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Università Iuav di Venezia
Dipartimento di Culture del Progetto
quaderni della ricerca
Interazione e Cognizione
Interaction and Cognition
Università Iuav di Venezia - dipartimento di Culture del Progetto
Quaderni della ricerca
Copyright MMXIV
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
infoaracneeditrice.it
via Raffaele Garofalo, 133/A-B
00173 Roma
[06]93781065
ISBN 978-88-548-6880-9
Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate
3.0 Italia
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I edizione: febbraio 2014
Interazione e Cognizione
Interaction and Cognition
a cura di Massimiliano Ciammaichella e Davide Rocchesso
Unità di ricerca
Interazione
Scienze cognitive
Indice
7 Aggregazione
Interazione
Cognizione
17 Contributi
Rappresentazioni interattive
Estetica sperimentale
Problem solving e decisione
Interazioni sonore
Sottigliezze che la scienza non riesce a catturare
91 Progetti di ricerca
VIA. Architettura Virtuale Interattiva
Geometria descrittiva e Rappresentazione digitale
Prospettive Architettoniche
Problem solving e decisione
SkAT-VG
114 Bibliografia
122 Autori
Aggregazione
Interazione
Scienze cognitive
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Interazione
L’unità di ricerca in Interazione si occupa di oggetti per i quali il senso emerge
dall’interazione, tra persone e cose, persone e persone, o tra gli oggetti stessi se dotati di
forme di autonomia. Sono materia della ricerca, quindi, le interfacce nella loro accezione più
ampia, il cui senso è da ricercarsi nell’interazione tra le parti coinvolte.
Con la crescente diffusione e ubiquità delle tecnologie informatiche, le nuove ecologie
degli oggetti giocano un ruolo importante. Questa prospettiva obbliga i designer a concepire
inedite pratiche di composizione e configurazione, e gli scienziati a inventare metriche
e metodi di valutazione. In particolare, l’interazione gestuale e corporea, con le sue
caratteristiche di continuità ed espressività, introduce nuove sfide metodologiche e inedite
possibilità creative. L’interazione è anche al centro dei processi di fruizione e comunicazione
dei prodotti, artistici e di design.
È dunque manifesta la necessità di dedicare particolare attenzione alle attività di ricerca
che riguardano gli aspetti tecnologici, teorico-scientifici e progettuali dell’interazione.
Persone
Attualmente i componenti dell’unità di ricerca appartenenti all’organico dei docenti
dell’Università Iuav di Venezia sono:
Massimiliano Ciammaichella, Ricercatore confermato in Disegno;
Stefano Delle Monache, Ricercatore a tempo determinato di Informatica;
Stefano Mazzanti, Professore Associato di Informatica;
Davide Rocchesso, Professore Associato di Informatica;
Camillo Trevisan, Professore Associato di Disegno.
Stefano Baldan e Davide Andrea Mauro, titolari di un assegno di ricerca triennale nell’ambito
del progetto europeo SkAT-VG.
I principali collaboratori del gruppo, che negli anni passati hanno partecipato alle ricerche
svolte dall’unità di Interazione, o stanno attualmente collaborando alle ricerche in corso,
sono: Sara Adhitya (postdoc, University College London), Francesco Bergamo (assegnista
The cortical homunculus, (artwork by btarski, licensed under Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0)
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di ricerca, Iuav), Gillian Crampton Smith (ex-professore straordinario), Federica De Rocco
(dottore di ricerca), Guillaume Lemaitre (ricercatore, IRCAM Parigi), Maddalena Mometti
(dottoranda di ricerca), Pietro Polotti (docente al Conservatorio di Trieste), Giovanni Scurria
(assegnista di ricerca), Simone Spagnol (assegnista di ricerca, Università di Padova), Philip
Tabor (ex-professore a contratto).
L’unità di Interazione è attiva su progetti di ricerca sia a carattere locale che all’interno di
consorzi internazionali.
Le ricerche affrontano un ventaglio molto ampio di temi, che comprendono la teoria della
computazione (Mazzanti), la valutazione sperimentale di interazioni (Delle Monache,
Rocchesso), la costruzione di rappresentazioni interattive (Ciammaichella, Trevisan).
Negli anni 2006-2013, grazie all’attività di Gillian Crampton Smith e Philip Tabor, molto
significative sono state le esperienze degli studenti della laurea magistrale in Design.
in effetti, diverse attività di ricerca nascono proprio dai workshop organizzati per gli
studenti, come è accaduto ad esempio per il Sounding Popables di Padova (2011) e per la
scuola estiva di Sonic Interaction Design, presso la Aalto University (2010).
L’unità di ricerca è stata coinvolta in numerose attività di comunicazione scientifica, sia
a livello locale (e.g., La Notte dei Ricercatori, 2011 e 2012), sia all’interno di convegni
internazionali (e.g., keynote speech di Gillian Crampton Smith al MobileHCI 2013, TEI 2011,
SIGRADI 2010).
Di particolare rilievo è il riconoscimento SIGCHI Lifetime Achievement in Practice Award,
conferito nel 2014 a Gillian Crampton Smith per la sua eccezionale carriera.
Temi di ricerca e metodi
I principali temi di ricerca sono:
- Interazione multisensoriale continua: visione, udito, aptica, propriocezione. E’ di
particolare interesse l’uso combinato delle modalità sensoriali a supporto dell’interazione
espressiva.
- Trasparenza dell’interfaccia: la scomparsa dell’oggetto computer all’interno degli oggetti
d’uso quotidiano o nello spazio delle relazioni tra uomini e ambiente.
- Formalizzazione dei processi di interazione: notazioni e formalismi per la descrizione di
processi che supportano la concorrenza e la continuità delle azioni.
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- Interfacce naturali per la comunicazione di oggetti e per le arti performative:
configurazione, applicazione, e fruizione di artefatti comunicativi.
- Design dell’informazione dinamica: visualizzazione e sonorizzazione interattiva delle
informazioni, display interattivi multisensoriali.
- Design dell’esperienza cognitiva, percettiva ed emozionale: metodi di progettazione
orientati alla verifica sperimentale ed esperienziale.
I principali progetti di ricerca finanziati, attualmente in corso di svolgimento sono:
- SkAT-VG “Sketching Audio Tecnologies using Vocalizations and Gestures”, progetto FETOpen del Settimo Programma Quadro della Commissione Europea, coordinato dall’Università
Iuav di Venezia (D. Rocchesso, S. Delle Monache, S. Baldan e D.A. Mauro);
- PRIN 2011 “Architectural Perspective: digital preservation, content access and
analytics”, unità Interazione (M. Ciammaichella, C. Trevisan) in collaborazione con
l’unità Rappresentazione (M.M. Borgherini, G. D’Acunto, A. De Rosa, E. Garbin, F. Gay),
coordinamento della “Sapienza“ Università di Roma.
Obiettivi
La maggior parte delle ricerche condotte dall’unità ha come obiettivo ultimo la
progettazione efficace di artefatti interattivi. A questo scopo sono necessari una migliore
comprensione dei processi di percezione e azione, una definizione dei limiti e dei vincoli
che definiscono i campi d’azione dell’uomo e della macchina, uno sforzo di integrazione dei
materiali computazionali all’interno delle pratiche artistiche e del design. Specie la ricerca
di quest’ultimo obiettivo, ha un impatto sull’attività educativa finalizzata alla formazione di
designer e artisti.
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Scienze cognitive
L’unità di ricerca in Scienze Cognitive raggruppa ricercatori che sono membri del
Dipartimento di Culture del Progetto e ricercatori esterni all’Università Iuav che si occupano
di vari temi delle scienze cognitive, coprendo un ampio spettro che va dalla psicologia
sperimentale alla teoria delle decisioni. Lo scopo per il quale è stata attivata quest’unità di
ricerca è quello di far interagire competenze specialistiche di tipo teorico nel campo della
psicologia cognitiva, della logica e della filosofia della scienza e dell’estetica sperimentale,
con le esperienze pratiche e le ricerche teoriche nel campo della progettazione, della cultura
visiva e della comunicazione.
Persone
Attualmente i componenti dell’unità di ricerca sono:
Emanuele Arielli, Professore Associato di Estetica;
Paolo Garbolino, Professore Associato di Logica e Filosofia della Scienza;
Vittorio Girotto, Professore Ordinario di Psicologia Generale e di Psicologia del Pensiero,
tutti e tre docenti dell’Università Iuav;
Katya Tentori, Professore Associato di Psicologia Generale presso l’Università di Trento;
Laura Fontanari, titolare di un assegno di ricerca presso l’Università Iuav e finanziato
con il progetto PRIN 2010-11 “Problem solving e decisione: aspetti logici, psicologici e
neuroscientifici nell’ambito della giustizia penale”.
I principali collaboratori esterni del gruppo, che hanno negli anni passati partecipato
alle ricerche svolte dall’unità di ricerca, o che stanno attualmente collaborando alle
ricerche in corso sono: Günter Abel (Technische Universität Berlin), Colin Aitken (University
of Edinburgh), Alex Biedermann (Université de Lausanne), Agnés Blaye (Aix-Marseille
Université, Francia), Luca Bonatti (Universitat Pompeu Fabra di Barcellona, Spagna),
Silvia Bozza (Università Cà Foscari di Venezia), Nicola Canessa (Università San Raffaele),
Cinzia Chiandetti (Università di Trento), Vincenzo Crupi (Università di Torino e Ludwig
Maximilians Universität), Florence Dumas (Université Lyon 3, Francia), Donatella Ferrante
Jean Baptiste Marc Bourgery, Nicolas Henri Jacob, Traité complet de l’anatomie de l’homme: comprenant la médicine
opératoire, Tome 3, Pl. 27, C.-A. Delaunay, Paris, 1844
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(Università di Trieste), Elio Franzini (Università di Milano), Michel Gonzalez (CNRS&AixMarseille Université, Francia), Hugo Mercier (Université de Neuchâtel, Svizzera), Telmo
Pievani (Università di Padova), Johnathan Rollison (Queens’ University, Belfast, UK), Lucia
Savadori (Università di Trento), Martin Siefkes (Technische Universität Berlin), Franco Taroni
(Université de Lausanne), Giorgio Vallortigara (Università di Trento).
All’interno dell’area si attivano progetti di ricerca di durata variabile (anche a seconda del
tipo di finanziamento ottenuto), che raccolgono i membri dell’area interessati e possono
coinvolgere ricercatori di altre aree di ricerca Iuav, oltre ai ricercatori di istituzioni esterne.
L’attività dell’unità di ricerca si è concretizzata nel corso degli anni in numerose
pubblicazioni scientifiche e nell’organizzazione di conferenze internazionali presso
l’Università Iuav:
- The origins and function of causal thinking, 13-14 maggio 2004, in collaborazione con
l’Università di Bologna;
- Comunicazione, rappresentazione e decisione, 3 giugno 2005, in collaborazione con
l’Università degli Studi di Trento e l’Università degli Studi di Modena;
- Shadow cognition/La conoscenza dell’ombra, 25 novembre 2005, in collaborazione con
l’Università degli Studi di Padova;
- Causality in the special sciences, 25-27 ottobre 2007, in collaborazione con l’Università di
Bologna;
- Sixth International Conference on Thinking, 21-23 agosto 2008, in collaborazione con
School for Advanced Studies in Venice Foundation e British Psychological Society;
- Vedere la decisione migliore/Seeing the best decision, 11 marzo 2010.
Temi di ricerca e metodi
I temi di ricerca si articolano in due grandi aree:
a) ragionamento e decisione in condizioni di incertezza e rischio;
b) estetica sperimentale.
Entrambe le aree prevedono l’uso del metodo sperimentale, sia sotto forma di esperimenti
di laboratorio che di studi sul campo, nonché l’applicazione di modelli formali e programmi
informatici per il ragionamento probabilistico, in particolare le cosiddette reti Bayesiane.
Per quanto riguarda la prima area, i temi di ricerca sono:
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- lo studio del ragionamento probabilistico intuitivo delle persone non esperte e dei loro processi di
decisione e simulazione mentale;
- l’indagine del pensiero contro e pre-fattuale e dei processi di costruzione di alternative mentali alla
realtà;
- lo studio delle predisposizioni cognitive alle credenze di tipo religioso;
- lo studio dei modelli normativi del ragionamento probabilistico e delle decisioni razionali e la loro
applicazione in campo clinico, economico, giuridico e della comunicazione;
- lo studio della percezione visiva, in particolare la metodologia della fenomenologia sperimentale applicata
allo studio delle qualità espressive.
Tra le principali ricerche attualmente in corso, segnaliamo le seguenti: Vittorio Girotto e Laura Fontanari
stanno conducendo alcune ricerche sperimentali sulle intuizioni probabilistiche in adulti analfabeti membri
di due gruppi etnici Maya in Guatemala; Katya Tentori sta conducendo ricerche sui processi di ragionamento
induttivo e sui modelli formali che li possono rappresentare; Paolo Garbolino ha di recente terminato una
monografia sull’applicazione della teoria Bayesiana della probabilità al ragionamento probatorio giudiziario;
nell’ambito dell’estetica sperimentale, Emanuele Arielli sta conducendo una ricerca nella quale si indaga
come alcuni meccanismi classici della psicologia del giudizio siano presenti anche nelle valutazioni di tipo
estetico.
Obiettivi
Gli obiettivi che l’unità di ricerca intende realizzare attraverso la sua attività, sia sperimentale che teorica,
sono:
- una miglior comprensione di alcune fallacie nel ragionamento probabilistico degli adulti, e delle loro
capacità di comprendere diversi gradi di forza probatoria degli indizi nella revisione della fiducia verso le
loro convinzioni;
- una migliore comprensione delle intuizioni bayesiane nel ragionamento probabilistico dei bambini e degli
adulti analfabeti;
- lo sviluppo di nuovi paradigmi sperimentali per le ricerche sul ragionamento probabilistico umano;
- lo sviluppo di reti bayesiane per l’analisi e il supporto della decisioni giudiziarie;
nuove analisi dei modelli formali della conferma induttiva;
- lo sviluppo di modelli che illustrano i meccanismi cognitivi e affettivi alla base del giudizio di tipo
estetico.
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Contributi
Rappresentazioni interattive
Estetica sperimentale
Problem solving e decisione
Interazioni sonore
Sottigliezze che la scienza non riesce a catturare
RAPPRESENTAZIONI INTERATTIVE
Prospettive dinamiche, immersive, di modelli tridimensionali
esplorabili in stereoscopia e “gesture recognition”
Massimiliano Ciammaichella, Camillo Trevisan
Negli ultimi anni le ricerche da noi svolte hanno visto il coinvolgimento delle unità di ricerca
in Rappresentazione e Interazione dell’Università Iuav di Venezia nell’integrare i metodi e le
tecniche di visualizzazione stereoscopica con strumenti di input e output non convenzionali,
utili alla progettazione e al controllo degli artefatti.
Abbiamo sperimentato e collaudato una configurazione multimodale e multimediale1 che
permettesse la rappresentazione stereoscopica e l’esplorazione dinamica, interattiva, di
modelli digitali 3D di architetture, utile tanto alla rappresentazione e comunicazione, quanto
alla loro progettazione.
In particolare, la sperimentazione si è compiuta sul modello digitale tridimensionale del
Gran Teatro La Fenice di Venezia2, utilizzabile come base geometrica di riferimento per
la costruzione e simulazione di messe in scena esplorabili interattivamente in rete. Al
modello stesso si sono associate informazioni multimediali di varia natura: immagini, video,
animazioni, VR panorama, VR object, suoni, testi.
Le tecnologie tipiche dei video giochi di ultima generazione sono state, quindi, approfondite
e confrontate per estrapolare dallo stato dell’arte3 le procedure più adatte alla resa di una
configurazione multimodale e multimediale a basso costo, che svincolasse l’utente da
ogni forma di inibizione dovuta all’utilizzo di protesi digitali e strumentazioni invasive, nella
convinzione che l’interfaccia ideale debba essere “trasparente”.
Per quanto riguarda i modelli informatici di visualizzazione adottabili, allo stato attuale
la percezione della terza dimensione, insita nel naturale meccanismo della visione, è
riproducibile nei monitor autostereoscopici, nella proiezione stereoscopia attiva e passiva.
Si è optato per quest’ultima4, dato il ridotto affaticamento degli occhi e la possibilità di
Massimiliano Ciammaichella, Scene di Attila, opera messa in scena al Palafenice di Venezia nel 2004. Esplorazione
interattiva in Unreal Engine
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“Esplorazione interattiva di modelli digitali tridimensionali: il caso del Gran Teatro la Fenice di Venezia. Progetto, costruzione
e test di una stazione monoutente stereoscopica multimodale e multimediale”, responsabile dell’unità di ricerca di Venezia:
Camillo Trevisan.
2. Il Dipartimento delle Arti e del Disegno industriale (dADI) dell’Università Iuav, nel 2005 aveva concluso una convenzione
con il Gran Teatro La Fenice di Venezia, che ci ha impegnati nella costruzione del modello digitale 3D del teatro e degli
elementi mobili del palcoscenico. La Facoltà di Design e Arti Iuav, inoltre, aveva attivato con il Teatro stesso una convenzione
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3. Per approfondire si veda:
- M. Ciammaichella, Strumenti di rappresentazione stereoscopica e dispositivi di input non convenzionali in ambienti
immersivi, in “disegnare idee immagini”, n. 33, 2006, pp. 68-79.
- M. Ciammaichella, Strumenti di input e output per l’esplorazione stereoscopica interattiva di modelli 3d, in R. Migliari
(a cura di), Prospettiva dinamica interattiva. La tecnologia dei videogiochi per l’esplorazione di modelli 3D di architettura,
Kappa, Roma 2008, pp. 202-211.
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utilizzare occhiali a bassissimo costo. Contestualmente gli ambienti da esplorare, con i quali
interagire, sono animati da un utente che generalmente si muove al loro interno per mezzo
di dispositivi di input quali mouse 3D, joystick, dataglove, motion controller ecc.
Si sono studiate varie configurazioni, da integrare nel prodotto finale assemblato, in modo
particolare i possibili usi dello schermo autostereoscopico, del mouse 3D e del retina
display, oltre ad approfondire l’inserimento di sensori di posizione e di pressione, sistemi
per la focalizzazione del suono e software di riconoscimento vocale.
«E’ stato messo a punto un software dedicato al riconoscimento del movimento delle mani
dell’utente, basato su due webcam, una posta sopra l’utente ed una alla sua sinistra;
l’uso del software Open Source EyesWeb e lo sviluppo di appositi moduli […]. Il software
è, tra l’altro, in grado di riconoscere la retta definita dal punto di mezzo del segmento
che congiunge gli occhi dell’utente e il suo indice puntato, identificando poi il punto di
intersezione tra la retta stessa e lo schermo. In tal modo è possibile individuare il punto
mirato dall’utente, sia esso appartenente al rettangolo di rappresentazione o sia anche
esterno ad esso»5.
Il naturale approfondimento dello stato dell’arte consisteva, dunque, nella fruizione
completa del modello 3D in rete, anche mediante specifiche postazioni multimediali 3D
considerate tanto come “chioschi multimediali” a disposizione del pubblico, che come
stazioni di lavoro per scenografi e tecnici del settore.
La ricerca proposta ha coinvolto come fruitori dei risultati prodotti il vasto pubblico del
Gran Teatro La Fenice di Venezia, gli scenografi e i tecnici del teatro; considerando inoltre
il modello come luogo geometrico di un database 3D da usare per impieghi disparati: il
progetto di una scenografia o, più in generale, di uno spettacolo; la richiesta di informazioni
storiche e tecniche; fino al controllo dei movimenti delle macchine sceniche, delle luci, dei
cambi di scena e così via.
La predisposizione di modelli tridimensionali di scenografie richiedeva, infatti, una corretta
conversione dei modelli matematici in numerici, importati nel software Cinema 4D R106, sui
quali applicare le texture e gli effetti delle ombre proprie, portate e autoportate, che le luci
producevano sulle superfici una volta sviluppate nel piano. Tale tecnica prende il nome di
%?V]]RdeVcV`dT`aZRaRddZgRUfVgZUV`ac`ZVee`cZ^`_eReZ]|f_`df]]|R]ec`d`_`U`eReZUZ]ecZaVc]Ra`]RcZkkRkZ`_VUV]]R
luce, offrendo la possibilità di direzionare i due fasci luminosi lungo la stessa direzione su piani perpendicolari tra loro.
8]Z`TTYZR]ZZ_U`eRkZ`_VYR__`UVZ]ecZUZa`]RcZkkRkZ`_V]Z_VRcVTYVdVaRcR_`ZW`e`XcR^^ZaVc]|`TTYZ`UVdec`VdZ_Zdec`
ricevendo nelle due lenti le immagini dei videoproiettori corrispondenti.
5. C. Trevisan, Stereoscopia e interfacce naturali nell’esplorazione interattiva di modelli digitali, in R. Migliari (a cura di), op.
cit., p. 171.
6. Cinema 4D: software di modellazione 3D prodotto da Maxon (www.maxon.net).
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texture baking e «prevede la disposizione, nello spazio digitale 3D, di una serie di sorgenti
luminose che interagiscono con i modelli in virtù delle caratteristiche fisiche e materiche.
Generalmente in Cinema 4D, come avviene nei comuni motori di rendering, si associano
delle texture ai vari canali presenti nei materiali, così l’immagine bitmap può descrivere:
una superficie scabra se applicata al Rilievo, può simulare un tracciato geometrico se
attivata nel Colore, può bucare porzioni di superficie se associata al canale Alpha e così
via…, il fine è quello di simulare la materia degli oggetti rappresentati. Sta nell’abilità del
rappresentatore il metro per calibrare opportunamente i parametri, soprattutto se l’effetto
che si vuole raggiungere deve aderire ai canoni della verosimiglianza»7.
Si sono prodotte delle configurazioni spaziali esplorabili su visualizzatori stereoscopici e
monoscopici Open Source e su motori di gioco 3D8.
Queste le specifiche di progetto per la configurazione multimediale finale:
- utilizzo di uno o più PC e altro hardware normalmente reperibile in commercio;
- il costo complessivo della stazione, non superiore ai ventimila euro;
- la stazione è utilizzabile, con modalità completamente interattive e stereoscopiche, da un
solo utente;
- altri utenti possono eventualmente ‘partecipare’ all’esplorazione del modello in modo
passivo;
- permette l’esplorazione interattiva di un modello 3D, mantenendo al minimo la necessità
di uso di hardware da indossare da parte dell’utente, puntando sull’introduzione di sensori
e dispositivi in grado di riconoscere la gestualità e la posizione delle mani, l’orientamento
dello sguardo, la voce dell’utente.
