LA grANDE BIELLEzzA

il nuovo magazine della pallacanestro
3.2013
6.2014
la
grande
biellezza
Biella vince le Final Six,
ma a Rimini trionfa il basket
COPPA DNC:
VINCE ASD LUISS
COPPA DNB:
VINCE LATINA
Scrivono
per noi
pianeta
usa
BASKET
ESTERO
COSA
SUCCEDE IN…
Carlo Recalcati
Ettore Messina
Claudio Coldebella
Alessandro Marzoli
L’addio di Stern e
il trionfo di Belinelli
Tempo di
March Madness
Peppe Poeta
ci racconta
la sua Vitoria
Serie A, LNP, NBA,
Coppe Europee,
estero e femminile
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© 2014 adidas AG. adidas, the 3-Bars logo and the 3-Stripes mark are registered trademarks of the adidas Group.
6.2014
il nuovo magazine della pallacanestro
speciale rnb
> La fiera del basket
5
> Il gioco di squadra, una risorsa
9
> The Miracle Man10
> Tutte le stelle portano a Mantova12
basket italiano
Facciamo gli italiani
Ho visto cose che voi umani...
Amarcord Sasha
Fischia e suona
basket europeo
13
22
24
48
Prossima fermata: progetto playgroung
Gli azzurri sono un New Media
L’assist di Stern
per Beli
on the road
Alle radici del basket slavo
31
65
storie
Se i genitori diventano hooligans
Easybasket: idee e proposte pratiche
From Biella to Brooklyn
ncaa
Let’s dance!
40
58
basket giovanile
basketcom
NBA
32
Un Poeta a Vitoria
Ischia come Rio
rubriche
> L’editoriale di Luca Corsolini
> L’angolo del basket coaching
> Fronte SKY
> Giù dalla Torre (degli Asinelli)
> Nella Grande Mela
> Dall’osservatorio romano
> Peterson fa scuola
> Alti ideali
> Fate largo a DeRev... olution
> BM Events
> La Giornata Tipo
> Crescendo rossiniano
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Il mese di gloria
di Zou
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57
no limits
42 Ahmed Raourahi
e la magia
dello sport
45
Cosa succede in...
> Serie A Beko
> DNA Adecco Gold
> DNA Adecco Silver
> Adecco DNB
> Adecco DNC
> Eurolega, Eurocup, Eurochallenge
> Europa
> NBA
> Serie A Femminile
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Basket Magazine
N.6 - 19 marzo 2014
Periodico quindicinale registrato al Tribunale di Cassino
Registrazione stampa n. 3/2014 del 26/2/2014
Contatti
Ufficio Grafico
[email protected]
Davide Moroni
Direttore responsabile
Responsabile comunicazione BGT Edizioni
Luca Corsolini
Matteo Airoldi
Caporedattore
Editori
Andrea Rizzi
Davide Sardi
Edizione digitale: Santi Editore
via Basiola, 36 - Cremona
[email protected]
ISSN 2283-3986
Edizione cartacea: Armando Caramanica Editore
via Appia, 762 - Marina di Minturno (LT)
ISSN 2283-9755
Redazione
Foto di copertina e del poster alle pagine 34-35: Claudio Devizzi Grassi
Coordinatore editoriale
Davide Moroni
Responsabile web e social network
Davide Bortoluzzi, Paolo Lonati, Nicola Martinelli, Werther
Pedrazzi, Carlo Perotti, Alessandro Salvini, Marco Taminelli,
Davide Uccella
Come acquistare
Edicole digitali
Prezzo magazine digitale: 1,79 euro
Prezzo magazine cartaceo: 3,90 euro
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riviste prodotto da Amazon.
2
6.2014
Fieri del basket
L’editoriale di Luca Corsolini
“Si-può-fare!”: Gene Wilder che, in un laboratorio
ambulatorio, urla come un invasato di poter creare
Frankenstein è una delle scene cult del film di Mel Brooks.
Lo stesso Gene Wilder, incolpevolmente, e in negativo, era
diventato la figura più rappresentativa del basket italiano.
Nel nostro laboratorio ambulatorio, invece che far la conta
degli strumenti, ci eravamo ridotti a registrare le mancanze,
tutte paralizzanti: c’è la crisi; non ci sono soldi; la TV
non ci segue; la Nazionale manca il podio; non abbiamo
personaggi; non ci sono più gli sponsor; non ci sono le
risorse per costruire nuovi impianti. Insomma, Gene Wilder
sotto canestro era costretto a urlare: “NON-si-puo’-fare!”.
Poi, Rimini. All’improvviso Rimini. Un titolo coraggioso e per
qualcuno persino misterioso: Rhythm and Basket, come
se la musica non fosse indissolubilmente legata al basket,
come se quel genio un po’ strampalato di Claudio Sabatini
non avesse già regalato a una Final Eight l’esibizione di una
Lady Gaga ancora quasi sconosciuta. Un grande lavoro di
squadra. Soprattutto: un’idea.
Questo è stato il bello di Rimini. Vedere che il basket, lo
sport che ha inventato per sé e per tutti i playoff, lo sport
che è una moda anche se nessuno degli addetti ai lavori
se ne accorge o se ne preoccupa (al massimo reagiscono
annoiati alla visione dei giocatori NBA che giocano in
mezze maniche), lo sport che per primo ha imposto
l’integrazione come tema (Carlton Myers portabandiera a
Sydney), lo sport che non smette di cambiare forma (perché
il passaggio ai quattro quarti bisogna riconoscerlo che è
qualcosa che ci invidiano tutti ), vedere che il basket può
ancora permettersi il lusso rivoluzionario e a buon mercato
di avere un’idea.
Un’idea che ci sembra abbia almeno tre significati
importanti.
1) Il basket è una festa, non un rito ingessato. È e deve
essere una festa. Bisogna avere uno spirito diverso,
ribellarsi al Gene Wilder paralizzati e affidarsi al Gene
Wilder invasati. Bisogna avere coraggio, e non bisogna aver
paura di fare un errore se si vuole arrivare a un grande
risultato. Addirittura, per quanto si è visto a Rimini, anzi rivisto, bisogna considerare il pubblico come centrale e non
marginale nello sviluppo di ogni strategia. Power to the people
cantava John Lennon, e oggi, nell’era dell’interattività,
bisogna dare un ruolo a quanta più gente possibile. A me
non scandalizzerebbe vedere un personal trainer che in
ogni impianto invita la gente, sì, la gente, a fare qualcosa
di simile allo stretching dei giocatori. Quello dei giocatori è
francamente inguardabile, la ginnastica della gente sarebbe
una festa e anche un messaggio sociale: il basket è salute.
Per chi lo pratica e chi lo guarda.
2) Gli impianti, possibili, ci sono. Non ci sono i soldi
per costruire nuove arene? Serve immaginazione per
vedere arene dove non ci sono. Nelle fiere che ci sono in
tutta Italia, anche nei capannoni abbandonati. Di sicuro,
anche questo è un tema che deve essere affrontato con
lo stesso spirito di Rimini: senza vergognarsi di ascoltare
altri e alti pareri, uscendo senza vergognarsi bis dalla
autoreferenzialità che sta frenando il basket.
3) Ci diciamo sempre di copiare l’NBA. Poi ci nascondiamo
dietro il dito, dicendo che là ci sono i dollari e qui non ci
sono gli euro. Bene, negli USA è stata l’NBA e creare la
Women NBA. Da noi a Rimini abbiamo visto che la logica
dei figli di un dio minore non paga, e invece è un successo
l’All-Star Game femminile, proposto con gran raffinatezza
l’8 marzo, nel mezzo delle finali di Coppa Italia della Lega
Nazionale Pallacanestro. Un successo per le une e per gli
altri.
I complimenti a Bragaglio, Coldebella, Tolomei e Valenti
sono strameritati, ma gli stessi tre sono gente nostra, non
marziani. Hanno aperto una strada, hanno fatto vedere che
c’è una strada.
Se n’è accorto persino Gene Wilder: ”Si-può-fare!”.
[email protected]
La squadra di questo numero di Basket Magazine è formata da:
Emanuele Rossano, Claudio Coldebella, David Stern, Marco Belinelli, Sasha Danilovic, Stefano Valenti, Carlo Recalcati, Monica Bastiani, Chiara Consolini, Carlo Besana, don Gallo, Cesare Covino, Dido Guerrieri, Toni Capellari, Oscar Eleni, Aleksander Avakumovic, Luca Maggitti, Maurizio Gherardini, Enrico Ercolani, Maurizio Cremonini, Roberto Esposito, Ettore Messina, Davide Moroni, Toto
Bulgheroni, Luca Corsolini, Gianluca Mattioli, Phil Jackson, Andrea Rizzi, Pierluigi Marzorati, Alberto Figliolia, Carl Wheatle, Raffaele
Ferraro, Walter Santarossa, Daniele Parente, Geri De Rosa, Carlo Fallucca, Massimo Selleri, Alessandro Salvini, Fabrizio Quattrini,
Davide Uccella, Stefano Mandelli, Nicola Martinelli, Marco Taminelli, Giovanni De Rosa, Marco Mantovani, Marco Bogoni, Dino Merio,
Luca Weber, Davide Sardi, Peppe Poeta, Marco Belinelli, Luca Rallo, Alessandro Marzoli, Edobasket, Ahmed Raourahi, Zelimir Obradovic, Paolo Moretti, Hugo Sconochini, Graziella Bragaglio, Joan Roca, Giovanni Putignano, Alberto Bucci, Flavio Carera, Jordi Bertomeu,
Sergio Scariolo, Carlo Perotti, Davide Bortoluzzi, Diego Alunni, Claudio Di Renzo, Claudia Angiolini, Giancarlo Migliola, Dario Colombo
3
Rimini, 7-8-9 Marzo 2014
RINGRAZIA
RNB
la fiera del basket
Bilancio
RIMINI – Mentre a Lucca si scriveva
una pagina oscura della nostra pallacanestro (ne parliamo a pag. 23), sulla
riviera romagnola la Lega Nazionale
Pallacanestro ha fatto splendere un
sole a spicchi con l’Adecco Cup 2014,
la Coppa di Lega inserita nell’ambito
di Rhythm and Basket, originale fusione di basket, hip hop ed eventi collaterali. Un mix (o forse sarebbe più
appropriato dire mixaggio) apprezzato dal pubblico, a giudicare dalle oltre 20.000 presenze registrate nei tre
giorni nei padiglioni fieristici.
Un’idea originale, quasi visionaria,
partorita da una Lega che fin dalla
sua nascita ha fatto proprio il motto galileiano secondo cui dietro ogni
problema c’è un’opportunità. Di problemi, nei mesi passati, ce ne sono
stati, e forse non tutti inevitabili, ma
questa LNP ha il pregio di sapersi
scrollare di dosso le critiche perseverando nei propri intenti. Così, da una
situazione di stallo in cui nessun club
si era offerto di organizzare le mastodontiche (18 squadre coinvolte) finali
di Coppa, ecco l’idea di Rimini e la
cabina di comando condivisa con Rimini Fiera per puntare a una destinazione ignota, poiché mai esplorata
di Andrea Rizzi
prima in Italia. E mentre tutti parlano di palasport polifunzionali, eventi eterogenei e coinvolgimento delle
famiglie, ecco la trovata di RNB, con
acclamati artisti hip hop, DJ set, tornei di 3 contro 3, aree gioco per tutte
le età, clinic, stand di ogni tipo e, last
all-star game femminile
In un evento che cade a cavallo dell’8 marzo, un riferimento
al mondo femminile non poteva
mancare. FIP, LNP e LegaBasket
Femminile sono andati oltre,
co-organizzando l’All-Star Game
femminile, con tanto di gara del
tiro da tre punti, nell’ambito di
RNB. A dispetto dei legittimi dubbi
sul seguito di pubblico, l’evento è
stato quello che ha riempito maggiormente l’impianto “Atene 2004”
nella tre giorni riminese, intrattenendo i presenti con una bella
partita tra la Nazionale italiana
e una selezione di straniere della
Serie A e un’appassionante gara
del tiro da tre “mista” (hanno partecipato anche German Scarone e
Nicholas Crow), vinta dall’azzurra
Chiara Pastore con un notevole 17/25 nella serie finale. Anche
questa, un’idea da ripetere.
but not least, l’All-Star Game femminile nella data non casuale dell’8
marzo, una festa nella festa.
Ma l’evento clou, ovviamente erano
le finali di Adecco Cup di tutte quattro le categorie (Gold e Silver, DNB
e DNC), anche se in molti frangenti
l’interesse del pubblico, pur se concentrato sul basket LNP, è apparso
molto distribuito tra i padiglioni. È
questo – paradossalmente – a dare
la misura del successo dell’iniziativa,
tanto che persino l’ACB spagnola, incuriosita dalla novità, ha spedito in
riviera due emissari e lodato la “visione” di LNP e Rimini Fiera.
