TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 1 3/2014 CRISI DʼIMPRESA E IRREGOLARITÀ BANCARIE Arcangelo Michele - Guariento di Arpo Poste Italiane s.p.a. - Euro 20,00 - Registrazione al Tribunale di Milano N. 388 del 02/07/1994 - N° 3/2014 - maggio/giugno - Informativa sulla privacy ex art. 13 D.lgs.196/03 sul sito www.informativa196.it maggio/giugno IN QUESTO NUMERO: ❖ Il motore di ricerca è responsabile del trattamento dei dati personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi ma dallo stesso indicizzate ❖ La Ferrari e la barca rendono indifendibili i parametri fiscali ❖ Le dichiarazioni dei terzi nel processo tributario ❖ Spese di causa dovute in caso di rifiuto della proposta conciliativa anche se il giudizio è vinto ❖ Cronaca giornalistica e privacy: va risarcito il danno morale ed esistenziale se dallʼarticolo si può dedurre lʼidentità del soggetto coinvolto ❖ Al Ministro della Giustizia On. Andrea Orlando TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 2 Italian Luxury www.levantegroup.com TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 3 Sommario n. 3/2014 3/2014 CRISI DʼIMPRESA E IRREGOLARITÀ BANCARIE tribuna finanziaria Editoriale Arcangelo Michele - Guariento di Arpo Poste Italiane s.p.a. - Euro 20,00 - Registrazione al Tribunale di Milano N. 388 del 02/07/1994 - N° 3/2014 - maggio/giugno - Informativa sulla privacy ex art. 13 D.lgs.196/03 sul sito www.informativa196.it maggio/giugno ❖ Crisi dʼimpresa e irregolarità bancarie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .4 Fisco IN QUESTO NUMERO: ❖ Il motore di ricerca è responsabile del trattamento dei dati personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi ma dallo stesso indicizzate ❖ La Ferrari e la barca rendono indifendibili i parametri fiscali ❖ Le dichiarazioni dei terzi nel processo tributario ❖ Spese di causa dovute in caso di rifiuto della proposta conciliativa anche se il giudizio è vinto ❖ Cronaca giornalistica e privacy: va risarcito il danno morale ed esistenziale se dallʼarticolo si può dedurre lʼidentità del soggetto coinvolto ❖ Al Ministro della Giustizia On. Andrea Orlando TRIBUTI ❖ Studi di settore e nuovi parametri forensi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .12 ❖ Lʼavviso bonario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .19 Corte di Giustizia Europea ❖ Il motore di ricerca è responsabile del trattamento dei dati personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi ma dallo stesso indicizzate. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .23 Direttore responsabile Cav. Franco Antonio Pinardi Direttore editoriale Giuseppe Pasero Direzione tecnica Franco Antonio Pinardi Segreteria di redazione Raluca Petronela Vatavu Giustizia Tributaria PROCESSO TRIBUTARIO ❖ La Ferrari e la barca rendono indifendibili i parametri fiscali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .39 ❖ Le dichiarazioni dei terzi nel processo tributario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .41 ❖ Estimi catastali a Lecce. Ricorso per Cassazione perdente, inutile e costoso . . . . . . . . . . . . . . . .42 ❖ Avvocato nello studio associato: quando lʼIrap è dovuta! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .44 Comitato Tecnico-Scientifico Luciano Amedeo, Maria Teresa Armosino, Virgilio Baresi, Guido Butera, Alessandro Campanaro, Giovanni Canfora, Domenico Caputo, Grazia Ciarlitto, Franco Confalonieri, Maurizio De Tilla, Mario Finoia, Enrico Furia, Annamaria Gallo, Graziano Gallo, Giuseppe Gargani, Carlo Germi, Franco Guazzone, Maurizio Leo, Mario Mantovani, Giuseppe Marchioni, Marco Mariano, Gianni Marongiu, Antonio Marzano, Daniele Molgora, Giuseppe Pasero, Antonio Piccolo, Franco Antonio Pinardi, Emilio Quaranta, Dario Rivolta, Vincenzo Scotti, Roberto Simonazzi, Stefania Trincanato, Maurizio Villani, Massimiliano Zarri Hanno collaborato a questo numero: Grazia Albanese, Annamaria Gallo, Idalisa Lamorgese, Franco Antonio Pinardi, Roberto Simonazzi, Martino Verrengia, Maurizio Villani Internet realizer: Inter Media Communication srl Alessandro Falcetti www.intermediacommunication.it e-mail: [email protected] Giustizia di Pace PROCESSO DI PACE ❖ Sinistro stradale provocato da animale selvatico: la responsabilità del proprietario della strada . . .47 ❖ Spese di causa dovute in caso di rifiuto della proposta conciliativa anche se il giudizio è vinto . . . .49 ❖ Perde il controllo perché distratto dal navigatore: niente revisione della patente . . . . . . . . . . . . . . . .53 ❖ Locazioni: Cassazione, morosità non è sanata se non si pagano tutti i canoni con interessi e spese . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .55 ❖ L'anti-autovelox in auto: è vietato se è in grado di intercettare un rilevatore effettivamente in funzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .57 ❖ Cronaca giornalistica e privacy: va risarcito il danno morale ed esistenziale se dallʼarticolo si può dedurre lʼidentità del soggetto coinvolto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .59 C.G.d.P. VITA ASSOCIATIVA ❖ Rinnovo degli Organi Direttivi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .62 ❖ Al Ministro della Giustizia Onorevole Andrea Orlando . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .63 Tribuna Finanziaria: www.tribunafinanziaria.it E-mail: [email protected] www.cugit.it www.magistraturatributaria.it Impaginazione, Grafica, Fotocomposizione e Stampa: Tipo-Lito Wafra di Marinelli - Cesena (FC) www.wafra.it App Developer: Emilia Center srl - Bologna www.emiliacenter.biz Editore: Inter Media Communication srl Via Antonio Kramer, 21 - 20129 Milano Tel. e Fax 0248464213 E-mail: [email protected] www.intermediacommunication.it Abbonamenti - Pubblicità Nazionale: Inter Media Communication srl Via Antonio Kramer, 21 - 20129 Milano Tel. e Fax 0248464213 E-mail: [email protected] www.intermediacommunication.it Chiuso in stampa giugno 2014 Autorizzazione del Tribunale di Milano N. 388 del 2/7/1994 - Periodico bimestrale Anno XLIX - Numero 2/2014 Abbonamento semplice 120,00 € + IVA sostenitore 200,00 € + IVA benemerito 300,00 € + IVA copia singola 20,00 € + IVA Visita le nostre pagine facebook: https://it-it.facebook.com/cugit https://it-it.facebook.com/GiudicidiPace w w w. t r i b u n a f i n a n z i a r i a . i t Iscriviti alla Confederazione Unitaria Giudici Italiani Tributari C.U.G.I.T., e partecipa così attivamente alla vita della Giustizia Tributaria per dare al Paese e ai cittadini tutti, leggi migliori, maggiori garanzie, certezza delle libertà e dei principi Costituzionali Moduli e spiegazioni sui siti: www.cugit.it - www.giustiziadipace.it IUSTITIA EST NORMA VITAE AD PACEM Organo Ufficiale della Confederazione Unitaria Giudici Italiani Tributari - C.U.G.I.T e della Confederazione Giudici di Pace C.G.d.P. Periodico di informazione economico, fiscale, giuridico - giuridico-tributaria e di prassi amministrativa, edita sotto l’alto patrocinio dell’U.F.E. Unione del Personale Finanziario in Europa, che rappresenta 40 sindacati operanti in 17 Paesi Europei in rappresentanza di oltre 350.000 dipendenti delle rispettive Amministrazioni fiscali e doganali; con l’egida del Movimento Italiano Dirigenti Amministrazione Stato - M.I.D.A.S. e dell’Associazione Nazionale per l’assistenza ai Finanziari e Pubblici Dipendenti dello Stato e Parastato A.N.A.Fi. e dell’Associazione Investigatori Forze di Polizia A.I.F.P. TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 4 Crisi d’impresa e irregolarità bancarie EDITORIALE a cura del Cav. Franco Antonio Pinardi 4 Una nuova realtà professionale ha fatto da alcuni mesi capolino nel panorama delle società di consulenza Aziendale del nostro paese. La gestione della crisi dʼimpresa è il focus di Tutela Impresa Srl, società di consulenza di recente costituzione nata per la tutela del “Diritto della crisi dʼImpresa” e patrocinata da Assotutela Imprese. La chiave di lettura adottata dai suoi due fondatori, il rag. Carlo Oriani, precursore ed esperto nel campo delle irregolarità bancarie, ed il dott. Michelangelo Bassi, Dottore Commercialista ed esperto in Crisi aziendali, è quella della gestione della crisi e della salvaguardia dei posti di lavoro usufruendo degli strumenti forniti dal legislatore ed introdotti nel nostro ordinamento giuridico a partire dal 2006, rispetto a quanto normato dal previgente diritto fallimentare regolato dal Regio Decreto 16 Marzo 1942, nr. 267. Gli strumenti forniti da questa “copernicana” riforma, vengono enormemente potenziati dallʼanalisi delle Irregolarità Bancarie: e qui sta lʼaspetto innovativo che i fondatori hanno voluto imprimere alla propria attività consulenziale. Le sfide che oggi le imprese sono chiamate ad affrontare sono quanto mai pressanti, sotto ogni aspetto. Un mercato in continuo ed imprevedibile mutamento impone agli imprenditori di ripensare i modelli di sviluppo canonici e di introdurre elementi dʼinnovazione nella strategia aziendale. Occorre altresì essere preparati ad affrontare situazioni di crisi dalle quali può dipendere la vita stessa dellʼimpresa. La riforma della legge Fallimentare ha riguardato soprattutto il diverso approccio di mentalità introdotto dal Legislatore, il quale ha inteso salvaguardare le possibilità di prosecuzione dellʼattività dellʼimpresa ed il mantenimento dei livelli occupazionali anche nei casi di crisi più profonda, con ciò effettuando una coraggiosa scelta di “politica economica”. La chiave di volta adottata da Tutela Impresa risulta essere lʼanalisi delle irregolarità bancarie: questo è lo strumento principe per la risoluzione della crisi dʼimpresa o per lʼimplementazione della maggior parte delle operazioni straordinarie che lʼimprenditore intenda pianificare. La maggior parte delle aziende ha come principale creditore il Sistema Bancario ed inevitabilmente, qualora lʼimprenditore intenda portare a termine qualsivoglia progetto di natura straordinaria (che può andare da una parziale o totale delocalizzazione fino ad eventuali Piani di Risanamento, Accordo di Ristrutturazione o Concordato Preventivo ma anche la rinegoziazione delle garanzie nel corso degli anni prestate e la conseguente tutela del patrimonio personale dellʼimprenditore) non può esimersi dal sedersi con gli Istituti di Credito. Lʼanalisi delle irregolarità bancarie, ed il conseguente accertamento negativo del credito promosso nei confronti del ceto bancario consente allʼimprenditore di sedersi al tavolo con una forza maggiore. Nello specifico, lʼanalisi delle irregolarità bancarie verte principalmente su: I – ANATOCISMO Dal greco anà- di nuovo e takos - interesse. Lʼanatocismo dunque si sostanzia nella capitalizzazione composta, anziché la capitalizzazione semplice. Lʼanatocismo è il fenomeno che per decenni ha improntato i rapporti di conto corrente, poiché le Banche, come si sa, hanno praticato su detti rapporti la capitalizzazione trimestrale (o in rari casi semestrale) degli interessi dovuti dal cliente, riconoscendo invece gli interessi creditori per il cliente soltanto in occasione della chiusura annuale al 31 dicembre. Questa situazione si è radicalmente modificata quando nel 1999 la Cassazione ha iniziato a modificare il proprio orientamento (prima non contrario allʼanatocismo), dichiarando la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del correntista. Nellʼagosto dello stesso anno (DL n. 342/1999) il legislatore interveniva (modificando lʼart. 120 del TUB) su un duplice piano: - Da una parte stabiliva un principio di reciprocità e dunque di pari cadenza nella maturazione degli interessi attivi e passivi a valere sul c/c; - Dallʼaltra, tramite una norma transitoria, salvava il pregresso, riconoscendo come validi i contratti con clausola di capitalizzazione trimestrale stipulati ante entrata in vigore del provvedimento normativo. Il decreto denominato per tale suo contenuto -“salvabanche”-, veniva invalidato da una sentenza della Corte Costituzionale. Venuto così meno questo escamotage legislativo, la Cassazione, nel solco della sentenza del 1999 (n. 2374/1999), ha continuato a sanzionare tramite le proprie decisioni la contabilizzazione anatocistica degli interessi, stabilendo in buona sostanza un principio definitivo con una sentenza a Sezioni unite (4 novembre 2004 n. 21095), secondo cui: - Viene confermata la nullità delle clausole anatocistiche a valere sul conteggio interessi del c/c a debito del cliente; - Dette clausole sono nulle anche se contratte e sottoscritte prima dellʼanno 1999. Tribuna Finanziaria - n. 3 Dal canto suo il legislatore proprio con DL sopra citato delegava al Comitato interministeriale per il credito ed il risparmio – CICR, il compito di stabilire modalità e criteri di produzione degli interessi prevedendo come regola fondamentale la stessa periodicità nel conteggio degli interessi debitori e creditori. Si aveva così la delibera CICR del 9.02.2000 che, recependo appunto tale principio di reciprocità, è diventato per i rapporti di c/c una sorta di linea di confine tra i contratti sottoscritti prima e dopo lʼentrata in vigore della delibera stessa. 1) Contratti stipulati post delibera CICR Indipendentemente dalla possibilità che sussistano altri vizi, in questi contratti di norma il vizio anatocistico non dovrebbe sussistere, sempre che ovviamente la Banca si sia attenuta correttamente alla delibera e gli interessi creditori e debitori vengano appunto conteggiati con pari periodicità. Tuttavia, anche alla luce della giurisprudenza formatasi, è fondamentale verificare che la clausola di capitalizzazione degli interessi sia stata validamente pattuita, vale a dire approvata specificatamente per iscritto dal correntista. Qualora una valida pattuizione manchi, la clausola sarà inefficace (art. 6 delibera CICR) e dunque la capitalizzazione operata dalla Banca dovrà essere contestata ed oggetto di ripetizione da parte del correntista. Pertanto ai fini della validità non sarà sufficiente ad esempio una mera comunicazione scritta da parte della Banca al cliente. 2) Contratti stipulati prima della delibera CICR Alla luce delle plurime sentenze di Cassazione pronunciate sulla questione dellʼanatocismo, le clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi ante adeguamento delle Banche alla delibera del CICR sono senzʼaltro nulle e tale nullità è rilevabile dʼufficio, nel senso che il giudice la rileva anche senza che in giudizio il correntista debba farla valere (Cass. Sez. Unite n. 21095/2004). Tale nullità rende anche impossibile per la Banca di procedere ad un ricalcolo degli interessi debitori per il correntista con capitalizzazione annuale (così come si procedeva per la capitalizzazione degli interessi creditori), sulla base del ragionamento che dovesse allora essere applicato un criterio di reciprocità. In realtà la nullità della clausola rende impraticabile lʼapplicazione di tale criterio, sicché gli “…interessi a debito del correntista debbono essere (ri) calcolati senza operare capitalizzazione alcuna”. Evidentemente la nullità delle clausole anatocistiche e dunque la necessità di ricalcolare gli interessi debitori che la Banca abbia conteggiato fino allʼentrata in vigore della delibera CICR influiscono sullʼammontare del saldo debitore di c/c a partire dal quale poi gli interessi sono conteggiati con pari reciprocità. In altre parole per effetto dellʼanatocismo, la base di partenza sui cui poi gli interessi vengono conteggiati con reciprocità risulta falsata. Ne consegue che in realtà per i contratti sottoscritti ante delibera CICR, tutto lo svolgimento del rapporto (salvo quanto si dirà in tema di prescrizione) dovrà essere contabilmente riconsiderato e riconteggiato in tema di interessi. Fondamentale per il ricalcolo degli interessi è lʼesame degli estratti conto, vale dire quel documento di uno o più fogli nel quale è periodicamente riportata per date e per valuta tutta la movimentazione del conto corrente. Tale documento deve poi essere integrato dal cosiddetto conto scalare, il foglio contabile cioè nel quale sono riportati i saldi giornalieri del periodo sulla base dei quali vengono conteggiati gli interessi. Il Testo Unico Bancario (TUB) prescrive lʼobbligo della Banca di inviare periodicamente lʼestratto conto alla clientela, prevedendo che in mancanza di contestazione da parte del correntista entro 60 giorni, lʼestratto conto si intende approvato. A questo riguardo però la giurisprudenza (es. Cass. n. 26318/2008) ha più volte chiarito come la mancata contestazione dellʼestratto conto entro il sopra citato termine di 60 giorni non può comportare che un debito fondato su una clausola nulla diventi incontestabile. Pertanto lʼapprovazione e/o la mancata contestazione degli estratti conto non preclude in alcun modo il diritto del correntista di veder depurato il proprio corrente dal fenomeno anatocistico. Da ultimo la legge di stabilità 2014 (legge 147/2013) ha disposto espressamente: - Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione degli interessi ……. prevedendo in ogni caso che: a) Nelle operazioni in c/c sia assicurata ……. la stessa periodicità di conteggio; b) Gli interessi periodicamente capitalizzati non possono produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale. Con ciò in pratica viene posto fine allʼanatocismo, anche se spetterà appunto al CICR impartire le istruzioni operative per dar corso in concreto a quanto disposto dal legislatore. Sotto questo profilo sarà molto importante verificare poi come le Banche si regoleranno. II - PATTUIZIONE DEL TASSO Fondamentale per la verifica della correttezza dei conteggi degli interessi debitori effettuati dalla Banca, a prescindere dallʼanatocismo, è poi che il tasso in percentuale risulti nel contratto pattuito per iscritto. Tale pattuizione deve risultare, o per lʼaver determinato una cifra numerica (es. 3%), o per lʼaver indicato un criterio tale da rendere la quantificazione del tasso determinabile in modo certo (es. un punto percentuale in più rispetto al prime rate). Un tempo le Banche usavano quantificare nei contratti di c/c il tasso a debito dei Clienti con la clausola che letteralmente recitava: “Secondo gli usi di piazza”. Tuttavia lʼart. 117 TUB ha sancito che “Sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi dʼinteresse e di ogni altro prezzo e condizioni praticate ...”. La stessa norma prevede inoltre che in questo caso alla Banca siano dovuti, in sostituzione di quelli conteggiati, gli interessi calcolati al tasso nominale minimo dei BOT annuali. Tribuna Finanziaria - n. 3 EDITORIALE TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 5 5 EDITORIALE TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 6 6 Occorre però considerare che la giurisprudenza nel corso degli anni non solo: - ha più volte confermato la nullità delle clausole “uso piazza”(es. Cass. 25.2.2005 n. 4095 - T. Brescia 18.1.2010 - T. Torino 21.1.2010 - T. Piacenza 22.12.2010); - ma ha pure precisato che il criterio sostitutivo di conteggio indicato dallʼart. 117 del TUB, vale unicamente per i contratti sottoscritti dopo lʼentrata in vigore del TUB (legge 154/1992- d.lgs. 385/1993), proprio in quanto per tale normativa è prescritta la irretroattività. Per i contratti invece sottoscritti ante anno 1992, la giurisprudenza è divisa: a) Secondo taluni Tribunali (es. T. Lecce 9.7.2009 - T. Mondovì 30.1.2007 - T. Pescara 5.1.2006) il conteggio degli interessi deve essere effettuato al tasso legale fino allʼentrata in vigore del TUB e solo successivamente secondo il criterio indicato dallʼart. 117 di detta normativa; b) Secondo altri Tribunali e/o Corti (es. App. Aquila 16.7.2008 - T. Monza 12.12.2005 - T. Brescia 18.1.2010), invece il riconteggio degli interessi debitori deve avvenire al tasso legale ex art. 1284 cod. civ. per tutta la durata del rapporto. Resta comunque assodato che il vizio costituito dalla apposizione in contratto della clausola “uso piazza” non può essere sanato, né, come si è già scritto, dalla mancata contestazione dellʼestratto conto da parte del Cliente, né tramite comunicazione unilaterale del tasso da parte della Banca al cliente stesso. II bis - LO IUS VARIANDI Come viene chiarito dalle Istruzioni di Bankitalia, lo ius variandi è la facoltà riservata ad un soggetto (detto soggetto attivo) di poter modificare alcune condizioni contrattuali anche dopo la conclusione del contratto e cioè in pratica durante la sua esecuzione. La regolamentazione normativa di tale istituto risiede nel dettato dellʼart. 118 TUB. Fondamentale, perché la Banca possa esercitare lo ius variandi durante la vita del contratto, è che tale potere unilaterale dellʼIstituto di credito sia stato preventivamente pattuito con il Cliente e che la variazione si fondi su una motivazione giustificata. Alla luce di svariate decisioni dellʼABF (arbitro bancario e finanziario) sia di Milano che di Roma, si possono trarre alcuni principi di riferimento nella valutazione delle variazioni che intervenissero nel rapporto bancario del Cliente: - Lʼesercizio dello ius variandi non è idoneo ad introdurre nuove clausole, potendo solo variare al massimo quelle esistenti; - La motivazione giustificata non può consistere in un mero richiamo della Banca “allʼandamento del rapporto creditizio” oppure “allʼattuale crisi economica e finanziaria”; in pratica non può risolversi in una affermazione e giustificazione generica che non si fondi appunto su fatti circonstanziati e ben precisi. III - Mancanza del contratto di c/c e/o mancata sottoscrizione del Cliente in calce al contratto Lʼart. 117 del TUB tra lʼaltro dispone che “i contratti sono redatti per iscritto ed un esemplare è consegnato ai clienti ……. in caso di inosservanza della forma prescritta il contratto è nullo”. Ne discende che qualora la Banca non sia in grado di produrre (perché smarrito o perché mai sottoscritto) il contratto di c/c recante la sottoscrizione del Cliente, ogni interesse, spesa o commissione rivendicata dalla Banca stessa è affetto da nullità. Altra eventuale lacuna formale da valutare con grande attenzione è quella costituita dal caso in cui nel documento contrattuale sia stato omesso, per dimenticanza, il numero di c/c. In questo caso, anche se sarà precipuo compito dellʼavvocato ben valutare lʼimpatto giuridico di tale omissione, si potrebbe ipotizzare lʼinesistenza di un effettivo rapporto contrattuale alle condizioni (tassi, spese competenze e quantʼaltro) pattuite ed indicate dal documento, per mancata individuazione del rapporto. IV - Mancata sottoscrizione del contratto di c/c da parte della Banca Il T. Mantova con sentenza 13.3.2006 ha precisato che con lʼentrata in vigore del TUB “…. tutti i contratti bancari devono necessariamente stipularsi per iscritto a pena di nullità, requisito questo che non può ritenersi rispettato nel caso di sottoscrizione della scheda negoziale unicamente dal cliente”. Naturalmente tale decisione ha dato il via ad una serie di contestazioni da parte dei Correntisti nei confronti delle Banche, tenuto conto che di solito la Banca produce appunto in giudizio la copia del contratto con la sola sottoscrizione del Cliente. Su questo aspetto è però opportuno considerare che recentemente il T. Monza con sentenza del 13.5.2012, conformandosi ad una sentenza della Cassazione resa in tema di intermediazione finanziaria (Cass. n. 4564/2012), ha chiarito che in simili casi il Cliente non può eccepire la presunta nullità del negozio giuridico per difetto di forma. Infatti la sottoscrizione del correntista è sufficiente a rispettare i requisiti di forma del contratto prescritti dalla legge, posto che la volontà della Banca, in quanto proponente, è già espressa nel contratto tipo da essa predisposto e di cui entrambe le parti hanno dato nel tempo attuazione. Dunque tale presunto vizio parrebbe al momento non prestarsi a contestazioni che ragionevolmente sortiscano risultati economicamente vantaggiosi per il Cliente, anche se sarà poi compito dellʼAvvocato, valutare caso per caso se ci siano spazi di lite sotto questo profilo. V – La CMS ovvero La Commissione di massimo scoperto Per Commissione di massimo scoperto si intende lʼonere economico aggiuntivo che la Banca periodicamente addebita al cliente correntista che sia affidato, quale rimunerazione dovuta per il fatto di tenergli a disposizione una determinata somma per un determinato periodo. Occorre da subito precisare che sullʼargomento non è stata ancora acquisita sufficiente chiarezza e ciò per almeno tre motivi: a) Le banche nel passato hanno applicato la cms con criteri contabili spesso molto differenti da istituto ad istituto; b) Il successivo intervento del legislatore non è stato improntato a criteri di chiarezza ed univocità di interpretazione; Tribuna Finanziaria - n. 3 c) Le stesse banche nel recepire ed attuare le indicazioni della nuova normativa hanno attuato scelte gestionali ed operative molto diverse tra loro. Resta però indubitabile che lʼart. 2 bis della legge 28/1/2009 n. 2 ha dichiarato la nullità della cms, nullità peraltro già sostenuta dalla giurisprudenza (in primis Cass. 14.5.2005 n. 10127) con varie motivazioni e cioè per mancanza di espresso patto al riguardo con il cliente affidato, per eccessiva genericità in ordine a quali periodi e per quali importi essa venga applicata (da ultimo es. T. Verbania 24.4.2013 – T. Catanzaro 21.3.2013 - T. Taranto 14.2.2013), per essere una forma occulta di costo a carico del Cliente (T. Mondovì ord. 30.1.2007). Solo in alcuni casi i giudici (es T. Mantova 21.4.2007 – T. Mondovì 17.2.2009) nel confermare la nullità della commissione di massimo scoperto intesa come onere calcolato sugli importi entro il fido concesso (non sussiste infatti “scoperto”), ne hanno invece riconosciuto la legittimità se calcolata sulle somme utilizzate extra fido. Come si è detto, con lʼart. 2 bis della legge 28/1/2009 (che convertiva il d.l. 28.11.2008 n. 185), il legislatore: d) sanciva in linea generale la nullità delle “vecchie” clausole aventi per oggetto la cms; e) ne consentiva peraltro la sussistenza, a condizione che la medesima, purché espressamente pattuita, fosse addebitata in presenza di un fido ed a fronte di un saldo debitore per un periodo continuativo (cioè senza interruzioni) non inferiore a trenta giorni; il corrispettivo inoltre doveva essere calcolato in modo proporzionale rispetto allʼimporto del fido ed alla sua durata. In un momento successivo (legge 3.8.2009 n. 102) lo stesso legislatore precisava che la commissione per la messa a disposizione dei fondi, oltre ad essere omnicomprensiva, non poteva superare lo 0,5% trimestrale calcolato sullʼimporto dellʼaffidamento, a pena di nullità del patto di rimunerazione. Infine con la legge 22.12.2011 n. 201 veniva introdotto lʼart. 117 bis del TUB il cui titolo è di per sé altamente esplicativo: “Remunerazione degli affidamenti e degli sconfinamenti”. Tale articolo ha per contenuto: a) la previsione che, interessi debitori a parte, alla Banca è consentita soltanto lʼapplicazione di una commissione omnicomprensiva; b) la proporzionalità di tale commissione rispetto allʼammontare del fido e alla durata dellʼaffidamento; c) la conferma del limite dello 0,5% trimestrale calcolato sullʼammontare del fido; d) una specifica disciplina nel caso di sconfinamenti, distinguendo lʼipotesi che il Cliente utilizzi oltre il fido (extrafido), dallʼipotesi che il Cliente non abbia fido (sconfinamento senza fido). Tralasciando per comodità espositiva la particolare disciplina nel caso di assenza di fido (commissione di istruttoria veloce, casi di esenzione previsti da decreto CICR 30.6.2012 ecc. ecc.), il concetto fondamentale ora vigente è che attualmente è sancita la nullità di tutte le clausole che prevedano commissioni a fronte della concessione di fidi, loro mantenimento e loro utilizzo, oppure anche a fronte di sconfinamenti oltre e/o senza fido, stipulate in violazione dellʼart. 117 bis TUB e disposizioni applicative. Da quanto sopra se ne deduce che la materia inerente lʼapplicazione della CMS è alquanto delicata e costituisce sicuramente una degli aspetti che devono essere necessariamente oggetto di valutazione, in aggiunta al fenomeno anatocistico, in sede di Preverifica e tanto più in sede di Perizia Econometrica. In entrambi i casi, oltre allʼesame del contratto di c/c ed eventuali patti aggiuntivi, sarà fondamentale la lettura degli estratti conto scalari. VI – USURA e TASSO SOGLIA Si tratta di un contesto estremamente delicato, poiché le eventuali contestazioni non si muovono più su di un piano prettamente civilistico, bensì penale. Il nostro codice penale difatti allʼart. 644 (come riformato dalla legge 7 marzo 1996 n. 108) prevede il delitto di usura che stabilisce la pena della reclusione e multa a carico di chi sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, si fa dare o promettere, quale corrispettivo di una somma di denaro, interessi od altri vantaggi usurari. Lo stesso articolo precisa, tra lʼaltro, che la legge determina il limite oltre il quale gli interessi devono intendersi sempre usurari. E questo limite (che viene fissato trimestralmente categoria per categoria dal Ministero Tesoro) era inizialmente stabilito “… nel tasso medio risultante dallʼultima rilevazione pubblicata nella Gazzetta Ufficiale ……. relativamente alla categoria di operazioni il cui credito è compreso, aumentato della metà”. Successivamente con il D.L. 13 maggio 2011 n. 70 poi legge 12 luglio n. 106 il tasso medio, inteso quale limite, deve essere aumentato di un quarto a cui poi devono essere aggiunti altri quattro punti percentuali. In ogni caso la differenza tra il limite ed il tasso medio non può essere superiore ad otto punti percentuali. Non è questa la sede per approfondire nei suoi vari aspetti sia giuridici che tecnico contabili una fattispecie così complessa e spinosa quale la sussistenza o meno del reato di usura. Soltanto unʼaccurata analisi degli estratti conto bancari e degli scalari consente al consulente tecnico di appurare misura e periodicità degli eventuali superamenti del tasso soglia da parte della Banca nella gestione del rapporto bancario. Tuttavia alla luce della normativa in vigore e della giurisprudenza formatasi in materia, possono enuclearsi alcuni punti fondamentali, intesi quali linee guida: a) Lʼipotesi di usura, proprio perché trattasi di reato penale, deve essere agitata con cautela e soprattutto con cognizione di causa, evitando accuse tanto di facile presa nei confronti del Cliente, quanto poi infondate alla realtà dei fatti. b) La Cassazione con sentenza 19 febbraio 2010 n. 12028 ha confermato un orientamento giurisprudenziale precedentemente formatosi che, ai fini del calcolo del tasso effettivo globale, faceva anche rientrare le commissioni di massimo scoperto. c) Con tale sentenza la Cassazione precisava anche che la segnalazione trimestrale effettuata da Bankitalia agli Istituti di credito in tema di tasso soglia (“Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai Tribuna Finanziaria - n. 3 EDITORIALE TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 7 7 EDITORIALE TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 8 8 sensi della legge sulla usura”) non doveva ritenersi conforme allʼart. 644 codice penale, proprio perché nel metodo di calcolo non teneva conto della commissione di massimo scoperto. d) Qualora dalle verifiche contabili emerga che il tasso soglia è stato superato, che questo superamento trova ragione nella cms, la sussistenza del reato di usura, almeno sotto il profilo soggettivo, sarà da escludersi proprio perché le Banche si sono attenute in buona fede alle Istruzioni di cui sopra (Cass. pen. 19.12.2011 n. 46669). e) Ciò in pratica significa che nessun esponente bancario potrà essere incriminato, anche se il reato di usura oggettivamente comunque dovrà considerarsi sussistere e dunque, responsabilità penale esclusa, permarrà pur sempre lʼobbligo di restituzione della Banca per gli interessi indebitamente percepiti. f) La precisazione in ordine allʼesclusione di responsabilità penale di cui al punto sub. d) è operante per tutte le fattispecie sino allʼentrata in vigore dellʼart. 2 bis D.L. n. 185/2008, con cui il legislatore ha chiarito che la prassi amministrativa di calcolo (Le Istruzioni, appunto) era errata e che tutti gli oneri, cms compresa dovevano rientrare nei calcoli dei tassi soglia. Da ultimo è opportuno sottolineare come per giurisprudenza costante il momento di consumazione del reato è quello in cui gli interessi sono stati pattuiti. Ne consegue che fuori dalla previsione normativa dovrebbero risultare tutti i contratti stipulati ante anno 1996 anche se con condizioni ora non più conformi alla legge n. 108/1996 che appunto ha riformato, come si è scritto, lʼart. 644 codice penale. Tuttavia recentemente (Cass. 11.1.2013 n. 893) la Suprema Corte pare aver dato cittadinanza giuridica alla cosiddetta “usura sopravvenuta”, stabilendo che detti contratti devono essere assoggettati ad una automatica sostituzione delle clausole che non appaiono più in linea con la normativa antiusura. VII – LA PRESCRIZIONE Esaminati seppur sommariamente una serie di vizi di cui i rapporti bancari (precipuamente il rapporto di c/c) possono essere affetti, resta da evadere un quesito fondamentale: a) Dato per scontato che il Cliente vanti nei confronti della Banca un diritto di restituzione somme (per anatocismo-per mancata pattuizione tasso- per cms ecc. ecc.), fino a che data si può retroagire rispetto alla data di apertura del rapporto? In altre parole il signor Rossi che ha aperto un conto corrente nellʼanno 1995 e che ha riscontrato anomalie fin dalla apertura del rapporto, trovandosi ora ad es. al 30 novembre 2013, fino a che data potrà retroagire nella sua pretesa restitutoria? Sul punto la giurisprudenza di merito è stata a lungo divisa. b) Secondo taluni giudici (es. App. Brescia 16.1.2008) lʼordinario termine di prescrizione decennale decorreva dalla singola data in cui ciascuna operazione che viene contestata era stata compiuta. Alla luce di questa decisione ne derivava che ad es. se oggi il correntista Rossi avviava una causa restitutoria nei confronti della Banca, non poteva far rientrare nella domanda tutte le operazioni ante 06 maggio 2004. c) Secondo invece molti altri giudici, la prescrizione decennale decorreva dalla data di chiusura del rapporto. Nel nostro caso esemplificativo quindi il correntista Rossi (che avesse chiuso il conto il 30 giugno 2013) poteva avanzare la sua domanda restitutoria sino al 30 giugno 2023 e per tutte le operazioni registrate sul conto stesso dalla sua apertura. d) Interveniva allora la Cassazione a Sezioni unite (sentenza n. 24418 del 2.12.2010) che, ragionando in tema di unitarietà del rapporto bancario e mutuando alcuni concetti dal contesto attinente lʼazione revocatoria fallimentare, affermava, seppur con alcuni importanti distinguo, che di massima il termine di prescrizione decennale si intende decorrere dalla data di chiusura del rapporto e non dalla data di compimento di ciascuna operazione contestata dal Cliente. e) A fronte di una decisione così economicamente significativa interveniva il Governo che, nellʼambito di uno dei decreti definiti “milleproroghe” (art. 2 DL n. 225/2010), ribaltava il quadro giuridico, stabilendo al contrario, che la prescrizione decennale iniziava a decorrere dalla data di annotazione in conto della operazione che si intendeva contestare. Tuttavia: f) La Corte Costituzionale con sentenza n. 078 del 2.4.2012 dichiarava incostituzionale tale norma contenuta nel succitato decreto milleproroghe, sicché allo stato attuale si intende come assodato il criterio enunciato dalle Sezioni Unite della Cassazione sopra citato. Nello specifico le Sezioni Unite con tale sentenza operano una distinzione fondamentale, che, pur riguardando principalmente i consulenti preposti alla ricostruzione contabile del rapporto, può essere così riassunta: 1) Per le operazioni che siano semplicemente ripristinatorie del fido (cioè movimentazione che si mantiene allʼinterno della somma massima accordata come affidamento dalla Banca), il termine di prescrizione decennale decorrerà dalla data di chiusura del conto; 2) Per le operazioni extra fido (cioè movimentazione in assenza di fido o movimentazione tramite cui il correntista ha oltrepassato i limiti massimi di fido), la prescrizione decorrerà dalla data di annotazione di ciascuna di tali operazioni. IN CONCLUSIONE: - Rimesse solutorie quando il saldo debitore è oltre il fido o il conto non è affidato - Rimesse ripristinatorie quando il conto risulta entro i limiti di fido - Rimessa ripristinatoria decorrenza prescrizione dalla chiusura del rapporto - Rimessa solutoria decorrenza prescrizione dalla data della rimessa - Addebito di competenze non dovute su c/c attivo decorrenza prescrizione data dellʼaddebito. VIII – MUTUI E LEASING Le criticità sopra esposte non possono spesso che riflettersi anche su queste due figure contrattuali che vedono quali parti, la Banca e lʼImprenditore e che possono risultare viziate sotto un duplice diverso aspetto: Tribuna Finanziaria - n. 3 - o per anatocismo; - o comunque perché il tasso effettivo pagato dal Cliente risulti allʼatto pratico diverso da quello espressamente pattuito. Anche in questi casi, fondamentale è la ricostruzione contabile effettuata dagli esperti. a) Eventuali profili critici dei mutui In questa sede è soltanto opportuno precisare che la sussistenza di un contratto di mutuo in capo al Cliente deve essere evidenziata come una possibile fonte di vizi e dunque di diritti restitutori. a1) Come noto a tutti, nellʼambito del mutuo il mutuatario restituisce alla Banca mutuante la somma mutuata tramite rate periodiche, comprensive sia degli interessi pattuiti, che di una quota del capitale, secondo una metodologia prestabilita nel piano di ammortamento. In particolare il piano di ammortamento può prevedere: - O quote in conto capitale costanti con rate descrescenti a seguito della progressiva contrazione degli interessi che maturano; - Oppure (ammortamento alla francese, molto utilizzato anche dalle Banche italiane), con rimborso a rate costanti, con la quota in conto capitale crescente e quota interessi calcolata con la formula dellʼinteresse composto, vale a dire calcolo degli interessi sugli interessi. In questo secondo caso, taluni Tribunali (es. T. Bari, sentenza n. 113/2008) ritengono che vi sia una duplice violazione: - In primo luogo, con tale metodo di ammortamento il mutuo risulterebbe avere un tasso di interesse concretamente molto più oneroso rispetto a quello formalmente pattuito; più numerose sono le rate, più il mutuo costa e ciò appunto perché con i mutui alla francese viene applicato la regola matematica dellʼinteresse composto e non di quello semplice; - In secondo luogo, violazione degli artt. 1283-4 cod.civ. che consentono caso mai la capitalizzazione composta sia successiva alla maturazione dellʼinteresse e mai precedente, come appunto avviene in questa tipologia di mutui, nonché stabiliscono lʼapplicazione del tasso legale qualora vi sia indeterminatezza in quello pattuito. a2) Molta attenzione dovrà essere altresì prestata qualora la Banca, nel corso del mutuo eserciti lo ius variandi, vale a dire, come sopra chiarito, operi una variazione che spesso si traduce in un aumento del tasso applicato sulla base di clausole contrattuali sottoscritte dal cliente allʼatto della stipula; in taluni casi la giurisprudenza (es. T. Pescara 23.3.2006) ha sancito la nullità di simili clausole quando esse siano affette da indeterminatezza ed in quanto espressione della arbitrarietà della Banca. a3) Recentemente con sentenza 9.1.2013 n. 350 la Cassazione ha affrontato il tema degli interessi usurari sui mutui, stabilendo che al fine di stabilire il superamento o meno del tasso soglia rileva anche il tasso degli interessi di mora e tutte le altre spese sostenute dalla parte mutuataria. a4) Del resto la stessa Cassazione (Cass. n. 2593/2003) già da tempo aveva specificato il divieto di anatocismo sugli interessi dei mutui, non essendo consentito che gli interessi di mora maturino sullʼintera rata impagata, anziché, come sarebbe corretto, unicamente sulla quota capitale. a5) Infine particolare attenzione deve essere prestata allorché il Cliente risulta titolare di un mutuo non stipulato al fine di ricevere ed utilizzare un vero e proprio finanziamento, bensì erogato dalla Banca soltanto per ripianare una pregressa esposizione di c/c. Come evidente, in questi casi la Banca con tale contratto ha una utilità immediata, perché trasforma il proprio credito da chirografario a prelazionato (trattandosi quasi sempre di mutui ipotecari). Tuttavia: - Se il saldo debitore di c/c così ripianato era viziato da anatocismo, parimenti il contratto di mutuo è invalido; - La giurisprudenza di merito (es. T. S. Maria Capua Vetere 14.10.2011 - T. Latina 16.12.2009 - T. Busto A. ord. 9.7.2012 in tema di mutuo fondiario) ha più volte sancito la nullità di simili contratti in cui manchi la effettiva erogazione (se non a fini compensativi rispetto al debito di c/c) della somma mutuata. - La stessa Cassazione (Cass. n. 8564/2009) affrontando la fattispecie del mutuo di scopo, ha sancito la nullità del contratto, in cui lʼerogazione in realtà serviva a ripianare una precedente esposizione. b) Eventuali profili critici nel leasing Anche il contratto di leasing può essere a sua volta fonte di criticità. Sappiamo tutti che il leasing è un contratto che consente, a fronte del pagamento di un canone periodico, di avere il godimento di un bene per lʼesercizio della propria attività professionale e/o imprenditoriale, con la possibilità al termine del contratto di acquistare la proprietà del bene stesso. Tale figura contrattuale prevede di solito un utilizzatore- il soggetto che concede il leasing e che dunque acquista il bene scelto e ne conserva la proprietà sino alla scadenza del contratto il fornitore che vende il bene alla società di leasing. Esiste (poco frequente) un leasing operativo in cui la società che produce il bene lo cede in leasing al soggetto che lo utilizza. La forma invece più abituale è quella del leasing finanziario che appunto comporta come sopra specificato, la presenza di tre parti. Tipico elemento quindi del contratto di leasing è il canone che viene determinato sulla base del valore del bene oggetto del leasing, dai rischi e dalla durata del contratto. Proprio in relazione al canone così come pattuito in contratto, si potranno valutare: costi occulti- tasso effettivo difforme da quello pattuito- fenomeni di anatocismo-superamento tasso soglia; tali vizi saranno più facilmente riscontrabili nel caso in cui (del resto è il più frequente) il canone di locazione non sia fisso, ma variabile in quanto indicizzato rispetto ad un determinato parametro. Seppure non propriamente pertinente ai temi qui trattati, dovrà poi prestarsi una particolare attenzione al leasing traslativo che è una forma particolare di leasing finanziario, in quanto il bene oggetto del leasing di Tribuna Finanziaria - n. 3 EDITORIALE TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 9 9 EDITORIALE TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 10 10 norma è destinato ad avere alla fine del contratto anche un valore superiore a quello iniziale ed il leasing in pratica serve solo a differire nel tempo il passaggio di proprietà in capo allʼutilizzatore con pagamento del prezzo del bene a rate. Anche in questo caso sia i meccanismi di determinazione delle rate, così come la regolazione dei rapporti dare/avere tra concedente ed utilizzatore in caso di risoluzione del contratto, dovranno essere oggetto di attenta valutazione, tenuto conto che: -la Cassazione (Cass. 19.4.2010 n. 13418) ritiene doversi applicare in questi casi la disciplina prevista per la vendita con riserva di proprietà; - nel più frequente caso di risoluzione per inadempimento dellʼutilizzatore, tenuto conto che i ratei comprendono già una quota parte del prezzo, il Concedente avrà diritto alla restituzione del bene ed ad un compenso per lʼutilizzo dello stesso, mentre lʼUtilizzatore avrà diritto alla restituzione dei canoni corrisposti (vedasi da ultimo Cass. 7.2.2012 n. 1695); si tratta, come è intuitivo, di una definizione del rapporto assai complessa che richiede una attenta analisi sotto lʼaspetto contabile ed economico. IX – GARANZIE Un approccio, anche se sommario, alla posizione bancaria globale del Cliente, non potrà comunque prescindere da una verifica sulle garanzie rilasciate dal Cliente stesso e/o da terzi (moglie/marito-parenti- socisocietà collegate, ecc. ecc.) a fronte degli affidamenti ottenuti. Difatti sia la Preverifica, sia la Perizia Econometrica possono avere, a seconda delle risultanze, un impatto significativo anche su tali negozi. Ricordiamo in estrema sintesi che le garanzie possono essere personali o reali: a) La garanzia personale per antonomasia è la fideiussione, cioè il contratto con cui un soggetto garantisce con il proprio patrimonio i debiti propri o altrui; la fideiussione bancaria è caratterizzata dalla necessità che lʼammontare della garanzia sia prestabilito, essendo cioè sanzionata come nulla la fideiussione di importo indeterminato. b) Garanzie reali sono il pegno (garanzia nei ns. casi soprattutto su beni mobili quali denaro-titoli di credito) e lʼipoteca (garanzia su beni immobili). In ordine a tali garanzie ed in funzione di quanto sino ad ora esposto, si possono svolgere alcune fondamentali considerazioni: c) È ovvio che qualora il credito risulti in realtà inesistente e/o inferiore a quello apparente e/o di dubbia quantificazione, anche la garanzia che è stata rilasciata a suo presidio ne verrà travolta, o quantomeno ridimensionata nellʼimporto. In altre parole bisognerà sempre ricordare che ogni vizio che colpisce il debito verso la Banca, andrà di norma ad impattare anche sulla validità della garanzia. d) Nel caso di mutui concessi (come sopra accennato) a ripianamento di pregresse esposizioni debitorie, la possibile invalidità del mutuo si estenderà ovviamente anche alla eventuale ipoteca iscritta a garanzia. e) Particolare attenzione dovrà poi essere prestata in tema di pegni, onde verificare ad es. se parte delle somme erogate dalla Banca, siano state destinate in realtà, direttamente od indirettamente, allʼacquisto di titoli da porre in garanzia a favore della Banca stessa, con particolare riguardo anche alla tipologia dei titoli in questione (es. obbligazioni subordinate) in funzione della MIFID, vale a dire la normativa vigente in tema di servizi di investimento. f) Da ultimo, anche se si tratta di analisi riservata precipuamente allʼ avvocato, il tema delle garanzie, con particolare riferimento alle modalità con cui esse sono state acquisite dalla Banca, potrebbe far emergere una fattispecie molto delicata e pregiudizievole per il Cliente, vale a dire lʼapprofittamento dello stato di bisogno (art. 1448 cod. civ.) che tuttavia è soggetto ad un termine di prescrizione molto breve. X - CENTRALE RISCHI Molto frequentemente il Cliente che si trova ad avere un problematico rapporto con la propria Banca (od anche più Banche) si troverà ad essere segnalato a “Sofferenza” in Centrale Rischi. La Centrale Rischi è in pratica un sistema informativo sullʼindebitamento della clientela verso le Banche e gli altri intermediari finanziari vigilati dalla Banca dʼItalia. Ogni Banca è tenuta mensilmente a segnalare in Centrale Rischi la posizione dei propri clienti ed ogni mese tramite essa è in grado di valutare la posizione debitoria complessiva del proprio cliente nei confronti del sistema. Dunque la Centrale Rischi è uno strumento fondamentale per la valutazione del merito creditizio. Si parla di “Sofferenza” invece, come spiega Bankitalia, allorchè “…. il cliente è valutato in stato di insolvenza…….anche se questo non è stato accertato in sede giudiziaria.” Eʼ evidente che la segnalazione in Centrale Rischi di un Cliente a Sofferenza (inserito cioè nella cosidetta black list), comporta di solito per il medesimo una reazione a catena che può definirsi disastrosa, poiché in conseguenza della segnalazione: - Il Cliente si vedrà revocato ogni affidamento in essere con le Banche e non potrà accedere ad ulteriore credito; - Il Cliente ed i suoi eventuali garanti si troveranno esposti agli atti giudiziali del sistema in funzione recuperatoria dei crediti da questo vantati. - Tale situazione in genere avrà poi un effetto “domino” nei confronti ad es. dei fornitori e di tutte le altre controparti contrattuali. - Molto spesso in conseguenza di ciò il Cliente dovrà optare per soluzioni concorsuali. Tuttavia: - La giurisprudenza di merito (T. Bari 26.3.2012 - T. Novara 18.5.2010 - T.Lecce 12.7.210) ha delineato una responsabilità per danni a carico della Banca, non solo quando la segnalazione avvenga per errore, ma anche quando vi sia errore nella segnalazione della quantificazione della presunta esposizione - La stessa Bankitalia prescrive (circolare n. 139/1991 aggiornamento 29.4.2011) lʼobbligo per le Banche di segnalare se il credito in sofferenza è contestato e per contestato si intende il credito per il quale sia stata adita una qualsivoglia Autorità terza rispetto alle parti. A tale Tribuna Finanziaria - n. 3 TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 11 riguardo però ad es. il Tribunale di Pescara (ord. 21.12.2006) ha stabilito che è contraria ai principi di buona fede generale la segnalazione a Sofferenza di un credito contestato, qualora la contestazione non sia manifestamente infondata. Quanto sopra, oltre ovviamente i casi in cui la segnalazione sia avvenuta fuori dai casi previsti, oppure qualora essa sia utilizzata dalla Banca (caso altrettanto sanzionato dalla giurisprudenza) come forma di pressione nei confronti del Cliente. Eʼ comunque indubbio che lʼesatto accertamento contabile di quanto eventualmente dovuto o non dovuto dal Cliente, potrà spesso costituire: - per lʼIstituto di credito una forte remora ad una segnalazione in Centrale Rischi non ben ponderata, essendovi forti probabilità che tale iniziativa sia poi foriera di una responsabilità risarcitoria per danni. - per il Cliente ed il suo Avvocato, un efficace strumento su cui fondare la richiesta al Magistrato di un provvedimento dʼurgenza (ex art. 700 cpc), volto ad ottenere lʼeliminazione della segnalazione per mancanza dei presupposti. Come nel mondo dellʼimpresa, che non ha visto diffondersi una cultura (per il vero nemmeno adeguate infor- mazioni) degli strumenti di risanamento, anche nel mondo della consulenza tardano a formarsi nel studi professionali altamente qualificati nella crisi dʼimpresa. La materia richiede non solo una profonda esperienza e conoscenza tecnica della normativa di riferimento, ma anche strutture professionali di adeguate dimensioni, che siano in grado di garantire allʼimprenditore lʼampia e concorrente prestazione dei servizi dedicati che la situazione di crisi richiede, e che contempla competenze di natura concorsuale, societaria, giuslavoristica, contabile e fiscale, che debbono essere riversate in modo coordinato e rapido nel processo di ristrutturazione dellʼimpresa in crisi. Il servizio viene esteso anche ai privati con la gestione dellʼesdebitazione e la salvaguardia del patrimonio. Questo è il “buco di offerta” che Tutela Impresa si prefigge di colmare, con il suo network di professionisti di primario livello e la dislocazione su tutto il territorio nazionale. Cav. Franco Antonio Pinardi Segretario Generale: Confederazione Giudici di Pace Confederazione Unitaria Giudici Italiani Tributari Movimento Italiano Dirigenti Amministrazioni Stato Nella C.M. 11/E del 21.05.2014 lʼAmministrazione Finanziaria è intervenuta sul tema dei redditi di lavoro dipendente prodotti allʼestero e lʼapplicazione delle retribuzioni convenzionali, con particolare riferimento al caso in cui il datore di lavoro è estero e non sia presente in Italia alcun soggetto che adempia, in favore del dipendente, gli obblighi contributivi. LʼAmministrazione Finanziaria sottolinea innanzitutto che in base allʼart. 