Successivamente, la ricerca si è concentrata sulle interfacce naturali per la genesi e lo
sviluppo della forma nella creazione e nell’esplorazione interattiva degli artefatti9.
Al riguardo, sono state messe a punto varie configurazioni digitali.
Nelle due pagine successive: Massimiliano Ciammaichella, Scene di Didone, opera barocca messa in scena al Gran Teatro La
Fenice di Venezia nel 2007. Esplorazione interattiva in BS Contact Stereo
7. M. Ciammaichella, Tutorial. Trattamento dei modelli 3D per l’esplorazione interattiva, il texture baking in Cinema 4D R10,
in R. Migliari (a cura di), op. cit., p. 212.
8. Si vedano: Bs Contact Stereo (www.bitmanagement.com), Vizard (www.worldviz.com), Cult 3D (www.cycore.com), Unreal
Engine
(www.unrealengine.com).
9. Prin 2008: “Geometria descrittiva e rappresentazione digitale: interfacce naturali per la genesi e lo sviluppo della forma
nel progetto degli artefatti”, responsabile dell’unità di ricerca di Venezia: prof. Agostino De Rosa.
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PARETI DIGITALI
Per il corridoio di ingresso alla sede centrale Iuav ai Tolentini10, è stata predisposta una
parete con proiezioni interattive - costituita da tre videoproiettori da 4500 lumen, che
coprono un’area complessiva di 13.5x3.4 metri - che variano in relazione al numero, alla
direzione e alla velocità delle persone che transitano nel corridoio. Sono previsti otto
illuminatori a luce infrarossa e tre telecamere a infrarossi a 480 linee, dotate di obiettivi
Pareti digitali, Corridoio di ingresso della sede Iuav ai Tolentini, Venezia 2010
11. Il riconoscimento di posizione e velocità di spostamento delle persone che transitano nel corridoio di ingresso della
storica sede Iuav, prevede la proiezione di immagini sulla parete. Il prototipo è stato sviluppato da Camillo Trevisan con
Malvina Borgherini, Debra Werblud, Giovanni Scurria, Alessandro Forlin.
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grandangolari che coprono ciascuno un angolo di campo diagonale di 85°. Le tre telecamere sono disposte
in modo tale da sovrapporre parzialmente i loro campi di copertura. Le immagini sono inviate a un software
di riconoscimento in tempo reale delle sagome delle persone che percorrono il corridoio (per questa sezione
si è scelto il framework VVVV, un freeeware utile nel campo dell’interaction design e visual interaction). Un
apposito software (scritto in Delphi Pascal) effettua alcune rilevazioni ogni decimo di secondo:
- restituisce le posizioni dei centri a terra delle sagome delle persone individuate, trasformandole in un solo
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sistema di riferimento, da coordinate ‘lastra’ a coordinate ‘pavimento’;
- individua le stesse persone presenti in più di un’inquadratura;
- analizzando sequenze di 5 consecutive serie di dati, individua le persone temporaneamente
‘nascoste’ da altre e quelle momentaneamente non riconosciute;
- calcola la velocità e la direzione di spostamento di ciascuna persona;
- in funzione di regole predeterminate, definisce le modalità di interazione e
rappresentazione;
- trasmette via rete, ad un software scritto in VVVV e posto su un secondo PC, le
Muoviti con la ricerca, ingresso della sede Iuav ai Tolentini, Venezia 2011
12. Interazione ottenuta mediante Microsoft Kinect. Esempi di immagini proiettate nella bussola di ingresso al chiostro della
sede Iuav ai Tolentini, Venezia. Prototipo sviluppato da Camillo Trevisan e Giovanni Scurria.
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informazioni calcolate affinché siano tradotte in immagini da inviare ai videoproiettori.
La configurazione si avvale pertanto di due PC in rete: uno è collegato alle telecamere e
identifica le sagome delle persone ed elabora le informazioni, l’altro genera le immagini da
proiettare e controlla i tre videoproiettori.
MUOVITI CON LA RICERCA
Questa installazione12 è stata progettata per l’interazione contemporanea tra più utenti,
mirando alle relazioni di collaborazione-competizione che vengono a crearsi tra i fruitori.
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Il tema scelto riguarda la ricerca universitaria nazionale. L’obiettivo della comunicazione
era quello di far prendere coscienza della condizione della ricerca italiana, messa in
relazione a quella europea e mondiale e, attraverso il gioco e l’interazione, sviluppare un
pensiero critico nei visitatori. L’installazione è stata inserita nel programma de “La notte del
ricercatore 2011” , una manifestazione nazionale sul tema della ricerca universitaria che
coinvolge tutti gli atenei italiani.
Lo spazio assegnato all’installazione era una zona di passaggio, l’ingresso al chiostro della
sede dell’Università Iuav dei Tolentini a Venezia.
Esempi di Gesture 3D applicati a comandi di navigazione interattiva (controllo di sei gradi di libertà)
13. Per la gesture 3D in alto a sinistra, si veda anche: Gesture 3D per la definizione della giacitura di un sistema cartesiano
e il controllo di sei gradi di libertà: tre rotazioni e tre traslazioni lungo gli assi cartesiani, brevetto internazionale 2301/2012
depositato a Berna (CH) da Camillo Trevisan l’8 novembre 2012.
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In questo caso, il problema principale da risolvere era quello dell’identificazione del gesto
volontario, separandolo dalle sagome delle molte persone che transitavano continuamente
davanti o dietro l’utente (o gli utenti).
NAVIGAZIONE DI IMMAGINI 2D AD ALTA RISOLUZIONE
L’obiettivo di questa configurazione digitale è stato quello di sperimentare gesture 3D13
che simulano le normali gesture 2D14 abitualmente usate negli smartphone, per il Pan,
lo Zoom e lo scorrimento di immagini. In questo caso, infatti, l’utente interagisce con
Esempi di gesture 2D per funzioni ‘classiche’ del CAD
"%DZgVURR_TYV+4EcVgZdR_5VdTcZkZ`_VUZecVT`_XfcRkZ`_ZUZXZeR]ZfeZ]ZaVc]RcRaacVdV_eRkZ`_VV]|Z_eVcRkZ`_VT`_
modelli digitali 3D. In: AAVV, Geometria descrittiva e rappresentazione digitale Memoria e Innovazione - volume secondo, p.
235-252, Kappa, Roma 2012.
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schermi o proiezioni molto grandi e comunque non dotati di sistemi multitouch. I problemi
da risolvere consistevano sia nel fornire un solido feedback visivo all’utente, che in realtà
non ‘tocca’ nessuna superficie e pertanto non può disporre di nessun feedback tattile, sia
nella semplificazione assoluta dei gesti, pur mantenendoli ben riconoscibili dal sistema e
comunque non ambigui.
I test effettuati su un piccolo campione di persone hanno messo in evidenza alcune
questioni relative alla comprensione d’uso della gesture (nonostante sia ormai ben noto
il meccanismo su schermi touch), e al disagio provato dall’utente nell’espletare il gesto
che, nella percezione del movimento, viene avvertito come simulazione del “nuotare” o del
“volare”.
Il sistema, quindi, è stato progettato per registrare la posizione iniziale della gesture e in
base a quella, calcolare lo zoom-IN/OUT continuo, attraverso lo spostamento delle mani che
si avvicinano o si allontanano tra loro. In più è stato aggiunto alla gesture un carattere di
dinamicità, in base alla grandezza dello spostamento: lo zoom avrà un’animazione lenta se
in base alla registrazione dei punti iniziali lo spostamento è minimo, via via sarà più veloce
in maniera direttamente proporzionale all’accelerazione della mozione stessa.
Con lo stesso concetto di funzionamento si è affrontata la gesture 3D per la traslazione
derivata dalla gesture “drag to move”.
GESTURE 2D/3D PER LA NAVIGAZIONE INTERATTIVA E L’EDITING DI MODELLI
TRIDIMENSIONALI
È stata messa a punto e brevettata una gesture 3D utile per il controllo di sei gradi di
libertà15.
La gesture 3D è identificata dalla postura specifica di tre dita di una mano (sia essa la
destra o la sinistra), tese e disposte perpendicolarmente l’una all’altra a identificare i tre
assi di un sistema cartesiano di riferimento.
In particolare:
- il pollice puntato verso l’alto indica la direzione positiva dell’asse verticale del sistema di
riferimento;
15. Al riguardo si vedano anche:
- http://airccse.org/journal/ijaia/papers/3412ijaia12.pdf
- http://www.cs.rutgers.edu/~vladimir/pub/pavlovic97pami.pdf
- http://airccj.org/CSCP/vol2/csit2320.pdf
- http://www.ics.forth.gr/~zabulis/2009_06_book_hci_gestures.pdf
- http://cs-people.bu.edu/athitsos/publications/athitsos_cvpr2004.pdf
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- l’indice puntato in avanti indica la direzione positiva di un asse orizzontale;
- il medio puntato lateralmente indica la direzione positiva (mano sinistra) o negativa (mano
destra) dell’altro asse orizzontale.
Tale gesture consente il controllo, simultaneo e/o individuale, di sei gradi di libertà (tre
rotazioni e tre traslazioni), utile tra l’altro a definire i movimenti della camera virtuale di
rappresentazione di un modello digitale 3D.
Possibili altre applicazioni d’uso riguardano, ad esempio, la robotica e il controllo remoto
dei movimenti di apparecchiature e/o veicoli.
La gesture, rispetto ai tradizionali movimenti del corpo o delle mani, presenta vari vantaggi:
1. Controllo completo, simultaneo e/o individuale, dei movimenti della camera virtuale
di rappresentazione di un modello digitale 3D mediante sei gradi di libertà, tre rotazioni
attorno ai tre assi cartesiani e tre traslazioni lungo i tre assi.
2. Uso di una sola mano, indifferentemente la mano destra o la sinistra, rendendo in tal
modo pienamente disponibile la gesture 3D anche per i mancini.
3. Necessità di un ridotto spazio di manovra, tipicamente inferiore al metro.
4. Possibilità d’uso anche restando seduti e nelle immediate vicinanze del monitor.
5. Disponibilità d’uso dell’altra mano per manovrare il mouse o la tastiera, o per impartire
altri comandi mediante ulteriori gesture 3D effettuate con l’altra mano.
6. La gesture 3D è identificata da una postura chiara e univoca, essendo facilmente
rilevabile anche se le dita non sono perfettamente distese e ortogonali tra loro. E’ semplice,
naturale e immediatamente relazionabile ai movimenti da indicarela sua, impostazione e
terminazione è facile e rapida.
Inoltre, sono state messe a punto anche gesture 2D utili per la creazione e l’editing di
modelli 3D.
- http://cs-people.bu.edu/athitsos/publications/athitsos_cues2001.pdf
- http://reference.kfupm.edu.sa/content/v/i/vision_based_gesture_recognition__a_revi_291732.pdf
- http://www.ampublisher.com/Mar%202012/IPCV-1203-015-Hand-Gesture-Modeling-Recognition-Geometric-FeaturesReview.pdf
- http://cs.anu.edu.au/student/projects/11S2/Reports/Jianming%20Guo.pdf
- http://cg.cs.uni-kl.de/~denker/publications/pdf/muc12.pdf
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ESTETICA SPERIMENTALE
L’incontro interdisciplinare tra arte, design e i
metodi empirici della psicologia
Emanuele Arielli
L’applicazione di metodi e contenuti della ricerca psicologica, nell’allora Facoltà di Design
e Arti era, già stata sintettizata nel 2003 nella monografia Pensiero e progettazione1. In
essa le scienze cognitive, il design, le tematiche progettuali ed estetiche, venivano messe
in contatto illustrando lo stato dell’arte di questo ricco crocevia e suggerendo i potenziali
percorsi di ricerca futuri. Tra questi percorsi, il filone su cui si concentra la produzione degli
ultimi anni è quello dell’applicazione di metodi sperimentali all’analisi del giudizio estetico:
la cosiddetta “estetica sperimentale”.
L’estetica è già stata dalla fine del XIX sec. oggetto di interesse da parte di sostenitori
di metodologie empiriche. Gustav Fechner fu il fondatore dell’estetica sperimentale
moderna, sviluppando un ambizioso programma di ricerca dei fattori del “bello” per mezzo
di osservazioni controllate, con lo scopo di individuare leggi generali del giudizio estetico.
Anche la psicologia della forma ha avuto sviluppi in direzione della psicologia dell’arte in
autori come Ernst Gombrich e Rudolf Arnheim.
Questo settore di ricerca si è evoluto con una certa intensità fino ai primi decenni
del ventesimo secolo, per poi perdere in seguito centralità a causa di varie difficoltà
metodologiche e teoretiche. Successivamente l’estetica sperimentale si è sviluppata
in modo sotterraneo non più nell’ambito della fruizione artistica, bensì in quello delle
ricerche sul design, del prodotto e della comunicazione di massa. In ciò era evidente la
consapevolezza di una complessità dell’esperienza estetico-artistica che la ricerca di
laboratorio non poteva cogliere nemmeno in modo approssimativo.
Le metodologie in questo settore si sono diramate successivamene in varie direzioni, alcune
più quantitative, altre più qualitative ed “ecologiche”, che tenessero conto sia dei principi
generali dei nostri meccanismi percettivi, cognitivi ed affettivi, ma anche di variazioni dovute
a fattori culturali, demografici e individuali. In tal senso l’estetica sperimentale costituisce
un utile punto di osservazione sulla complessità dei fenomeni cognitivi, percettivi ed
affettivi, anche se può essere d’interesse anche per lo studioso tradizionale di estetica e
critica d’arte.
Di recente, l’interesse per questo tema, si è rivitalizzato grazie all’avvento della cosidetta
neuroestetica.
Quest’ultima è una conseguenza della generale espansione in vari settori disciplinari
dell’approccio neurobiologico sullo studio del comportamento umano. L’entusiasmo per
questo approccio tuttavia fa dimenticare una notevole varietà nella tradizione sperimentale
E. Arielli, La mente estetica. Introduzione alla psicologia dell’arte, Mimesis, Milano 2012
1. E. Arielli, Pensiero e Progettazione. La psicologia cognitiva applicata al design, Bruno Mondadori, Milano 2003.
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ed empirica in campo estetico. Sul piano del metodo, infatti, convivono diversi approcci,
ognuno dei quali illustra un punto di vista epistemologico differente.
Anche gli ambiti di applicazione variano: si va dall’uso di stimoli estetici molto semplici
per esperimenti da laboratorio, allo studio di oggetti di consumo e design, fino ad artefatti
architettonici, alle opere d’arte. In particolare le arti visive, architettoniche e la musicologia,
possono vantare già una tradizione piuttosto ampia di analisi empiriche sulle preferenze
umane.
OBIETTIVI DI RICERCA
Nell’ambito dell’attività presso le unità di ricerca in Interazione e Scienze cognitive
dell’Univeristà Iuav di Venezia, gli obiettivi in questo ambito sono due.
Il primo è quello di offrire una ricognizione storico-critica adeguata della tradizione
dell’estetica sperimentale, soprattutto in un periodo, quello attuale, in cui l’interesse per
questa disciplina sta rinascendo grazie al contributo delle neuroscienze. Il secondo obiettivo
consiste nello sviluppo di studi sperimentali specifici, in parte attraverso lavori progettuali
assegnati durante l’attività didattica, e in parte condotti con la collaborazione, nel biennio
2011-2013, con il dott. Martin Siefkes, ricercatore dell’Università Tecnica di Berlino e ospite
di Iuav nello stesso bienno grazie al sostegno della Fondazione Alexander von Humboldt.
In seguito ad un volume già uscito nel 2012 (La Mente Estetica), attualmente è in
preprarazione la pubblicazione di un testo introduttivo sulla storia degli approcci empirici
all’estetica e di una loro discussione critica.
L’argomento è tornato vivo negli ultimi anni, ma in Italia manca un’introduzione comprensiva,
come invece accade altrove: per esempio, in ambito tedesco, i testi di C. Allesch, Einführung
in die psychologische Ästhetik, 2006, o di G. Kebeck e H. Schroll, Experimentelle Ästhetik,
2011, in inglese The Psychology of Art Appreciation, a cura di B.S. Funch, 1997.
Di recente, i congressi dell’International Association of Empirical Aesthetics, e le
pubblicazioni della rivista Empirical Studies of the Arts, hanno contribuito alla rinascita
dell’interesse per questo tema.
Il testo, insieme alla pubblicazione del 2012, pur approfondendo aspetti teoretici ed
epistemologici, ha lo scopo di rendere accessibile questo argomento a coloro che lavorano
e studiano nell’ambito del design, della progettazione e delle arti, ma anche a chi vuole
conoscere lo stato attuale delle metodologie e dei risultati della ricerca sperimentale.
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ESTETICA SPERIMENTALE: TRADIZIONE E STATO DELL’ARTE
Una prima trattazione storico-critica del tema è stata condotta nella monografia La mente
estetica del 20122. Lo sviluppo dell’estetica empirista e sperimentale segue la nascita e
l’avvicendarsi delle varie fasi che hanno portato la psicologia ad affrontare i suoi oggetti
di analisi e i suoi problemi di metodo. Pur essendoci riferimenti programmatici in autori
classici dell’estetica filosofica come Hume e Kant verso una disciplina che si occupi
sperimentalmente del bello e dell’estetico, restarono più che altro dichiarazioni di intenti o
suggerimenti che nessun filosofo tradizionale pensò di cogliere e approfondire nel concreto.
La psicologia ha tardato a svilupparsi come scienza sperimentale, rispetto a discipline come
la biologia, la chimica o la fisica. La sua nascita è datata 1879, anno di istituzione del primo
laboratorio di psicologia a Lipsia da parte del fisiologo Wilhelm Wundt.
Le ragioni di tale ritardo sono duplici: la prima è, paradossalmente, legata al fatto che fare
“psicologia” è qualcosa di quotidiano. Ogni volta che le persone parlano dei propri desideri
o dei motivi del perché hanno fatto qualcosa, oppure pettegolano attorno ad un tavolo sulle
ragioni del comportamento di un conoscente, esse stanno facendo psicologia. In modo
simile, il discorso estetico quotidiano è qualcosa che ognuno pratica costantemente al di
là della propria formazione, senza necessariamente richiedere metodi di verifica per i propri
giudizi o essere dei critici di professione.
Un’altra difficoltà per la psicologia come oggetto scientifico di studio è stata la natura
stessa di ciò che c’è da osservare, i processi mentali e psichici, che non sono visibili e
tangibili se non con un’osservazione indiretta o per mezzo dell’introspezione.
I metodi di analisi di Wundt (e di alcuni suoi allievi) si basavano sull’uso controllato
dell’introspezione, ovvero del “guardare dentro se stessi”, registrando e protocollando,
quasi come osservatori neutrali, i processi psichici in atto dentro di sé. Dopotutto, non
sembrava esserci altra via di accesso diretta ai processi mentali se non il veder dentro in
prima persona. Nemmeno questa via è libera da trappole e pericoli, in quanto il processo
introspettivo modifica i contenuti mentali i quali, a loro volta, non sono necessariamente
trasparenti all’osservazione soggettiva.
Con il lavoro di uno dei fondatori della psicologia sperimentale, Gustav Theodor Fechner
(1801-1887), si ha il primo tentativo sistematico di una scienza empirica dell’estetica.
La prima osservazione empirica sulle reazioni di fronte alle opere d’arte fu condotta da
2. E. Arielli, La Mente Estetica. Introduzione alla psicologia dell’arte, Mimesis, Milano 2012. La sezione seguente è tratta in
parte da questa fonte.
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Fechner in occasione dell’esposizione di due versioni della Madonna di Hans Holbein il
Giovane (1497-1543) al museo di Dresda.
In quel contesto era in corso una polemica per quanto riguardava l’autenticità o precedenza
cronologica di almeno uno dei due quadri. Metodi empirici, critici e storiografici si erano
dimostrati incapaci di risolvere la questione: Fechner non era interessato alla questione
dell’autenticità, ma approffitò del dibattito per studiare una questione diversa, quella della
preferenza estetica.
Nonostante il fatto che alcuni autori avessero notato che i metodi utilizzati da Fechner
fossero meno elaborati rispetto a quelli utilizzati nei suoi esperimenti di psicofisica, vi è
un ampio consenso sul fatto che la sua più grande innovazione in questo ambito fosse
comunque di natura metodologica3. Egli si dedicò allo studio sperimentale degli effetti
estetici delle proporzioni e delle forme geometriche, in particolare l’analisi empirica
della sezione aurea e della sua validità estetica, pubblicando i suoi risultati nel trattato
Sull’estetica sperimentale (“Zur experimentalen Aesthetik”) nel 1871. Nel 1876, pubblicò
l’opera più nota, gli Elementi di Estetica (Vorschule der Aesthetilk), che diventò un vero e
proprio manifesto ideologico dell’estetica sperimentale, in cui si dichiarava guerra aperta
agli approcci deduttivi e aprioristici dell’estetica filosofica tradizionale, che egli definiva
“giganti dai piedi d’argilla”. Nella prefazione di quest’opera, che costituisce una sintesi
dei suoi lavori (Fechner aveva 75 anni quando fu pubblicata), egli sostenne la necessità di
fondare una nuova estetica “dal basso”, ovvero dall’analisi dettagliata e sperimentale delle
componenti elementari del giudizio estetico e percettivo.
Per quanto egli non fosse così radicale da proporre una sostituzione programmatica
dell’estetica tradizionale da parte di quella sperimentale, tuttavia riteneva che il percorso
più produttivo per la disciplina fosse partire dal particolare ambito delle analisi di dettaglio
(la risposta estetica, per esempio, di fronte a forme e stimoli elementari) per poi aumentare
la complessità degli oggetti d’indagine, risalendo progressivamente verso l’alto, ovvero
verso gli oggetti estetici reali e le opere d’arte.
Fechner sviluppò tre metodi psicofisici per l’indagine empirica dei giudizi estetici. In
primo luogo, il metodo della scelta consisteva nel chiedere ai soggetti di confrontare la
piacevolezza di un certo numero di oggetti e indicare le loro preferenze. Diverse varianti
di questo metodo hanno dominato l’estetica sperimentale sin dalla sua nascita, come per
esempio il metodo di indicare l’oggetto più piacevole e quello meno piacevole di un gruppo.
3. C.C. Pratt, “Aesthetics”, Annual Review of Psychology, 12, pp. 71-92, 1961.
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In secondo luogo, egli introdusse il metodo della produzione, in cui i partecipanti erano
tenuti a produrre, mediante il disegno o la manipolazione di alcuni dispositivi, un oggetto
secondo il loro gusto o gradimento. Per esempio con questo metodo è possibile determinare
quale proporzione tra due segmenti o lati di un poligono è quella che il soggetto ritiene più
armoniosa o esteticamente preferibile.
