancelliere Vescovile + Vincenzo Apicella, vescovo Novembre 2014 38 La Cappella di san Brizio nel Duomo di Orvieto / 1 don Marco Nemesi* T anto è celebre nel mondo, il Duomo di Orvieto che non poche persone giungono nella città della Rupe unicamente attratte dal suo grandioso monumento simbolo. Il Duomo sorprende per le sue slanciate proporzioni – un indiscusso inno al desiderio d’infinito e di ascesa verso il cielo – e la sua mirabile e affascinante unicità, che sfugge a ogni semplicistica classificazione di stile. Dedicato alla Vergine Assunta, il Duomo è ovunque riconosciuto come una delle massime realizzazioni artistiche del tardo Medioevo italiano, in cui si fondono, a superare la tradizione basilicale romana e creare un insieme del tutto unico e originale, il sentimento che animò le grandi cattedrali europee del Due-Trecento, le soluzioni architettoniche degli ordini mendicanti e i motivi del gotico francese. L’interno sviluppa pienamente il motivo dell’unità spaziale, architettonica e visiva tipica delle grandi chiese dell’Italia centrale e settentrionale dei secoli XIII e XIV. Scandito in tre navate suddivise da dieci colonne cilindriche e da due pilastri ottagoni, lo spazio interno è unificato da sei grandi campate e, attraverso ampie e slanciate arcate a tutto sesto, si dilata lateralmente nelle navate esterne; queste, strette, poco slanciate e completamente visibile, sono assorbite dal vano centrale, cui fanno da sfondo. Nelle pareti perimetrali il motivo delle cappelle semicilindriche e delle bifore crea un effetto di approfondimento spaziale, allontanando il muro e rompendone la rigidità. Il tetto a capriate dipinte, con la sua leggerezza e la sua penombra indefinita solcata dalla luce, rappresenta la copertura ideale del corpo anteriore della chiesa. Originale è la soluzione del transetto continuo con tre volte a crociera della stessa altezza; vera e propria nave trasversa, autonoma rispetto al corpo longitudinale (da cui è separato tramite un arco trionfale), il transetto, non avendo braccia sporgenti, è contenuto nel rettangolo delle navate a costituire un fondale ombroso che precede la tribuna quadrata. Precisamente nel transetto destro si trova la cappella di San Brizio, o cappella Nova, celebre per il ciclo di affreschi con Storie degli ultimi giorni, avviato nelle vele da Beato Angelico e Benozzo Gozzoli nel 1447 e completato da Luca Signorelli nel 1499-1502. Per l’originalità spaziale e iconografica e per la singolarità del tema, la cappella costituisce un unicum nell’arte. L’edificazione della cappella iniziò nel 1396 grazie al lascito testamentario di Tommaso di Micheluccio, che desiderava fosse creata una cappella intitolata alla Vergine Incoronata. Dal 1408 è documentato il primo maestro costruttore, Cristoforo di Francesco da Siena. Si trattò di ampliare il corpo di fabbrica duecentesco di Lorenzo Maitani, studiando modi per integrare gli archi rampanti che sostenevano la struttura. Si finì per mantenere quasi tutto, con lo stesso forte spessore delle murature e con il mascheramento dell’arco rampante all’interno con un contrarco a tutto sesto dall’imposta molto bassa, che fu utilizzato per delimitare due cappelline: quella dei Corpi Santi di Faustino e Parenzo a destra e quella della Maddalena (poi detta di Gualterio) a sinistra. Il lavoro fu completato nel 1444. Nel 1447 l’Opera del Duomo assegnò la decorazione ad affresco della cappella al Beato Angelico, che in quel momento era a Roma, al servizio di Niccolò V. L’artista fiorentino, che era già stato messo in contatto l’anno prima dal maestro vetraio del Duomo di Orvieto Francesco Baroni, era, infatti, interessato ad allontanarsi dalla calura estiva romana. Con lui viaggiò la sua comitiva di aiuti attivi anche nella Cappella Niccolina, come documentano i documenti di pagamento, in cui erano presenti