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Capitolo 9
La gestione del patrimonio circolante netto
1. Premessa
Attraverso la misura della composizione e della dinamica del patrimonio circolante
netto è possibile controllare i riflessi finanziari di tutte le operazioni di gestione poste
in essere dall’impresa. Invero, poiché nel nostro sistema economico gli scambi si regolano con l’uso della moneta, o dei suoi sostituti quali i debiti e i crediti commerciali,
tutte le operazioni che modificano il patrimonio d’impresa generano variazioni nella
misura del patrimonio circolante netto e/o nella sua composizione.
La componente patrimoniale rappresentata dal patrimonio circolante netto diventa
così uno spazio attraverso il quale transitano, almeno una volta, tutti i valori espressivi
della gestione aziendale. Il passaggio si ha allorché tali operazioni comportano scambi
tra l’impresa e terzi.
Un diligente controllo dello sviluppo temporale del patrimonio circolante netto è sufficiente, nello stesso tempo, per ottenere indicazioni necessarie per la programmazione
finanziaria a breve termine e anche dati fondamentali per quella di più ampio periodo.
La gestione del patrimonio circolante netto può essere suddivisa in alcune parti
complementari corrispondenti alle operazioni di gestione delle singole componenti,
quali la gestione della liquidità, dei crediti verso la clientela, le scorte di magazzino, le
varie forme di passività a breve termine.
L’ottimizzazione della gestione delle singole componenti del patrimonio circolante
netto può svilupparsi attraverso due distinte modalità tra loro complementari, ovvero:
— la minimizzazione delle dimensioni delle varie parti attive del patrimonio circolante netto (al fine di portare al minimo, a parità di costo unitario, l’impiego di risorse,
connesso a tale grandezza);
— la minimizzazione dei costi, o rispettivamente la massimizzazione dei ricavi realizzati dalle singole componenti del patrimonio circolante netto.
La gestione, di cui si parla, si articola di conseguenza in una serie di operazioni che
tendono ad assicurare il raggiungimento di posizioni di ottimo parziale, ossia di dimensionamento di una singola componente.
Si nota spesso che il management può correttamente essere soddisfatto nel perseguire obiettivi particolari, in sé non ottimali, ma che rendono sicura una dinamica
complessiva del patrimonio circolante netto preferibile, se vista in un’ottica globale di
ottimizzazione della gestione finanziaria dell’impresa.
2. La gestione delle scorte
Le scorte costituiscono quasi sempre una quota consistente dell’attivo di un’impresa industriale e, ancor di più, di un’impresa commerciale; ne consegue, pertanto, la
necessità di porre un congruo stock di scorte, che richiede spesso un assorbimento di
notevoli risorse finanziarie.
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Parte Prima: Materie aziendali
Il principale problema delle scorte sta, dunque, nel minimizzare il costo connesso
alla loro detenzione, e quindi nel ridurre il livello delle scorte in rapporto ad un prefissato
volume di vendite.
Una tale visione si presenta almeno parziale, in quanto non considera la ragione che
spinge l’impresa a possedere scorte. In via teorica, i calcoli di convenienza che influenzano la politica delle scorte non possono basarsi solo sui costi della loro detenzione,
ma devono essere esaminati anche i benefici che il possesso di un certo stock di magazzino permette di conseguire.
Bisogna quindi identificare le finalità che spingono le imprese alla loro detenzione
e individualizzare le principali componenti di costi a ciò connesse.
Consideriamo, per esempio, il processo di produzione di un’impresa industriale (per
esempio, un mobilificio) relativo all’approvvigionamento presso fornitori del legname
da sottoporre a lavorazione: l’approvvigionamento non avverrà nello stesso tempo in
cui le materie prime devono entrare nel processo di lavorazione; ciò significa che il rifornimento non avrà luogo per parte di dimensioni minime, anche se questo limiterebbe i costi connessi all’impiego di risorse finanziarie in scorte.
La motivazione di quanto detto è duplice: da una parte vi è un problema di costo
(non sarebbe conveniente economicamente farsi spedire un tronco alla volta delle materie prime necessarie, a causa dei costi di effettuazione degli ordini e di trasporto);
dall’altra parte esiste, però, anche un problema di incertezza. Infatti, le materie prime
potrebbero arrivare in ritardo per una qualsiasi evenienza, e in tal caso il processo
produttivo potrebbe fermarsi con la conseguenza di uno spreco di risorse per:
— i costi fissi che l’impresa deve comunque sostenere relativamente agli impianti e al
personale;
— i mancati ricavi dovuti all’impossibilità di portare a termine, e quindi, di collocare
sul mercato la produzione.
Le stesse considerazioni valgono per le fasi successive del processo produttivo: sarà
pertanto necessario approvvigionarsi di adeguate scorte, perché un eventuale ritardo
nelle fasi di produzione «a monte» non blocchi le fasi «a valle».