Anche in termini numerici, come
detto, il pubblico ha risposto. Certo,
non numerosissimo negli incontri
di DNC, ma sempre caldo e coinvolto da partite spesso combattute fino
all’ultimo pallone, che fosse per il
risultato in bilico o perché quella di
Rimini, per alcuni club, è stata la più
grande vetrina della propria storia.
L’emblema sportivo della manifestazione sono state forse le lacrime
di Renato Castorina, storico coach
abruzzese che non è riuscito a portare il trofeo di DNC a Campli, sconfitto
in finale dalla Luiss Roma. O forse lo
5
6.2014
Nella pagina precedente: Biella festeggia la vittoria.
In questa pagina: Graziella Bragaglio, presidente LNP, e, in basso, un’azione della finale tra Biella e Trento.
Nella pagina a fianco: i tre MVP delle finali Hollis, Carrizo e Smorto (in alto, da sinistra); in basso,
Federico Bolzonella, alla seconda Coppa Italia vinta in due anni.
Tutte le foto sono di Claudio Devizzi Grassi
parla graziella bragaglio
RNB, bilancio positivo? Cos’è andato secondo le previsioni, cosa le ha superate e cosa è migliorabile?
Secondo le previsioni il fatto che quella che era un’idea, che
confidavamo tutti potesse essere di successo, poi lo è stato. Raccogliendo consensi unanimi dalle 18 squadre che hanno partecipato, dagli addetti ai lavori, dagli appassionati e dai media.
Cosa è migliorabile? Tutto. E lo staff ci sta già lavorando. Ora
conosciamo le problematiche di un evento che era nuovo per
tutti, il fatto che dall’esterno sia stato percepito favorevolmente
ci concede il tempo necessario per la crescita.
Quali riscontri ha avuto dai club (presenti e assenti)?
Solo positivi. Orgoglio per quanto messo in piedi, in pochi mesi,
e che rappresenta il nuovo corso di LNP. Poche parole, tante
idee, molto lavoro. I riscontri sono stati quelli diretti, di chi c’e-
splendido gesto di Adriano Furlani,
coach di Ferrara, che, nella semifinale (poi persa di 3) contro Trento,
ha obbligato i suoi a lasciar segnare
l’Aquila dopo che un suo giocatore,
Julius Mays, aveva approfittato di
un problema alla lente a contatto di
RNB: diamo i numeri
• 20.000: i visitatori della tre
giorni alla Fiera di Rimini
• 30.000: i metri quadrati occupati nei padiglioni
• 20: gli stand presenti nel padiglione di ingresso
• 16: gli incontri giocati, compreso l’All-Star Game femminile
• 1.000 posti: la capienza dell’impianto “Atene 2004”
• 3.000 posti: la capienza dell’impianto “Parigi 1999” (quasi pieno per la finale di Final Six)
• 3 giorni: tempo di montaggio
e smontaggio degli impianti,
il primo comprensivo di verniciatura del nuovo parquet del
campo “Parigi 1999”, realizzato da Dalla Riva. Il parquet del
campo “Atene 2004” era in prestito dal 105 Stadium
• 750: i partecipanti ai vari clinic
(allenatori, arbitri, medici sportivi, minibasket, scuola di tifo)
• 550: gli iscritti ai tornei di 3
contro 3
6
ra, e poi le telefonate, i
messaggi e le mail a fine
evento di quanti hanno
voluto testimoniare il
loro apprezzamento.
Se dovesse riassumere RNB in poche
istantanee, quali sarebbero?
Il clima sereno nonostante un trofeo in palio, diciotto tifoserie
che si sono mescolate senza un problema, la logistica fantastica
di Rimini Fiera che ci ha consentito di ospitare tutto e tutti creando le occasioni d’incontro che il nostro mondo ci chiede. E ovviamente le partite, con due finali su tre palpitanti, bellissime.
Brandon Triche per rubare palla e
involarsi in un poco sportivo contropiede. O ancora le varie gag regalate
da Gianmarco Pozzecco, sia a bordo
campo che nei vari momenti in cui si
è concesso alla stampa o ai tifosi.
Eh già, perché, volenti o nolenti, tutti i giocatori, gli staff e gli addetti ai
lavori (da Carlton Myers a Dan Peterson, da Mario Boni a Simone Pianigiani), per arrivare sui campi, dovevano passare per l’area di ingresso
alla fiera, per gli stand e per le aree
gioco, creando un effetto di vicinanza
agli appassionati che ha contribuito
a rendere l’evento qualcosa di inedito e coinvolgente come mai prima.
I verdetti del campo, alla fine, han-
no premiato la tenacia della Luiss di
Max Briscese, il talento da categoria
superiore della Latina di Gigi Garelli
e la linea verde (con molte sfumature
azzurre) della Biella di Fabio Corbani; ma è difficile trovare una squadra
che non sia tornata arricchita dalla
spedizione in Romagna.
La LNP, a Rimini, ha segnato la via,
forse un anno zero delle manifestazioni cestistiche in Italia. Ora alla
Lega “minore” spetta l’arduo compito
di confermarsi – e migliorarsi – negli anni a venire. Ai piani superiori,
dalla Legabasket all’Eurolega, spetta
invece l’onere di prendere esempio,
dimostrandosi Leghe maggiori non
solo sulla carta.
6.2014
Adecco Final Six
Eurotrend Biella
(Finale: Eurotrend Biella –
Aquila Trento 100-94 dts)
MVP: Damian Hollis (Biella)
Adecco Final Four DNB
Benacquista Latina
(Finale: Benacquista Latina –
I.Dek Legnano 71-69)
MVP: Manuel Carrizo (Latina)
Adecco Final Eight DNC
Luiss Roma
(Finale: Luiss Roma –
Globo Allianz Campli 85-63)
MVP: Antonio Fabrizio Smorto (Luiss)
Fin da quando siamo arrivati abbiamo
avuto la sensazione di trovarci davanti
a qualcosa di meglio rispetto a quanto ci
aspettavamo. Abbiamo assistito ad un
evento “top level”, fatto con grandi idee e
certamente tante ore di lavoro. Un evento
di una dimensione forse inimmaginabile
anche per altre leghe di un livello più
alto. A me piace incontrare gente che ha
una visione, cosa che negli ultimi anni è
un po’ mancata nella pallacanestro.
Joan Roca
Departamento de Scouting – ACB
RNB: curiosità
• I canestri e i relativi supporti utilizzati sui due campi
sono l’ultima generazione di Sport System, con evoluzione per microregolazioni e alloggio del cronometro dei
24”. In Europa sono in uso solamente in Israele e Finlandia.
• Innovativa anche la grafica televisiva, elaborata in sinergia tra software statistico FIBA, fornitori della grafica Rai e la stessa Sport System.
• Tra gli stand più gettonati certamente quelli prettamen-
te alimentari: quello della PMS Torino, che distribuiva
gratuitamente l’originale “Mole Cola”, quello di Capo
d’Orlando, preso d’assalto per le prelibatezze siciliane,
quello calabrese, straripante di frutta fresca, e quello di
Biella, che offriva canestrelli, formaggi, birra e vino, oltre ovviamente a gadget e merchandising. Ma anche la
Leonessa Brescia, squadra non qualificata, ha espresso
soddisfazione per il successo del suo stand con gigantografie dei campioni del passato e altre attrazioni.
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6.2014
In basso: Maurizio Buscaglia, coach dell’Aquila Trento (Foto: Claudio Devizzi Grassi).
A destra: panoramica del campo “Parigi 1999” alla Fiera di Rimini,
durante la Coppa Italia (Foto: Claudio Devizzi Grassi)
L’angolo del basket coaching
Grammelot and Basket
La comunicazione non verbale
al Rhythm and Basket di Rimini
di Giovanni Putignano
Nel 1975, Adriano Celentano manifestò attraverso una canzone la difficoltà nella comunicazione verbale:
nel successo Prisencolinensinainciusol
applicò quello che nel mondo del teatro si chiama “Grammelot”, ovvero
l’invenzione di parole che sembrano
appartenere a una certa lingua, ma
che in realtà non esistono.
Rimini, marzo 2014: attraverso
Rhythm and Basket, il basket parla
una lingua universale con un ritmo
musicale da fare invidia al mitico Celentano, e si presenta con uno stile
differente sia a livello organizzativo
che comunicativo.
La comunicazione ha tre aspetti ben identificati: quello verbale,
prettamente comunicativo; quello
non verbale, che corrisponde a tutti gli effetti al linguaggio del corpo;
e quello paraverbale, che si riferisce
alle sensazioni, ai sospiri, agli occhi.
Attraverso il linguaggio del corpo è
possibile capire meglio se stessi e avvicinarsi agli altri sul piano umano.
La massima espressione del linguaggio del corpo di un coach si ha in tre
momenti: nel prepartita, durante la
partita e soprattutto nel post-partita. I coach finalisti diventano quindi,
agli occhi del sottoscritto, i principali
attori della manifestazione.
Final Eight DNC
Durante il match i due coach accompagnano, quasi partecipano alle varie situazioni di gioco. Renato Castorina (Campli), con ampi movimenti
delle braccia, invoglia la sua squadra
a recuperare il passivo e riprendere
l’inerzia della gara, mentre la posizione eretta e le braccia incrociate
8
di Max Briscese (Luiss) esprimono
la certezza di riuscire a controllare
il match indirizzato nel modo desiderato. Nel post partita le emozioni
sono contrastanti: la gioia di Briscese
e le lacrime di Castorina.
Final Four DNB
Il secondo appuntamento della domenica vede la partecipazione di due
sicure protagoniste del torneo, desiderose di fare tutto il possibile per
portare a casa la coppa. Gigi Garelli (Latina) prova a stare seduto, ma
alla prima indicazione non rispettata
(sopratutto nella fase di rimonta) si
alza immediatamente, pronto a manifestare con ampi gesti delle braccia
il suo disappunto o uno sprone positivo. Mattia Ferrari (Legnano) resta
a lungo in ginocchio, come per avere
una visione differente delle situazioni di gioco, e a gran voce detta il
ritmo ai suoi lunghi, spingendoli a effettuare quanti più balzi possibili per
recuperare un rimbalzo.
A fine partita Garelli, affaticato ma
carico di adrenalina per la rimonta
effettuata, rivede mentalmente la
partita visualizzando ciò che ha portato i suoi uomini al risultato, ma la
sua voce è avvolta da uno spesso velo
di emozione quando parla della sua
Romagna. Ferrari rivede nella propria
mente le ultimissime azioni, ma abbassa il capo quando ripensa al vantaggio dilapidato.
Final Six Gold-Silver
Desidero citare due importanti episodi riguardanti i tecnici non vincenti:
la decisione da parte di Adriano Furlani (Ferrara) di restituire i due punti
alla squadra avversaria intervenendo con determinazione presso i suoi
giocatori, e l’estrosità di Gianmarco
Pozzecco nel comunicare con i suoi
atleti durante i time-out. Maurizio
Buscaglia (Trento) e Fabio Corbani (Biella), entrambi distrutti dopo
la finalissima, nel post-partita sono
dei maestri del linguaggio del corpo
nel comunicare tanto le situazioni
positive quanto quelle negative. Buscaglia si acciglia quando ricorda gli
episodi decisivi, ma allo stesso tempo riesce a espirare e trasmette serenità quando afferma di aver vissuto
un’esperienza importante per sé e
per la squadra. Il vincitore Corbani
risulta disteso, ma si nota attraverso
la flessione in avanti del corpo che è
estremamente provato: non appena
parla dell’emozione provata e della
reazione positiva dei suoi atleti, riacquisisce una postura naturale trasmettendo emotività.
RNB
Cabina di regia
il gioco di squadra,
una risorsa
di Claudio Coldebella
Adesso sappiamo che è stato un successo. Alla vigilia avevamo le stesse
certezze? Sapevamo che, essendo
una Lega, come format e direttivo,
appena nata, avevamo bisogno di dire
quello che siamo. E così ci è venuto in
mente subito un evento che potesse
dichiarare e dimostrare i nostri punti
di forza: abbiamo tante squadre, una
conseguente diffusione sul territorio
molto capillare. E volevamo anche
dare a quante più squadre possibile
l’opportunità di essere protagoniste
di un evento collettivo.
La sfida era tanto impegnativa che,
lanciato un bando per l’organizzazione di un evento simile, non abbiamo ricevuto nessuna proposta. Ma
in realtà abbiamo cominciato presto
a tifare perché succedesse proprio
questo. Presunzione? No, consapevolezza che il segnale che volevamo
dare dovevamo darlo noi in primis,
puntando su qualcosa di originale,
di fresco. La nostra fortuna è stata
incontrare i dirigenti di Rimini Fiere,
e Marco Borroni in particolare, che
venendo dalle esperienze di Rimini
Wellness e Sport Days avevano la nostra stessa visione. Una visione, per
esempio, molto imperniata sulla fans
zone, che a qualcuno sarà sembrata
bizzarra, e che invece era proprio il
cuore dell’evento: squadre in campo
e gente protagonista, risultati importanti in palio ma clima di festa per
tutti.