3 del Tuir, le persone fiscalmente residenti in Italia sono tassati sui redditi ovunque prodotti. Dunque, anche i redditi di lavoro dipendente prodotti allʼestero soggiacciono alla potestà impositiva italiana. L'art. 51, co. 8-bis, 917/1986, stabilisce la determinazione del reddito in base alle retribuzioni convenzionali per il lavoro dipendente, prestato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell'arco di 12 mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni. Nel paragrafo 1.5 della C.M. 11/E/2014 viene chiarito che la retribuzione convenzionale va dichiarata “ancorché non sia presente in Italia alcun soggetto che adempia, in suo favore, gli obblighi contributivi”. Lʼagenzia dimentica di sottolineare che lʼapplicazione della normativa interna deve fare i conti con le disposizioni Convenzionali. La stessa Amministrazione Finanziaria già con la C.M. 207/E/2000 aveva affermato che la normativa interna non trova applicazione qualora il contribuente presti la propria attività lavorativa in uno Stato con il quale l'Italia ha stipulato un accordo per evitare le doppie imposizioni e lo stesso prevede per il reddito di lavoro dipendente la tassazione esclusiva Paese estero. In questo caso, infatti, la normativa della convenzione prevale sulle disposizioni fiscali interne. In tema di lavoro subordinato, generalmente, le Convenzioni stipulate dallʼItalia prevedono la potestà impositiva concorrente dello Stato di residenza del contribuente italiano e lo Stato di produzione del reddito, a eccezione del caso relativo al distacco di breve periodo. Più in dettaglio, come abbiamo già avuto modo di sottolineare in precedenti interventi sul tema, generalmente le Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dallʼItalia seguono le indicazioni del Modello OCSE 2010, che costituisce il prototipo convenzionale di riferimento. Nelle Convenzioni il lavoro subordinato rinviene la sua disciplina nellʼart. 15. Lʼart. 15, paragrafo 1, del Modello OCSE 2010prevede una potestà impositiva concorrente tra lo Stato di residenza del lavoratore dipendente e lo Stato di produzione del reddito. Il par. 2, art. 15, del Modello OCSE 2010 prevede delle condizioni al cui verificarsi si applica la potestà impositiva esclusiva dello Stato di residenza del lavoratore. Il caso disciplinato nella richiamata disposizione è quello del distacco di breve periodo. Tribuna Finanziaria - n. 3 (Fonte: Redazione Fiscal Focus) EDITORIALE Lavoro all’estero: i chiarimenti dell’Agenzia nella C.M. 11/E del 21.05.2014 11 Tributi TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 12 Studi di settore e nuovi parametri forensi FISCO a cura dell’Avv. Maurizio Villani 12 Sono entrati in vigore dal 3 aprile i nuovi parametri forensi. Il decreto 10 marzo 2014, n. 55 del Ministero della Giustizia (“Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense”) è stato, infatti, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 77 del 2 aprile 2014 con decorrenza praticamente immediata. Il nuovo “decreto parametri” sostituisce il D.M. n. 140/2012 che si occupava, più in generale, dei compensi dei professionisti. In sintesi il decreto si compone di una parte normativa e di una parte parametrica, formata da 26 tabelle che coprono i vari tipi giudizio e di una tabella per lʼattività stragiudiziale. Ciascuna tabella è divisa poi nelle fasi principali di ciascun procedimento. Gli scaglioni di valore, diversamente dal D.M. n. 140/2012, sono corrispondenti a quelli previsti dal Ministero della Giustizia per la determinazione del contributo unificato, con una semplificazione evidente per gli operatori. Ciascuna tabella parametrica è poi divisa per fasi (da quella di studio a quella decisionale). Allʼinterno i parametri sono indicati con una somma fissa che il giudice potrà innalzare fino allʼ80% o ridurre fino al 50% motivando lo scostamento. Orbene, occorre sottolineare che, se da un lato il nuovo decreto introduce un sistema caratterizzato da trasparenza, libertà, semplicità, chiarezza ponendosi nella direzione auspicata da tutti, di favorire la ripresa del Paese, dallʼaltro lato, proprio alla luce di tali nuovi parametri forensi, ed oltretutto in un contesto di attuale crisi economica, sarebbe opportuno che gli studi di settore per gli avvocati venissero revisionati “al ribasso”, in quanto quelli che oggi si vogliono applicare fanno riferimento alle vecchie tariffe. Veniamo, dunque, agli studi di settore e cominceremo a comprendere di quanta importanza rivesta oggi la corretta applicazione di essi. ORIGINE ED EVOLUZIONE DEGLI STUDI DI SETTORE Gli studi di settore sono uno strumento di ausilio per lʼAmministrazione Finanziaria con il quale, mediante lʼutilizzo di funzioni e strumenti statistici e di un apposito software, Ge.Ri.Co. (Gestione dei Ricavi e dei Compensi), vengono ricostruiti induttivamente i ricavi ed i compensi ritenuti “normali” degli esercenti attività dʼimpresa e degli esercenti arti o professioni. La elaborazione degli studi di settore rispondeva alla emergente esigenza da parte dellʼAmministrazione Finanziaria di fronteggiare una sempre maggiore complessità del sistema economico e, quindi, di far fronte alla difficoltà crescente di svolgimento in modo puntuale della propria attività di controllo. Per questo motivo è stato creato lo strumento degli studi di settore, che altro non è se non una elaborazione di funzioni matematiche e statistiche mediante le quali, utilizzando le informazioni riguardanti un determinato contribuente - derivanti dalle proprie dichiarazioni o da informazioni già in possesso dellʼAmministrazione Finanziaria - si riesce a calcolare la potenzialità di ricavi o compensi della particolare attività svolta e, quindi, il ricavo o il compenso c.d. “normale”. Allʼesigenza di introdurre uno strumento matematicostatistico per contrastare lʼevasione, soprattutto nei confronti dei lavoratori autonomi e delle piccole-medie imprese, palesemente emersa molto tempo prima rispetto agli studi di settore, si era già fatto fronte mediante i coefficienti presuntivi di reddito, i parametri presuntivi di ricavi e compensi. Tali strumenti, ritenuti gli antenati degli studi di settore, non riuscivano a fornire tuttavia dei risultati che fossero sufficientemente attendibili. NORMATIVA La fonte normativa degli studi di settore va ricercata negli articoli 62-bis e 62-sexies, comma 3, del D.L. 30 agosto 1993, n. 331 (convertito, con modificazioni, dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427). Lʼarticolo 62-bis, in particolare, ha previsto lʼelaborazione degli studi di settore in relazione ai vari settori economici di esercizio delle attività imprenditoriali e professionali “al fine di rendere più efficace lʼazione accertatrice”. Ai sensi dellʼarticolo in esame, gli studi sono strumenti elaborati dallʼAmministrazione finanziaria, sentite le associazioni professionali e di categoria, secondo una procedura così articolata: -identificazione di “campioni significativi di contribuenti appartenenti ai medesimi settori”, che presentano, cioè, caratteristiche aziendali simili; -controllo di questi campioni “allo scopo di individuare elementi caratterizzanti lʼattività esercitata”. Lʼultimo periodo dellʼart. 62-bis stabilisce, infine: “Gli studi di settore sono approvati con decreti del Ministro delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro il 31 dicembre 1995, possono essere soggetti a revisione ed hanno validità ai fini dell'accertamento a decorrere dal periodo di imposta 1995”. Lʼart. 62-sexies, comma 3, dello stesso decreto, che rappresenta la norma di riferimento in tema di accertamento da studi di settore, stabilisce, invece, che gli accertamenti (analitici -induttivi) di cui agli artt. 39, co. 1, lett. d), del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (in tema di imposte dirette) e 54 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (in tema di IVA) “possono essere fondati anche sull'esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i com- Tribuna Finanziaria - n. 3 D.L. 30/08/1993, n. 331 Art. 62-bis (Studi di settore) “1. Gli uffici del Dipartimento delle entrate del Ministero delle Finanze, sentite le associazioni professionali e di categoria, elaborano, entro il 31 dicembre 1995, in relazione ai vari settori economici, appositi studi di settore al fine di rendere più efficace l'azione accertatrice e di consentire una più articolata determinazione dei coefficienti presuntivi di cui all'art. 11 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 aprile 1989, n. 154 e successive modificazioni. A tal fine gli stessi uffici identificano campioni significativi di contribuenti appartenenti ai medesimi settori da sottoporre a controllo allo scopo di individuare elementi caratterizzanti l'attività esercitata. Gli studi di settore sono approvati con decreti del Ministro delle Finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale entro il 31 dicembre 1995, possono essere soggetti a revisione ed hanno validità ai fini dell'accertamento a decorrere dal periodo di imposta 1995”. Art. 62-sexies, comma 3 (Attività di accertamento nei riguardi dei contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture contabili) 3.“Gli accertamenti di cui agli articoli 39, primo comma, lettera d), del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e successive modificazioni, e 54 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 e successive modificazioni, possono essere fondati anche sull'esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell'art. 62- bis del presente decreto”. Dunque, lʼintroduzione degli studi di settore è avvenuta con lʼart. 62-bis del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, mentre le modalità di attuazione sono state definite solo nel 1998, con lʼart. 10 della Legge 8 maggio 1998, n. 146. Essi sono soggetti a revisione al massimo ogni tre anni dalla data di entrata in vigore dello studio di settore ovvero da quella dellʼultima revisione. Di fatto, detti studi sono continuamente arricchiti al fine di ricomprendere sempre nuove aree allʼinterno dei classici settori di attività (servizi, commercio, manifatture, professionisti) ed affinati nella loro struttura compositiva mediante lʼutilizzo di elementi sia contabili sia extracontabili. Dovrebbero tener conto anche della situazione contabile economica generale. Gli studi di settore trovano applicazione nei confronti dei contribuenti che svolgono in maniera prevalente una delle attività economiche (d'impresa o di arti e professioni) per le quali risulta approvato il relativo studio di settore, indipendentemente dal regime di contabilità adottato. Tali soggetti devono provvedere alla compilazione degli appositi modelli, con l'indicazione dei dati contabili ed extracontabili rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi di settore. GE.RI.CO. L'applicazione dello studio di settore è effettuata tramite il software GE.RI.CO. (Gestione Ricavi e Compensi) il quale, oltre a predisporre il file telematico da allegare al modello UNICO, indica il posizionamento del contribuente rispetto allo studio di settore applicato. In particolare, il software, sulla base dei dati inseriti, evidenzia, tra l'altro, il risultato: • dell'analisi di coerenza. Gli indici di coerenza confrontano una serie di dati forniti dal contribuente con quelli statisticamente ritenuti corretti a seconda della categoria di appartenenza del contribuente. Generalmente è previsto un minimo e un massimo. Lʼeventuale anomalia può essere utilizzata per la selezione dei contribuenti da sottoporre a controllo; • dell'analisi di normalità economica. Gli indicatori di normalità economica sono atti ad individuare sia quando il contribuente sta conducendo la propria attività in condizioni statisticamente ritenute non normali, sia errori commessi nella fase di compilazione dello studio. Anche in questo caso esistono dei minimi e dei massimi. Lʼelemento che si colloca al di sotto e/o al di sopra di questi è considerato “non normale”; • dell'analisi di congruità. Lʼindice di congruità tende a stimare i ricavi presunti indicando quello “puntuale” ossia lo stimato più probabile ed il “minimo”. Il contribuente è congruo quando i ricavi dichiarati sono uguali o superiori al “puntuale”. Gli studi di settore non trovano applicazione in alcune situazioni specifiche: - quando i ricavi della gestione propria delle società e degli enti commerciali residenti o i compensi di lavoro autonomo risultino superiori ai limiti massimi fissati per ciascuno studio; - quando lʼattività sia iniziata o cessata nel corso del periodo dʼimposta; - quando il contribuente si trovi in un periodo di non normale svolgimento della propria attività. NATURA DEGLI STUDI DI SETTORE. RICONOSCIMENTO DELLA NATURA DI PRESUNZIONE SEMPLICE La Corte di Cassazione, SS. UU., con la sentenza n. 26635 del 18 dicembre 2009, in merito alla natura delle risultanze degli studi di settore, ha stabilito che queste debbano essere considerate presunzioni semplici e non presunzioni legali relative. In particolare, la Suprema Corte, con la suddetta sentenza, dichiara il seguente principio di diritto: “La procedura di accertamento standardizzato mediante lʼapplicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata in relazione ai soli standard in sé considerati, ma nasce procedimentalmente in esito ai contraddittori da attivare obbligatoriamente con il contribuente, pena la nullità dellʼaccertamento”. Tribuna Finanziaria - n. 3 FISCO pensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore”. Tributi TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 13 13 FISCO Tributi TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 14 14 Il contribuente “non può, tuttavia, restare inerte assumendo le conseguenze, sul piano della valutazione, di questo suo atteggiamento”. Lʼesito del contraddittorio, “essendo alla fine di un percorso di adeguamento della elaborazione statistica degli standard alla concreta realtà economica del contribuente, deve far parte (e condiziona la congruità) della motivazione dellʼaccertamento, nella quale vanno esposte le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dellʼattività accertativa siano state disattese. Il contribuente ha, nel giudizio relativo allʼimpugnazione dellʼatto di accertamento, la più ampia facoltà di prova, anche a mezzo di presunzioni semplici, ed il giudice può liberamente valutare tanto lʼapplicabilità degli standard al caso concreto, che deve essere dimostrata dallʼente impositore, quanto la controprova sul punto offerta dal contribuente”. In questo quadro, la natura giuridica degli studi di settore assume il carattere di “catalogo di presunzioni semplici, da armonizzare con tutti gli altri elementi a disposizione per la ricostruzione della situazione economica del contribuente”. Il principio innanzi enunciato risulta costante nellʼorientamento della Suprema Corte di Cassazione, la quale, già con sentenze rispettivamente adottate in data 28 luglio 2006 n. 17229 e 24 luglio 2009 n. 244, aveva non solo valorizzato la necessità di adeguare lʼaccertamento alla realtà del singolo caso e lʼidoneità allo scopo del contraddittorio, ma aveva anche colto nel contraddittorio stesso la dimensione di attuazione dellʼinteresse del privato. Eʼ stato affermato, infatti, che la omissione del contraddittorio amministrativo determina la illegittimità stessa dellʼaccertamento, per evidente contrasto con i principi di imparzialità e di buon andamento della Pubblica Amministrazione, nonché con il diritto di difesa del contribuente. CONCLUSIONI In conclusione, fermo restando che la normativa degli studi di settore è chiara, nel senso che trattasi di presunzioni semplici con obbligo di motivazione a carico soltanto degli uffici e senza alcuna inversione dellʼonere della prova a danno del contribuente, è utile rimarcare che, alla luce di tali nuovi parametri forensi, ed oltretutto in un contesto di attuale crisi economica, sarebbe opportuno che gli studi di settore per gli avvocati venissero revisionati “al ribasso”, in quanto quelli che oggi si vogliono applicare fanno riferimento alle vecchie tariffe e non riescono a fotografare a pieno la realtà di oggi. Sarebbe, inoltre, appropriato considerare lo strumento degli studi di settore non come predeterminazione presuntiva del reddito, ma come semplice input o ausilio per la selezione di controlli e verifiche, senza alcuna influenza, neppure come presunzione semplice, in tema di accertamento. Il reddito, infatti, non può mai essere predeterminato, essendo molteplici le variabili personali, economiche e territoriali, ma può e deve essere provato con gli strumenti invasivi già oggi esistenti (come per esempio le indagini bancarie e finanziarie). - Di seguito il testo del Decreto del Ministero della Giustizia del 10 marzo 2014, n. 55 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 77 del 2 Aprile 2014 recante il “Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell'articolo 13, comma 6, L. 247/2012". IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA Visti gli articoli 1, comma 3, e 13 comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247; Sulla proposta del Consiglio nazionale forense pervenuta in data 24 maggio 2013; Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nell'adunanza del 24 ottobre 2013; Vista la trasmissione dello schema di regolamento alle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; Visto l'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400; Vista la nota del 10 marzo 2014, con la quale lo schema di regolamento è stato comunicato al Presidente del Consiglio dei ministri; Adotta il seguente regolamento: Capo I Disposizioni generali Art. 1 Ambito applicativo 1. Il presente regolamento disciplina per le prestazioni professionali i parametri dei compensi all'avvocato quando all'atto dell'incarico o successivamente il compenso non sia stato determinato in forma scritta, in ogni caso di mancata determinazione consensuale degli stessi, comprese le ipotesi di liquidazione nonché di prestazione nell'interesse di terzi o prestazioni officiose previste dalla legge, ferma restando - anche in caso di determinazione contrattuale del compenso - la disciplina del rimborso spese di cui al successivo articolo 2. Art. 2 Compensi e spese 1. Il compenso dell'avvocato è proporzionato all'importanza dell'opera. 2. Oltre al compenso e al rimborso delle spese documentate in relazione alle singole prestazioni, all'avvocato è dovuta - in ogni caso ed anche in caso di determinazione contrattuale - una somma per rimborso spese forfettarie di regola nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, fermo restando quanto previsto dai successivi articoli 5, 11 e 27 in materia di rimborso spese per trasferta. Art. 3 Applicazione analogica 1. Nell'ambito dell'applicazione dei precedenti articoli 1 e 2, per i compensi ed i rimborsi non regolati da specifica previsione si ha riguardo alle disposizioni del presente decreto che regolano fattispecie analoghe. Capo II Disposizioni concernenti l'attività giudiziale Art. 4 Parametri generali per la determinazione dei compensi in sede giudiziale 1. Ai fini della liquidazione del compenso si tiene conto delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, dell'importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell'affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e della Tribuna Finanziaria - n. 3 mezzo istruttorio anche quando disposto d'ufficio, la designazione di consulenti di parte, l'esame delle corrispondenti attività e designazioni delle altre parti, l'esame delle deduzioni dei consulenti d'ufficio o delle altre parti, la notificazione delle domande nuove o di altri atti nel corso del giudizio compresi quelli al contumace, le relative richieste di copie al cancelliere, le istanze al giudice in qualsiasi forma, le dichiarazioni rese nei casi previsti dalla legge, le deduzioni a verbale, le intimazioni dei testimoni, comprese le notificazioni e l'esame delle relative relate, i procedimenti comunque incidentali comprese le querele di falso e quelli inerenti alla verificazione delle scritture private. Al fine di valutare il grado di complessità della fase rilevano, in particolare, le plurime memorie per parte, necessarie o autorizzate dal giudice, comunque denominate ma non meramente illustrative, ovvero le plurime richieste istruttorie ammesse per ciascuna parte e le plurime prove assunte per ciascuna parte. La fase rileva ai fini della liquidazione del compenso quando effettivamente svolta; d) per fase decisionale: le precisazioni delle conclusioni e l'esame di quelle delle altre parti, le memorie, illustrative o conclusionali anche in replica, compreso il loro deposito ed esame, la discussione orale, sia in camera di consiglio che in udienza pubblica, le note illustrative accessorie a quest'ultima, la redazione e il deposito delle note spese, l'esame e la registrazione o pubblicazione del provvedimento conclusivo del giudizio, comprese le richieste di copie al cancelliere, il ritiro del fascicolo, l'iscrizione di ipoteca giudiziale del provvedimento conclusivo stesso; il giudice, nella liquidazione della fase, tiene conto, in ogni caso, di tutte le attività successive alla decisione e che non rientrano, in particolare, nella fase di cui alla lettera e); e) per fase di studio e introduttiva del procedimento esecutivo: la disamina del titolo esecutivo, la notificazione dello stesso unitamente al precetto, l'esame delle relative relate, il pignoramento e l'esame del relativo verbale, le iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, gli atti d'intervento, le ispezioni ipotecarie, catastali, l'esame dei relativi atti; f) per fase istruttoria e di trattazione del procedimento esecutivo: ogni attività del procedimento stesso non compresa nella lettera e), quali le assistenze all'udienza o agli atti esecutivi di qualsiasi tipo. 6. Nell'ipotesi di conciliazione giudiziale o transazione della controversia, la liquidazione del compenso è di regola aumentato fino a un quarto rispetto a quello altrimenti liquidabile per la fase decisionale fermo quanto maturato per l'attività precedentemente svolta. 7. Costituisce elemento di valutazione negativa, in sede di liquidazione giudiziale del compenso, l'adozione di condotte abusive tali da ostacolare la definizione dei procedimenti in tempi ragionevoli. 8. Il compenso da liquidare giudizialmente a carico del soccombente costituito può essere aumentato fino a un terzo rispetto a quello altrimenti liquidabile quando le difese della parte vittoriosa sono risultate manifestamente fondate. 9. Nel caso di responsabilità processuale ai sensi del- Tribuna Finanziaria - n. 3 FISCO complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate. In ordine alla difficoltà dell'affare si tiene particolare conto dei contrasti giurisprudenziali, e della quantità e del contenuto della corrispondenza che risulta essere stato necessario intrattenere con il cliente e con altri soggetti. Il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate, che, in applicazione dei parametri generali, possono essere aumentati, di regola, fino all'80 per cento, o diminuiti fino al 50 per cento. Per la fase istruttoria l'aumento è di regola fino al 100 per cento e la diminuzione di regola fino al 70 per cento. 2. Quando in una causa l'avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale, il compenso unico può di regola essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 20 per cento, fino a un massimo di dieci soggetti, e del 5 per cento per ogni soggetto oltre i primi dieci, fino a un massimo di venti. La disposizione di cui al periodo precedente si applica quando più cause vengono riunite, dal momento dell'avvenuta riunione e nel caso in cui l'avvocato assiste un solo soggetto contro più soggetti. 3. Quando l'avvocato assiste ambedue i coniugi nel procedimento per separazione consensuale e nel divorzio a istanza congiunta, il compenso è liquidato di regola con una maggiorazione del 20 per cento su quello altrimenti liquidabile per l'assistenza di un solo soggetto. 4. Nell'ipotesi in cui, ferma l'identità di posizione processuale dei vari soggetti, la prestazione professionale nei confronti di questi non comporta l'esame di specifiche e distinte questioni di fatto e di diritto, il compenso altrimenti liquidabile per l'assistenza di un solo soggetto è di regola ridotto del 30 per cento. 5. Il compenso è liquidato per fasi. Con riferimento alle diverse fasi del giudizio si intende esemplificativamente: a) per fase di studio della controversia: l'esame e lo studio degli atti a seguito della consultazione con il cliente, le ispezioni dei luoghi, la ricerca dei documenti e la conseguente relazione o parere, scritti oppure orali, al cliente, precedenti la costituzione in giudizio; b) per fase introduttiva del giudizio: gli atti introduttivi del giudizio e di costituzione in giudizio, e il relativo esame incluso quello degli allegati, quali ricorsi, controricorsi, citazioni, comparse, chiamate di terzo ed esame delle relative autorizzazioni giudiziali, l'esame di provvedimenti giudiziali di fissazione della prima udienza, memorie iniziali, interventi, istanze, impugnazioni, le relative notificazioni, l'esame delle corrispondenti relate, l'iscrizione a ruolo, il versamento del contributo unificato, le rinnovazioni o riassunzioni della domanda, le autentiche di firma o l'esame della procura notarile, la formazione del fascicolo e della posizione della pratica in studio, le ulteriori consultazioni con il cliente; c) per fase istruttoria: le richieste di prova, le memorie illustrative o di precisazione o integrazione delle domande o dei motivi d'impugnazione, eccezioni e conclusioni, l'esame degli scritti o documenti delle altre parti o dei provvedimenti giudiziali pronunciati nel corso e in funzione dell'istruzione, gli adempimenti o le prestazioni connesse ai suddetti provvedimenti giudiziali, le partecipazioni e assistenze relative ad attività istruttorie, gli atti necessari per la formazione della prova o del Tributi TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 15 15 FISCO Tributi TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 16 16 l'articolo 96 del codice di procedura civile, ovvero, comunque, nei casi d'inammissibilità o improponibilità o improcedibilità della domanda, il compenso dovuto all'avvocato del soccombente è ridotto, ove concorrano gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate nella motivazione, del 50 per cento rispetto a quello altrimenti liquidabile. 10. Nel caso di controversie a norma dell'articolo 140bis del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, il compenso può essere aumentato fino al triplo rispetto a quello altrimenti liquidabile. Art. 5 Determinazione del valore della controversia 1. Nella liquidazione dei compensi a carico del soccombente, il valore della causa - salvo quanto diversamente disposto dal presente comma - è determinato a norma del codice di procedura civile. Nei giudizi per azioni surrogatorie e revocatorie, si ha riguardo all'entità economica della ragione di credito alla cui tutela l'azione è diretta, nei giudizi di divisione alla quota o ai supplementi di quota o all'entità dei conguagli in contestazione. Quando nei giudizi di divisione la controversia interessa anche la massa da dividere, si ha riguardo a quest'ultima. Nei giudizi per pagamento di somme o liquidazione di danni, si ha riguardo di norma alla somma attribuita alla parte vincitrice piuttosto che a quella domandata. In ogni caso si ha riguardo al valore effettivo della controversia, anche in relazione agli interessi perseguiti dalle parti, quando risulta manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile o alla legislazione speciale. 2. Nella liquidazione dei compensi a carico del cliente si ha riguardo al valore corrispondente all'entità della domanda. Si ha riguardo al valore effettivo della controversia quando risulta manifestamente diverso da quello presunto anche in relazione agli interessi perseguiti dalle parti. 3. Nelle cause davanti agli organi di giustizia, nella liquidazione a carico del cliente si ha riguardo all'entità economica dell'interesse sostanziale che il cliente intende perseguire; nella liquidazione a carico del soccombente si ha riguardo all'entità economica dell'interesse sostanziale che riceve tutela attraverso la decisione. In relazione alle controversie in materia di pubblici contratti, l'interesse sostanziale perseguito dal cliente privato è rapportato all'utile effettivo o ai profitti attesi dal soggetto aggiudicatario o dal soggetto escluso. 4. Nelle cause davanti agli organi di giustizia tributaria il valore della controversia è determinato in conformità all'importo delle imposte, tasse, contributi e relativi accessori oggetto di contestazione, con il limite di un quinquennio in caso di oneri poliennali. 5. Qualora il valore effettivo della controversia non risulti determinabile mediante l'applicazione dei criteri sopra enunciati, la stessa si considererà di valore indeterminabile. 6. Le cause di valore indeterminabile si considerano di regola e a questi fini di valore non inferiore a euro 26.000,00 e non superiore a euro 260.000,00, tenuto conto dell'oggetto e della complessità della controversia. Qualora la causa di valore indeterminabile risulti di particolare importanza per lo specifico oggetto, il numero e la complessità delle questioni giuridiche trattate, e la rilevanza degli effetti ovvero dei risultati utili, anche di carattere non patrimoniale, il suo valore si considera di regola e a questi fini entro lo scaglione fino a euro 520.000,00. Art. 6 Cause di valore superiore ad euro 520.000,00 1. Alla liquidazione dei compensi per le controversie di valore superiore a euro 520.000,00 si applica di regola il seguente incremento percentuale: per le controversie da euro 520.000,00 ad euro 1.000.000,00 fino al 30 per cento in più dei parametri numerici previsti per le controversie di valore fino a euro 520.000,00; per le controversie da euro 1.000.000,01 ad euro 2.000.000,00 fino al 30 per cento in più dei parametri numerici previsti per le controversie di valore sino ad euro 1.000.000,00; per le controversie da euro 2.000.000,01 ad euro 4.000.000,00 fino al 30 per cento in più dei parametri numerici previsti per le controversie di valore sino ad euro 2.000.000,00; per le controversie da euro 4.000.000,01 ad euro 8.000.000,00 fino al 30 per cento in più dei parametri numerici previsti per le controversie di valore sino ad euro 4.000.000,00; per le controversie di valore superiore ad euro 8.000.000,00 fino al 30 per cento in più dei parametri numerici previsti per le cause di valore sino ad euro 8.000.000,00; tale ultimo criterio può essere utilizzato per ogni successivo raddoppio del valore della controversia. Art. 7 Giudizi non compiuti 1. Per l'attività prestata dall'avvocato nei giudizi iniziati ma non compiuti, si liquidano i compensi maturati per l'opera svolta fino alla cessazione, per qualsiasi causa, del rapporto professionale. Art. 8 Pluralità di difensori e società professionali 1. Quando incaricati della difesa sono più avvocati, ciascuno di essi ha diritto nei confronti del cliente ai compensi per l'opera prestata, ma nella liquidazione a carico del soccombente sono computati i compensi per un solo avvocato. 2. All'avvocato incaricato di svolgere funzioni di domiciliatario, spetta di regola un compenso non inferiore al 20 per cento dell'importo previsto dai parametri di cui alle tabelle allegate per le fasi processuali che lo stesso domiciliatario ha effettivamente seguito e, comunque, rapportato alle prestazioni concretamente svolte. 3. Se l'incarico professionale è conferito a una società di avvocati si applica il compenso spettante a un solo professionista, anche se la prestazione è svolta da più soci. Art. 9 Praticanti avvocati abilitati al patrocinio 1. Ai praticanti avvocati abilitati al patrocinio è liquidata di regola la metà dei compensi spettanti all'avvocato. Art. 10 Procedimenti arbitrali rituali e irrituali 1. Per i procedimenti arbitrali rituali ed irrituali, agli arbitri sono di regola dovuti i compensi previsti sulla base dei parametri numerici di cui alla tabella allegata. 2. Agli avvocati chiamati a difendere in arbitrati, rituali o irrituali, sono di regola liquidati i compensi previsti dai parametri di cui alla tabella n. 2. Tribuna Finanziaria - n. 3 cliente, i colleghi o i consulenti, le relazioni o i pareri, scritti o orali, che esauriscano l'attività e sono resi in momento antecedente alla fase introduttiva; b) per fase introduttiva del giudizio: gli atti introduttivi quali esposti, denunce querele, istanze richieste dichiarazioni, opposizioni, ricorsi, impugnazioni, memorie, intervento del responsabile civile e la citazione del responsabile civile; c) per fase istruttoria o dibattimentale: le richieste, gli scritti, le partecipazioni o assistenze relative ad atti ed attività istruttorie procedimentali o processuali anche preliminari, rese anche in udienze pubbliche o in camera di consiglio, che sono funzionali alla ricerca di mezzi di prova, alla formazione della prova, comprese liste, citazioni e le relative notificazioni, l'esame dei consulenti, testimoni, indagati o imputati di reato connesso o collegato; d) per fase decisionale: le difese orali o scritte, le repliche, l'assistenza alla discussione delle altre parti processuali sia in camera di consiglio che in udienza pubblica. Art. 13 Giudizi non compiuti 1. Se il procedimento o il processo non sono portati a termine per qualsiasi causa o sopravvengono cause estintive del reato, ovvero il cliente o l'avvocato recedono dal mandato, sono liquidati i compensi maturati per l'opera svolta fino alla data di cessazione dell'incarico ovvero a quella di pronunzia della causa estintiva. Art. 14 Incarico conferito a società di avvocati 1. Se l'incarico professionale è conferito a una società di avvocati si applica il compenso spettante a un solo professionista, anche se la prestazione è svolta da più soci. Art. 15 Trasferte 1. Per gli affari e le cause fuori dal luogo ove svolge la professione in modo prevalente, all'avvocato è liquidata un'indennità di trasferta e un rimborso delle spese, a norma dell'articolo 27 della materia stragiudiziale. Art. 16 Parte civile 1. All'avvocato della persona offesa, della parte civile, del responsabile civile e del civilmente obbligato si applicano i parametri numerici previsti dalle tabelle allegate. Art. 17 Praticanti avvocati abilitati al patrocinio 1. Ai praticanti avvocati abilitati al patrocinio è liquidata di regola la metà dei compensi spettanti all'avvocato. Capo IV Disposizioni concernenti l'attività stragiudiziale Art. 18 Compensi per attività stragiudiziale 1. I compensi liquidati per prestazioni stragiudiziali sono onnicomprensivi in relazione ad ogni attività inerente l'affare. Art. 19 Parametri generali per la determinazione dei compensi 1. Ai fini della liquidazione del compenso si tiene conto delle caratteristiche, dell'urgenza, del pregio dell'attività prestata, dell'importanza dell'opera, della natura, della difficoltà e del valore dell'affare, della quantità e qualità delle attività compiute, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e in fatto trattate. In ordine alla difficoltà dell'affare si tiene par- Tribuna Finanziaria - n. 3 FISCO Art. 11 Trasferte 1. Per gli affari e le cause fuori dal luogo ove svolge la professione in modo prevalente, all'avvocato incaricato della difesa è di regola liquidata l'indennità di trasferta e il rimborso delle spese a norma dell'articolo 27 della materia stragiudiziale. Capo III Disposizioni concernenti l'attività penale Art. 12 Parametri generali per la determinazione dei compensi 1. Ai fini della liquidazione del compenso spettante per l'attività penale si tiene conto delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, dell'importanza, della natura, della complessità del procedimento, della gravità e del numero delle imputazioni, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate, dei contrasti giurisprudenziali, dell'autorità giudiziaria dinanzi cui si svolge la prestazione, della rilevanza patrimoniale, del numero dei documenti da esaminare, della continuità dell'impegno anche in relazione alla frequenza di trasferimenti fuori dal luogo ove svolge la professione in modo prevalente, nonché dell'esito ottenuto avuto anche riguardo alle conseguenze civili e alle condizioni finanziarie del cliente. Si tiene altresì conto del numero di udienze, pubbliche o camerali, diverse da quelle di mero rinvio, e del tempo necessario all'espletamento delle attività medesime. Il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate, che, in applicazione dei parametri generali, possono, di regola, essere aumentati fino all'80 per cento, o diminuiti fino al 50 per cento. 2. Quando l'avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale, il compenso unico può di regola essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 20 per cento, fino a un massimo di dieci soggetti, e del 5 per cento per ogni soggetto oltre i primi dieci, fino a un massimo di venti. La disposizione del periodo precedente si applica anche quando il numero delle parti ovvero delle imputazioni è incrementato per effetto di riunione di più procedimenti, dal momento della disposta riunione, e anche quando il professionista difende una parte contro più parti, sempre che la prestazione non comporti l'esame di medesime situazioni di fatto o di diritto. Quando, ferma l'identità di posizione processuale, la prestazione professionale non comporta l'esame di specifiche e distinte situazioni di fatto o di diritto in relazione ai diversi imputati e in rapporto è di regola ridotto del 30 per cento. Per le liquidazioni delle prestazioni svolte in favore di soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato a norma del testo unico delle spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, si tiene specifico conto della concreta incidenza degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa. 3. Il compenso si liquida per fasi. Con riferimento alle diverse fasi del giudizio si intende esemplificativamente: a) per fase di studio, ivi compresa l'attività investigativa: l'esame e studio degli atti, le ispezioni dei luoghi, la iniziale ricerca di documenti, le consultazioni con il Tributi TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 17 17 FISCO Tributi TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 18 18 ticolare conto di contrasti giurisprudenziali rilevanti, della quantità e del contenuto della corrispondenza che risulta essere stato necessario intrattenere con il cliente e con altri soggetti. Il giudice tiene conto dei valori medi di cui alla tabella allegata, che, in applicazione dei parametri generali, possono, di regola, essere aumentati fino all'80 per cento, o diminuiti fino al 50 per cento. Art. 20 Prestazioni stragiudiziali svolte precedentemente o in concomitanza con attività giudiziali 1. L'attività stragiudiziale svolta prima o in concomitanza con l'attività giudiziale, che riveste una autonoma rilevanza rispetto a quest'ultima, è di regola liquidata in base ai parametri numerici di cui alla allegata tabella. Art. 21 Determinazione del valore dell'affare 1. Nella liquidazione dei compensi il valore dell'affare è determinato - salvo quanto diversamente disposto dal presente comma - a norma del codice di procedura civile. In ogni caso si ha riguardo al valore effettivo dell'affare, anche in relazione agli interessi perseguiti dalla parte, quando risulta manifestamente diverso da quello presunto a norma del codice di procedura civile o della legislazione speciale. 