Benozzo Gozzoli, Giovanni Antonio da Firenze e Giacomo de Poli; in città si aggiunse poi il pittore locale Pietro di Nicola Baroni. Pare che il tema degli affreschi, in Giudizio Universale, fu deciso con la consulenza dell’Angelico, che era dopotutto frate domenicano ben preparato in teologia. A Orvieto l’Angelico restò quindici settimane, riempiendo due delle enormi vele della campata sopra l’altare (Cristo Giudice tra angeli e Profeti): il fatto che due spazi così vasti fossero completati in tre mesi e mezzo dimostra la rapidità esecutiva della bottega dell’Angelico, con una limitata autografia del maestro, al quale sono assegnate solo alcune parti. Nel settembre 1447 Angelico e il suo entourage ripartivano per Roma, forse intenzionati a ritornarvi l’anno successivo. Ciò non avvenne e nel 1449 il contratto doveva essere già annullato, poiché Gozzoli, in città dal luglio al dicembre di quell’anno, ormai affrancato dall’apprendistato, tentò senza successo di farsi riassegnare l’incarico. Nel 1455, per proteggere meglio le volte dalle infiltrazioni, fu rialzato il tetto. Il programma decorativo della Cappella, restò fermo per almeno quarant’anni, quando si provò ad accordarsi Antonio da Viterbo detto il Pastura e soprattutto, per quasi dieci anni, col Perugino le cui richieste vennero però ritenute troppo onerose. Solo il 5 aprile del 1499 l’incarico di proseguire i lavori fu affidato a Luca Signorelli, pittore cortonese allora attivo nella provincia tra Toscana, Umbria e Marche. Da un esame della ricca documentazione pervenuta appare chiaro che la scelta cadde su di lui per ragioni di convenienza economica (il prezzo proposto era più discreto di quello del Perugino) continua nella pag. accanto Cappella di San Brizio. Novembre 2014 e per la fama di artista efficiente e rapido. Il contratto venne, infatti, mantenuto con solerzia: un anno dopo, il 23 aprile 1500, le volte erano già concluse e l’artista aveva già preparato i disegni per il resto della decorazione “dalle volte in giù”, che gli furono allogate pochi giorni dopo per un costo di 575 ducati. Fu confermato il tema del Giudizio, sulla spinta dei turbamenti causati dal precipitare della situazione politica e sociale italiana negli anni novanta del Quattrocento e dei presagi catastrofici sull’avvicinarsi della metà del secondo millennio. Per le scelte iconografiche furono espressamente interpellati dei maestri in teologia, tra cui dovette avere un ruolo di primo piano l’arcidiacono del Duomo Antonio Alberi, che si fece costruire una libreria accanto alla cappella dotandola di ben 300 volumi sulla teologia, la filosofia, la storia e la giurisprudenza. Tra le fonti letterarie usate ci sono sicuramente i Vangeli, l’Apocalisse di Giovanni, la Leggenda Aurea e anche le Rivelazioni di santa Brigida, che erano state stampate a Lubecca nel 1492. Inoltre l’artista, nell’elaborazione le scene, dovette trarre spunto dalle stampe tedesche, se non l’Apocalisse di Dürer, pubblicata nel 1498, almeno le illustrazioni del Liber Chronicarum di H. Schedel edito a Norimberga nel 1493. Già nel 1502 il ciclo era concluso in tutte le sue parti, anche se i pagamenti si protrassero almeno fino al 1504. La cappella fu chiamata “Nova”, essendo l’ultima eseguita dopo quella del Corporale, fino al 1622, quando vi fu traslata la venerata immagine della Maestà della Tavola, un dipinto miracoloso che si riteneva eseguito da san Luca, in realtà opera della fine del XIII o dell’inizio del XIV secolo. Questa reliquia veniva anche detta “Madonna di San Brizio”, poiché nel 1464 era stata aggiunta accanto alla Vergine l’immagine del santo, poi rimossa; essa finì per dare il nome all’intera cappella, detta anche semplicemente di San Brizio. L’altare detto “della Gloria“, sulla parete di fondo, è opera di Bernardino Cametti del 1715, in marmo, commesso e alabastro. Il