Infine, Fechner descrisse il metodo applicativo che consisteva nell’esame di opere d’arte
o di artefatti quotidiani e nell’osservazione della frequenza con cui determinate forme o
configurazioni erano presenti nelle rappresentazioni, immagini e disegni di uso comune. La
premessa di base di questo terzo metodo è che le caratteristiche più frequenti e di larga
scala siano anche quelle preferite dal gruppo sociale che le ha originate, e quindi siano
utilizzate in varie forme rappresentative.
A partire da queste innovazioni metodologiche e dal principio dell’analisi “dal basso”, molti
esperimenti in estetica hanno utilizzato come stimoli per lo più materiali semplici: colori,
forme geometriche o suoni isolati. Questo tipo di stimoli aveva il vantaggio di consentire
lo studio delle reazioni in un rapporto diretto di causalità tra oggetto e preferenza estetica.
Tuttavia, questa metodologia allontanava la ricerca dalle questioni estetiche legate alla
fruizione di oggetti d’arte reali.
Col tempo le procedure progettate per ottenere e registrare le preferenze estetiche dei
partecipanti si sono moltiplicate e sono diventate più varie. Ad esempio certi studi hanno
utilizzato il metodo dell’ordinamento, in cui si richiede ai partecipanti di ordinare una serie
di oggetti in base alla loro preferenza. Un altro metodo popolare è il confronto a coppie,
in cui gli oggetti sono presentati due a due. I partecipanti sono invitati ad indicare quale
dei due elementi preferiscono, per poi passare alla valutazione successiva. Infine uno dei
metodi più comuni utilizzati nell’estetica empirica è quello di chiedere ai partecipanti di
scegliere un valore su una scala che rappresenta il loro grado di preferenza o piacevolezza
per ciascun oggetto presentato.
Nel suo Elementi di Estetica, Fechner sintetizza il risultato delle sue variegate ricerche
in un insieme di criteri che egli chiama “principi della piacevolezza estetica”. Si tratta di
un insieme di caratteristiche che in parte riprendono concezioni di armonicità estetica
tradizionali, ma che Fechner riteneva in parte di aver “dimostrato” sperimentalmente
e la cui esplicitazione avrebbe avuto lo scopo di offrire un percorso programmatico per
le future ricerche, in particolare per quanto riguarda i principi meno indagati e ancora
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aperti all’osservazione empirica. Dopo l’avvento del comportamentismo skinneriano, la
psicologia aveva abbandonato le aree di indagine che risultavano ecccessivamente oscure e
soggettivistiche da non permetterne un’indagine sperimentale, e in essa era inclusa anche
l’esperienza estetica, nonostante i tentativi di Fechner e dei gestaltisti. Nel suo sostanziale
divieto contro il “mentalismo”, il comportamentismo scelse la strada di una specializzazione
nell’analisi dei rapporti tra “stimolo” e “risposta” che tuttavia non tardò a manifestare i suoi
limiti nella spiegazione di fenomeni mentali complessi, in cui l’intervento di fattori interni
dell’organismo doveva essere chiamato in causa.
A questo proposito, è interessante notare come la produzione bibliografica su temi di
estetica sperimentale e psicologia delle arti, fatta eccezione per le correnti psicoanalitiche,
si sia fortemente ridotta nel dopoguerra. Anche la nascente psicologia cognitivista vedeva
come aree di maggiore interesse le funzioni centrali della mente umana come la percezione,
l’attenzione, la memoria, il ragionamento, mentre considerava come più complesso
l’approccio sistematico alla dimensione motivazionale ed affettiva, per non contare
tematiche ambigue come l’esperienza estetica. Ciònondimeno ci fu un lento e progressivo
sviluppo degli studi psicologici delle arti, molto spesso non interessati a una teorizzazione
generale, ma per lo più suddivisi nell’analisi di ambiti specifici, come la psicologia della
musica, la psicologia della letteratura o dell’architettura. L’approccio psicoanalitico all’arte
e la teorizzazione gestaltista non venivano considerate dalla psicologia accademica come
veri contributi scientifici sul modello delle scienze naturali, non essendo basati sul metodo
sperimentale, ed è su questa presunta mancanza che s’inserì il contributo di Daniel E.
Berlyne (1924-1977)4, fautore della new experimental aesthetics, descritta come un
approccio “neo-comportamentale” al problema estetico. Il prefisso “neo” è dovuto al fatto
che Berlyne, lavorando a cavallo degli anni ’60 e ’70, s’inseriva già nel periodo di prepotente
diffusione del cognitivismo. Tuttavia il suo approccio restava behavioristico in quanto egli
considerava l’esperienza estetica come un tipico esempio di reazione comportamentale nei
confronti di stimoli esterni. La differenza con il comportamentismo classico consisteva nel
fatto che tali reazioni dipendevano, secondo Berlyne, da stati specifici interni (motivazionali)
dell’osservatore, nonché dal contesto in cui l’oggetto veniva fruito.
La teoria di Berlyne da un lato si concentra sugli stati fisiologici ed emozionali del soggetto
di fronte allo stimolo estetico, dall’altro tenta una descrizione in termini di principi
generali delle caratteristiche che rendono uno stimolo degno di attenzione estetica,
4. D.E. Berlyne, Aesthetics and Psychobiology, New York: Appleton- Century- Crofts, 1971; D.E. Berlyne, “The new
experimental aesthetics”, in D.E. Berlyne (a cura di), Studies in the new experimental aesthetics, 1974.
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come la complessità o la novità. La questione fu raccolta da approcci più generali che
tenevano conto della complessità delle facoltà umane, del ruolo delle sue esperienze,
abitudini e conoscenze, superando un modello ancora troppo rozzo di relazione “stimolorisposta”, incapace di creare un ponte tra l’osservazione empirica su stimoli elementari
e di natura meramente sensoriale con il giudizio estetico reale. Gli studi più ambiziosi
condotti da cognitivisti rivolti all’esperienza estetica hanno cercato di sviluppare una teoria
scientificamente completa che descrivesse i processi psicologici coinvolti in essa. Uno
dei più importanti rappresentanti di questo approccio è Helmut Leder (1963), attivo presso
l’Università di Vienna.
Secondo il modello sviluppato da Leder e colleghi5, la sfida posta da un’opera arte consiste
in generale nello stimolare il connaturato bisogno di comprensione della mente umana.
L’assunto dell’esistenza di questo bisogno cognitivo permette lo sviluppo di modelli
esplicativi che non si basano più solo sulla piacevolezza formale e sensoriale di uno stimolo
estetico, ma che possono includere anche forme di arte concettuale e astratta. L’esperienza
estetica diventa il prodotto di un’elaborazione complessa di informazioni, secondo un
classico paradigma cognitivista. Il modello di Leder, uno dei più completi e discussi in
questo settore della psicologia applicata all’estetica, descrive cinque fasi principali: analisi
percettiva, classificazione esplicita, classificazione implicita, padronanza cognitiva e
valutazione.
Vengono inoltre distinti, separandoli, emozione estetica e giudizi estetici, considerandoli
come due tipi differenti di “output” generati dalla mente umana.
L’obiettivo di un tale modello è il superarmento dei limiti insiti negli approcci sperimentali
tradizionali, come la trattazione di Fechner, che non riuscivano ad andare oltre ad analisi
astratte su stimoli artificiali e di natura puramente sensoriale, ignorando il dominio delle
opere d’arte reali. In tal senso il tentativo moderno degli studiosi di estetica cognitiva è
quello di sviluppare modelli che vadano al di là della natura “interessante” di uno stimolo
percettivo. Le ricerche cognitiviste tendono a utilizzare l’arte come campo di prova dei
modelli della mente umana e dei processi cognitivi. Difatti autori come Leder ammettono
che tali modelli esplicativi non siano specifici per l’arte in senso stretto, ma sono trasferibili
in altri ambiti, come i fenomeni di attraenza fisica, cioè la bellezza del volto e del corpo
umano, o l’impatto estetico di spazi, naturali o architettonici, o di artefatti di design
industriale.
5. H. Leder, B. Belke, A. Oeberst & D. Augustin, “A model of aesthetic appreciation and aesthetic judgements”, British
Journal of Psychology, 95, 2004, pp. 489-508.
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A partire dalle riflessioni di Semir Zeki (1999)6, le neuroscienze hanno cominciato a
considerare l’arte e l’esperienza estetica come un vasto campo di applicazione per l’indagine
scientifica del cervello umano7. La “neuro-estetica”, un termine coniato dallo stesso Zeki,
si riferisce allo studio delle basi neuronali e fisiologiche dell’esperienza estetica. Sempre
secondo Zeki, inoltre, un artista è un soggetto che si concentra su avvenimenti ordinari
con una profondità fuori dal comune, e realizza qualcosa che ha un impatto emozionale per
altri soggetti, per lo più per mezzo di oggetti di natura sensoriale (Leder, Belke, Oeberst e
Augustin, 2004, op. cit.; Kawabata e Zeki, 2004; Chatterjee, 2011)8. Negli ultimi due decenni
l’approccio scientifico e sperimentale verso l’estetica è stato al centro dell’attenzione dei
neuroscienziati, tanto che oggi il termine “neuro-estetica” è considerato, non senza un
eccesso di clamori entusiastici, come il punto di approdo dell’approccio scientifico all’arte
e all’esperienza estetica, destinato per alcuni sostenitori a limitare il ruolo delle classiche
trattazioni filosofiche, psicologiche e sociologiche sul tema. Si tratta di un fenomeno che si
accompagna al generale entusiasmo verso le neuroscienze, rese possibili anche da specifici
sviluppi di natura tecnologica, come gli strumenti di magneto-risonanza, in grado di fornirci
uno sguardo diretto dei processi interni della “scatola nera” cerebrale.
Il progresso degli ultimi due decenni ha fatto sorgere differenti proposte di integrazione
disciplinare in cui il contributo delle neuroscienze sembra preludere all’inevitabile confluire
di tutte le scienze umane nello studio del cervello: neuro-etica, neuro-economia, neuropsicologia sociale, e così via. L’analisi quantitativa e qualitativa dei dati relativi all’attività
cerebrale permetterebbero interessanti intuizioni neuropsicologiche sulle caratteristiche
emotive e razionali dell’esperienza estetica. Gli studi attuali sono integrati con la
collaborazione di approcci più maturi, come le scienze cognitive, per mezzo di esperimenti
che non si limitano alla mera osservazione dei fenomeni con la fMRI (risonanza magnetica
funzionale), la misura dell’ERP (potenziale evento-correlato) e la stimolazione magnetica
transcranica, ma cercano di usare le osservazioni neuropsicologice come supporto per
ricerche di carattere tradizionale: si parla in tal caso di neuroscienze cognitive.
La popolarità della neuroestetica, qui brevemente descritta, ha avuto il merito di riportate
all’attenzione i temi dell’estetica sperimentale. Si pensi per esempio alla recente (2013)
costituzione di un intero istituto di ricerca del Max Planck a Francoforte su questo tema.
6. Zeki, S., “Art and the brain”, Journal of Consciousness Studies 6, pp. 76–96, 1999; Zeki, S., Inner Vision. An Exploration of
Art and the Brain, Oxford University Press, Oxford 1999, (La visione dall’interno. Arte e cervello, Bollati, Torino 2007).
7. Per un’ampia introduzione si veda: C. Cappelletto, Neuroestetica: L’arte del cervello, Laterza, Roma 2009.
8. H. Kawabata, S. Zeki, “Neural correlates of beauty”, Journal of Neurophysiology, 91, 2004, pp. 1699-1705; A. Chatterjee,
“Neuroaesthetics: a coming of age story”, Journal of Cognitive Neuroscience,23 (1), 2011, pp. 53-62.
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Da un altro punto di vista, la tendenza recente è stata quella di assimilare le problematiche
dell’estetica sperimentale alle sole neuroscienze, dimenticando sia la ricca tradizione di
studi sviluppatasi a partire da Fechner, sia gli approcci alternativi di natura cognitivista. La
dominanza dell’approccio neuroscientifico costituisce inoltre un ulteriore problema per la
diffusione di questo approccio a soggetti direttamente interessati al tema, quali gli studenti
e gli studiosi di arti e design, ma estranei ai tecnicismi talvolta eccessivi delle neuroscienze.
Uno degli obiettivi di ricerca che qui vengono proposti, infatti, è quello di rendere disponibile
per coloro che studiano o ricercano nell’ambito delle arti gli aspetti salienti dell’estetica
sperimentale, cercando di superare la tradizionale separazione tra approccio umanistico
e scientifico su un tema di centrale rilevanza. Un passo per raggiungere questo obiettivo
è, come si è brevemente detto, offrire una ricostruzione storica-critica dei vari approcci
empirici all’estetica. L’altro consiste nello sviluppo di studi sperimentali di estetica
accessibili allo studente e al ricercatore in arti e in design.
INTEGRAZIONE DELLA RICERCA NELL’ATTIVITÀ DIDATTICA
Un obiettivo centrale del lavoro di ricerca qui presentato consiste nel superamento
della separazione tradizionale tra estetica filosofica e studi di percezione e psicologia
sperimentale orientata ai temi di estetica. Per il curriculum dei corsi di Laura in Arti e
Design il lavoro condotto negli ultimi anni in questo ambito ha offerto la possibilità di
acquisire “attrezzi di lavoro” non eccessivamente tecnici usando approcci empirici, oltre a
permettere la comprensione della letteratura sulle ricerche sperimentali in estetica o in
generale in psicologia della percezione e farne tesoro nella propria formazione.
Nell’ambito del corso di Psicologia della Percezione sono stati assegnati semplici lavori
sperimentali con gli studenti della specialistica. L’obiettivo primario è stato quello di offrire
uno sguardo dall’interno sui metodi e i problemi della ricerca empirica, senza la pretesa di
far diventare gli studenti degli specialisti nella materia. I designer e gli specializzandi nelle
arti visive hanno in tal modo appreso metodologie semplici per verificare in modo empirico
intuizioni o ipotesi di natura percettivo-estetica rilevanti per la loro formazione.
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STUDI SUL GIUDIZIO ESTETICO
L’approccio sviluppato nell’ambito dell’Unità di Ricerca Interazione e Cognizione
rappresenta un’alternativa agli studi più strettamente neuropsicologici che ultimamente
vengono considerati come la metodologia dominante nell’indagine estetica sperimentale.
L’esperienza estetica può essere descritta come un insieme di giudizi in cui vengono
coinvolti in modo vario i processi cognitivi. In particolare si parte dalla constatazione che
la valutazione estetica consista in una valutazione in parte assimilabile ai giudizi di utilità
e scelta studiati a fondo dalla psicologia cognitiva negli ultimi decenni. La psicologia del
giudizio e della decisione si è focalizzata infatti sull’osservazione delle preferenze e delle
valutazione di utilità dei soggetti, toccando un ambito di ricerca molto affine alle discipline
economiche. Il giudizio estetico è una forma analoga di manifestazione di preferenze e
di attribuzione di valore. Un’ipotesi di base è dunque che tale giudizio sia soggetto agli
analoghi fenomeni di distorsione, bias e influenza da parte di fattori contestuali ampiamente
studiati nella psicologia cognitiva (cfr. Kahnemann, 2012).
Questa ipotesi si concretizza nell’intento programmatico di indagare se i giudizi estetici
subiscano fenomeni analoghi di influenza e distorsione come nei tipici processi di giudizio e
decisione.
Un primo risultato di questo programma di ricerca è lo studio di E. Arielli, “Contrast and
assimilation in aesthetic judgment of visual artworks”9. Lo studio si è occupato di una
questione centrale nei processi di valutazione estetica in presenza di influssi contestuali:
quando valutiamo il valore estetico di un artefatto, non analizziamo solo le caratteristiche
inerenti ai suoi aspetti sensoriali, storici, simbolici o culturali. Implicitamente operiamo
anche confronti con altri artefatti. Lo studio dei confronti nel processo valutativo è un tema
centrale in psicologia, dal momento che è noto come la presentazione di alternative in una
scelta, il loro ordine, aspetto e numero, sono fattori contestuali che influenzano il giudizio.
La ricerca conduce un’indagine di questi fenomeni applicata specificatamente ai giudizi
estetici, usando come materiale opere di arte visiva, e indagando lo specifico fenomeno del
contrasto e dell’assimilazione. Effetti di contrasto hanno luogo quando un individuo giudica
uno stimolo come più distante rispetto al suo reale valore su una determinata dimensione,
a causa dell’esposizione a uno stimolo contestuale che presenta un valore opposto: per
esempio un colore può apparire più scuro di quanto non sia perché accostato ad un colore
molto più chiaro. Effetti di assimilazione, al contrario, consistono nel fenomeno opposto, il
Progetti sperimentali degli studenti delle specialistiche, corso di Psicologia della percezione
9. E. Arielli, “Contrast and assimilation in aesthetic judgment of visual artworks”, Empirical Studies of the Arts, Vol. 30 (1),
2012, pp. 59-74.
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giudizio su uno stimolo viene avvicinato a quello di uno stimolo contestuale: per esempio il
valore apparente di un prodotto può aumentare se accostato, in una vetrina, ad un prodotto
simile di valore molto più alto.
Diversi studi hanno mostrato le condizioni in diversi ambiti in base alle quali si manifestano
effetti di contrasto oppure di assimilazione. Nel caso del confronto di opere d’arte visiva, si
è suggerita l’ipotesi, sostenuta da analoghe ricerche in ambiti simili, che un’opera accostata
ad una sua versione esteticamente molto degradata, subisca un effetto di “miglioramento”
nel giudizio, e quindi di contrasto, mentre invece la stessa opera accostata ad una sua
versione solo lievemente degradata subisca un peggioramento nella valutazione, e quindi un
effetto di assimilazione.
Per verificare questa ipotesi, si è utilizzato il paradigma usato negli studi sul “tradeoff contrast”, in cui due stimoli A e B vengono accostati ad una versione modificata B’,
valutando l’influsso di questa aggiunta sulla valutazione tra le prime due alternative. Per
fare ciò un gruppo di soggetti ha scelto differenti coppie di opere d’arte visiva, creando
con un software grafico delle versioni lievemente oppure fortemente degradate sul piano
estetico delle immagini. Nella condizione “debole” (accostamento con versione lievemente
degradata), l’accostamento tra un’opera d’arte e la sua versione modificata si manifestava
con un significativo effetto di assimilazione: l’opera veniva valutata in media come inferiore
sul piano estetico rispetto alle condizioni di controllo e rispetto a un’altra immagine di
confronto. Nella condizione “forte” (accostamento con versione fortemenre degradata),
si aveva invece un effetto di contrasto: l’opera, rispetto alle condizioni di controllo e alla
versione “debole”, veniva valutata esteticamente come più piacevole. Lo studio ha coinvolto
il lavoro di 120 studenti dei corsi magistrali.
Altri studi in corso indagano alcuni fenomeni simili di influenza sul giudizio, applicati in
modo originale al giudizio estetico. Per esempio si indaga se il meccanismo della scarsità/
numerosità in una presentazione visiva di opere influisca sulla valutazione estetica finale:
studi classici mostrano che l’abbondanza di presentazioni di un opera d’arte rafforzi la
preferenza degli osservatori (fenomeno dell’esposizione), ma in questo caso si ipotizza che
in certe condizioni sia la scarsità di presentazioni a determinare un effetto di miglioramento
del giudizio estetico. Un altro quesito è il ruolo dello sforzo nel giudizio estetico finale: un
impegno intellettuale prolungato per poter visionare un oggetto ha un’influenza sulla sua
valutazione estetica? E in caso affermativo, di che tipo? Questa ipotesi si riallaccia alla
Assimilazione e contrasto nel confronto tra opere d’arte
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cosiddetta “euristica dello sforzo”, secondo la quale le persone attribuiscono maggiore
valore economico a beni o servizi che richiedono un maggiore sforzo per essere ottenuti. La
questione se ciò valga anche nell’ambito dell’esperienza estetica non è mai stata affrontata
ed è oggetto della presente ricerca.
STUDI SULLO STILE
Insieme al dott. Martin Siefkes, della Technische Universität di Berlino, la ricerca
nell’ambito dell’estetica sperimentale ha coinvolto anche lo studio dei processi implicati
nella percezione, distinzione e valutazione estetica degli stili. Una prima ricerca
sperimentale, in corso di sviluppo, riguarda il rapporto tra modalità sensoriali nella
valutazione stilistica di immagini di opere architettoniche (titolo provvisorio: “Cross-modal
Influences on Aesthetic Judgment of Style”): ai soggetti vengono presentate sequenze di
architetture barocche o moderne/razionaliste, in presenza di un sottofondo musicale, che
stilisticamente può essere congruente (musica barocca/musica contemporanea minimalista)
o incongruente (immagine di opera barocca con musica contemporanea, e viceversa). I
primi risultati mostrano come il sottofondo musicale da un lato amplifichi la valutazione
di dimensioni qualitative tipiche di uno stile (per es. estroversione o complessità nel
caso del barocco), dall’altro la congruenza tra immagine e musica rafforza giudizi relativi
all’impressione di unitarietà e completezza degli stili valutati. Nessun influsso sul giudizio
estetico sembra essere esercitato dalla dimensione musicale.
Affianco a queste indagini tentative sulla percezione e valutazione delle qualità estetiche
degli stili, gli autori sono in procinto di completare un’introduzione monografica sulle
ricerche sperimentali sullo stile e la sua percezione (Experimental Studies of Style).
Sul piano metodologico, gli autori hanno condotto le loro ricerche sperimentali facendo
uso di piattaforme di crowdsourcing (come Crowdflower® e Amazon Mechanical Turk®).
Attraverso queste piattaforme è possibile raccogliere numerosi dati con costi contenuti,
affidando la compilazione dei test a soggetti reali in tutto il mondo. Studi esistenti mostrano
l’affidabilità dei risultati per le ricerche nelle scienze psicologiche, e per certi versi la più
ampia distribuzione demografica e geografica delle persone costituisce un campione più
affidabile nella raccolta dei dati rispetto al tradizionale uso degli studenti universitari per le
ricerche.