2. Per l'assistenza in procedure concorsuali giudiziali e stragiudiziali si ha riguardo al valore del credito del cliente creditore o all'entità del passivo del cliente debitore. 3. Per l'assistenza in affari di successioni, divisioni e liquidazioni si ha riguardo al valore della quota attribuita al cliente. 4. Per l'assistenza in affari amministrativi il compenso si determina secondo i criteri previsti nelle norme dettate per le prestazioni giudiziali, tenendo presente l'interesse sostanziale del cliente. 5. Per l'assistenza in affari in materia tributaria si ha riguardo al valore delle imposte, tasse, contributi e relativi accessori oggetto di contestazione, con il limite di un quinquennio in caso di oneri poliennali. 6. Qualora il valore effettivo dell'affare non risulti determinabile mediante l'applicazione dei criteri sopra enunciati lo stesso si considera di valore indeterminabile. 7. Gli affari di valore indeterminabile si considerano di regola e a questi fini di valore non inferiore a euro 26.000,00 e non superiore a euro 260.000,00, tenuto conto dell'oggetto e della complessità dell'affare stesso. Qualora il valore effettivo dell'affare risulti di particolare importanza per l'oggetto, per il numero e la complessità delle questioni giuridiche trattate, per la rilevanza degli effetti e dei risultati utili di qualsiasi natura, anche non patrimoniale, il suo valore si considera di regola e a questi fini entro lo scaglione fino a euro 520.000,00. Art. 22 Affari di valore superiore a euro 520.000,00 1. Alla liquidazione dei compensi per gli affari di valore superiore a euro 520.000,00 si applica di regola il seguente incremento percentuale: per gli affari da euro 520.000,00 ad euro 1.000.000,00 fino al 30 per cento dei parametri numerici previsti per le controversie di valore fino a euro 520.000,00; per gli affari da euro 1.000.000,01 ad euro 2.000.000,00 fino al 30 per cento dei parametri numerici previsti per le controversie di valore sino ad euro 1.000.000,00; per gli affari da euro 2.000.000,01 ad euro 4.000.000,00 fino al 30 per cento dei parametri numerici previsti per le controversie di valore sino ad euro 2.000.000,00; per gli affari da euro 4.000.000,01 ad euro 8.000.000,00 fino al 30 per cento dei parametri numerici previsti per le controversie di valore sino ad euro 4.000.000,00; per gli affari di valore superiore ad euro 8.000.000,00, fino al 30 per cento dei parametri numerici previsti per gli affari di valore sino ad euro 8.000.000,00; tale ultimo criterio può essere utilizzato per ogni successivo raddoppio del valore dell'affare. Art. 23 Pluralità di difensori e società professionali 1. Se più avvocati sono stati incaricati di prestare la loro opera nel medesimo affare, a ciascuno di essi si liquidano i compensi per l'opera prestata. 2. Se l'incarico professionale è conferito a una società di avvocati si liquida il compenso spettante a un solo professionista, anche se la prestazione sarà svolta da più soci. Art. 24 Praticanti avvocati abilitati al patrocinio 1. Ai praticanti avvocati abilitati al patrocinio è liquidata di regola la metà dei compensi spettanti all'avvocato. Art. 25 Incarico non portato a termine 1. Per l'attività prestata dall'avvocato negli incarichi iniziati ma non compiuti, si liquidano i compensi maturati per l'opera svolta fino alla cessazione, per qualsiasi causa, del rapporto professionale. Art. 26 Prestazioni con compenso a percentuale 1. Per le prestazioni in adempimento di un incarico di gestione amministrativa, giudiziaria o convenzionale, il compenso è di regola liquidato sulla base di una percentuale, fino a un massimo del 5 per cento, computata sul valore dei beni amministrati, tenendo altresì conto della durata dell'incarico, della sua complessità e dell'impegno profuso. Art. 27 Trasferte 1. All'avvocato, che per l'esecuzione dell'incarico deve trasferirsi fuori dal luogo ove svolge la professione in modo prevalente, è liquidato il rimborso delle spese sostenute e un'indennità di trasferta. Si tiene conto del costo del soggiorno documentato dal professionista, con il limite di un albergo quattro stelle, unitamente, di regola, a una maggiorazione del 10 per cento quale rimborso delle spese accessorie; per le spese di viaggio, in caso di utilizzo di autoveicolo proprio, è riconosciuta un'indennità chilometrica pari di regola a un quinto del costo del carburante al litro, oltre alle spese documentate di pedaggio autostradale e parcheggio. Capo V Disciplina transitoria ed entrata in vigore Art. 28 Disposizione temporale 1. Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore. Art. 29 Entrata in vigore 1. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare. Avv. Maurizio Villani Avv. Idalisa Lamorgese Tribuna Finanziaria - n. 3 L’avviso bonario Tributi TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 19 Lʼavviso bonario è una comunicazione con la quale lʼAgenzia delle Entrate informa il contribuente del controllo effettuato sulla sua dichiarazione dei redditi, evidenziando eventuali imposte e contributi che non risultano pagati. Si tratta di una semplice comunicazione, della quale il soggetto interessato può richiedere lʼannullamento o la rettifica, qualora ritenga infondata la richiesta, come ad esempio errori che possono configurarsi nellʼindicazione dellʼanno dʼimposta o del codice del tributo, determinando in realtà una richiesta di imposte regolarmente versate. In tal caso il contribuente avrà trenta giorni di tempo per recarsi presso un qualsiasi ufficio dell'Agenzia delle Entrate, e produrre la documentazione (ad esempio, le ricevute di pagamento) attestante la correttezza della propria dichiarazione. In caso di imposte effettivamente dovute, potrà regolarizzare la propria posizione pagando quanto richiestogli. Con la sentenza n. 7344 del 2012 la Corte di Cassazione ha sancito che anche le comunicazioni di irregolarità (ex art. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 o ex art. 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972) sono atti impugnabili. Dal 2007 il diritto vigente ha riconosciuto al contribuente il diritto di rivolgersi al giudice tributario ogni qual volta lʼamministrazione finanziaria gli comunichi una pretesa definitiva. E non vi è dubbio a tale proposito, che lʼavviso bonario configuri una pretesa tributaria compiuta e quindi definitiva. La sentenza n. 7344 del 2012: avviso bonario impugnabile Con la sentenza n. 7344 dellʼ11 maggio 2012, gli Ermellini affermano che gli avvisi bonari, nonostante non rientrino nellʼelenco tassativo degli atti impugnabili, individuati ai sensi dellʼarticolo 19 del Decreto legislativo n. 546 del 1992, devono essere ricompresi tra quegli atti diversi che possono essere impugnati dal contribuente in quanto espressione di una compiuta e definita pretesa tributaria. In altre parole, si riconosce la facoltà per il contribuente di ricorrere al giudice tributario contro tutti quegli atti “dellʼente impositore che, con lʼesplicazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che li sorreggono, portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento, si vesta della forma autoritativa propria di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dallʼarticolo 19, atteso lʼindubbio sorgere in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione di quella notizia, dellʼinteresse a chiarire, con pronuncia idonea ad acquistare effetti non più modificabili, la sua posizione. I possibili problemi derivanti Tuttavia, la possibilità dellʼimpugnabilità immediata dellʼavviso bonario inviato dallʼagenzia delle Entrate, affermata dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 7344 del 2012, comporta fattualmente dei problemi dal punto di vista operativo sia per i contribuenti, sia per la stessa amministrazione finanziaria, con la minaccia concreta di generare molta confusione. A ben vedere infatti, lʼavviso o la comunicazione di irregolarità è impugnabile perché, secondo gli Ermellini, tale avviso contiene una pretesa impositiva compiuta, con la conseguenza che per entrambe le parti, Agenzia delle Entrate e contribuente, devono essere messe in attuazione tutte le regole previste in materia di contenzioso tributario per poter presentare quindi il ricorso. Si nota come sussiste in tal caso innanzitutto un problema di certezza della ricezione dellʼavviso: se ad oggi gran parte di questi avvisi, viene spedita con posta ordinaria, la data indicata sullʼavviso è spesso di parecchi giorni antecedente a quella dellʼeffettiva spedizione. Se lʼatto diventa impugnabile, secondo gli Ermellini, sarà necessario però rispettare i termini previsti, i sessanta giorni dalla sua ricezione, per cui lʼufficio dovrà recapitarlo almeno con raccomandata. Di contrario avviso la Ctr Palermo n. 183/34/13 del 12 aprile 2013 Diverso il parere dei giudici della CTR siciliana per cui gli avvisi bonari non sono atti autonomamente impugnabili perché gli stessi “non manifestano una pretesa tributaria compiuta e non condizionata, ancorché accompagnata dalla sollecitazione a pagare spontaneamente per evitare spese ulteriori (o anche essere ammesso a qualche beneficio)”, ma costituiscono “..un invito a fornire eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione dei tributi. Quindi manifestano una volontà impositiva ancora in itinere e non formalizzata in un atto cancellabile solo in via di autotutela (o attraverso lʼintervento del giudice)”. Svolgimento del processo Con appello notificato tramite servizio postale il 24.04.2012 allʼAgenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Catania, la sig.ra (..) ha impugnato la sentenza n. 195/04/2012, in data 08.02-07.03.2012, emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Catania, con la quale è stato dichiarato inammissibile il suo ricorso avverso la comunicazione con la quale veniva informata, ai sensi dellʼart. 36 ter DPR n. 600 del 1973, dellʼesito del controllo della dichiarazione riguardante i redditi dellʼanno 2007, Mod. U/2008, da cui era emerso che le detrazioni dichiarate per spese di ristrutturazioni risultavano maggiori del documentato. Con il ricorso introduttivo la contribuente eccepiva lʼillegittimità della citata comunicazione (cd. “avviso bona- Tribuna Finanziaria - n. 3 FISCO a cura dell’Avv. Maurizio Villani 19 FISCO Tributi TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 20 20 rio”), della quale chiedeva lʼannullamento, in quanto aveva tempestivamente provveduto a consegnare allʼUfficio i documenti giustificativi riguardanti le detrazioni di che trattasi. LʼAgenzia delle Entrate si costituiva in giudizio con proprie memorie prot. n. 1079324, depositate il 12.11.2010, per eccepire la violazione dellʼart. 19 del D.l.gs. n. 546 del 1992 in quanto il ricorso era stato presentato avverso un atto (cd. “avviso bonario”) non compreso tra quelli elencati nellʼanzidetta norma. Impugnabile autonomamente lʼavviso bonario con il quale il fisco nega il rimborso dellʼimposta È impugnabile autonomamente lʼavviso bonario con il quale il fisco nega il rimborso dellʼimposta al contribuente. Ciò anche se lʼatto non è compreso nellʼelenco contenuto nellʼarticolo 19 del d.lgs. 546 del 1992. Lo ha stabilito la Ctr del Lazio che, con la sentenza n. 190 del 2013, ha respinto il ricorso principale di un contribuente che si era avvalso arbitrariamente di una rateizzazione dʼimposta e quello incidentale dellʼamministrazione che aveva opposto lʼinammissibilità del ricorso, dato che la comunicazione notificata dallʼufficio non era autonomamente impugnabile. In motivazione i giudici di secondo grado hanno spiegato, confermando il primo verdetto, che andava respinto anche l'appello incidentale dell'Ufficio basato sulla presunta violazione degli artt. 18 e 19 D.lgs. 546 del 1992. Sul punto in sentenza si legge che l'avviso bonario è impugnabile a titolo proprio. Si tratta, infatti, di un atto con cui l'amministrazione finanziaria comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definitiva: consta, in sostanza, di un atto da qualificare come avviso di accertamento e di liquidazione di un tributo e, quindi, di un atto impugnabile anche se non ricompreso nell'elenco di cui all'art. 19 D.lgs. 546 del 1992. Avviso bonario da notificare al contribuente in caso di irregolarità sulla dichiarazione dei redditi Lʼavviso bonario va notificato al contribuente prima dellʼiscrizione a ruolo dellʼimposta nel caso in cui la dichiarazione dei redditi contenga delle irregolarità. È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 11429 del 6 luglio 2012, ha fatto chiarezza sulla notifica degli avvisi bonari. Rispolverando vecchi principi, la sezione tributaria ha messo nero su bianco affermando che «l'emissione della cartella di pagamento con le modalità previste dagli artt. 36-bis, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973 (in materia di tributi diretti) e 54-bis, comma 3, del D.P.R. n. 633 del 1972 (in materia di IVA) non è condizionata dalla preventiva comunicazione dell'esito del controllo al contribuente, salvo che il controllo medesimo non riveli l'esistenza di errori essendovi, solo in tale ipotesi di irregolarità riscontrata nella dichiarazione, l'obbligo di comunicazione per la liquidazione d'imposta, contributi, premi e rimborsi». Valida anche senza avviso bonario la cartella di pagamento per errori nella dichiarazione. Valida la cartella di pagamento emessa senza avviso bonario al contribuente attestante l'errore materiale nella dichiarazione dei redditi, in quanto lʼatto prodromico è necessario solo in caso di errori sostanziali. È quanto affermato dalla Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 3366 del 12 febbraio 2013, ha accolto il ricorso dell'amministrazione finanziaria. Ad avviso della sezione tributaria, dunque, al di là dello statuto del contribuente, non è motivo di nullità della cartella di pagamento, emessa ai sensi degli artt. 36 bis DPR 600 del 1973 e 54 bis DPR 633 del 1972, l'omissione della comunicazione al contribuente dell'esito dei controlli automatici disposti sulle dichiarazioni presentate ai fini dell'imposta sui redditi o di quella sul valore aggiunto. Senza avviso bonario è nulla la cartella di pagamento per il recupero del credito dʼimposta È nulla la cartella di pagamento, emessa a seguito di irregolarità riscontrate allʼesito di un controllo automatizzato ex art. 36 bis del D.P.R. n. 600 del 1973, laddove non sia preceduta dallʼinvio di un avviso bonario recante la comunicazione al contribuente dellʼirregolarità riscontrata: infatti, salvo che lʼerrore sia rilevabile ʻictu oculiʼ attraverso un mero riscontro cartolare, è necessario un atto dʼaccertamento esplicitamente motivato che consenta al contribuente di conoscere il processo logico-giuridico dellʼamministrazione nella diversa determinazione dellʼimponibile, in modo da potersi adeguatamente difendere. Lo ha sancito la Corte di Cassazione con lʼordinanza n. 545 del 14 gennaio 2014, rigettando il ricorso proposto dallʼAgenzia delle Entrate contro la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, che aveva dato ragione al contribuente annullando la cartella di pagamento per lʼomesso invio della preventiva informale comunicazione dei motivi per i quali non era stato riconosciuto il credito dʼimposta alla società contribuente (in violazione dellʼart. 36 bis del D.P.R. n. 600 del 1973, comma 3: “Quando dai controlli automatici eseguiti emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione, ovvero dai controlli eseguiti dallʼufficio, ai sensi del comma 2-bis, emerge unʼimposta o una maggiore imposta, lʼesito della liquidazione è comunicato al contribuente o al sostituto dʼimposta per evitare la reiterazione di errori e per consentire la regolarizzazione degli aspetti formali”). La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, dando ragione al contribuente e dichiarando infondata la censura addotta dallʼAgenzia circa la violazione o falsa applicazione dellʼart. 36 bis di cui sopra da parte della CTR Sicilia. I Giudici di legittimità hanno spiegato che, anche alla luce dei principi già affermati dalla Corte (Cass. n. 21349 del 2012) - cui la CTR pare essersi uniformata -, lʼamministrazione finanziaria può provvedere ai sensi del comma 2 dellʼart. 36 bis del D.P.R. n. 600 del 1973 (rideterminando la liquidazione dʼimposta senza preventivo avviso bonario al contribuente) solo quando lʼerrore del contribuente sia rilevabile attraverso un mero riscontro cartolare, e non sia dunque necessaria unʼindagine interpretativa della documentazione allegata o una valutazione giuridica della norma applicata. Controlli automatizzati del Fisco, l'avviso bonario non è un obbligo Con ordinanza n. 22035 del 28 ottobre 2010, la Corte di Cassazione ha stabilito che l'Amministrazione finanziaria non è obbligata dallo Statuto del contribuente a comunicare sempre l'esito della liquidazione, ma solo quando dai controlli automatici emerge un risultato diverso rispetto a quanto indicato in dichiarazione. Tribuna Finanziaria - n. 3 L'Agenzia, quindi, ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando la violazione sia dell'articolo 36-bis, sia dell'articolo 6 dello Statuto, in quanto la sentenza gravata ha erroneamente ritenuto illegittima l'iscrizione a ruolo de qua sul presupposto dell'obbligo per l'ufficio di comunicare al contribuente l'invito di irregolarità. Per meglio comprendere l'interpretazione della Suprema Corte, si precisa che la fattispecie in esame non riguarda un risultato diverso da quello indicato nella dichiarazione dei redditi (determinato, ad esempio, da errori materiali e di calcolo, da indebiti scomputi di ritenute d'acconto, da detrazioni d'imposta o esclusione di oneri indebitamente dedotti), né sussiste alcun dubbio e/o incertezza sul contenuto della dichiarazione medesima (vale a dire sui dati e gli elementi direttamente desumibili), ma interessa unicamente l'omissione e/o la carenza dei versamenti. La decisione della Cassazione La Corte di Cassazione accoglie il ricorso argomentando che la tesi dell'obbligatorietà della comunicazione di irregolarità è infondata. Al riguardo, chiarisce innanzitutto che il 36-bis non prevede alcun obbligo, per l'ente impositore, di comunicare "in ogni caso" l'esito della liquidazione, ma esclusivamente quando dai controlli automatici eseguiti emerga un risultato non conforme a quello indicato nella dichiarazione (dei redditi, in questo caso). Peraltro, nessuna delle norme riferite impone alcuna sanzione di nullità per l'inosservanza dell'incombenza. D'altronde, spiega la Corte, nessun elemento in tal senso emerge dall'interpretazione dello stesso articolo 6 della legge 212 del 2000, il quale non trova applicazione generalizzata, ma soltanto nel caso in cui sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione (Cassazione sentenza n. 4958 del 1989). In effetti, sia l'articolo 36-bis, comma 3, in materia di tributi diretti, sia l'articolo 54-bis, comma 3, in materia di Iva, dispongono che debba essere data comunicazione al contribuente del risultato dei controlli automatici, solo quando tale risultato (di calcolo dell'imposta, come si evince dai due commi precedenti) è "diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione": ipotesi di dichiarazione errata, distinta da quella, cui si riferisce l'articolo 60, comma 6, del D.p.r 633 del 1972, di imposta regolare ma non versata; di conseguenza, il richiamo a questo articolo, contenuto nel 54-bis, è fatto nei casi di dichiarazione erronea in sede di controllo automatico (Cassazione sentenza n. 7160 del 2009). Fuori dal caso di risultato erroneo rivelato dal controllo automatico, nessun obbligo di comunicazione è previsto dalla legge per la liquidazione di imposte, contributi, premi e rimborsi: ciò per l'evidente ragione che i dati contabili risultanti dalla liquidazione automatica "si considerano, a tutti gli effetti, come dichiarati dal contribuente" o anche, in materia di tributi diretti, dal sostituto d'imposta. Di conseguenza, sarebbe perfettamente inutile comunicare al dichiarante i risultati del controllo automatico e interloquire con lui, se questi coincidono col dichiarato, ossia se non emerge alcun errore ovvero, con riferimento all'articolo 6, comma 5, legge 212 del 2000, se non "sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione". Tribuna Finanziaria - n. 3 FISCO Avvisi bonari e comunicazioni Si premette che l'attività di accertamento dell'Amministrazione finanziaria prevede delle procedure cosiddette di "controllo formale" volte a rettificare le dichiarazioni presentate dai contribuenti senza svolgere attività ispettive particolari, attraverso il semplice riscontro del contenuto delle stesse. Lo scopo dei controlli formali è quello di correggere gli errori materiali e di calcolo commessi dai contribuenti nella redazione delle dichiarazioni. Tali controlli sono previsti, ai fini delle imposte dirette, dagli articoli 36-bis e 36-ter del D.p.r. 600 del 1973, mentre per l'Iva sono stabiliti dall'articolo 54-bis del D.p.r. 633 del 1972. Gli articoli 36-bis e 54-bis stabiliscono le procedure per i controlli automatizzati delle dichiarazioni: se da tali controlli emerge un risultato diverso da quello indicato dal contribuente, l'ufficio provvede a inviare una comunicazione in cui vengono evidenziate le rettifiche effettuate, le imposte, le sanzioni e gli interessi da versare. Alla comunicazione viene allegato anche il modello F24 precompilato per il versamento. L'articolo 36-ter, invece, stabilisce la procedura per il controllo formale delle dichiarazioni: se dal controllo emergono delle differenze, l'ufficio comunica al contribuente le rettifiche apportate e le imposte, le sanzioni e gli interessi da versare, attraverso la notifica a mezzo posta di avvisi bonari con l'indicazione dei motivi che hanno generato la rettifica. Ai contribuenti destinatari di questi atti è offerta la possibilità di definizione in via breve, versando quanto richiesto entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione o dell'avviso bonario. Il versamento effettuato entro il termine indicato comporta l'applicazione della sanzione ridotta al 10% (cioè un terzo del 30% di cui all'articolo 13, D.l.gs 471 del 1997), nel caso dei controlli automatici, e del 20% (cioè due terzi del 30%), nel caso di avvisi bonari notificati a seguito dei controlli formali. Il fatto La vicenda dell'ordinanza n. 22035 del 2010 riguarda i controlli formali delle dichiarazioni dei redditi (articolo 36-bis del D.p.r. 600 del 1973) e degli effetti che ne derivano. Si tratta, in particolare, di cartelle di pagamento, notificate a un contribuente dal concessionario della riscossione, derivanti da iscrizione a ruolo di omessi versamenti Irpef e Irap, rilevati dal controllo automatizzato della dichiarazione. L'opposizione, rigettata in primo grado, viene riformata in sede di appello, poiché la Commissione tributaria regionale ha considerato che l'Amministrazione avrebbe dovuto inviare, prima della notifica dei ruoli, apposita comunicazione di irregolarità prevista dall'articolo 6, comma 5, della legge 212 del 2000 (Statuto del contribuente), in base al quale, prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione medesima, l'Amministrazione finanziaria, a pena di nullità, "deve" invitare il contribuente a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un congruo termine, comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta. Tributi TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 21 21 FISCO Tributi TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 22 22 L'adempimento in questione è, infatti, una "comunicazione d'irregolarità", mentre nessuna norma impone di comunicare la "regolarità" della dichiarazione (in tema di Iva, è stato affermato che l'unica funzione dell'avviso è quella di consentire al contribuente di attenuare le conseguenze sanzionatorie della realizzata omissione, fermo restando l'obbligo di corresponsione integrale del tributo (Cassazione, sentenze n. 907 del 2002 e n. 1802 del 2006). Il principio di diritto che si può ricavare dalla pronuncia in esame è il seguente (Cassazione 17396 del 2010): "Non è richiesta la comunicazione di irregolarità derivante dal controllo formale se l'iscrizione a ruolo deriva non da errori nella dichiarazione bensì dall'omesso o dall'insufficiente versamento di quanto dichiarato. L'adempimento in questione è, infatti, una "comunicazione d'irregolarità", mentre nessuna norma impone di comunicare la "regolarità" della dichiarazione". Comunicazione tramite avviso bonario: lʼintermediario allunga i tempi (Ctp Treviso n. 73/4/13 del 12 settembre 2013) La vertenza nasce dalla opposizione di una società ad una cartella esattoriale emessa dalla locale Agenzia delle Entrate conseguente al ritardato versamento della prima rata di un piano di rateazione per il pagamento di ritenute dovute e non versate. La tesi sostenuta dalla società ricorrente è quella per cui lʼavviso di rettifica e di irregolarità per omesso versamento delle ritenute sulle retribuzioni è stato trasmesso telematicamente e lo statuto del contribuente stabilisce che il termine di 30 gg per il pagamento inizia a decorrere dal 60° giorno successivo alla trasmissione dellʼavviso telematico, ulteriormente combinata con quanto disposto dal comma 2, art. 2-bis del DL 30.09.2005 n. 203. Opposta la tesi del Fisco per cui il termine per il versamento della I rata è di 30 gg dal ricevimento della comunicazione, come stabilito dallʼart. 2 del DL n. 462 del 1997, ovvero 30 giorni dalla comunicazione definitiva dopo i chiarimenti forniti dal contribuente. E i giudici della CTP accolgono proprio la tesi del contribuente; infatti quando lʼavviso bonario viene recapitato allʼintermediario e non al contribuente, il termine di pagamento decorre dal sessantesimo giorno successivo a quello di trasmissione telematica dellʼinvito. Nella fattispecie il termine per pagare le somme o la prima rata del piano di dilazione è quindi di novanta giorni dalla comunicazione dellʼavviso bonario stesso. Definizione liti pendenti per cartelle da avviso bonario La cartella scaturita da avviso bonario con cui si disconoscono deduzioni rientra nella definizione delle liti pendenti. A chiarirlo è la Cassazione con l'ordinanza n. 2546 depositata il 21 febbraio 2012. Una società impugnava l'iscrizione a ruolo ed il conseguente diniego della definizione delle liti pendenti. La commissione regionale confermava invece sia la validità del ruolo, sia il diniego della definizione; il contribuente ricorreva, allora, per Cassazione. La Corte ha accolto il gravame, in base al principio secondo cui è definibile la controversia avente ad oggetto l'impugnazione di un ruolo derivante dal controllo di cui all'articolo 36 bis del D.p.r. n. 600 del 1973, quando disconosca la deducibilità di una determinata impo- sta. La problematica affrontata nell'ordinanza appare molto attuale in considerazione della recente riapertura della sanatoria per la definizione delle liti pendenti, infatti, benché limitata alle cause fino a 20mila euro, essa ha ripreso integralmente le disposizioni di cui all'articolo 16 della legge 289 del 2002. Precisamente è possibile definire le liti relative a tutti gli atti impositivi emessi dall'Agenzia delle Entrate, intendendosi per tali quelli che presuppongono una rettifica della dichiarazione presentata dal contribuente e, conseguentemente, maggiori imposte. Vi è quindi un'esclusione di tutti gli atti con funzione di liquidazione o riscossione del tributo, ossia quei provvedimenti che si limitano a pretendere quanto già dichiarato dal contribuente come dovuto. Nel caso oggetto dell'ordinanza, l'atto impugnato era un ruolo conseguente alla liquidazione della dichiarazione, a norma dell'articolo 36 bis del D.p.r. n. 600 del 1973, preceduto da avviso bonario. Quest'attività, nella maggior parte dei casi, concerne la mera riscossione (si pensi alle varie ipotesi di omesso versamento) e quindi, anche se impugnato, non poteva essere oggetto di definizione, perché non considerato atto impositivo. Tuttavia, l'ordinanza, precisa che quando il ruolo recupera a tassazione poste che il contribuente ha ritenuto deducibili, rappresenta il primo atto con cui l'ufficio esercita la pretesa impositiva. Nonostante, nella specie, si trattasse di deduzioni Ilor, la pronuncia è comunque attuale in quanto, ad esempio, potrebbe oggi riguardare il disconoscimento di perdite pregresse riportate a nuovo. A rischio nullità lʼavviso bonario privo dellʼintestazione qualificante il tipo di atto Può essere annullato lʼavviso bonario notificato al contribuente senza lʼintestazione che qualifica la tipologia dellʼatto. Frenando rispetto a un serie di precedenti contrari, la Corte di cassazione, con una laconica motivazione contenuta nellʼordinanza n. 14848 del 5 settembre 2012, ha accolto il ricorso di un contribuente che contestava un avviso di riscossione privo dellʼintestazione. Insomma sembra superato il principio per cui nel processo tributario sono qualificabili come avvisi di accertamento o di liquidazione, impugnabili ai sensi dell'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, tutti quegli atti con cui l'Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, ancorché tale comunicazione non si concluda con una formale intimazione di pagamento, sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell'attività esecutiva, bensì con un invito bonario a versare quanto dovuto, non assumendo alcun rilievo la mancanza della formale dizione "avviso di liquidazione" o "avviso di pagamento" o la mancata indicazione del termine o delle forme da osservare per l'impugnazione o della commissione tributaria competente, le quali possono dar luogo soltanto ad un vizio dell'atto o renderlo inidoneo a far decorrere il predetto termine, o anche giustificare la rimessione in termini del contribuente per errore scusabile. Avv. Maurizio Villani Dott.ssa Grazia Albanese Tribuna Finanziaria - n. 3 TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 23 Il motore di ricerca è responsabile del trattamento dei dati personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi ma dallo stesso indicizzate Il giudice comunitario ha evidenziato che “lʼattività di un motore di ricerca consistente nel trovare informazioni pubblicate o inserite da terzi su Internet, nellʼindicizzarle in modo automatico, nel memorizzarle temporaneamente e, infine, nel metterle a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza, deve essere qualificata come «trattamento di dati personali”. Il gestore del motore di ricerca deve, quindi, essere considerato come il «responsabile» del trattamento degli stessi. In particolare, ciò significa che “il gestore di un motore di ricerca è obbligato a sopprimere, dallʼelenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, dei link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona, anche nel caso in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi e ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sé lecita”. Corte di giustizia dellʼUnione europea COMUNICATO STAMPA n. 70/14 Corte di giustizia dellʼUnione europea COMUNICATO STAMPA n. 70/14 Lussemburgo, 13 maggio 2014 Sentenza nella causa C-131/12 Google Spain SL, Google Inc. / Agencia Española de Protección de Datos, Mario Costeja González Il gestore di un motore di ricerca su Internet è responsabile del trattamento da esso effettuato dei dati personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi Così, nel caso in cui, a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, lʼelenco di risultati mostra un link verso una pagina web che contiene informazioni sulla persona in questione, questa può rivolger- si direttamente al gestore oppure, qualora questi non dia seguito alla sua domanda, adire le autorità competenti per ottenere, in presenza di determinate condizioni, la soppressione di tale link dallʼelenco di risultati. Una direttiva dellʼUnione1 mira a proteggere le libertà e i diritti fondamentali delle persone fisiche (segnatamente il diritto alla vita privata) in occasione del trattamento dei dati personali, eliminando al tempo stesso gli ostacoli alla libera circolazione di tali dati. Nel 2010 il sig. Mario Costeja González, cittadino spagnolo, ha presentato allʼAgencia Española de Protección de Datos (Agenzia spagnola di protezione dei dati, AEPD) un reclamo contro La Vanguardia Ediciones SL (editore di un quotidiano largamente diffuso in Spagna, specialmente nella regione della Catalogna), nonché contro Google Spain e Google Inc. Il sig. Costeja González faceva valere che, allorché il proprio nome veniva introdotto nel motore di ricerca del gruppo Google («Google Search»), lʼelenco di risultati mostrava dei link verso due pagine del quotidiano di La Vanguardia, datate gennaio e marzo 1998. Tali pagine annunciavano una vendita allʼasta di immobili organizzata a seguito di un pignoramento effettuato per la riscossione coattiva di crediti previdenziali nei confronti del sig. Costeja González. Mediante detto reclamo, il sig. Costeja González chiedeva, da un lato, che fosse ordinato a La Vanguardia di sopprimere o modificare le pagine suddette (affinché i suoi dati personali non vi comparissero più) oppure di ricorrere a taluni strumenti forniti dai motori di ricerca per proteggere tali dati. Dallʼaltro lato, chiedeva che fosse ordinato a Google Spain o a Google Inc. di eliminare o di occultare i suoi dati personali, in modo che cessassero di comparire tra i risultati di ricerca e non figurassero più nei link di La Vanguardia. Il sig. Costeja González affermava in tale contesto che il pignoramento effettuato nei suoi confronti era stato interamente definito da svariati anni e che la menzione dello stesso era ormai priva di qualsiasi rilevanza. LʼAEPD ha respinto il reclamo diretto contro La Vanguardia, ritenendo che lʼeditore avesse legittimamente pubblicato le informazioni in questione. Per contro, il reclamo è stato accolto nei confronti di Google Spain e Google Inc. LʼAEPD ha chiesto a queste due società di adottare le misure necessarie per rimuovere i dati dai loro indici e per rendere impossibile in futuro lʼaccesso a i dati stessi. Google Spain e Google Inc. hanno proposto due ricorsi dinanzi allʼAudiencia Nacional (Spagna), chiedendo lʼannullamento della decisione dellʼAEPD. È in tale contesto che il giudice spagnolo ha sottoposto una serie di questioni alla Corte di giustizia. Tribuna Finanziaria - n. 3 CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA Commento a cura del Cav. Franco Antonio Pinardi 23 CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 24 24 Nella sua sentenza odierna, la Corte constata anzitutto che, esplorando Internet in modo automatizzato, costante e sistematico alla ricerca delle informazioni ivi pubblicate, il gestore di un motore di ricerca «raccoglie» dati ai sensi della direttiva. La Corte giudica inoltre che il gestore «estrae», «registra» e «organizza» tali dati nellʼambito dei suoi programmi di indicizzazione, prima di «conservarli» nei suoi server e, eventualmente, di «comunicarli» e di «metterli a disposizione» dei propri utenti sotto forma di elenchi di risultati. Tali operazioni, contemplate in maniera esplicita e incondizionata dalla direttiva, devono essere qualificate come «trattamento», indipendentemente dal fatto che il gestore del motore di ricerca applichi le medesime operazioni anche ad altri tipi di informazioni diverse dai dati personali. La Corte ricorda inoltre che le operazioni contemplate dalla direttiva devono essere considerate come un trattamento anche nellʼipotesi in cui riguardino esclusivamente informazioni già pubblicate tali e quali nei media. Una deroga generale allʼapplicazione della direttiva in unʼipotesi siffatta avrebbe come effetto di svuotare in larga parte questʼultima del suo significato. La Corte reputa inoltre che il gestore del motore di ricerca sia il «responsabile» di tale trattamento, ai sensi della direttiva, dato che è lui a determinarne le finalità e gli strumenti del trattamento stesso. La Corte rileva in proposito che, nella misura in cui lʼattività di un motore di ricerca si aggiunge a quella degli editori di siti web e può incidere significativamente sui diritti fondamentali alla vita privata e alla protezione dei dati personali, il gestore del motore di ricerca deve garantire, nellʼambito del le sue responsabilità, delle sue competenze e delle sue possibilità, che detta attività soddisfi le prescrizioni della direttiva. Soltanto in tal modo le garanzie previste dalla direttiva potranno sviluppare pienamente i loro effetti e potrà essere effettivamente realizzata una tutela efficace e completa delle persone interessate. Quanto allʼambito di applicazione territoriale della direttiva, la Corte osserva che Google Spain costituisce una filiale di Google Inc. nel territorio spagnolo e, pertanto, uno «stabilimento» ai sensi della direttiva. La Corte respinge lʼargomento secondo cui il trattamento di dati personali da parte di Google Search non viene effettuato nel contesto delle attività di tale stabilimento in Spagna. La Corte considera al riguardo che, quando dati siffatti vengono trattati per le esigenze di un motore di ricerca gestito da unʼimpresa che, sebbene situata in uno Stato terzo, dispone di uno stabilimento in uno Stato membro, il trattamento viene effettuato «nel contesto delle attività» di tale stabilimento, ai sensi della direttiva, qualora questʼultimo sia destinato ad assicurare, nello Stato membro in questione, la promozione e la vendita degli spazi pubblicitari proposti sul motore di ricerca al fine di rendere redditizio il servizio offerto da questʼultimo. Per quanto riguarda poi lʼestensione della responsabilità del gestore del motore di ricerca, la Corte constata che questʼultimo è obbligato, in presenza di determinate condizioni, a sopprimere, dallʼelenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, dei link verso pagine web pubbli- cate da terzi e contenenti informazioni relative a tale persona. Tale obbligo può esistere anche nellʼipotesi in cui tale nome o tali informazioni non venga no previamente o simultaneamente cancellati dalle suddette pagine web, e ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione sulle pagine in questione sia di per sé lecita. La Corte sottolinea in tale contesto che un trattamento di dati personali effettuato da un gestore siffatto consente a qualsiasi utente di Internet, allorché effettua una ricerca a partire dal nome di una persona fisica, di ottenere, mediante lʼelenco di risultati, una visione complessiva strutturata delle informazioni relative a questa persona su Internet. La Corte rileva inoltre che tali informazioni toccano potenzialmente una moltitudine di aspetti della vita privata e che, in assenza del motore di ricerca, esse non avrebbero potuto, o soltanto difficilmente avrebbero potuto, essere connesse tra loro. Gli utenti di Internet possono così stabilire un profilo più o meno dettagliato delle persone ricercate. Inoltre, lʼeffetto dellʼingerenza nei diritti della persona risulta moltiplicato in ragione del ruolo importante che svolgono Internet e i motori di ricerca nella società moderna, i quali conferiscono alle informazioni contenute negli elenchi di risultati carattere ubiquitario. Tenuto conto della sua potenziale gravità, una simile ingerenza non può, secondo la Corte, essere giustificata dal semplice interesse economico del gestore del motore di ricerca nel trattamento dei dati. Tuttavia, poiché la soppressione di link dallʼelenco di risultati potrebbe, a seconda dellʼinformazione in questione, avere ripercussioni sul legittimo interesse degli utenti di Internet potenzialmente interessati a avere accesso a questʼultima, la Corte constata che occorre ricercare un giusto equilibrio tra tale interesse e i diritti fondamentali della persona interessata, e segnatamente il diritto al rispetto della vita privata e il diritto alla protezione dei dati personali. La Corte rileva in proposito che, se indubbiamente i diritti della persona interessata prevalgono, di norma, anche sul citato interesse degli utenti di Internet, tale equilibrio può nondimeno dipendere, in casi particolari, dalla natura dellʼinformazione di cui trattasi e dal suo carattere sensibile per la vita privata della persona suddetta, nonché dallʼinteresse del pubblico a ricevere tale informazione, il quale può variare, in particolare, a seconda del ruolo che tale persona riveste nella vita pubblica. Infine, interrogata sulla questione se la direttiva consenta alla persona interessata di chiedere che dei link verso pagine web siano cancellati da tale elenco di risultati per il fatto che detta persona desideri che le informazioni ivi figuranti relative alla sua persona siano oggetto di «oblio» dopo un certo tempo, la Corte rileva che, qualora si constati, in seguito a una richiesta della persona interessata, che lʼinclusione di tali link nellʼelenco è, allo stato attuale, incompatibile con la direttiva, le informazioni e i link figuranti in tale elenco devono essere cancellati. La Corte osserva al riguardo che anche un trattamento inizialmente lecito di dati esatti può divenire, con il tempo, incompatibile con la direttiva suddetta nel caso in cui, tenuto conto dellʼinsieme Tribuna Finanziaria - n. 3 delle circostanze caratterizzanti il caso di specie, tali dati risultino inadeguati, non pertinenti o non più pertinenti ovvero eccessivi in rapporto alle finalità per le quali sono stati trattati e al tempo trascorso. La Corte aggiunge che, nel valutare una domanda di questo tipo proposta dalla persona interessata contro il trattamento realizzato dal gestore di un motore di ricerca, occorre verificare in particolare se lʼinteressato abbia diritto a che le informazioni in questione riguardanti la sua persona non venga no più, allo stato attuale, collegate al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome. Qualora si verifichi unʼipotesi siffatta, i link verso pagine web contenenti tali informazioni devono essere cancellati da tale elenco di risultati, a meno che sussistano ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, giustificanti un interesse preminente del pubblico ad avere accesso, nellʼambito di una ricerca siffatta, a dette informazioni. La Corte precisa che la persona interessata può rivolgere domande siffatte direttamente al gestore del motore di ricerca, che deve in tal caso procedere al debito esame della loro fondatezza. Qualora il responsabile del trattamento non dia seguito a tali domande, la persona interessata può adire lʼautorità di controllo o lʼautorità giudiziaria affinché queste effettuino le verifiche necessarie e ordinino a detto responsabile lʼadozione di misure precise conseguenti. IMPORTANTE: Il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nellʼambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito allʼinterpretazione del diritto dellʼUnione o alla validità di un atto dellʼUnione. La Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte. Tale decisione vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile. SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione) 13 maggio 2014 (*) «Dati personali – Tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento di tali dati – Direttiva 95/46/CE – Articoli 2, 4, 12 e 14 – Ambito di applicazione materiale e territoriale – Motori di ricerca su Internet – Trattamento dei dati contenuti in siti web – Ricerca, indicizzazione e memorizzazione di tali dati – Responsabilità del gestore del motore di ricerca – Stabilimento nel territorio di uno Stato membro – Portata degli obblighi di tale gestore e dei diritti della persona interessata – Carta dei diritti fondamentali dellʼUnione europea – Articoli 7 e 8» Nella causa C-131/12, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dellʼarticolo 267 TFUE, dallʼAudiencia Nacional (Spagna), con decisione del 27 febbraio 2012, pervenuta in cancelleria il 9 marzo 2012, nel procedimento Google Spain SL, Google Inc. contro Agencia Española de Protección de Datos (AEPD), Mario Costeja González, LA CORTE (Grande Sezione), composta da V. Skouris, presidente, K. Lenaerts, vicepresidente, M. Ileš ič (relatore), L. Bay Larsen, T. von Danwitz, M. Safjan, presidenti di sezione, J. Malenovský, E. Levits, A. Ó Caoimh, A. Arabadjiev, M. Berger, A. Prechal e E. Jaraš iū nas, giudici, avvocato generale: N. Jääskinen cancelliere: M. Ferreira, amministratore principale vista la fase scritta del procedimento e in seguito allʼudienza del 26 febbraio 2013, considerate le osservazioni presentate: – per Google Spain SL e Google Inc., da F. González Díaz, J. Baño Fos e B. Holles, abogados; – per M. Costeja González, da J. Muñoz Rodríguez, abogado; – per il governo spagnolo, da A. Rubio González, in qualità di agente; – per il governo ellenico, da E.-M. Mamouna e K. Boskovits, in qualità di agenti; – per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da P. Gentili, avvocato dello Stato; – per il governo austriaco, da G. Kunnert e C. Pesendorfer, in qualità di agenti; – per il governo polacco, da B. Majczyna e M. Szpunar, in qualità di agenti; – per la Commissione europea, da I. Martínez del Peral e B. Martenczuk, in qualità di agenti, sentite le conclusioni dellʼavvocato generale, presentate allʼudienza del 25 giugno 2013, ha pronunciato la seguente Sentenza 1. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sullʼinterpretazione degli articoli 2, lettere b) e d), 4, paragrafo 1, lettere a) e c), 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati (GU L 281, pag. 31), nonché dellʼarticolo 8 della Carta dei diritti fondamentali dellʼUnione europea (in prosieguo: la «Carta»). 2. Tale domanda è stata proposta nellʼambito di una controversia che oppone le società Google Spain SL (in prosieguo: «Google Spain») e Google Inc. allʼAgencia Española de Protección de Datos (AEPD) (Agenzia di protezione dei dati; in prosieguo: lʼ«AEPD») e al sig. Costeja González, in merito ad una decisione di detta Agenzia che ha accolto la denuncia depositata dal sig. Costeja González contro le due società suddette e ha ordinato a Google Inc. di adottare le misure necessarie per rimuovere dai propri indici alcuni dati personali riguardanti detto interessato e di impedire in futuro lʼaccesso a tali dati. Contesto normativo Diritto dellʼUnione 3. La direttiva 95/46 – che, ai sensi del suo articolo 1, ha per oggetto la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali delle persone fisiche, e segnatamente del diritto alla vita privata, con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché lʼeliminazione degli ostacoli alla libera circolazione di tali dati – enuncia, ai considerando 2, 10, da 18 a 20, e 25, quanto segue: Tribuna Finanziaria - n. 3 CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 25 25 CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 26 26 «(2) considerando che i sistemi di trattamento dei dati sono al servizio dellʼuomo; che essi, indipendentemente dalla nazionalità o dalla residenza delle persone fisiche, debbono rispettare le libertà e i diritti fondamentali delle stesse, in particolare la vita privata, e debbono contribuire al (...) benessere degli individui; (...) (10) considerando che le legislazioni nazionali relative al trattamento dei dati personali hanno lo scopo di garantire il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, in particolare del diritto alla vita privata, riconosciuto anche dallʼarticolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dellʼuomo e delle libertà fondamentali[, firmata a Roma il 4 novembre 1950,] e dai principi generali del diritto comunitario; che pertanto il ravvicinamento di dette legislazioni non deve avere per effetto un indebolimento della tutela da esse assicurata ma deve anzi mirare a garantire un elevato grado di tutela nella Comunità; (...) (18) considerando che, onde evitare che una persona venga privata della tutela cui ha diritto in forza della presente direttiva, è necessario che qualsiasi trattamento di dati personali effettuato nella Comunità rispetti la legislazione di uno degli Stati membri; che, a questo proposito, è opportuno assoggettare i trattamenti effettuati da una persona che opera sotto lʼautorità del responsabile del trattamento stabilito in uno Stato membro alla legge di tale Stato; (19) considerando che lo stabilimento nel territorio di uno Stato membro implica lʼesercizio effettivo e reale dellʼattività mediante unʼorganizzazione stabile; che la forma giuridica di siffatto stabilimento, si tratti di una semplice succursale o di una filiale dotata di personalità giuridica, non è il fattore determinante a questo riguardo; che quando un unico responsabile del trattamento è stabilito nel territorio di diversi Stati membri, in particolare per mezzo di filiali, esso deve assicurare, segnatamente per evitare che le disposizioni vengano eluse, che ognuno degli stabilimenti adempia gli obblighi previsti dalla legge nazionale applicabile alle attività di ciascuno di essi; (20) considerando che la tutela delle persone prevista dalla presente direttiva non deve essere impedita dal fatto che il responsabile del trattamento sia stabilito in un paese terzo; che, in tal caso, è opportuno che i trattamenti effettuati siano disciplinati dalla legge dello Stato membro nel quale sono ubicati i mezzi utilizzati per il trattamento in oggetto e che siano prese le garanzie necessarie per consentire lʼeffettivo rispetto dei diritti e degli obblighi previsti dalla presente direttiva; (...) (25) considerando che i principi di tutela si esprimono, da un lato, nei vari obblighi a carico delle persone (...) [che trattano dati], obblighi relativi in particolare alla qualità dei dati, alla sicurezza tecnica, alla notificazione allʼautorità di controllo, alle circostanze in cui il trattamento può essere effettuato, e, dallʼaltro, nel diritto delle persone, i cui dati sono oggetto di trattamento, di esserne informate, di poter accedere ai dati, e chieder- ne la rettifica, o di opporsi al trattamento in talune circostanze». 4. Lʼarticolo 2 della direttiva 95/46 prevede che «[a]i fini [di tale] direttiva si intende per: a) “dati personali”: qualsiasi informazione concernente una persona fisica identificata o identificabile (“persona interessata”); si considera identificabile la persona che può essere identificata, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento ad un numero di identificazione o ad uno o più elementi specifici caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, psichica, economica, culturale o sociale; b) “trattamento di dati personali” (“trattamento”): qualsiasi operazione o insieme di operazioni compiute con o senza lʼausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali, come la raccolta, la registrazione, lʼorganizzazione, la conservazione, lʼelaborazione o la modifica, lʼestrazione, la consultazione, lʼimpiego, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o lʼinterconnessione, nonché il congelamento, la cancellazione o la distruzione; (...) d) “responsabile del trattamento”: la persona fisica o giuridica, lʼautorità pubblica, il servizio o qualsiasi altro organismo che, da solo o insieme ad altri, determina le finalità e gli strumenti del trattamento di dati personali. Quando le finalità e i mezzi del trattamento sono determinati da disposizioni legislative o regolamentari nazionali o comunitarie, il responsabile del trattamento o i criteri specifici per la sua designazione possono essere fissati dal diritto nazionale o comunitario; (...)». 5. Lʼarticolo 3 della citata direttiva, intitolato «Campo dʼapplicazione», enuncia, al paragrafo 1, quanto segue: «Le disposizioni della presente direttiva si applicano al trattamento di dati personali interamente o parzialmente automatizzato nonché al trattamento non automatizzato di dati personali contenuti o destinati a figurare negli archivi». 6. Lʼarticolo 4 della stessa direttiva, intitolato «Diritto nazionale applicabile», prevede: «1. Ciascuno Stato membro applica le disposizioni nazionali adottate per lʼattuazione della presente direttiva al trattamento di dati personali: a) effettuato nel contesto delle attività di uno stabilimento del responsabile del trattamento nel territorio dello Stato membro; qualora uno stesso responsabile del trattamento sia stabilito nel territorio di più Stati membri, esso deve adottare le misure necessarie per assicurare lʼosservanza, da parte di ciascuno di detti stabilimenti, degli obblighi stabiliti dal diritto nazionale applicabile; b) il cui responsabile non è stabilito nel territorio dello Stato membro, ma in un luogo in cui si applica la sua legislazione nazionale, a norma del diritto internazionale pubblico; c) il cui responsabile, non stabilito nel territorio della Comunità, ricorre, ai fini del trattamento di dati personali, a strumenti, automatizzati o non automatizzati, situati nel territorio di detto Stato membro, a meno che Tribuna Finanziaria - n. 3 questi non siano utilizzati ai soli fini di transito nel territorio della Comunità europea. 2. Nella fattispecie di cui al paragrafo 1, lettera c), il responsabile del trattamento deve designare un rappresentante stabilito nel territorio di detto Stato membro, fatte salve le azioni che potrebbero essere promosse contro lo stesso responsabile del trattamento». 7. Nellʼambito del capo II della direttiva 95/46, segnatamente nella sezione I, intitolata «Principi relativi alla qualità dei dati», lʼarticolo 6 dispone quanto segue: «1. Gli Stati membri dispongono che i dati personali devono essere: a) trattati lealmente e lecitamente; b) rilevati per finalità determinate, esplicite e legittime, e successivamente trattati in modo non incompatibile con tali finalità. Il trattamento successivo dei dati per scopi storici, statistici o scientifici non è ritenuto incompatibile, purché gli Stati membri forniscano garanzie appropriate; c) adeguati, pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali vengono rilevati e/o per le quali vengono successivamente trattati; d) esatti e, se necessario, aggiornati; devono essere prese tutte le misure ragionevoli per cancellare o rettificare i dati inesatti o incompleti rispetto alle finalità per le quali sono rilevati o sono successivamente trattati, cancellati o rettificati; e) conservati in modo da consentire lʼidentificazione delle persone interessate per un arco di tempo non superiore a quello necessario al conseguimento delle finalità per le quali sono rilevati o sono successivamente trattati. Gli Stati membri prevedono garanzie adeguate per i dati personali conservati oltre il suddetto arco di tempo per motivi storici, statistici o scientifici. 2. Il responsabile del trattamento è tenuto a garantire il rispetto delle disposizioni del paragrafo 1». 8. Nel capo II della direttiva 95/46, allʼinterno della sezione II, intitolata «Principi relativi alla legittimazione del trattamento dei dati», lʼarticolo 7 recita così: «Gli Stati membri dispongono che il trattamento di dati personali può essere effettuato soltanto quando: (...) f) è necessario per il perseguimento dellʼinteresse legittimo del responsabile del trattamento oppure del o dei terzi cui vengono comunicati i dati, a condizione che non prevalgano lʼinteresse o i diritti e le libertà fondamentali della persona interessata, che richiedono tutela ai sensi dellʼarticolo 1, paragrafo 1». 9. Lʼarticolo 9 della citata direttiva, intitolato «Trattamento di dati personali e libertà dʼespressione», ha il seguente tenore: «Gli Stati membri prevedono, per il trattamento di dati personali effettuato esclusivamente a scopi giornalistici o di espressione artistica o letteraria, le esenzioni o le deroghe alle disposizioni del presente capo e dei capi IV e VI solo qualora si rivelino necessarie per conciliare il diritto alla vita privata con le norme sulla libertà dʼespressione». 10. Lʼarticolo 12 della medesima direttiva, intitolato «Diritto di accesso», così dispone: «Gli Stati membri garantiscono a qualsiasi persona interessata il diritto di ottenere dal responsabile del trattamento: (...) b) a seconda dei casi, la rettifica, la cancellazione o il congelamento dei dati il cui trattamento non è conforme alle disposizioni della presente direttiva, in particolare a causa del carattere incompleto o inesatto dei dati; (...)». 11. Lʼarticolo 14 della direttiva 95/46, intitolato «Diritto di opposizione della persona interessata», ha il seguente tenore: «Gli Stati membri riconoscono alla persona interessata il diritto: a) almeno nei casi di cui allʼarticolo 7, lettere e) e f), di opporsi in qualsiasi momento, per motivi preminenti e legittimi, derivanti dalla sua situazione particolare, al trattamento di dati che la riguardano, salvo disposizione contraria prevista dalla normativa nazionale. In caso di opposizione giustificata il trattamento effettuato dal responsabile non può più riguardare tali dati; (...)». 12. Lʼarticolo 28 di detta direttiva, intitolato «Autorità di controllo», è così formulato: «1. Ogni Stato membro dispone che una o più autorità pubbliche siano incaricate di sorvegliare, nel suo territorio, lʼapplicazione delle disposizioni di attuazione della presente direttiva, adottate dagli Stati membri. (...) 3. Ogni autorità di controllo dispone in particolare: – di poteri investigativi, come il diritto di accesso ai dati oggetto di trattamento e di raccolta di qualsiasi informazione necessaria allʼesercizio della sua funzione di controllo; – di poteri effettivi dʼintervento, come quello (...) di ordinare il congelamento, la cancellazione o la distruzione dei dati, oppure di vietare a titolo provvisorio o definitivo un trattamento (...); – (...). È possibile un ricorso giurisdizionale avverso le decisioni dellʼautorità di controllo recanti pregiudizio. 4. Qualsiasi persona, o associazione che la rappresenti, può presentare a unʼautorità di controllo una domanda relativa alla tutela dei suoi diritti e libertà con riguardo al trattamento di dati personali. La persona interessata viene informata del seguito dato alla sua domanda. (...) 6. Ciascuna autorità di controllo, indipendentemente dalla legge nazionale applicabile al trattamento in questione, è competente per esercitare, nel territorio del suo Stato membro, i poteri attribuitile a norma del paragrafo 3. Ciascuna autorità può essere invitata ad esercitare i suoi poteri su domanda dellʼautorità di un altro Stato membro. Le autorità di controllo collaborano tra loro nella misura necessaria allo svolgimento dei propri compiti, in particolare scambiandosi ogni informazione utile. (...)». Diritto spagnolo 13. La direttiva 95/46 è stata trasposta nellʼordinamento spagnolo mediante la legge organica n. 15/1999, del Tribuna Finanziaria - n. 3 CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 27 27 CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 28 28 13 dicembre 1999, relativa alla tutela dei dati personali (BOE n. 298, del 14 dicembre 1999, pag. 43088). Procedimento principale e questioni pregiudiziali 14. Il 5 marzo 2010, il sig. Costeja González, cittadino spagnolo con domicilio in Spagna, ha presentato dinanzi allʼAEPD un reclamo contro La Vanguardia Ediciones SL, che pubblica un quotidiano di larga diffusione, soprattutto in Catalogna (Spagna) (in prosieguo: «La Vanguardia»), nonché contro Google Spain e Google Inc. Tale reclamo era fondato sul fatto che, allorché un utente di Internet introduceva il nome del sig. Costeja González nel motore di ricerca del gruppo Google (in prosieguo: «Google Search»), otteneva dei link verso due pagine del quotidiano di La Vanguardia rispettivamente del 19 gennaio e del 9 marzo 1998, sulle quali figurava un annuncio, menzionante il nome del sig. Costeja González, per una vendita allʼasta di immobili connessa ad un pignoramento effettuato per la riscossione coattiva di crediti previdenziali. 15. Mediante detto reclamo, il sig. Costeja González chiedeva, da un lato, che fosse ordinato a La Vanguardia di sopprimere o modificare le pagine suddette affinché i suoi dati personali non vi comparissero più, oppure di ricorrere a taluni strumenti forniti dai motori di ricerca per proteggere tali dati. Dallʼaltro lato, egli chiedeva che fosse ordinato a Google Spain o a Google Inc. di eliminare o di occultare i suoi dati personali, in modo che cessassero di comparire tra i risultati di ricerca e non figurassero più nei link di La Vanguardia. Il sig. Costeja González affermava in tale contesto che il pignoramento, che era stato effettuato nei suoi confronti, era stato interamente definito da svariati anni e che la menzione dello stesso era ormai priva di qualsiasi rilevanza. 16. Con decisione del 30 luglio 2010, lʼAEPD ha respinto il suddetto reclamo nella parte in cui era diretto contro La Vanguardia, ritenendo che la pubblicazione da parte di questʼultima delle informazioni in questione fosse legalmente giustificata, dato che aveva avuto luogo su ordine del Ministero del Lavoro e degli Affari sociali e aveva avuto lo scopo di conferire il massimo di pubblicità alla vendita pubblica, al fine di raccogliere il maggior numero di partecipanti allʼasta. 17. Detto reclamo è stato invece accolto nella parte in cui era diretto contro Google Spain e Google Inc. LʼAEPD ha considerato in proposito che i gestori di motori di ricerca sono assoggettati alla normativa in materia di protezione dei dati, dato che essi effettuano un trattamento di dati per il quale sono responsabili e agiscono quali intermediari della società dellʼinformazione. LʼAEPD ha ritenuto di essere autorizzata ad ordinare la rimozione dei dati nonché il divieto di accesso a taluni dati da parte dei gestori di motori di ricerca, qualora essa ritenga che la localizzazione e la diffusione degli stessi possano ledere il diritto fondamentale alla protezione dei dati e la dignità delle persone in senso ampio, ciò che includerebbe anche la semplice volontà della persona interessata che tali dati non siano conosciuti da terzi. LʼAEPD ha affermato che tale obbligo può incombere direttamente ai gestori di motori di ricerca, senza che sia necessario cancellare i dati o le informazioni dal sito web in cui questi compaiono, segnatamente quando il mantenimento di tali informazioni nel sito in questione sia giustificato da una norma di legge. 18. Google Spain e Google Inc. hanno proposto due ricorsi separati contro la decisione di cui sopra dinanzi allʼAudiencia Nacional, dei quali questʼultima ha disposto la riunione. 19. Detto giudice chiarisce nella decisione di rinvio che i ricorsi sopra menzionati portano a chiedersi quali obblighi incombano ai gestori di motori di ricerca per la tutela dei dati personali delle persone interessate, le quali non desiderino che alcune informazioni, pubblicate sui siti web di terzi e contenenti loro dati personali che consentono di collegare ad esse dette informazioni, vengano localizzate, indicizzate e messe a disposizione degli utenti di Internet in modo indefinito. La risposta a tale quesito dipenderebbe dal modo in cui la direttiva 95/46 deve essere interpretata nel contesto di queste tecnologie che sono apparse dopo la sua pubblicazione. 20. Alla luce di tali considerazioni, lʼAudiencia Nacional ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: «1) Per quanto concerne lʼambito territoriale di applicazione della direttiva [95/46] e, di conseguenza, della normativa spagnola sulla protezione dei dati, si chiede: a) Se debba ritenersi che esista uno “stabilimento” ai sensi dellʼarticolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva [95/46], qualora ricorrano una o più delle seguenti circostanze: – lʼimpresa che gestisce il motore di ricerca apre in uno Stato membro una succursale o una filiale destinata alla promozione e alla vendita degli spazi pubblicitari proposti dal motore di ricerca e lʼattività della quale si dirige agli abitanti di tale Stato; o – la società madre designa una filiale situata in tale Stato membro come suo rappresentante e responsabile del trattamento di due file specifici contenenti i dati dei clienti che hanno stipulato contratti con detta società per la fornitura di servizi pubblicitari; o – la succursale o la filiale stabilita in uno Stato membro trasmette alla società madre, avente sede al di fuori dellʼUnione europea, i reclami e le ingiunzioni che le vengono presentati tanto dalle persone interessate quanto dalle autorità competenti perché sia rispettato il diritto alla protezione dei dati, anche quando tale collaborazione abbia carattere volontario. b) Se lʼarticolo 4, paragrafo 1, lettera c), della direttiva [95/46] debba essere interpretato nel senso che si configura un “ricorso a strumenti situati nel territorio di detto Stato membro” qualora un motore di ricerca: – utilizzi dei “web spiders” o dei crawler per localizzare e indicizzare le informazioni contenute in pagine web alloggiate su server situati in tale Stato membro o – utilizzi un nome di dominio proprio di uno Stato membro e indirizzi le ricerche e i risultati in funzione della lingua di tale Stato membro. Tribuna Finanziaria - n. 3 c) Se possa considerarsi come un ricorso a strumenti, ai sensi dellʼarticolo 4, paragrafo 1, lettera c), della direttiva [95/46], la memorizzazione temporanea delle informazioni indicizzate dai motori di ricerca su Internet. In caso di risposta affermativa a questʼultimo quesito, se si possa ritenere soddisfatto tale criterio di collegamento quando lʼimpresa si rifiuti di rivelare il luogo in cui archivia detti indici, adducendo ragioni di concorrenza. d) A prescindere dalla risposta ai precedenti quesiti, e specialmente nel caso in cui la Corte ritenesse inapplicabili i criteri di collegamento previsti dallʼarticolo 4 della direttiva [95/46]: Se, alla luce dellʼarticolo 8 della [Carta], la direttiva [95/46] debba essere applicata nello Stato membro nel quale si trova il centro di gravità del conflitto e nel quale è possibile ottenere una tutela più efficace dei diritti dei cittadini dellʼUnione (...). 2) Per quanto concerne lʼattività dei motori di ricerca quali fornitori di contenuti in relazione alla direttiva [95/46], si chiede: a) Riguardo allʼattività [di Google Search] quale fornitore di contenuti, consistente nel localizzare le informazioni pubblicate o messe in rete da terzi, nellʼindicizzarle in maniera automatica, nel memorizzarle temporaneamente e infine nel metterle a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza, qualora tali informazioni contengano dati personali di terzi: Se unʼattività come quella descritta debba considerarsi rientrante nella nozione di “trattamento di dati” ai sensi dellʼarticolo 2, lettera b), della direttiva [95/46]. b) In caso di risposta affermativa al quesito precedente, e sempre con riferimento ad unʼattività come quella sopra descritta: Se lʼarticolo 2, lettera d), della direttiva [95/46] debba essere interpretato nel senso che la società che gestisce [Google Search] deve essere considerata “responsabile del trattamento” dei dati personali contenuti nelle pagine web da essa indicizzate. c) In caso di risposta affermativa al quesito precedente: Se lʼ[AEPD], al fine di tutelare i diritti enunciati agli articoli 12, lettera b), e 14, [primo comma,] lettera a), della direttiva [95/46], possa ordinare direttamente [a Google Search] di rimuovere dai propri indici unʼinformazione pubblicata da terzi, senza rivolgersi previamente o simultaneamente al titolare della pagina web in cui è inserita tale informazione. d) In caso di risposta affermativa al quesito precedente: Se i motori di ricerca siano sollevati dallʼobbligo di rispettare i diritti di cui sopra qualora lʼinformazione contenente i dati personali sia stata lecitamente pubblicata da terzi e rimanga sulla pagina web di origine. 3) Per quanto concerne la portata del diritto di cancellazione e/o opposizione al trattamento di dati in relazione al diritto allʼoblio, si chiede: Se si debba ritenere che i diritti di cancellazione e congelamento dei dati, disciplinati dallʼarticolo 12, lettera b), e il diritto di opposizione al loro trattamento, regolato dallʼarticolo 14, [primo comma,] lettera a), della direttiva [95/46], implichino che lʼinteressato può rivolgersi ai motori di ricerca per impedire lʼindicizzazione delle informazioni riguardanti la sua persona pubblicate su pagine web di terzi, facendo valere la propria volontà che tali informazioni non siano conosciute dagli utenti di Internet, ove egli reputi che la loro divulgazione possa arrecargli pregiudizio o desideri che tali informazioni siano dimenticate, anche quando si tratti di informazioni pubblicate da terzi lecitamente». Sulle questioni pregiudiziali Sulla seconda questione, lettere a) e b), concernente lʼambito di applicazione materiale della direttiva 95/46 21. Con la sua seconda questione, lettere a) e b), da esaminarsi per prima, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se lʼarticolo 2, lettera b), della direttiva 95/46 debba essere interpretato nel senso che lʼattività di un motore di ricerca quale fornitore di contenuti, consistente nel trovare informazioni pubblicate o inserite da terzi su Internet, nellʼindicizzarle in modo automatico, nel memorizzarle temporaneamente e, infine, nel metterle a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza, deve essere qualificata come «trattamento di dati personali», ai sensi della disposizione suddetta, qualora tali informazioni contengano dati personali. In caso di risposta affermativa, il giudice del rinvio desidera inoltre sapere se il citato articolo 2, lettera d), debba essere interpretato nel senso che il gestore di un motore di ricerca deve essere considerato come il «responsabile» del suddetto trattamento di dati personali, ai sensi di questʼultima disposizione. 22. Secondo Google Spain e Google Inc., lʼattività dei motori di ricerca non può essere considerata quale trattamento dei dati che appaiono sulle pagine web di terzi visualizzate nellʼelenco dei risultati della ricerca, dato che detti motori di ricerca trattano le informazioni accessibili su Internet nel loro insieme senza operare una selezione tra i dati personali e le altre informazioni. Inoltre, anche supponendo che tale attività debba essere qualificata come «trattamento di dati», il gestore di un motore di ricerca non può essere considerato come «responsabile» di tale trattamento, dal momento che egli non ha conoscenza dei dati in questione e non esercita alcun controllo su di essi. 23. Per contro, il sig. Costeja González, i governi spagnolo, italiano, austriaco e polacco, nonché la Commissione europea, ritengono che lʼattività suddetta implichi allʼevidenza un «trattamento di dati» nel senso di cui alla direttiva 95/46, il quale si distingue dal trattamento di dati ad opera degli editori di siti web e persegue obiettivi diversi rispetto a quelli di questʼultimo. Il gestore di un motore di ricerca sarebbe «responsabile» del trattamento dei dati da questo effettuato, essendo detto gestore a determinare le finalità e gli strumenti di tale trattamento. 24. Secondo il governo ellenico, lʼattività in questione costituisce un «trattamento» siffatto, ma poiché i motori di ricerca fungono da semplici intermediari, le imprese che li gestiscono non possono essere considerate «responsabili», ad eccezione del caso in cui esse memorizzino dei dati in una «memoria intermedia» o una «memoria cache» per un periodo di tempo superiore a quanto tecnicamente necessario. Tribuna Finanziaria - n. 3 CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 29 29 CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 30 30 25. A questo proposito occorre rilevare come lʼarticolo 2, lettera b), della direttiva 95/46 definisca il «trattamento di dati personali» come «qualsiasi operazione o insieme di operazioni compiute con o senza lʼausilio di processi automatizzati e applicate a dati personali, come la raccolta, la registrazione, lʼorganizzazione, la conservazione, lʼelaborazione o la modifica, lʼestrazione, la consultazione, lʼimpiego, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o lʼinterconnessione, nonché il congelamento, la cancellazione o la distruzione». 26. Per quanto riguarda in particolare Internet, la Corte ha già avuto modo di constatare che lʼoperazione consistente nel far comparire su una pagina Internet dati personali va considerata come un «trattamento» siffatto ai sensi dellʼarticolo 2, lettera b), della direttiva 95/46 (v. sentenza Lindqvist, C-101/01, EU:C:2003:596, punto 25). 27. Per quanto concerne lʼattività in esame nel procedimento principale, non è contestato che tra i dati trovati, indicizzati, memorizzati dai motori di ricerca e messi a disposizione degli utilizzatori di questi ultimi sono presenti anche informazioni riguardanti persone fisiche identificate o identificabili, e dunque «dati personali» ai sensi dellʼarticolo 2, lettera a), della direttiva citata. 28. Pertanto, occorre constatare che, esplorando Internet in modo automatizzato, costante e sistematico alla ricerca delle informazioni ivi pubblicate, il gestore di un motore di ricerca «raccoglie» dati siffatti, che egli «estrae», «registra» e «organizza» successivamente nellʼambito dei suoi programmi di indicizzazione, «conserva» nei suoi server e, eventualmente, «comunica» e «mette a disposizione» dei propri utenti sotto forma di elenchi dei risultati delle loro ricerche. Poiché tali operazioni sono contemplate in maniera esplicita e incondizionata allʼarticolo 2, lettera b), della direttiva 95/46, esse devono essere qualificate come «trattamento» ai sensi di tale disposizione, senza che rilevi il fatto che il gestore del motore di ricerca applichi le medesime operazioni anche ad altri tipi di informazioni e non distingua tra queste e i dati personali. 29. La constatazione di cui sopra non viene invalidata neppure dal fatto che tali dati abbiano già costituito lʼoggetto di una pubblicazione su Internet e non vengano modificati dal suddetto motore di ricerca. 30. Infatti, la Corte ha già constatato che le operazioni contemplate dallʼarticolo 2, lettera b), della direttiva 95/46 devono essere considerate come un trattamento siffatto anche nellʼipotesi in cui riguardino esclusivamente informazioni già pubblicate tali e quali nei media. La Corte ha infatti rilevato, a questo proposito, che una deroga generale allʼapplicazione della direttiva 95/46 in unʼipotesi siffatta priverebbe in larga parte del suo significato tale direttiva (v., in tal senso, senten za Satakunnan Markkinapörssi e Satamedia, C-73/07, EU:C:2008:727, punti 48 e 49). 31. Inoltre, discende dalla definizione contenuta nellʼarticolo 2, lettera b), della direttiva 95/46 che, se indubbiamente la modificazione di dati personali costi- tuisce un trattamento ai sensi della direttiva stessa, le altre operazioni menzionate in tale disposizione non esigono affatto, invece, che i dati suddetti vengano modificati. 32. Quanto alla questione se il gestore di un motore di ricerca debba o no essere considerato come il «responsabile del trattamento» dei dati personali effettuato da tale motore nellʼambito di unʼattività come quella oggetto del procedimento principale, occorre ricordare che lʼarticolo 2, lettera d), della direttiva 95/46 definisce detto responsabile come «la persona fisica o giuridica, lʼautorità pubblica, il servizio o qualsiasi altro organismo che, da solo o insieme ad altri, determina le finalità e gli strumenti del trattamento di dati personali». 33. Orbene, è il gestore del motore di ricerca a determinare le finalità e gli strumenti di tale attività e dunque del trattamento di dati personali che egli stesso effettua nellʼambito dellʼattività medesima, ed è di conseguenza lui a dover essere considerato come il «responsabile» di tale trattamento a norma del citato articolo 2, lettera d). 34. Inoltre, occorre constatare che sarebbe contrario non soltanto al chiaro tenore letterale di tale disposizione, ma anche alla sua finalità – consistente nel garantire, mediante unʼampia definizione della nozione di «responsabile», una tutela efficace e completa delle persone interessate – il fatto di escludere dalla nozione di cui sopra il gestore di un motore di ricerca per il motivo che egli non esercita alcun controllo sui dati personali pubblicati sulle pagine web di terzi. 35. A questo proposito, occorre sottolineare che il trattamento di dati personali effettuato nellʼambito dellʼattività di un motore di ricerca si distingue da e si aggiunge a quello effettuato dagli editori di siti web, consistente nel far apparire tali dati su una pagina Internet. 36. Inoltre, è pacifico che tale attività dei motori di ricerca svolge un ruolo decisivo nella diffusione globale dei dati suddetti, in quanto rende accessibili questi ultimi a qualsiasi utente di Internet che effettui una ricerca a partire dal nome della persona interessata, anche a quegli utenti che non avrebbero altrimenti trovato la pagina web su cui questi stessi dati sono pubblicati. 37. Per di più, lʼorganizzazione e lʼaggregazione delle informazioni pubblicate su Internet, realizzate dai motori di ricerca allo scopo di facilitare ai loro utenti lʼaccesso a dette informazioni, possono avere come effetto che tali utenti, quando la loro ricerca viene effettuata a partire dal nome di una persona fisica, ottengono attraverso lʼelenco di risultati una visione complessiva strutturata delle informazioni relative a questa persona reperibili su Internet, che consente loro di stabilire un profilo più o meno dettagliato di questʼultima. 38. Pertanto, nella misura in cui lʼattività di un motore di ricerca può incidere, in modo significativo e in aggiunta allʼattività degli editori di siti web, sui diritti fondamentali alla vita privata e alla protezione dei dati personali, il gestore di tale motore di ricerca quale soggetto che determina le finalità e gli strumenti di questa attività deve assicurare, nellʼambito delle sue responsabilità, delle sue competenze e delle sue possibilità, che detta Tribuna Finanziaria - n. 3 attività soddisfi le prescrizioni della direttiva 95/46, affinché le garanzie previste da questʼultima possano sviluppare pienamente i loro effetti e possa essere effettivamente realizzata una tutela efficace e completa delle persone interessate, in particolare del loro diritto al rispetto della loro vita privata. 39. Infine, la circostanza che gli editori di siti web abbiano la facoltà di indicare ai gestori di motori di ricerca, con lʼaiuto segnatamente di protocolli di esclusione come «robot.txt» o di codici come «noindex» o «noarchive», il loro desiderio che una determinata informazione, pubblicata sul loro sito, venga esclusa in tutto o in parte dagli indici automatici di detti motori di ricerca, non significa che la mancanza di unʼindicazione siffatta da parte di questi editori liberi il gestore di un motore di ricerca dalla sua responsabilità per il trattamento dei dati personali che egli effettua nellʼambito dellʼattività del motore stesso. 40. Infatti, tale circostanza non modifica il fatto che le finalità e gli strumenti del citato trattamento sono determinati da detto gestore. Inoltre, anche supponendo che la summenzionata facoltà degli editori di siti web significhi che costoro determinano insieme con il suddetto gestore gli strumenti di tale trattamento, tale circostanza nulla toglierebbe alla responsabilità di questʼultimo, dato che lʼarticolo 2, lettera d), della direttiva 95/46 prevede espressamente che tale determinazione possa essere effettuata «da solo o insieme ad altri». 41. Alla luce di quanto sopra esposto, occorre rispondere alla seconda questione, lettere a) e b), dichiarando che lʼarticolo 2, lettere b) e d), della direttiva 95/46 deve essere interpretato nel senso che, da un lato, lʼattività di un motore di ricerca consistente nel trovare informazioni pubblicate o inserite da terzi su Internet, nellʼindicizzarle in modo automatico, nel memorizzarle temporaneamente e, infine, nel metterle a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza, deve essere qualificata come «trattamento di dati personali», ai sensi del citato articolo 2, lettera b), qualora tali informazioni contengano dati personali, e che, dallʼaltro lato, il gestore di detto motore di ricerca deve essere considerato come il «responsabile» del trattamento summenzionato, ai sensi dellʼarticolo 2, lettera d), di cui sopra. Sulla prima questione, lettere da a) a d), concernente lʼambito di applicazione territoriale della direttiva 95/46 42. Con la sua prima questione, lettere da a) a d), il giudice del rinvio mira a stabilire se sia possibile applicare la normativa nazionale di recepimento della direttiva 95/46 in circostanze quali quelle in esame nel procedimento principale. 43. In tale contesto, il giudice del rinvio ha accertato i seguenti fatti: – Google Search viene proposto a livello mondiale tramite il sito web «www.google.com». In numerosi Stati esistono versioni locali adattate alla lingua nazionale. La versione in lingua spagnola di Google Search viene proposta tramite il sito web «www.google.es», registrato dal 16 settembre 2003. Google Search è uno dei motori di ricerca più utilizzati in Spagna. – Google Search è gestito da Google Inc., che è la società madre del gruppo Google e la cui sede sociale si trova negli Stati Uniti. – Google Search indicizza i siti web del mondo intero, e tra questi i siti ubicati in Spagna. Le informazioni indicizzate dai suoi «web spiders» o dai suoi crawler, ossia programmi informatici utilizzati per reperire e scandagliare il contenuto delle pagine web in modo metodico e automatizzato, vengono memorizzate temporaneamente in server dei quali si ignora lo Stato di ubicazione, informazione questa che viene mantenuta segreta per ragioni di concorrenza. – Google Search non si limita a dare accesso ai contenuti ospitati sui siti web indicizzati, ma sfrutta tale attività per includere, dietro pagamento, pubblicità associate ai termini di ricerca introdotti dagli utenti di Internet, a beneficio di imprese che desiderano utilizzare tale mezzo per offrire i loro beni o servizi a tali utenti. – Il gruppo Google utilizza la propria filiale Google Spain per la promozione delle vendite di spazi pubblicitari generati sul sito web «www.google.com». Google Spain, che è stata costituita il 3 settembre 2003 e che gode di personalità giuridica autonoma, ha la propria sede sociale a Madrid (Spagna). Essa sviluppa le proprie attività essenzialmente a destinazione delle imprese basate in Spagna, operando quale agente commerciale del gruppo suddetto in tale Stato membro. Il suo oggetto sociale consiste nel promuovere, facilitare ed effettuare la vendita di prodotti e di servizi di pubblicità online a terzi, nonché il marketing di questa pubblicità. – Google Inc. ha designato Google Spain come responsabile del trattamento, in Spagna, di due file registrati da Google Inc. presso lʼAEPD, tenendo presente che tali file hanno lo scopo di contenere i dati personali dei clienti che hanno concluso contratti di servizi pubblicitari con Google Inc. 44. In concreto, il giudice del rinvio si interroga, in via principale, in merito alla nozione di «stabilimento», ai sensi dellʼarticolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 95/46, e a quella di «ricorso a strumenti situati nel territorio di detto Stato membro», ai sensi dellʼarticolo 4, paragrafo 1, lettera c), della medesima direttiva. Sulla prima questione, lettera a) 45. Con la sua prima questione, lettera a), il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se lʼarticolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 95/46 debba essere interpretato nel senso che un trattamento di dati personali viene effettuato nel contesto delle attività di uno stabilimento del responsabile di tale trattamento nel territorio di uno Stato membro, ai sensi della disposizione di cui sopra, qualora una o più delle seguenti tre condizioni siano soddisfatte: – il gestore di un motore di ricerca apre in uno Stato membro una succursale o una filiale destinata alla promozione e alla vendita degli spazi pubblicitari proposti dal motore di ricerca e lʼattività della quale si dirige agli abitanti di tale Stato, oppure – la società madre designa una filiale situata in tale Stato membro come suo rappresentante e responsabile del trattamento di due file specifici contenenti i dati dei Tribuna Finanziaria - n. 3 CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA TF_3_2014 27/05/14 10:56 Pagina 31 31 CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 32 32 clienti che hanno stipulato contratti con detta società per la fornitura di servizi pubblicitari, oppure – la succursale o la filiale stabilita in uno Stato membro trasmette alla società madre, avente sede al di fuori dellʼUnione, i reclami e le ingiunzioni che le vengono presentati tanto dalle persone interessate quanto dalle autorità competenti perché sia rispettato il diritto alla protezione dei dati personali, anche quando tale collaborazione abbia carattere volontario. 46. Per quanto riguarda la prima di queste tre condizioni, il giudice del rinvio rileva che Google Search è gestito e amministrato da Google Inc., e che non è dimostrato che Google Spain realizzi in Spagna unʼattività direttamente connessa allʼindicizzazione o alla memorizzazione di informazioni o di dati contenuti nei siti web di terzi. Tuttavia, lʼattività di promozione e di vendita degli spazi pubblicitari, di cui si occupa Google Spain per la Spagna, costituirebbe la parte essenziale dellʼattività commerciale del gruppo Google e potrebbe essere considerata come strettamente connessa a Google Search. 47. Il sig. Costeja González, i governi spagnolo, italiano, austriaco e polacco, nonché la Commissione, ritengono che, tenuto conto del nesso inscindibile tra lʼattività del motore di ricerca gestito da Google Inc. e quella di Google Spain, questʼultima debba essere considerata come uno stabilimento della prima, nel contesto delle cui attività viene effettuato il trattamento di dati personali. Invece, secondo Google Spain, Google Inc. ed il governo ellenico, lʼarticolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 95/46 non trova applicazione nellʼipotesi corrispondente alla prima delle tre condizioni elencate dal giudice del rinvio. 48. A questo proposito occorre anzitutto rilevare che il considerando 19 della direttiva 95/46 precisa che «lo stabilimento nel territorio di uno Stato membro implica lʼesercizio effettivo e reale dellʼattività mediante unʼorganizzazione stabile», e «che la forma giuridica di siffatto stabilimento, si tratti di una semplice succursale o di una filiale dotata di personalità giuridica, non è il fattore determinante a questo riguardo». 49. Orbene, non è contestato che Google Spain si dedica allʼesercizio effettivo e reale di unʼattività mediante unʼorganizzazione stabile in Spagna. Essendo inoltre dotata di una personalità giuridica propria, detta società costituisce in tal modo una filiale di Google Inc. nel territorio spagnolo e, di conseguenza, uno «stabilimento» ai sensi dellʼarticolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 95/46. 50. Al fine di soddisfare il criterio fissato da questa disposizione, è altresì necessario che il trattamento di dati personali ad opera del responsabile dello stesso venga «effettuato nel contesto delle attività» di uno stabilimento di questo responsabile nel territorio di uno Stato membro. 51. Google Spain e Google Inc. negano che tale situazione sussista nel caso di specie, dal momento che il trattamento di dati personali in esame nel procedimento principale viene effettuato esclusivamente da Google Inc., che gestisce Google Search senza alcun inter- vento da parte di Google Spain, la cui attività si limita alla fornitura di un sostegno allʼattività pubblicitaria del gruppo Google, che si differenzia dal suo servizio di motore di ricerca. 52. Tuttavia, come sottolineato in particolare dal governo spagnolo e dalla Commissione, lʼarticolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 95/46 non esige che il trattamento di dati personali in questione venga effettuato «dallo» stesso stabilimento interessato, bensì soltanto che venga effettuato «nel contesto delle attività» di questʼultimo. 53. Inoltre, alla luce dellʼobiettivo della direttiva 95/46 di garantire una tutela efficace e completa delle libertà e dei diritti fondamentali delle persone fisiche, segnatamente del diritto alla vita privata, con riguardo al trattamento dei dati personali, lʼespressione suddetta non può ricevere unʼinterpretazione restrittiva (v., per analogia, sentenza LʼOréal e a., C-324/09, EU:C:2011:474, punti 62 e 63). 54. In tali circostanze, occorre rilevare che risulta in particolare dai considerando da 18 a 20 e dallʼarticolo 4 della direttiva 95/46 che il legislatore dellʼUnione ha inteso evitare che una persona venga esclusa dalla protezione garantita da tale direttiva e che tale protezione venga elusa, prevedendo a tal fine un ambito di applicazione territoriale particolarmente esteso. 55. Tenuto conto di tale obiettivo della direttiva 95/46 e del tenore letterale del suo articolo 4, paragrafo 1, lettera a), occorre affermare che il trattamento di dati personali realizzato per le esigenze di servizio di un motore di ricerca come Google Search, il quale venga gestito da unʼimpresa con sede in uno Stato terzo ma avente uno stabilimento in uno Stato membro, viene effettuato «nel contesto delle attività» di tale stabilimento qualora questʼultimo sia destinato a garantire, in tale Stato membro, la promozione e la vendita degli spazi pubblicitari proposti dal suddetto motore di ricerca, che servono a rendere redditizio il servizio offerto da questʼultimo. 56. Infatti, in circostanze del genere, le attività del gestore del motore di ricerca e quelle del suo stabilimento situato nello Stato membro interessato sono inscindibilmente connesse, dal momento che le attività relative agli spazi pubblicitari costituiscono il mezzo per rendere il motore di ricerca in questione economicamente redditizio e che tale motore è, al tempo stesso, lo strumento che consente lo svolgimento di dette attività. 57. A questo proposito occorre ricordare che, come si è precisato ai punti da 26 a 28 della presente sentenza, la visualizzazione stessa di dati personali su una pagina di risultati di una ricerca costituisce un trattamento di dati personali. Orbene, poiché la suddetta visualizzazione di risultati è accompagnata, sulla stessa pagina, da quella di pubblicità correlate ai termini di ricerca, è giocoforza constatare che il trattamento di dati personali in questione viene effettuato nel contesto dellʼattività pubblicitaria e commerciale dello stabilimento del responsabile del trattamento nel territorio di uno Stato membro, nella fattispecie il territorio spagnolo. 