paliotto in velluto cremisi e argento risale al 1704 ed è opera del romano Angelo Cervosi. I sei candelieri in argento sulla mensa sono opera di Michele Borgianni (1711-1712), cui ne furono aggiunti altri quattro nel 1716. A sinistra dell’altare, su un plinto ligneo, una lampada votiva in argento e smalti del 1947 (opera del cesellatore Maurizio Ravelli), fu consacrato per lo scampato pericolo dei bombardamenti durante la guerra. La cappella è organizzata in due grandi campate, coperte da volte a crociera, generanti sei lunettoni dei quali uno è in parte occupato dal portale d’ingresso e, un altro, opposto, è diviso in due semilunette dalla fine- stra gotica che sormonta l’altare. L’arco d’ingresso è sormontato da un grande rosone gotico doppio e da un lunettone con coppie di angeli attribuiti a Antonio da Viterbo, con ai fianchi le statue di Adamo e di Eva di Fabrio Toti sotto nicchie in marmi bianchi e rossi di Simone Mosca. La cappella è chiusa da una cancellata di ferro battuto di Gismondo di Graziano (1516), eseguita a imitazione di quella della Cappella del Corporale. Le volte sono organizzate in vele su fondo oro, divise da costoloni con motivi vegetali e da cornici in stile gotico, con fasce a sfondo rosso decorate da motivi tratti dalla miniatura, intervallati da esagoni con testine. Le pareti sono dipinte con lunettoni nella parte superiore, inquadrati da arconi dipinti con cassettoni con rosette sporgenti; essi sono idealmente arretrati di circa due metri, lasciando un ampio palcoscenico alla base degli affreschi in cui le figure si muovono come se stessero uscendo dai dipinti. Si tratta di un’originale soluzione compositiva che, sebbene non sia calibrata per il punto di vista ribassato dello spettatore, ha il merito di trasformare l’architettura gotica della cappella in uno spazio rinascimentale, quadrandone le misure come se fosse tanto largo quanto alto. 39 Signorelli concepì la cappella “non come una scatola, ma come una sfera in cui tutti i punti hanno lo stesso valore attorno al fulcro rappresentato dall’uomo-spettatore“. Tutte le ombre sono generate da una medesima fonte di luce, situata in corrispondenza delle finestre della parete di fondo. Le scene sono: Predica e fatti dell’Anticristo, Finimondo, Resurrezione della carne, Dannati, Beati, Paradiso, Inferno. La fascia inferiore è scandita da un finto colonnato di paraste reggenti una trabeazione dipinta con un ricchissimo fregio a grottesche su fondo oro. La zoccolatura è dipinta a lastre che imitano i rilievi di sarcofagi romani, intervallate dalle basi delle paraste. I riquadri sono decorati da partiture a grottesche in cui sono inserite, al centro, finestre con ritratti di uomini illustri, poeti e scrittori. Molti di essi sono ritratti in maniera da confondere l’occhio dello spettatore, sfogliando libri che pare escano dal davanzale in scorcio. Alcuni di loro hanno vicini anche dei medaglioni in grisaille che commentano la loro opera o illustrazioni della Divina Commedia. Completano la figurazione, negli sguanci delle finestre, gli arcangeli Raffaele con Tobiolo e Gabriele (a destra), Michele in atto di pesare le anime e in atto di respingere un demonio (a sinistra) e i santi vescovi Brizio e Costanzo, protettori di Orvieto (al centro), mentre nella cappellina ricavata nello spessore della parete laterale si trova un Compianto sul Cristo morto tra i santi Parenzo e Faustino. L’effetto generale è di altissimo coinvolgimento dello spettatore, che ha la sensazione di entrare nella scena dipinta come parte di essa. Da un punto di vista pittorico, il ciclo mostra una qualità altalenante e una certa macchinosità teatrale, che però è bilanciata da idee figurative d’indimenticabile efficacia, spesso novità assolute per l’arte italiana. Se la vista d’insieme può apparire tumultuosa e confusa, nel dettaglio si