E. Arielli, M. Siefkes (in preparazione), Experimental Studies of Style
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PROBLEM SOLVING E DECISIONE
Le ricerche sul ragionamento in condizioni di incertezza e
sulla sua visualizzazione per mezzo di modelli grafici
Paolo Garbolino, Vittorio Girotto
Le persone non esperte di calcolo probabilistico sono in grado di rivedere le loro
aspettative alla luce di nuove informazioni? In altre parole, possiedono capacità inferenziali
formalmente definibili come bayesiane? Come possono modelli grafici normativi aiutare
la presa di decisione in ambito giudiziario? Queste sono alcune delle questioni affrontate
dall’unità di ricerca in Scienze Cognitive con il lavoro che sta svolgendo nell’ambito del
ragionamento probabilistico e della presa di decisioni in condizioni di incertezza. Le nostre
ricerche sono in parte condotte in collaborazione con l’Institut de Police Scientifique
dell’Università di Losanna (Svizzera), con il Centre de Sciences Cognitives dell’Università
di Neuchatel (Svizzera), con il Reasoning and Infant Cognition Laboratory dell’Universitat
Pompeu Fabra di Barcellona (Spagna), con il Dipartimento di Filosofia dell’Università
di Torino, con il Laboratoire de Psychologie Cognitive del CNRS e dell’Università di AixMarseille (Francia) e con il Centro Interdipartimentale Mente&Cervello dell’Università di
Trento.
IL RAGIONAMENTO PROBABILISTICO INTUITIVO DELLE PERSONE NON ESPERTE
In una prima linea di ricerca stiamo proseguendo gli studi che ci hanno recentemente
permesso di individuare la presenza di intuizioni bayesiane in bambini di 12 mesi1. In
particolare, stiamo cercando di stabilire se tali intuizioni, che si manifestano in modo
implicito nelle reazioni di bambini che non hanno ancora acquisito il linguaggio, si
manifestano poi in modo esplicito nelle scelte e nei giudizi verbali dei bambini di età
prescolare. A tale scopo, bambini dai 3 ai 5 anni verranno sottoposti a semplici problemi di
scelta la cui soluzione implica un confronto elementare tra insiemi di possibilità. Stiamo
anche replicando parte di questi studi in Guatemala, con bambini e adulti analfabeti
appartenenti a due diversi gruppi etnici Maya (K’iche’ e Kaqchikel), al fine di stabilire la
presenza d’intuizioni probabilistiche in individui privi di ogni istruzione formale.
Questa linea di ricerca è innovativa, giacché nessuno studio empirico è mai stato condotto
per indagare le capacità di ragionamento probabilistico delle persone che vivono in società
tradizionali prive di sistemi di scolarizzazione. In nostri lavori precedenti abbiamo dimostrato
che bambini di età prescolare risolvono problemi di questo tipo pur non essendo in grado
di produrre valutazioni quantitative di probabilità2. Di conseguenza, avanziamo l’ipotesi
che anche gli adulti analfabeti dovrebbero essere in grado di risolvere semplici problemi di
Grafo di Alfred Hamilton Barr, Cubism and Abstract Art, 1936
1. E. Teglas, E. Vul, V. Girotto, M. Gonzalez, J.B. Tennembaum, L. Bonatti, “Pure reasoning in 12-month-old infants as
probabilistic inference”, Science, vol. 332, 2011, pp. 1054-1059.
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decisione che implicano una valutazione probabilistica elementare di tipo non quantitativo
(ad esempio indicare da quale di due insiemi di elementi è preferibile estrarre un elemento
per vincere un premio).
MODELLI NORMATIVI DEL RAGIONAMENTO PROBABILISTICO E DELLE DECISIONI RAZIONALI E
LA LORO APPLICAZIONE IN CAMPO CLINICO
Lo studio dei processi inferenziali negli adulti è articolato in una linea teorica ed una più
sperimentale. Sul versante teorico stiamo continuando l’analisi delle proprietà formali dei
diversi modelli bayesiani della conferma induttiva, già iniziata da Crupi e altri autori3. Stiamo
considerando, inoltre, un’estensione di tali modelli alla ricerca ottimale di informazioni4, con
particolare riguardo alle possibili applicazioni nell’ambito forense.
Sul piano più strettamente sperimentale, la ricerca è orientata in due direzioni: da una
parte stiamo approfondendo lo studio dell’adeguatezza descrittiva dei modelli bayesiani e il
loro utilizzo nella spiegazione di alcune classiche fallacie del ragionamento probabilistico.
La seconda direzione riguarda la comunicazione e la comprensione del rischio nell’ambito
medico. In particolare, stiamo studiando un rimedio per la difficoltà che le persone
(compresi molti membri di professioni sanitarie) incontrano quando devono valutare l’esito
positivo di un test clinico. Alcune organizzazioni internazionali suggeriscono ai medici di
comunicare i risultati di un test sotto forma di frequenze naturali5. Il problema maggiore
di questa raccomandazione riguarda la scarsa rilevanza delle predizioni di frequenza (ad
esempio: “Su 100 persone che risultano positive al test, 20 hanno realmente contratto la
malattia”), per gli individui che si sottopongono a un test. Le persone, in effetti, sono in
2. E. Teglas, V. Girotto, M. Gonzalez, L. Bonatti, “Intuitions of probabilities shape expectations about the future at 12 months
and beyond”, Proceedings of the National Academy of Science, vol. 104, 2007, pp. 19156-19159.
V. Girotto, M. Gonzalez, “Children’s understanding of posterior probability”, Cognition, vol.106, 2008, pp. 325-344.
M. Gonzalez, V. Girotto, “Combinatorics and probability. Six-to ten-year-olds reliably predict whether a relation will occur”,
Cognition, vol. 120, 2011, pp. 372-379.
$G4cfaZ<EV_e`cZ}4`_c^ReZ`_RdaRceZR]V_eRZ]^V_e+2cVacVdV_eReZ`_eYV`cV^Z_Z_UfTeZgV]`XZT~Journal of Applied
Logic, vol. 11, 2013, pp. 364-372.
K. Tentori, V. Crupi, S. Russo, “On the determinants of the conjunction fallacy: Probability vsZ_UfTeZgVT`_c^ReZ`_~
Journal of Experimental Psychology: General, vol. 142, 2013, pp. 235-255.
V. Crupi, N. Chater, K.Tentori, “New axioms for probability and likelihood ratio measures”, British Journal for the Philosophy
of Science, vol. 64, 2013, pp.189-204.
V.Crupi, K.Tentori, “A second look at the logic of explanatory power (with two novel representation theorems)”, Philosophy of
Science, vol. 79, 2012, pp. 365-385.
V. Crupi, K.Tentori, “Irrelevant conjunction: Statement and solution of a new paradox”, Philosophy of Science, vol. 77, 2010,
50/124
genere interessate a valutare il loro caso specifico (ad esempio: “Se sono risultato positivo
al test, qual è la probabilità che abbia contratto la malattia?”), non a fare predizione su
campioni d’osservazioni. Di conseguenza è necessario presentare le informazioni sulla
probabilità di un caso singolo in modo tale che le persone possano valutare facilmente
il significato dell’esito positivo di un test. A tale scopo stiamo conducendo una serie di
studi volti a migliorare tale valutazione, usando informazioni probabilistiche semplici da
trattare, come i numeri di casi al posto delle tradizionali percentuali, e che richiedano
stime quantitative più facili della tradizionale stima di probabilità assoluta. In nostri
precedenti lavori abbiamo infatti rilevato che questi due fattori (presentazioni di valori
numerici semplici da manipolare, come i numeri di possibilità o i numeri di casi, rispetto ai
tradizionali valori in percentuale; richiesta di produrre una stima probabilistica distributiva e
non assoluta) permettono alle persone non esperte di giudicare correttamente la probabilità
a posteriori di un’ipotesi6.
MODELLI NORMATIVI DEL RAGIONAMENTO PROBABILISTICO E DELLE DECISIONI RAZIONALI E
RAGIONAMENTO PROBATORIO
L’ipotesi principale che guida la ricerca riguardante l’applicazione del ragionamento
probabilistico, cioè quello che obbedisce alle leggi del calcolo della probabilità, alla
valutazione delle prove e alle scelte in campo giudiziario è quella secondo cui il medesimo
calcolo è il miglior strumento che il giudice e lo scienziato forense possano impiegare. In
particolare, riteniamo che proposizioni che vertono su eventi ipotetici siano credute vere
con un certo grado di credenza e che questo grado di credenza possa essere espresso dalla
pp. 1-13.
<EV_e`cZG4cfaZ5@dYVcd`_}DVT`_U`cUVcac`SRSZ]ZejRWWVTedYja`eYVdZdT`_c^ReZ`_~Psychonomic Bulletin & Review,
vol. 17, 2010. pp. 129-134.
4. J. D. Nelson, “Finding Useful Questions: On Bayesian Diagnosticity, Probability, Impact, and Information Gain”,
Psychological Review, vol. 112, 2005, pp. 979-999.
5. E. A. Akl, A. D. Oxman, J. Herrin, et al., “Using alternative statistical formats for presenting risks and risk reductions”,
Cochrane Database Syst Rev. (4), CD006776, 2011.
G. Elwyn, A.O’Connor, D. Stacey, et al., “International Patient Decision Aids Standards (IPDAS) Collaboration. Developing a
quality criteria framework for patient decision aids: online international Delphi consensus process”, British Medical Journal,
vol. 333, 2006, p. 417.
6. V. Girotto, and M. Gonzalez, “Solving probabilistic and statistical problems: A matter of question form and information
structure”, Cognition, 2001, vol. 78, pp. 247-276.
V. Girotto, M. Gonzalez, “Chances and requencies in probabilistic reasoning: Rejoinder to Hoffrage, Gigerenzer, Krauss and
Martignon”, Cognition, vol. 84, 2002, pp. 353-359.
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probabilità matematica. Questa tesi, oggi condivisa da molti scienziati forensi ma non
ancora sufficientemente diffusa fra gli studiosi del diritto delle prove e di epistemologia
giudiziaria, viene difesa offrendo una ricostruzione razionale del ragionamento probatorio
che sia in grado di mostrare come esso possa obbedire alle leggi della probabilità, sia nel
senso che è praticamente possibile eseguire un ragionamento probabilisticamente corretto,
sia nel senso che è ragionevole condurlo7.
Se sia possibile condurre il ragionamento plausibile, cioè le inferenze condotte a partire
da premesse incerte, per mezzo del calcolo delle probabilità è un tema molto dibattuto:
Esempio elementare di rete bayesiana
7. P. Garbolino, Probabilità e logica della prova, Giuffré, Milano 2014.
8. P. Garbolino, I fatti e le opinioni. La moderna arte della congettura, Laterza, Roma-Bari 1997.
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coloro che sostengono che ciò sia possibile, e che le leggi del calcolo matematico delle
probabilità siano le leggi logiche del ragionamento plausibile, sono chiamati bayesiani, e la
loro teoria dell’inferenza probabilistica è detta anche teoria bayesiana, dato il ruolo centrale
che in essa gioca il cosiddetto teorema di Bayes, un teorema del calcolo delle probabilità
che costituisce la regola fondamentale dell’induzione8. Il teorema prende il nome dal
matematico dilettante del XVIII secolo Thomas Bayes (1702-1761), e uno dei principali
fautori nel XX secolo della teoria bayesiana, nonché autore di un contributo importantissimo
alla metodologia dell’inferenza induttiva bayesiana, è stato il matematico italiano Bruno
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de Finetti (1906-1985), insieme con il filosofo e matematico inglese Frank Ramsey (19041930)9.
L’adeguatezza di un modello di ragionamento si misura nella sua capacità di fornire risposte
ai problemi ai quali viene applicato soddisfacendo le tre condizioni seguenti. Gli schemi di
inferenza del modello devono essere: (i) logicamente validi, cioè l’applicazione di quegli
schemi non deve condurre a conclusioni logicamente contraddittorie; (ii) interpretabili,
cioè ai termini che occorrono nel modello possono essere assegnati significati compatibili
con quelli dei termini correntemente usati nella pratica e nella teoria proprie al contesto
Esempi di rete bayesiana
9. T. Bayes, “Saggio sulla soluzione di un problema della dottrina delle chances” (1764), trad. it. in P. Garbolino (a cura di),
Sulla probabilità, Librit, Ferrara 1994, pp. 74-110.
B. De Finetti, “La previsione. Le sue leggi logiche, le sue fonti soggettive” (1937), trad. it. in B. De Finetti, La logica
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dato di applicazione; (iii) efficienti, cioè i calcoli logici devono essere computazionalmente
trattabili, ovvero possono essere eseguiti da un programma di computer.
Muovendoci nell’ambito dell’epistemologia giudiziaria la seconda condizione significa, in
concreto, che nozioni come prova, indizio, rilevanza probatoria, conclusione probatoria,
presunzione di innocenza, ragionevole dubbio, devono poter trovare una corrispondenza
intuitivamente soddisfacente con elementi del modello probabilistico. Per quanto concerne
la terza condizione, proprio il lavoro di sviluppo di programmi informatici in grado di
eseguire calcoli su basi di dati probabilistici, le cosiddette reti bayesiane (Bayesian
dell’incerto (a cura di M. Mondadori), Il Saggiatore, Milano 1989, pp. 71-147.
F. P. Ramsey, “Verità e probabilità”, in F. P. Ramsey, I fondamenti della matematica e altri scritti di logica, (a cura di R.
Braithwaithe), trad. it, Feltrinelli, Milano 1964, pp. 199-200.
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networks) ha fornito importanti contributi, anche teorici, per comprendere come il
ragionamento probabilistico effettivamente funzioni e come esso possa essere applicato al
ragionamento probatorio10.
Una rete bayesiana è un particolare tipo di grafo diretto, al quale viene associata
un’architettura computazionale che fa uso del calcolo delle probabilità. Un grafo è un
diagramma composto da due tipi di elementi: i vertici, o nodi, e i lati che uniscono i nodi
e che rappresentano delle relazioni fra questi vertici. Se le relazioni sono asimmetriche, i
lati sono designati da frecce che indicano la direzione delle relazione e il corrispondente
:_fV_TVUZRXcR^
10. F. Taroni, A. Biedermann, P. Garbolino, C. Aitken, “A general approach to bayesian networks for the interpretation of
evidence”, Forensic Science International, 2004, pp. 5-16.
F. Taroni, C. Aitken, P. Garbolino, A. Biedermann, Bayesian networks and probabilistic inference in forensic science, Wiley,
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grafo è detto un grafo diretto; se sono simmetriche, la convenzione è quella di usare
semplicemente un segmento senza punte di freccia e il grafo è detto indiretto. Un percorso
fra due vertici A e B è una sequenza di lati, senza interruzioni, che connettono A e B
passando attraverso altri vertici. L’importanza dei grafi come strumenti di visualizzazione
sta soprattutto nella possibilità di rappresentare non solamente relazioni spaziali, ma
relazioni di tipo logico o causale fra oggetti o concetti, come nell’esempio del celebre
grafo disegnato nel 1936 dal direttore del MoMA Alfred Barr per mostrare le relazioni di
dipendenza fra movimenti artistici.
Chichester 2006.
P. Garbolino, “Nuovi strumenti logici ed informatici per il ragionamento giudiziario: le reti bayesiane”, Cassazione Penale, vol.
47, 2007, pp. 326-344.
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L’architettura computazionale che viene associata a un grafo diretto al fine di trasformarlo
in una rete bayesiana, è la seguente: a ciascuna freccia del grafo vanno associate delle
probabilità condizionate, cioè la probabilità che la proposizione rappresentata dal nodo E
sia vera, condizionata all’ipotesi che la proposizione rappresentata dal nodo A sia vera, e
la probabilità che la proposizione rappresentata dal nodo E sia falsa, condizionata invece
all’ipotesi che la proposizione rappresentata dal nodo A sia vera.
Sin dalla loro apparizione, le reti bayesiane hanno attirato l’attenzione degli studiosi di
epistemologia giudiziaria e degli scienziati forensi. Mentre gli studiosi del diritto delle
prove si mostrano interessati all’analisi di un caso nel suo complesso, gli scienziati forensi
focalizzano l’attenzione sulla valutazione probatoria delle cosiddette prove scientifiche, in
particolare l’analisi del DNA, di fibre, frammenti di vetro e altre tracce materiali. Il primo
esempio dell’analisi di un caso condotta con l’ausilio di una semplice rete bayesiana
disegnata per l’occasione fu, nel 1991, lo studio fatto da Ward Edwards del caso Collins
(California 1964), a cui seguì il fondamentale libro dedicato ad un riesame storico del caso
Sacco e Vanzetti, scritto dallo studioso dell’epistemologia delle prova David Schum e dallo
statistico bayesiano Joseph Kadane. Altri esempi sono seguiti, fra cui anche un’analisi del
caso O. J. Simpson11. Nel caso delle prove scientifiche si tratta di un campo nel quale è
più facile identificare situazioni ideal–tipiche che si presentano strutturalmente identiche
in un’ampia casistica reale e dunque bene si prestano alla formulazione di modelli di vasta
applicabilità, come nel caso della prova del DNA e nei casi di trasferimento di una traccia
materiale dal sospettato alla scena del crimine, o alla vittima, e dalla vittima, o dalla scena,
al sospettato; casi di trasferimento incrociato dal sospettato alla vittima, o alla scena12.
L’utilizzo delle reti bayesiane permette di misurare più facilmente la probabilità dell’errore
di laboratorio, cioè la probabilità di un falso positivo, un tema di grande importanza
specialmente oggi, quando la prova del DNA sembrerebbe promettere una capacità di
identificazione praticamente infallibile. Le reti, inoltre, offrono una quadro di riferimento,
anche normativo, entro il quale poter valutare l’affidabilità e la “scientificità” delle pratiche
F. Taroni, A. Biedermann, S. Bozza, P. Garbolino, C. Aitken, Bayesian Networks for Probabilistic Inference and Decision
Analysis in Forensic Science, Wiley, Chichester 2014.
""H6UhRcUd}:_fV_TVUZRXcR^dSRjVdZR_Z^aVcZR]Zd^R_UeYV4`]]Z_dTRdV+R_RaaVR]e`cVRd`_~Cardozo Law Review,
1991, pp. 1025-1074.
J. Kadane, D. Schum, A probabilistic analysis of the Sacco and Vanzetti evidence, Wiley, New York 1996. P. Thagart, “Why
wasn’t O.J. convicted? Emotional coherence and legal inference”, Cognition and Emotion, 2003, pp. 361-383.
12. F. Taroni, S. Bozza, A. Biedermann, P. Garbolino, C. Aitken, Data Analysis in Forensic Science: A Bayesian Decision
Perspective, Wiley, Chichester 2010.
58/124
impiegate dagli esperti forensi e dai laboratori di polizia scientifica. Tali pratiche sono
state recentemente criticate da un organismo indipendente di indagine, che ha indicato la
necessità di elevarne gli standard scientifici13.
Possiamo costruite reti bayesiane per ragionamenti probabilistici complessi, reti che
possono essere estese a comprendere problemi decisionali, con l’introduzione di nodi che
rappresentano le azioni possibili in condizioni di incertezza e il valore delle conseguenze
di ciascuna di tali azioni, condizionatamente al verificarsi degli eventi che sono incerti
al momento di prendere la decisione. Queste reti decisionali prendono anche il nome di
influence diagrams e possono essere usate per rappresentare i problemi decisionali di un
esperto forense e di un giudice, permettendo anche di interpretare in termini probabilistici i
concetti giuridici di presunzione d’innocenza e di ragionevole dubbio14.
Lo sviluppo delle reti bayesiane non ha solamente aumentato in maniera significativa le
nostre capacità di calcolo, ma ha anche fornito un importante contributo epistemologico
allo studio del ragionamento in condizioni di incertezza, evidenziando come il calcolo delle
probabilità serva per dare una struttura ai nostri ragionamenti. In molte delle inferenze che
dobbiamo trarre, ed è il caso anche delle inferenze giudiziarie, non è necessario stimare con
molta precisione i nostri gradi di credenza: molto spesso è sufficiente ragionare in termini
comparativi, se una certa proposizione sia più o meno probabile di un’altra, se superi una
certa soglia critica. I valori numerici non sono importanti di per sé, ma perché permettono di
usare le regole del calcolo come regole di inferenza logica.
Come ebbe occasione di dire uno dei padri delle reti bayesiane, Judea Pearl dell’Università
di Los Angeles, «Probability is not really about numbers; it is about the structure of
reasoning».
13. National Research Council, Committee on identifying the needs of the forensic science community, Strengthening
forensic science in the United States. A path forward. Washington (D.C.), 2009.
14. P. Garbolino, “Il ragionevole dubbio e la teoria bayesiana della decisione”, Cassazione Penale, vol. 49, 2009, pp. 40404056.
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INTERAZIONI SONORE
Il Veneto al centro delle esperienze più avanzate
di ricerca nell’ambito del suono per l’interazione
Davide Rocchesso
A partire dall’anno 2001, una fortunata serie di progetti europei ha posto il Veneto al centro
delle esperienze più avanzate di ricerca nell’ambito del suono per l’interazione. In questo
capitolo si ripercorre la storia di queste esperienze, inizialmente localizzate presso le
università di Verona e di Padova e, a partire dal 2007, aventi il loro baricentro presso l’unità
di ricerca Interazione dell’Università Iuav di Venezia.
THE SOUNDING OBJECT
Dal 2001 al 2003 il progetto SOb - the Sounding Object1 si occupa di sviluppare modelli per
il suono nell’interazione uomo-macchina. Il progetto si colloca all’interno di una iniziativa
europea denominata Disappearing Computer2, dedicata alle interfacce che spariscono
all’interno degli oggetti e degli ambienti di tutti i giorni, sempre più ricchi di sensori,
attuatori, e dispositivi di calcolo. La embodied interaction, resa popolare dal libro di Paul
Dourish3, si va affermando come paradigma di progettazione di sistemi interattivi, nei quali
menu e bottoni lasciano il posto ad affordance che emergono naturalmente laddove l’azione
viene esercitata. Il progetto SOb propone alcuni esempi di interazione mediata dal suono
che illustrano le possibilità dei display non visuali. Uno di questi esempi è il Ballancer,
un’interfaccia basata su un modello di biglia rotolante lungo una rotaia4. E’ questo un
caso notevole di oggetto interattivo astratto, cioè non legato ad una specifica funzione ma
progettato al fine di aumentare le nostre conoscenze relative ad una primitiva di interazione,
potenzialmente applicabile in diversi contesti. Con il Ballancer è stato possibile dimostrare
l’efficacia del suono come feedback nel raggiungimento di situazioni di equilibrio, anche
in assenza di indizi visuali. Inoltre, il modello di sintesi di suono di rotolamento, in quanto
cartoon sound, si dimostra più chiaro ed efficace del suono generato da un rotolamento
reale.
Il progetto SOb, a partire dal suo stesso nome, si pone anche l’obiettivo di indagare
l’oggettività del suono, o la natura degli oggetti udibili. Nel quadro della psicologia
ecologica si pone l’attenzione sulle sorgenti di suono e sulle loro proprietà5. I termini della
Paper mechanisms for sonic interaction, presentato a TEI 2012, Kingston, Canada
1. Project SOb (the Sounding Object - IST-FET 25287 - 2001-03); coord.: D. Rocchesso, Università di Verona; partners:
Università di Udine, University of Limerick, KTH - Stockholm.