Sarà inoltre necessario che l’impresa disponga anche di uno stock di prodotti finiti
adeguato per dimensioni e assortimento, così da evadere in tempo utile tutti gli ordini
ricevuti dalla clientela. Spesso, infatti, il costo dell’impossibilità di soddisfare un ordine non è dato solo dal mancato ricavo di «quella» vendita, ma anche di quello di eventuali altre vendite successive: consiste, quindi, nella perdita, che può risultare anche
definitiva del cliente.
Risulta chiara, pertanto, la principale funzione delle scorte per il fatto che queste assicurano flessibilità alla gestione delle diverse fasi del processo produttivo, permettendo di
liberare (entro certi limiti) lo svolgimento di ognuna di esse da quello delle fasi che la
precedono e la seguono.
Per questo le scorte sono spesso definite un «ammortizzatore» delle tensioni che
possono influire su singoli stadi del processo economico-tecnico di produzione dell’impresa.
Capitolo 9: La gestione del patrimonio circolante netto
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3. Le finalità delle scorte
L’esame delle diverse possibili finalità inducono le imprese a disporre di adeguati
stock di scorte. È necessario quindi distinguere le scorte funzionali da quelle precauzionali e speculative.
Le scorte funzionali vengono detenute per la sicurezza di garantire l’ordinato svolgimento e il coordinamento delle successive fasi in cui si articola la produzione. Hanno
quindi lo scopo di mantenere in equilibrio i flussi di materie prime, merci e altri materiali «in entrata» (per i nuovi approvvigionamenti) e «in uscita» (per i consumi e la
domanda), sempre in rapporto ai vincoli dovuti alle caratteristiche del processo di acquisizione, trasformazione e vendita attuato dall’impresa.
La quantità e la composizione di tali scorte dipendono, dunque, dal grado di sviluppo tecnologico del processo produttivo.
Le scorte funzionali sono chiamate anche «minime» perché detenute in ogni caso e
costituenti un limite minimo di sicurezza al di sotto del quale non è consigliabile scendere, se si vuole schivare il rischio di eventi sfavorevoli, quali gli arresti della produzione, e quindi l’impossibilità di soddisfare la domanda di una parte della clientela.
Le scorte, sostenute in aggiunta a quelle funzionali, servono anche per fronteggiare
imprevisti andamenti dei processi di approvvigionamento, produzione e vendita, ed anche
per avere l’opportunità di garantirsi la possibilità di modificare la propria politica di gestione e processi produttivi in corso. Tale funzione è attribuita alle scorte precauzionali. Bisogna comunque considerare che, se il management fosse nella certezza di futuri
andamenti del mercato, l’impresa non avrebbe bisogno di detenere scorte precauzionali; essa, quindi, dovrebbe continuare ad avere le scorte funzionali per garantire l’ordinato svolgimento dei processi di produzione.
Un terzo intento, che può spingere le imprese a detenere scorte, è legato alla prevista
dinamica dei prezzi di mercato. Infatti, le imprese incrementano le scorte quando sussiste un’attendibile probabilità di un possibile aumento del prezzo di mercato dei beni.
Questo comportamento vale soprattutto per le materie prime, ausiliarie e semilavorati
acquistati presso terzi, allo scopo di evitare o di allontanare nel tempo l’eventualità che
si verifichi un conseguente incremento dei costi di produzione. Sono queste scorte che
vengono definite speculative.
La politica delle scorte, da quanto detto, consente alle imprese che producono per
il magazzino di «dimensionare» la loro capacità produttiva sulla domanda mediamente
prevista, incrementando le scorte nei periodi in cui le vendite si mantengono al di sotto
della produzione e prelevando prodotti dal magazzino quando la domanda risulta superiore alla quantità prodotta.
Il problema delle scorte e del loro conveniente livello non è soltanto un problema
tecnico-organizzativo, ma è anche, e in particolare modo, una questione di fondamentale importanza per raggiungere l’equilibrio economico e finanziario della gestione.
La detenzione di determinati stock di scorte in magazzino comporta, infatti, il sostenimento di un insieme di costi che incidono in misura non indifferente sui risultati
di esercizio delle imprese.
I costi generali della gestione delle scorte sono costituiti principalmente:
— dagli oneri finanziari relativi al capitale investito nelle giacenze;
— dagli oneri che derivano dalla struttura fisica del magazzino (affitto, ammortamento
dei locali e delle attrezzature, manutenzioni, illuminazione, riscaldamento, pulizia etc.);
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Parte Prima: Materie aziendali
— dai costi del personale addetto al magazzino;
— dai costi di sorveglianza;
— dai costi di assicurazione contro i rischi di furto, di incendio etc.;
— dalle perdite per cali, deterioramenti, alterazioni etc.
Le scorte di magazzino hanno ripercussioni non trascurabili anche sotto l’aspetto
finanziario, poiché richiedono, come già segnalato, un fabbisogno di mezzi che si riferisce al loro valore e al tempo di durata del loro ciclo di rinnovo.