può comprendere appieno la genialità di Signorelli quale “inventore” e “illustratore”, come lo definì Berenson. La volta è divisa in otto vele, delimitate da fasce decorative con motivi vegetali. È dell’Angelico quella sopra l’altare con Cristo giudice tra angeli e quella immediatamente a destra con Sedici profeti. Sono ritenuti autografi del mastro la figura, piuttosto danneggiata, del Cristo, un gruppo di angeli a sinistra e alcuni profeti seduti. Al Gozzoli sono invece assegnate le bordure decorative con testine, tra cui una somigliante a un pregevole disegno con Testa di giovane chierico nella Royal Library del Castello di Windsor (n. 12812); tra queste testine spiccano anche quelle di un giovane biondo, di un ragazzo col turbante, di un giovane affacciato al di fuori dell’esagono, di una bambina con cuffietta e infine di un autoritratto dell’autore. L’assegnazione di altre parti al Gozzoli, come molti degli angecontinua nella pag. 40 li vicini al Cristo e di tre profeti, è oggetto di controversie nella critica. L’Angelico e il suo gruppo sono responsabili anche delle fasce decorative sui costoloni e nelle vele anche dell’altra campata. Tutte le altre vele sono del Signorelli, che vi ritrasse: Apostoli, prima campata a sinistra; Simboli della Passione e preannuncio del Giudizio con angeli, prima campata verso l’ingresso; Martiri, seconda campata verso l’altare; Patriarchi, seconda campata a sinistra; Dottori della Chiesa, seconda campata a destra; Vergini, seconda campata verso l’ingresso. La resa pittorica tra le scene dell’Angelico e quelle di Signorelli è molto diversa: il primo riponeva nella decorazione della parete la stessa cura al dettaglio e la stessa finitezza che impiegava nelle opere su tavola, trascurando che essa doveva essere vista da quindici metri di distanza, poiché all’epoca, secondo un’impostazione ideologica tipicamente medievale, la pittura era ancora soprattutto un’offerta a Dio, che era quindi il fruitore ideale delle scene; per Signorelli invece tutto è ormai legato allo spettatore, con una qualità più sbrigativa, che permettesse anche di venire incontro alle richieste dei committenti. Il ciclo inizia con la lunetta della Predica e fatti dell’Anticristo, la prima a sinistra dell’ingresso. Si tratta di un caso unico nell’arte italiana di rappresentazione in chiave monumentale della leggenda dell’Anticristo e dalla Leggenda Aurea. La venuta di falsi Messia inoltre si trova nelle parole profetiche sugli Ultimi Giorni del Vangelo di Matteo (24, 5-10). L’Anticristo si trova su un piedistallo in primo piano, mentre predica alla folla. Egli assomiglia nelle fattezze a Gesù, ma è mosso dal Diavolo che gli suggerisce le parole all’orecchio e guida i suoi gesti come un pupazzo: felice è l’invenzione del braccio di Satana che “entra“ in quello dell’Anticristo come se fosse un guanto. Lo circonda una folla varia, che ha accumulato ai suoi piedi ricchi doni e appare già corrotta dalle sue parole: a sinistra un uomo sta compiendo un crudele massacro, una giovane donna sta ricevendo il prezzo della prostituzione da un anziano mercante e altri uomini sono caratterizzati in atteggiamenti spavaldi. I personaggi hanno vesti contemporanee e Vasari vi riconobbe vari ritratti: Cesare Borgia (all’estrema sinistra, col cappello rosso, barba e capelli biondi), Pinturicchio, Nicolò Paolo Vitelli e Vitellozzo Vitelli, Giovanni Paolo e Orazio Baglioni, l’erede dei Monaldeschi (a destra del piedistallo con le mani sui fianchi), Enea Silvio Piccolomini (l’uomo calvo e corpulento). Molti vi hanno letto un riferimento diretto alle vicende contemporanee di Girolamo Savonarola, predicatore che infuocò di ardore religioso la città di Firenze prima di essere condannato come eretico da papa Alessandro VI e mandato al rogo il 23 maggio 1498: dopotutto, nonostante la controversa accusa, Orvieto