58. Date tali circostanze, non si può accettare che il trattamento di dati personali effettuato per le esigenze Tribuna Finanziaria - n. 3 del funzionamento del suddetto motore di ricerca venga sottratto agli obblighi e alle garanzie previsti dalla direttiva 95/46, ciò che pregiudicherebbe lʼeffetto utile di questʼultima e la tutela efficace e completa delle libertà e dei diritti fondamentali delle persone fisiche che detta direttiva mira a garantire (v., per analogia, sentenza LʼOréal e a., EU:C:2011:474, punti 62 e 63), segnatamente il diritto al rispetto della loro vita privata, con riguardo al trattamento dei dati personali, al quale detta direttiva riconosce unʼimportanza particolare, come confermato segnatamente dallʼarticolo 1, paragrafo 1, e dai considerando 2 e 10 della direttiva medesima (v., in tal senso, sentenze Österreichischer Rundfunk e a., C 465/00, C 138/01 e C 139/01, EU:C:2003:294, punto 70; Rijkeboer, C 553/07, EU:C:2009:293, punto 47, nonché IPI, C 473/12, EU:C:2013:715, punto 28 e la giurisprudenza ivi citata). 59. Dal momento che la prima delle tre condizioni elencate dal giudice del rinvio è sufficiente di per sé sola per concludere che uno stabilimento come Google Spain soddisfa il criterio previsto dallʼarticolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 95/46, non è necessario esaminare le altre due condizioni. 60. Alla luce delle considerazioni di cui sopra, occorre rispondere alla prima questione, lettera a), dichiarando che lʼarticolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 95/46 deve essere interpretato nel senso che un trattamento di dati personali viene effettuato nel contesto delle attività di uno stabilimento del responsabile di tale trattamento nel territorio di uno Stato membro, ai sensi della disposizione suddetta, qualora il gestore di un motore di ricerca apra in uno Stato membro una succursale o una filiale destinata alla promozione e alla vendita degli spazi pubblicitari proposti da tale motore di ricerca e lʼattività della quale si dirige agli abitanti di detto Stato membro. Sulla prima questione, lettere da b) a d) 61. Tenuto conto della soluzione data alla prima questione, lettera a), non vi è luogo a rispondere alla prima questione, lettere da b) a d). Sulla seconda questione, lettere c) e d), concernente lʼestensione della responsabilità del gestore di un motore di ricerca ai sensi della direttiva 95/46 62. Con la sua seconda questione, lettere c) e d), il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46 debbano essere interpretati nel senso che, per rispettare i diritti previsti da tali disposizioni, il gestore di un motore di ricerca è obbligato a sopprimere, dallʼelenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, dei link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona, anche nel caso in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, e ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine sia di per sé lecita. 63. Google Spain e Google Inc. ritengono che, in virtù del principio di proporzionalità, qualsiasi domanda diretta alla soppressione di informazioni debba essere indi- rizzata allʼeditore del sito web interessato, in quanto questʼultimo è colui che assume la responsabilità di rendere pubbliche le informazioni, che è in grado di valutare la liceità di tale pubblicazione e che dispone dei mezzi più efficaci e meno restrittivi per rendere inaccessibili le informazioni stesse. Inoltre, imporre al gestore di un motore di ricerca di rimuovere dai propri indici informazioni pubblicate su Internet non terrebbe sufficientemente conto dei diritti fondamentali degli editori di siti web, degli altri utenti di Internet, nonché dello stesso gestore. 64. Secondo il governo austriaco, unʼautorità di controllo nazionale può ordinare a tale gestore di cancellare dai propri archivi informazioni pubblicate da terzi unicamente nel caso in cui lʼilliceità o lʼinesattezza dei dati in questione sia stata previamente constatata o la persona interessata abbia presentato con successo unʼopposizione dinanzi allʼeditore del sito web sul quale tali informazioni sono state pubblicate. 65. Il sig. Costeja González, i governi spagnolo, italiano e polacco, nonché la Commissione, ritengono che lʼautorità nazionale possa ordinare direttamente al gestore di un motore di ricerca di rimuovere dai propri indici e dalla propria memoria intermedia informazioni contenenti dati personali pubblicati da terzi, senza doversi rivolgere previamente o simultaneamente allʼeditore della pagina web nella quale compaiono tali informazioni. Oltre a ciò, ad avviso del sig. Costeja González, dei governi spagnolo e italiano nonché della Commissione, la circostanza che le informazioni suddette siano state pubblicate in modo lecito e ancora compaiano sulla pagina web dʼorigine non incide sugli obblighi incombenti a detto gestore in forza della direttiva 95/46. Invece, per il governo polacco, tale circostanza è idonea a liberare il gestore del motore di ricerca dai propri obblighi. 66. In via preliminare, occorre ricordare che, come risulta dallʼarticolo 1 e dal considerando 10 della direttiva 95/46, questʼultima mira a garantire un livello elevato di protezione delle libertà e dei diritti fondamentali delle persone fisiche, in particolare del diritto alla vita privata, con riguardo al trattamento dei dati personali (v., in tal senso, sentenza IPI, EU:C:2013:715, punto 28). 67. A mente del considerando 25 della direttiva 95/46, i principi di tutela previsti da questʼultima si esprimono, da un lato, nei vari obblighi a carico dei soggetti che trattano dati – obblighi relativi in particolare alla qualità dei dati, alla sicurezza tecnica, alla notificazione allʼautorità di controllo, alle circostanze in cui il trattamento può essere effettuato – e, dallʼaltro, nel diritto delle persone, i cui dati sono oggetto di trattamento, di esserne informate, di poter accedere ai dati e di poterne chiedere la rettifica, o anche di opporsi al trattamento in talune circostanze. 68. La Corte ha già statuito che le disposizioni della direttiva 95/46, disciplinando il trattamento di dati personali che possono arrecare pregiudizio alle libertà fondamentali e, segnatamente, al diritto alla vita privata, devono necessariamente essere interpretate alla luce dei diritti fondamentali che, secondo una costante giu- Tribuna Finanziaria - n. 3 CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 33 33 CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 34 34 risprudenza, formano parte integrante dei principi generali del diritto di cui la Corte garantisce lʼosservanza e che sono ormai iscritti nella Carta (v., in particolare, sentenze Connolly/Commissione, C 274/99 P, EU:C:2001:127, punto 37, nonché Österreichischer Rundfunk e a., EU:C:2003:294, punto 68). 69. In tal senso, lʼarticolo 7 della Carta garantisce il diritto al rispetto della vita privata, mentre lʼarticolo 8 della Carta proclama espressamente il diritto alla protezione dei dati personali. I paragrafi 2 e 3 di questʼultimo articolo precisano che i dati suddetti devono essere trattati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate e in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge, che ogni persona ha il diritto di accedere ai dati raccolti che la riguardano e di ottenerne la rettifica, e che il rispetto di tali regole è soggetto al controllo di unʼautorità indipendente. Tali prescrizioni ricevono attuazione in particolare mediante gli articoli 6, 7, 12, 14 e 28 della direttiva 95/46. 70. Quanto allʼarticolo 12, lettera b), della direttiva 95/46, esso dispone che gli Stati membri garantiscono a qualsiasi persona interessata il diritto di ottenere dal responsabile del trattamento, a seconda dei casi, la rettifica, la cancellazione o il congelamento dei dati il cui trattamento non sia conforme alle disposizioni di questa direttiva, in particolare a causa del carattere incompleto o inesatto dei dati. Poiché questʼultima precisazione relativa allʼipotesi del mancato rispetto di talune prescrizioni dettate dallʼarticolo 6, paragrafo 1, lettera d), della direttiva 95/46 risulta avere carattere esemplificativo e non esaustivo, ne consegue che la non conformità del trattamento, atta a conferire alla persona interessata il diritto garantito dallʼarticolo 12, lettera b), di tale direttiva, può derivare anche dal mancato rispetto delle altre condizioni di liceità imposte da questʼultima al trattamento di dati personali. 71. A questo proposito occorre ricordare che, fatte salve le deroghe ammesse ai sensi dellʼarticolo 13 della direttiva 95/46, qualsiasi trattamento di dati personali deve, da un lato, essere conforme ai principi relativi alla qualità dei dati, enunciati allʼarticolo 6 di detta direttiva, e, dallʼaltro, rispondere ad uno dei principi relativi alla legittimazione dei trattamenti di dati, elencati allʼarticolo 7 della direttiva stessa (v. sentenze Österreichischer Rundfunk e a., EU:C:2003:294, punto 65; ASNEF e FECEMD, C 468/10 e C 469/10, EU:C:2011:777, punto 26, nonché Worten, C 342/12, EU:C:2013:355, punto 33). 72. A mente del citato articolo 6, e fatte salve le disposizioni specifiche che gli Stati membri possono prevedere per trattamenti a scopi storici, statistici o scientifici, spetta al responsabile del trattamento garantire che i dati personali siano «trattati lealmente e lecitamente», che vengano «rilevati per finalità determinate, esplicite e legittime, e successivamente trattati in modo non incompatibile con tali finalità», che siano «adeguati, pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali vengono rilevati e/o per le quali vengono successivamente trattati», che siano «esatti e, se necessario, aggiornati» e, infine, che siano «conservati in modo da consentire lʼidentificazione delle persone interessate per un arco di tempo non superiore a quello necessario al conseguimento delle finalità per le quali sono rilevati o sono successivamente trattati». In tale contesto, detto responsabile deve prendere tutte le misure ragionevoli affinché i dati che non soddisfano le prescrizioni dettate dalla disposizione suddetta vengano cancellati o rettificati. 73. Quanto alla legittimazione, ai sensi dellʼarticolo 7 della direttiva 95/46, di un trattamento come quello oggetto del procedimento principale effettuato dal gestore di un motore di ricerca, esso può ricadere sotto il motivo contemplato dal citato articolo 7, alla lettera f). 74. Tale disposizione consente il trattamento di dati personali allorché questo è necessario per il perseguimento dellʼinteresse legittimo del responsabile del trattamento oppure del terzo o dei terzi cui vengono comunicati i dati, a condizione che non prevalgano lʼinteresse o i diritti e le libertà fondamentali della persona interessata – segnatamente il suo diritto al rispetto della sua vita privata con riguardo al trattamento dei dati personali –, i quali richiedono una tutela ai sensi dellʼarticolo 1, paragrafo 1, di detta direttiva. Lʼapplicazione del citato articolo 7, lettera f), esige dunque una ponderazione dei contrapposti diritti e interessi in gioco, nellʼambito della quale si deve tener conto dellʼimportanza dei diritti della persona interessata risultanti dagli articoli 7 e 8 della Carta (v. sentenza ASNEF e FECEMD, EU:C:2011:777, punti 38 e 40). 75. Se dunque la conformità del trattamento di dati agli articoli 6 e 7, lettera f), della direttiva 95/46 può essere verificata nellʼambito di una domanda ai sensi dellʼarticolo 12, lettera b), di questʼultima, la persona interessata può inoltre avvalersi, a determinate condizioni, del diritto di opposizione previsto dallʼarticolo 14, primo comma, lettera a), della medesima direttiva. 76. Ai sensi di tale articolo 14, primo comma, lettera a), gli Stati membri riconoscono alla persona interessata il diritto – almeno nei casi di cui allʼarticolo 7, lettere e) e f), della citata direttiva – di opporsi in qualsiasi momento, per motivi preminenti e legittimi derivanti dalla sua situazione particolare, al trattamento di dati che la riguardano, salvo disposizione contraria prevista dalla normativa nazionale. La ponderazione da effettuarsi nellʼambito di tale articolo 14, primo comma, lettera a), permette così di tener conto in modo più specifico di tutte le circostanze caratterizzanti la situazione concreta della persona interessata. In caso di opposizione giustificata, il trattamento messo in atto dal responsabile di questʼultimo non può più riguardare tali dati. 77. Le domande ai sensi degli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46 possono essere direttamente presentate dalla persona interessata al responsabile del trattamento, il quale deve in tal caso procedere al debito esame della loro fondatezza e, eventualmente, porre fine al trattamento dei dati in questione. Qualora il responsabile del trattamento non dia seguito a tali domande, la persona interessata può adire lʼautorità di controllo o lʼautorità Tribuna Finanziaria - n. 3 giudiziaria affinché queste effettuino le verifiche necessarie e ordinino al suddetto responsabile lʼadozione di misure precise conseguenti. 78. A questo proposito occorre rilevare che dallʼarticolo 28, paragrafi 3 e 4, della direttiva 95/46 risulta che qualsiasi persona può presentare a unʼautorità di controllo una domanda relativa alla tutela dei suoi diritti e delle sue libertà con riguardo al trattamento di dati personali, e che tale autorità dispone di poteri investigativi e di poteri effettivi di intervento che le consentono di ordinare in particolare il congelamento, la cancellazione o la distruzione di dati, oppure di vietare a titolo provvisorio o definitivo un trattamento. 79. È alla luce di tali considerazioni che occorre interpretare e applicare le disposizioni della direttiva 95/46 disciplinanti i diritti della persona interessata allorché questʼultima presenta allʼautorità di controllo o allʼautorità giudiziaria una domanda quale quella oggetto del procedimento a quo. 80. A questo proposito occorre anzitutto rilevare che, come si è constatato ai punti da 36 a 38 della presente sentenza, un trattamento di dati personali, quale quello in esame nel procedimento principale, effettuato dal gestore di un motore di ricerca, può incidere significativamente sui diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla protezione dei dati personali, nel caso in cui la ricerca con lʼaiuto di tale motore venga effettuata a partire dal nome di una persona fisica, dal momento che detto trattamento consente a qualsiasi utente di Internet di ottenere, mediante lʼelenco di risultati, una visione complessiva strutturata delle informazioni relative a questa persona reperibili su Internet, che toccano potenzialmente una moltitudine di aspetti della sua vita privata e che, senza il suddetto motore di ricerca, non avrebbero potuto – o solo difficilmente avrebbero potuto – essere connesse tra loro, e consente dunque di stabilire un profilo più o meno dettagliato di tale persona. Inoltre, lʼeffetto dellʼingerenza nei suddetti diritti della persona interessata risulta moltiplicato in ragione del ruolo importante che svolgono Internet e i motori di ricerca nella società moderna, i quali conferiscono alle informazioni contenute in un siffatto elenco di risultati carattere ubiquitario (v., in tal senso, sentenza eDate Advertising e a., C 509/09 e C 161/10, EU:C:2011:685, punto 45). 81. Vista la gravità potenziale di tale ingerenza, è giocoforza constatare che questʼultima non può essere giustificata dal semplice interesse economico del gestore di un siffatto motore di ricerca in questo trattamento di dati. Tuttavia, poiché la soppressione di link dallʼelenco di risultati potrebbe, a seconda dellʼinformazione in questione, avere ripercussioni sul legittimo interesse degli utenti di Internet potenzialmente interessati ad avere accesso a questʼultima, occorre ricercare, in situazioni quali quelle oggetto del procedimento principale, un giusto equilibrio segnatamente tra tale interesse e i diritti fondamentali della persona di cui trattasi derivanti dagli articoli 7 e 8 della Carta. Se indubbiamente i diritti della persona interessata tutelati da tali articoli prevalgono, di norma, anche sul citato interesse degli utenti di Internet, tale equilibrio può nondimeno dipendere, in casi particolari, dalla natura dellʼinformazione di cui trattasi e dal suo carattere sensibile per la vita privata della persona suddetta, nonché dallʼinteresse del pubblico a disporre di tale informazione, il quale può variare, in particolare, a seconda del ruolo che tale persona riveste nella vita pubblica. 82. Lʼautorità di controllo o lʼautorità giudiziaria, allʼesito della valutazione dei presupposti di applicazione degli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46, da effettuarsi allorché ricevono una domanda quale quella oggetto del procedimento principale, possono ordinare al suddetto gestore di sopprimere, dallʼelenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, dei link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a tale persona, senza che unʼingiunzione in tal senso presupponga che tale nome e tali informazioni siano, con il pieno consenso dellʼeditore o su ingiunzione di una delle autorità sopra menzionate, previamente o simultaneamente cancellati dalla pagina web sulla quale sono stati pubblicati. 83. Infatti, come si è constatato ai punti da 35 a 38 della presente sentenza, poiché il trattamento dei dati effettuato nel contesto dellʼattività di un motore di ricerca si distingue da e si aggiunge a quello effettuato dagli editori di siti web e incide ulteriormente sui diritti fondamentali della persona interessata, il gestore di tale motore di ricerca quale responsabile del trattamento in questione deve assicurare, nellʼambito delle sue responsabilità, delle sue competenze e delle sue possibilità, che tale trattamento soddisfi le prescrizioni della direttiva 95/46, affinché le garanzie previste da questʼultima possano sviluppare pienamente i loro effetti. 84. In proposito occorre rilevare che, tenuto conto della facilità con cui informazioni pubblicate su un sito web possono essere riprodotte su altri siti, nonché del fatto che i responsabili della loro pubblicazione non sempre sono assoggettati alla normativa dellʼUnione, non sarebbe possibile realizzare una tutela efficace e completa delle persone interessate nel caso in cui queste dovessero preventivamente o in parallelo ottenere dagli editori di siti web la cancellazione delle informazioni che le riguardano. 85. Inoltre, il trattamento da parte dellʼeditore di una pagina web, consistente nella pubblicazione di informazioni relative a una persona fisica, può, eventualmente, essere effettuato «esclusivamente a scopi giornalistici» e beneficiare così, a norma dellʼarticolo 9 della direttiva 95/46, di deroghe alle prescrizioni dettate da questʼultima, mentre non sembra integrare tale ipotesi il trattamento effettuato dal gestore di un motore di ricerca. Non si può dunque escludere che la persona interessata possa, in determinate circostanze, esercitare i diritti contemplati dagli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46 contro il suddetto gestore del motore di ricerca, ma non contro lʼeditore della pagina web. 86. Infine, occorre constatare che non soltanto il motivo giustificante, a norma dellʼarticolo 7 della direttiva 95/46, la pubblicazione di un dato personale su un sito web non coincide necessariamente con il motivo che si Tribuna Finanziaria - n. 3 CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 35 35 CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 36 36 applica allʼattività dei motori di ricerca, ma che, anche quando tale coincidenza sussista, il risultato del bilanciamento degli interessi in gioco da effettuarsi ai sensi degli articoli 7, lettera f), e 14, primo comma, lettera a), di detta direttiva può divergere a seconda che si tratti del trattamento effettuato dal gestore di un motore di ricerca o di quello effettuato dallʼeditore di detta pagina web, in quanto, da un lato, i legittimi interessi che giustificano questi trattamenti possono essere differenti e, dallʼaltro, le conseguenze che tali trattamenti hanno per la persona interessata, e segnatamente per la sua vita privata, non sono necessariamente le stesse. 87. Infatti, lʼinclusione nellʼelenco di risultati – che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona – di una pagina web e delle informazioni in essa contenute relative a questa persona, poiché facilita notevolmente lʼaccessibilità di tali informazioni a qualsiasi utente di Internet che effettui una ricerca sulla persona di cui trattasi e può svolgere un ruolo decisivo per la diffusione di dette informazioni, è idonea a costituire unʼingerenza più rilevante nel diritto fondamentale al rispetto della vita privata della persona interessata che non la pubblicazione da parte dellʼeditore della suddetta pagina web. 88. Alla luce dellʼinsieme delle considerazioni sopra esposte, occorre rispondere alla seconda questione, lettere c) e d), dichiarando che gli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46 devono essere interpretati nel senso che, al fine di rispettare i diritti previsti da tali disposizioni, e sempre che le condizioni da queste fissate siano effettivamente soddisfatte, il gestore di un motore di ricerca è obbligato a sopprimere, dallʼelenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, dei link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona, anche nel caso in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, e ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sé lecita. Sulla terza questione, concernente la portata dei diritti della persona interessata garantiti dalla direttiva 95/46 89. Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se gli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46 debbano essere interpretati nel senso che consentono alla persona interessata di esigere dal gestore di un motore di ricerca che questi sopprima dallʼelenco di risultati, che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di questa persona, dei link verso pagine web legittimamente pubblicate da terzi e contenenti informazioni veritiere riguardanti questʼultima, a motivo del fatto che tali informazioni possono arrecarle pregiudizio o che essa desidera lʼ«oblio» di queste informazioni dopo un certo tempo. 90. Google Spain, Google Inc., i governi ellenico, austriaco e polacco, nonché la Commissione, ritengono che tale questione esiga una risposta negativa. Google Spain, Google Inc., il governo polacco e la Commissione fanno valere in proposito che gli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46 conferiscono dei diritti alle persone interessate unicamente a condizione che il trattamento in parola sia incompatibile con la direttiva stessa, oppure in ragione di motivi preminenti e legittimi attinenti alla loro situazione particolare, e non per il semplice fatto che tali persone ritengano che tale trattamento possa arrecare loro pregiudizio o che esse desiderino che i dati costituenti lʼoggetto di detto trattamento cadano nellʼoblio. I governi ellenico e austriaco reputano che la persona interessata debba rivolgersi allʼeditore del sito web in questione. 91. Il sig. Costeja González nonché i governi spagnolo e italiano ritengono che la persona interessata possa opporsi allʼindicizzazione dei propri dati personali ad opera di un motore di ricerca, qualora la diffusione di tali dati tramite questʼultimo le arrechi pregiudizio e i diritti fondamentali di questa persona alla protezione dei dati suddetti e al rispetto della vita privata, comprendenti il «diritto allʼoblio», prevalgano sui legittimi interessi del gestore del motore di ricerca e sullʼinteresse generale alla libertà dʼinformazione. 92. Quanto allʼarticolo 12, lettera b), della direttiva 95/46, la cui applicazione è subordinata alla condizione che il trattamento di dati personali sia incompatibile con la direttiva stessa, occorre ricordare che, come si è rilevato al punto 72 della presente sentenza, unʼincompatibilità siffatta può derivare non soltanto dal fatto che tali dati siano inesatti, ma anche segnatamente dal fatto che essi siano inadeguati, non pertinenti o eccessivi in rapporto alle finalità del trattamento, che non siano aggiornati, oppure che siano conservati per un arco di tempo superiore a quello necessario, a meno che la loro conservazione non si imponga per motivi storici, statistici o scientifici. 93. Da tali prescrizioni, dettate dallʼarticolo 6, paragrafo 1, lettere da c) a e), della direttiva 95/46, discende che anche un trattamento inizialmente lecito di dati esatti può divenire, con il tempo, incompatibile con la direttiva suddetta qualora tali dati non siano più necessari in rapporto alle finalità per le quali sono stati raccolti o trattati. Tale situazione si configura in particolare nel caso in cui i dati risultino inadeguati, non siano o non siano più pertinenti, ovvero siano eccessivi in rapporto alle finalità suddette e al tempo trascorso. 94. Pertanto, nellʼipotesi in cui si constati, in seguito a una domanda della persona interessata ai sensi dellʼarticolo 12, lettera b), della direttiva 95/46, che lʼinclusione nellʼelenco di risultati – che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome – dei link verso pagine web, legittimamente pubblicate da terzi e contenenti informazioni veritiere relative alla sua persona, è, allo stato attuale, incompatibile con il citato articolo 6, paragrafo 1, lettere da c) a e), a motivo del fatto che tali informazioni appaiono, alla luce dellʼinsieme delle circostanze caratterizzanti il caso di specie, inadeguate, non pertinenti o non più pertinenti, ovvero eccessive in rapporto alle finalità del trattamento in questione realizzato dal gestore del motore di ricerca, le informazioni e i link in parola di cui al suddetto elenco di risultati devono essere cancellati. 95. Per quanto riguarda le domande ai sensi del suddetto articolo 12, lettera b), fondate sul presunto man- Tribuna Finanziaria - n. 3 cato rispetto delle condizioni previste dallʼarticolo 7, lettera f), della direttiva 95/46, nonché le domande a norma dellʼarticolo 14, primo comma, lettera a), della medesima direttiva, occorre rilevare che ciascun trattamento di dati personali deve essere legittimato in virtù di tale articolo 7 per tutto il tempo in cui viene effettuato. 96. Alla luce di quanto precede, nel valutare domande di questo tipo proposte contro un trattamento di dati quale quello in esame nel procedimento principale, occorre verificare in particolare se lʼinteressato abbia diritto a che lʼinformazione riguardante la sua persona non venga più, allo stato attuale, collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome. In proposito occorre sottolineare che la constatazione di un diritto siffatto non presuppone che lʼinclusione dellʼinformazione in questione nellʼelenco di risultati arrechi un pregiudizio allʼinteressato. 97. Dato che lʼinteressato può, sulla scorta dei suoi diritti fondamentali derivanti dagli articoli 7 e 8 della Carta, chiedere che lʼinformazione in questione non venga più messa a disposizione del grande pubblico mediante la sua inclusione in un siffatto elenco di risultati, occorre considerare – come risulta in particolare dal punto 81 della presente sentenza – che i diritti fondamentali di cui sopra prevalgono, in linea di principio, non soltanto sullʼinteresse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sullʼinteresse di tale pubblico a trovare lʼinformazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa persona. Tuttavia, così non sarebbe qualora risultasse, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, che lʼingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dallʼinteresse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso, mediante lʼinclusione summenzionata, allʼinformazione di cui trattasi. 98. Relativamente ad una situazione come quella in esame nel procedimento principale, che riguarda la visualizzazione – nellʼelenco di risultati che lʼutente di Internet ottiene effettuando una ricerca a partire dal nome della persona interessata con lʼaiuto di Google Search – di link verso pagine degli archivi online di un quotidiano, contenenti annunci che menzionano il nome di tale persona e si riferiscono ad unʼasta immobiliare legata ad un pignoramento effettuato per la riscossione coattiva di crediti previdenziali, occorre affermare che, tenuto conto del carattere sensibile delle informazioni contenute in tali annunci per la vita privata di detta persona, nonché del fatto che la loro pubblicazione iniziale era stata effettuata 16 anni prima, la persona interessata vanta un diritto a che tali informazioni non siano più collegate al suo nome attraverso un elenco siffatto. Pertanto, dal momento che nella fattispecie non sembrano sussistere ragioni particolari giustificanti un interesse preponderante del pubblico ad avere accesso, nel contesto di una ricerca siffatta, a dette informazioni – aspetto questo che spetta però al giudice del rinvio verificare –, la persona interessata può esigere, a norma degli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46, la soppressione dei link suddetti da tale elenco di risultati. 99. Dalle suesposte considerazioni discende che occorre rispondere alla terza questione dichiarando che gli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46 devono essere interpretati nel senso che, nel valutare i presupposti di applicazione di tali disposizioni, si deve verificare in particolare se lʼinteressato abbia diritto a che lʼinformazione in questione riguardante la sua persona non venga più, allo stato attuale, collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome, senza per questo che la constatazione di un diritto siffatto presupponga che lʼinclusione dellʼinformazione in questione in tale elenco arrechi un pregiudizio a detto interessato. Dato che lʼinteressato può, sulla scorta dei suoi diritti fondamentali derivanti dagli articoli 7 e 8 della Carta, chiedere che lʼinformazione in questione non venga più messa a disposizione del grande pubblico in virtù della sua inclusione in un siffatto elenco di risultati, i diritti fondamentali di cui sopra prevalgono, in linea di principio, non soltanto sullʼinteresse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sullʼinteresse di tale pubblico ad accedere allʼinformazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa persona. Tuttavia, così non sarebbe qualora risultasse, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, che lʼingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dallʼinteresse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso, in virtù dellʼinclusione summenzionata, allʼinformazione di cui trattasi. Sulle spese 100. Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione. Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara: 1) Lʼarticolo 2, lettere b) e d), della direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, deve essere interpretato nel senso che, da un lato, lʼattività di un motore di ricerca consistente nel trovare informazioni pubblicate o inserite da terzi su Internet, nellʼindicizzarle in modo automatico, nel memorizzarle temporaneamente e, infine, nel metterle a disposizione degli utenti di Internet secondo un determinato ordine di preferenza, deve essere qualificata come «trattamento di dati personali», ai sensi del citato articolo 2, lettera b), qualora tali informazioni contengano dati personali, e che, dallʼaltro lato, il gestore di detto motore di ricerca deve essere considerato come il «responsabile» del trattamento summenzionato, ai sensi dellʼarticolo 2, lettera d), di cui sopra. 2) Lʼarticolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 95/46 deve essere interpretato nel senso che un trattamento di dati personali viene effettuato nel contesto delle attività di uno stabilimento del responsabi- Tribuna Finanziaria - n. 3 CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 37 37 TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 38 CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA le di tale trattamento nel territorio di uno Stato membro, ai sensi della disposizione suddetta, qualora il gestore di un motore di ricerca apra in uno Stato membro una succursale o una filiale destinata alla promozione e alla vendita degli spazi pubblicitari proposti da tale motore di ricerca e lʼattività della quale si dirige agli abitanti di detto Stato membro. 3) Gli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46 devono essere interpretati nel senso che, al fine di rispettare i diritti previsti da tali disposizioni, e sempre che le condizioni da queste fissate siano effettivamente soddisfatte, il gestore di un motore di ricerca è obbligato a sopprimere, dallʼelenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, dei link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona, anche nel caso in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, e ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sé lecita. 4) Gli articoli 12, lettera b), e 14, primo comma, lettera a), della direttiva 95/46 devono essere interpretati nel senso che, nel valutare i presupposti di applicazione di tali disposizioni, si deve verificare in par- 38 ticolare se lʼinteressato abbia diritto a che lʼinformazione in questione riguardante la sua persona non venga più, allo stato attuale, collegata al suo nome da un elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal suo nome, senza per questo che la constatazione di un diritto siffatto presupponga che lʼinclusione dellʼinformazione in questione in tale elenco arrechi un pregiudizio a detto interessato. Dato che lʼinteressato può, sulla scorta dei suoi diritti fondamentali derivanti dagli articoli 7 e 8 della Carta, chiedere che lʼinformazione in questione non venga più messa a disposizione del grande pubblico in virtù della sua inclusione in un siffatto elenco di risultati, i diritti fondamentali di cui sopra prevalgono, in linea di principio, non soltanto sullʼinteresse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sullʼinteresse di tale pubblico ad accedere allʼinformazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa persona. Tuttavia, così non sarebbe qualora risultasse, per ragioni particolari, come il ruolo ricoperto da tale persona nella vita pubblica, che lʼingerenza nei suoi diritti fondamentali è giustificata dallʼinteresse preponderante del pubblico suddetto ad avere accesso, in virtù dellʼinclusione summenzionata, allʼinformazione di cui trattasi. Transfer pricing e UNICO 2014 Ai fini dichiarativi è necessario indicare il possesso della documentazione che comprova che le operazioni intercompany sono avvenute al valore di mercato. Le operazioni intercorse tra società appartenenti allo stesso gruppo e residenti in Stati diversi, ai sensi dellʼart. 110, co. 7, del D.P.R. 917/1986, devono essere valutate in base al c.d. valore normale (di mercato) della transazione economica. Attraverso tale disciplina, meglio nota come “transfer price”, si vuole contrastare il trasferimento di materia imponibile dallʼItalia in Paesi con una fiscalità di maggior favore. Per dar prova che le operazioni intercompany sono avvenute nel rispetto dei criteri anzidetti, lʼart. 26 D.L. 78/2010, conv. con mod. L. 122/2010, prevede lʼonere di predisporre la documentazione tesa a supportare la politica dei prezzi di trasferimento adottata e il contestuale obbligo di darne comunicazione allʼAmministrazione Finanziaria. Con il Provvedimento del Direttore dellʼAgenzia delle Entrate del 29 settembre 2010 viene illustrata la documentazione da fornire per beneficiare dellʼesonero dalle sanzioni previste per dichiarazione infedele: Masterfile, che raccoglie informazioni relative al gruppo multinazionale e alla politica di fissazione dei prezzi di trasferimento nel suo complesso; Documentazione nazionale, contenente informazioni specifiche riferite alle operazioni infragruppo che la società o la stabile organizzazione intendono documentare. In particolare, il Provvedimento prevede che: i) per le società holding e per le sub-holding, la documentazione idonea è costituita sia dal Masterfile che dalla Documentazione Nazionale; ii) per le società controllate appartenenti a un gruppo multinazionale, la documentazione idonea è costituita esclusivamente dalla Documentazione Nazionale; iii) per le stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti la docu- mentazione idonea è determinata considerando la tipologia del soggetto cui essa appartiene (società holding, società sub-holding, società controllata). Nelli istruzioni di Unico SC 2014, viene precisato che il contribuente società di capitali deve comunicare il possesso della suddetta documentazione barrando la casella 4, del Rigo RS 106, denominata “Possesso documentazione”. Oltre alle indicazioni da fornire nel quadro RS, qualora in sede di predisposizione degli oneri documentali ci si accorga che le operazioni con società appartenenti allo stesso gruppo multinazionale non siano avvenute nel rispetto del “valore di mercato”, che il contribuente debba apportare delle variazioni in aumento e in diminuzione in Unico 2014. In particolare: se dallʼapplicazione del valore normale alle transazioni intercompany deriva un aumento del reddito imponibile, il contribuente deve operare una variazione in aumento, in sede di dichiarazione dei redditi. Le istruzioni al Modello UNICO SC 2014 prevedono lʼindicazione nel Rigo RF 31 di UNICO SC 2014, utilizzando il codice 15, della differenza negativa tra il valore normale dei beni ceduti e/o dei servizi prestati e il ricavo contabilizzato (ovvero la differenza tra il costo contabilizzato e il valore normale dei beni e/o servizi ricevuti); se dallʼapplicazione del valore normale alle transazioni intercompany deriva una riduzione del reddito imponibile, i contribuenti devono indicare in dichiarazione la differenza positiva tra il valore normale dei beni ceduti e/o dei servizi prestati e il ricavo contabilizzato (ovvero la differenza tra il costo contabilizzato e il valore normale dei beni e/o dei servizi ricevuti). In particolare, i contribuenti società di capitali devono compilare il Rigo RF 54 di UNICO SC 2014, utilizzando il codice 21. Tribuna Finanziaria - n. 3 (Fonte: Redazione Fiscal Focus) Massima: I giudici della sezione 20 della c.t.p. di Genova hanno deciso per il parziale accoglimento del ricorso proposto da un antiquario di Genova che aveva acquistato alcuni beni voluttuari. Infatti lʼauto Ferrari e lʼimbarcazione di 12 metri oltre al mantenimento dellʼabitazione principale dellʼappartamento di mq. 103, hanno consentito allʼufficio di parametrare il reddito dichiarato nel 2007 in entità maggiore. Le spese di mantenimento di questi beni sono state considerate in modo equilibrato dai giudici della c.t.p. di Genova sez. 20. Sentenza n. 38.20.13 depositata il 12.02.2013 Commissione tributaria provinciale di Genova Sezione ventesima Presidente: dott. Cingano Giancarlo Relatore: dott. Roberto Simonazzi R.g.r. n. 2637/10 Genova, 09.01.2013 Svolgimento del processo Il Signor T. – commerciante antiquario - ha presentato ricorso contro lʼAvviso di Accertamento n. R4C011200051 dellʼAgenzia Entrate Ufficio di Genova per Iva, Irpef anno 2007 e relative conseguenze fiscali. Fa presente che lʼUfficio ha determinato sinteticamente il reddito dʼimpresa 2007 in euro 65.539,00 - reddito dichiarato 2007 euro 18.978,00 – ai sensi del DM 10.09.1992 e DM 19.11.1992. Motivi del ricorso: LʼUfficio non ha considerato quando dichiarato in contraddittorio dal ricorrente ossia con riferimento alla moto Ducati 442 SP c.f. 12 acquistata a euro 2.500,00 incidentata e in seguito restaurata dallo stesso ricorrente e messa in vendita, in pratica ha circolato soltanto nel 2002. Lʼautovettura Ferrari 456 GT BSF12811 c.f. 39 immatricolata nel 1994 è stata a disposizione del ricorrente dal 19.1.2005 al 03.12.2007 e in questo periodo lʼauto è stata riparata e fatta manutenzione personalmente dal contribuente. Eʼ stata affidata alla vendita il 15.3.2007. Espone il costo dellʼassicurazione semestrale e del bollo della Ferrari – euro 300,00 e euro 838,50 – e pertanto sono contestati i rilievi dellʼUfficio in relazione al reddito. Lʼimbarcazione S… Odissey 42.2 lunghezza di m. 12,32 è stata acquistata dal ricorrente assieme ad altri 4 amici - vedi allegato 9-. LʼUfficio ha errato la quantificazione dei beni indice e pertanto il reddito calcolato non è attendibile. Inoltre da un controllo bancario è emerso che un versamento di 7.000,00 euro non è stato giustificato dal ricorrente. Mentre ha dato ampi riscontri ai versamenti di euro 2.000,00 e 3.000,00 e di altri 2.000,00 durante lʼanno 2007. Chiede a conclusione lʼannullamento dellʼatto impugnato per carenza di motivazioni come da Sentenza Cassazione n. 4624/2008. LʼUfficio nelle proprie controdeduzioni documentate sostiene che i valori ripresi fiscalmente a titolo di Irpef e Iva sono esposti chiaramente nellʼaccertamento e fa presente che non vi è stato alcun difetto di motivazione in quanto ha sempre dettagliato al contribuente le ragioni delle proprie pretese fiscali. Evidenza che lo studio di settore presentato dal ricorrente per il 2007 presentava elementi di coerenza appiattiti al minimo degli indici per la rotazione di magazzino e per il ricarico. Inoltre a carico del ricorrente – oltre agli elementi evidenziati in ricorso – vi è il mantenimento dellʼabitazione principale di Corso A. Saffi in Genova di mq. 103 gravata di mutuo fondiario della Banca Carige e con rata annua di euro 6.000,00. A seguito delle spese per il mantenimento dei beni esposti sopra lʼUfficio ha determinato in euro 65.539,00 il reddito dʼimpresa accertato per il 2007 e ritiene inoltre che il ricorrente non abbia fornito alcuna prova certa in merito allʼevidenza del sostenimento delle spese relative ai beni individuati dallʼUfficio. Lʼonere probatorio grava sul contribuente e pertanto chiede a conclusione la conferma dellʼavviso di accertamento poiché risulta completo e ben motivato. Motivi della decisione La Commissione ha preso atto della documentazione ricevuta dalle parti in contenzioso e che in pubblica udienza hanno ribadito le rispettive posizioni, in particolare osserva che alcuni motivi evidenziati nel ricorso a difesa del contribuente sono degni di attenta osservazione come lo stato del motoveicolo Ducati che ritiene veritiero come sostenuto dal ricorrente e dellʼacquisto dellʼimbarcazione S… Odissey come risulta da allegato documento. Ritiene però che il movimento di euro 7.000,00 non sia stato perfettamente giustificato e inoltre la Commissione ha osservato che lʼabitazione principale è di mq. 103 e il ricorrente paga ogni anno una rata mutuo di euro 6.000,00 e pertanto ritiene che non sia possibile mantenere dignitosamente i beni posseduti dal ricorrente con lʼentità del reddito dʼimpresa dichiarato in euro 18.978,00. Tenendo conto che i parametri degli studi di settore risultano coerenti al minimo e che però lʼiter percorso dallʼUfficio risulta corretto e legittimo, ritiene in definiti- Tribuna Finanziaria - n. 3 GIUSTIZIA TRIBUTARIA La Ferrari e la barca rendono indifendibili i parametri fiscali Processo Tributario TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 39 39 GIUSTIZIA TRIBUTARIA Processo Tributario TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 40 40 va che il presente ricorso meriti un parziale accoglimento sulla base degli elementi sopra esposti e presi in considerazione. Alla luce di quanto sopra evidenziato, la Commissione ritiene che il ricorso sullʼaccertamento in oggetto sia meritevole di parziale accoglimento ossia determina il reddito dʼimpresa relativo allʼanno 2007 per il titolare in euro 38.000,00 sulla base degli elementi evidenziati e presi in considerazione. LʼUfficio dovrà provvedere a ricalcolare i nuovi valori di IRPEF, IVA e accessori. Le spese del presente procedimento sono compensate tra le parti a seguito della materia trattata nella vicenda. P.Q.M. In parziale accoglimento del ricorso, la Commissione determina il reddito dʼimpresa per lʼanno 2007 in euro 38.000,00. Le spese di giudizio sono compensate tra le parti. Il Presidente Indagini finanziarie. Dati utilizzabili senza contraddittorio Cassazione Tributaria, sentenza depositata il 16 maggio 2014 In tema di accertamento, lʼutilizzazione da parte dellʼUfficio dei movimenti bancari non è condizionata alla previa instaurazione di alcun contraddittorio con il contribuente, atteso che la legge tributaria prevede il contraddittorio come oggetto di una mera facoltà dell'Amministrazione tributaria e non già di un obbligo. La sentenza. A chiarirlo è la Corte di Cassazione – Sezione Tributaria Civile (sentenza 16 maggio 2014 n. 10767). Il caso. Una professionista ha impugnato un avviso di rettifica IVA con cui lʼUfficio ha contestato la mancata fatturazione e dichiarazione di ricavi per 738mila euro, corrispondenti a somme movimentati su conti correnti bancari. La CTP e poi la CTR hanno respinto lʼimpugnazione della contribuente, così confermando lʼoperato dellʼAmministrazione finanziaria. Da qui il ricorso per cassazione. La difesa. La ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione di legge, per non avere ricevuto la convocazione da parte dellʼUfficio, con conseguente impossibilità di dare spiegazioni sui prelevamenti. Peraltro lʼUfficio si era limitato alla mera trascrizione del PVC redatto dalla GdF in occasione della verifica fiscale senza svolgere alcuna attività di valutazione del medesimo, tenendo anche conto delle difese del contribuente. Come se non bastasse, era stato impossibile ottenere copia degli estratti conto utilizzati dalle Fiamme Gialle ai fini del PVC, sicché non poteva dirsi sorto lʼonere probatorio a carico del contribuente. Ebbene, nessuna di queste argomentazioni difensive ha fatto breccia presso i giudici di Piazza Cavour. Osservazioni della S.C. Gli Ermellini ribadiscono lʼorientamento secondo il quale l'utilizzazione dei movimenti bancari da parte dellʼUfficio non è condizionata alla previa instaurazione di alcun contraddittorio con il contribuente sin dalla fase dell'accertamento, atteso che la legge tributaria prevede Tribuna Finanziaria - n. 3 il contraddittorio come oggetto di una mera facoltà dell'Amministrazione Finanziaria e non già di un obbligo (cfr. ex multis Cass. n. 446 del 2013). È stato inoltre chiarito che la motivazione dell'atto impositivo, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell'esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima, neppure per asserita mancanza di autonoma valutazione da parte dell'Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l'Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare unʼeconomia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti alla parte contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio. Nel caso di specie, del resto, è stata la stessa contribuente a riconoscere di avere operato deduzioni in calce al PVC, il che ha reso non necessario allegare il medesimo verbale all'atto di accertamento. Quanto agli oneri probatori, la S.C. osserva che lʼarticolo 32 prevede una presunzione legale in base alla quale sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari vanno imputati a ricavi, mentre è onere del contribuente fornire la prova contraria. Per quanto riguarda infine la censura inerente al mancato ottenimento di copia degli estratti conto, nella sentenza in esame si afferma che è sufficiente, in base allʼart. 