Certo, è stato difficile far capire cosa
avevamo in testa. Nicola Tolomei,
che pure è quello di noi che ha più
esperienza nel settore, ci ha subito
fotografato la situazione: non è semplice. Poi, abbiamo dovuto allargare
il tiro, presentare il progetto al nostro
interno, ma questa è stata la parte
più facile: tutti hanno apprezzato
l’idea, tutti avevano, anzi tutti abbiamo remato con la stessa voglia di
realizzare una vetrina speciale per il
nostro movimento.
Vederlo dal vivo è stata una grande
emozione. Quando vedi realizzato il
lavoro che hai fatto per mesi è una
soddisfazione. Ed è stata una soddisfazione ancor più grande vedere l’entusiasmo di chi non ha avuto
la nostra stessa fortuna di andare
all’All-Star Game NBA, o anche solo
a quello della Lega tedesca. Oppure,
ricordo più recente, agli Europei in
Slovenia, dove i tifosi facevano festa
insieme alla fine delle partite.
Se però devo riassumere Rimini in un
concetto non mi serve nemmeno rac-
contare le emozioni e l’entusiasmo di
chi c’è stato, e neanche serve raccontare i complimenti che ci hanno fatto
gli ospiti che sono venuti a trovarci
dall’estero, da Grecia e Spagna. Quel
concetto è che abbiamo ribaltato una
logica che negli ultimi anni sembrava
ferrea: noi, che siamo il basket, uno
sport di squadra, abbiamo rinunciato a giocare come una squadra. A Rimini invece eravamo una squadra,
avevamo tutti lo stesso obiettivo e i
risultati si sono visti.
BasketpediA
Claudio Coldebella ha
legato la sua carriera principalmente alla Virtus, quella
dei tre scudetti consecutivi
dal ’93 al ’95, col primo Danilovic, ma ha giocato anche in Nazionale (argento a Barcellona nel ’97),
all’Aek Atene e all’Olimpia Milano. La sua carriera dirigenziale, veloce, velocissima, solo per chi
non lo conosce bene, è cominciata come aiuto
di Djordjevic in panchina a Milano; poi ha fatto
tappa a Caserta e a Treviso. Dall’estate scorsa
guida la Lega Nazionale Pallacanestro, forte
delle tante esperienze accumulate da giocatore
ma anche e soprattutto di un talento dimostrato gia’in campo: grande lucidità abbinata a una
piena consapevolezza dei propri mezzi. Per noi
è già, a maggior ragione dopo Rimini, il dirigente
dell’anno.
9
RNB
the miracle man
di Nicola Tolomei
Backstage
C’è un filo, anzi, vista la stazza del personaggio, un vero e proprio gomitolo che unisce i più begli eventi di basket degli
ultimi anni in Italia. Nicola Tolomei. Lui ha lavorato per Adidas portando lo Streetball in piazza Castello a Milano, ma
anche in via Caracciolo a Napoli, sotto le Due Torri a Bologna, al Lingotto a Torino. Lui ha lavorato per la partita tra
Italia e Svezia a Taranto, sulla portaerei Cavour. Lui ha lavorato per realizzare RNB a Rimini. Visione, coraggio, parecchio pelo sullo stomaco anche, e una fissa: la musica. Visto che qui di seguito riportiamo i suoi ricordi organizzativi,
il sommario è lo spazio buono per un altro aneddoto: «Un giorno ero in auto a fianco di Sandro Gamba. Tenevo basso il
volume della radio, ma a un certo punto mi accorgo che Sandro canta a bassa voce e tiene perfettamente il ritmo di un brano di
Charlie Parker. Il jazz lo aveva travolto verso la fine della guerra, e i suoi ricordi di pallacanestro erano tutti immersi in quella
musica, nera e bianca, sudata, sacrificale, antropologica. Sandro mi raccontava tutto e io ascoltavo rapito, e tra me e me dicevo:
allora è vero. Dopo un paio di mesi io e Sandro ci esibimmo in un famoso locale di Milano, l’Atm bar. Io mettevo i cd di jazz nella
consolle e Gamba, cuffia in testa, mi indicava quale far sentire. Resterà per sempre uno dei ricordi più intensi della mia vita».
BasketpediA
Nicola Tolomei ha giocato
fino in serie D nelle cosiddette minors milanesi. Da
Mvp invece la sua carriera
nel marketing, cominciata
con un’agenzia di comunicazione di sua proprietà e proseguita poi con
l’incarico in Federbasket e adesso alla Lega
Nazionale Pallacanestro. Grandi capacità organizzative e una sensibilità non comune per la
musica danno, mixate, il cocktail vincente sua
specialità: eventi in cui nessuno può difendersi dietro una banale autoreferenzialità e dove
piuttosto lo sport, la musica, tutto quanto fa
spettacolo, anzi cultura, acquista un altro e alto
significato.
In alto: la Nazionale Under 16 prima della
famosa gara sulla portaerei contro i parietà della
Svezia (Foto: Archivio FIP/Ciamillo-Castoria)
Nella pagina a fianco: foto “d’epoca” dell’Adidas
Steetball Challenge davanti al Castello Sforzesco
a Milano
10
Napoli, Via Caracciolo, le 6 di un lunedì mattina già estivo. Sono stanco
e stravolto dallo smontaggio, perché
fino alla sera prima il lungomare oggi
liberato che i napoletani dicevano di
Clinton, perché il presidente USA ci
faceva jogging, era una sfilata quasi commovente di campi da basket,
quando si avvicina a me un netturbino in età avanzata, e mi grida: «Dottò, quanta gente, almeno 200.000 persone…». Lo guardo stranito, non mi
sembrava essere esattamente uno
che rientrava nel nostro “target”, e
gli chiedo stralunato: «Lei è stato qui
in questi giorni?». Lui risponde secco:
«Certo che no, ma dalla monnezza che
abbiamo raccolto le posso dire che c’erano
almeno 200.000 persone». La monnezza
mette tutti d’accordo, questura e sindacati dovrebbero tenerne conto nel-
le valutazioni circa la partecipazione
agli scioperi in piazza.
Ma non era spazzatura Adidas Street­
ball Challenge, che anzi è stato il
miglior esempio di sport-event-marketing mai realizzato in Italia. Un progetto di dimensione globale, realizzato
in 42 Paesi del mondo per promuovere
un brand, Adidas appunto, che nonostante la storia più ricca nel settore, o
forse proprio per questo, non era percepito come fresco dal pubblico più
giovane, che in quegli anni riconosceva un solo idolo: Michael Jordan, il testimonial della rivale Nike.
In realtà ASC era molto di più di questa fredda definizione: noi giravamo
l’Italia proponendo una formula aggregativa unica, gratuita, immediata. Il
centro della città in 3 giorni di lavoro di
trasformava in un villaggio sportivo, in
6.2014
un’arena concerti, in un centro sociale,
in una location per sfilate di moda, in
un media center, in un palasport, in un
ristorante open air e in mille altre cose.
Impossibile ripensare oggi qualcosa
del genere.
5 edizioni, 40 città visitate, oltre
3.000.000 di spettatori, 200.000 atleti
partecipanti all’evento sportivo, almeno 60 gruppi musicali sul nostro palco,
dai Casinò Royale a Carmen Consoli,
dai Negrita ai Litfiba. Tutti italiani, tutti bravi, tutti ricchi di anima e di cuore.
E un capitano per tutti, Kobe Bryant,
che non aveva ancora vinto titoli con i
Lakers, ma che era già un atleta affermato e lanciato nel mondo NBA. Con
lui, ho avuto la fortuna di giocare su
un campetto di legno, posizionato di
fronte al Castello Sforzesco, insieme
al fotografo, a un ragazzo della crew,
lo speaker, un facchino, e un paio di
amici che passavano da lì. Ma su quel
campo centrale hanno giocato anche
le ragazze della Summer League, ragazzi felicemente rapiti al loro anonimato perché protagonisti della gara
delle schiacciate. Poteva accadere solo
allo Streetball, purtroppo non accadrà
più. Restano però i precedenti a dire,
come suggerisce Adidas, che impossibile is nothing, che si può pensare di allestire un campo in piazza, che, certo,
ci sono mille problemi da affrontare e
superare, ma il risultato finale ripaga
di ogni sforzo.
Il basket è l’unico sport di squadra che
può essere giocato da soli. Vero, ma
perché non giocarlo in posti stravaganti? Perché il basket, in fin dei conti, puoi giocarlo ovunque. Ma proprio
ovunque, mi son detto? Negli anni ho
avuto la fortuna di organizzare partite di basket in posti davvero poco
convenzionali per lo sport: un All-Star
Game femminile nel fossato di Castel
Sant’Angelo a Roma, un altro All-Star
Game GIBA a San Patrignano, nell’ex
maneggio, perché non esisteva ancora
l’attuale palestra, e poi una Summer
League al Castello Sforzesco di Milano.
Nel 2012 si presentò l’opportunità di
fare quello che nessuno in Italia aveva
mai realizzato fino ad allora: giocare
una partita di una Nazionale su una
portaerei. L’idea ci venne guardando
una gara della NCAA su una portaerei americana, le immagini fecero il
giro del mondo, e rimanemmo tutti
sbigottiti per quell’evento. A Taranto
era di stanza la portaerei Cavour, generalmente impegnata in missioni di
pace, tra cui, in quel periodo, i soccorsi
verso Haiti. Un Comandante di Marina incontrò Dino Meneghin e si mise
subito a disposizione per tentare di organizzare un evento in collaborazione
con la Federazione Italiana Pallacanestro, per esprimere la propria solidarietà alla causa del terremoto che aveva appena colpito l’Emilia Romagna.
SuperDino non ci pensò un minuto,
e memore delle immagini americane
mi chiamò immediatamente per verificare la possibilità di organizzare un
evento sulla Cavour. Detto, fatto.
Sembrava per tutti una cosa impossibile da affrontare, in pochissimo
tempo, in condizioni oggettivamente
insolite, all’aperto, sul mare. La dimostrazione di serietà e di capacità della
Marina fu imbarazzante. Alle ore 20.00
Italia e Svezia scendevano in campo,
davanti a oltre 2.500 spettatori. L’italia
vinse due volte: sul campo e fuori. A
fine partita, Dino Meneghin e la Marina Militare donavano alla causa del
terremoto 43.000 euro raccolti in sole
due ore. Sportitalia aveva filmato tutto,
Dan Peterson, da bordo campo, aveva
commentato qualcosa di incredibile.
Di quell’evento ho un ricordo nitido,
che aiuta a capirne la portata. Io, storicamente claustrofobico, preoccupandomi dei sistemi di accesso al campo,
attraverso la nave, chiedo lumi circa la
presenza di ascensori per il pubblico,
immaginando il via vai per portare a
bordo oltre 2.000 persone. Mi lasciano
parlare, mi guardano, si guardano, e
poi mi rispondono: «Il nostro ascensore
porta mille persone alla volta». In quella
risposta, per chi fa il mio mestiere, c’era già la certezza di un successo.
Il basket e la musica rappresentano il
senso più profondo della mia esistenza. Un binomio indissolubile che ha
contagiato la mia vita privata, la mia
famiglia, la mia professione. Basket e
musica hanno tantissimo in comune,
specie se la musica è nera, specie se è
jazz. Sono molti gli episodi di basket e
di musica che vorrei raccontare, ma ce
ne sono due in particolare, diversi tra
loro, che rendono bene l’idea di come
questi due mondi possano e debbano
incontrarsi, anche nella nostra cultura.
Quando in Lega Nazionale Pallacanestro quest’anno ci siamo posti l’obiettivo di confezionare un nuovo format
per celebrare una tre giorni di basket
tutto italiano, non ho avuto dubbi. Siamo andati a Rimini, in una delle più
belle fiere italiane, e grazie al loro aiuto
abbiamo allestito 30.000 metri quadrati di basket e di show, con 2 campi, da
gioco, 2 palchi e una fan zone esagerata. Così è nato Rhythm’n’Basket, per
brevità RNB. 20.000 presenze hanno
premiato il nostro lavoro. In un mondo
che tende a nascondere il nostro fantastico sport, RNB ha dato segnali di speranza e di vivacità che sono andati oltre ogni nostra più rosea aspettativa. Il
mix di musica e sport, dopo tanto tempo, ha creato dunque un nuovo format.
Le finali di Coppa Italia, per coerenza,
sono state trasmesse su HIP HOP TV,
ma ai microfoni c’era sempre il Coach.
11
Foto: Sara Frigeri
LNP
Il sogno di
una città
C’erano anche i loro pungiglioni, alla
Fiera di Rimini. Gli Stings della Pallacanestro Mantovana, uno dei loghi
più simpatici della Lega Adecco Silver,
erano lì per presentare il prossimo appuntamento della LNP, l’All Star Game
2014, che la società lombarda ospiterà
al PalaBAM il prossimo 17 aprile.