Tale durata è fornita dal tempo in cui le scorte sono mediamente detenute nei magazzini dell’azienda.
Un dato espressivo è l’indice di rotazione delle scorte, che è utile per la valutazione
della velocità di circolazione delle scorte e, quindi, del loro ciclo di rinnovo.
Tale indice si ottiene dal rapporto tra il totale dei consumi del periodo e la scorta media:
Indice di rotazione =
Totale dei consumi del periodo
Scorta media
La scorta media, se si considera l’intero anno, si calcola dividendo la somma delle
scorte giornaliere per 365.
Il risultato indica il numero delle volte in cui le scorte si rinnovano nel tempo considerato.
Esempio di calcolo dell’indice di rotazione
Si immagini che durante il corso di un certo anno i movimenti della materia Beta siano stati i seguenti:
Data
Descrizione
01/01
Esistenza iniziale
26/01
Prelievo
18/02
Acquisto
29/03
Prelievo
18/06
Acquisto
20/07
Prelievo
105
52
30/08
Prelievo
49
42
19/09
Acquisto
10/10
Prelievo
21/11
Carico
Scorta
140
56
98
140
56
196
126
364
84
182
126
Prelievo
Totali
Scarico
168
63
105
28
77
427
205
Capitolo 9: La gestione del patrimonio circolante netto
Determiniamo la scorta media e l’indice di rotazione:
Scorta
Durata giorni
Scorta × giorni
140
26
3640
84
23
1932
182
39
7098
56
81
4536
196
32
6272
52
41
3731
42
20
840
168
21
3528
105
42
4410
77
40
3080
Totale
365
39067
Scorta media =
Indice di rotazione =
39067
≈ 107
365
305 (totale scarico)
= 2,85
orta media)
105 ( sco
Le scorte in questione si rinnovano 2,85 volte all’anno ossia all’incirca ogni 4 mesi.
4. Il punto di riordino
Un altro problema riguardante le scorte è il cd. punto di riordino, vale a dire il livello della scorta di magazzino raggiunto il quale è necessario procedere a un nuovo ordine di acquisto.
È evidente che, se si suppone un consumo costante e se il tempo di riordino è nullo,
il punto di riordino coincide con il momento in cui lo stock si esaurisce. Se questa
coincidenza nella realtà si verificasse, si avrebbero periodi di mancanza dello stock, con
la conseguente impossibilità di fronteggiare la domanda.
Considerato questo dato di fatto, e anche la circostanza che è utile poter disporre di
un certo margine di sicurezza per garantirsi da eventuali variazioni in più nella domanda o da eventuali allungamenti dei tempi di riordino, si può affermare che il punto in
esame è costituito dai seguenti fattori:
— il tempo di riordino espresso in giorni (Gr);
— l’entità media dei prelievi o consumi giornalieri (Cg);
— il livello cui si colloca la scorta di sicurezza (Ss).
Nello specifico, il tempo di riordino viene calcolato:
— dal tempo che intercorre tra la segnalazione della necessità del riapprovviggionamento e la preparazione e la spedizione dell’ordine;
— dal tempo di trasmissione dell’ordine e tempo di esecuzione dello stesso da parte del
fornitore (compreso il tempo di trasporto);
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Parte Prima: Materie aziendali
— dal tempo di ricevimento, di controllo qualitativo e quantitativo e di immagazzinamento.
Punto di riordino = Cg × Gr + Ss
Il punto di riordino è quindi dato dal livello di scorta corrispondente alla quantità
di merce di cui si prevede la vendita durante il tempo di riordino (Cg × Gr), aumentata
di una quantità pari alla scorta di sicurezza (Ss).
Esempio
Un’impresa mercantile vende mediamente 800 unità di una certa merce al giorno. Supponendo che il
tempo di riordino sia pari a 25 giorni e che la scorta di sicurezza sia fissata in n. 3500 unità di merci (corrispondenti al fabbisogno di 8 giorni), determiniamo il punto di riordino:
Punto di riordino = 800 × 25 + 3500 = 23.500
Il risultato indica che quando il livello della scorta effettiva scende a 23.500 unità è necessario dare l’avvio alla procedura di riordino.
5. Il lotto economico di acquisto
Un’attenta gestione delle scorte implica un accorto esame della composizione del
magazzino e una ragionevole risoluzione di alcuni quesiti, tra i quali la fissazione del
quantitativo che si presenta conveniente acquistare ogni volta, e la decisione del momento in cui inoltrare l’ordinazione ai fornitori.
Il primo dei due quesiti (la quantità da ordinare) sta nella determinazione del lotto
economico di acquisto, che indica il quantitativo da ordinare ogni volta per contenere
i costi totali da sostenere per la conservazione delle materie o merci (costi di immobilizzo e di stoccaggio) e per i costi di ordinazione.