2. D. Rocchesso and R. Bresin, “Emerging sounds for disappearing computers,” in The Disappearing Computer (N. Streitz, A.
Kameas, and I. Mavrommati, eds.), vol. 4500 of Lecture Notes in Computer Science, Springer Berlin Heidelberg, Berlin 2007,
pp. 233-254.
3. P. Dourish, Where the Action is: The Foundations of Embodied Interaction, MIT Press, Cambridge 2001.
4. M. Rath, D. Rocchesso, “Continuous sonic feedback from a rolling ball,” IEEE MultiMedia, vol. 12, Apr. 2005, pp. 60–69.
5. W.W. Gaver, “What in the world do we hear?: An ecological approach to auditory event perception”, Ecological Psychology,
vol. 5, n. 1, 1993, pp. 1–29.
61/124
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rappresentazione sonora sono da ricercarsi come invarianti strutturali o trasformazionali
delle sorgenti stesse: gli oggetti sonanti. Gli attributi del segnale acustico e i relativi
correlati percettivi (e.g., brillantezza, rugosità, ecc.) concorrono invece alla formazione
dell’oggetto sonoro, così come inteso da Pierre Schaeffer e dai compositori acusmatici6.
Infine, la significazione emerge dall’evoluzione temporale degli attributi, siano essi di
sorgente o di segnale.
Per la definizione di modelli per la sintesi del suono il progetto SOb volge in primo luogo
l’attenzione alle sorgenti e ai fenomeni meccanici di base che sono all’origine della
produzione di suoni nell’ambiente. Questi fenomeni sono riprodotti con simulazioni fisiche
dettagliate, versatili ed efficienti. L’adozione dei punti di vista morfologico e tipologico è
lasciata alle articolazioni complesse dei fenomeni di base, laddove una simulazione fisica
dettagliata non è più conveniente. Questo approccio è condensato in una tassonomia
ecologica del suono, di chiara derivazione gaveriana, che è alla base del Sound Design
Toolkit7 che il progetto SOb comincia a sviluppare.
Il concetto di cartoon sound, cioè di modelli di suono contenenti (inevitabili) semplificazioni
ed esagerazioni di alcuni aspetti dei rispettivi fenomeni fisici, è portato alle estreme
conseguenze in alcune realizzazioni del progetto SOb e delle ricerche successive riguardanti
la manipolazione multisensoriale di oggetti, nelle quali le componenti acustica, visuale e
cinestetica si fondono per realizzare un’interazione coerente e coinvolgente. Per esempio, il
controllo multisensoriale di una porta può essere esercitato mediante manipolazione di una
sua rappresentazione caricaturale in cartoncino.
SOUND TO SENSE, SENSE TO SOUND
Sound to Sense, Sense to Sound (S2S²) è il nome di una azione europea di coordinamento8,
attiva negli anni dal 2004 al 2007 con l’obiettivo di definire una roadmap per la ricerca
europea nel campo del sound and music computing9.
Nelle due pagine precedenti: Tassonomia ecologica del souno
6. M. Chion, Guide des objets sonores: Pierre Schaeffer et la recherche musicale, Buchet Chastel, Paris 1983.
7. S. Delle Monache, P. Polotti, and D. Rocchesso, “A toolkit for explorations in sonic interaction design,” in Proceedings of
the 5th Audio Mostly Conference: A Conference on Interaction with Sound, ACM, 2010, pp. 1:1-1:7.
8. Project S2S² (Sound to Sense, Sense to Sound - ICT-FET-Open 003773 - 2005-07); coord.: N. Bernardini, Firenze
Tecnologia; partners: Universitat Pompeu Fabra - Barcelona, Helsinki University of Technology, Università di Padova, KTH Stockholm, Université de Bourgogne, École Normale Supérieure de Paris, Università di Genova, OSGK - Vienna, Università di
Verona, Universiteit Gent.
9. N. Bernardini, X. Serra, M. Leman, G. Widmer, A roadmap for sound and music computing. The S2S2 Consortium, 2007.
10. P. Polotti, D. Rocchesso, Sound to Sense - Sense to Sound: A state of the art in Sound and Music Computing, Logos
Verlag, Berlin 2008.
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A partire dal consolidamento dello stato dell’arte nella disciplina, descritto in un volume
curato da Pietro Polotti e Davide Rocchesso10, si sono individuate le tendenze di ricerca
prevalenti. Tra le principali questioni aperte, sulle quali si dovrebbe esercitare la ricerca,
viene individuata la possibilità di “usare il suono negli ambienti artificiali nello stesso
modo in cui usiamo il feedback acustico per interagire nel nostro ambiente quotidiano”11.
Un esempio di progetto di ricerca che abbraccia pienamente questo obbiettivo è il progetto
Natural Interactive Walking (NIW), il quale si dedica alle interfacce vibro-acustiche per il
piede, e quindi alla espansione tecnologica di calzature e superfici calpestabili12.
All’interno del consorzio S2S² si fa anche gradualmente spazio l’idea che i nuovi modelli per
il suono, per l’analisi e per la sintesi, debbano essere centrati sull’interazione, cioè concepiti
per inserirsi in oggetti interattivi e per poter essere associati a primitive di interazione. Si
evidenzia la necessità di coltivare un nuovo filone disciplinare, inizialmente indicato con il
termine sound interaction design, e si gettano le basi per l’avviamento dell’azione SID.
CLOSING THE LOOP OF SOUND EVALUATION AND DESIGN
Nonostante molti produttori di contenuti multimediali si definiscano sound designer, nella
comunità del sound and music computing cresce la consapevolezza che il cosiddetto
sound design non sia ancora pienamente ascrivibile alle discipline del design13. Il design
propriamente detto procede infatti attraverso processi iterativi che comprendono fasi di
sketching, costruzione di prototipi e valutazione. Nel contesto del design dell’interazione
è questo il periodo in cui, attraverso la pubblicazione di libri influenti14 e la diffusione
delle piattaforme Arduino e Processing, si diffonde la consapevolezza dell’importanza di
strumenti e metodi per lo sketching di oggetti interattivi. In parallelo, diventa sempre
più critica la questione della valutazione, elemento necessario in ogni processo iterativo
di design. Questo porterà, nell’ambito del design dell’interazione mediata dal suono, al
progetto CLOSED (Closing the Loop Of Sound Evaluation and Design)15. Strumenti chiave per
11. G. Widmer, D. Rocchesso, V. Välimäki, C. Erkut, F. Gouyon, D. Pressnitzer, H. Penttinen, P. Polotti, G. Volpe, “Sound and
music computing: Research trends and some key issues,” Journal of New Music Research, vol. 36, n. 3, 2007, pp. 169-184.
12. Project NIW (Natural Interactive Walking - ICT-FET-Open n. 222107 2008-11); coord. Federico Fontana - Univ. of Verona/
Udine; partners: McGill University Montreal; Aalborg Universitet; INRIA Rennes; Université Pierre et Marie Curie Paris.
13. P. Susini, N. Misdariis, G. Lemaitre, O. Houix, D. Rocchesso, P. Polotti, K. Franinovic, Y. Visell, K. Obermayer, H. Purwins,
K. Adiloglu,“Closing the loop of sound evaluation and design,” in Proc. Workshop on Perceptual Quality of Systems, Berlin,
Sept. 2006.
14. B. Buxton, Sketching User Experiences: Getting the Design Right and the Right Design. Morgan Kaufmann, San Francisco
2010.
15. Project CLOSED (FP-6-NEST n. 29085 - 2006-09); coord. Patrick Susini, IRCAM Paris; partners: Università di Verona, ZHdK
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la valutazione nel processo di interaction design si rivelano gli oggetti interattivi astratti,
di cui abbiamo già descritto la natura e il ruolo. Nel progetto CLOSED oggetti quali lo
Spinotron16 e i Flops17 consentono di misurare in maniera ripetibile l’effetto del suono su
certi comportamenti motori, sia in termini di prestazione e velocità di apprendimento, sia
per quanto riguarda le reazioni estetiche ed emozionali. Con un grado inferiore di astrazione,
poiché costruito intorno a pratiche sociali radicate, è il Gamelunch, un tavolo e un insieme
di stoviglie sensorizzate che rendono sonori i gesti relativi alla preparazione e al consumo
del cibo18. Proprio la familiarità con i gesti e le aspettative indotte dal contesto consentono
di esplorare attraverso il design la dimensione retorica delle interazioni.
SONIC INTERACTION DESIGN
Negli anni 2007-2011, l’azione COST SID19 affronta alcuni dei temi di frontiera evidenziati
dall’azione S2S² e riesce a costruire una comunità di ricerca attorno ad un nuovo ambito
disciplinare: il Sonic Interaction Design. E’ un ambito che concerne lo studio e l’impiego del
suono quale veicolo prevalente per la comunicazione di informazioni, significati, e qualità
estetico-emozionali in contesti interattivi20. E’ grazie alle pratiche e alle pubblicazioni
sostenute dall’azione SID che il suono acquista finalmente un ruolo centrale nelle discipline
del design.
Il processo iterativo di design è oggi considerato un mezzo per la costruzione di teorie e per
l’accumulazione di conoscenza (research through design). La costruzione di oggetti sonanti
interattivi può essere funzionale alla comprensione e alla formalizzazione di primitive di
interazione. L’azione SID applica estesamente la pratica del workshop: un contesto in cui la
costruzione di bozzetti e prototipi, e la valutazione mediante inter-osservazione, consentono
Nelle due pagine precedenti: Interazione con una porta cigolante. A destra: The Gamelunch
Zurich, TU Berlin.
16. G. Lemaitre, O. Houix, Y. Visell, K. Franinovic, N. Misdariis, and P. Susini, “Toward the design and evaluation of continuous
sound in tangible interfaces: The spinotron”, International Journal of Human-Computer Studies, vol. 67, n. 11, 2009, pp.
976–993.
17. G. Lemaitre, O. Houix, P. Susini, Y. Visell, K. Franinovic, “Feelings elicited by auditory feedback from a computationally
RfX^V_eVURceZWRTe+EYV`ad~Affective Computing, IEEE Transactions on, vol. 3, n. 3, 2012, pp. 335-348.
18. D. Rocchesso, P. Polotti, S. Delle Monache, “Designing continuous sonic interaction”, International Journal of Design, vol.
3, n. 3, 2009, pp. 13-25, 2009.
19. Action SID (Sonic Interaction Design - COST IC0601); chair: D. Rocchesso, Iuav; delegates from: Austria, Belgium,
Denmark, Finland, France, Germany, Iceland, Ireland, Israel, Italy, Netherlands, Norway, Portugal, Spain, Sweden, Switzerland,
United Kingdom, Australia, Canada.
#!5C`TTYVdd`DDVcR_73VYcV_Ue?3Vc_RcUZ_ZC3cVdZ_86T\V]<7cR_Z_`gZTE9Vc^R__DARf]Vee`A
Susini, Y. Visell,“Sonic interaction design: Sound, information and experience,” in Extended Abstracts on Human Factors in
Computing Systems, ACM, 2008, pp. 3969-3972.
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di condensare nuova conoscenza. Per l’interazione mediata dal suono si dimostrano
particolarmente efficaci le attività di sintesi mediante analisi, o di ricostruzione di fenomeni
sonori interattivi, che estendono ed arricchiscono pratiche già consolidate in ambito
cinematografico (Foley artist). Tra i workshop organizzati dall’azione SID si segnala quello
tenuto all’Holon Institute of Technology nel novembre 2009, dedicato al vocal sketching,
cioè all’uso della voce nelle fasi iniziali del processo di design del suono21. Per i sound
designer la voce può assumere lo stesso ruolo che hanno mano e matita per il graphic
designer, cioè essere lo strumento primario di sketching. L’esperienza di questo workshop
sarà importante per la preparazione del progetto SkAT-VG.
Il bagaglio di esperienze di ricerca accumulato durante l’azione SID è ben documentato
da numerose pubblicazioni e da un numero speciale dell’International Journal of HumanComputer Studies. L’azione ha sostenuto la pubblicazione del primo libro, ad accesso aperto,
sul tema della sonification22. La comunità SID ha contribuito alla produzione del volume
Sonic Interaction Design pubblicato da MIT Press nel 201323.
SKETCHING AUDIO TECHNOLOGIES USING VOCALIZATIONS AND GESTURES
La voce non serve solo per parlare. Anzi, le vocalizzazioni non verbali sono in generale più
efficaci delle verbalizzazioni per comunicare un suono24 e possono essere sfruttate nelle
fasi iniziali del processo di design, laddove la rapida produzione di bozzetti aiuta lo sviluppo
delle idee progettuali. E’ questa l’intuizione che sta alla base del progetto SkAT-VG25, che
sarà coordinato presso l’Università Iuav di Venezia dal 2014 al 2016. Oltre a perseguire
studi fondamentali sulla produzione e sul riconoscimento delle imitazioni vocali, il progetto
cercherà di costruire strumenti automatici per la conversione degli sketch vocali in modelli
parametrici per la sintesi del suono, per mezzo dei quali sia possibile produrre iterazioni
successive nel processo di sonic interaction design.
Nelle due pagine precedenti: il progetto SkAT-VG. A destra: Research through design
21. D. Rocchesso, Explorations in Sonic Interaction Design, Logos Verlag, Berlin 2011.
22. T. Hermann, A. Hunt, J. G. Neuhoff, The Sonification Handbook, Logos Verlag, Berlin 2011.
#$<7cR_Z_`gZTR_UDDVcR_VUdSonic Interaction Design, MIT Press, Cambridge 2013.
24. G. Lemaitre, D. Rocchesso, “On the effectiveness of vocal imitations and verbal descriptions of sounds,” Journal of the
Acoustical Society of America, 2014. In press.
25. Project SkAT-VG (Sketching Audio Technologies using Vocalizations and Gestures - ICT-FET-Open 618067 - 2014-16);
coord.: D. Rocchesso, Iuav; partners: IRCAM - Paris, KTH - Stockholm, Genesis - Aix-en-Provence.
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SOTTIGLIEZZE CHE LA SCIENZA
NON RIESCE A CATTURARE
La formazione dell’interaction designer,
le esperienze e la scelta di un metodo
Philip Tabor
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Tra il 2006 e il 2013 io e Gillian Crampton Smith abbiamo condotto un percorso di
insegnamento in Interaction Design1 presso l’Università Iuav di Venezia2.
Il contributo qui presentato3 descrive il suo iter: i principi, le priorità e i pregiudizi emersi
dalle nostre precedenti esperienze nel Regno Unito e in Italia.
LA GRANDE CATENA DELLA FORMAZIONE NEL DESIGN
L’educazione formale nella disciplina del design, al contrario dell’apprendistato, si sviluppò
a partire dai modelli pedagogici originati nelle scuole di pittura, scultura, architettura e
ingegneria del XVII e XVIII sec. Tali modelli furono sviluppati, nel corso dei successivi due
secoli e mezzo, principalmente in Francia, Germania e Gran Bretagna4.
La Francia, con le sue Académies des Beaux-Arts (stabilite nel 1648 per la pittura e la
scultura, e nel 1671 per l’architettura), propose dei percorsi educativi orientati sia all’arte
che alla tecnica e incluse l’architettura con l’École Nationale des Ponts et Chaussées nel
1747. I paesi di lingua tedesca in seguito emularono le scuole francesi, le quali avevano
un’importante componente ingegneristica, a iniziare dalla Bauakademie, del 1799, di
Berlino.
Successivamente le Scuole di Arti Applicate, le Kunstgewerbeschulen, furono create per
competere, almeno in parte, con il design britannico e il suo sistema industriale, esibito al
Artigianato. Metà del design è “fare la cosa giusta”. L’altra metà, “fare la giusta cosa”, richiede un giudizio intuitivo e
ostinata pazienza
1. L’interaction design, come attività relativamente recente, è il design di prodotti, software, sistemi e servizi interattivi.
Tali artefatti invariabilmente incorporano un elemento di computazione e sempre più di telecomunicazione. Il focus è sulle
risposte dell’artefatto quando interagisce con l’utente, e su come l’utente sperimenta questa interazione. L’interaction design
è quindi visto, a volte, come un sottoinsieme del cosiddetto user experience design.
2. L’Università Iuav di Venezia, pubblica, è stata fondata nel 1926 come istituto dedito allo studio dell’architettura. Nel
2001 la Facoltà di Design e Arti (fDA) ha incluso nell’offerta formativa il corso di laurea magistrale in Comunicazioni Visive
e Multimediali, diretto in successione da: Giovanni Anceschi, Giorgio Camuffo e Gillian Crampton Smith. Nel 2006 Gillian
VZ`RSSZR^`Z_ec`U`ee`f_aVcT`cd``akZ`_R]VZ_:_eVcRTeZ`_5VdZX__V]]RdaVcR_kRUZdgZ]faaRc]`Z_f_`daVTZT`T`cd`UZ
laurea magistrale. Ma la riduzione delle risorse economiche annuali ha distrutto questa speranza. Malgrado il successo
professionale degli ex studenti, il percorso di studi in Interaction Design si è concluso nel 2013. Altri fattori includono le
nuove restrizioni governative per l’assunzione a tempo parziale dei docenti e l’eliminazione della Facoltà di Design e Arti, con
la dispersione delle risorse umane nei nuovi dipartimenti. La struttura burocratica notevolmente centralizzata e rigida come
una camicia di forza, delle università pubbliche italiane, ostacola la loro capacità di sperimentare e rispondere agilmente a
un mondo che cambia.
3. Trad. it. di Massimiliano Ciammaichella e Davide Rocchesso, del saggio originale in lingua inglese di Philip Tabor
pubblicato in: G. Camuffo, M. Dalla Mura, A. Mattozzi (a cura di), Learning to/from/by Design, Bolzano University Press,
Bolzano 2014.
4. Questa sezione si basa su una sintesi della storia dell’insegnamento del design, sebbene si concentri prevalentemente
sull’architettura e l’ingegneria civile, si veda: A. Saint, Architect and Engineer: A Study in Sibling Rivalry, cap. 6, Yale
University Press, New Haven e Londra 2007, pp. 431-484.
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mondo intero nell’Esposizione del 1851. In realtà, la Gran Bretagna arrivò tardi a concepire
un sistema educativo per il design e lo fece con poco entusiasmo, basti pensare al primo
istituto di design, la Government School of Design del 1837, che fu presto rinominata come
National Art Training School nel 1853, e infine divenne Royal College of Art nel 1896.
Il movimento Arts and Crafts, degli anni Novanta dell’Ottocento, fu l’emblema dello
scetticismo britannico riguardo al valore dell’educazione accademica per i designer. La sua
enfasi sulla realizzazione manuale portò alla creazione della Central School of Arts and
Crafts (1896) di Londra, che fu rinominata solo settanta anni dopo come Central School of
Art and Design.
Un piano di studi basato sull’arte e l’artigianato fu adottato anche dalla Bauhaus nel
1919, una Kunstgewerbeschule radicalizzata5, anche se ciò che influenzò maggiormente la
successiva formazione per il design, sia in Europa sia negli Stati Uniti, fu l’adesione alle
forme di avanguardia e, negli anni più recenti, all’innovazione tecnologica. In tutto questo
tempo la formazione nella disciplina del design ha oscillato tra due poli, l’Arte e l’Estetica
da una parte, l’Utilità e la Tecnologia dall’altra.
L’educazione dell’aspirante designer può essere orientata alla libera professione o deve
formarlo per un impiego?
Deve essere educato/formato principalmente come artista, coordinatore professionale,
tecnologo o come artigiano?
Le risposte a queste domande continuano a dipendere non tanto dalle teorie pedagogiche
quanto piuttosto dalle aspirazioni sociali degli individui e, forse con forza maggiore, dalle
politiche nazionali e dalle risorse a disposizione.
COSA ABBIAMO IMPARATO COME STUDENTI E COME GIOVANI INSEGNANTI
Io e Gillian ci siamo formati all’Università di Cambridge: lei studiò prima filosofia, poi storia
dell’arte; io studiavo architettura. Dopo diversi anni dedicati alla professione come designer
grafico, Gillian si dedicò all’insegnamento della grafica e del design assistito dal computer,
alla St Martin’s School of Art, ora Central St Martins. Più tardi, introdusse l’insegnamento
5. Ivi, p. 472.
6. Michael Jaffé, professore di Gillian di Belle Arti a Cambridge, ha condotto il suo insegnamento in perfetto stile da patrono
di Beaux-Arts, due dei miei professori del primo anno di Architettura furono Peter Eisenman e Colin Rowe, entrambi non
académiciens, erano da poco arrivati dagli Stati Uniti e la loro cultura architettonica ancora emanava una forte memoria
Beaux-Arts nel linguaggio educativo e formale. Il Royal College of Art, dove Gillian ha insegnato, conserva molte delle sue
industrial arts e le origini delle Arts and Crafts. La Cambridge Architecture School degli anni ’60, dove ho studiato, copiava
apertamente i suoi metodi di insegnamento dal programma della Bauhaus.
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dell’interaction design al Royal College of Art.
Mentre svolgevo la mia pratica professionale di architetto, ho intrapreso la via
dell’insegnamento che mi ha portato a conoscere varie università britanniche come la
Scuola AA e, in seguito, la Bartlett School of Architecture, University College London.
Noi rivendichiamo dei collegamenti solo modesti con la grande catena che condusse dalle
Beaux-Arts alla Bauhaus6, ma negli anni trascorsi come studenti e come insegnanti nelle
università pubbliche britanniche, abbiamo imparato alcuni principi, che abbiamo poi cercato
di applicare nelle nostre attività seguenti:
- Collegialità: il legame personale e intellettuale tra gli insegnanti, giovani o maturi, nutrito
dal dialogo e dalla discussione, che spesso si esercitano intorno a un tavolo da pranzo o
condividendo un’esperienza di viaggio. Questa attitudine si estende alle relazioni docente/
studente e studente/studente.
- Insegnamento e valutazione in team: dove molti insegnanti collaborano alla composizione
dei propri corsi e alla valutazione dei risultati. Questo espone i docenti a valori e strategie
conflittuali e consente agli insegnanti giovani di imparare dai più anziani, oltre che dai
loro pari. Inoltre, in questo modo gli studenti sono esposti ad un ampio spettro di opinioni,
dirette ad un singolo ambito di riflessione7.
- Coesione curriculare: riguarda la responsabilità del team di insegnamento di costruire un
profilo unitario e logicamente sequenziale del corso di studi, consentendo così a una coorte
di studenti di sviluppare insieme la proprie conoscenze, le abilità e le intuizioni.