A fare gli onori di casa il presidente
Adriano Negri, che, insieme al vice-presidente Silvia Bellelli, è stato
il fondatore della Pallacanestro Primavera da cui questa estate è nata la
Pallacanestro Mantovana. Una storia
particolare alle spalle, di sudore e di
paura, con un terremoto (quello che
colpì l’Emilia il 20 maggio 2012) che
sembrava avesse spento i sogni, rendendo inagibile il fortino di Poggio
Rusco in pieni playoff promozione.
Una promozione, ottenuta poche settimane dopo, da cui il presidente Negri è ripartito: «Il terremoto ci ha tolto
tanto, non solo privandoci dell’affetto della
gente di Poggio Rusco. Ma allo stesso tempo ci ha spinti a guardare alla grande città
per realizzare i nostri sogni».
Sogni ma anche progetti, parole che il
presidente ripete spesso: «Bisogna sognare restando con i piedi per terra, come
la nostra tradizione contadina impone. Il
progetto è triennale, se alla fine di questo
percorso non avremo raggiunto i nostri
12
TUTTE LE STELLE
PORTANO A MANTOVA
di Fabrizio Quattrini
obiettivi torneremo a giocare in DNB o
DNC con la consapevolezza di aver fatto
il possibile per realizzare i nostri sogni».
Intanto il sogno di una notte di mezza estate si sta per realizzare: «All’All
Star Game pensavo già a luglio, quando
abbiamo deciso di accettare il ripescaggio
in Silver. Dovevamo far capire alla città
che facevamo sul serio».
Una città, Mantova, che ha fatto fatica ad accettare gli Stings, ma che ora
si esalta in un PalaBAM ormai pronto a vivere una due giorni di grande
basket, che la società sta organizzando con uno staff guidato da Luca Rallo, nuovo General Manager. «Così come
a Rimini, vogliamo pensare a un evento
che non sia solo una partita di basket.
Al di là della partita e dei contest come
gara delle schiacciate e tiro da tre, il giorno prima organizzeremo l’All Star School,
che sarà la festa del Gioco Sport, visto che
la provincia di Mantova è l’unica in Italia che porta avanti questo progetto. Poi
avremo la Fan Zone, speriamo all’aperto,
tornei con le scuole minibasket, espositori all’interno del PalaBAM e ovviamente
musica». E con la possibilità da casa
di scegliere i protagonisti: «Sul sito già
attivo www.asgmantova.it si potranno
votare i giocatori delle due squadre ma
anche i partecipanti dei contest». Il tutto
con il supporto di tutte le istituzioni,
«a partire da Marzorati e Alberto Mattioli, che, da buon mantovano, ci è molto
vicino. La FIP ci affiancherà nei due giorni
e si farà carico del trasporto dei ragazzi
per l’All Star School».
E poi la città, che sta scoprendo il
grande basket: «Dico sempre che il terremoto ha aiutato ad abbassare qualche
“campanile”. Oggi Mantova si è aperta
alla nostra realtà e le società della provincia ci vedono come un punto di riferimento, non più come un avversario. Questa comunità di intenti ci dà la forza per
guardare oltre».
Una storia di stelle: quelle cattive
hanno tolto un palasport e l’affetto di
una piccola comunità, quelle buone
si riuniranno al PalaBAM per toccare con mano che nella pallacanestro,
quando si crede in un’idea, spesso risulta vincente.
Cos’è Gioco Sport
Progetto ministeriale nato nel 1997
per avviare i bambini allo sport,
Gioco Sport parte dalle attività motorie di base per poi passare a pallacanestro, ciclismo e tennis in terza elementare, fino a rugby, atletica
leggera e calcio nell’ultima classe.
Coinvolge tutte le scuole primarie
della provincia di Mantova.
BASKET
italiano
GIBA
Il Presidente della GIBA dice la
sua sulla tutela dei giocatori
nostrani, con uno sguardo a ciò
che succede all’estero.
Per esempio, in Israele...
In alto: un’immagine della finale di Coppa
Italia DNB, con soli italiani protagonisti
(Foto: Claudio Devizzi Grassi)
Nelle pagine seguenti: il Presidente
GIBA Alessandro Marzoli con uno dei
maggiori esponenti del basket italiano,
Marco Belinelli (Foto: GIBA), e l’esultanza
dei giocatori dell’ASD Luiss nella finale
di Coppa Italia DNC, un altro successo
100% italiano
(Foto: Claudio Devizzi Grassi)
FACCIAMO
GLI ITALIANI!
di Alessandro Marzoli
Si parla spesso di tutele per i giocatori
italiani o di come offrire più spazio agli
atleti che poi potranno fare la fortuna
della nostra Nazionale e promuovere il
nostro movimento. Noi della GIBA non
vogliamo apparire come sindacalisti
conservatori, ultimi baluardi a difesa
del fortino dell’italianità, perché non inneggiamo all’autarchia, bensì invochiamo un progetto di riforma complessivo
del nostro basket, in grado di valorizzare i settori giovanili, rilanciare il basket
nelle scuole e ripensare i campionati
chiamati “dilettantistici”, sapendo coinvolgere il pubblico delle famiglie.
Non ci muoveremo di un millimetro
dalla nostra posizione e grideremo, fino
a quando avremo voce per farlo, che gli
italiani non si toccano. Comprendiamo
quanti, fra tifosi e addetti ai lavori, dicono no a ipotesi di “quote di protezione”,
perché lo spazio bisogna conquistarselo. Ovviamente noi siamo d’accordo,
in quanto difendiamo gli italiani che
meritano di stare in campo. Ma così
C’è chi dice che gli italiani giocano poco, c’è chi dice che non meritano di giocare, e c’è chi dice che dovrebbero essere schierati per obbligo normativo. Per tutto il resto, ci sono le statistiche raccolte dalla
GIBA. Che vanno interpretate, certo, e declinate in base alle diverse
situazioni dei club coinvolti, ma forniscono dati oggettivi da cui partire. Ecco tutte le cifre della Serie A a girone di ritorno inoltrato.
come siamo totalmente contrari a quote obbligatorie di giocatori under (e in
questa stagione i giovani che meritano
di giocare, a dispetto dell’età, stanno
dimostrando di poterlo fare e anche
bene, nonostante regole meno tutelanti del passato, vedi su tutti l’esempio di
Biella), così riteniamo che non ci possa
essere liberalizzazione totale del mercato. Una posizione che riteniamo onesta e coerente, in quanto i giovani che
meritano giocano anche senza obblighi
verso gli under, mentre l’apertura ad
ancora più stranieri rispetto a oggi porterebbe a impoverire la vena che porta
giocatori in Nazionale e ad allontanare
ulteriormente i tifosi, che, da sempre,
tendono a identificarsi più facilmente
con giocatori con i quali abbiano più facilità di rapporti e che sentano di più “la
maglia”.
Quando ci viene fatto notare – per esempio da coach preparati come Matteo Boniciolli – che “la protezione dei panda”
non serve, perché se uno è più forte lo
Gli atleti vengono suddivisi in:
• Italiani (formati)
• Equiparati
• Comunitari
• Extracomunitari
13
6.2014
spazio lo conquista, noi diciamo che
un discorso del genere può essere accettato, a patto che le condizioni di
partenza siano le stesse. E noi riteniamo che le condizioni di partenza non
siano le stesse, prima di tutto perché
un sistema di tassazione fortemente
diverso rispetto all’estero penalizza,
senza ombra di dubbio, i giocatori italiani (basta con la storia che gli italiani costano di più, che forse era vera
in passato, ma oggi è una barzelletta).
Poi c’è il problema del “tutto e subito”, con allenatori e manager spesso
costretti dall’ansia del risultato –
tranne qualche super coraggioso – a
privilegiare stranieri già pronti, piuttosto che concedere minuti di errori
(“esperienza” è il nome che diamo agli
errori dopo averli fatti, ricordiamocelo) a giovani italiani.
Infine, diamo un’occhiata all’estero.
Paesi come Russia e Turchia hanno
normative federali che sono a difesa dei loro atleti. Questo non sempre
coincide con migliori risultati sportivi
della Nazionale, ma a lungo andare
allarga la platea dei giocatori che possono mettersi in mostra nel massimo
campionato, creando più competizione. Di più: qualche mese fa, con uno
sciopero di 18 giorni nel massimo
campionato (un vero e proprio lockout),
i giocatori israeliani hanno ottenuto
un grande risultato: 2 israeliani sempre in campo, roster con massimo 5
stranieri e se una società ne schiera 4
invece di 5 riceve un bonus di 80.000
dollari dallo sponsor della Lega. Follia? No, visto che ben 10 squadre su 12
hanno scelto di avere solo 4 stranieri
in questa stagione! 14
A questo punto si potrebbe obiettare
che Israele, Turchia e Russia non hanno l’Unione Europea che spinge per la
libera circolazione degli atleti comunitari. È vero, ma è altresì vero che le
norme, soprattutto nel mondo dello
sport, possono e a nostro avviso devono essere oggetto di revisione e trattativa (e a tal proposito, in vista della
presidenza italiana del Semestre Europeo, abbiamo scritto una lettera al
Presidente del Consiglio, Matteo Renzi). Sulla questione siamo totalmente
d’accordo con il Presidente della FIP,
Gianni Petrucci, e invochiamo il supporto e il sostegno del CONI.
Insomma: non bisogna scherzare
su questa storia, perché se l’Unione
Europea imponesse la libera circolazione degli atleti comunitari e nessuno prendesse posizione, i giocatori
italiani potrebbero anche decidere
di fermarsi. E non solo la prossima
estate, quando indosseranno la maglia azzurra, ma anche a settembre,
alla ripresa dei campionati. I lavora-
Campionato 2011/2012 (34 giornate)
Italiani: 30.486 minuti, pari al 27,79%.
Equiparati: 6.405 minuti, pari al 5,84%.
Comunitari: 38.009, pari al 34,65%.
Extracomunitari: 34.800 minuti, pari al 31,72%.
Campionato 2013/2014 (dopo 21 giornate)
Italiani: 18.151 minuti, pari al 26,83%.
Equiparati: 2.976 minuti, pari al 4,40%.
Comunitari: 18.677 minuti, pari al 27,61%.
Extracomunitari: 27.846 minuti, pari al 41,16%.
Campionato 2012/2013 (30 giornate)
Italiani: 28.976 minuti, pari al 29,98%.
Equiparati: 3.805 minuti, pari al 3,94%.
Comunitari: 25.012, pari al 25,88%.
Extracomunitari: 38.864 minuti, pari al 40,21%.
Squadre che hanno impiegato maggiormente
atleti italiani dopo 21 giornate (medie).
Cantù: 121 minuti, pari al 60,50%.
Sassari: 115 minuti, pari al 57,50%.
Reggio Emilia: 102 minuti, pari al 51%.
6.2014
against the pain
Con la GIBA i basket a supporto
degli oncologi per la lotta contro il dolore
di Luca Maggitti
Dall’amore per la pallacanestro nasce “Against The Pain
– Giocare di squadra per battere il dolore”, innovativo
corso di formazione per spiegare agli oncologi come
lottare contro il dolore e somministrare i medicinali per
le cure palliative, nella loro quotidiana attività medica.
Il corso, accreditato Ecm, è stato pensato dall’oncologo –
ex allenatore di basket – Giampiero Porzio, ha avuto il
supporto dell’azienda Prostrakan e ha esordito lunedì 3
febbraio 2014 a Bologna, con la partecipazione di oltre 20
oncologi, coinvolti in una vera e propria contesa agonistica
contro il dolore, e dei cinque campioni testimonial del
progetto (coach Messina, tornato appositamente da
Mosca, e poi Luigi Lamonica, Charlie Yelverton, Roberto
Brunamonti e Claudio Bonaccorsi, nella foto a destra).
Una partita in cui Porzio ha rivestito gli amati panni di
coach e con i suoi amici cestisti ha fatto squadra con i
corsisti, spiegando loro come combattere ogni giorno una
sfida importante. Finali mondiali ed europee, scudetti,
coppe: l’incredibile palmarès, ottenuto dalla sommatoria
dei campioni presenti al fianco di Giampiero, ha trasmesso
la grinta necessaria ai corsisti, che oltre a Porzio hanno
seguito gli insegnamenti di Sebastiano Mercadante, fra
i massimi esperti internazionali sulla terapia del dolore.
Un esperimento a metà fra basket e oncologia, che ha
ottenuto un successo tale da convincere i promotori
a organizzarne 5 repliche. La prima andrà in scena al
PalaMaggetti di Roseto degli Abruzzi, lunedì 31 marzo
2014, con la partecipazione di Luigi Lamonica, Charlie
Yelverton, Roberto Brunamonti, Claudio Bonaccorsi e
Valerio Bianchini. Inoltre, sarà “della partita” il coach
degli Sharks, Tony Trullo, che saluterà i corsisti a nome
del sodalizio cestistico rosetano.
tori italiani del basket – fra crisi, poco
spazio in TV e sponsor sempre più difficili da trovare – sono quelli che stanno pagando più di tutti la pluriennale
sofferenza economica riverberata nel
mondo del basket. Noi crediamo che
non sia giusto chiedere ancora sacrifici soltanto a loro. Come GIBA, continueremo a lottare e interpelleremo
anche la base mediante sondaggio,
per vedere qual è il pensiero degli appassionati di basket.