52 D.P.R. 633/72, cui rinvia lʼart. 33 D.P.R. 600/1973, che il PVC dia conto delle risposte ricevute dal contribuente e che una copia di esso sia consegnata al contribuente. “Le rilevazioni documentali eseguite risultano dunque dal processo verbale, e il contribuente ne ha contezza sottoscrivendo il verbale e ricevendone copia”. La S.C., dunque, rigetta il ricorso della professionista, condannandola al pagamento delle spese processuali (22mila euro, oltre spese prenotate a debito). (Fonte: Redazione Fiscal Focus) a cura dell’Avv. Maurizio Villani e Avv. Idalisa Lamorgese Lʼarticolo 7, comma 4, del D. Lgs. n. 546/1992 dispone che “Non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale” e sancisce, quindi, un divieto perentorio in merito allʼammissibilità delle prove testimoniali nel processo tributario. Alla luce di tali limitazioni probatorie rilevanza fondamentale è assunta dal ruolo rivestito dalle dichiarazioni dei terzi, ponendosi il problema circa la loro utilizzabilità nel processo tributario. Secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, le dichiarazioni di terzi sono ammesse nel processo fiscale, non a titolo di fonti di prova in senso proprio, ma piuttosto a titolo di ausilio allʼaccertamento, che deve, comunque, essere sostenuto da ulteriori elementi. Tali dichiarazioni, pertanto, pur non costituendo prova decisiva, devono essere tenuti presenti dal giudice come elemento indiziario, da valutare insieme agli altri elementi, come le presunzioni, la documentazione acquisita, le eventuali movimentazioni finanziarie, la mancata contestazione dellʼAmministrazione finanziaria. In altre parole, le dichiarazioni testimoniali, se non possono costituire prova nel processo tributario, in virtù dellʼesplicita previsione di cui al comma 4 dellʼart. 7 del D. Lgs. n. 546/1992, hanno, tuttavia, una funzione di conferma “esterna” rispetto ad un quadro probatorio di per sé già sufficiente. In forza di quanto sopra affermato, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 18/2000 ha statuito che “va necessariamente riconosciuto anche al contribuente lo stesso potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale”, dando così concreta attuazione ai principi del giusto processo come riformulati nel nuovo testo dellʼart. 111 della Costituzione, per garantire lʼeffettivo principio “della parità delle armi processuali” nonché lʼeffettività del diritto di difesa. Sul punto, poi, negli anni, si sono susseguite varie sentenze della Corte di Cassazione, ribadendo il criterio secondo il quale “in forza del principio di parità delle parti, ben può il contribuente produrre in giudizio dichiarazioni di terzi” (Cass., sez. trib., del 16 aprile 2008, n. 9958); e ancora statuendo che “il valore probatorio di tali dichiarazioni è pari a quello delle dichiarazioni raccolte dallʼAmministrazione finanziaria, cioè quello proprio degli elementi indiziari” (Cass., sez. trib., del 17 giugno 2008, n. 16348; Cass., sez. trib., del 14 gennaio 2011, n. 767). Da ultimo, anche la sentenza Cass., sez. trib., del 27 marzo 2013, n. 7707 ha confermato questo orientamento per cui “il contribuente può produrre in giudizio “testimonianze” scritte; (queste) non costituiscono prova ma comunque il giudice deve tenerne conto come elemento indiziario, da valutare insieme agli altri elementi, come la prova logica, la documentazione acquisita, la mancata contestazione dellʼAmministrazione finanziaria, ecc. In ogni caso, il giudice è sempre tenuto a motivare lʼinutilizzazione delle dichiarazioni del terzo. Infatti, “in osservanza del principio delle parità delle parti – applicabile anche nel processo tributario – il giudice tributario deve prendere in considerazione le dichiarazioni extraprocessuali di persone informate dei fatti, sia che siano rese allʼUfficio finanziario o alla Guardia di Finanza, sia che siano rese al contribuente o a chi lo assiste” (Cass., sez. trib., del 26 marzo 2003, n. 4423). Il comma 1 dellʼart. 7 del D. Lgs. 546/1992, stabilisce, inoltre, che: “Le commissioni tributarie, ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, esercitano tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari ed allʼente locale da ciascuna legge dʼimposta”. Pertanto, qualora i giudici tributari non ritengano probanti di per sé le dichiarazioni di terzi prodotte dal contribuente in giudizio a sostegno delle proprie ragioni, ben può richiamarsi il contenuto della norma appena citata, chiedendo, quindi, che la competente Commissione Tributaria faccia uso degli ampi poteri riconosciuti dal comma 1 dellʼart. 7 del D. Lgs. n. 546/1992, rinnovando ed integrando lʼistruttoria svolta dallʼufficio e, quindi, convocando espressamente le parti dellʼatto notorio al fine di acquisire ulteriori chiarimenti e informazioni. Al riguardo si sottolinea che lʼuso che le Commissioni fanno di tali poteri è discrezionale, ma, quando la situazione probatoria è tale che non possa pronunciarsi una sentenza ragionevolmente motivata senza acquisire dʼufficio alcune prove, lʼesercizio dei suddetti poteri si configura come un dovere, il cui mancato assolvimento, se non motivato, deve considerarsi illegittimo (sentenza Cass., sez. trib., del 15 gennaio 2007, n. 673). Avv. Maurizio Villani Avv. Idalisa Lamorgese L'illusione è il desiderio portato in processione. Il giuramento giudiziario è una ipoteca accesa d'ufficio sulla coscienza del testimone già privatamente ipotecata. Tribuna Finanziaria - n. 3 GIUSTIZIA TRIBUTARIA Le dichiarazioni dei terzi nel processo tributario Processo Tributario TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 41 41 GIUSTIZIA TRIBUTARIA Processo Tributario TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 42 42 Estimi catastali a Lecce. Ricorso per Cassazione perdente, inutile e costoso a cura dell’Avv. Maurizio Villani Nella nota vicenda, caotica e pasticciata, degli estimi catastali a Lecce, lʼultimo atto è stato scritto dal Consiglio di Stato – Sez. Quarta in sede giurisdizionale -, che, con la corretta e precisa sentenza n. 1903/2014, depositata il 16/04/2014, ha totalmente accolto lʼappello proposto dallʼAgenzia delle Entrate e dal Ministero dellʼEconomia e delle Finanze, statuendo il proprio difetto di giurisdizione in relazione al ricorso proposto ed indicando come giudice che ne è fornito soltanto il giudice tributario, cioè la Commissione Tributaria Provinciale di Lecce. LʼAmministrazione comunale di Lecce, un contribuente, il Codacons – sede di Lecce, lʼAdusbef Puglia e lʼAdoc provinciale di Lecce intendono ora proporre ricorso per Cassazione, ritenendo che il Consiglio di Stato abbia preso “un abbaglio” perché, secondo lʼinterpretazione di qualcuno, non si sarebbe tenuto conto delle modifiche normative intervenute nel corso degli anni. Il Consiglio di Stato, invece, ha fatto corretto riferimento alla disciplina autonoma e differenziata proprio in tema di giurisdizione, governata dallʼart. 74 della Legge n. 342/2000, che testualmente dispone: “A decorrere dal 1° gennaio 2000, gli atti comunque attributi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, a cura dellʼufficio del territorio competente, ai soggetti intestatari della partita. Dallʼavvenuta notificazione decorre il termine di cui allʼart. 21 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e successive modificazioni, per proporre ricorso di cui allʼart. 2, comma 3, dello stesso D.Lgs.. Dellʼavvenuta notificazione gli uffici competenti danno tempestiva comunicazione ai Comuni interessati”. A sua volta, il citato art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 546/92 testualmente dispone: “Il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la decisione delle controversie rientranti nella propria giurisdizione, fatta eccezione per le questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio”. Eʼ vero che il succitato art. 2 è stato modificato dallʼart. 12, comma 2, della Legge n. 488 del 28/12/2001 ed a seguito di tale modifiche il contenuto del comma 3 è stato trasfuso nel comma 2, ma tale formale spostamento, contrariamente a quanto sostenuto, non ha portata modificativa ma soltanto natura esplicativa di una regola già esistente da anni nellʼordinamento tributario. Infatti, il legislatore ha voluto semplicemente codificare nel terzo comma in modo espresso un principio da sempre esistente nel processo tributario, come più volte precisato dalla stessa Corte di Cassazione, che da molti anni ha chiarito e precisato il problema. Infatti, i giudici di legittimità, con la sentenza n. 20398 del 21 ottobre 2005 hanno stabilito il seguente principio: “Secondo una costante giurisprudenza della Corte (sentenza 29 aprile 2003 n. 6631; 23 maggio 2003 n. 8130; sul potere del giudice tributario di dichiarare incidentalmente una simulazione di un contratto, sentenza 5 agosto 2002, n. 11676) il potere di accertamento incidentale del giudice tributario su questioni devolute ad altra giurisdizione, (nella specie, quella di nullità di un contratto, attribuita al giudice ordinario), doveva essere esercitato anche prima dellʼespressa previsione contenuta nellʼart. 12 della Legge n. 448 del 28/12/2001. Ciò in quanto tale norma deve essere considerata come meramente esplicativa di una regola generale esistente nellʼordinamento”. Di conseguenza, lʼattuale formulazione del terzo comma del succitato art. 2 non ha rilevante portata innovativa e solo recepisce formalmente un principio già avvalorato da giurisprudenza e dottrina anche nei riguardi delle Commissioni tributarie, pur in assenza di una previsione normativa transitoria. Eʼ sempre stato pacifico che rientrassero nella giurisdizione del giudice tributario tutte le questioni attinenti ai diritti la cui soluzione fosse necessaria per valutare la legittimità di un atto tributario, salvo le questioni specificamente riservate al giudice civile da norme di legge. La norma in esame consacra, quindi, a livello positivo, anche sotto il profilo delle questioni incidentali, la previsione di autonomia piena ed esclusiva della giustizia tributaria rispetto alla giurisdizione civile ed amministrativa e riconosce il pieno potere giurisdizionale delle Commissioni Tributarie a conoscere incidentalmente tutte le questioni pregiudiziali, con lʼeccezione delle questioni relative alla querela di falso o la capacità delle persone (salvo che si tratti della capacità di stare nel giudizio) che rimangono nella competenza esclusiva del giudice civile ordinario. In tal senso, si citano le principali sentenze della Corte di Cassazione: - n. 6631/03 – Sezioni Unite; - n. 8130/03 – Sezione Tributaria. Oltretutto, in materia processuale, quando si modificano le competenze giurisdizionali, in mancanza di norme transitorie (come nel caso di specie), è sempre applicabile lʼart. 5 del codice di procedura civile (applicabile anche nel processo tributario, ex art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 546/92), che testualmente dispone: “La giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto Tribuna Finanziaria - n. 3 esistente al momento della proposizione della domanda e non hanno rilevanza rispetto ad esse e i successivi mutamenti della legge o dello stato medesimo” (articolo così sostituito dallʼart. 2 della Legge n. 353/1990, a decorrere dallo 01 gennaio 1993, c.d. “perpetuatio iurisdictionis”). Il principio stabilito dal succitato articolo, secondo cui la giurisdizione si determina con riguardo alla legge vigente ed allo stato di fatto esistente al momento della proposizione del ricorso, senza che abbiano effetti i successivi mutamenti, va sempre interpretato in conformità alla sua ratio che è quella di favorire, non già di impedire, la c.d. “perpetuatio iurisdictionis” (Cassazione, sentenza n. 20776/2010). Tale principio, inoltre, è stato sempre applicato dalla Corte di Cassazione anche nel processo tributario, con le seguenti sentenze: - n. 6774/2003 – Sezioni Unite; - n. 6954/2003 – Sezioni Unite; - n. 9554/2003 – Sezioni Unite; - n. 2415/2002 – Sezioni Unite; - n. 6487/2002 – Sezioni Unite; - n. 14896/2002 – Sezioni Unite. La corretta sentenza del Consiglio di Stato è totalmente condivisibile, perché ha applicato in modo esatto tutti i suesposti principi stabiliti più volte dalla Corte di Cassazione, tenuto conto che il ricorso al TAR di Lecce è stato depositato in data 12 febbraio 2013, vigente lʼattuale art. 2, comma 3, in vigore dallo 01 gennaio 2002, peraltro con effetti retroattivi. Di conseguenza, lʼeventuale ricorso per Cassazione è perdente, perché i giudici di legittimità si sono già pronunciati in modo costante sul tema, come sopra succintamente esposto, inutile, perché la giurisprudenza sino ad oggi non è cambiata, né è stato dimostrato il contrario, costoso, perché si costringono i cittadini-contribuenti a sborsare inutilmente altri soldi, dopo essere stati più volte beffati in questa assurda vicenda, con il rischio ulteriore della condanna alle spese del giudizio in Cassazione. Invece, secondo me, è opportuno far passare in giudicato subito la corretta sentenza del Consiglio di Stato ed adire il giudice tributario, unico competente in materia, che sicuramente annullerà tutto. Solo in questo modo, con umiltà professionale e rispetto delle Istituzioni, si evita di perpetuare un “vero abbaglio”, non certo commesso dal Consiglio di Stato, che ha pronunciato, invece, una sentenza condivisibile, corretta, precisa e conforme alla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite. Avv. Maurizio Villani Processo Tributario TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 43 IVA. Sì a rettifica con interposizione fittizia di manodopera Ai fini delle imposte dirette, sono indeducibili i costi che, sotto lʼapparenza di fatture emesse da presunte ditte appaltatrici, per il corrispettivo di prestazioni di servizi eseguiti, celano in realtà il pagamento di prestazioni lavorative rese in violazione del divieto dʼintermediazione di manodopera. Su questa tipologia di operazioni non è peraltro possibile detrarre lʼIVA giacché la prestazione di manodopera non integra unʼoperazione imponibile ai fini di tale imposta. Lʼimpiego di capitale, macchine e attrezzature fornite dallʼappaltante sono elementi sintomatici della ricorrenza di un vietato appalto di manodopera. È quanto emerge dalla sentenza 16 maggio 2014 n. 10745 della Corte di Cassazione – Sezione Tributaria. La vicenda. Con la pronuncia in rassegna è stato accolto il ricorso proposto dallʼAgenzia delle Entrate, nellʼambito di una controversia intrapresa da una SRL, per essere stata destinataria di due avvisi di accertamento per IRPEG e ILOR e un avviso di rettifica ai fini IVA, atti poi annullati dai giudici tributari della Toscana. Appalto di manodopera. Contrariamente a quanto fatto dai giudici regionali di Firenze, gli Ermellini hanno riconosciuto, in relazione a un appalto per la saldatura di tubi metallici, lʼesistenza di unʼintermediazione di manodopera tra la contribuente e altre quattro ditte. La S.C. spiega che la nozione di appalto di manodopera o di mere prestazioni di lavoro, vietato dall'articolo 1 della Legge n. 1369 del 1960, in mancanza di una definizione normativa, va ricavata tenendo anche conto della previsione dell'articolo 3 della stessa legge, concernente l'appalto (lecito) di opere e servizi all'interno dell'azienda con organizzazione e gestione propria dell'appaltatore. Ne discende che l'ipotesi di appalto di manodopera è configurabile sia in presenza degli elementi presuntivi considerati dal comma 3 del citato articolo 1 (impiego di capitale, macchine e attrezzature fornite dall'appaltante) sia quando il soggetto interposto, sebbene si inserisca in una fase del ciclo produttivo del preteso committente, manchi di una gestione di impresa a proprio rischio e di un'autonoma organizzazione, da verificarsi con riguardo alle prestazioni in concreto affidategli. Tale ultima situazione si realizza, in particolare, nelle ipotesi di attività esplicate allʼinterno dellʼazienda appaltante. Ebbene, ad avviso della S.C., la CTR ha erroneamente ritenuto che nella fattispecie si fosse alla presenza “di un appalto reale di fornitura di servizi”, mentre ricorrevano tutti i presupposti dellʼintermediazione di manodopera, per come dedotto dalla ricorrente Agenzia delle Entrate. In particolare, è risultato che era proprio la contribuente (committente) a mettere a disposizione dei saldatori, forniti dalle quattro ditte appaltatrici, tutti i mezzi necessari per il lavoro da compiere; lavoro eseguito dai medesimi operari presso gli stabilimenti della stessa contribuente/committente. In definitiva, quindi, la Sezione Tributaria ritiene provato lʼassunto dellʼUfficio finanziario e quindi la legittimità degli avvisi di accertamento impugnati. La causa, pertanto, è stata decisa nel merito. Alla contribuente non resta che pagare le spese del giudizio. Tribuna Finanziaria - n. 3 (Fonte: Redazione Fiscal Focus) GIUSTIZIA TRIBUTARIA Cassazione Tributaria, sentenza depositata il 16 maggio 2014 43 GIUSTIZIA TRIBUTARIA Processo Tributario TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 44 44 Avvocato nello studio associato: quando l’Irap è dovuta! (Nota a Ctp Firenze, n. 279/05/2014, dep. 03/03/2014) a cura dell’avv. Martino Verrengia La pronuncia si occupa dellʼindagine in ordine al requisito dellʼautonoma organizzazione, ai fini Irap, di un avvocato inserito in uno studio associato. Lʼorientamento della Cassazione Come noto, la Corte di cassazione, con la giurisprudenza a sezioni Unite del 2009, ha chiarito che il requisito dellʼautonoma organizzazione, rilevante ai fini Irap, “il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, sussiste tutte le volte in cui il contribuente che eserciti lʼattività di lavoro autonomo: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dellʼorganizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità; b) impieghi beni strumentali eccedenti le quantità che, secondo lʼid quod plerumque accidit, costituiscono nellʼattualità il minimo indispensabile per lʼesercizio dellʼattività anche in assenza di organizzazione oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui”. Orbene, la questione dellʼassoggettamento al tributo in parola dellʼavvocato inserito nello studio associato è spesso dibattuta: la Cassazione, con sentenza n. 382/2013, ha chiarito che egli non paga lʼIrap, “qualora i costi sostenuti dal medesimo non superino una ragionevole soglia”. In sostanza, secondo lʼorientamento del Supremo Consesso di legittimità, la semplice collaborazione con lo studio associato non giustifica lʼapplicazione dellʼIrap al professionista. A nulla rileva, quindi, il fatto che lʼattività sia stata effettivamente svolta, ed accresciuta, grazie agli strumenti messi a disposizione dello studio associato stesso. La pronuncia della Ctp di Firenze Tuttavia, il caso di una mera collaborazione nei confronti dello studio, in cui lʼavvocato abbia un semplice rapporto di collaborazione esterna, differisce con quello affrontato dai Giudici fiorentini. Nella vertenza in analisi, infatti, la ricorrente non aveva fornito alcuna prova di aver prestato solo una collaborazione professionale con lo studio associato; in sostanza non aveva provato la “estraneità” del proprio operato rispetto allʼattività generale dello studio professionale. Si applica allora il principio di diritto per cui, “ove il professionista sia inserito in uno studio associato, secondo lʼid quod plerumque accidit, sebbene svolga anche una distinta e separata attività professionale (diversa da quella svolta in forma associata), egli deve dimostrare di non fruire dei benefici organizzativi recati proprio dalla sua adesione alla detta associazione che, proprio in ragione della sua forma collettiva, normalmen- te fa conseguire ai suoi aderenti altre utilità aggiuntive, che non si esauriscono in quelle della separata attività collettiva, in quanto, solitamente, queste ultime comportano anche altri vantaggi organizzativi … che comportano vantaggi organizzativi ed incrementativi della ricchezza prodotta”. In sostanza lo studio condiviso è un “apparato produttivo”, atteso che i vantaggi organizzativi ed incrementativi della ricchezza sono forniti da circostanze quali “le sostituzioni in attività da parte di colleghi di studio, lʼutilizzazione di una segreteria o di locali di lavoro comuni, la possibilità di conferenze o colloqui professionali o altre attività allargate, lʼutilizzazione di servizi collettivi ecc…” Eʼ quindi dimostrata lʼautonoma organizzazione, secondo la Ctp, e la soggettività Irap del contribuente, “soprattutto in considerazione dei compensi non modesti dichiarati dalla stessa ricorrente negli anni in oggetto, che inducono ritenere la sua presenza allʼinterno dello studio non alla stregua di un mero ospite quanto invece di una figura strutturata”. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI FIRENZE SEZIONE 5 REG. GENERALE N° 3156/11 UDIENZA DEL 12/02/2014 ORE 09:00 SENTENZA N° 279 PRONUNCIATA IL 12.02.14 DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 03.03.14 riunita con lʼintervento dei Signori: BUCELLI VASCO Presidente RADOS BRUNO Relatore PIZZOCOLO ROBERTO Giudice ha emesso la seguente SENTENZA - sul ricorso n. 3156/11 depositato il 22/12/2011 - avverso S/RIF.IST.RIMB. n° IST. DEL 28/07/11 IRAP 2005 - avverso S/RIF.IST.RIMB. n° IST. DEL 28/07/11 IRAP 2006 - avverso S/RIF.IST.RIMB. n° IST. DEL 28/07/11 IRAP 2007 - avverso S/RIF.IST.RIMB. n° IST. DEL 28/07/11 IRAP 2008 - avverso S/RIF.IST.RIMB. n° IST. DEL 28/07/11 IRAP 2009 Tribuna Finanziaria - n. 3 in materia che demandano al giudice di accertare in concreto, caso per caso, lʼaccertamento del requisito in questione, il ricorso debba essere comunque rigettato in radice nellʼAN. Invero la Suprema Corte nella sentenza n. 19138/08 ha statuito che, ove il professionista sia inserito in uno studio associato, secondo lʼid quod plerumque accidit, sebbene svolga anche una distinta e separata attività professionale (diversa da quella svolta in forma associata), egli deve dimostrare di non fruire dei benefici organizzativi derivanti dalla sua adesione alla detta associazione che, proprio in ragione della sua natura collettiva, normalmente fa conseguire ai suoi aderenti utilità altre e aggiuntive, che non si esauriscono in quelle della separata attività collettiva, in quanto, solitamente, queste ultime comportano anche altri vantaggi organizzativi (come ad es.: le sostituzioni in attività materiali o professionali – da parte di colleghi di studio; lʼutilizzazione di una segreteria o di locali di lavoro comuni; la possibilità di conferenze o colloqui professionali o altre attività allargate; lʼutilizzazione di servizi collettivi e quantʼaltro caratterizzi lʼattività svolta in associazione professionale) che comportano vantaggi organizzativi e incrementativi della ricchezza prodotta.” Orbene, nel caso in esame, la ricorrente non ha provveduto a documentare la sua richiesta, specie in considerazione degli importi dichiarati per gli anni oggetto di contestazione. Invero, in primo luogo le spese, oscillando dai circa 5mila del 2007-2009 euro fino ai 12mila circa del 2008, nel confronto con i ricavi determinati dallʼattività costituiscono una voce non irrilevante del bilancio finale (con unʼincidenza media del 10% circa dellʼattività). In secondo luogo, particolare rilievo assume la circostanza dello svolgimento dellʼattività professionale nella struttura organizzativa riferibile allʼavv. A.F. Eʼ ben vero che una recente sentenza della S.C. ha statuito che “la semplice collaborazione con lo studio associato non giustifica lʼapplicazione dellʼi.r.a.p. al professionista. A nulla rileva, per la Cassazione, il fatto che lʼattività sia stata effettivamente svolta, ed accresciuta, grazie agli strumenti messi a disposizione dello studio associato stesso”. Ma la lettura di tale sentenza evidenzia che la stessa concerne il caso, pacifico in causa perché non contestato, che il contribuente, prima di divenire associato di studio, aveva in essere con lʼassociazione professionale un semplice rapporto di collaborazione esterna, tanto da fatturare per il detto studio il 90% dei corrispettivi annui, sicché si trattava di “mera collaborazione dei confronti dello studio”. Tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, in quanto la ricorrente non ha fornito alcuna prova dellʼaffermazione di aver essa svolto negli anni 2005-2008 lʼattività professionale per lo studio dellʼavv. F. Tale affermazione, in quanto contestata dallʼUfficio e non provata, rimane una semplice allegazione della contribuente priva di valore probatorio. Nessuna dimostrazione viene fornita dalla ricorrente in merito alla parziale – per alcuni anni – “estraneità” del proprio operato rispetto allʼattività generale dello studio professionale, per cui rima- Tribuna Finanziaria - n. 3 GIUSTIZIA TRIBUTARIA - avverso S/RIF.IST.RIMB. n° IST. DEL 28/07/11 IRAP 2010 contro: AG. ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE FIRENZE Proposto dal ricorrente: S.I. VIA (…) FIRENZE FI Difeso da: MARTORANA AVV. ELISA VIA PIPPO SPANO 19 50132 FIRENZE FI IN FATTO E IN DIRITTO I.S., svolgente attività di avvocato, ricorre contro il silenzio rifiuto dellʼUfficio alla sua istanza di rimborso IRAP relativa agli anni dal 2005 al 2010 per complessivi € 5.623,43=. A sostegno dellʼimpugnazione la ricorrente sostiene di svolgere la propria attività in assenza di autonoma organizzazione per aver svolto tale attività, negli anni 2005-2008, presso la propria residenza (utilizzata ad uso promiscuo) e prestato soltanto la propria collaborazione professionale nello studio dellʼavv. A. F. In particolare, sostiene lʼavv. S.I. di non essersi avvalsa, nello svolgimento della sua attività, di alcun collaboratore o dipendente, mentre i mezzi utilizzati sono stati gli arredi dellʼufficio, un computer con stampante, un telefax e una fotocopiatrice, per cui non avrebbe essa impiegato beni strumentali eccedenti il minimo indispensabile per lʼesercizio dellʼattività in assenza di organizzazione; quanto alle spese di gestione, incidenti in media per il 10% sul fatturato, esse costituirebbero una voce irrilevante del bilancio finale. Si è costituita lʼAgenzia delle Entrate – Ufficio Controlli, chiedendo il rigetto del ricorso siccome infondato. Preliminarmente, in accoglimento della relativa eccezione avanzata dallʼUfficio, va affermata la decadenza dellʼistanza di rimborso per la somma di € 1.670,58# versata a titolo di acconto IRAP per gli anni 2005-2006-2007 (nei rispettivi importi di € 780,00 per il 2005, € 476,36 per il 2006 e di € 414,22) in quanto tardivamente proposta. In tema di rimborsi di imposte dirette lʼart. 38 del D.P.R. 602/1973 sancisce che il contribuente che ha effettuato versamenti diretti, nel caso di errore materiale, duplicazione o inesistenza totale o parziale dellʼobbligo di versamento, può presentare lʼistanza tesa ad ottenerne il rimborso entro il termine di decadenza di quarantotto mesi. Nel caso di specie la ricorrente è incorsa nella decadenza per aver presentato lʼistanza di rimborso in data 28.07.2011, mentre i primi acconto sono, nellʼordine, stati versati rispettivamente nelle date 20.06.2006, 20.06.2006 e 13.06.2007, per cui è evidente il superamento del termine di quattro anni previsto dalla legge (al riguardo lʼUfficio sottolinea – condivisibilmente – che, pur trattandosi di versamenti in acconto, il termine di decadenza per lʼistanza di rimborso decorre dalla data dellʼeffettivo pagamento e non dal versamento del saldo). Ne consegue che il rimborso, ove spettasse, andrebbe riconosciuto nel minor importo di € 3.952,85. Ma, per ciò che concerne la questione della sussistenza nella specie del presupposto della autonoma organizzazione, questa Commissione ritiene che, pur alla luce delle recenti sentenze della Corte di Cassazione Processo Tributario TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 45 45 Processo Tributario TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 46 ne applicabile alla fattispecie il principio della S.C. secondo cui “ove il professionista sia inserito in uno studio associato, secondo lʼid quod plerumque accidit, sebbene svolga anche una distinta e separata attività professionale (diversa da quella svolta in forma associata), egli deve dimostrare di non fruire dei benefici organizzativi recati proprio dalla sua adesione alla detta associazione che, proprio in ragione della sua forma collettiva, normalmente fa conseguire ai suoi aderenti utilità altre e aggiuntive, che non si esauriscono in quelle della separata attività collettiva, in quanto, solitamente, queste ultime comportano anche altri vantaggi organizzativi (come ad es.: le sostituzioni in attività – materiali o professionali – da parte di colleghi di studio; lʼutilizzazione di una segreteria o di locali di lavoro comuni; la possibilità di conferenze o colloqui professionali o altre attività allargate; lʼutilizzazione di servizi collettivi e quantʼaltro caratterizzi lʼattività svolta in associazione professionale) che comportano vantaggi organizzativi e incrementativi della ricchezza prodotta.” Lo studio condiviso è infatti da considerarsi di per sé una struttura atta a potenziare la capacità produttiva di reddito del professionista; è, in altre parole, un apparato produttivo. Ciò vale soprattutto in considerazione dei compensi non modesti dichiarati dalla stessa ricorrente negli anni in oggetto che inducono a ritenere la sua presenza allʼinterno dello studio non alla stregua di un mero “ospite” quanto invece di una figura strutturata. Va pertanto affermata la legittimità dellʼoperato dellʼUfficio. Ricorrono giusti motivi, attesi i passati contrasti giurisprudenziali in materia, per compensare fra le parti le spese di lite. P.Q.M. La Commissione respinge il ricorso. Spese compensate. Il 40% delle cause pendenti sono contenziosi tributari GIUSTIZIA TRIBUTARIA I giudici tributari: "Siamo pochi e mal pagati". Ma si tratta di un secondo lavoro o di un impiego temporaneo per magistrati 46 "Siamo pochi e mal pagati", sostengono i giudici tributari. Lo ha illustrato con la sua relazione annuale il presidente del Consiglio della Giustizia Tributaria Mario Cavallaro, ex parlamentare del Partito Democratico, nel corso della Giornata della Giustizia Tributaria nellʼAula Magna della Cassazione. I giudici tributari lamentano un organico sottodimensionato: in totale sono 3.654 a fronte di un numero (secondo loro) "ideale" che dovrebbe essere di 4.668. Tutto ciò nonostante dal 2012 sono aumentati i giudici in servizio, passando da 931 a 1.096 nelle Commissioni Regionali e da 2.220 a 2.558 in quelle Provinciali, un aumento rispettivamente del 18% e del 15%. Va precisato che si tratta di un secondo lavoro o di un impiego temporaneo per magistrati già in pensione: nelle commissioni Provinciali e Regionali, corrispondenti al primo e secondo grado di giudizio, i magistrati sono in genere civili o penali che assolvono questo servizio part time, anche senza una specializzazione sui temi fiscali, e un giudice ordinario anziano può facilmente diventare magistrato tributario e arrotondare lo stipendio. Un magistrato tributario provinciale porta a casa 1.000 euro in più al mese, oltre allo retribuzione o alla pensione che già percepisce. Se la passano molto meglio i consiglieri nazionali, lʼorgano di autogoverno dei giudici tributari, che guadagnano circa 3.000 euro al mese (ovviamente da sommare allo stipendio o alla pensione di cui già godono). I consiglieri sono 15 e di solito si riuniscono solo il martedì. Allʼincontro era presente anche il viceministro dellʼEconomia, Luigi Casero, che ha definito la giustizia tributaria italiana un sistema con tante luci e alcune ombre, riservando ai giudici tributari anche qualche timida stoccata: "La comparazione dei dati del con- tenzioso tributario italiano con quello europeo vede il nostro Paese in una posizione di insufficienza", ha affermato Casero. Anche i livelli di tassazione tra paesi europei sono troppo divergenti per il viceministro, che annuncia la possibilità di intervenire sul contenzioso attraverso la delega fiscale per migliorare il rapporto tra fisco e contribuente. Delega che per Casero avrà tre pilastri: semplificazione del sistema fiscale, certezza del diritto per gli investitori internazionali e abbassamento della pressione fiscale. Un nuovo capitolo del libro dei sogni del governo. La maggioranza delle controversie, il 41,76% del totale, è su un valore massimo di 2.500 euro, con la fascia 2.500-20.000 euro che vale il 26% del totale. I contenziosi nella forbice tra 250.000 euro e un milione sono meno del 3% e quelli oltre il milione di euro lʼ1,39%. Il contenzioso complessivo trattato nel 2013 è di circa 37 miliardi di euro. Il presidente Cavallaro non ha mancato di dire la sua anche sulle riforme che a suo dire non devono essere "volte a punire o premiare le magistrature secondo intenti ideologici". Ma il contribuente italiano, più che dai timori di Cavallaro, è preoccupato dal fatto di non trovarsi di fronte un fisco amico e una giustizia tributaria efficiente. I tempi medi per un giudizio tributario di primo grado sono di circa due anni e mezzo, e in Cassazione quattro cause pendenti su dieci riguardano un contenzioso tributario, con l'arretrato che continua ad aumentare. Uno dei tanti ingranaggi della malfunzionante giustizia italiana. Tribuna Finanziaria - n. 3 (Fonte: Il Giornale.it) Commento a cura dell’Avv. Annamaria Gallo Con la sentenza in esame, avente ad oggetto una domanda di risarcimento dei danni provocati ad una autovettura da un grosso cinghiale, il Giudice di Pace di Firenze ha rilevato che “la fauna selvatica rientra nel patrimonio indisponibile dello Stato e che i poteri alla sua gestione, tutela e controllo sono stati attribuiti dalla legge 157/92 alle Regioni a statuto ordinario. Detti enti in quanto obbligati ad adottare tutte le misure idonee ad evitare danni a terzi, sono responsabili dei danni provocati da animali selvatici a persone o a cose il cui risarcimento non sia previsto da norme specifiche”. Al danno cagionato dalla fauna selvatica è innan zitutto applicabile la norma generale di cui allʼart. 2043 c.c., non essendo risarcibile il danno in base agli artt. 2053 e 2051 c.c., inapplicabile per la natura stessa degli animali selvatici, il cui stato di libertà è incompatibile con un qualsiasi obbligo di custodia da parte della P.A. Riguardo poi allo specifico problema, va osservato peraltro che i principi generali in tema di illecito civile di cui agli art. 2043 ss. cod. civ. sono integrati in materia dalle leggi speciali, statali e regionali, che regolano competenze e responsabilità dello Stato e degli enti locali. La disciplina applicabile deve quindi essere ricostruita sulla base dei principi generali in tema di responsabilità civile, che impongono di individuare il responsabile dei danni nellʼente a cui siano concretamente affidati, con adeguato margine di autonomia, i poteri di gestione e di controllo del territorio e della fauna ivi esistente, e che quindi sia meglio in grado di prevedere, prevenire ed evitare gli eventi dannosi del genere di quello del cui risarcimento si tratta. In sintesi, è da ritenere che la responsabilità aquiliana per i danni a terzi debba essere imputata allʼente, sia esso Regione, Provincia, Comune, Ente Parco, Federazione o Associazione, ecc., a cui siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, con autonomia decisionale sufficiente a consentire loro di svolgere lʼattività in modo da poter amministrare i rischi di danni a terzi che da tali attività derivino. Nel caso di specie il Giudice di Pace fiorentino ha dunque rigettato lʼeccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dal Comune ritenendo appunto che i danni causati da fauna selvatica debbano essere risarciti da chi gestisce lʼarea, e dunque, nel caso in esame, dal Comune quale proprietario della strada, reo di non aver apposto la cartellonistica idonea a segnalare il pericolo dellʼattraversamento di fauna selvatica. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL GIUDICE DI PACE DI FIRENZE Sentenza n. 6503/013 RG. 5416/012 REP. 3929/013 Avv. Francesco Tràssari ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile iscritta al n. 5416/2012 del ruolo generale promossa da (…) e (…) elettivamente domiciliati in Firenze, Via Arnolfo 43, presso lo studio dellʼavv. Benedetta Bianchi che li rappresenta e difende come da procura a margine dellʼatto di citazione attore contro Comune di Scandicci elettivamente domiciliato in Firenze, Via Senese 22, presso lo studio dellʼavv. Giampaolo Pagnini che lo rappresenta e difende come da procura in calce alla copia notificata dellʼatto di citazione convenuto *** SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione ritualmente notificato, i coniugi (…) esponendo che il 7.1.2012 la vettura di loro proprietà, una Dayatsu Terios targata (…) mentre alla guida del primo percorreva la Via di Marciola nel Comune di Scandicci quale proprietario della strada, responsabile della mancata apposizione di segnaletica indicante la presenza di fauna selvatica, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti quantificati in € 2616,14 pari alla somma preventivata per la loro riparazione. Nel costituirsi in giudizio il convenuto ricordando che la fauna selvatica costituisce, secondo la legge 968/1977, patrimonio indisponibile dello Stato e rilevando di non essere né proprietario né custode dellʼanimale che aveva causato il danno, eccepiva la propria carenza di legittimazione e concludeva per la denegata ipotesi di rigetto di tale eccezione preliminare, che la domanda fosse comunque respinta “per infondatezza della stessa e mancanza di responsabilità dellʼEnte convenuto”. La causa veniva istruita con produzioni di documenti e prove per testi e allʼudienza del 30.10.2013, sulle conclusioni delle parti, precisate con riferimento alle rispettive memorie, trattenuta in decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE Deve premettersi che ha fauna selvatica rientra nel patrimonio indisponibile dello Stato e che i poteri relativi alla sua Tribuna Finanziaria - n. 3 GIUSTIZIA DI PACE Sinistro stradale provocato da animale selvatico: la responsabilità del proprietario della strada Processo di Pace TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 47 47 Processo di Pace TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 48 gestione, tutela e controllo sono stati attribuiti dalla legge 157/92 alle Regioni a statuto ordinario. Detti enti in quanto obbligati ad adottare tutte le misure idonee ad evitare danni a terzi, sono responsabili dei danni provocati da animali selvatici a persone o a cose il cui risarcimento non sia previsto da norme specifiche. Per quanto sopra detto ed altresì per la considerazione che il proprietario della strada è responsabile per i danni riferibili ad insidia, lʼeccezione di carenza di legittimazione passiva proposta dal Comune convenuto va disattesa. Vertendosi in tema di responsabilità extracontrattuale, occorre altresì precisare che il danno cagionato dalla fauna selvatica ai veicoli in circolazione non è risarcibile in base alla presunzione stabilita dallʼart. 2052 cod. civ., inapplicabile alla selvaggina, il cui stato di libertà è incompatibile con un qualsiasi obbligo di custodia da parte della P.A., ma soltanto alla stregua dei principi generali sanciti dallʼart. 2043 cod. civ., con la conseguente necessaria individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile allʼente pubblico. Nel caso in esame è stato provato (teste (…) allʼudienza del 5.12.2012), sia lʼurto inferto dal cinghiale, immessosi improvvisamente sulla strada, alla vettura degli attori che la stava percorrendo, sia la mancanza di segnaletica indicante il pericolo costituito dal probabile attraversamento di animali. Ed è proprio nella dimostrata mancanza di segnalazione del pericolo che si sostanzia la colpa dalla quale, ex art. 2043 Cod. civ. scaturisce la responsabilità Comune convenuto. Non è infatti contestabile che se il rischio dellʼattraversamento di animali selvatici fosse stato segnalato il (…) avrebbe potuto assumerne contezza ed essere quindi nelle condizioni di scegliere se percorrere o no quella strada e, se sì, di procedere con quella maggiore prudenza che la situazione di pericolo esigeva. La domanda deve pertanto essere accolta e il convenuto condannato al risarcimento del danno col pagamento della somma di € 2616,14 necessaria al ristoro che allʼudienza del 10.4.2013 ha espressamente dichiarato di non contestare, oltre interessi di legge dal giorno del sinistro. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. PER QUESTI MOTIVI Il Giudice di pace, definitivamente pronunciando, condanna il Comune di Scandicci a pagare agli attori la somma di € 2616,14 oltre interessi come in motivazione nonché a rifondergli le spese di lite che liquida in € 1250 di cui 100 per spese oltre accessori come per legge. Il Giudice di pace (avv. Francesco Tràssari) GIUSTIZIA DI PACE Autovelox nullo se il segnale di limite non è ripetuto dopo l'incrocio 48 La Cassazione: dopo un incrocio i segnali che limitano la velocità devono essere ripetuti, altrimenti si considera ripristinato il limite genericoLa Corte di Cassazione, sezione sesta civile, con l'ordinanza n. 11018/14, del 20.5.2014, ha ribadito un principio importante, che potrebbe interessare a molti automobilisti che dovessero venire sanzionati per superamento dei limiti di velocità. Quando viene imposto un limite di velocità che abbassa il limite previsto per il tipo di strada, dopo ogni incrocio esso si considera come inefficace e deve essere ribadito con altro segnale, se il gestore lo desidera. Di conseguenza, se un automobilista si trova in sequenza: segnale di limite di velocità, incrocio, autovelox, non potrà essere sanzionato per il superamento del predetto limite. Così hanno deciso gli Ermellini per un caso siffatto avvenuto nella Locride, in Calabria. Un signore percorreva la strada statale 106, quando l'autovelox registrava una velocità di 60 km/h, subito dopo lo svincolo verso Portigliola. Prima dello svincolo, aveva oltrepassato il segnale di limite a 50 km/h, che riduceva il limite generico della velocità per le strade statali, che è di 90 Km/h. Così è arrivata la sanzione, che il presunto trasgressore ha impugnato. Dopo aver perso il ricorso in primo e in secondo grado, l'automobilista calabrese trova soddisfazione in Corte di Cassazione. L'ART. 104 E L'ART. 119 DEL REGOLAMENTO DI ESECUZIONE - Le posizioni contrapposte di trasgressore e amministrazione erano incentrate sull'interpretazione di due norme, contenute in altrettanti articoli del Regolamento di Esecuzione del Codice della Strada. Più precisamente l'art. 104 (Art. 39 Cod. Str.) Disposizioni generali sui segnali di prescrizione, comma 2, che recita: "lungo il tratto stradale interessato da una prescrizione i segnali di divieto e di obbligo, nonché quelli di diritto di precedenza, devono essere ripetuti dopo ogni intersezione. Tale obbligo non sussiste per i segnali a validità zonale". Mentre l'art. 119 (Art. 39 Cod. Str.) Segnali di fine divieto, co. 1, lett. b) del medesimo decreto recita: "il segnale FINE LIMITAZIONE DI VELOCITA' deve essere usato ogniqualvolta si vogliano ripristinare i limiti generalizzati di velocità vigenti per quel tipo di strada". L'interpretazione sistematica delle due norme per il Giudice di Pace e per il Tribunale di Locri, si risolveva a favore dell'amministrazione, ovvero per la persistenza del limite di velocità oltre l'incrocio, ma i Giudici di Piazza Cavour chiariscono invece che se dopo l'incrocio non viene ripetuto il segnale che prescrive il limite, si può ritenere che il limite non sia più vigente. Soprattutto, poteva ritenerlo ragionevolmente l'automobilista, che quindi aveva il diritto di viaggiare a 60 km/h. I GIUDICI DI MERITO DOVEVANO INDAGARE MEGLIO Gli Ermellini nell'ordinanza in commento indicano anche come si poteva pervenire a una decisione di rigetto del ricorso del presunto trasgressore, ma si sarebbe dovuto accertare meglio quale fosse il limite di velocità previsto per quel tratto di strada. Per la precisione i Giudici di merito, anziché avallare la tesi del Comune di Portigliola, sulla persistenza del limite di velocità ai sensi dell'art. 119 del Regolamento, avrebbero dovuto accertare se il segnale posto prima dello svincolo potesse essere considerato un "segnale a validità zonale", ovvero se per tipologia di zona (es. presenza di centro abitato), fosse stata prevista una prescrizione più estesa. In ogni caso, dall'interpretazione autorevole della Suprema Corte, sembra essere uscita una nuova via di fuga per i trasgressori pizzicati dall'autovelox. Tribuna Finanziaria - n. 3 (Autore Antonio Benevento. Fonte www.sicurauto.it) Commento a cura dell’Avv. Annamaria Gallo Come noto, la regola vuole che chi perde la causa paghi non solo il proprio avvocato, ma anche le spese legali sostenute dalla parte vincitrice. Tuttavia, il D.L. 22 dicembre 2011 n. 212, convertito nella L. 17 febbraio 2012, n. 10 ha inserito un nuovo comma allʼinterno dellʼart. 