Sono costi di ordinazione:
— i costi amministrativi per la ricerca del fornitore;
— i costi per l’emissione degli ordini;
— i costi relativi al controllo degli acquisti in arrivo e al loro immagazzinamento;
— i costi connessi ai controlli sui documenti (fatture etc.).
Il problema del lotto economico di acquisto può essere articolato indicando i seguenti simboli:
Qx = lotto economico o quantità da acquistare di volta in volta;
F = fabbisogno complessivo annuo di materia prima;
C = costo fisso di ogni ordinazione (spese per corrispondenza, trattative con i fornitori, spese amministrative etc.);
m = costo annuo di stoccaggio di ogni unità
p = prezzo unitario di acquisto, che si suppone non vari al mutare dell’entità dell’ordinazione
Il numero delle ordinazioni da effettuare nell’anno sarà evidentemente F/Qx e la scorta
media, supponendo che l’azienda non abbia scorte minime di sicurezza, sarà pari a Qx/2.
Capitolo 9: La gestione del patrimonio circolante netto
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Il costo totale annuo dell’approvvigionamento sarà dato dalla somma di:
F
(costo fisso di ogni ordine per n. degli ordini);
Qx
Q
costi di stoccaggio = m × x (costo unitario di stoccaggio per scorta media);
2
costi di ordinazione = c ×
costo totale degli acquisti = F × p (fabbisogno annuo per prezzo).
La funzione da rendere minima sarà, quindi:
y=C×
Q
F
+ m× x + F × p
Qx
2
Essendo (F × p) una costante, basterà considerare la funzione composta dai due
addendi:
Q
F
y=C×
+ m× x
Qx
2
b
m
dove a =
eb=C×F
x
2
si può dimostrare che tale funzione assume il valore minimo in corrispondenza di
essa è del tipo y = ax +
x=
b
a
e perciò la formula del lotto economico di acquisto sarà:
Qx =
2(C × F )
C×F
=
m
m
2
Esempio
Si immagini che in una impresa industriale vi sia un consumo medio di 100 q al giorno di una certa
materia prima avente un costo di  10,33 il quintale. Il costo annuo di stoccaggio sia di  4,13; il costo fisso
di ogni ordinazione sia pari a  51,70 e i giorni lavorativi di un anno 290.
Determiniamo il lotto economico di acquisto:
Fabbisogno annuo = F = 100 × 290 = 29.000q;
29.000
;
Qx
costo annuo di immagazzinamento  4,13;
Numero delle ordinazioni =
costo di ogni operazione  51,70.
Il costo totale dell’approvvigionamento in funzione del lotto economico Qx sarà pertanto:
y = 51, 70 ×
da cui applicando la formula Qx =
(lotto economico di acquisto).
Q
29.000
+ 4,13 × x + 10, 33
Qx
2
2 (51, 70 × 29.000 )
4,13
= 852 q
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Parte Prima: Materie aziendali
6. La gestione del credito commerciale
Gli scambi di beni e servizi tra imprese non sono regolati, generalmente, con il contestuale pagamento dei corrispettivi dovuti, al contrario di quanto si verifica nella distribuzione al dettaglio. Il pagamento, di solito, viene effettuato in un tempo successivo
a quello della prestazione oggetto dello scambio. Se l’impresa conclude una vendita di
beni o una prestazione di servizi, sorge per essa un credito verso il cliente che ha ricevuto i beni o la prestazione di servizi. È questo il significato della voce «crediti v/clienti», o crediti commerciali, che costituisce una componente rilevante dell’attivo di bilancio delle imprese operanti nel settore dell’industria e del commercio.
Nel bilancio tale voce indica l’ammontare complessivo dei crediti verso la clientela
non ancora saldati, sia perché non ancora scaduti sia perché, nonostante l’avvenuta
scadenza, alcuni clienti non hanno adempiuto al pagamento (per il trattamento contabile e fiscale si rinvia al capitolo 3).
Il motivo per cui è necessario, nelle decisioni gestionali riguardanti i crediti commerciali, l’intervento dell’alta direzione risiede nell’immediata importanza di questo
investimento al fine di produrre redditi nel tempo; tale rilevanza esige l’intervento di
chi è esperto dei diversi aspetti dell’operatività dell’impresa.
Gli elementi su cui si deve basare la politica del credito commerciale sono:
— le leve a disposizione dell’impresa per influenzare un incremento complessivo dell’investimento in crediti a clienti;
— i costi connessi a questo investimento;
— i ricavi da esso generati.
In altri termini, la direzione prefisserà nel tempo l’andamento delle variabili controllabili dall’impresa, allo scopo di raggiungere l’ammontare di investimenti in crediti
cui corrisponde la migliore combinazione di costi e ricavi, massimizzando così i redditi realizzati nello scorrere degli esercizi e, quindi, il valore di mercato dell’impresa.