Detto della Serie A, chiudiamo con il
nostro pensiero sull’impiego dei giocatori stranieri in DNA Gold e Silver:
siamo contrari. Secondo noi in quei
campionati ci starebbero bene 10 italiani. Se proprio si deve fare un’apertura esotica, crediamo che uno straniero sia più che sufficiente.
Montegranaro: 95 minuti, pari al 47,50%.
Venezia: 89 minuti, pari al 44,50%.
Caserta: 83 minuti, pari al 41,50%.
Squadre che hanno impiegato maggiormente
atleti italiani dopo 21 giornate (totali)
Cantù: 1.799 minuti, pari al 42,33%, con 3 italiani (formati) con
almeno 15 minuti di media in campo.
Reggio Emilia: 1.685 minuti, pari al 40,12%, con 2 italiani (formati) con almeno 15 minuti di media in campo.
Caserta: 1.652 minuti, pari al 39,10%, con 2 italiani (formati) con
almeno 15 minuti di media in campo.
Venezia: 1.570 minuti, pari al 37,38%, con 2 italiani (formati) con
almeno 15 minuti di media in campo.
Montegranaro: 1.504 minuti, pari al 35,81%, con 2 italiani (formati) con almeno 15 minuti di media in campo.
Dopo 21 giornate di campionato, il numero di giocatori italiani
(formati) che giocano almeno 15 minuti di media a partita è di 23,
contro i 24 delle prime 20 giornate.
15
6.2014
cosa succede in...
Dall’alto in basso e da sinistra a destra:
Fabrizio Frates e il suo (ex) vice Stefano
Bizzozi, a lui subentrato alla guida di Varese
(Foto: Claudio Devizzi Grassi); Ravern
Johnson al tiro (Foto: Fabrizio Stefanini) e
Sandro Dell’Agnello, coach della Vuelle Pesaro
(Foto: Fabrizio Stefanini)
serie a beko
di Marco Mantovani
Nessun dorma
Poco interessante un campionato
con una sola retrocessione? Dove
non può il regolamento, ha potuto il campo. Sotto quota 20 nessuno può, ancora, dormire il sonno del giusto. Varese ha tirato una zampata contro Pesaro per
tirarsi fuori dalla mischia in coda, dopo aver indugiato forse troppo a congedare Fabrizio Frates, sostituito da Stefano Bizzozi. Il presidente Vescovi lo aveva
ricordato a chiare lettere: non potrà essere la stagione dello scorso anno, ma i
playoff sono ancora alla portata. Forse tra tutte le scommesse della stagione
della Virtus Bologna, quella persa più sonoramente è quella... di aver scommesso troppo. Bruno Arrigoni indossa la pelliccia di volpe come armatura, ma
questa volta pare essere incappato in diverse tagliole. Forse non era quindi tutta
colpa di Bechi se Bologna ha perso 12 delle ultime 14 partite. Forse non tutti i
mali erano imputabili a Casper Ware, che è parso non esser mai stato conscio –
più che adatto – al cambio di categoria. Il patron Villalta se li vorrebbe mangiare
tutti, quelli che coach Valli ha definito “polli” dopo la sconfitta nel derby con
Reggio Emilia, ammainando l’orgoglio Virtus fino a 4 punti dal fondo.
Ricette balsamiche
Togli Collins e Mayo. Inserisci problemi finanziari. Aggiungi
tanto cuore e uno spruzzo abbondante di succo cestistico
marca “Charlie” (non è una multinazionale panamense, ma
una italianissima DOCG milanese). Ecco servita la stagione
della Sutor, che cerca di ricondurre in porto (San Giorgio)
una stagione in cui è resuscitata più volte dopo essere stata data per morta. Nonostante debba sempre attendere un
rientrante, prima Chase, poi Rich, ora Woodside, Cremona
pare quella che ha trovato maggiormente la quadratura del
cerchio dopo che coach Pancotto ha confezionato la coperta
corta con taglio sartoriale e saputo galvanizzare un gruppo depresso. Certo nessuno potrà mai imputare a Pesaro di
non averci fortissimamente provato, a risalire la ripidissima
china che si è trovata di fronte. Durissima guardare tutti dal
basso, ma attorno alla collezione di doppie doppie di O.D.
Anosike, ai restanti scontri diretti e allo sguardo di Sandro
da Mompracem, il miracolo ha ancora voglia di accadere.
16
6.2014
Un’era in liquidazione
Anche Ferdinando Minucci anticipa la scadenza
naturale del contratto, rescindendo consensualmente con la Montepaschi. Di ciò che è stata la Mens Sana Siena restano solo la squadra, i tifosi e la città, tutti un po’
più soli nella tregenda dell’epilogo di un’era. Non resta poi così poco per ripartire. Il cruccio vero è che nessuno sa ancora
esattamente da dove.
Trinità
L’avete visto sempre più
spesso spedire un bacio
al cielo? Sì, perché Curtis Jerrells, dietro quel
gesto, nasconde ciò che è stato più forte di ogni
scetticismo, quando fu preferito a Haynes dopo
l’arrivo di Hackett. E, proprio per tutto quello
scetticismo, tu chiamala, se vuoi, rivelazione.
Ora doppiamente importante, con Keith Langford costretto a un mese di stop per un problema al bicipite femorale sinistro. Chiamatelo,
invece, Trinità Drake Diener, flagello di Venezia
nella nona di ritorno con 44 punti (7/12 da tre)
e 48 di valutazione.
In senso orario, dall’alto: Willie Warren, nuovo acquisto
di Bologna (Foto: Francesco Malpensi), Curtis Jerrells,
sempre più positivo a Milano (Foto: Savino Paolella),
Nemanja Mitrovic, guardia della Sutor Montegranaro
(Foto: Vincenzo Artiano), Quinton Hosley schiaccia
(Foto: Alessio Brandolini)
17
con il patrocinio
COMUNE DI
POGGIO RUSCO
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GIOCOSPORT
6.2014
cosa succede in...
dna adecco gold
di Alessandro Salvini
Flashback
Ha accontentato tutti l’evento riminese, in cui musica, divertimento e basket si sono intrecciati con addetti
ai lavori, tifosi e media che hanno interagito come mai era
successo in Italia. Se al di fuori del rettangolo di gioco Torino ha presentato uno degli stand più gettonati, sui legni del
campo “Parigi 1999” gli uomini di Stefano Pillastrini hanno
deluso parecchio. E la reazione in campionato è stata solo
parziale, visto che Mancinelli e compagni hanno perso l’occasione di appaiare la prima della classe Trento perdendo
in casa, pur se allo scadere, proprio contro l’Aquila. Brava
invece Biella a strappare la coppa ai campioni uscenti: i ragazzi di coach Corbani saranno sicuramente in pole in questo finale di stagione regolare se manterranno l’umiltà e la
voglia di “ringhiare” contro gli avversari come fatto sino ad
oggi. I 40 punti rifilati alla malcapitata Jesi paiono confermare questa tesi.
Torneo cadetto,
quale futuro?
Sul web si rincorrono voci e smentite sul futuro del secondo
campionato italiano. Gold e Silver insieme in unico torneo
ma divise in due gironi (nord e sud)? Un unico blocco con
sole 16 formazioni? Evitiamo di volare troppo con la fantasia e lasciamo le protagoniste a giocarsi le fasi calde di questo campionato. A bocce ferme, poi, società e dirigenti tirino
le somme organizzando il meglio per il nostro basket. Fino
ad allora, si rispetti chi suda e lavora sul parquet.
In alto: Torino e Stefano Mancinelli devono
riprendersi al più presto dalla delusione della
Coppa Italia (Foto: Claudio Devizzi Grassi)
A destra: Rodney Green, bomber di Ferentino
(Foto: Andrea Ciucci)
DNA ADECCO gold,
I MIGLIORI DI febbraio
Miglior giocatore:
J.R. Giddens
(Centrale del Latte Brescia)
Miglior allenatore:
Alessandro Ramagli
(Tezenis Verona)
19
6.2014
cosa succede in...
dna adecco silver
di Fabrizio Quattrini
Cinque giornate al termine e nella Valle dei Templi si contano le ore che separano la Moncada dalla promozione diretta. Si
accende nel frattempo la lotta playoff, con la Viola che rientra in corsa, mentre in fondo Firenze e Torrevento sono pronte
alla volata salvezza.
Le minors che ci piacciono...
Applausi alla GIBA, che dopo 10
anni ripropone gli Oscar. In Silver
il premio non poteva che andare a Eugenio Rivali, uno che nelle “minors” si è costruito una carriera, girovagando per l’Italia
fino a trovare a Ravenna la sua casa, protagonista della cavalcata in DNB della “Piero Manetti”. Standing ovation.
...e quelle che odiamo
Chieti-Roseto
era un derby
atteso dal 1986, ma la Prefettura aveva vietato la vendita di biglietti ai tifosi rosetani temendo incidenti. L’intervento congiunto delle società aveva scongiurato
l’inibizione alla trasferta, peccato che un manipolo di violenti abbia pensato bene
di rispondere alla provocazione di Deloach (andato a festeggiare davanti alla loro
tribuna) lanciando in campo decine di seggiolini. Il Presidente di Roseto ha preso
subito le distanze da un atteggiamento che da inizio campionato ha portato la società a spendere oltre 15.000 euro di multe. Che la Prefettura avesse ragione?
La FIP non sente,
non vede... ma scrive
La vicenda di Lucca ha portato con sé effetti collaterali che si sperava potessero essere gestiti con più buonsenso. Sorvoliamo su multe e squalifiche e soffermiamoci
sulla vicenda kafkiana di Demetrius Conger: l’esclusione della squadra toscana,
con la cancellazione delle gare disputate, ha cancellato anche le relative presenze
dei giocatori. Conseguenza? Conger risulta a tutti gli effetti “non vistato”, come se non avesse mai giocato in Italia, e quindi
chi lo vuole tesserare (Roseto) deve spendere un altro visto. La beffa più grande? Conger risulta ancora il miglior tiratore
da due della Silver con il suo ottimo 65.7%... Evidentemente fatto al campetto, non avendo mai calcato i nostri parquet....
A sinistra: la Moncada di coach Ciani vede
sempre più vicina la promozione in DNA
Adecco Gold (Foto: Claudio Devizzi Grassi),
grazie anche a Kwame Vaughn (in alto, foto:
Danilo Scaccabarossi)
Nella pagina a fianco: Riccardo Tavernelli,
play dei Legnano Knights (Foto: Claudio
Devizzi Grassi)
DNA ADECCO silver,
I MIGLIORI DI febbraio
Miglior giocatore:
Kwame Vaughn
(Moncada Agrigento)
Miglior allenatore:
Franco Ciani e Andrea Zanchi
(Moncada Agrigento e
Assigeco Casalpusterlengo)
20
6.2014
cosa succede in...
adecco dnb
cosa succede in...
adecco dnc
di Davide Uccella
Che in DNB si respiri un certo “fattore Rimini”? Vero o no,
sta di fatto che la tre giorni di Adecco Cup ha dato conferme
su chi sembrava in crescita o in calo, specie ai piani alti.
Girone A
Tortona paga due sconfitte di
fila facendosi risucchiare dalla
Fortitudo, bravissima a smaltire la transizione da Toto Tinti,
mentre continua ad attirare complimenti la matricola Mortara, in alta classifica con tante conferme e pochi ma ottimi
innesti. Più giù, invece, ci si prepara a una lotta salvezza con
sei squadre racchiuse in un fazzoletto.
Girone B
Qui il “fattore R” pesa ancora
di più: Legnano rallenta, sorridono le bresciane (Montichiari e Orzinuovi capolista),
sorride Udine nonostante
l’andamento incerto, ma
sorride soprattutto Treviso,
che con Gennaro Di Carlo si
assicura un coach da promozione. Nel frattempo la
sorpresa Pordenone insegue
il sogno playoff, mentre Rimini riaccende le speranze
salvezza ai danni di Lecco.
Girone C
Resta in piedi la lotta a due Latina-Rieti: i pontini, freschi di
successo in coppa, sono squadra profondissima, Rieti però
c’è con i suoi senatori, e al momento la migliore striscia positiva è la sua. A ridosso dei playoff sale di colpi Sant’Elpidio, altra neopromossa, ma un posto d’onore va alle compagini “under”: l’Eurobasket targato Bongiorno si gioca i
playoff, mentre stellini e lupacchiotti tengono viva la corsa
salvezza. Di sicuro ragazzi come Moretti, Latorre, Ramenghi
o Rath salperanno presto per altri lidi.