91 c.p.c. (condanna alle spese), introducendo nuove misure per le parti che non accettano la proposta conciliativa formulata in corso di causa. In base a tale nuova disposizione è stata infatti introdotta la possibilità per il giudice di condannare alle spese la parte (quandʼanche vittoriosa) che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta conciliativa qualora questa risulti uguale o superiore a quanto riconosciuto in sentenza. Si tratta dunque di una deroga al principio della soccombenza. Tale principio è stato di recente applicato dal Tribunale di Verona con la sentenza del 28 febbraio 2014 con la quale, appunto, in deroga al principio di soccombenza (secondo cui “chi perde paga”), si è ricordato che ora il giudice ha la possibilità di condannare la parte vincitrice al pagamento delle spese sostenute dalla parte soccombente per la fase del giudizio successiva alla proposta conciliativa stessa, ma sempre e solo due condizioni: 1) che la sentenza riconosca alla parte vincitrice proprio quanto era stato a questʼultima offerto, in via transattiva, nel corso della causa, dalla parte soccombente. 2) che il giudice ritenga che il rifiuto della proposta transattiva sia stato ingiustificato. La riformulazione dellʼart. 91 c.p.c. rappresenta sicuramente una novità rilevante allʼinterno del nostro ordinamento, poiché, accanto alle spese di soccombenza fanno il loro esordio nel giudizio civile le “spese di vittoria” che saranno a carico della parte che, pur avendo vinto la causa, ha rifiutato nel corso della stessa un ragionevole accordo con gli avversari. Il fine della proposta è di incentivare la conciliazione, evitando che si celebrino interi processi per avere ciò che si sarebbe potuto ottenere con un accordo, senza dispendio di risorse pubbliche. Il meccanismo ha dimostrato di avere una valida funzione deflattiva in altri ordinamenti che già lo adottano, primo fra tutti quello inglese, ma lʼapplicazione in Italia deve fare i conti con il contesto nel quale si inserisce. La lentezza del sistema giudiziario italiano pone la parte che ha ragione in una situazione di debolezza cronica, in quanto, sebbene riesca ad ottenere una sentenza favorevole, in tempi dʼattesa penalizzano eccessivamente il risultato. E i meccanismi conciliativi potrebbero costituire un incentivo ad accettare accordi anche ingiusti, nel timore che le lungaggini processuali ren- dano vane le aspettative di una risoluzione favorevole della controversia. Sentenza 28 febbraio 2014 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Tribunale di Verona Sezione III Civile Il Tribunale, in persona del Giudice Unico Massimo Vaccari ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di I Grado iscritta al N. 4729/2012 R.G. promossa da: Z.M. (C.F. omissis) in proprio elettivamente domiciliato presso il proprio studio sito in via Trento 26 Pescantina (Vr) ATTORE contro G.F., (C.F. omissis) rappresentato e difeso dallʼavv. ZERPELLONI MELANIA ed elettivamente domiciliato presso lo studio di questa sito in VIA SCUOLE 114 CASELLE DI SOMMACAMPAGNA (VR); CONVENUTO CONCLUSIONI PARTE ATTRICE Come da atto di citazione e successiva precisazione come da prima memoria istruttoria PARTE CONVENUTA Come da comparsa di costituzione e risposta ed in via istruttoria come da propria memoria ex art. 183 comma VI c.p.c. nn. 2 e 3 e come da verbale del 24 gennaio 2013. MOTIVI DELLA DECISIONE Lʼavv. M.Z. ha convenuto in giudizio davanti a questo Tribunale G.F. per sentirlo condannare al pagamento in proprio favore della somma di euro 8.077,71 a titolo di compenso per lʼattività difensiva che ha assunto di aver svolto in favore del convenuto nellʼambito di un procedimento disciplinare che era stato promosso nei confronti dello stesso dal consiglio dellʼordine degli avvocati di Verona nel 2003 e che si era concluso con lʼirrogazione al G. della sanzione disciplinare dellʼammonimento. Il convenuto, nel costituirsi tempestivamente in giudizio, ha resistito alla domanda di controparte assumendo, in primo luogo, di nulla dovere alla stessa poiché lʼattore si era offerto di assumere la sua difesa nel sopra citato procedimento ad un prezzo simbolico che aveva quantificato in euro 500,00 che aveva poi prontamente corrisposto a mezzo assegno datato 30.12.2003. Il convenuto ha anche aggiunto che, anche allʼesito del procedimento, aveva chiesto allʼavv. Z. di quantificar- Tribuna Finanziaria - n. 3 GIUSTIZIA DI PACE Spese di causa dovute in caso di rifiuto della proposta conciliativa anche se il giudizio è vinto Processo di Pace TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 49 49 GIUSTIZIA DI PACE Processo di Pace TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 50 50 gli le sue competenze ma egli aveva risposto di ritenersi soddisfatto con il pagamento della somma di euro 500,00, sebbene poco prima del termine della vertenza gli avesse consegnato una parcella per complessivi euro 2.468,78 dicendo di conservarla solo pro-forma e che egli lʼavrebbe tenuta solo quale pro-memoria al fine di attribuire un valore alla pratica. Il G. ha anche dedotto che la prima richiesta di pagamento dellʼimporto oggetto della domanda giudiziale gli era prevenuta da parte dellʼattore in data 2 aprile 2012 e, in relazione a tale circostanza, ha eccepito la prescrizione “anche presuntiva” del credito di controparte. Infine ha dedotto che in ogni caso la quantificazione del compenso spettante allʼattore da questi effettuata era eccessiva e sproporzionata, dal momento che non teneva conto che egli stesso aveva fornito un concreto apporto alla predisposizione della propria difesa e che ad essa che aveva partecipato un altro difensore, lʼavv. S. La causa è giunta a decisione senza lo svolgimento di attività istruttoria a seguito del rigetto, da parte dio questo Giudice, delle istanze istruttorie delle parti. Quanto allʼeccezione di prescrizione sollevata tempestivamente dal convenuto essa va decisamente disattesa, stante la palese contraddittorietà delle argomentazioni svolte a sostegno di essa dal convenuto. Occorre infatti, innanzitutto, evidenziare come il G. abbia svolto cumulativamente sia una eccezione di prescrizione estintiva che una eccezione di prescrizione presuntiva ma una simile scelta non è consentita, data la incompatibilità tra i due istituti che sono stati invocati. La Corte di Cassazione sul punto ha infatti avuto modo di chiarire che: “i due tipi di prescrizione, secondo la giurisprudenza e la prevalente dottrina, si distinguono profondamente fra di loro in quanto quella presuntiva non determina lʼestinzione della obbligazione ma stabilisce una presunzione iuris tantum, ovvero mista, di avvenuto pagamento del debito, di tal che colui che la oppone, si espone al rigetto della stessa non solo se ammette di non aver estinto lʼobbligazione ma anche se contesta lʼinsorgenza di essa, mentre quella ordinaria si basa sul mero decorso del tempo che estingue il debito, non limitandosi a presumerne il pagamento, così che il debitore può giovarsene, liberandosi dalla pretesa, sia che contesti lʼesistenza del credito sia che ammetta di non aver adempiuto lʼobbligazione” (Cass., sez. II, 21 febbraio 2005 n. 3443). La difesa del convenuto è stata però intrinsecamente contraddittoria anche sotto un ulteriore e distinto profilo, ossia laddove ha sostenuto che il credito di controparte era inferiore a quello azionato dalla stessa nel presente giudizio e che esso è stato integralmente soddisfatto. Sul punto soccorre infatti lʼulteriore principio della Suprema corte secondo il quale “lʼeccezione di prescrizione presuntiva ex art. 2956 c.c. implica il riconoscimento dellʼesistenza del credito nella misura rivendicata dal creditore. Stante quanto detto, essa non può essere fatta valere dal debitore che sostenga di aver estinto lʼobbligazione mediante il pagamento di una somma minore di quella domandata, poiché, in siffatta maniera, egli nega parzialmente lʼoriginaria esistenza del credito. (Cass. civ. Sez. III, 15/05/2012, n. 7527). Venendo al merito, deve evidenziarsi che lʼallegazione del G. secondo cui egli aveva convenuto con lʼattore un compenso di importo limitato, pari ad euro 500,00, è risultata indimostrata, atteso che il convenuto non ha formulato istanze istruttorie oragli dirette a confermarla. Né dʼaltro canto la conclusione di un accordo con un tale contenuto potrebbe desumersi dalla circostanza, incontestata, che il convenuto ha corrisposto allʼattore la somma di euro 500,00, poiché tale pagamento, in difetto di elementi di segno contrario, va inteso come mero acconto. Non può peraltro sottacersi che lʼassunto attoreo, oltre che indimostrato, risulta anche incompatibile con la circostanza, riferita dallo stesso G. in comparsa di costituzione e risposta, che lʼavv. Z., in epoca precisata ma precedente alla conclusione del procedimento disciplinare, gli consegnò un avviso di parcella (doc. 3 di parte convenuta), atteso che la spiegazione che di una simile condotta ha tentato di fornire la difesa del convenuto è del tutto inappagante. Poiché lʼeffettivo svolgimento delle attività descritte nel progetto di parcella prodotto sub 7 dallʼattore, a migliore illustrazione delle modalità con cui ha quantificato il proprio credito, non è stata contestata ma anzi è stata espressamente riconosciuta dal convenuto, ed è comunque in larga parte evincibile anche dallʼiter del procedimento disciplinare (la considerazione vale per la preparazione e partecipazione alle udienze dibattimentali tenutesi davanti al consiglio dellʼordine), come riportato nella decisione adottata dal consiglio dellʼordine degli avvocati allʼesito di esso (doc. 5 di parte attrice), si tratta di determinare la somma spettante allʼattore a titolo di compenso. Eʼ bene chiarire che ai fini di tale determinazione non può farsi riferimento, secondo quanto proposto dal convenuto, al progetto di parcella che venne consegnato al medesimo nel 2003 poiché esso è stato redatto in base alla tariffa in vigore in quel periodo, mentre la prestazione dellʼattore è proseguita fino al momento della conclusione del procedimento disciplinare, corrispondente alla adozione della decisione del 13 settembre 2004, e quindi fino ad un momento successivo a quello di entrata in vigore della nuova tariffa (d.M. 8 aprile 2004 n. 127), con la conseguenza che è questʼultima che deve trovare applicazione ai predetti fini. Sul punto occorre infatti rammentare il consolidato principio della Suprema Corte secondo il quale in caso di successione tra tariffe, “per stabilire in base a quale di essa deve essere liquidato il compenso occorre tenere conto della natura dellʼattività professionale e, se per la complessa portata dellʼopera il compenso deve essere liquidato con criterio unitario la tariffa applicabile è quella che vige alla data della liquidazione anche se lʼesplicazione dellʼattività ha avuto inizio quando era vigente altra tariffa”. (cfr. ex plurimis Cass. Sez. Unite 17405 e 17406 del 2012). Per la quantificazione delle somma spettante a titolo di onorari è stata corretta la scelta dellʼattore di far riferimento alle voci previste dalla tariffa sopra citata per le cause davanti al Tribunale e quella di considerare il contenzioso in cui egli ha prestato la propria opera di valore indeterminabile. Gli importi da riconoscersi per le singole voci come precisate nel progetto di parcella Tribuna Finanziaria - n. 3 16526/05) così come di quello che, parimenti, giustifica la compensazione delle spese la circostanza che parte attrice sia rimasta vittoriosa in misura più o meno significativamente inferiore rispetto allʼentità del bene che voleva conseguire (Cass. n. 4690/04)” (così da ultimo Cass. 10 dicembre 2012 n. 22388). Detto principio peraltro ben può essere combinato con il meccanismo di liquidazione di cui allʼart. 91, comma 1, seconda parte, che consente di condannare la parte che abbia rifiutato senza giustificato motivo la proposta conciliativa al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della stessa. Infatti tale norma fa espressamente salvo quando disposto dallʼart. 92, secondo comma c.p.c., e quindi alla possibilità di una compensazione parziale delle spese che ad avviso di questo Giudice può anche essere limitata a quelle di solo una delle fase processuali in cui può concretamente articolarsi il giudizio e che possono essere individuate sulla base di quelle definite, proprio ai fini della determinazione del compenso, dal d.m. 140/2012 (fase di studio, introduttiva, istruttoria e decisoria). Orbene la condanna dellʼattore alla rifusione in favore del convenuto delle spese di lite maturate dopo la formulazione della proposta conciliativa, relative allʼultima parte della fase istruttoria, consistente nel caso di specie nella redazione della memoria ai sensi dellʼart. 183, comma 6 n. 3 c.p.c. e alla fase decisoria, discende dalla considerazione che il suo rifiuto della predetta proposta conciliativa fu ingiustificato poiché fondato su considerazioni che implicavano la vittoria pressoché integrale della causa e quindi senza dimostrare la benché minima disponibilità a recedere da qualcuno dei propri assunti, sebbene, come si è detto, non tutte le difese del convenute fossero peregrine, tanto che ad alcune egli non aveva nemmeno replicato. Tale atteggiamento non era giustificato nemmeno dalla prospettiva di ottenere una condanna della controparte ai sensi dellʼart. 89 secondo comma c.p.c. per la quale aveva avanzata apposita istanza nelle memoria ai sensi dellʼart. 183 comma 6 n. 1 c.p.c. poiché, a prescindere da ogni considerazione, le espressioni di cui si è doluto lʼattore riguardano comunque lʼoggetto della causa, con la conseguenza che non danno luogo a risarcimento ai sensi dellʼart. 89, comma 2, ultima parte, c.p.c. La prosecuzione del giudizio è quindi direttamente riconducibile al rifiuto della predetta proposta conciliativa opposto dallʼattore. Il compenso per le predette attività può essere quantificato nel valore medio di liquidazione previsto dal d.m. 140/2012 per la fase decisoria e per la fase istruttoria riducendo questʼultimo di quattro quinti, tenuto conto che essa è consistita nella sola redazione della memoria ai sensi dellʼart. 183, comma 6 n. 3 c.p.c. Può essere accolta la domanda di cancellazione della parola “delirio”, contenuta nella comparsa di costituzione e risposta, che è stata avanzata dallʼattore in quanto tale vocabolo è denigratorio degli argomenti utilizzati dallʼattore, seppur pertinente allʼoggetto del giudizio. P.Q.M. Il Giudice unico del Tribunale di Verona, definitivamente pronunciando, ogni diversa ragione ed eccezione disat- Tribuna Finanziaria - n. 3 GIUSTIZIA DI PACE vanno però individuati nei valori minimi e non già nei valori massimi come richiesto dallʼattore, tenuto conto del fatto che pacificamente anche il G. collaborò alla predisposizione della propria difesa, ed in particolare al reperimento di documentazione e alla individuazione degli argomenti difensivi, e che, a partire dallʼaprile 2004, lʼavv. Z. fu affiancato da un altro difensore, lʼavv. G.S. (la circostanza si evince dalla narrativa del già citato provvedimento disciplinare). Tale scelta è giustificata anche dal criterio, evincibile dal combinato disposto dei commi 1 e 3 dellʼart. 5 della tariffa forense del 2004, che consente di tener conto, ai fini di una maggiore quantificazione degli onorari, se lʼattività difensiva si sia svolta davanti ad un giudice anziché davanti ad altro organo. Allʼattore può pertanto riconoscersi un importo complessivo a titolo di onorari di euro 900,00 risultante dalla sommatoria degli importi per le singole voci indicate nel progetto di parcella prodotta contenuti nei minimi, ad eccezione di quello richiesto per la predisposizione e redazione dellʼistanza di archiviazione per il quale nel documento si è fatto riferimento alla voce 21 della tabella A della tariffa (opera prestata per la conciliazione) che presuppone che la conciliazione si verifichi effettivamente mentre tale evenienza non si è verificata nel caso di specie. La voce da applicarsi è invece quella sub 18 (memorie depositate fino allʼudienza di precisazione delle conclusioni). Contrariamente a quanto sostenuto dallʼattore poi, non può influire su tale valutazione lʼesito del procedimento disciplinare atteso che esso si è concluso con lʼirrogazione di una sanzione al G. Le medesime considerazioni ora esposte valgono ai fini della determinazione della somma spettante allʼattore a titolo di diritti, con la precisazione che gli importi minimi che competono vanno calcolati facendo riferimento alla prima parte della Tabella B della d.m. 127/2004. La somma risultante dallʼapplicazione di tali criteri è quella di euro 463,00. Lʼimporto complessivamente spettante allʼattore ammonta pertanto ad euro 1.363,00 oltre accessori dal quale va detratto lʼacconto di euro 500,00 corrisposto dal convenuto. Sullʼimporto residuo a titolo di imponibile, pari ad euro 863,00 spettano anche gli interessi di mora dalla data di notifica dellʼatto di citazione a quella del saldo effettivo. Quanto alla determinazione delle spese di lite la significativa riduzione(in misura pari al 90 %) dellʼimporto richiesto dallʼattore giustifica la integrale compensazione delle spese sostenute dalle parti fino al momento in cui il convenuto, tramite il proprio difensore, con la memoria ai sensi dellʼart. 183 comma 6 n. 2 c.p.c. ha formulato una proposta transattiva della lite che prevedeva il pagamento in favore dellʼattore della somma di cui al primo progetto di parcella e che lʼattore ha rifiutato sulla base delle considerazioni esposte nella memoria ai sensi dellʼart. 183 comma 6 n. 3 c.p.c. Tale conclusione trova conforto nel consolidato orientamento della Suprema Corte secondo il quale: “la riduzione anche sensibile della somma richiesta con la domanda, pur non integrando gli estremi della soccombenza reciproca, ugualmente può giustificare la compensazione totale o parziale delle spese” (Cass. n. Processo di Pace TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 51 51 Processo di Pace TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 52 tesa e respinta, in parziale accoglimento della domanda di parte attrice condanna il convenuto a corrispondere allʼattore la somma di euro 863,00 oltre accessori sullʼimponibile originario di euro 1.363,00 e interessi al tasso legale sulla somma di euro 863,00 dalla data di notificazione dellʼatto di citazione a quella del saldo effettivo; compensa tra le parti le spese del giudizio maturate fino al momento del deposito della memoria ai sensi dellʼart. 183, comma 6 n. 2 c.p.c. e condanna lʼattore a rifondere al convenuto le spese da questi sostenute successivamente al predetto momento che liquida nella somma di euro 840,00 oltre accessori. ordina la cancellazione, mediante annotazione da apporsi a cura della cancelleria sullʼoriginale dellʼatto, del termine “delirio” presente a pag. 11 rigo 6 della comparsa di costituzione e risposta. Il Gdp di Venezia stop autovelox. La segnaletica dev'essere visibile per tutti sinistra e destra Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti” segnala ancora un'importante decisione in materia di multe elevate con autovelox, anch'essa destinata a far discutere. Il Giudice di pace di Venezia, Nadia Santambrogio ha ritenuto non valido il verbale contestato con autovelox su una strada a più corsie poiché il cartello con il limite di velocità si trova soltanto a destra e non anche a sinistra della carreggiata. Non vi è dubbio, infatti, che il segnale debba essere visibile anche per coloro che percorrono le corsie interne in virtù dellʼarticolo 104 Dpr 495/92. Peraltro, la presenza di lavori stradali non esonera lʼamministrazione dallʼindicare la velocità consentita sul tracciato, anzi aumenta le esigenze di tutela dei veicoli in circolazione. Con la sentenza 892/14 è stato, infatti, accolto il ricorso di un automobilista per un verbale rilevato sul ponte della Libertà del capoluogo veneto. Il magistrato onorario, nel caso di specie ha rilevato che risulta violato lʼarticolo 104, comma 3, del Dpr 495/92 secondo cui quando le strade hanno due o più corsie per senso di marcia il segnale o il divieto posto a destra della carreggiata non è sufficiente: bisogna adattarsi alle condi- zioni locali, ripetendo la segnalazione a sinistra oppure posizionare i cartelli che pongono obblighi o divieti al di sopra della carreggiata. Ciò per consentire anche agli automobilisti che percorrono le corsie interne di avere contezza della disciplina della circolazione stradale in quel determinato tracciato. Sono le fotografie prodotte in giudizio dal ricorrente ad inchiodare l'ente accertatore: la strada in questione risulta inequivocabilmente essere composta da più di due corsie e non vi è alcun segnale con il limite di velocità sulla sinistra (o al di sopra della carreggiata). A nulla vale la doglianza della PA secondo cui sul tratto di strada interessato sia in corso un cantiere stradale nel momento in cui il veicolo del trasgressore sfreccia a 67 chilometri orari mentre il limite è fissato a 40. Per il giudice la presenza di lavori in corso sul tracciato, infatti, rende ancor più contingenti le esigenze di sicurezza e, dunque, anche l'obbligo dellʼamministrazione di far conoscere allʼutente della strada le prescrizioni da rispettare. (notizia segnalata da Giovanni D'agata Fonte: www.infooggi.it) GIUSTIZIA DI PACE Nullo il verbale con l'autovelox se la pattuglia della polizia aveva i lampeggianti spenti 52 Ancora una decisione che bacchetta quegli enti, in particolare i comuni, che non segnalano le postazioni per il rilevamento elettronico delle infrazioni come quelle a mezzo autovelox e simili. Per il giudice di pace di Gallarate il verbale elevato a seguito di rilevazione con autovelox devʼessere annullato quando si scopre che la postazione per il rilevamento elettronico non è visibile o segnalata con congruo anticipo ai veicoli in transito: come quando lʼauto della pattuglia della polizia ha i lampeggianti spenti. Con la sentenza 101/14 del giudice di Pace del comune del varesotto, è stato accolto il ricorso di un presunto trasgressore e quindi annullato il verbale elevato dalla Municipale per violazione dellʼarticolo 142, comma 8 del Codice della Strada per aver superato il limite massimo di velocità per soli undici chilometri orari. Il magistrato onorario Laura Sardini ha infatti, rilevato che lʼaccertamento non è stato effettuato ottemperando alla normativa che regola lʼaccertamento delle violazioni al codice della strada eseguito con apparecchiature che dispensano gli agenti dalla contestazione immediata di cui allʼarticolo 201, comma 1 bis, Cds: in particolare, il Decreto Ministeriale del 15 agosto 2007, della circolare del 3 agosto 2007 del Ministero dellʼInterno e della arcinota diret- tiva Maroni che è intervenuta a regolamentare la materia. Nella fattispecie, peraltro, lʼapparecchiatura elettronica è posta su di unʼauto che sembra a tutti gli effetti civile, perché ha solo delle scritte calamitate “Polizia Locale”, mentre la vera pattuglia della Municipale è parcheggiata soltanto indietro allʼaltra vettura, con i lampeggianti spenti, e non risulta ben visibile ai veicoli che circolano sulla via. Una prassi evidentemente illegittima, che ricorda Giovanni D'Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, è spesso utilizzata da molti comuni per effettuare multe seriali. Peraltro, lʼagente accertatore ascoltato come testimone conferma, anche se indirettamente, una serie di circostanze favorevoli al conducente multato, ad esempio il fatto che il segnale di rilevamento automatico della velocità che si trova a soli 150 metri dalla postazione, dunque ben al di sotto dai minimi di legge. È certo che se il cartello si fosse trovato alla distanza minima di 400 metri lʼauto sanzionata avrebbe potuto rallentare e la multa non applicata. È, infatti, lo stesso articolo 142 del Codice a imporre che lo strumento di rilevazione deve essere distinguibile da lontano. Tribuna Finanziaria - n. 3 (notizia segnalata da Giovanni D'agata Fonte: www.infooggi.it) Commento a cura dell’avv. Annamaria Gallo Il Codice della strada, allʼarticolo 128 comma 1, stabilisce che possa essere disposta, in caso di grave incidente, la revisione della patente qualora sorgano dubbi sulla persistenza, in capo ad un conducente, dei requisiti fisici e psichici o sullʼidoneità tecnica. Ma nellʼipotesi di un incidente causato da una semplice distrazione, è giusto sottoporre il guidatore alla revisione della patente? Eʼ il caso di una automobilista ligure, colpevole di aver provocato un incidente stradale a causa di una momentanea distrazione per impostare il navigatore di bordo che le aveva fatto perdere il controllo del mezzo. Lʼautomobilista ha fatto pertanto ricorso avverso il provvedimento adottato dalla Motorizzazione Civile - che nella specie aveva ordinato alla guidatrice di sottoporsi a revisione ritenendo che il comportamento di guida facesse appunto sorgere dubbi sulla persistenza dei requisiti psicofisici e di idoneità tecnica prescritti per il possesso della patente di guida - ed i Giudici le hanno dato ragione. Con la sentenza 24 gennaio 2014 n. 144 il TAR della Liguria ha, infatti, stabilito che - al contrario di una condotta di guida gravemente imprudente, ovvero di una clamorosa violazione delle regole di circolazione stradale - una distrazione momentanea e occasionale non costituisce di per sé, a prescindere dalle conseguenze, inequivoco elemento rilevatore di perdita dellʼidoneità tecnica alla guida, in difetto di precedenti analoghi o di altri elementi di giudizio che valgano a rendere conto della prognosi sottesa allʼadozione del provvedimento. Il provvedimento con cui la Motorizzazione Civile, in seguito alla comunicazione degli organi accertatori che hanno rilevato un sinistro stradale, dispone la revisione della patente, deve contenere una valutazione dei fatti nel loro complesso, una adeguata motivazione circa la gravità della condotta tenuta dallʼinteressato e, infine, specifiche considerazioni in base alle quali si è formato il dubbio in ordine alla perizia e alla capacità del conducente. Ha osservato la sentenza in commento che nella specie, le circostanze in cui si è svolto lʼincidente e le ragioni che lo hanno provocato potrebbero risultare astrattamente atte a sorreggere un giudizio probabilistico negativo circa il venir meno dei requisiti di idoneità, ma non rendono inevitabile una siffatta conclusione che, pertanto, deve scaturire da adeguata motivazione, certo non rinvenibile nella formula stereotipata del provvedimento impugnato. Il TAR ha pertanto annullato il provvedimento della Motorizzazione in quanto illegittimo, accogliendo il ricorso dellʼautomobilista. T.A.R. Liguria - Genova Sezione II Sentenza n. 144 del 24 gennaio 2014 (Presidente Caruso – Estensore Goso) Fatto Con ricorso giurisdizionale ritualmente notificato il 4 marzo 2013 e depositato il successivo 6 marzo, lʼesponente impugna il provvedimento di revisione della patente di guida, mediante nuovo esame di idoneità, adottato dallʼUfficio della motorizzazione civile di Savona in data 13 dicembre 2012 e successivamente notificato allʼinteressata. Tale provvedimento richiama la comunicazione della polizia stradale di Imperia in data 24 ottobre 2012, dalla quale risulta che la ricorrente era rimasta coinvolta in un sinistro verificatosi il precedente 14 agosto: mentre percorreva un tratto rettilineo dellʼautostrada A10, essa aveva perso il controllo della propria autovettura e urtato violentemente i guard-rail posti su entrambi i lati della carreggiata. Nel rapporto della polizia stradale, si dà atto che lʼincidente, nel quale non risultavano coinvolte altre autovetture, era stato conseguenza di una distrazione provocata dalle manovre attuate per impostare il navigatore di bordo. Il provvedimento impugnato reca la seguente motivazione: “Considerato che il suddetto comportamento di guida fa sorgere dubbi sulla persistenza nella S.V. dei requisiti psicofisici e di idoneità tecnica prescritti per il possesso della patente di guida”. La ricorrente denuncia i vizi di incompetenza territoriale, di eccesso di potere per erronea valutazione dei fatti e di insufficienza della motivazione. Si è costituita in giudizio lʼAvvocatura distrettuale dello Stato di Genova, in rappresentanza dellʼintimato Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, contrastando nel merito la fondatezza del ricorso e opponendosi al suo accoglimento. Con ordinanza n. 148 del 11 aprile 2013, è stata accolta lʼistanza cautelare proposta in via incidentale dalla ricorrente e fissata lʼudienza per la discussione di merito. Le parti costituite hanno depositato memorie difensive e, nel caso della ricorrente, anche una memoria di replica. Il ricorso, infine, è stato chiamato alla pubblica udienza del 11 dicembre 2013 e ritenuto in decisione. Diritto I presupposti di fatto dellʼavversato provvedimento di revisione della patente di guida sono sostanzialmente incontestati. Come riferito in premessa, lʼufficio periferico della moto- Tribuna Finanziaria - n. 3 GIUSTIZIA DI PACE Perde il controllo perché distratto dal navigatore: niente revisione della patente Processo di Pace TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 53 53 GIUSTIZIA DI PACE Processo di Pace TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 54 54 rizzazione civile si è determinato ad adottare tale misura in conseguenza di un incidente stradale provocato alcuni mesi prima dalla ricorrente la quale, mentre conduceva la propria autovettura lungo un tratto rettilineo di autostrada, aveva perso il controllo del mezzo, urtando contro i guard-rail che delimitano la carreggiata. Non erano state coinvolte nel sinistro altre autovetture né erano stati provocati danni alle persone, ma solo alle cose. Eʼ altresì incontestata la causa dellʼincidente, provocato da una momentanea distrazione della conducente impegnata nellʼimpostazione del navigatore di bordo. Ciò premesso, si appalesano destituiti di giuridico fondamento i primi due motivi di ricorso, rispettivamente concernenti il vizio di incompetenza territoriale e lʼerronea valutazione dei presupposti fattuali del provvedimento impugnato. Con il primo di essi, lʼesponente sostiene che la competenza a disporre la revisione della patente di guida sarebbe radicata in capo allʼufficio periferico della motorizzazione civile nella cui circoscrizione è compreso il luogo di residenza del privato (Imperia), non essendo invece competente lʼufficio del luogo in cui si sono svolti i fatti (Savona). La censura è inammissibile per genericità, atteso che lʼesponente non individua la norma attributiva della competenza. La Sezione, comunque, ha recentemente affermato il principio secondo cui la competenza a disporre la revisione della patente spetta allʼufficio del luogo in cui si è verificato lʼincidente dal quale deriva il provvedimento impugnato (cfr. sentenza n. 334 del 28 febbraio 2012). Parimenti inconsistente è la censura dedotta con il secondo motivo, poiché la mancanza di precedenti decurtazioni di punti dalla patente di guida dellʼinteressata e la tenuità della sanzione pecuniaria irrogata nei suoi confronti non dimostrano, di per sé, lʼinsussistenza dei presupposti dellʼatto. Eʼ pacifico, infatti, che la revisione ex art. 128 C.d.s. costituisce un provvedimento ampiamente discrezionale che può essere adottato qualora sorgano dubbi sulla persistenza dei requisiti soggettivi di idoneità alla guida. Tale provvedimento ha finalità prettamente cautelare e, nel caso in cui consegua (come di norma) ad un sinistro stradale, non presuppone neppure lʼintervenuta definizione dei procedimenti di irrogazione delle sanzioni, essendo sufficiente che la dinamica dellʼepisodio faccia sorgere seri dubbi in ordine alla persistenza dei requisiti di idoneità alla guida. Né lʼesercizio del potere in questione può ritenersi condizionato, ovviamente, allʼeventualità che il sinistro stradale abbia cagionato danni alle persone. Rimane da scrutinare la censura, dedotta con il terzo e ultimo motivo di ricorso, inerente al difetto di motivazione del provvedimento impugnato. Occorre premettere che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, il provvedimento con cui la motorizzazione civile, in seguito alla comunicazione degli organi accertatori che hanno rilevato un sinistro stradale, dispone la revisione della patente, deve contenere una valutazione dei fatti nel loro complesso, una adeguata motivazione circa la gravità della condotta tenuta dallʼinteressato e, infine, specifiche considerazioni in base alle quali si è formato il dubbio in ordine alla perizia e alla capacità del conducente (cfr., fra le ultime, T.A.R. Toscana, sez. II, 19 ottobre 2012, n. 1658 e T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 9 marzo 2011, n. 457). Nel caso in esame, è richiamata ob relationem, quale presupposto legittimante lʼimpugnato provvedimento, la comunicazione della polizia stradale di Imperia del 24 agosto 2012, nel quale la proposta di revisione della patente di guida si fonda sulla ricostruzione della dinamica del sinistro (cagionato, si ribadisce, da momentanea distrazione), sul potenziale pericolo creato alla circolazione stradale e sui danni provocati al veicolo della conducente e alle pertinenze stradali (guard-rail). La motivazione dellʼatto si esaurisce nel richiamo di tale comunicazione e nella mera riproduzione della formula legislativa che delinea i presupposti per la revisione della patente di guida (“il suddetto comportamento di guida fa sorgere dubbi sulla persistenza nella S.V. dei requisiti psicofisici e di idoneità tecnica prescritti per il possesso della patente di guida”). Tali elementi sono insufficienti ad ottemperare lʼonere motivazionale posto a carico dellʼAmministrazione procedente. La revisione della patente di guida ex art. 128 C.d.s. comporta verifiche, talora impegnative, circa lʼidoneità alla guida dellʼinteressato e incide notevolmente sulle abitudini di vita del destinatario dellʼatto, particolarmente di coloro che, come lʼodierna ricorrente, hanno necessità di utilizzare lʼautoveicolo per raggiungere il luogo di lavoro. Ne deriva che i dubbi sottesi allʼadozione del provvedimento devono essere seri e collegati ad elementi che, anche secondo i dati di esperienza, possano essere ritenuti ragionevole espressione delle capacità di guida del soggetto. Al contrario di una condotta di guida gravemente imprudente, ovvero di una clamorosa violazione delle regole di circolazione stradale, una distrazione momentanea e occasionale non costituisce di per sé, a prescindere dalle conseguenze, inequivoco elemento rilevatore di perdita dellʼidoneità tecnica alla guida, in difetto di precedenti analoghi o di altri elementi di giudizio che valgano a rendere conto della prognosi sottesa allʼadozione del provvedimento. In definitiva, le circostanze in cui si è svolto lʼincidente e le ragioni che lo hanno provocato potrebbero risultare astrattamente atte a sorreggere un giudizio probabilistico negativo circa il venir meno dei requisiti di idoneità, ma non rendono inevitabile una siffatta conclusione che, pertanto, deve scaturire da adeguata motivazione, certo non rinvenibile nella formula stereotipata del provvedimento impugnato. Sulla base di tali precisazioni, appare fondata la censura concernente il difetto di motivazione del provvedimento impugnato che, pertanto, si appalesa meritevole di annullamento. Sussistono i presupposti per lʼintegrale compensazione delle spese di lite fra le parti costituite. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per lʼeffetto, annulla il provvedimento impugnato. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dallʼautorità amministrativa. Tribuna Finanziaria - n. 3 Commento a cura dell’avv. Annamaria Gallo Con la sentenza del 29 luglio 2013 n. 18224 la Suprema Corte ha esaminato alcuni significativi aspetti riguardo al procedimento di sfratto per morosità in relazione al comportamento sanante del conduttore. Secondo quanto stabilito dagli Ermellini la sanatoria della morosità prevista dallʼarticolo 55 della legge 27 luglio 1 978 n. 392 (la così detta legge sullʼequo canone) è subordinata allʼavvenuto pagamento dei canoni oltre che degli interessi e delle spese. Il legislatore ha dunque previsto un meccanismo che consente di salvaguardare il rapporto contrattuale arrivato nelle aule di giustizia. Secondo quanto previsto dal citato art. 55 il conduttore, alla prima udienza della procedura di sfratto, può pagare tutto quanto è dovuto (canoni, oneri accessori, interessi e spese liquidate dal giudice) oppure, se dimostra le difficoltà economiche può chiedere un differimento fino a 90 giorni per adempiere. Pagando subito o entro il così detto termine di grazia, il conduttore evita la risoluzione del contratto e quindi lo sfratto. Qualora il conduttore pagasse solamente una parte del dovuto la norma non trova applicazione ed il giudice come nel caso esaminato in sentenza - deve proseguire pronunciandosi sullo scioglimento del contratto ed il rilascio dellʼimmobile. Eʼ bene precisare peraltro che il particolare sistema di tutela previsto dallʼart. 55 L. 392/78 si applica solo ai conduttori di immobili adibiti ad uso abitazione contro i quali non può appunto pronunciarsi la risoluzione del contratto per morosità allorché gli stessi provvedano a sanare lʼimporto dovuto. Questo sistema mira cioè a tutelare i soggetti che assumono in locazione un immobile per adibirlo al soddisfacimento di primarie esigenze di vita, e, proprio per tali limiti, non è estensibile ad altre categorie di soggetti, quali i conduttori di locazioni ad uso produttivo e commerciale. Sentenza del 29 luglio 2013 n. 18224 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FINOCCHIARO Mario - Presidente Dott. VIVALDI Roberta - Consigliere Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Consigliere - Dott. ARMANO Uliana - rel. Consigliere Dott. SCRIMA Antonietta - Consigliere – ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso 16027/2007 proposto da: L.A. N. (OMISSIS), domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dallʼavvocato MOSER FRANCESCO con studio in 38100 TRENTO, VIA CANESTRINI 2 giusta delega in atti; - ricorrente – contro L.N.; - intimata – avverso la sentenza n. 37/2007 della CORTE DʼAPPELLO di TRENTO, depositata il 18/04/2007, R.G.N. 299/2006; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/04/2013 dal Consigliere Dott. ULIANA ARMANO; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto. Svolgimento del processo Con atto di citazione del 13-5-2006 la locatrice L.N. ha intimato sfratto per morosità nel confronti della conduttrice L.A. deducendo che questʼultima era in mora nel pagamento dei canoni, pattuiti nella misura di Euro 155,00 a semestre, dal mese di gennaio 2002. Allʼudienza per la convalida si costituiva L.A. che offriva il pagamento della somma di Euro 1.400,00 in contanti, riservandosi di corrispondere le spese nella misura stabilita dal giudice; chiedeva, altresì, la concessione di un termine di grazia e, nel merito, deduceva di avere offerto più volte il pagamento di quanto dovuto alla locatrice che lo aveva rifiutato. Lʼintimante si opponeva alla concessione del termine di grazia ed il Tribunale di Trento, dopo il mutamento del rito, dichiarava la risoluzione per inadempimento del contratto di locazione e condannava L.A. al rilascio dellʼimmobile e al pagamento degli interessi legali sui canoni scaduti nonché al pagamento delle spese processuali. La Corte di Appello di Trento con sentenza del 18-42007 ha confermato la decisione di primo grado. Propone ricorso L.A. con tre motivi. Non presenta difese lʼintimata. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia violazio- Tribuna Finanziaria - n. 3 GIUSTIZIA DI PACE Locazioni: Cassazione, morosità non è sanata se non si pagano tutti i canoni con interessi e spese Processo di Pace TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 55 55 GIUSTIZIA DI PACE Processo di Pace TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 56 56 ne e falsa applicazione della L. n. 392 del 1978, artt. 5 e 55, nonché degli artt. 1282, 1455 e 1587 c.c., in relazione agli artt. 99, 112 e 1587 c.c.. Assume la ricorrente di aver sanato la morosità alla prima udienza e che lʼassenza della domanda da parte della locatrice di pagamento degli interessi legali sullʼimporto dei canoni non pagati aveva comportato lʼincertezza sulla data di decorrenza degli stessi e pertanto lʼobbligo per il giudice di determinarne la misura. 2. Con il secondo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1374, 1375, 1455 e 1587 c.c., anche in relazione alla L. n. 392 del 1978, artt. 5 e 55. Sostiene la ricorrente che una oggettiva situazione di dubbio sulla esatta quantificazione degli interessi esclude il grave inadempimento del conduttore. 3. I due motivi si esaminano congiuntamente per la stretta connessione logico giuridica che li lega e sono infondati. La Corte di appello ha affermato che, ai sensi della L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 55, la sanatoria della mora, che impedisce la prosecuzione del giudizio richiede che il conduttore provveda banco iudicis al pagamento di tutti i canoni scaduti e degli oneri accessori maturati sino a tale data, “maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede dal giudice”. Come si evince dalla formulazione della norma, il giudice in sede di giudizio di convalida dello sfratto per morosità provvede alla liquidazione solo ed esclusivamente delle spese processuali, come si evince dallʼuso del termine “liquidate” che non può che riferirsi alle spese e non anche agli interessi legali, il cui calcolo è automatico e prescinde da qualsiasi discrezionalità. Ne discende che nella specie, al fine di ottenere la purgazione della mora, lʼintimata avrebbe dovuto offrire alla prima udienza, un importo pari ai canoni scaduti, agli oneri accessori e agli interessi legali, il cui calcolo era suo onere, non certo del giudice. Lʼappellante ha invece versato nelle mani dellʼintimante la somma di Euro 1.400,00, pari al solo ammontare del capitale (Euro 1395,00), non sufficiente, quindi, a coprire quanto ancora dovuto a titolo di interessi legali dalla scadenza delle singole rate di canone al saldo, e ciò a prescindere dalle spese processuali che il giudice avrebbe dovuto liquidare. Né poteva trovare accoglimento la richiesta di un seppure breve termine per completare il pagamento, atteso che lʼart. 55 anzidetto prevede la possibilità di concedere un termine di grazia per purgare la mora solo innanzi a comprovate condizioni di difficoltà del conduttore, nella specie neanche prospettate. 4. La decisione della Corte di merito è conforme al diritto. Infatti la L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 55, consente al conduttore di eliminare gli effetti dellʼinadempimento da morosità e di estinguere il diritto alla risoluzione del contratto già sorto a favore del locatore pagando quanto dovuto per canoni scaduti, oneri accessori, interessi e spese. Da tale disposizione risulta dunque che il comportamento sanante del conduttore è predeterminato dal legislatore e consiste nel pagamento di quanto dovuto sino alla data della prima udienza e che solo le spese del giudizio sono determinate dalla liquidazione del giudice. 5. Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte la sanatoria della morosità del conduttore prevista dalla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 55, è subordinata al pagamento integrale dei canoni, degli interessi e delle spese, senza che lʼinadempimento residuo sia suscettibile di nuova verifica sotto il profilo della gravità, Sentenza n. 920 del 16/01/2013. A norma della L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 55, il comportamento del conduttore sanante la morosità deve consistere nellʼestinzione di tutto quanto dovuto per canoni, oneri accessori, interessi e spese fino alla scadenza del termine di grazia, senza che lʼinadempimento residuo sia suscettibile di nuova verifica sotto il profilo della gravità Sez. 3, Sentenza n. 6636 del 24/03/2006. La sanatoria della morosità del conduttore prevista dalla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 55, è subordinata al pagamento integrale dei canoni, degli interessi e delle spese, senza che lʼinadempimento residuo sia suscettibile di nuova verifica sotto il profilo della gravità, Sentenza n. 13407 del 29/10/2001. La speciale sanatoria della morosità del conduttore prevista dalla L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 55, è subordinata al pagamento integrale oltre dei canoni scaduti, degli interessi legali e delle spese processuali liquidate dal giudice, per cui in caso di pagamento incompleto la morosità persiste e va escluso che lʼinadempimento residuo sia suscettibile di nuova verifica sotto il profilo della gravità, Sez. 3, Sentenza n. 1320 del 09/02/1998. 6. Nella specie è certo che la conduttrice ha omesso il pagamento dei canoni a partire dal gennaio 2002 e che alla prima udienza ha pagato banco iudicis solo lʼimporto dei canoni scaduti. La decorrenza degli interessi e altresì predeterminata dalla legge in quanto, accertato lʼinadempimento colpevole del conduttore, si applica dallʼart. 1219, comma 2, n. 3 che stabilisce che il debitore è in mora ex re - se la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore, Sez. 3, Sentenza n. 2853 del 11/02/2005. 7. Con il terzo motivo si denunzia vizio di motivazione per avere la Corte di merito omesso la motivazione sulla mancata richiesta degli interessi nellʼatto di intimazione, sulla data di decorrenza degli stessi, sulla circostanza che ai fini della convalida la domanda doveva cristallizzarsi alla domanda cristallizzata nellʼatto di intimazione. 8. Il motivo è inammissibile perché privo del momento di sintesi necessario in virtù della normativa applicabile alla data di pubblicazione della sentenza. Nulla per le spese stante lʼassenza dellʼintimata. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese. Tribuna Finanziaria - n. 3 L'anti-autovelox in auto: è vietato se è in grado di intercettare un rilevatore effettivamente in funzione Commento a cura dell’avv. Annamaria Gallo re visibili i controlli di velocità, lʼAntitrust (chiudendo unʼistruttoria) e la Polizia stradale (in una nota di chiarimento) hanno ritenuto che restino vietati solo i dispositivi che intercettano i rilevatori in funzione, mentre invece navigatori e simili sono consentiti. Anzi, lʼuso di dispositivi di questo genere è in un certo senso da incentivare, perché aiutano a raggiungere lo scopo dichiarato del Dl 117/07: rendere palesi i controlli, perché il legislatore ha ritenuto (più o meno a ragione) che ciò dia un effetto di prevenzione e deterrenza. La questione fondamentale è quindi quella di munirsi di dispositivi elettronici che non siano in grado di intercettare i segnali dei sistemi di controllo (laser, infrarossi, ecc.) ma svolgano solo la funzione di avvertimento nei confronti degli automobilisti circa la possibilità che in quel dato tratto di strada siano ubicate le postazioni di rilevamento della velocità (a prescindere dal fatto che siano effettivamente attive). Ordinanza 12 novembre 2013 - 18 febbraio 2014, n. 3853 SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE VI-2 CIVILE (Presidente Goldoni – Relatore DʼAscola) Fatto e diritto 1) Con ricorso notificato il 21 giugno 2011 la Fontessa spa ha impugnato la sentenza emessa il 21 dicembre 2010 dal tribunale di Pavia, che ha rigettato lʼappello da essa proposto avverso la sentenza del locale giudice di pace n. 2338/09. LʼAvvocatura dello Stato si è costituita con controricorso, in difesa del Ministero dellʼInterno e della Prefettura di Milano. Il giudice relatore ha avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio. La controversia concerne la violazione dellʼart. 45 comma 9 bis CdS, contestata alla ricorrente per aver fatto uso del dispositivo Hermes Plus III (Kermes in controricorso), ritenuto in grado di localizzare i cc.dd. autovelox e dunque di consentire al conducente di eludere i controlli della velocità degli autoveicoli. Con il primo motivo è denunciata violazione dellʼart. 45 c. 9 bis e dellʼart. 142 c.6 bis CdS. Con il secondo sono denunciati tutti i possibili vizi di motivazione. Tribuna Finanziaria - n. 3 GIUSTIZIA DI PACE Benché venduti tranquillamente negli “app store” degli smartphone o in numerosi siti internet, tanto la produzione, quanto la vendita e lʼuso dei “tom tom” che segnalano la presenza degli autovelox è illecita. Come è noto infatti lʼart. 45 del C.d.S. sanziona pesantemente la produzione, la commercializzazione e lʼuso di dispositivi che, direttamente o indirettamente, segnalano la presenza e consentono la localizzazione delle apparecchiature di rilevamento della velocità con il pagamento di una somma da euro 802 a euro 3.212. Alla violazione consegue la sanzione amministrativa accessoria della confisca della cosa oggetto della violazione. Ma questo non vale sempre. Una recente ordinanza emessa il 18 febbraio 2014 n. 3853 dalla VI sezione civile della Corte di Cassazione ha, infatti, salvato dallʼillegalità gli apparecchi denominati “Hermes”: si tratta di un vero e proprio navigatore satellitare che, oltre a fungere da assistente alla guida, segnala le postazioni in cui potrebbero essere i controlli. Secondo gli Ermellini lʼillegittimità dellʼapparecchio che segnala le postazioni autovelox va infatti provata in concreto guardando alle caratteristiche del dispositivo. Infatti, siccome la presenza di autovelox deve essere preventivamente segnalata, ex art. 142 del Cds, vanno differenziati gli apparecchi che, sul modello di un Gps, consentono una semplice mappatura dellʼesistente da quelli che intercettano i segnali di controllo. Nel caso in esame la Corte di cassazione, accogliendo il ricorso di una società, ha cassato la sentenza impugnata per omessa motivazione in quanto non era stata svolta alcuna indagine circa le effettive caratteristiche dello strumento. Il segnalatore Hermes è un normale navigatore satellitare, consentito anche dalle Circolari ministeriali, idoneo a svolgere la funzione di assistente alla guida, segnalando le postazioni in cui potrebbero essere in funzione i controlli, ma non gli apparecchi effettivamente in funzione. Non si tratta cioè di unʼapp dedicata a spiare la presenza di autovelox attivi, ma solo di un “assistente alla guida”, un navigatore con caratteristiche sofisticate. Hermes infatti riesce a rilevare la presenza degli autovelox indicando tempestivamente la velocità permessa e calcolando anche la velocità media in relazione a quella prescritta dai cosiddetti Tutor. Inoltre Hermes segnala le postazioni in cui potrebbero essere i controlli e non gli apparecchi effettivamente in funzione. Poiché nel 2007 il Codice della strada è cambiato, essendo diventato obbligatorio presegnalare e rende- Processo di Pace TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 57 57 GIUSTIZIA DI PACE Processo di Pace TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 58 58 2) Entrambi i motivi si risolvono in una censura della motivazione, giacché anche il primo non espone unʼerrata interpretazione normativa, ma si concretizza nel negare che lʼapparecchio utilizzato svolga quelle funzioni che sono state descritte dalla sentenza 12150/07, applicata dal tribunale. Si sostiene infatti che lʼapparecchio Hermes, non diversamente dai normali navigatori satellitari consentiti anche dalle Circolari ministeriali, è idoneo soltanto a svolgere funzione di assistente alla guida, segnalando le postazioni in cui potrebbero essere in funzione i controlli, e non gli apparecchi effettivamente in funzione. Il secondo motivo, complementare al primo, censura la mancata acquisizione di una consulenza tecnica atta a verificare il regolare funzionamento dellʼapparecchio, la sussistenza o meno della idoneità a interferire con misuratori delle forze dellʼordine o a localizzare un misuratore non mappato. 3) Il ricorso appare fondato. Lʼavvocatura dello Stato ha dedotto che sarebbe pacifico, perché accertato in causa e confermato dal sito internet della casa costruttrice, che lʼapparecchio rientra tra quelli proibiti. Ha quindi descritto lʼapparecchio - sulla base di informazioni da essa asseritamente assunte da un sito internet, al quale questa Corte non può accedere dovendo rispettare i limiti del proprio sindacato, - come apparecchio che segnala una serie di impianti, indicando tempestivamente la velocità permessa e calcolando anche la velocità media in relazione a quella prescritta dai cosiddetti impianti Tutor. Sembra quindi confermare che si tratti di un “assistente alla guida”, ma con caratteristiche sofisticate che vanno indagate, per comprendere in che termini esso eluda i divieti di legge. Non a caso infatti il ricorso ricorda che ex art. 142 CDS la presenza degli autovelox deve essere indicata da apposita segnaletica. Tuttavia, sebbene dallʼepigrafe della sentenza impugnata risulti che la questione sia stata posta al tribunale, invocando lʼacquisizione di consulenza, in sentenza non si rinviene alcun approfondimento motivazionale, ma solo lʼapodittica affermazione che lʼapparecchio localizzerebbe gli autovelox e consentirebbe lʼelusione dei controlli. Ciò viene affermato senza neppure chiarire se nella specie si fosse constatato il possesso di quelle funzioni specifiche che sono richieste nella sentenza di legittimità posta a base della motivazione. 3.1) In ricorso per contro si ricorda che già al momento di redazione del verbale e successivamente nei due gradi di giudizio di merito, il conducente aveva fatto presente che le caratteristiche dichiarate dalla casa produttrice del meccanismo escludevano le caratteristiche ritenute illecite. È invece indispensabile, per interpretare e applicare correttamente la normativa che complessivamente regola la materia, conoscere la specifica tipologia dellʼapparecchio di cui si tratta, in relazione alle caratteristiche di quelli conosciuti ed eventualmente contemplati anche nella normativa secondaria. Si configura pertanto unʼinsufficienza di motivazione così grave da sostanziarsi in omessa motivazione e da richiedere la cassazione della sentenza, con rinvio al giudice di merito per le verifiche del caso. La Corte condivide la valutazione espressa dalla relazione preliminare, il cui contenuto è stato in buona parte qui ripreso. Appare infatti necessario distinguere con precisione le caratteristiche dellʼapparecchio utilizzato, onde poter stabilire senza equivoci o indebite presunzioni quali ne siano le potenzialità e di conseguenza se rientrino nel disposto normativo. Solo una ragionata conoscenza degli apparati esistenti allʼepoca dellʼentrata in vigore della modifica dellʼart. 45 e delle precise caratteristiche di quello in esame può infatti consentire una meditata valutazione della conformità di esso alle disposizioni vigenti. Discende da quanto esposto lʼaccoglimento del ricorso. La sentenza impugnata va cassata e la cognizione rimessa ad altro giudice del tribunale di Pavia per nuovo esame, che completi la motivazione con una descrizione puntuale e comparativa delle caratteristiche dellʼapparecchiatura. Il giudice di rinvio liquiderà le spese di questo giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia al tribunale di Pavia in persona di diverso magistrato, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità. MARANGHI PAOLO ENIO & C. s.n.c Concessionario Gilera Aut Piaggio Va Baccio da Montelupo, 20 - 50018 Scandicci - Firenze - Tel. 055 752 194 Via Baccio da Montelupo 16-18-20-22-24-26 - Tel. 055 752 614 - 055 752 194 - Casellina Via Baccio da Montelupo 43-45-47 - Tel. 055 750 996 - 055 750 693 - Casellina Via Turri 13-15-17 - Tel. 055 257 8253 Tribuna Finanziaria - n. 3 Commento a cura dell’avv. Annamaria Gallo Con la recente sentenza del 27 gennaio 2014 n. 1608, la Corte di cassazione confermando la decisione di primo grado del Tribunale di Bolzano su ricorso ex art. 152 del D.Lgs. n. 196 del 2003 (Codice della Privacy), ha offerto una nuova, importante lettura in tema di “soggetto identificabile” in relazione a cronache giornalistiche stabilendo così un importante principio in tema di tutela della privacy: giornalisti ed editore devono risarcire il danno morale ed esistenziale per la violazione del diritto alla riservatezza se i protagonisti di un servizio giornalistico, pur non citati esplicitamente, sono comunque di fatto riconoscibili. La vicenda ha avuto ad oggetto la pubblicazione da parte di alcuni giornalisti di articoli che, pur non riportando espressamente il nome degli interessati, contenevano inconfondibili riferimenti ai protagonisti della vicenda (madre e figlio) che, in tal modo, subivano un grave pregiudizio personale. A partire dalla pubblicazione del primo articolo, poi ripreso da altre testate, vi era stata infatti una vera e propria “esplosione mediatica”. Il Tribunale di Bolzano, in primo grado, aveva precisato che il primo servizio giornalistico, pur omettendo i loro nomi, forniva numerosi e precisi dettagli della vicenda, tali da consentirne una facile identificazione da parte dei lettori, specialmente in considerazione della ristretta cerchia di persone residente nella località interessata e della zona di diffusione del giornale. Accertata in primo grado la lesività delle condotte poste in essere a carico dei due soggetti, la decisione del tribunale di prime cure è stata confermata dalla Suprema Corte. Quello che risulta di particolare interesse nella pronuncia in esame è proprio il principio affermato dalla Cassazione a proposito dei parametri di definizione di “soggetto identificabile”. Nel rigettare tutte le contestazioni mosse alla sentenza di primo grado per inammissibilità, gli Ermellini colgono infatti lʼoccasione per stabilire in modo esplicito che “lʼindividuabilità della persona offesa o di cui sono stati resi pubblici dati sensibili non ne postula lʼesplicita indicazione del nominativo, essendo sufficiente che essa possa venire individuata anche per esclusione in via deduttiva, tra una categoria di persone”. La menzione esplicita dei nomi del soggetto potenzialmente leso non è dunque conditio sine qua non per affermare la riconoscibilità del soggetto e la conseguente lesione, ma anzi, considerarla come tale significherebbe offrire uno spiraglio per una elusione delle norme poste a tutela della riservatezza. Come afferma ancora la Corte, “negare lʼapplicazione della normativa citata alle ipotesi di persona immediatamente riconoscibile pur in assenza della indicazione delle generalità, equivale a negare concreta efficacia alla normativa stessa e a renderla agevolmente aggirabile.” La normativa di riferimento è quella che regola proprio il delicato bilanciamento tra il diritto di cronaca e il diritto alla riservatezza. Fondamentali in ambito giornalistico sono, infatti, i limiti e le condizioni per lʼutilizzo di dati personali senza il consenso dellʼinteressato: lʼessenzialità della notizia e lʼinteresse pubblico. Limiti che vengono ripresi e ampliati dal D.Lgs 196/2003 e dal Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nellʼesercizio dellʼattività giornalistica (Provvedimento del Garante del 29 luglio 1998), in cui si presta particolare attenzione alla definizione di “essenzialità” dellʼinformazione, alla tutela del minore e al rispetto della dignità della persona. Qualora tali condizioni non siano presenti, come nel caso in esame, la menzione della persona, specie nella veste di vittima di fatti di reato, configura quindi una lesione della sua sfera di riservatezza, sia essa identificata o identificabile. La pronuncia della Cassazione qui in commento, offrendo dunque una definizione ampia del concetto di soggetto identificabile, fornisce unʼimportante indicazione in materia, togliendo ogni dubbio sulla circostanza che sia fondamentale per la lesione del diritto alla privacy (sussistendone le altre condizioni) la menzione, nella cronaca giornalistica, del nome della persona offesa. Sentenza n. 1608 del 27 gennaio 2014 SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE III CIVILE (Presidente Berruti – Relatore Massera) Svolgimento del processo 1 - Con sentenza in data 15 ottobre - 12 novembre 2007 il Tribunale di Bolzano, pronunciando sul ricorso ex art. 152 D.Lgs. n. 196/2003 proposto da T.C., in proprio e quale genitore del minore T.H., dichiarò che O.A., Tr.Ar. e Die Neue Sudtiroler Tageszeitung Gmbh avevano leso il diritto dei suddetti alla riservatezza di dati personali, condannò i convenuti a risarcire i conseguenti danni morali ed esistenziali liquidati in Euro 50.000,00 a favore della prima ed in Euro 10.000,00 a favore del secondo, a rimborsare loro le spese di lite, a pubblicare un estratto della sentenza. Tribuna Finanziaria - n. 3 GIUSTIZIA DI PACE Cronaca giornalistica e privacy: va risarcito il danno morale ed esistenziale se dall’articolo si può dedurre l’identità del soggetto coinvolto Processo di Pace TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 59 59 GIUSTIZIA DI PACE Processo di Pace TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 60 60 Allʼorigine della vertenza vi era stata la pubblicazione sul giornale di un articolo, cui era seguito un altro, scritto dallʼO. e due interventi dellʼeditore e direttore Tr. 2 - Il Tribunale osservò per quanto interessa: la pubblicazione del primo articolo aveva innescato lʼulteriore divulgazione delle notizie, poi ripresa anche da altri giornali, e la straordinaria e devastante esplosione mediatica che aveva investito la T. e il figlio; anche se non erano stati specificati i loro nomi, era certo che la serie di particolari riportati nel servizio aveva permesso ad un nutrito pubblico di individuarli. 3 - Avverso la suddetta sentenza O., Tr. e Di Neue Sudtiroler Tageszeitung hanno proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. La T., in proprio e nella qualità di tutrice del figlio Hannes, ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 1.1 - Il primo motivo adduce violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 8 D.lgs. 29 maggio 2001 n. 283 (nella parte in cui modifica introducendo lʼart. 20 D.P.R. 574/1998) e 152 D.Lgs. 193/03 commi 6 e 7. I ricorrenti assumono che, nel caso di procedimento bilingue, ai fini del rispetto del termine dilatorio stabilito in non meno di trenta giorni tra il giorno della notificazione dellʼatto introduttivo e lʼudienza di comparizione, occorre avere riguardo alla notifica dellʼatto tradotto. 1.2 - La censura presenta plurime ragioni di inammissibilità. In primo luogo dal testo della sentenza impugnata non risulta che la questione sia stata sollevata avanti al giudice di merito. È ben vero che i ricorrenti assumono di averlo fatto, ma non hanno denunciato la violazione dellʼart. 112 c.p.c. (omessa pronuncia), né hanno ottemperato al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione indicando e riferendo per esteso le pertinenti parti delle proprie difese. Sotto diverso profilo, non risulta rispettato il disposto dellʼart. 366-bis c.p.c., applicabile al ricorso ratione temporis; infatti il quesito di diritto formulato dai ricorrenti si rivela assolutamente astratto, in quanto prescinde totalmente dalle particolarità del caso concreto, omettendo di riferire la rilevante circostanza che il ricorso introduttivo del giudizio di merito conteneva anche una richiesta di provvedimento cautelare (pagg. 5 e 6 della sentenza impugnata) che il giudice concesse con decreto del 13 febbraio 2007, emesso, inaudita altera parte, nel contempo fissando al 19 marzo 2007 lʼudienza di comparizione delle parti anche per la discussione del provvedimento e che assegnò ai ricorrenti termine per le notifiche che il Tribunale attesta essere state ritualmente effettuate. Tuttavia, per ragioni di completezza è opportuno rilevare che, nel procedimento bilingue, la traduzione dellʼatto può semmai costituire requisito che attiene alla sua validità, ma non della notificazione, tanto più ove questa non venga rifiutata a causa della sua mancanza (confronta Cass. Sez. III, n. 4196 del 2010). In ogni caso è orientamento giurisprudenziale pacifico (confronta, per tutte, Cass. Sez. III, n. 4340 del 2010) che lʼart. 360, n. 4, c.p.c., (nella specie neppure invocato) nel consentire la denuncia di vizi di atti- vità del giudice che comportino la nullità della sentenza o del procedimento, non tutela lʼinteresse allʼastratta regolarità dellʼattività giudiziaria, ma garantisce soltanto lʼeliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato “error in procedendo”. Qualora, pertanto, la parte ricorrente non indichi, come avvenuto nella specie, lo specifico e concreto pregiudizio subito, lʼaddotto error in procedendo non acquista rilievo idoneo a determinare lʼannullamento della sentenza impugnata. 2.1 - Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 11, 136, 137 e 139 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, nonché degli artt. 5, 7, 8, e 11 del codice deontologico approvato per lʼesercizio dellʼattività giornalistica (anche come richiamato dallʼart. 139 D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196 che, non essendo il codice deontologico stato aggiornato allʼentrata in vigore del D.lgs. 196, deve ritenersi relativo al codice deontologico approvato dal Consiglio Nazionale dellʼOrdine dei Giornalisti nel 1998, recepito dal garante e pubblicato in G.U. n. 179 del 3.8.1998). In sostanza i ricorrenti sostengono che le norme a tutela della riservatezza e quelle del codice deontologico dei giornalisti relative al trattamento dei dati personali fanno rifermento alla identificabilità dei soggetti, cioè alla possibilità che i lettori possano identificarli pur in assenza dellʼindicazione delle generalità, rimanendo irrilevante la circostanza che la notizia possa stimolare successive indagini di terzi. 2.2 - Il terzo motivo ipotizza violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 11, 136, 137 e 139 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, nonché degli artt. 5, 7 8 e 11 del codice deontologico approvato per lʼesercizio dellʼattività giornalistica (anche come richiamato dallʼart. 139 D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196 che, non essendo il codice deontologico stato aggiornato allʼentrata in vigore del D.lgs. 196, deve ritenersi relativo al codice deontologico approvato dal Consiglio Nazionale dellʼOrdine dei Giornalisti nel 1998, recepito dal garante e pubblicato in G.U. n. 179 del 3.8.1998). Si assume che la tutela apprestata dalla normativa indicata è applicabile a soggetti identificati o identificabili e non si applicano a soggetti a cui i dati e le informazioni raccolti e diffusi non sono riconducibili. 2.3 - Le due censure, pressoché identiche e comunque simili e ripetitive, quindi esaminabili congiuntamente, vengono prospettate sotto il solo profilo del n. 3 dellʼart. 360 c.p.c., ma involgono necessariamente anche la motivazione della sentenza impugnata (non censurata), il suo contenuto decisorio e gli apprezzamenti di merito del Tribunale. La sentenza impugnata, con valutazione di fatto insindacabile ed effettivamente non sindacata, ha evidenziato (in particolare alle pagg. 7 e 8) che già il primo servizio giornalistico, pur non indicando le generalità, conteneva tutta una serie di particolari individualizzanti certamente idonei a consentire ad un vasto (ovviamente in relazione alla popolazione della zona di diffusione del giornale) pubblico di “comprendere con immediato effetto di quale cameriera si trattava”. Tribuna Finanziaria - n. 3 te estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione; in ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass. n. 2272 del 2007). Come evidenziato al punto precedente, la Corte territoriale ha adeguatamente indicato le ragioni del proprio convincimento; a dimostrare la congruità della motivazione è sufficiente sottolineare quanto argomentato in riferimento al bar sport allʼinterno di un complesso sportivo. Peraltro anche questa censura non rispetta lʼart. 366bis c.p.c. dal momento che manca il momento di sintesi contenente la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria (il vizio di illogicità della motivazione non è incluso nel novero tassativo - di quelli previsti dal n. 5 dellʼart. 360 c.p.c.); la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007). 4.1 - Il quinto motivo sostiene che è stato violato e falsamente applicato lʼart. 112 c.p.c., anche in relazione agli artt. 2043 e 2050 c.c.. I ricorrenti si dolgono dellʼomessa trattazione della colpa nellʼidentificazione degli attori, sebbene essi avessero sostenuto e offerto di provare di avere attuato tutte le cautele possibili al fine di evitare la riconoscibilità identificabilità dei soggetti. 4.2 - Premesso che non sussiste nella specie il vizio di omessa pronuncia, anche questa censura, pur formalmente prospettata sotto il profilo di violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in realtà attacca il contenuto decisorio della sentenza impugnata, la quale ha esplicitamente affermato che i servizi giornalistici riportavano particolari tali da rendere agevole lʼimmediata riconoscibilità di chi ne formava oggetto. Sotto diverso profilo, lʼassoluta astrattezza del quesito lo rende inidoneo. 5 - Pertanto il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di cassazione seguono il criterio della soccombenza. La liquidazione avviene come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. 140/2012, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali. Il nominativo del minore deve essere oscurato. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro. 7.200,00, di cui Euro. 7.000,00 per compensi, oltre accessori di legge. Dispone lʼoscuramento dei dati del minore. Tribuna Finanziaria - n. 3 GIUSTIZIA DI PACE La riconoscibilità delle persone oggetto dei servizi giornalistici è, come detto, questione attinente al merito in ordine alla quale nessun rilievo è consentito la giudice di legittimità. Giova ribadire, in linea di diritto, che lʼindividuabilità della persona offesa o di cui sono stati resi pubblici dati sensibili non ne postula lʼesplicita indicazione del nominativo, essendo sufficiente che essa possa venire individuata anche per esclusione in via deduttiva, tra una categoria di persone, a nulla rilevando che in concreto tale individuazione avvenga nellʼambito di un ristretto gruppo di persone. La sentenza impugnata risulta conforme al principio sopra enunciato. Per quanto riguarda il profilo della violazione e falsa applicazione (trattate congiuntamente dai ricorrenti come se fossero sinonimi) di norme di diritto, è del tutto evidente che negare lʼapplicazione della normativa citata alle ipotesi di persona immediatamente riconoscibile pur in assenza della indicazione delle generalità, equivale a negare concreta efficacia alla normativa stessa e a renderla agevolmente aggirabile. Anche i quesiti di diritto, che corredano i due motivi, peccano di genericità e astrattezza, quindi non soddisfano le finalità perseguite dalla norma di riferimento (artt. 366-bis c.p.c.). 3.1 - Il quarto motivo lamenta omessa, contraddittoria e comunque illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia: “erano o no gli attori identificabili negli articoli di stampa attribuiti ai convenuti”. La censura tratta sotto il profilo del vizio di motivazione il tema della identificabilità degli attori. 3.2 - La censura è inammissibile poiché poggia su argomentazioni squisitamente di merito. Giova ribadire che il vizio di contraddittorietà della motivazione ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la “ratio decidendi” che sorregge il “decisum” adottato, per cui non sussiste motivazione contraddittoria allorché dalla lettura della sentenza non sussistano incertezze di sorta su quella che è stata la volontà del giudice. (Cass. n. 8106 del 2006). I difetti di insufficienza e omissione della motivazione sono configurabili soltanto quando dallʼesame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile lʼobiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poiché, in questʼultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in unʼinammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe allʼottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramen- Processo di Pace TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 61 61 C.G.d.P Vita Associativa TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 62 Rinnovo organismi direttivi della Confederazione Si è riunita lʼAssemblea della Confederazione Giudici di Pace in Reggio Emilia per la modifica dello Statuto ed il rinnovo degli organismi direttivi. Vice Presidente: Vice Presidente: Segretario: Consiglieri: Maria Stefania Camerlengo Massimo Libri Luigi Vingiani Massimo Amato Giuseppe Greco Alberto Pavese Fabrizio Pertile Giovanna Scaffa Silvana Scanu Giuseppe Trunfio Distretto di Napoli Distretto di Bologna Distretto di Salerno Distretto di Campobasso Distretto di Catania Distretto di Torino Distretto di Venezia Distretto di Potenza Distretto di Cagliari Distretto di Reggio Calabria Collegio dei Revisori dei Conti: Maria Cinzia Sarno (Presidente) Francesco Fiore Alfonso Di Nuzzo Distretto di Salerno Distretto di Bologna Distretto di Napoli Collegio dei Probi Viri: Nunziata Monello (Presidente) Emilio Longobardi Maria Adele Pili Distretto di Firenze Distretto di Salerno Distretto di Cagliari GIUSTIZIA DI PACE Eʼ stato nominato Segretario Generale Organizzativo, il Cav. Franco Antonio Pinardi, socio fondatore, in considerazione del suo impegno e contributo pluriennale per la Confederazione e per il perseguimento degli interessi della categoria dei Giudici di Pace. Il Consiglio Direttivo ha formalizzato le deleghe per glʼincontri istituzionali. La Confederazione continuerà a svolgere la propria attività nellʼinteresse dei colleghi al fine ottenere la rinnovabilità delle funzioni ed un trattamento retributivo e pensionistico in quanto non costituiscono unicamente garanzie elementari che spettano ad ogni lavoratore, ma con- 62 LʼAssemblea ha rinnovato allʼunanimità la carica di Presidente alla collega Stefania Trincanato e, come componenti del Consiglio Direttivo Nazionale, ha eletto: figurano elementi essenziali ai fini della garanzia dellʼautonomia ed indipendenza della magistratura. Il principio dellʼautonomia della magistratura non è posto a beneficio della persona del giudice ma a tutela dellʼordinamento democratico, in quanto solo tutelando ed affermando lʼautonomia del magistrato e quindi la sua soggezione solo alla legge ed alla Costituzione, si può garantire quello che è il principio fondamentale di uno Stato di diritto, ossia lʼuguaglianza di tutti di fronte alla legge. La Confederazione Giudici di Pace Il Direttivo Nazionale Offendere l'insegnante della figlia non è ingiuria, ma oltraggio a pubblico ufficiale Con sentenza il Giudice di pace assolveva un genitore per il delitto di ingiuria commesso in danno dell'insegnante della figlia, nei locali della scuola media, ma la Corte ritiene il genitore colpevole del delitto di oltraggio Erroneamente era stato contestato il reato di ingiuria, anziché quello di oltraggio a pubblico ufficiale. Quest'ultimo, infatti, è caratterizzato da un'azione consistente nell'offesa dell'onore e della reputazione della vittima. L'offesa all'onore e al prestigio del pubblico ufficiale deve avvenire alla presenza di più persone; deve essere realizzata in luogo pubblico o aperto al pubblico; deve avvenire in un momento, nel quale il pubblico ufficiale compie un atto d'ufficio ed a causa o nell'esercizio delle sue funzioni. Ciò che viene riprovato dall'ordinamento non è la mera lesione in sé dell'onore e della reputazione del pubblico ufficiale, quanto la conoscenza di tale violazione da parte di un contesto soggettivo allargato a più persone presenti al momento dell'azione, da compiersi in un ambito spaziale specificato come luogo pubblico o aperto al pubblico e in contestualità con il compimento dell'atto dell'ufficio ed a causa o nel- l'esercizio della funzione pubblica. In altri termini, il legislatore incrimina comportamenti ritenuti pregiudizievoli della funzione di pubblico ufficiale, a condizione della diffusione della percezione dell'offesa, del collegamento temporale e finalistico con l'esercizio della potestà pubblica e della possibile interferenza perturbatrice col suo espletamento. Nel caso prospettato tali elementi sussistevano, poiché le ingiurie furono pronunciate nei locali scolastici, in modo tale da essere percepite da più persone; inoltre l'insegnante di scuola media è pubblico ufficiale (Sez. 3, n. 12419 del 06/02/2008) e l'esercizio delle sue funzioni non è circoscritto alla tenuta delle lezioni, ma si estende alle connesse attività preparatorie, contestuali e successive, ivi compresi gli incontri con i genitori degli allievi (Sez. 6, n. 6587 del 05/02/1991). Tribuna Finanziaria - n. 3 (Fonte: Rete internet) Nel corso dell'incontro avuto del 15 maggio, il Ministro Orlando, dopo avere concordato con le organizzazioni di categoria, quanto all'ufficio del processo, che ad esso potranno essere assegnati i giudici di pace in servizio solo su base volontaria (ossia previa richiesta del giudice), ferma l'autonomia degli uffici del Giudice di Pace e la possibilità di applicazione dei magistrati di pace di nuova nomina in funzione tirocinante, ha individuato delle questioni pregiudiziali che devono essere sciolte prima di affrontare ogni ulteriore aspetto della riforma della magistratura di pace: a) una normativa transitoria sulla rinnovabilità dei mandati dei giudici di pace in servizio, ancorata all'abbassamento del limite di età massima; b) la determinazione delle retribuzioni spettanti ai giudici di pace. In questa sede si ribadisce quanto già argomentato dalle scriventi organizzazioni nel documento rivendicativo unitario "Linee programmatiche per la riforma dell'ordinamento della magistratura di pace ed onoraria", che si allega e da intendersi per integralmente ripetuto e trascritto quanto ai capitoli 1, 2, 3 e 5, i quali affrontano dettagliatamente le relative questioni. Il predetto documento viene integrato con le considerazioni che seguono. Al 17 maggio 2014 risultano in servizio 1978 giudici di pace (dato ufficiale risultante dal sito del Consiglio Superiore della Magistratura), i quali garantiscono il rapido smaltimento dei carichi di lavoro degli uffici, con una durata media dei processi al di sotto di un anno. Sulla base dei dati ministeriali, comunicati dal Capo Gabinetto, i giudici di pace attualmente in servizio possono essere divisi in 3 fasce: -25% dei magistrati con età superiore ai 70 anni -25% dei magistrati con età ricompresa fra 60 e 69 anni -50% dei magistrati con età ricompresa fra 40 e 59 anni Il disegno di legge delega di riforma, ancora in corso di predisposizione, dovrà essere presentato dal Consiglio dei Ministri e sottoposto al vaglio dei due rami del Parlamento; una volta approvato, il Governo dovrà emanare il decreto legislativo di riforma. A quel punto potranno essere avviati i concorsi per la nomina dei nuovi giudici di pace, e, una volta esaurite le procedure, occorrerà attendere ulteriori 4 o 5 anni per l'applicazione dei giudici di nuova nomina negli uffici del giudice di pace, all'esito del tirocinio presso l'ufficio del processo. Ne discende l'esigenza insopprimibile, nella fase iniziale, di mantenere in servizio tutti i giudici di pace che non abbiano superato il limite di 75 anni. Si propone, pertanto, una normativa transitoria, composta da tre semplici disposizioni, delle quali la prima mira a garantire il funzionamento degli uffici del GdP in attesa che la riforma possa entrare a pieno regime, la seconda, in accordo con la richiesta del Ministro, dispone un abbassamento del limite di età a 72 anni e la rinnovabilità dei mandati sino al raggiungimento di tale età da parte dei giudici di pace rimasti in servizio (che fra 8 anni saranno approssimativamente il 50% dei gdp attualmente in servizio, ossia circa 1.000 giudici), così garantendo, da un lato, quel graduale ricambio generazionale richiesto dal Ministro, e, d'altra parte, la preservazione di professionalità consolidate da 20-30 anni di servizio giudiziario onorario, che saranno altresì essenziali per agevolare il lavoro dei giudici di pace di nuova nomina, già adeguatamente formati, ma privi della necessaria esperienza professionale. Con la terza disposizione, alfine, è previsto che ciascun rinnovo del mandato sia sottoposto alla valutazione di idoneità del giudice da parte del Consiglio Superiore della Magistratura. Quanto al limite di età proposto, pari a 72 anni, si rappresenta che un'ulteriore sua riduzione porrebbe la quasi totalità dei giudici di pace in servizio nell'impossibilità di raggiungere adeguati minimi contributivi a fini pensionistici, considerata l'anomalia di uno status giuridico del giudice di pace che per quasi venti anni non ha avuto nessun riconoscimento a livello previdenziale (periodi assicurativi scoperti e solo parzialmente riscattabili a legislazione vigente, peraltro con esborsi economicamente non sostenibili), in aperto contrasto con l'articolo 38 della Costituzione. In relazione agli aspetti retributivi, fermo il limite massimo già previsto dalla legge e determinato nella somma lorda di ⁄ 72.000,00, si propone il superamento dell'attuale sistema indennitario, esclusivamente vincolato alla produttività del giudice, che viola il principio di imparzialità ed indipendenza del giudice, mediante l'adozione di un sistema di retribuzione mista, con un fisso annuo determinato esattamente nella misura della metà del limite massimo previsto dalla legge (ossia ⁄ 36.000,00 lorde), ed indennità variabili computate sulla base dei processi definiti del giudice (l'indennità base è stata ridotta del 30%, ossia dagli attuali ⁄ 57 ad ⁄ 40). La tenuta contabile del sistema è subordinata a tre presupposti imprescindibili: -la riduzione delle dotazioni organiche degli uffici del Giudice di Pace in misura non superiore a 2.500 unità; in tal modo la spesa massima lorda complessiva annua non potrà mai superare 180 milioni di Euro (quale prodotto dei fattori 2.500 e 72.000) e la spesa fissa, a ruoli pienamente coperti, ammonterà a 90 milioni di euro (quale prodotto dei fattori 2.500 e 36.000), -la espressa previsione che qualsiasi spesa occorrente per il mantenimento dell'ufficio del processo, ivi compresi gli emolumenti dovuti ai giudici di pace applicati in funzione tirocinante o su loro espressa richiesta, sia regolata da separato e/o apposito capitolo di spesa, da tenere ben distinto dal capitolo 1362, che dispone la copertura della spesa occorrente per il pagamento dei compensi dei giudici di pace che effettivamente esercitano funzioni giudiziarie (oltre che di GOT e VPO); -eseguire i necessari stanziamenti additivi sul capitolo 1362, secondo le modalità e mediante gli strumenti ritenuti più adeguati dai competenti Ministeri. Tribuna Finanziaria - n. 3 2 GIUSTIZIA DI PACE Al Ministro della Giustizia Onorevole Andrea Orlando C.G.d.P Vita Associativa TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 63 63 In relazione alla "questione previdenziale" le scriventi organizzazioni, fermo quanto già rilevato nel capitolo 4 del documento rivendicativo unitario, chiedono che essa sia trattata in apposita seduta, considerata la sua complessità e delicatezza. Le scriventi organizzazioni reiterano la richiesta di costituzione di due separati tavoli tecnici, di cui uno riservato alla risoluzione delle questioni attinenti alla magistratura di pace, e l'altro alle questioni attinenti a g.o.t. e v.p.o, per le motivazioni già articolate nell'allegato documento del 15.05.2014. GIUSTIZIA DI PACE C.G.d.P Vita Associativa TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 64 64 Tribuna Finanziaria - n. 3 GIUSTIZIA DI PACE C.G.d.P Vita Associativa TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 65 Tribuna Finanziaria - n. 3 65 TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 66 tribuna finanziaria è una rivista a carattere tecnico professionale, periodico bimestrale economico - giuridico - tributaria e di prassi amministrativa, organo ufficiale della Confederazione Unitaria Giudici Italiani Tributari C.U.G.I.T., della Confederazione Giudici di Pace C.G.d.P., dell’Associazione Investigatori Forze di Polizia A.I.F.P., del Movimento Italiano Dirigenti Amministrazioni Stato M.I.D.A.S., edita sotto l’alto patrocinio dell’U.F.E. (Unione del Personale Finanziario in Europa) e dell’A.N.A.Fi. (Associazione Nazionale per l’Assistenza ai Finanziari e ai Pubblici Dipendenti dello Stato e del Parastato). Comitato Tecnico - Scientifico - Amedeo Luciano Avvocato, Tenente Colonnello della Guardia di Finanza Com.te Gruppo Repressione Frodi Napoli, Revisore contabile - Arrighi Alessandro Professore, Dottore commercialista Esperto in risanamenti aziendali e di gruppi di interesse nazionale. Docente di economia della sanità - Armosino Maria Teresa Onorevole, Avvocato, già Sottosegretario al Ministero dellʼEconomia e Finanze Presidente della Provincia di Asti - Baresi Virgilio [email protected] Commendatore della Repubblica, Segretario Generale dellʼIstituto Nazionale dei Revisori Contabili, Presidente della Fondazione Cesare Orsini, Presidente delle Emittenti televisive Rete Brescia e RTB International - Butera Guido Già Direttore dellʼUfficio Successioni di Milano - Campanaro Alessandro [email protected] Funzionario della Direzione Generale delle Entrate della Lombardia - Area consulenza giuridica - Ufficio fiscalità generale - Canfora Giovanni Dirigente Ministero dellʼUniversità e della Ricerca - Caputo Domenico Segretario Generale della Commissione Tributaria Centrale - Ciarlitto Grazia Avvocato Civilista, consigliere C.U.G.I.T., Giudice tributario presso la Commissione Tributaria provinciale di Prato. - Confalonieri Franco Dottore commercialista, Tributarista, Esperto di finanza internazionale, Revisore dei Conti, Componente centro studi giuridici della C.U.G.I.T. - De Vito Angelo Già dirigente Agenzia delle Entrate e componente S.E.C.I.T. - De Tilla Maurizio Avvocato, già Presidente Fondo di Previdenza Ordine forense - Finoia Mario Avvocato in Cassazione - Furia Enrico [email protected] Professor of World Business Law, School of World Business Law, Member of the International Chamber of Commerce - Gallo Annamaria Avvocato civilista, componente del comitato studi giuridici della Confederazione Unitaria Giudici Italiani Tributari - Gallo Graziano Tributarista, già maggiore della Guardia di Finanza e Dirigente del Ministero dellʼEconomia e delle Finanze - Gargani Giuseppe Onorevole, Presidente della Commissione Giuridica dellʼUnione Europea, Avvocato - Germi Carlo [email protected] Colonnello della Guardia di Finanza - Comandante Provinciale Ancona - Guazzone Franco [email protected] Funzionario (ar) della Direzione Regionale del Territorio della Lombardia - Leo Maurizio Onorevole, già Direttore Centrale del Dipartimento Affari Giuridici e Contenzioso del Ministero delle Finanze, Giudice Tributario Prorettore della scuola superiore dellʼeconomia e delle finanze presso il ministero dellʼeconomia e delle Finanze, Presidente della Commissione Parlamentare di Vigilanza sullʼAnagrafe Tributaria - Mantovani Mario [email protected] Senatore della Repubblica, sottosegretario di Stato al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti - Marchioni Giuseppe Dottore Commercialista, Tributarista - Mariano Marco Dottore Commercialista, Avvocato tributarista, Cap.(c) della Guardia di Finanza, Componente centro studi giuridici della C.U.G.I.T. - Marongiu Gianni Avvocato patrocinante in Cassazione già componente della Commissione Finanze - Marzano Antonio Professore, Presidente del Consiglio Nazionale dellʼEconomia e del Lavoro CNEL - Molgora Daniele Dottore Commercialista, già Deputato e Sottosegretario al Ministero dellʼEconomia e Finanze, Presidente della Provincia di Brescia - Pasero Giuseppe Presidente del Movimento Italiano Dirigenti Amministrazioni Stato - M.I.D.A.S. - Piccolo Antonio Dottore commercialista, Revisore contabile, Pubblicista - Pinardi Franco Antonio Segretario Generale: Confederazione Unitaria Giudici Italiani Tributari - C.U.G.I.T., Confederazione Giudici di Pace C.G.d.P., Associazione Investigatori Forze di Polizia - A.I.F.P., Movimento Italiano Dirigenti Amministrazioni Stato - M.I.D.A.S., Vice Presidente: Vicario Accademia Tiberina già Pontificia, Camera di Commercio Indo Europea, VicePresident for Mediterranean Area for Business Development. Giornalista iscritto all'Ordine di Milano sez. pubblicisti, membro dell'Association of European Journalists - Quaranta Emilio Magistrato Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei Minori di Brescia - Rivolta Dario [email protected] Onorevole, componente della Commissione Esteri ed Affari Comunitari della Camera dei Deputati, Presidente del Comitato della Commissione Esteri per gli Enti Internazionali Esteri - Scotti Vincenzo Onorevole, Prof. Dr. Presidente della Link Campus University of Malta, con sede in Roma - Simonazzi Roberto Giudice Tributario, Dottore Commercialista e Revisore contabile, Pubblicista - Trincanato Stefania Avvocato, Presidente della Confederazione Giudici di Pace C.G.d.P. - Villani Maurizio Avvocato - Tributarista - Zarri Massimiliano Avvocato, Funzionario del Parlamento Europeo, Docente per la scuola diretta ai fini speciali dellʼuniversità di Modena, Presidente PROMHUS www.tribunafinanziaria.it TF_3_2014 27/05/14 10:57 Pagina 67 ® Preinstalliamo software Microsoft originale. 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