7. Le variabili influenti sull’ammontare dell’investimento in
crediti
I fattori che influenzano l’ammontare globale del credito concesso alla clientela si
possono suddividere in due categorie:
— fattori esterni, sui quali l’impresa non è in grado di agire;
— fattori interni, sui quali l’impresa può cercare di influenzare l’importo complessivo
dell’investimento di cui si parla.
Prima di soffermarci sulla seconda serie indicata, è utile considerare alcune particolari categorie di fattori esterni.
Un primo importante fattore è costituito, come si è già accennato, dalle consuetudini presenti in un determinato settore circoscritto di attività; per esempio, in settori di
deperibilità delle merci ed elevato turnover di prodotti, come l’alimentare, i tempi di
pagamento delle forniture tendono ad essere relativamente ristretti, mentre tendono
ad essere particolarmente lunghi in comparti che producono beni strumentali industriali, nei quali i singoli beni venduti sono caratterizzati da maggiore complessità ed
elevato valore unitario.
Capitolo 9: La gestione del patrimonio circolante netto
209
Un secondo fattore importante è rappresentato dal grado di pressione concorrenziale
nel singolo settore. In condizioni di accesa concorrenza, la politica delle dilazioni di
pagamento può essere applicata come alternativa al ribasso dei prezzi, soprattutto quando si lotta per la conquista di quote di mercato. In presenza, inoltre, di una forte concorrenzialità tra imprese di un certo settore, tenderà ad aumentare il potere contrattuale dei clienti di quel settore, i quali, nell’impegno di imporre termini contrattuali a essi
favorevoli, tenteranno anche di raggiungere un allungamento dei tempi di pagamento.
Infine, un fattore da non trascurare è dato dalle condizioni di temporanea o parziale mancanza di liquidità da parte dei clienti che portano, senza dubbio, a un certo allungamento dei termini di pagamento, che deve essere accettato dall’impresa venditrice per non compromettere ulteriormente la posizione finanziaria del cliente.
Si può constatare, addirittura, che i crediti commerciali hanno una funzione di assorbimento delle tensioni finanziarie che si manifestano in congiunture recessive;
l’analisi sistematica dei bilanci delle imprese evidenzia che i tempi di pagamento medi
tendono ad allungarsi in tali fasi del ciclo economico e ad accorciarsi in fasi di crescita.
Come si vede, l’esistenza di questi fattori esterni spiega come le leve a disposizione
dell’impresa possono agire solo nei limiti consentiti dalle condizioni d’ambiente. Tuttavia, questa constatazione non deve generare l’errata convinzione di una scarsa efficacia
dell’azione esercitabile dall’impresa per influenzare la misura del credito commerciale.
Si possono ora considerare i fattori interni che determinano l’entità del credito
commerciale. Essi possono essere distinti in:
— condizioni di vendita;
— tecniche di riscossione;
— politiche dei singoli fidi.
Le condizioni di vendita riguardano i termini di pagamento e gli eventuali sconti
previsti.
Per termini di pagamento s’intende la dilazione concessa per il regolamento della
fattura da pagare entro 45 o 60 giorni dalla data della loro emissione. È possibile anche
che l’impresa non applichi, in merito alle dilazioni di pagamento, un’unica clausola
contrattuale, ma differenzi le condizioni offerte alle varie categorie di clienti, sulla base
della diversità dei canali distributivi, dell’area geografica, dell’importanza del cliente in
termini di fatturato, dell’affidabilità dimostrata nei precedenti rapporti commerciali etc.
Oltre alle dilazioni di pagamento, si procede anche alla fissazione della scala di
sconti. Di norma è prevista dalle condizioni contrattuali la possibilità per la clientela
di poter ottenere sconti per pagamento anticipato rispetto alla dilazione concessa.
Il pagamento delle fatture può oggi effettuarsi con più strumenti: direttamente con
l’emissione di assegni bancari, con bonifici, con ricevute bancarie, con giroconti, con la
carta assegni, con la carte di debito (debit cards) costituite da carte magnetiche emesse
a fronte di un deposito in c/c, con l’emissione di assegni banco-posta, per via telematica
e con strumenti elettronici già operanti e suscettibili di tecnologia sempre più avanzata.
L’ultimo fattore interno è la politica dei singoli fidi. Con questa espressione s’intende
la fissazione di criteri con cui concedere ai diversi clienti differenti condizioni contrattuali. Si è già detto che la situazione ambientale permette, parlando di dilazioni accordate, di non offrire le medesime condizioni a tutta la clientela.
Una condizione rilevante riguarda l’ammontare di fido che può essere proposto al
singolo cliente; in ogni impresa adeguatamente organizzata dovrebbe essere prefissato
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Parte Prima: Materie aziendali
un importo massimo di credito aperto, superato il quale non dovrebbero essere più
accettati, fino al verificarsi di parziali rimborsi sul credito in essere, nuovi ordini, o
dovrebbero essere accettati solo a particolari condizioni.