Girone D
Scafati dilaga, Agropoli e San
Severo si consolidano e la lotta a
tre (Bisceglie, Francavilla e Lanciano) per il quarto posto è vivissima, ma tutto passa in secondo piano rispetto alla denuncia dei giocatori di Bernalda. Anche qui ritardati pagamenti e
impegni non assunti. Colpa della società? Presunti burattinai?
Non sarà che il problema sta nelle regole da cambiare, per evitare che una 9a in classifica rischi il ritiro e falsi il campionato?
di Stefano Mandelli
Questione di
passione e di età
Cos’è il bello di questo sport? La risposta è semplice: è tutto quello che si è visto, in campo e fuori dal campo, nelle
finali di Coppa Italia di Rimini, anche per la DNC. Perché
se da un lato le 8 contendenti hanno onorato al meglio la
competizione sportiva, dall’altro va colta con altrettanta
gioia la conferma che il basket, per molti, per chi ci crede – dai tanti tifosi presenti per le minors agli addetti ai
lavori che con interesse hanno seguito queste Final Eight
– non è affatto uno sport minore. Affascina, in quella che è
la quinta serie nazionale, vedere sul parquet giovanissimi
emergenti e vetereni navigati darsi battaglia, senza che il
pensiero debba per forza andare a Mario Boni e alla sua
stagione a Monsummano, guidati gli uni e gli altri da una
fortissima passione. Passione che è la parola chiave per
queste finali di Coppa: la bella e meritata vittoria finale a
Rimini della LUISS Roma è emblema di quanto detto. Tra
Fabrizio Smorto e Ruben Polselli l’anagrafe è spietata a
favore del primo: più di vent’anni separano l’ala-play reggina, MVP della manifestazione, dall’esperto centro torinese, una vita intera che però non ha impedito a Polselli
di primeggiare sotto le plance, artefice anche lui del successo romano. Perché qui, in DNC, anche l’anagrafe si deve
inchinare tutte le domeniche alla passione, e speriamo
che la Lega, che in questi ultimi mesi ha dimostrato una
lungimiranza di vedute anomala nel panoramo del basket
contemporaneo, riesca in futuro a valorizzare e preservare
questo enorme patrimonio sportivo.
Rush finale
Riprende dopo la pausa forzata delle finali di coppa il campionato, in una fase cruciale per le formazioni di alta classica alla ricerca della promozione diretta in DNB. Il Girone
A vede saldamente al comando Oleggio, che sembra aver la
forza di mantenere il primato fino alla fine; Girone B con
Bergamo che per la prima volta in stagione balza in testa,
Girone C guidato dal Basket Mestre, braccato a 2 lunghezze
dallo Jadran Trieste. È invece Bottegone a non perdere colpi
in cima al Girone D, mentre Cassino e LUISS Roma si contendono la testa del Girone E, con i ciociari che devono però
recuperare una gara. A chiudere il Girone F, fresco della triste rinuncia della Pallacanestro Benevento a chiudere la stagione regolare, con Mola davanti a tutti, e il Girone G, con la
conferma in vetta della Nuova Aquila Monreale.
21
BASKET
italiano
Cambio di passo
Giocatore, allenatore, mai dirigente come ruolo, ma capace
sempre di indicare una direzione e dunque di dirigere il
basket, Carlo Recalcati presenta
qui la sua visione del futuro. Fotografando nella lentezza a reagire il difetto storico del nostro
movimento. E sul campionato
attuale chiude con un giudizio
che forse spiazzerà qualcuno.
BasketpediA
Carlo Recalcati. Milanese di nascita ma
sempre canturino da giocatore, con due
scudetti e le prime coppe dell’epopea
continentale della Forst poi Gabetti, da
allenatore ha firmato alcuni scudetti storici. Quello della stella a Varese, il primo in
assoluto per Fortitudo e Siena. Ma la sua
impresa più bella è l’argento con la Nazionale ad Atene nel 2004. Comincia da questo numero la sua attività da editorialista
di Basket Magazine. Da giocatore con la
Nazionale ha vinto due bronzi europei, da
allenatore è stato anche a Reggio Calabria e Bergamo. È arrivato sotto canestro
da ragazzino, adesso è nonno, ed è ancora lì. Ci aspettiamo da lui consigli saggi
come quelli che leggete qui a fianco.
In alto: Recalcati con Daniele Cinciarini
(Foto: Daniele Ferretti)
Nella pagina a fianco: Alfredo Susanna,
patron dell’Arcanthea Lucca (Foto:
Fiorenzo Sernacchioli)
22
Ho visto cose
che voi umani…
di Carlo Recalcati
Mi hanno detto prima il titolo del servizio che avrei firmato. Sto al gioco senza
fatica. Ho cominciato a giocare nel ’58,
e se ancora non basta per dare un’idea
mi spiego meglio: da ragazzino ho fatto
in tempo a vedere il Cesare Rubini giocatore. E di Sandro Gamba sono stato
persino avversario. Se riesco a resistere,
vorrei arrivare a coprire un arco di 100
anni di basket: ho giocato contro gente
del 1925 e adesso gioco pure con mio nipote che è del 2001…
Facile dire che in questi anni è cambiato
proprio tutto, ma non sono un nostalgico; trovo anzi che fare dei confronti, dei
paragoni, sia sbagliato. Non ha senso
dire che oggi è peggio di ieri. O il contrario. Piuttosto bisogna sforzarsi di fare
valutazioni che siano contestualizzate.
Giusto piuttosto dire che questo è un
momento difficile e che nemmeno mi
ricordo un momento come questo.
Ci siamo cullati per la crescita costante
che abbiamo avuto anni fa, ma onestamente bisogna ammettere che la flessione non è solo di questi anni: ci siamo
seduti su determinate convinzioni. L’errore principale è stato, mentre vedevamo che qualcosa stava cambiando, fare
finta di niente, sperare che i problemi si
sarebbero risolti da soli. Non succede
mai così. E Lo vediamo. Soffriamo perché siamo sempre di rincorsa, non reagiamo mai in tempo reale. Le decisioni
che vediamo necessarie non le affron-
tiamo, le rimandiamo, e le prendiamo
finalmente, ma sempre con un ritardo
di 4-5 anni. Il nostro problema è che
ci impieghiamo tanto, troppo tempo a
decidere cosa fare. E così poi quando il
provvedimento arriva, non va più bene:
è vecchio, superato.
Il problema l’ho vissuto in prima persona ogni volta che ho parlato della necessità di un ricambio generazionale,
ma oggi vediamo tutti che a noi è mancata almeno una generazione intera di
giocatori. Si diceva che Tanjevic facesse
il furbo: vinti gli Europei, qualificati per
Sydney, suonava campanelli d’allarme
per aumentare il valore dei suoi risultati. Macché: stava fotografando in anticipo la situazione. E io mi sono ritrovato
poi nei suoi panni: argento ad Atene;
attenzione, dico, stanno arrivando le
vacche magre. Non ci ha ascoltato nessuno: né prima, né dopo,
Bisognava formare dei giocatori, invece della soluzione abbiamo cercato dei
palliativi. Si decise per esempio di introdurre il numero obbligatorio di italiani.
E io rilanciai proponendo un campionato solo per Under. Quando hai 8 giocatori dello stesso livello in squadra, succede che almeno 6 giocano e stanno tanto
in campo: questo era il principio. In ogni
caso, fatta una proposta, devi essere capace di verificarne l’efficacia. E purtroppo noi siamo in ritardo anche con le verifiche, pur avendo chiesto alla società
6.2014
un sacrificio e di utilizzare gli Under.
La sintesi è che, non avute le risposte
che io pure mi aspettavo, non siamo
stati veloci a cambiare, a percorrere
un’altra strada varando una riforma
dei campionati. Il succo del discorso è
che si dovrebbe incentivare l’impiego
dei giocatori italiani, non obbligarlo.
Perché poi succede che arriva la Comunità Europea con finta sorpresa di
tutti e ci dice di assumere decisioni
che avremmo potuto prendere da soli,
come sistema italiano, intendo.
Un suggerimento: incentivare chi fa
giocare i giocatori che sono stati nelle
giovanili della stessa società. Chiaro,
devi trovare le risorse per gli incentivi, ma devi avere dei parametri, che
so, 1 euro per ogni minuto in campo
di un italiano, 2 euro per ogni minuto
in campo di un italiano di tua formazione. Un’altra possibile soluzione è
quella di accettare le differenze: chi
deve giocare le coppe può scegliere un
certo format, e per gli altri liberalizzi.
Lo so, tutto difficile, però non è nemmeno possibile accettare questo stato
di passività.
Parliamo di campionato. Io avevo proposto, e rinnovo, il tema a 3 fasce: un
campionato pro, un campionato intermedio con un numero ridotto di
squadre, e un’ultima fascia di campionati regionali. Come ha dimostrato Rimini, abbiamo bisogno di creare
eventi, e questo campionato regionale, una sorta di NCAA all’italiana,
questo sarebbe: un evento spalmato
sul territorio per scegliere 64 squadre
secondo criteri che ovviamente assegnano più posti alle regioni con più
squadre; ovviamente non penso alla
Lombardia con lo stesso numero di
squadre della Val d’Aosta. Di sicuro,
credo, alla Final Four arriverebbero
squadre che a quel punto sarebbero
davvero in grado di salire di categoria.
Ma questo non è il solo discorso importante. Quello che conta è il metodo. Mi fa specie sentire che la TV ci
deve dare spazio. Noi cosa facciamo
per la TV? Se voglio chiedere un aiuto, qualunque tipo di aiuto, prima di
tutto devo sapere cosa posso chiedere. Io ho avuto esperienze con Pozzecco e Myers, guarda caso gli ultimi e
unici personaggi che abbiamo saputo
proporre. Avere in squadra due giocatori del genere creava anche qualche
problema, perché è evidente che se
il Poz deve andare a registrare con la
De Grenet salta l’allenamento, ma in
compenso, gestita la cosa, avevi un
ambasciatore che usciva dal campo,
che faceva conoscere il basket fuori
dai nostri stretti confini. Ci serve un
altro passo e il coraggio di uscire dalle
palestre e dall’autoreferenzialità.
In chiusura, volete sapere se il campionato è regolare e lo chiedete a me
proprio perché alleno Montegranaro.
La mia risposta, non di comodo, è “sì”.
Perché potrei parlarvi dell’impegno
dei giocatori, ma quello non può essere in discussione, e invece preferisco dire che è dal momento in cui si
è data la possibilità di modificare la
squadra in corso d’opera non c’è più
stata la parità competitiva. Permettere di cambiare i giocatori durante la
stagione ha cambiato i campionati.
lucca, una fine ingloriosa
Quello degli stipendi non pagati, delle promesse non mantenute e dei club a rischio fallimento è un’epidemia che
non conosce confini di categoria. Ne è un esempio l’Arcanthea Lucca, in DNA Silver, teatro di una vicenda che
però ha raggiunto frontiere finora inesplorate della cattiva
gestione societaria: dopo mesi di inadempienze e comprensibili rimostranze dei giocatori, il patron Alfredo Susanna, all’indomani del reperimento di un nuovo sponsor,
ha annunciato di aver volutamente rinunciato a pagare
la seconda rata della tassa di affiliazione FIP per questo
campionato. Se ne sono dette e scritte tante, probabilmente troppe, da quel 28 febbraio, forse trascurando coloro che
di questa disavventura sono stati gli sfortunati protagonisti. «Abbiamo sperato fino all’ultimo», ci confida Davide Parente, capitano della squadra. «Poi si è passati dallo sconforto
alla rabbia, perché noi giocatori non siamo per nulla tutelati». Ma
come, gli sportivi professionisti non erano tutti privilegiati? Forse quelli che il pallone lo prendono a calci, non certo
i cestisti: «Abbiamo preso l’ultimo stipendio a novembre – continua Parente – Con la fideiussione richiesta ai club (30.000
euro) avremmo potuto almeno pagarci uno stipendio a testa, ma
se il club non la versa basta che paghi la multa e a noi non rimane nulla». Cornuto e mazziato, direbbero a Napoli.
«È giusto che qualcuno paghi» secondo Walter Santarossa,
vice-capitano dell’Arcanthea, che ha già trovato un nuovo
ingaggio tornando a Trento. Ma se qualcuno deve pagare,
la colpa di chi è? «Il patron è Alfredo Susanna, e la scelta è
stata sua. Molte persone si erano offerte di dargli una mano o
addirittura di rilevare la società, ma i debiti erano troppo ampi.
E il presidente Franco Montorro, nella settimana decisiva, non
l’abbiamo visto». Un atteggiamento certamente difficile da
spiegare per i giocatori italiani, pur abituati a sentirne di
tutti i colori. Figurarsi per gli americani: «Demetrius Conger
è un rookie, non aveva assolutamente idea di quello che stava
succedendo, era abbastanza sconvolto». Così come deve esserlo stato Michael Deloach, l’altro USA, che un bel giorno
si è visto sbarrare la retromarcia dal titolare dell’agenzia
di autonoleggio. «La squadra non ha mai posto alcun tipo di
problema sui ritardi, ma ultimamente c’erano stati affitti non
pagati, luci staccate, automobili requisite», conferma Parente.