restava una città fedelmente papista, quindi disposta ad accogliere un tale messaggio, e lo stesso Signorelli, già protetto dai Medici, non vedeva sicuramente di buon occhio il rovesciamento democratico a Firenze stimolato dal frate. Lo sfondo mostra uno scenario molto ampio e profondo, dominato da un enorme edificio classico, dalla prospettiva distorta. Probabilmente è una rappresentazione del tempio di Salomone di Gerusalemme e quindi della Chiesa stessa. Si tratta di un edificio a pianta centrale con quattro pronai, che in pianta assumono la forma di croce greca, con al centro un doppio tiburio e, verosimilmente, una cupola che va oltre lo spa- zio pittorico. Tutta la base del tempio è animata da soldati neri, piccole figure aggiunte a secco dopo la stesura ad affresco. Anche in secondo piano avvengono orrori e prodigi che chiariscono il messaggio della scena principale, con una vivace correlazione narrativa. A destra l’Anticristo ordina le esecuzioni capitali di Enoch ed Elia, mentre al centro fa un miracolo risorgendo un morto per avvalorare la sua falsa identità. Gli fanno resistenza, poco sotto, un gruppo di reli- giosi che, consultando le Scritture, riconoscono la sua falsa figura e si stringono con la preghiera e la fede come in una compatta cittadella. Forse, rendendosi conto dell’avverarsi delle profezie, stanno facendo il conto degli ultimi giorni, i 1290 giorni di dominio anticristiano profetizzati da Daniele. A sinistra infine avviene l’epilogo della vicenda dell’Anticristo, con l’Arcangelo Michele che lo colpisce in cielo con la spada, facendolo precipitare, ed inviando una serie di raggi infuocati che uccidono i suoi sostenitori. Si tratta della scena migliore dell’intero ciclo, almeno in termini di originalità narrativa e di evocazione fantastica: ciò è suggellato dalla presenza, all’estrema sinistra, di due personaggi in abito nero che rappresentano, secondo tradizione l’autoritratto di Signorelli e, dietro di lui, un ritratto di Beato Angelico con l’abito domenicano. Signorelli indossa una berretta e un mantello nero, abiti di rango, ed è sui cinquant’anni, vitale e di bella presenza come lo descrisse Vasari che l’aveva conosciuto personalmente in tenera età. Scarpellini scrisse che la sua presenza a margine della scena assomiglia a quella di un regista compiaciuto per la riuscita del suo spettacolo e si presenta alla platea per ricevere l’applauso. Sulla parete d’ingresso, resa angusta dall’arco di accesso, si trova la scena del Finimondo, dominata al centro da un putto che sorregge lo stemma dell’Opera del Duomo (O.P.S.M.) e divisa in due gruppi narrativi. Nell’angolo inferiore a destra, in primo piano, la Sibilla Eritrea sfoglia il proprio libro profetico assieme al profeta Davide, costatando la verità delle predizioni all’avvento del Dies irae. Dietro di loro un terremoto fa crollare un tempio e i briganti trionfano nell’anarchia, spogliando tre giovinetti. Più in lontananza, un biblico maremoto arriva a sollevare le navi sulle onde, che stanno per abbattersi mina+cciose sulla città; nel cielo il sole e la luna sono sinistramente oscurati.A sinistra iniziano gli eventi sovrannaturali, mentre in lontananza guerre e omicidi si moltiplicano. Si tratta dell’arrivo di demoni alati mostruosi, dalle cui mani e bocche si sprigiona una pioggia infuocata che investe una moltitudine di persone terrorizzate, che si sta riversando sulla platea fuori dal confine dell’arco dipinto. Particolarmente efficace e ben conservato è il groviglio di sette giovani in primo piano, dagli abiti sgargianti, morti o nell’atto di soccombere, seguiti da due madri con i figli e un gruppo di giovani e anziani. Essi mostrano l’epilogo di una catastrofe annunciata. *Dir. Ufficio diocesano Beni culturali, Chiese e Arte sacra (continua)
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