Un insieme di condizioni, più o meno prudenziali, può essere concesso con differente facilità in base alla politica seguita dalla singola impresa. Questa può decidere di
concedere le migliori condizioni a chi semplicemente offre certe garanzie minime, o di
differenziare attentamente tali condizioni secondo l’affidabilità del cliente.
Come si vede, l’atteggiamento che si adotta ha conseguenze determinanti sull’ammontare complessivo dei crediti verso clienti.
8. Costi connessi all’investimento in crediti
Come segnalato innanzi, l’impresa agirà sulle leve a sua disposizione allo scopo di
conseguire l’ammontare di investimento in credito commerciale corrispondente alla
più conveniente combinazione di costi e ricavi per le loro caratteristiche insite in questo tipo di impiego di risorse finanziarie.
I costi relativi all’investimento sono costituiti dai costi per insolvenza e dai costi gestionali.
I costi di insolvenza sono presenti in qualunque attività di concessione di crediti e
sono dati dall’eventualità che parte dell’ammontare concesso al cliente non venga recuperato, per il verificarsi di uno squilibrio economico-finanziario delle sue condizioni
di gestione che renda impossibile l’adempimento della sua obbligazione.
La politica del credito commerciale implica che si consideri come una componente
di costo, legata a ogni determinato livello di investimento complessivo, una certa quota di perdite sui crediti che probabilmente si manifesteranno in un tempo non necessariamente lontano, in seguito alla concessione di dilazioni di pagamento ai clienti.
Il risultato di questa stima sarà in misura percentuale per ogni unità di credito concesso in un certo periodo di tempo. Una percentuale del 2% indicherebbe che su un
importo medio annuo di crediti commerciali di un miliardo di euro, si ritiene di sostenere costi per insolvenza pari a 20 milioni di euro. Per l’effettuazione di queste stime,
comunque, la valutazione delle perdite su crediti da registrare anno per anno nel bilancio di esercizio, costituisce un elemento conoscitivo di particolare rilievo.
È da ritenere che il costo per insolvenza vari significativamente al variare dell’ammontare dell’investimento in crediti. Più precisamente, è da pensare che l’incidenza
delle insolvenze cresca al crescere del rapporto tra crediti commerciali e vendite.
Quest’ultima affermazione può essere ben compresa se si considera che, qualora
tutte le vendite fossero effettuate in contanti, non esisterebbe alcun rischio di insolvenza. Vi sono anche motivi che fanno ritenere che, più l’impresa utilizza in senso liberale
le leve a sua disposizione per regolare l’ammontare di questo tipo di investimento, più
aumenta il rischio di insolvenza.
Si pensi, ad esempio, alle dilazioni di pagamento e in particolare alla differenza tra
vendite con regolamento a 30 e a 90 giorni. Quando si effettua una vendita, l’impresa
è certa delle attuali condizioni finanziarie del cliente. Può anche effettuare delle stime
sull’evoluzione della situazione finanziaria nel prossimo futuro, che, però, raramente
vengono fatte con un significativo grado di affidabilità rispetto a quello determinato da
un’istituzione finanziaria.
Capitolo 9: La gestione del patrimonio circolante netto
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L’impresa, quindi, è sempre in qualche misura incerta sulla possibilità che alla scadenza il cliente sia in grado di adempiere ai suoi obblighi; si può notare che per il buon
esito del credito sono importanti le condizioni finanziarie del cliente alla scadenza del
credito e non quella al momento della vendita.
Questo è un primo fattore che spiega perché, se si usa in senso liberale la leva dei
giorni di dilazione, tende ad aumentare il costo in perdite su crediti.
Si immagini, inoltre, il caso di un cliente che per soddisfare le proprie esigenze
produttive, effettui acquisti tendenzialmente costanti una volta ogni due mesi. Se l’impresa concede dilazioni di pagamento di 30 giorni, significa che, di norma, essa ha già
avuto, all’atto di ogni nuovo acquisto, responso sul saldo dell’acquisto precedente. Se
questo responso non è stato positivo, si attiveranno provvedimenti cautelativi, che
possono portare fino alla sospensione delle vendite in mancanza del pagamento immediato del corrispettivo.
Viceversa, se l’impresa vende a 90 giorni, dovrà effettuare una nuova vendita senza
aver potuto controllare, attraverso l’adempimento dell’impegno precedentemente contratto, la perdurante capacità del cliente di soddisfare le proprie obbligazioni. In tale
ipotesi l’impresa può essere indotta, a causa di mancanza d’informazione, a continuare le vendite nonostante le difficoltà finanziarie del cliente, il che comporta un importo
di perdite più elevato per l’insolvenza del debitore.
Questo effetto è prodotto dall’utilizzo in senso liberale dell’ultima delle tre leve di
manovra del livello dei crediti, ossia la politica di fido: se si largheggia nel fido aperto
ai singoli clienti, sarà possibile una maggiore crescita dell’esposizione verso un singolo
nominativo e, quindi, il proseguimento di atti di vendita pur in mancanza dell’importante controllo consentito dalla constatazione del buon esito di precedenti acquisti.