- Sussidiarietà: i docenti senior possono indicare gli obiettivi generali di un programma
di studi, ma sono gli insegnati junior i veri protagonisti dell’esperienza degli studenti,
perché facilitano lo svolgimento dei compiti degli studenti, anche se ogni studente ne è
responsabile e può interpretarli all’interno del proprio orientamento personale.
- Centralità dello studio del design: un programma educativo in design insegna agli studenti
come si progetta. Il suo scopo primario non è quello di rendere “facile” il design alle
persone. È difficile progettare bene…
Le energie degli studenti, l’intero programma e la maggior parte dei crediti formativi,
7. All’Università Iuav la partecipazione di più docenti a un singolo corso era insolita. I fondi per l’avviamento dei corsi
permettevano di avere un solo docente titolare e un collaboratore alla didattica. Per aumentare la varietà di esperienze
ed opinioni, io e Gillian nei corsi da tenuti insegnavamo assieme condividendo lo stesso onere di un solo titolare e, in
ogni semestre, dividevamo il compenso del collaboratore fra quattro o cinque esperti professionisti in visita per una o due
settimane, quasi tutti provenienti da fuori Italia e in alcuni casi dagli Stati Uniti. Per compensare le loro modeste entrate e
incoraggiare le discussioni collegiali sul ruolo dell’interaction design e il suo insegnamento, abbiamo ospitato molti di loro
nel nostro appartamento.
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dovrebbero esplicarsi nello studio del design inteso come pratica laboratoriale.
- Fiction: l’educazione al design può avvicinarsi a una sorta di allenamento, tuttavia, se
cerca di imitare la vita del designer professionista, può diventare soffocante rispetto
alla freschezza che gli studenti portano quasi sempre e può privilegiare le contingenze
alle universalità. Ogni progetto dello studente è inevitabilmente una finzione e dovrebbe
mostrare inventiva, chiarezza, forza drammaturgica, poesia8. Questi sono i principi che
abbiamo cercato di applicare e promuovere in Gran Bretagna e in Italia, sia all’Interaction
Design Institute Ivrea che all’Università Iuav di Venezia. Bisogna dire che le strutture e le
abitudini accademiche non sono state sempre d’aiuto. Le università pubbliche italiane, ad
esempio, incoraggiano il singolo professore a strutturare individualmente il proprio corso e
a valutare personalmente gli studenti. Ciò riduce le occasioni di insegnamento collegiale
e limita l’evoluzione degli insegnamenti stessi. Il ridotto rapporto numerico insegnanti/
studenti e le risorse scarse, impongono una riduzione delle esperienze di socialità, dei
viaggi di studio, e in ultima analisi rendono più deboli le relazioni tra studente e docente.
Alcuni curricula in design, sia in Italia sia in Gran Bretagna, sono dei contenitori dai quali
ogni studente seleziona i corsi da seguire, spesso senza curarsi della progressione delle
competenze o della coerenza complessiva. Questo indebolisce il senso di appartenenza
ad una comunità accademica che lavora per costruire collegialmente il proprio futuro.
Fortunatamente, questi ostacoli possono in molti casi essere aggirati, se non addirittura
sovvertiti.
IL PERCORSO IN INTERACTION DESIGN DI IUAV
In origine la laurea magistrale in Comunicazioni Visive e Multimediali (clasVEM), era
costruita su un forte nucleo di design grafico, attorno al quale si svolgeva un ventaglio di
corsi teorici e laboratoriali, con i quali gli studenti potevano costruire la propria formazione.
Il percorso di Interaction Design era caratterizzato dai seguenti corsi:
- una sequenza di due laboratori (studio courses), almeno uno dei quali doveva essere
seguito per due volte dallo studente;
- una sequenza di due corsi teorici (seminar courses);
- uno stage ed una tesi di laurea finale, entrambe in Interaction Design.
Lo scopo di questo percorso non era quello di fornire agli studenti un assaggio
)4`_UZgZU`Z]aZRTVcVUV]U`aaZ`dZX_ZTRe`UV]]RaRc`]R}WRScZTReZ`_~`WWVce`URZ^ZVZacVTVUV_eZT`]]VXYZR]]RF_Ze"(f_`
dei corsi di studio in design della Bartlett. «‘To fabricate’ means to make by skill and labour […] but also to devise a legend
or a lie». In: N. McLaughlin, Y. Manolopoulou, M. Sumi, Unit 17: Materials and Ideas 2012–2013, exhibition catalogue,
Bartlett School, University College London, London 2013, p.2.
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dell’interaction design, come parte del design in senso stretto, quanto piuttosto di
prepararli ad una carriera produttiva in quest’ambito professionale. Non si volevano, e
non c’erano le risorse per, offrire tutte le competenze attualmente richieste negli studi
professionali di interaction design. Si insegnavano metodi di lavoro utili nel campo e
una base di competenze tecniche. Ma lo scopo principale era quello di instillare negli
studenti quello spirito di curiosità, avventura e creatività, che avrebbe consentito loro
di operare con sicurezza in un futuro nel quale i mutamenti tecnologici e culturali sono
rapidi e imprevedibili. “Stay hungry. Stay foolish”, potrebbe essere il suggerimento guida9.
Il secondo obiettivo, proprio perché la progettazione è un’attività collaborativa, era di
insegnare a lavorare in maniera produttiva all’interno di un gruppo.
Il metodo adottato è stato quello del learning by designing. Sebbene gli ingredienti da noi
adottati si possano ritrovare in molti corsi di studio in design, la ricetta del nostro percorso
fu esplicitamente concepita per l’insegnamento dell’interaction design in Italia.
GLI INGREDIENTI E LE LORO ORIGINI
I laboratori di Interaction Design erano il centro dell’esperienza dello studente. Somigliavano
a molti altri corsi laboratoriali presenti allo Iuav e in altre sedi, ma è utile identificare quelle
che sono verosimilmente le origini dei loro metodi e le priorità appresso elencate:
- dalle Beaux-Arts, l’idea che il design10 ha molto da apprendere dall’arte. Un’attività
creativa che comunica significato e valori trascendenti il discorso verbale e la mera
strumentalità;
- sempre dalle Beaux-Arts, il valore dell’atelier composto da un gruppo stabile di studenti
all’interno di uno spazio dove, sotto la supervisione dell’insegnante, lavorano ai loro progetti
in parziale collaborazione;
- dalla École des Ponts e dalle scuole che le sono succedute, il metodo sperimentale e
l’importanza dell’esperienza nell’applicazione dei contenuti tecnici appresi;
- dalle Kunstgewerbeschulen, l’idea che il design sia un servizio sociale. Un prodotto di
design è validato dalla risposta che dà alle istanze sociali e commerciali, in particolar modo
quelle del territorio al quale si rivolge;
- dal movimento Arts and Crafts, una predilezione della pratica sulla teoria e quindi il
rispetto per chi costruisce e il valore educativo del fare, piuttosto che solo quello del
9. Discorso di Steve Jobs ai neolaureati di Stanford, 2005 [http://www.youtube.com/watch?v=oObxNDYyZPs, 12:54–14:15].
10. Per “Design” qui intendo quello “applicato”, come opposto di “belle” per le arti: questa è inventiva indirizzata all’utilità.
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progettare;
- dalla Bauhaus, l’impegno all’innovazione formale, programmatica e tecnologica.
Le sezioni successive discutono alcuni di questi ingredienti.
ARTE
Progettare, dice Herbert Simon, è «modificare situazioni esistenti in favore di situazioni
preferibili»11. Quindi il design, a differenza dell’arte, è per definizione vincolato all’utilità,
tale vincolo può essere debole come ad esempio in certe fantasie dell’alta moda, ma il
design è comunque disciplinato e validato nel senso di servire ad una funzione esterna a se
stesso. Ciò detto, il design sfugge dalla sua funzione se è visto solo come problem-solving.
Questo perché, ad eccezione di casi banali, nessuna procedura completamente razionale
può condurre dall’enunciazione di un problema alla sua migliore soluzione12. Tipicamente
le intenzioni d’uso di un artefatto sono inizialmente dichiarate mediante molti criteri:
efficienza meccanica, costo dei materiali, facilità d’uso, facilità di realizzazione, possibilità
di marketing ecc., che sono fondamentalmente incommensurabili e, laddove siano
dipendenti da valori sociali ed estetici, instabili.
Una definizione più utile dello scopo del designer è quella di John Heskett: «dare forma al
nostro ambiente in modi che non si trovino già in natura, allo scopo di soddisfare i nostri
bisogni e dare significato alle nostre vite»13. Questo trasmette il ruolo del design alle
antenne dell’arte: l’immaginazione creativa e la comprensione intuitiva di come i significati
umani, positivi e negativi, siano presenti nella forma di ogni artefatto. Ad esempio,
all’Università Iuav per sviluppare queste antenne ci siamo trovati spesso a fare riferimento
a: il collage per la sua capacità di costruire semi accidentalmente significato da elementi
trovati; il surrealismo per le sue giustapposizioni inaspettate, le quali sganciano il lavoro dai
vincoli dell’aspettativa dettata dalle convenzioni o dalla pseudo razionalità; la poesia per la
sua economia semantica; il cinema per la sua struttura, basata sulla sequenza temporale e
per la sua sensibilità alle piccole variazioni emozionali, che accompagnano le interazioni dei
protagonisti con il loro contesto.
11. H. Simon, The Sciences of the Artificial, MIT Press, Cambridge 1972, p. 55.
12. Le deluse speranze riposte nei metodi automatici del design degli anni ’60, sono discusse in: G. Crampton Smith, P.
Tabor, “More Than One Way of Knowing”, in S. Bagnara, G. Crampton Smith (a cura di), Theories and Practice in Interaction
Design, cap. I, Interaction Design Insitute Ivrea, Lawrence Erlbaum Associates, Mahwah (New Jersey), Londra 2006, pp. 117124 : 117-118.
13. J. Heskett, Toothpicks and Logos: Design in Everyday Life, Oxford University Press, Oxford 2002, p. 7.
14. Per il design critico, sviluppato come metodo e posizione ideologica, si veda: A. Dunne, F. Raby, Design Noir: The Secret
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ESPERIMENTO
Una strategia d’insegnamento che incoraggia la creatività ‘divergente’, come capacità di
generare molte possibili soluzioni, è il brief controfattuale. Gli studenti devono immaginare
un contesto di finzione, comunque improbabile, e quindi progettare al suo interno
rispettandone la logica intrinseca. Questa strategia deve qualcosa al cosiddetto design
speculativo o critico14.
C’è un parallelismo con la sperimentazione scientifica. Per verificare un’ipotesi, si identifica
un piccolo numero di variabili potenzialmente significative e se ne manipolano le grandezze,
a volte spingendosi a valori estremi. Combinazioni di questi valori sono messe alla prova per
scoprire il risultato che producono.
Applicata ad un progetto di design, un’ipotesi estrema può talvolta risultare surreale o
assurda, ma se è in grado di implicare una relazione coerente con i suoi risultati, per quanto
fantasiosi, può contribuire bene al processo di apprendimento.
In certe circostanze gli studenti, temporaneamente liberi dai vincoli della vita commerciale,
possono contribuire a creare conoscenza dicendo ai loro concittadini: “Non siamo esperti di
filosofia, sociologia o politica, ma siamo designer e se nel futuro voi cambierete la società
in questo modo, queste potrebbero essere le conseguenze nell’ambito del design. Pensate
che siano desiderabili?”
Ecco un esempio di brief dello Iuav: “Realizza il progetto ed il prototipo di un servizio
interattivo, accessibile mediante telefono mobile, per una ipotetica Venezia passata o futura
[risultante da] una situazione che potrebbe essersi verificata nel passato (ma che non si
verificò) o che potrebbe verificarsi (ma che probabilmente non si verificherà) nel futuro”15.
Uno dei progetti realizzati, ad esempio, immaginò un Napoleone vincitore a Waterloo, ed il
successivo dominio tecnologico della Francia che portò ad inventare una specie di iPhone
già negli anni Venti del Novecento, quando ancora Venezia sarebbe stata colonia francese.
Un altro progetto ipotizzò una Venezia distrutta dalla guerra e ricostruita da Le Corbusier,
con una iniezione di culto vagamente sinistro per un eroico dinamismo modernista. Queste
speculazioni incoraggiarono gli studenti a ‘intrattenere con l’oltraggio’ e a raggiungere
Life of Electronic Objects, Birkhäuser, Basilea 2001.
15. Per questo brief e i progetti risultanti si veda Gillian Crampton Smith e Philip Tabor, Venice Hypothetical [http://www.
interaction-venice.com/projects/iuav09-10Lab1]. Il sito internet www.interaction-venice.com mostra quasi tutti i progetti
prodotti dagli studenti in oltre otto anni. Per ogni progetto sviluppato ogni studente, o un team di studenti, ha registrato in
un blog privato e protetto da password gli stati di avanzamento, per poi rendere pubblici gli esiti dei progetti ampiamente
U`Tf^V_eReZ_V]dZe`afSS]ZT`R]ecZ^V_eZ_`_RgcVSSVc`a`efe`d`deV_VcV]|VdR^V_R]VBfVde`YRaVc^Vdd`UZT`decfZcVf_
ricchissimo archivio di progetti utile ai futuri studenti o al pubblico in generale.
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soluzioni non facilmente accessibili, viste le inevitabili condizioni poste dal mondo presente.
Sovvertendo il realismo delle ipotesi di partenza, gli studenti hanno messo in luce il fatto
che la scelta di una tecnologia o di uno stile di design porta con sé, spesso in maniera
inconscia, lo spirito del suo contesto sociale e politico.
LOCALITÀ
L’interaction design ha un carattere prevalentemente internazionale anche se derivato
dalle sue origini americane: l’empirismo della HCI (Human Computer Interaction) degli anni
Ottanta, l’enfasi per la user-friendliness proveniente dal mercato consumer, e naturalmente
la prevalenza della lingua inglese16.
Probabilmente questa omogeneità riduce la reattività dell’interaction design ai valori locali
e quindi il suo ambito espressivo potenziale, il quale non risulta ricco. Ma perché non può
esserlo quanto quello dell’architettura o del cinema?
È per questo che abbiamo localizzato la maggior parte dei design brief di Iuav nella città di
Venezia, incoraggiando gli studenti a concentrarsi sugli aspetti unici della città e del suo
funzionamento. Questa specificità geografica, costruita attraverso le osservazioni video e le
interviste, consentiva agli studenti di sviluppare le proprie invenzioni a partire da particolari
di cui avevano un’esperienza precisa, piuttosto che su vaghe generalità. Significava
inoltre che gli studenti, in prevalenza italiani ma provenienti da regioni diverse, spesso
interpretavano i brief e ridefinivano le loro interazioni con attenzione speciale per qualità
distintamente italiane quali la convivialità, le relazioni sociali e l’amore per la teatralità, la
musica e (naturalmente) il cibo.
Ecco un altro brief dello Iuav: “Identifica (o concepisci) un esempio di azione coordinata
e strutturata di persone nelle calli, nei campi e nei canali di Venezia. Quindi progetta un
servizio per telefono mobile o un’applicazione che supporti questo comportamento, e realizza
un prototipo da sottoporre agli utenti… Strutturata qui significa progettata o sceneggiata,
nel senso teatrale attribuito ai ruoli predeterminati. Ciò non esclude l’improvvisazione
all’interno di un canovaccio17.
16. L’evoluzione dell’interaction design da HCI, è brevemente discussa in: S. Bagnara, G. Crampton Smith, “Introduction”, op.
cit., pp. xxi-xxxiii: xxiii.
Per una esaustiva storia della nascita dell’interaction design, si veda: B. Moggridge, Designing Interactions, MIT Press,
Cambridge 2006.
17. Per questo brief e i progetti risultanti, si veda: G. Crampton Smith, P. Tabor, Theatrum Urbis, [http://www.interactionvenice.com/projects/iuav10-11Studio1].
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L’ATELIER
Come in tutte le istituzioni di formazione superiore, la metodologia educativa della École
des Beaux-Arts cambiò nel corso della sua storia. Specialmente nel diciannovesimo
secolo il suo nucleo era l’atelier, il quale imitava in qualche modo lo studio dell’artista
rinascimentale con il suo maestro, gli apprendisti e gli assistenti. Ciascuno degli atelier
della Beaux-Arts, sia di arte sia di architettura, era uno spazio dove una classe di studenti
lavorava sotto la supervisione di un patron. Ogni studente senior (ancien) era chiamato a
produrre un progetto in risposta ad un brief, come in una sorta di competizione. Aiutati dai
loro colleghi giovani (nouveaux), gli studenti senior producevano dei disegni così eleganti e
li consegnavano ad una commissione di professori, entro una data prestabilita18.
Nei progetti di interaction design non c’è la necessità di produrre disegni accurati ed
eleganti. Diamo invece valore ad altri aspetti del sistema degli atelier:
- Una relazione intima ed estesa tra un piccolo gruppo di studenti e il loro insegnante (o
insegnanti) di design. Alla Bartlett io stabilii che 20 era il massimo numero di studenti
accomodabili in un corso di laboratorio (studio o unit), essendo questo il massimo numero di
studenti che potevano ragionevolmente mangiare insieme al loro insegnante in una pizzeria,
nonché il numero massimo di progetti che un docente poteva riepilogare mentalmente, la
sera prima di coricarsi. All’Università Iuav la popolazione studentesca era più nutrita (in
genere 25-35), ma si applicava lo stesso principio19. Una popolazione relativamente piccola,
nell’atelier, permette agli studenti di costruire relazioni intellettuali e sociali, in maniera
da acquisire la confidenza necessaria per criticarsi a vicenda, sviluppando così una certa
indipendenza dall’insegnante.
- Uno spazio comune permanente. Per costruire e mantenere una clima culturale da studio
creativo, gli studenti di un atelier hanno bisogno di uno spazio permanente nel quale
progettare insieme, nella consapevolezza di ciò su cui stanno lavorando gli altri.
- Un mix di generazioni. Quando gli studenti di coorti diverse condividono un atelier - specie
se, come a Iuav, essi lavorano in gruppo fino all’esame finale escluso - i più giovani
imparano dai più anziani e i più anziani sono stimolati a dimostrare le loro capacità per
guadagnarsi il rispetto dei più giovani. Una cultura dello studio, un insieme di valori e
18. Il sistema dell’atelier è descritto in: R. Chafee, “The Teaching of Architecture at the École des Beaux-Arts”, in A. Drexler
(a cura di), The Architecture of the École des Beaux-Arts, Secker & Warburg, Londra 1977, pp. 61-109.
19. Nonostante le regole londinesi impongano un massimo di 20 persone, le più accomodanti pizzerie veneziane potrebbero
ospitare oltre 35 studenti e i docenti attorno a un lungo tavolo.
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metodi comuni, si accumula gradualmente e viene tramandata da una generazione di
studenti all’altra. Questo difficilmente può avvenire in un corso di un solo anno, il quale ogni
anno deve ripartire da zero. È necessario almeno un biennio di studi per sviluppare questo
aspetto.
- Competizione costruttiva, il desiderio di essere eccellenti e di essere considerati tali,
produce una forte spinta all’invenzione e all’industriosità. Ma l’atelier e il suo coordinatore
devono fare in modo che la competizione non diventi distruttiva, una degenerazione possibile
se gli studenti più deboli percepiscono la chiusura degli studenti più forti. La competitività
può essere più produttiva quando è diretta verso l’esterno dell’atelier o della scuola. La
nostra esperienza ci indica che l’accettabilità sociale della competizione, interna ad un
gruppo di studenti, è sorprendentemente variabile20.
- Scadenze. Gli studenti sono spesso privi dell’esperienza necessaria per programmare la
loro attività di design secondo una sequenza adatta al loro stile personale, e per questo
è necessario introdurre scadenze rigide. Allo Iuav eravamo soliti imporre una deadline di
presentazione ogni settimana o due21.
- Crit sono normali presentazioni nelle quali gli studenti espongono gli stati di avanzamento
del loro lavoro e ricevono commenti dai loro colleghi, dagli insegnanti e talvolta da ospiti
esterni. Questo assicura che tutti siano consapevoli di ciò che ciascuno sta facendo e
produce generalmente indicazioni utili agli studenti stessi. I crit sono anche importanti
per sviluppare la capacità, di cui nessun designer può fare a meno, di presentare le proprie
proposte in maniera persuasiva e rispondere alle critiche del pubblico.
Quando arrivammo per la prima volta allo Iuav, i nostri studenti tendevano a lavorare
individualmente e a relazionarsi soggettivamente con gli insegnanti. Ricordiamo con piacere
il giorno in cui, entrando nell’atelier, potemmo osservare che avevano spontaneamente
raggruppato i tavoli per formare un’isola intorno alla quale potevano formare una vera e
propria catena umana. Da quel giorno l’atelier subì un’accelerazione nella produzione di idee
ed energia creativa.
20. La nostra impressione è che, diversamente dalle nostre scuole inglesi che hanno studenti di diverse nazionalità, gli
studenti Iuav per lo più italiani, preferiscono la collaborazione all’aperta competitività. Questa non è una cattiva cosa, ma
può essere il risultato accidentale di una chimica interpersonale.
21. I tempi di consegna all’École des Beaux-Arts avevano scadenze molto ristrette. Gli studenti erano bloccati negli atelier
per, diciamo, dodici ore. «Outside the ateliers, students would load their designs onto little handcarts [charettes] that they
would drag through the streets to … the École [to arrive before the deadline. Thus] being en charette came to mean not only
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COMPETENZA TECNICA
Così come un architetto non deve essere esperto di ingegneria delle costruzioni o di
acustica, anche la competenza degli interaction designer, in informatica o in elettronica,
non deve essere necessariamente avanzata. Tuttavia, senza un minimo di pratica di
programmazione e di elettronica, l’interaction designer non potrà nemmeno avere gli
strumenti linguistici per dialogare con gli ingegneri e i programmatori. Senza una certa
competenza tecnica i designer non possono verificare le loro idee nella pratica e non
possono andare oltre la proposta di concept che altri avranno il compito di realizzare. Per
questo allo Iuav tutti i progetti di design dovevano concludersi con un prototipo funzionante.
Le idee brillanti non erano sufficienti.
La maggior parte degli studenti Iuav provenivano da studi umanistici e iniziavano il loro
corso senza alcuna esperienza di programmazione o di elettronica. Il nostro laboratorio
preliminare (sull’interazione centrata sullo schermo) conteneva sempre un workshop pratico
di programmazione, ed un workshop di elettronica era presente nel laboratorio avanzato
(sull’interazione fisica). Il primo workshop faceva uso di Processing, un ambiente/linguaggio
di programmazione particolarmente adatto all’interazione visuale; il secondo usava Arduino,
una scheda a microcontrollore semplice ed economica22. Anche una conoscenza elementare
di questi due strumenti si rivelava sufficiente per creare applicazioni e dispositivi interattivi
funzionanti.