L’ipotesi di una ripicca di Susanna per l’atteggiamento dei
giocatori, dunque, non sta in piedi. Le ragioni sono molto
più profonde, profonde come il passivo accumulato dalla
società nell’arco della stagione, se non addirittura prima:
«Purtroppo ci sono società che in estate spendono molto più di
ciò che hanno, con promesse fatte da chissà chi sulla “pelle” di
persone che lavorano portandosi dietro moglie e figli». E non
ci sono solo i giocatori: «Il basket a Lucca c’è da 40 anni»,
chiosa Santarossa. «I tifosi, i dipendenti della società, il settore
giovanile. Tutti subiranno le conseguenze di ciò che è accaduto».
23
basket
italiano
amarcord sasha
Personaggi
Il 2 marzo la Virtus Bologna ha
ritirato la canotta numero 5
del mitico Predrag “Sasha”
Danilovic. Ecco il ricordo di chi
con lui, alla guida della Virtus,
ha vinto tutto.
In alto: Sasha Danilovic con Renato
Villalta durante la cerimonia del ritiro
della maglia n. 5 della Virtus (Foto:
Chiara Sandrolini). In basso: Zelimir
Obradovic (Foto: Savino Paolella).
Nella pagina a fianco: Danilovic con la
maglia della Kinder Bologna (Foto: Patrick
Hertzog - AFP-Getty Images); nel box,
Ettore Messina (Foto: Marina Kobzeva/EB
via Getty Images)
di Ettore Messina
Sasha arrivò a Bologna molto giovane.
Il primo incontro fu però nel playoff di
Eurolega del 1992 per andare alla Final
Four di Istanbul. Ci massacrò letteralmente. Poche settimane dopo furono
rapidissimi il club e il nostro GM, Alessandro Mancaruso, ancora durante i
playoff italiani, a chiudere un accordo
perché venisse a Bologna.
Io ero giovane, lui ancor di più, entrambi non propriamente aperti a dare
fiducia agli sconosciuti: ci aiutò molto
Dule Vujosevic, anche se allora non
me ne resi del tutto conto. Durante la
guerra nella ex Jugoslavia, Dule passava molto tempo a Bologna proprio per
aiutare Sasha, per lui praticamente un
figlio: sempre presente, ma molto discreto. Gliene sono grato.
Dopo una delle prime trasferte in cui
non aveva tirato bene, chiese la mattina presto di andare in palestra: quasi
ogni giorno tirava con dedizione maniacale, 200 o 300 canestri, non tiri.
Impressionante la determinazione e
la cura dei particolari. Poteva fare 200
canestri in 20 minuti sbagliando meno
di dieci tiri.
Nel febbraio del ’97 andai a vedere gli
allenamenti degli Heat, subito dopo
l’All-Star Game. Ero il C.T. della Nazionale italiana, neanche mi immaginavo
PILLOLE DI SASHA
«Sono orgoglioso di aver giocato con Sasha e di esserne stato l’allenatore, è uno
dei giocatori di maggior carattere che io
abbia mai conosciuto. Non sceglieva le
partite, giocava sempre al 110%.»
Zelimir Obradovic
Hanno collaborato
Claudia Angiolini, Nicola Martinelli,
Alessandro Salvini e Andrea Rizzi
24
«Voleva essere sempre picchiato sulle mani
e sulle braccia in allenamento per abituarsi
alle partite. Una sera, rientrati da Bologna
alle due di notte, volle fermarsi in palestra a
tirare perché non aveva giocato bene, e chiese al mio assistente Lino Frattin di rimanere
con lui aprendo la palestra. Tirò 300 volte
prima di andare a dormire.»
Alberto Bucci
basket
italiano
che da lì a pochi mesi saremmo stati di nuovo insieme. Lo vidi giocare in quintetto per Pat Riley, pur non
aiutato dal suo playmaker,
che, se doveva scegliere fra
Sasha a destra e un altro a
sinistra, la passava sempre
all’altro.
La famosa durezza di Sasha:
giugno ’97, torneo estivo per
Nazionali a Berlino prima
dell’Europeo di Barcellona. Domanda del giornalista:
«Perché Herr Danilovic è tornato
in Europa alla Kinder?». Risposta:
«Ten million dollars». Fine dell’intervista.
Sasha poteva essere molto esigente con i compagni e duro nelle sue
esternazioni. Ma anche molto protettivo se ne avvertiva la necessità:
una volta, in una partita in casa,
una signora del parterre apostrofò
duramente Ale Frosini, reo di non
giocare abbastanza bene e di essere arrivato dalla Fortitudo. Sasha se
ne accorse e immediatamente partì
uno «Statti zitta tr...».
Quando perdemmo la semifinale di
Coppa Italia contro la Fortitudo nel
1998, prima di vincere Eurolega e
scudetto, tutto il mondo stava per
crollarci addosso. Sasha, senza indugi, andò in sala stampa e disse la
famosa frase: «Della Coppa Italia non
me ne può fregare di meno». Si tirò addosso tutte le critiche e l’attenzione, per distoglierla dai compagni di
squadra. Grazie a lui e al Presidente
Cazzola, che ci dimostrò tutta la sua
fiducia, riuscimmo a rinforzarci e a
vincere tutto quello che restava.
Credo che sia stata questa sofferenza continua negli ultimi anni a
convincerlo a smettere. Ha smesso
come Platini, quando aveva ancora
un eccellente contratto in essere,
lasciando il ricordo di un campione e non quello di un giocatore in
malinconico declino. Ero a casa a
guardare la TV, ricordo il momento come ora: «Ettore, da stasera
hai un giocatore in
meno».
Ho visto,
tra
i
«A qualcuno era indigesto, ma aveva un
enorme carisma. Continuava a ripeterci
che vincevamo grazie a lui, un po’ per arroganza e un po’ per trasmettere la sua
grande leadership. Ma ha avuto ragione,
quando se n’è andato il nostro ciclo è finito.»
Paolo Moretti
«Mi avevano detto che era un giocatore egoista, un burbero. Tutto falso. Per me è stato un
amico e un compagno vero. Mi ha trasmesso
la forza di credere sempre in quello che facevo, anche nei momenti negativi. Penso al
famoso “tiro da quattro punti” in gara 5 di
finale scudetto 1998 contro la Fortitudo: fino
a quel momento non aveva giocato bene, poi
si inventò la magia che ci portò all’overtime
e nel supplementare segnò 9 punti.»
Hugo Sconochini
6.2014
tanti campioni al
cui fianco sono
stato, solo lui
e Kobe Bryant
esercitare un’influenza così forte
su compagni, allenatori e organizzazione. Incutere rispetto,
a volte timore, infondere coraggio
e determinazione. Sono onorato
di aver lavorato
con lui e ancor
di più di esserne
diventato amico
quando ha smesso di giocare. Mi
ha dimostrato di
essere una delle
persone più leali
che abbia conosciuto nella mia
vita e gliene sono profondamente grato.
BasketpediA
Per uno che ha allenato
giocatori del callibro di
Richardson, Smodis, Rigaudeau, Bryant, Nesterovic, Ginobili e Papaloukas,
Danilovic non è solo una
figurina. E infatti Sasha parla di lui chiamandolo Ettore, non Messina. Licenza e privilegio
che solo i grandi si possono permettere. Ettore
Messina ha cominciato nel settore giovanile e
non ha ancora smesso di allenare dopo scudetti
e coppe dappertutto. L’ultima sfida da vincere:
arrivare a Milano per la prossima Final Four, lui
che riportò a Mosca la Coppa dei Campioni che
mancava da anni.
«È il più forte giocatore con cui io abbia
mai giocato. Scherzando mi definiva il suo
“muratore preferito”. In campo mi chiamava di continuo, benché non avesse problemi a smarcarsi da solo, per sfruttare i
miei blocchi. Aveva l’umiltà di riconoscere
il valore del lavoro anche nei compagni
meno dotati: fu il primo a rispondere ai
tifosi che contestavano Joe Binion mettendosi faccia a faccia con chi lo fischiava.»
Flavio Carera
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6.2014
A destra: Roberto Brunamonti,
Sasha Danilovic e Renato
Villalta con le rispettive
maglie ritirate (Foto: Chiara
Sandrolini)
In basso: le maglie di
Marzorati e Ravaglia appese
al Pianella
la maglia sul tetto (di Carlo Perotti)
Narra la Bibbia del giornalista moderno,
ovvero Wikipedia, che la prima maglia ritirata fu quella di un giocatore di hockey,
Irvine “Ace” Bailey, che nel 1934 ebbe
questo onore dopo otto stagioni nei Toronto Maple Leafs, costretto al ritiro da
un colpo scorretto di un avversario, Eddie
Shore dei Boston Bruins, che gli fratturò il
cranio. Qualche mese dopo i Maple Leafs
organizzarono un All-Star Game per raccogliere fondi per il loro sfortunato giocatore: Bailey e Shore si strinsero la mano a
metà campo prima dell’incontro, e dalla
stagione seguente la NHL creò l’All-Star
Game come appuntameno fisso.
Da quel momento l’abitudine di ritirare
la maglia si diffuse rapidamente in tutti
gli sport professionistici e universitari per
onorare grandi giocatori, atleti tragicamente scomparsi o con la carriera stroncata da gravi infortuni. Per restare nel
basket, alcune fortunate franchigie NBA,
come i Boston Celtics, ne hanno fatto un
uso massiccio. I C’s hanno ritirato ben 23
numeri: non solo campioni come Bird,
Cowens, Havlicek, Cousy, Parish o Russell, ma anche giocatori prematuramente
scomparsi come Reggie Lewis, o presidenti (Walter Brown) allenatori (Red Auerbach, K.C. Jones) e addirittura telecronisti
(Johnny Most).
In Italia l’abitudine è stata a lungo castrata dalla regola dei numeri da indossare
che andavano tassativamente dal 4 al 15,
cosicché solo atleti colpiti da morti tragiche come Chicco Ravaglia, Paolo Barlera o
Davide Ancilotto, oppure autentiche leggende come Dino Meneghin, Mike D’Antoni o Pierluigi Marzorati, hanno avuto
questo grande onore. Le nuove regole sulla numerazione potrebbero ora aprire ad
altre leggende del basket nostrano l’opportunità di essere per sempre ricordati
sui soffitti dei nostri palazzetti. E di nomi
da celebrare ce ne sarebbero parecchi.
marzorati 14 forever
12 settembre 1991, giorno del 39° compleanno. Partita celebrativa
per il ritiro del Pierlo e della sua maglia # 14. Una maglia nella storia del gioco. Il Marzorati Day. Ospiti extracestistici Gianni Bugno e
Jürgen Klinsmann. Nella selezione FIBA Richard Dacoury, Stephane
Ostrowski, Oscar, Antoine Rigaudeau. E Jurij Zdovc, Toni Kukoc, Dino
Radja nei giorni della triste guerra fratricida in Jugoslavia.
Radja, allora al Messaggero Roma, prima di raggiungere i Celtcis oltre Atlantico: “Mi chiedete della situazione politica in Jugoslavia, ma
sinceramente posso dirvi poco. È difficile capire bene quello che sta
succedendo. È difficile capire per chi è là, figuriamoci per noi. Ed è
difficile soprattutto accettare quello che sta succedendo. Si va verso
una divisione fra gente che ha lo stesso sangue, che è della stessa
razza. Mah, non capisco proprio.” (Nicola Nenci, La Provincia, venerdì
13 settembre 1991)
Antonello Riva, che confessava l’emozione provata allorché il Pierlo nel primo allenamento a Cantù aveva porto la mano al futuro
Nembo Kid: “Non potevo mancare. Salutare l’addio del Pierlo mi fa
un certo effetto, anche perché vuol dire che di anni ne sono passati... […] Per me Marzorati è stato importantissimo. Mi ha aiutato a
crescere nel grande basket, e soprattutto mi ha insegnato a vivere
in un mondo sempre più professionistico e logorante come è la pallacanestro oggi. Un mondo dove devi saperti gestire, indirizzare le
forze nella direzione giusta per essere sempre pronto. E parlo anche di fattori emozionali. […] Il nostro rapporto è stato esattamente
come può essere quello tra marito e moglie. Un matrimonio che poi
si è rotto, ma che ha vissuto momenti di rara intensità. E che non
possono non lasciare qualcosa dentro. Ci siamo “lasciati” da amici,
per carità. Sono qui, perché sono convinto di esserlo, insomma” (id.)