Normalmente, infine, possono conseguire un risultato di maggior contenimento
delle insolvenze proprio gli strumenti che comportano una più alta pressione sul cliente. Questi, infatti, quando cominciano a manifestarsi tensioni di liquidità, cercherà di
prendersi maggiori dilazioni, a iniziare dei casi ove ciò sia possibile. È quindi più facile che al momento del dissesto, siano ancora in essere i crediti di chi ha fatto meno
pressione per il puntuale adempimento.
I costi gestionali
I sistemi di incasso presentano una differente onerosità che non va intesa in senso
assoluto, quanto piuttosto in relazione alle condizioni di gestione della singola impresa.
Si può osservare, per esempio, che la riscossione tramite un agente di vendita potrebbe
essere estremamente onerosa per un’impresa e conveniente per un’altra.
L’attenzione viene posta sui costi diretti connessi con ciascun sistema di pagamento:
il costo-opportunità del tempo lavorativo degli agenti contrapposto agli oneri da sostenere per ciascun bonifico o per ciascuna ricevuta bancaria. In realtà il problema è più
ampio. Quando devono essere fissate le linee guida della politica di credito commerciale, sarà necessario tener conto anche dei costi indiretti dei diversi sistemi d’incasso che
l’impresa può scegliere. Anch’essi dipendono in buona parte dalla concreta situazione
della singola impresa.
Sono costi diretti: la riscossione tramite agente (costo del tempo lavorativo dell’agente), il bonifico (oneri bancari che compensano il lavoro amministrativo della banca), la
ricevuta bancaria (oneri bancari che compensano il lavoro amministrativo della banca)
etc.
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Parte Prima: Materie aziendali
Sono costi indiretti, da sostenere in tutti i casi, quelli relativi al reparto contabilità
e controllo crediti nell’interno dell’impresa.
In molte situazioni, per esempio, l’utilizzo delle ricevute bancarie può consentire un
risparmio netto di tempo lavorativo degli uffici centrali di contabilità rispetto alla riscossione tramite agenti o al bonifico bancario.
Soluzioni, queste, che possono richiedere una maggiore mole di lavoro impiegatizio
di controllo e di sollecito, che, invece, nel caso delle ricevute bancarie viene effettuato
dalla banca.
9. La gestione dei fornitori
Un’area molto delicata nella corretta gestione dei processi produttivi, per quanto
riguarda l’efficienza e la competitività, è quella relativa agli approvvigionamenti.
L’approvvigionamento, è un’attività ponte tra la produzione (che è un processo tipicamente «interno» all’impresa), e la rete dei fornitori.
Il punto importante del rapporto impresa-fornitore è rappresentato dal prezzo richiesto per il singolo prodotto, nella convinzione che questo sistema favorisca automaticamente un clima di concorrenza capace di arrecare vantaggi a chi acquista.
Per quanto riguarda i tempi di consegna, in tutti i settori industriali, è prassi comune una sorta di strategia dell’interpretazione delle reali intenzioni della controparte: «io
impresa ti chiedo come tempo di consegna un mese, perché so che tu fornitore hai mediamente venti giorni di ritardo e a me il prodotto serve tra due mesi».
La debolezza di questa posizione, esasperata anche nell’espressione, è subito evidente, e implica due sostanziali conseguenze:
— un livello di scorte di sicurezza elevato per far fronte a situazioni di emergenza che si
possono presentare di frequente;
— un rischio di rimanere senza le materie necessarie alla produzione a seguito, per esempio, di un improvviso cambio di prodotto richiesto dal mercato.
In un contesto di mercato che impone all’impresa una pronta reattività ai suoi andamenti, si comprende come quanto detto non sia più accettabile.
Si attribuisce oggi una grande importanza alla logistica integrata che tende a favorire la nascita di collaborazione a lungo termine tra acquirenti e fornitori.
Diversamente dal passato, non è più vero che il fornitore offerente il prezzo più
basso ottenga la commessa, ma i fornitori preferiti sono quelli che offrono il minor
costo totale dei servizi (i tempi di consegna, la qualità del prodotto, la capacità di adeguarsi ai cambiamenti, la cura nelle procedure richieste etc.).
La possibilità di instaurare con i propri fornitori una reale collaborazione porta,
come prima conseguenza, la necessità che, gli stessi, siano scelti con cura.
La raccolta di informazioni complete è il primo passo da fare e deve tendere a definire: l’effettiva capacità produttiva del fornitore tenendo conto degli impianti a sua
disposizione e della loro saturazione; l’affidabilità patrimoniale e commerciale del fornitore; la capacità di lavoro e di introdurre innovazioni e nuove tecnologie attraverso
la ricerca; la precisione nelle consegne, la qualità del prodotto.
Questi elementi tendono a qualificare quello che viene definito come servizio di fornitura.