Bisogna notare che, negli otto anni di vita del programma in Interaction design di Iuav, sono
comparsi prodotti software e hardware che hanno ulteriormente facilitato l’approccio alla
programmazione e all’elettronica. Dobbiamo anche ammettere che ci volle del tempo per
convincere alcuni dei nostri colleghi docenti che l’Interaction Design non era una branca
dell’ingegneria, quanto piuttosto un’attività con tutto il potenziale culturale ed estetico degli
altri campi del design.
the rush to the École, but also before that, the long hours of last-minute work in the atelier», in: R. Chafee, op. cit., p. 92.
Quando ero studente a Cambridge, gli esami di progettazione richiedevano un tempo di preparazione molto limitato (in
genere due sessioni da tre ore) e noi chiamavamo charettes le sessioni di progettazione che duravano tutta la notte.
22. Il microcontroller Arduino è stato inventato nel 2005, nella nostra precedente scuola italiana, l’Interaction Design
Institute Ivrea, per rendere più semplice agli studenti la prototipazione delle loro idee progettuali.
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COSTRUIRE
La cultura anglofona tende a guardare con sospetto alle teorizzazioni e a fidarsi delle azioni
piuttosto che delle astrazioni, dei fatti piuttosto che delle parole. È opinione diffusa, non
confinata al mondo anglosassone e nemmeno al mondo del design, che la teoria inibisca
la creatività e l’intuizione, e che troppo apprendimento scolastico incoraggi una distinzione
snobistica tra quelli che progettano e quelli che costruiscono.
Noi diamo valore alle idee e alla ricerca. Ma così come l’educazione esterna allo studio
di design incoraggia gli studenti a discutere e teorizzare, prima di intraprendere delle
azioni, così nel laboratorio il nostro suggerimento è “Walk before you talk”, cioè costruisci
qualcosa, considera il risultato della tua azione, modificalo e continua così fino ad essere
soddisfatto del risultato. La paura della tela bianca si supera solo con un colpo di pennello,
anche se goffo o casuale, in quanto questo gesto avvia un dialogo critico tra il designer e la
soluzione che si va producendo.
Donald Schön descrive questo agire nel mondo e lo contrappone all’osservazione
dall’esterno, come una «conversazione riflessiva [nella quale] lo sforzo del creatore nel
risolvere un problema continuamente ridefinito porta a nuove scoperte che richiedono
ulteriore riflessione in azione […]. Una situazione singolare e precaria viene interpretata
attraverso il tentativo di cambiarla, e viene cambiata attraverso il tentativo di capirla»23.
Henrik Gedenryd chiama questo processo, ottenuto attraverso la produzione di bozzetti e
prototipi, interazione cognitiva24.
La costruzione non preclude la verbalizzazione, la quale continua ad essere uno strumento
potente per la comunicazione e per la critica. Ma nella nostra esperienza il dialogo
costruttivo tra l’interaction designer e il progetto che egli va producendo è accelerato da
attività prevalentemente corporali: improvvisare in maniera performativa degli scenari
di interazione, realizzare immagini bidimensionali (diagrammi o disegni) e oggetti
tridimensionali, specialmente se queste attività sono manuali piuttosto che rappresentate
su uno schermo di computer. La realizzazione fisica si contrappone inoltre all’inclinazione,
assai presente tra gli studenti di interaction design, ad usare il computer anche laddove gli
strumenti tradizionali sarebbero più semplici ed efficienti25.
23. Donald Schön, The Reflective Practitioner: How Professionals Think in Action, Basic Books, New York 1982, p. 132.
La relazione di questo processo psicologico del Befindlichkeit [interconnesso] descritto da Martin Heidegger, è brevemente
discussa in G. Crampton Smith, P. Tabor, “More than One Way of Knowing”, op. cit., pp. 118-119.
24. H. Gedenryd, How Designers Work: Making Sense of Authentic Cognitive Activity, PhD diss., Lund University, Lund
1998, consultabile in internet [http://archive.org/details/HowDesignersWork-MakingSenseOfAuthenticCognitiveActivity]. La
cognizione interattiva e il ruolo dello schizzo, dei prototipi e degli scenari immaginari, sono descritti al cap. 6, pp. 147-196.
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Allo Iuav abbiamo sempre incoraggiato la produzione continua di prototipi, a partire da
bozzetti quick and dirty, composizioni di carta e nastro adesivo, video a bassa qualità e rozzi
circuiti. Questo consente alle interazioni di essere simulate e verificate non appena vengono
concepite.
Progettare e costruire in maniera veloce è importante, sia perché prepara ai ritmi e alle
scadenze dello studio professionale, sia perché, come avviene nello speed dating, il designer
può efficacemente confrontare molte diverse possibilità di soluzione. È anche istruttivo
perché il panico della deadline, oltre a mettere energia negli studenti, spesso produce
‘salti di intuizione’ come effetto dell’inibizione della pura speculazione. Anche questa è
una tattica, mutuata dall’arte per superare e ridirigere un processo di design che si sta
isterilendo.
Per questa ragione il nostro corso teorico introduttivo all’interaction design era, in realtà,
principalmente una sequenza di esercizi, ognuno dei quali molto veloce, cronometrato e
convergente ad un risultato grafico o ad un modello26.
L’azione precede e costruisce i concetti, non il contrario.
Perciò questi esercizi precedevano, invece che seguirla, una discussione della teoria di cui
erano esempi. Ecco ad esempio il primo esercizio del corso.
Forma rapidamente squadre di quattro persone. Ogni squadra deve:
- in 3 minuti, scegliere una macchina o un dispositivo (elettronico o meno) della nostra vita
quotidiana;
- in 5 minuti, elenca le sue attività di input e le sue attività di output;
- in 5 minuti, immagina ogni attività come un meccanismo semplice e comune (es., un
interruttore o una lampadina) e rappresentala con un Post-It. Identifica ogni meccanismo
con un simbolo, o un simbolo e una parola;
- in 5 minuti, colloca questi Post-It in uno o più fogli A3 e collegali con linee che
rappresentino le interazioni. Non indicare su questi fogli la macchina o il dispositivo scelto;
- affiggi i fogli al muro. La classe di studenti cercherà di indovinare la macchina o il
dispositivo.
25. Detto ciò, la cosiddetta sottocultura dei maker, facilitata da Internet, vede una crescente e innovativa collaborazione tra
arte e artigianato, fai da te, ed è costituita da appassionati di programmazione ed elettronica. Per approfondire si veda: P2P
Foundation, Maker Movement, [http://p2pfoundation.net/Maker_Movement].
26. Questo corso introduttivo di seminari è stato frequentato da molti studenti, non solo quelli che seguivano il percorso di
Interaction Design. Si è vietato l’utilizzo di computer o hardware elettronici, fatta eccezione per i telefoni cellulari con i quali
registrare i video prototipi.
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ARTIGIANATO
Richard Sennett distingue tra diverse definizioni di artigianato, incluse:
1) la pratica del design manuale e la produzione basata sulla tradizione e il sapere implicitamente
acquisito, in opposizione alla produzione meccanica;
2) la ricerca della perfezione da parte del designer/produttore27.
Come già accennato, nelle prime fasi della progettazione la produzione manuale di bozzetti e di prototipi
ha grande valore, molto più delle rappresentazioni informatiche, in quanto velocizza il processo di design
e facilita l’interazione cognitiva. Questa produzione manuale costruisce, come dice Sennett, uno spazio di
libertà nel quale il designer/costruttore può sperimentare, commettere errori e imparare dagli stessi errori.
Le fasi successive del progetto, tuttavia, richiedono la seconda accezione del termine artigianato: non
quick and dirty ma lento ed accurato. Il divino è nel dettaglio: il successo dipende dalle piccole decisioni,
apparentemente secondarie, almeno tanto quanto dipende dalla pianificazione generale. La necessità
di questo aspetto dell’artigianato si applica fortemente alle dimensioni multiple dell’interaction design.
Aggiustamenti quasi impercettibili ai materiali e alle superfici, al timbro acustico o alla temporizzazione,
alla velocità o alla traiettoria, possono trasformare una sequenza ordinaria di interazioni in un flusso che
colpisce lo sweet spot.
Steve Jobs attribuiva la sua ossessione per il dettaglio ad un corso di calligrafia che seguì al college: «[…]
Era bello, storico, artisticamente sottile in un modo che la scienza non riesce a catturare»28.
Tutta l’educazione al design dovrebbe presentarsi allo stesso modo.
FareAcZ^Zac`e`eZaZXcVkkZ^RWf_kZ`_R_eZdUR_`]|Z_XVX_`VeVdeR_`cRaZUR^V_eVf_T`_TVaeUZUVdZX_:_bfVde`TRd`dZ
tratta di una gesture per il controllo di strumenti musicali
27. R. Sennett, The Craftsman, Yale University Press, New Haven e Londra 2008.
Il libro è tradotto anche in italiano, si veda: R. Sennett, L’uomo artigiano, Feltrinelli, Milano 2008.
Sennett riscontra un parallelo virtuoso fra l’ethos del laboratorio artigianale arcaico e alcune disposizioni sociali ora
emergenti dalle nuove tecnologie, come le collaborazioni open source di Linux Corporation (ed. inglese, pp. 24-27).
28. S. Jobs, op. cit., min. 3:19 - 3:55.
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Progetti di Ricerca
VIA. Architettura Virtuale Interattiva
Geometria descrittiva e Rappresentazione digitale
Prospettive Architettoniche
Problem solving e decisione
SkAT-VG
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VIA. Architettura Virtuale Interattiva
CVda`_dRSZ]VdTZV_eZT`+4R^Z]]`EcVgZdR_
L’unità di ricerca in Interazione ha partecipato come unità di ricerca locale al progetto di
Ricerca di Interesse Nazionale (prin 2005-08 ) “VIA Architettura Virtuale Interattiva”, cofinanziato dal Miur e al quale hanno partecipato anche le Università di Roma “La Sapienza”
(coordinamento nazionale) e Udine.
Componenti dell’unità di ricerca di Venezia sono: Giovanni Anceschi, Emanuele Arielli,
Massimiliano Ciammaichella, Roberto Grossa, Stefano Mazzanti.
Descrizione
In questi ultimi anni si è assistito ad un vertiginoso incremento dell’uso di strumenti CAD
nella rappresentazione ed anche, sia pure limitatamente, nella stessa fase di progettazione
dell’architettura. In particolare, nelle facoltà ed anche negli studi professionali di
architettura, si sta imponendo e generalizzando l’uso di modelli solidi tridimensionali.
Parallelamente i costi dell’hardware e, in misura minore, del software diminuiscono
progressivamente; le potenzialità di calcolo e di modellazione (si pensi, ad esempio,
all’uso di curve e superfici NURBS) aumentano in misura inversamente proporzionale al
costo.
Si sono resi disponibili, a costo relativamente basso, strumenti di realtà virtuale e
aumentata fino a pochi anni fa presenti solo nei centri di ricerca specialistici; infine sono
stati sviluppati, soprattutto per i videogiochi, software e hardware specializzati e dedicati
all’esplorazione interattiva di modelli 3D (il mercato complessivo dei videogiochi supera di
molto il mercato di software e hardware del CAD architettonico).
Tuttavia non si è ancora compiuta una completa interazione né una profonda integrazione
tra l’ambito professionale dell’architettura e quello dei nuovi software e, soprattutto, dei
nuovi dispositivi hardware. I motivi di tale ritardo sono molteplici: la preferenza verso l’uso
di metodi stabilizzati e codificati da decenni, la non conoscenza delle potenzialità offerte
RenderingUV]ac`XVee`UV_ZeZg`UV]]RT`_XfcRkZ`_VUZXZeR]VdeVcV`dT`aZTR`XXVee`UV]]RcZTVcTR
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da questi strumenti, la loro rapida obsolescenza, la difficoltà di aggiornare e modificare
continuamente le procedure operative, il loro costo giudicato fino ad oggi eccessivo e non
remunerativo.
Date queste premesse, riteniamo opportuno proporre la realizzazione di un prototipo
dimostrativo che leghi alcuni dei più significativi nuovi dispositivi hardware e software con
i temi della rappresentazione, della comunicazione e della progettazione dell’architettura.
Il progetto di una configurazione multimediale e multimodale 3D prevede l’assemblaggio
di componenti reperibili in commercio, con l’obiettivo di costruire una configurazione
integrata che usi contemporaneamente e faccia risaltare, analogamente ad un’orchestra ben
bilanciata, tutte le possibili interazioni tra i singoli elementi del complesso.
Per quanto riguarda l’hardware utile per la costruzione della configurazione, il mercato offre
attualmente i seguenti gruppi di apparati:
- Schermi autostereoscopici. Lo schermo autostereoscopico permette all’osservatore di
vedere in stereoscopia video e immagini di oggetti 3D senza la necessità di indossare
appositi occhiali.
- Schermi stereoscopici. Lo schermo stereoscopico permette all’osservatore di vedere in
stereoscopia video e immagini di modelli tridimensionali. E’ necessario indossare occhiali
speciali: ad otturatori nei sistemi cosiddetti attivi, o a lenti polarizzate, nei sistemi passivi.
- Sistemi di proiezione immersiva. In questo caso l’immagine o il video proiettati non sono
stereoscopici, ma riproducono un effetto immersivo, per il solo fatto che la proiezione
avviene su di una sfera o, comunque, su una porzione di sfera.
- Mouse 3D e Cubic mouse. I Mouse 3D permettono all’osservatore di interagire con
rappresentazioni di modelli tridimensionali, consentendo di muoversi nelle tre dimensioni
dello spazio virtuale.
- Data Glove. I Data Glove sono guanti che misurano la flessione delle dita (uno o due
sensori per ciascun dito) e l’orientamento della mano.
- Head Mounted Display. Gli HMD sono visori da indossare come occhiali che consentono
una buona visione stereoscopica (di norma in risoluzione SVGA), presentando a ciascun
occhio un piccolo display posto a pochi centimetri dalla pupilla.
- Retina display. Questi dispositivi, per molti versi simili agli HMD, proiettano direttamente
sulla retina le immagini (attualmente monocromatiche), lasciando quindi libera la vista
degli oggetti reali.
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- Olografia. Sono state sviluppate varie tecnologie di proiezione tridimensionale che
producono una straordinaria illusione di profondità e tridimensionalità.
Scopo principale della ricerca è progettare, assemblare, collaudare e sperimentare una
configurazione multimodale e multimediale che permetta la rappresentazione stereoscopica
e l’esplorazione dinamica e interattiva di modelli digitali 3D di architettura e sia utile tanto
per la rappresentazione e la comunicazione, che per la progettazione.
In particolare, la sperimentazione si è compiuta sul modello 3D del Gran Teatro La Fenice
di Venezia, utilizzabile come base geometrica di riferimento ed anche per essere esplorato
interattivamente in rete. Al modello stesso si sono associate informazioni multimediali di
varia natura: immagini, video, animazioni, VR panorama, VR object, suoni, testi.
Il naturale approfondimento dello stato attuale consiste nella fruizione completa del
modello 3D in rete ed anche mediante specifiche postazioni multimediali 3D, considerate sia
come chioschi multimediali’ a disposizione del pubblico, sia anche come stazioni di lavoro
per scenografi e tecnici del settore.
Obiettivi
- Contribuire, assieme alle altre unità di ricerca, alla compilazione di un catalogo di prodotti
hardware e software disponibili sul mercato e di recenti esempi di applicazioni.
- Ricostruzione del modello 3D della Fenice con modalità tali da rendere possibile la sua
esplorazione in rete.
- Associazione di informazioni multimediali al modello stesso.
- Progetto complessivo - definizione delle specifiche tecniche hardware e software, di
usabilità ed ergonomia, definizione dell’interfaccia, design - di una postazione multimediale
utilizzabile per l’esplorazione interattiva in 3D di modelli digitali.
- Organizzazione dei dati e del modello con modalità tali da rendere possibile la sua
esplorazione mediante la stazione multimediale progettata.
- Assemblaggio e test dei componenti hardware.
- Collaudo della stazione multimediale.
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Geometria descrittiva e Rappresentazione digitale
CVda`_dRSZ]VdTZV_eZT`+2X`deZ_`5VC`dR
L’unità di ricerca in Interazione ha al suo interno docenti e ricercatori che hanno collaborato,
con l’unità in Rappresentazione Iuav, al Progetto di Ricerca di Interesse Nazionale (Prin
2008) “Geometria descrittiva e rappresentazione digitale: interfacce naturali per la genesi
e lo sviluppo della forma nel progetto degli artefatti”, al quale hanno partecipato anche
le Università di Roma “La Sapienza” (coordinamento nazionale), Università degli studi di
Genova, Politecnico di Milano, Università degli studi di Udine.
Componenti dell’unità di ricerca di Venezia sono: Maria Malvina Borgherini, Massimiliano
Ciammaichella, Giuseppe D’Acunto, Fabrizio Gay, Camillo Trevisan.
Descrizione
Il progetto si propone di rinnovare i saperi della Geometria Descrittiva, una scienza
storicamente consolidata, integrandoli all’interno degli attuali strumenti CAD, i quali spesso
ricorrono ad algoritmi di approssimazione della forma presenti nei software di modellazione
3D. «Questi programmi consentono, infatti, la realizzazione automatica di due classi di
operazioni: la costruzione di figure semplici e derivate (come superfici e loro intersezioni)
e la visualizzazione dinamica delle stesse e si tratta, com’è evidente, delle medesime
prestazioni della antica scienza della rappresentazione. Si potrebbe perciò concludere, ma
solo a un primo esame superficiale, che la geometria descrittiva si sia di fatto trasformata
nel CAD. Noi riteniamo, invece che così non sia. Pensiamo, che il CAD sia uno strumento,
nuovo e potente, che si aggiunge agli strumenti tradizionali (riga, compasso e altri artifici
del disegno tecnico)»1.
Sul piano strumentale si ricorre alle interfacce naturali, dove per “naturale” s’intende
l’interfaccia che asseconda le usuali modalità cognitive con le quali un progettista compie
complesse operazioni di modellazione delle forme a partire dalle loro proprietà significative
nell’artefatto in progetto. Considerando i due lati di ogni interfaccia, la ricerca si articola
6dV^aZUZZ_eVcWRTTZRdV^a]ZTReRaVcZ]T`_ec`]]`Z_eV^a`cVR]VUZf_RcRaacVdV_eRkZ`_VZ_Rdd`_`^VecZR`S]ZbfRXV_VcZTR
1. Prof. Riccardo Migliari docet, 2008.
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come convergenza di due approcci distinti: l’architettura del software e le modalità
dell’hardware in rapporto alle proprietà del modello geometrico in costruzione (che per
brevità definiamo Interfaccia-Oggetto) e il dispositivo per mezzo del quale il software
e l’hardware manifestano all’utente le operazioni, i repertori, i campionari, in sintesi:
l’intero feed-back con il modello in costruzione e in collaudo (l’Interfaccia-Soggetto).
In quest’ultima, la forma più radicata è fondata sul paradigma proiettivo del disegno,
formalizzato nei metodi di rappresentazione della geometria descrittiva e oggi articolato
nell’Interfaccia-Oggetto che, dall’avvento del digitale, separa l’output visivo (a schermo)
dall’input gestuale (sul piano fisico di lavoro).
L’intuizione geometrica di chi plasma una forma si esercita ancora tra il surrogato della
rappresentazione ottica del modello geometrico (offerto dallo schermo) e i parametri del
modello memorizzato in forma digitale. Ma, sollevato dal compito di sostituire graficamente
l’apparenza ottica del modello, il progettista può raggiungere una maggiore complessità
geometrica delle forme, specie grazie alle possibilità descrittive offerte dalle NURBS, alle
potenti tecniche di trasformazione topologica - come le ibridazioni geometriche consentite
dal morphing, dal warping, dal folding - e alla facilità con la quale si possono realizzare le
tradizionali trasformazioni proiettive, come la prospettiva o l’assonometria solida (omologie
e affinità in uno spazio 3D).
Un auspicabile progresso delle Interfacce-Soggetto per la progettazione e il collaudo,
oltre alla facilità di descrizione geometrica delle forme, dovrebbe portare anche a una
maggiore consapevolezza e capacità di controllo delle proprietà effettivamente significative
nell’artefatto modellato, dove tali proprietà assumono senso fisico, plastico e iconico. Ciò
induce una riformulazione dei tradizionali problemi geometrici determinati, confrontandoli
con il campo di problemi, generalmente non determistici, tipici della progettazione: la
ricerca di forme rispondenti a determinate proprietà ottiche, meccaniche, tattiche, a
parametri di natura iconica e plastica. In questo senso, un ulteriore possibile ambiente
di studio delle relazioni configurative tra l’astratto spazio matematico, in cui si verificano
proprietà e relazioni delle e tra le forme, oltre a quello concesso dallo spazio virtuale della
modellazione digitale, è oggi offerto dalle nuove modalità di produzione di installazioni
artistiche, caratterizzate da un appeal immersivo e multisensoriale. La prominente caratura
proiettiva che le caratterizza, attraverso l’impiego altamente tecnologico della luce e del
suono, fornisce la possibilità di verificare l’intelligibilità delle costruzioni geometrico
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descrittive anche nello spazio dell’esperienza sensoria, agito direttamente dal fruitore che
ora è inserito fisicamente nello spazio della dimostrazione.
Nell’ipotesi di lavoro che quest’unità propone si è infine prevista una verifica operativa sul
rapporto interfaccia-utente, sull’immersività e sulla multisensorialità, nonché sul confronto
diretto tra specifiche semiotiche delle arti e dei corpi, e semiotiche delle rappresentazioni
da realizzarsi attraverso la formulazione di un progetto di installazione da collocarsi
all’interno della sede storica dell’Università Iuav di Venezia.
Nella ricerca sull’Interfaccia-Soggetto afferiscono dunque vari punti di vista e compiti
inizialmente distinti:
1) una casistica dello stato dell’arte delle interfacce di modellazione e visualizzazione
condotta anche con criteri di tipo ergonomico (cognitivo);
2) una prospettiva di organizzazione e semplificazione dei processi di generazione
geometrica nei software di modellazione;
3) il contributo per la formulazione di una teoria generale delle rappresentazioni tecniche
degli artefatti;
4) un’analisi delle attuali tecnologie impiegate per la produzione di spazi immersivi user
friendly e l’elaborazione di strategie progettuali, attraverso le quali la prefigurazione delle
relazioni proiettive possa essere percepita nello spazio dell’esperienza fenomenologica;
5) una verifica delle analisi e degli studi effettuati, attraverso la stesura di un progetto
d’istallazione presso la sede storica dei Tolentini (Università Iuav di Venezia).
Obiettivi
1) Realizzazione di un repertorio di problemi e delle relative soluzioni in chiave innovativa.
Questo lavoro ha prodotto testi di commento delle soluzioni classiche e delle soluzioni
innovative, anche nel loro quadro storico, nonché i modelli delle relative soluzioni nel
metodo della rappresentazione matematica.
2) Definizione di uno standard per le interfacce dei programmi di modellazione informatica.
3) Creazione di uno spazio fisico interattivo, in cui testare le possibili intersezioni tra
tecnologie di fruizione immersiva, delle forme, e loro manipolazione attraverso processi
comunicativi che possano mostrare sia i contenuti geometrico-proiettivi, impliciti nelle
operazioni spaziali, che i più intuitivi effetti configurativi.
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Prospettive architettoniche
CVda`_dRSZ]VdTZV_eZT`+2X`deZ_`5VC`dR
L’unità di Interazione Iuav partecipa all’unità di Venezia per il Progetto di Ricerca di Interesse
Nazionale (Prin 2012-15) “Prospettive Architettoniche: conservazione digitale, divulgazione
e studio”, al quale partecipano anche le università di Roma “Sapienza” (coordinamento
nazionale), Firenze, Genova, Salerno, Udine, della Calabria e i Politecnici di Milano e Torino.
Componenti dell’unità di ricerca di Venezia sono: Maria Malvina Borgherini, Massimiliano
Ciammaichella, Giuseppe D’Acunto, Emanuele Garbin, Fabrizio Gay, Antonio Somaini, Camillo
Trevisan, Vitale Zanchettin.
Descrizione
Il progetto ha come obiettivo la conservazione, lo studio e la divulgazione delle Prospettive
Architettoniche. Il progetto persegue questo risultato attraverso lo sviluppo e l’applicazione
delle più avanzate tecnologie della comunicazione (ICT). Il tema generale proposto, e cioè
la prospettiva, ha un forte carattere europeo, e come tale è unanimemente riconosciuto e
condiviso.
La prospettiva è trasversale in Europa: in senso temporale, perché muove dalle
testimonianze della pittura parietale romana per approdare alle illusioni del barocco; in
senso spaziale, perché non v’è regione europea che non l’abbia praticata, spesso mutuando
soluzioni da un paese all’altro; in senso culturale, perché è la sintesi di scienza e arte e si
sviluppa sempre alternando la speculazione teorica geometrica e proiettiva, alla pratica del
disegno e dell’architettura.
La prospettiva, che il progetto considera come un privilegiato caso di studio, è quella delle
geometrie che, dipinte su pareti (2D) o realizzate in tre dimensioni (3D), sono in grado di
evocare una illusoria profondità dello spazio architettonico. Un buon esempio del genere 2D
è l’affresco di Agostino Tassi a Palazzo Lancellotti (1621-1623).
Ma l’Italia e tutta l’Europa posseggono un patrimonio di Prospettive Architettoniche la
Rendering della prospettiva solida della Galleria di Palazzo Spada a Roma, di Francesco Borromini
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cui vastità, complessità e importanza storica, per la scienza e per l’arte, è, allo stato delle conoscenze,
incalcolabile.
Il progetto prevede, tra le sue attività principali, lo studio e la validazione di tecniche e procedure di rilievo,
di registrazione, di classificazione delle prospettive architettoniche, anche al fine di raggiungere una prima
valutazione di massima, e induttiva, del patrimonio presente in Italia. Ciò spiega anche l’elevato numero
delle Unità Operative e la loro diffusione sul territorio.
Tra queste tecniche figura la fotografia in ultra high resolution, che il progetto vuole dotare di un’affidabile
qualità metrica, tale da garantire una documentazione utile alla conservazione. L’urgenza di questa
sperimentazione è testimoniata, per citare un caso tra molti, dalla precarietà in cui versa Pompei.
La raccolta e la diffusione dei dati, ha però anche un’altra valenza, perché tutte queste prospettive sono
‘trattati senza parole’ di scienza geometrica e quindi il loro esame comparativo costituisce uno strumento
innovativo di sviluppo delle conoscenze in ambito storico-scientifico. In particolare, il progetto prevede
l’applicazione di metodi statistici all’analisi delle strutture prospettiche, come quelli che sono già stati
sperimentati con successo alle misure del birapporto negli affreschi di età augustea.
Le tecniche digitali di restituzione prospettica e modellazione 3D daranno poi modo di studiare gli aspetti
proporzionali, compositivi e stilistici degli spazi illusori rappresentati. Spesso questi caratteri hanno strette
relazioni con l’ambiente che ospita gli sfondati, come queste ricostruzioni mettono bene in evidenza.
La documentazione 3D sarà poi utile anche alla divulgazione dei risultati.
Benché siano da sempre oggetto di una meravigliata attenzione da parte del visitatore non specialista,
le prospettive architettoniche sono ancora poco note, forse anche perché non è mai stato intrapreso il
loro studio sistematico, come il presente progetto vuole contribuire a fare. È dunque parte non ultima del
progetto lo studio, la sperimentazione e la validazione di tecniche innovative di comunicazione a largo
spettro dei dati essenziali raccolti e interpretati. A tale scopo, sfruttando l’esperienza maturata in progetti
precedenti (2005 e 2008), si farà uso di tecniche di navigazione interattiva degli spazi, come anche di
tecniche di realtà aumentata implementabili su tablet e smartphone.
Obiettivi
1. Repertorio delle prospettive architettoniche
2. Documentazione digitale
3. Ricostruzioni 3D, associate a tecniche di walkthrough, in realtà aumentata consentono una esperienza
unica: varcare il limite della parete per muoversi liberamente nello spazio illusorio. Si pensi alle ricadute
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che questa esperienza potrebbe avere a livello divulgativo e didattico, a come essa educhi
alla lettura dello spazio prospettico.
4. Diffusione e divulgazione. Il repertorio sulla prospettiva, verrà reso disponibile su
banche dati e portali a livello internazionale, come per esempio EUROPEANA e Google
ART. A fianco alla divulgazione online, verranno sviluppate applicazioni per dispositivi
mobili, in grado di guidare il visitatore in una visita personalizzata. A tal fine, i dati, le
fotografie e le ricostruzioni virtuali del repertorio, saranno immediatamente utilizzati come
contenuti principali delle guide multimediali. Per agevolare la divulgazione dei risultati
della ricerca, le guide saranno costantemente aggiornate con sezioni a cura dei ricercatori
stessi, che spiegheranno le ultime ipotesi e gli studi fatti sul campo. L’interazione con il
“luogo prospettico”, e la sua comprensione, verrà agevolata attraverso tecniche di realtà
aumentata.
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Problem Solving e decisione
CVda`_dRSZ]VdTZV_eZT`+GZee`cZ`8Zc`ee`
L’unità di ricerca in Scienze Cognitive partecipa come unità operativa locale al Progetto di
Ricerca di Interesse Nazionale (Prin 2010-11) “Problem solving e decisione: aspetti logici,
psicologici e neuroscientifici nell’ambito della giustizia penale”, co-finanziato da MIUR.
Partecipano anche le Università di Milano-Bicocca (Coordinamento nazionale), Università
Cattolica di Milano, Università di Bologna, Università di Pisa, Università di Torino.
Componenti dell’unità di ricerca di Venezia sono: Emanuele Arielli, Paolo Garbolino, Michel
Gonzalez (CNRS&Aix-Marseille Université) e Katya Tentori (Università di Trento).
Con tale progetto è stato finanziato un assegno di ricerca per il lavoro che attualmente
sta svolgendo Laura Fontanari. Altri due assegni saranno finanziati durante il presente e il
prossimo anno accademico.
Descrizione
Quella che segue è la descrizione del progetto nazionale, Prin 2010-2011, e dei suoi
obiettivi.
Il progetto si propone di raggiungere importanti progressi scientifici sulla logica, la
psicologia e gli aspetti neuro-scientifici delle attività di problem solving e di presa di
decisione. Si avvale della collaborazione di gruppi di ricerca caratterizzati da una forte
connotazione interdisciplinare, in accordo con l’obiettivo di produrre “scienza d’eccellenza”,
evidenziato nel primo punto del programma Horizon 2020. Inoltre, il progetto persegue
risultati di rilievo pratico: in particolare, lo sviluppo di conoscenze logiche e psicologiche, di
tecniche neuroscientifiche e di cornici di legge volte a migliorare l’efficienza e l’accuratezza
delle indagini e dei giudizi penali. Grazie a una cornice teorica che considera le indagini e
i giudizi penali come attività di problem solving volte a decidere quale sia la più probabile
tra le molte ipotesi in grado di spiegare un certo evento, il progetto rende esplicite le
Un esperimento sulle capacità di ragionamento probabilistico degli indigeni Maya K’iche’, Sololà, Guatemala 2013. Foto di
Laura Fontanari
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connessioni che esistono tra vari aspetti della decisione giudiziaria.
Ogni gruppo di ricerca farà luce su uno o più di questi aspetti.
Le attività di ricerca che svolgeremo comprendono:
1) Lo sviluppo di misure, strumenti e tecniche bayesiane volte alla valutazione quantitativa di quanto un
indizio supporti una qualche ipotesi, con esplicito riferimento all’ambito della decisione giudiziaria e alla
valutazione delle “prove scientifiche” nelle investigazioni e nei processi penali.
2) Ricerche sperimentali su quanto e come gli esseri umani siano in grado di prendere in considerazione,
nei loro ragionamenti, le informazioni relative alla probabilità e alla forza probatoria degli indizi, con
particolare riferimento ad alcune deformazioni del giudizio che possono discendere dall’applicazione di
alcune strategie spontanee di elaborazione di informazioni. Questi studi saranno svolti sia nella prospettiva
della psicologia cognitiva, sia in quella delle neuroscienze cognitive.
3) Studi logici e filosofici sulla natura della causalità, con particolare riferimento alla causazione
probabilistica e agli approcci neo-meccanicistici alla generazione di ipotesi nella soluzione di problemi
giudiziari.
4) Lo sviluppo di nuove regole e criteri giuridici per l’ammissione, la presentazione e la valutazione
della forza probatoria di prove scientifiche nei tiribunali - con particolare riferimento alle prove neuro
scientifiche.
5) Studi sperimentali, su come il cervello rappresenti sia cosa una persona decide di fare, sia le
informazioni che usa nel deciderlo, ponendo particolare attenzione allo sviluppo e la validazione di
strumenti neuro scientifici per la raccolta di indizi utilizzabili in processi penali.
6) Lo sviluppo e il miglioramento di procedure peritali per la valutazione delle caratteristiche psicologiche e
di personalità di un imputato, con particolare riferimento alla valutazione della responsabilità penale, della
pericolosità sociale e delle capacità di ragionamento morale.
Questi studi si avvarranno di tecniche provenienti dalla psicologia criminologica, dalla biologia molecolare,
e dalle neuroscienze cognitive.
Infine, sul piano applicativo, il progetto nazionale ha lo scopo di sviluppare:
- strumenti a supporto della decisione giudiziaria (reti bayesiane);
- tecniche statistiche per la decodifica dei segnali neurali;
- protocolli peritali migliori di quelli attualmente disponibili per la raccolta e la valutazione delle prove;
- linee guida giuridiche per l’ammissibilità e l’uso di prove scientifiche nei processi penali;
- programmi di formazione per l’addestramento al ragionamento probabilistico e causale, mirati alle
esigenze specifiche degli investigatori e dei magistrati che agiscono in ambito penale.
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Obiettivi
Il progetto di ricerca nazionale, si propone di fornire un avanzamento scientifico nel campo
della logica, della psicologia e delle neuroscienze cognitive sul processo decisionale e di
problem solving. Il progetto inoltre persegue lo sviluppo di un ‘know-how’ per migliorare
l’affidabilità degli interrogatori penali.
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SkAT-VG
Coordinatore del progetto europeo: Davide Rocchesso
SkAT-VG: Sketching Audio Technologies using Vocalization and Gestures, è un progetto
finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma Future and Emerging
Technologies del Settimo Programma Quadro. Le posizioni di ricerca di Stefano Delle
Monache, Stefano Baldan, e Davide Andrea Mauro sono finanziate dal progetto il quale,
iniziato il 1 gennaio 2014, ha durata triennale. Collaborano a vario titolo al progetto anche
Stefano Mazzanti, Gillian Crampton Smith e Pietro Polotti. Gli altri partecipanti del consorzio
sono l’Istituto IRCAM di Parigi, il politecnico KTH di Stoccolma e l’azienda Genesis di Aix en
Provence.
Descrizione
Si immagini di dover comunicare al meccanico lo strano rumore che fa il motore della
propria automobile quando supera i duemila giri al minuto. Probabilmente il modo più
immediato per farlo è quello di utilizzare la voce per produrre un’imitazione. Questo è un
esempio di vocal sketching, cioè di produzione di un bozzetto vocale. La voce, per il suono,
gioca lo stesso ruolo che ha la mano per la produzione di bozzetti grafici. Il progetto
SkAT-VG cerca di ideare e sviluppare strumenti che consentano di passare direttamente
dall’imitazione vocale al suono di sintesi. I campi di applicazione sono molto estesi, e
vanno dal design del prodotto, all’industria dei videogame, alla produzione di contenuti
audiovisuali.
Le ricerche condotte da Guillame Lemaitre presso l’unità di ricerca in Interazione, in
corso di pubblicazione presso il Journal of the Acoustical Society of America, hanno già
dimostrato come le vocalizzazione siano sempre più efficaci delle parole per rappresentare
e comunicare suoni non verbali. Inoltre, Iuav ha già una estesa esperienza di basic design
finalizzato alla definizione di primitive fondamentali di interazione mediate da feedback
sonoro continuo.
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All’interno del progetto, l’unità Interazione sarà principalmente dedicata alla ricerca
nel campo del Sonic Interaction Design. Il processo di design del suono sarà esteso per
includere lo sketching vocale e gestuale, in modo da consentire al designer di specificare
rapidamente un comportamento sonoro mediante azione diretta su un mockup dell’oggetto.
A conclusione del progetto, sarà possibile riconoscere in maniera automatica i meccanismi
articolatori vocali e gestuali e selezionare un modello di sintesi appropriato. Questo modello
parametrico potrà poi essere utilizzato per manipolare il suono e aggiustarlo alle esigenze
del designer.
I principali workpackage (WP) del progetto SkAT-VG sono i seguenti:
1. Case studies: Lo studio di esempi efficaci di imitazione vocale, dai quali estrarre una lista
di primitive suono/azione, da registrare e catalogare.
2. Phonetic listening and world-event representation: annotazione di un catalogo di primitive
mediante una rappresentazione a tempo continuo delle azioni fonatorie e articolatorie.
3. Perception and cognition of vocalizations and expressive gestures: registrazione
e selezione di un ampio insieme di imitazioni efficaci da usare come stimoli per la
sperimentazione finalizzata a comprendere come esse siano prodotte e percepite.
4. Automatic imitation recognition: sviluppo di un sistema per la classificazione automatica
del fenomeno sonoro oggetto di imitazione. Stima delle feature acustiche e gestuali,
individuazione del meccanismo articolatorio, segmentazione del segnale, predizione del
fenomeno sonoro.
5. Imitation-driven sound synthesis: realizzazione di un sintetizzatore audio in grado di
simulare le sorgenti sonore oggetto di imitazione. Una volta selezionato dal classificatore, il
modello di suono sarà iterativamente raffinabile.
6. Sonic interaction design: scenari e casi notevoli di applicazione, che servano sia da
ispirazione per la ricerca di base, sia come materiale di valutazione per il progetto.
I WP 1-3 sono dedicati alla ricerca di base in percezione/azione. I WP 4-5 sono dedicati alla
progettazione e allo sviluppo, sia di strumenti per i designer, sia di scenari applicativi.
Il progetto, iniziato il primo gennaio 2014, ha una durata di tre anni ed è finanziato
nell’ambito del programma Future and Emerging Technologies del Sesto programma quadro,
con un investimento europeo di 2,435 milioni di euro.
Oltre al coordinamento generale del progetto, l’unità di ricerca in Interazione dell’Università
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Iuav di Venezia è principalmente coinvolta nei WP 5 e 6, in stretta collaborazione con
l’azienda Genesis.
Grazie a questa collaborazione e al coinvolgimento di partner industriali di Genesis, sarà
possibile verificare l’efficacia degli strumenti proposti in contesti realistici.
Obiettivi
A conclusione del progetto, sarà possibile riconoscere in maniera automatica i meccanismi
articolatori vocali e gestuali e selezionare un modello di sintesi appropriato. Questo modello
parametrico potrà poi essere utilizzato per manipolare il suono e aggiustarlo alle esigenze
del designer.
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Bibliografia
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Autori
Emanuele Arielli
Professore Associato di Estetica. Ha conseguito un dottorato presso la Technische Universität di Berlino, docente a contratto
presso lo IULM di Milano, ha collaborato con il Berghof Research Center for Constructive Conflict Management ed è stato
ricercatore ospite della Fondazione Alexander von Humboldt presso l’Università Tecnica di Berlino. È stato assegnista di
ricerca presso il Dipartimento di teorie e pratiche delle Arti e del Disegno Industriale dello Iuav con una ricerca sui processi
cognitivi nell’attività progettuale nel design industriale e professore associato presso l’Università “G. d’Annunzio” di Chieti e
Pescara.
Massimiliano Ciammaichella
Ricercatore confermato a tempo indeterminato in Disegno. Ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Rappresentazione
e Rilievo dell’Architettura e dell’Ambiente all’Università degli studi “La Sapienza” di Roma, nel 2003. E’ stato contrattista
e assegnista di ricerca per il progetto “La Fenice Digitale: Rappresentazione, analisi e ricostruzione del modello
tridimensionale del Gran Teatro La Fenice di Venezia”, presso il Dipartimento di teorie e pratiche delle Arti e del Disegno
Industriale (dADI) dello Iuav.
Partecipa a diversi progetti di ricerca di interesse nazionale (PRIN), a convegni nazionali e internazionali.
Paolo Garbolino
Ac`WVdd`cV2dd`TZRe`UZ=`XZTRV7Z]`d`RUV]]RDTZV_kRDZÎ]RfcVRe`Z_]`d`RR]]RDTf`]R?`c^R]VDfaVcZ`cVUZAZdRÎ
stato borsista Fulbright e ha conseguito un master alla Brown University (USA). È stato ricercatore della Scuola Normale
Superiore, visiting scientist presso la Divisione di Ingegneria dei Sistemi del Centro Comune di Ricerca della Comunità
6fc`aVRUZ:dacRVacVdd`]|:_deZefeVUVCVTYVcTYVVe5ÏgV]`aaV^V_eZ_:_eV]]ZXV_TV2ceZTZV]]VUV]]RF_ZgVcdZeÏ=ZScVUV
Bruxelles. Ha tenuto corsi presso l’Università di Ferrara e l’Università di Bologna. Membro del comitato editoriale della rivista
Law, Probability and Risk: A Journal of Reasoning Under Uncertainty.
Vittorio Girotto
Professore Ordinario di Psicologia Cognitiva. Ha insegnato nelle Università di Trieste, San Raffaele e Siena, ed è stato
ricercatore al CNR (Roma), all’École Polytechnique (Parigi) e al CNRS (Aix-en-Provence). I suoi principali interessi di ricerca
riguardano il giudizio probabilistico, il pensiero controfattuale, il ragionamento deduttivo e le basi cognitive delle credenze
religiose. I suoi lavori più recenti sono volti a studiare le capacità di ragionamento probabilistico nei bambini e negli adulti
analfabeti. È autore di numerosi lavori di psicologia del pensiero e membro dei comitati editoriali delle seguenti riviste:
Cognition; Giornale Italiano di Psicologia; Mind and Society; Review of Philosophy and Psychology; Thinking and Reasoning.
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Davide Rocchesso
Professore Associato di Informatica, ha insegnato corsi per il dottorato di ricerca nelle Università Pompeu Fabra di
Barcellona, Cattolica di Porto e Aalto di Helsinki. E’ stato Presidente della Associazione di Informatica Musicale Italiana. E’
stato il coordinatore del progetto SOb - the Sounding Object, coordinatore locale del progetto CLOSED - Closing the Loop
Of Sound Evaluation and Design e della Coordination Action S2S^2 - Sound-to-Sense; Sense-to-Sound, nonché chair della
COST Action SID - Sonic Interaction Design. Attualmente coordina il progetto SkAT-VG – Sketching Audio Technologies using
Vocalizations and Gestures.
Philip Tabor
Si occupa delle relazioni tra lo spazio e le nuove tecnologie. E’ stato Professor of Architectural Theory and Criticism presso
la University College London, dove ha diretto la Bartlett School of Architecture. E’ stato Visiting Professor presso l’Interaction
Design Institute Ivrea. Insieme a Gillian Crampton Smith, ha creato il programma in Interaction Design presso l’Università
Iuav di Venezia. E’ inoltre PhD supervisor presso la University College London.
Camillo Trevisan
Professore Associato in Disegno. Delegato del Rettore Iuav nel Consiglio di Amministrazione CINECA dal luglio 2007 al
UZTV^ScV#!"!5V]VXRe`UV]CVee`cV:fRgaVc:_W`c^ReZTRV>f]eZ^VUZR#!!'"!CVda`_dRSZ]VdTZV_eZT`UZ_f^Vc`dVf_ZeÆ
UZcZTVcTRZ_ac`XcR^^ZUZcZTVcTRdTZV_eZTR^Z_ZdeVcZR]VUZZ_eVcVddV_RkZ`_R]V4`_V7ZcSVUZgRcZVT`_gV_kZ`_ZdeZaf]ReV
con enti pubblici e privati, tra i quali, la Fondazione Gran Teatro la Fenice di Venezia, il Cisa Palladio di Vicenza, la Camera
di Commercio di Treviso. L’attività di ricerca riguarda la rappresentazione analizzata ed eseguita con l’ausilio di tecniche e
decf^V_eZZ_W`c^ReZTZV]RacVUZda`dZkZ`_VUZd`WehRcVdaVTZTZF_TR^a`daVTZT`UZZ_eVcVddVdZ`cZV_eRdf]]|Z_eVcRkZ`_VV
l’interfaccia tra l’essere umano e il computer.
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Finito di stampare nel mese di febbraio del 2014
dalla « ERMES. Servizi Editoriali Integrati S.r.l. »
00040 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 15
per conto della « Aracne editrice S.r.l. » di Roma
128/128
ISBN
euro 20,00
978-88-548-6880-9