Capitolo 9: La gestione del patrimonio circolante netto
213
Accertata l’esistenza di questi presupposti, il fornitore può essere «autorizzato» a
partecipare attivamente al processo produttivo dell’impresa. Ne consegue che un rapporto costruito su queste basi non può che tendere ad essere di lungo periodo e con una
gestione degli ordini di tipo aperto. In questo modo tendono a diminuire considerevolmente i costi di predisposizione di un orine, che nella teoria del lotto economico influenzano direttamente le quantità da acquistare.
L’impresa manterrà comunque una struttura di controllo che garantisca il mantenimento del livello qualitativo del servizio nel corso del tempo.
Un’evoluzione interessante prevede che le aziende che si rivolgono a fornitori più
piccoli di loro li facciano crescere attraverso:
— un’assistenza tecnica sull’impostazione del processo produttivo;
— la verifica degli impianti esistenti e da acquistare;
— un supporto anche finanziario per la gestione corretta dello sviluppo.
In questo senso si realizza pienamente l’integrazione tra i reparti interni e quelli esterni, che solo dal punto di vista delle proprietà si differenziano dall’impresa acquirente.
10. La programmazione delle consegne
Per effettuare consegne programmate, i fornitori devono avere informazioni precise
su quantità, ora e luogo di consegna con il massimo anticipo possibile. Allo stesso modo,
le variazioni dell’ultimo momento al programma precedentemente concordato devono
essere comunicate tempestivamente ai fornitori e gestite tenendo conto delle modifiche
apportate alle priorità di consegna. Ogni variazione genera, infatti, uno slittamento dei
tempi di consegna previsti su altri prodotti, slittamento che non va assolutamente affidato al caso, ma ricalcolato all’interno di un piano.
Le consegne da parte dei fornitori dovranno essere frequenti e a piccole quantità. È
proprio per soddisfare questa esigenza che si motiva la necessità che la distanza tra cliente
e fornitore non sia elevata, così che i costi di trasporto non abbiano una incidenza eccessiva.
L’obiettivo è che la produzione non sia costretta a mantenere presso di sé una scorta
di materie prime che garantisca il rifornimento continuo delle linee programmata tra
l’impresa e il fornitore ma che sia lo stesso fornitore ad assicurare un’entrata costante
dei materiali nel momento in cui servono, con un livello minimo di scorte presso di sé.
Naturalmente, le soluzioni tecniche possono essere di diverso tipo e includere, per
esempio, l’implementazione di una rete informatica per la diffusione delle informazioni e degli ordini effettivi di acquisto. In questo campo particolare, i progetti attualmente in essere sono moltissimi sia a livello nazionale sia europeo.
La logica di base rimane comunque quella di favorire la circolazione delle materie
e dei prodotti seguendo tempestivamente ed economicamente le indicazioni che provengono continuamente dal mercato.
11. Il controllo della qualità
L’importanza del controllo di qualità è aumentata notevolmente in questi ultimi anni,
come conseguenza dell’evoluzione dei consumi. Pur essendo il prezzo un elemento da
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Parte Prima: Materie aziendali
considerare con molta attenzione, anche la valutazione della qualità del prodotto è un
fattore altrettanto importante da esaminare e giudicare.
Per «qualità» s’intende la corrispondenza del prodotto alle «prestazioni attese», se
si parla di prodotto finito, oppure la validità del materiale o del semilavorato rispetto
al ciclo di produzione (qualità di materiale, accuratezza di finiture etc.).
Facendo riferimento alla gestione dei rapporti di fornitura, il controllo di qualità si
effettua secondo due distinte modalità, ovvero:
— la qualificazione del fornitore;
— il sistema di controllo.
Mentre l’operazione di qualificazione è effettuata solo in un periodo iniziale, un
controllo che garantisca il livello di qualità stabilito in partenza va effettuato sempre.
La fase di partenza deve prevedere un’ispezione al 100% dei prodotti in fase di lavorazione presso il compratore. Essendo questo il livello di controllo più accurato, è superfluo ogni altro controllo dei materiali in entrata o presso il fornitore.
Successivamente il controllo verrà spostato sul materiale in entrata, in un primo
momento al 100% e in seguito solo per campione.
Procedendo ancora, ci si sposta verso il fornitore controllandone dapprima i prodotti (totalmente e poi a campione) e in seguito il processo di produzione.
Il livello di controllo prevede solo la verifica del processo di produzione attuato
presso il fornitore.
Lo svolgimento graduale delle fasi definite in precedenza garantisce in modo ragionevole che quest’ultimo tipo di controllo sia sufficiente ad assicurare una qualità del
prodotto adeguata allo standard concordato.
La curva dei costi sostenuti nelle fasi di controllo si riduce man mano che il livello
di controllo passa dall’ispezione al 100% al controllo di processo.
A conclusione si può affermare: «se la Ferrari (compratore) vince, è anche merito delle
gomme della ditta fornitrice X; la vittoria fa bene a entrambi, perché, allora, non collaborare?».