Con le stelle straniere a giocare e raccontare per l’ultima volta la
leggenda del numero 14 e con il Nembo Kid di Rovagnate, Antonello
Riva, anche Nandokan Gentile, splendido e ruspante play. Spettacolo puro, clima di festa seppur con un pizzico di malinconia per la
chiusura della parabola. Un bagaglio di ricordi infinito. L’incasso fu
devoluto per intero all’UNICEF.
Per il Pierlo cominciava una nuova carriera. Non più in pantaloncini
e canottiera sul parquet a volare, vedere e inventare superlative o
inedite geometrie, suggerire soluzioni e alzare coppe al cielo. Giacca
e cravatta, dietro una scrivania. Come sarebbe andata? Propheta in
patria?
Brano tratto da:
La leggenda dell’ingegnere volante
di Alberto Figliolia, Alessio Figliolia, Mattia Guastafierro
In uscita ad aprile 2014 per Acar Edizioni
26
6.2014
Fronte SKY
Allora si può fare
di Geri De Rosa
A New York dopo il Giorno del ringraziamento
In un panorama sportivo sempre più minacciato dai
capricci e dall’arroganza di pochi simil-tifosi, dalla pallacanestro sono arrivati due segnali meravigliosi, due testimonianze di passione vera, intanto per la propria squadra, ma
soprattutto per il nostro sport.
Varese, 1 dicembre 2013, la Cimberio batte Pesaro e soprattutto il 99% del pubblico di Masnago batte il restante
1%, soffocando un ridicolo tentativo di contestazione nei
confronti della squadra, dell’allenatore e di quella dirigenza che solo pochi mesi prima aveva fatto sognare un’intera
città.
Milano, febbraio 2014: all’indomani della bruciante sconfitta in Coppa Italia, alcuni “frequentatori del Forum”, convinti di essere i padroni dell’Olimpia, decidono non solo di
proclamare un curioso sciopero del tifo (in silenzio fino ai
playoff, e allora?), ma anche di presentarsi all’allenamento
della squadra interrompendolo per “parlare” con allenatori
e giocatori. Il risultato? Nelle partite successive il Forum e
il PalaDesio, nella partita di Eurolega contro Málaga, diventano più rumorosi che mai: Langford e compagni scatenano gioia ed entusiasmo come non succedeva da anni,
facendo dimenticare a tutti che uno sparuto gruppetto di
esaltati (a cui dell’Olimpia evidentemente interessa poco,
se no si sarebbero emozionati anche loro) avrebbe voluto il
silenzio.
Insomma, a Varese come a Milano, il bel rumore della passione ha soffocato la presuntuosa volontà di contestazione,
l’affetto e l’amore di molti ha zittito i fischi e i pretestuosi
atteggiamenti di pochi. Detto che meno si parla di queste
degenerazioni e meglio è, vale la pena qui sottolineare che
una volta tanto il pubblico vero, quello sano, che va al
palazzetto per soffrire, gioire, arrabbiarsi ed esultare, ha
trionfato. Il basket ancora una volta ha dimostrato di avere
una base forte, sana e appassionata. E in tempi di curve
chiuse, cori balordi, discriminazioni razziali che minano la
credibilità di altri sport, l’esempio che ha portato la pallacanestro è stato straordinario, talmente straordinario che
non deve passare sotto silenzio.
Si può fare, allora: il desiderio dei più può battere l’arroganza di pochi. È un messaggio chiaro, bello, che fa guardare avanti con ottimismo nonostante tutto; un messaggio
che, finora, solo la gente del basket ha saputo inviare.
Giù dalla Torre (degli Asinelli)
Altro che Basket City
di Massimo Selleri
Togli un posto a tavola, così starò più comodo. La parodia
della famosa commedia è perfetta per descrivere l’aria che si
respira a Basketcity, e se di mezzo non ci fosse anche un po’
di insana ingratitudine la trama potrebbe essere anche divertente. Fermo restando che a rimetterci sono state Virtus e
Fortitudo, con i loro tifosi che oggi fanno i conti con due squadre non in linea con i risultati per cui erano state costruite.
Giulio Romagnoli, il presidente di Fortitudo 2011, non si occupa solo del commercio di patate, ma ha diverse attività
tra cui un ristorante, dove a mezzogiorno spesso pranzano
sia Claudio Sabatini, presidente della Fondazione Virtus
fino a qualche settimana fa, sia Renato Villalta. Da settembre i tavoli sono rigorosamente separati, nessun saluto
neppure di circostanza, e quando è presente il padrone di
casa i due sono più interessati a chiedere come vanno le
cose ai cugini, piuttosto che parlare delle proprie faccende. Villalta ha deciso di farlo sui giornali, lasciando intuire
come la situazione economica del club fosse vicina al baratro a causa dei tanti pregressi. Sarà stato anche vero, ma i
panni sporchi si lavano in famiglia, mentre qui la musica è
andata avanti fino a quando Sabatini non si è dimesso.
Alla sera, in un altro ristorante di Bologna, erano i dirigenti
della Fortitudo a ritrovarsi all’insaputa di Marco Calamai, sebbene l’allenatore fiorentino la scorsa estate abbia
compiuto l’impresa di ricompattare il popolo della Fortitudo attorno a un’unica squadra. A capo di quella società,
Calamai mise l’ex giocatore Dante Anconetani, un nome
che sembrava azzeccato perché i due non avevano mai discusso nelle loro precedenti esperienze. Ma c’è sempre una
prima volta, e a forza di “decisioni già prese” è poi arrivata
la rinuncia di Calamai.
Sabatini e Calamai sono personaggi scomodi, perché sono
stati innovativi. Marco nel suo essere capace di insegnare
la pallacanestro ai ragazzi con difficoltà neuropsichiatriche
fino a portarli ad affrontare squadre di coetanei “normali”,
mentre Claudio ha dato una scossa al movimento rilanciando, per esempio, la Coppa Italia, o riportando 8.000
spettatori fissi all’Unipol Arena. Dietro questa loro voluta
esclusione c’è il dubbio che il problema non sia tanto avere
obiettivi o idee differenti che non sono conciliabili, quanto
il vivere alla giornata in attesa di tempi migliori. Sarà così?
Ad oggi i risultati sportivi non smentiscono.
27
basket
giovanile
se i genitori
diventano hooligans
Una new vision parte dal basket
per educare i genitori allo sport
di Aleksandar Avakumovic
L’Onu ha dichiarato il 6 aprile
Giornata Internazionale dello
Sport per lo Sviluppo e per la
Pace. A prima vista un’altra
ricorrenza come tante. In realtà
a Milano sarà proprio il basket,
grazie ad Aleksandar Avakumovic, ad aprire una nuova frontiera: quella di un dibattito serio
sul ruolo del genitore nell’educazione sportiva dei figli. Anche voi
avete trovato dei genitori insopportabili alle partite giovanili?
Qui vi diamo qualche identikit
per riconoscere i più pericolosi.
Foto in alto: Archivio FIP/CiamilloCastoria
28
Lontano dalla luce dei riflettori, dall’interesse di giornali e tv, si svolgono grandi drammi il cui centro è la famiglia. E
l’aspetto più drammatico si riflette sul
bambino, sul piccolo atleta, il protagonista del gesto sportivo, della gara, della
partita: un giovane individuo messo in
relazione con la propria famiglia, scuola
e società tramite lo sport.
Qui si innesca un meccanismo delicato, addirittura pericoloso: la famiglia,
turbata a causa di varie forme di crisi
sociali ed economiche, lotta per sopravvivere e trasmette la pressione ai suoi
membri più deboli, ma anche futuribili:
i bambini. Molto spesso, quasi seguendo uno schema, i genitori si trasformano inconsciamente in persone violente,
prima nei confronti dei propri bambini,
e poi, con numerose scenate e sfoghi
vandalici, nei confronti dell’intero ambiente al quale appartengono. Si tratta
di una forma contemporanea e sofisticata, e tuttavia sempre più visibile, di
vandalismo. Che si alimenta della matrice dell’hooliganismo classico, la cui
culla cromosomica si ritrova nel calcio
britannico [ … ]
BasketpediA
Non tutti possono permettersi il lusso di vedere
celebrato il proprio compleanno dall’Onu con l’istituzione di una Giornata Internazionale dello Sport.
Capita, non a caso, ad Aleksander Avakumovic,
belgradese da tempo in Italia. Ex giocatore del Radnicki, avvocato, si è dedicato all’educazione dei
giovani attraverso il basket. Suo il progetto Bam che
oggi identifica le categorie dei giocatori più giovani,
sua la new vision sul ruolo dei genitori che lo ha portato sulle pagine de La lettura, l’inserto culturale del
Corriere della Sera da cui sono estratti i frammenti
che compongono l’articolo di queste pagine.
Genitore tifoso
Questo tipo di genitore-hooligan degrada, con il suo tifo, un innocente evento sportivo, altamente educativo per i
bambini, al livello di un festival senza
scrupoli, pieno di insulti da stadio verso
uno o tutti i partecipanti della gara. Non
viene risparmiato nessuno dei presenti,
anche se il bersaglio più conveniente è
sempre l’arbitro, di regola considerato al livello tecnico degli stessi giovani
protagonisti dell’attività sportiva. Il genitore-hooligan, come anche ogni altro
“collega”, attacca sempre il più debole,
visibilmente indifeso.
6.2014
Genitore allenatore
Molto spesso i genitori indirizzano i
loro bambini verso lo sport che loro
stessi praticavano o seguivano attentamente già quando erano giovani.
Del tutto logicamente trasferiscono
e offrono questa passione ai loro figli, senza prendere in considerazione l’affinità personale e l’umore del
proprio bambino. Possedendo alcune
conoscenze ed esperienze precedenti,
costruiscono una convinzione sulle
proprie elevate competenze e abilità come allenatori. Motivati ufficialmente dallo stare sempre più vicini
al bambino, si trasformano nell’allenatore del proprio figlio, nascondendo
anche a se stessi un motivo recondito:
il desiderio di essere allenatori anziché genitori attenti. Evitano di rendersi conto che sovrappongono il loro
bisogno al bisogno del bambino, di
cui, infatti, sanno pochissimo; e, più
spesso, non se ne interessano neppure. Si può immaginare una forma più
perfida di violenza teppistica?
Genitore dirigente
L’organizzazione sportiva prega spes-
so il genitore di prendere parte all’organizzazione. Da questo momento
accade una graduale trasformazione
in un nuovo tipo di genitore: il dirigente.Lì comincia la violenza, specialmente nei confronti degli altri bambini sportivi, i cui genitori non sono
dirigenti, bensì sono fuori dal sistema. Si crea una perfida connessione
tra la direzione e gli allenatori che
sono pagati dai primi, diretta non allo
sviluppo delle attività sportive, ma al
soddisfacimento di singoli interessi di
genitori dirigenti. Su questo punto lo
sviluppo della scuola-club viene fermato e il club viene trasformato in
un’organizzazione violenta che segue
gli interessi di piccoli dirigenti, trascurando completamente gli interessi
portivi, pedagogici e tutti quelli legati
a essi […]
Come uscirne
L’hooliganismo dei genitori è un avversario molto pericoloso dello sport
contemporaneo, praticato in gran
parte da bambini e giovani. L’hooliganismo dei genitori si è infiltrato nel
mondo dello sport attraverso quello
dilettantistico, il che rende tutto il
fenomeno ancora più complicato e
radicale. Per fortuna, siamo ancora
testimoni di un’epoca in cui prevalgono, per numero e influenza, i genitori normali, moderati, equilibrati,
che hanno avuto (o anche no) esperienze sportive. Lo sport è ancora indiscutibilmente la forma migliore di
utilizzo del tempo libero da parte dei
bambini e dei giovani, ma solo a una
nuova condizione: che non sia sotto il potere, il controllo e l’influenza
dei genitori-hooligan. Che la cosa sia
estremamente grave, di gran lunga
più grave di quanto possa sembrare a
prima vista, lo dimostra un serio calo
d’interesse della famiglia nel consentire ai propri bambini la pratica dello
sport. Questo si spiega in modo errato
con varie ragioni, di natura soprattutto economica. Invece, non ci si rende
conto che c’è una motivazione sempre più frequente: la famiglia sana
ha ormai notato che nel mondo dello
sport sono in agguato, già all’ingresso,
i genitori-hooligan. Questo è il grande ostacolo per lo sviluppo dello sport
contemporaneo.
29
6.2014
cosa succede in...
eurolega
cosa succede in...
eurocup
Impressionante
prova balistica della
guardia dell’Unics
Kazan Andrew Goudelock nella serie degli ottavi di finale contro il CEZ Nymburk: 32,5 punti
di media con 12/20 da due punti e 12/23 da tre punti. Il nativo
di Stone Mountain sta vivendo
un’ottima stagione da rookie
nel Vecchio Continente sotto la
guida di coach Trinchieri, producendo fin qui 19,3 punti con
il 44.3% da dietro l’arco.
Grande spettacolo anche nella
serie tra Valencia e Khimki Mosca. Gli spagnoli l’hanno spuntata solo grazie al piazzato di
Pau Ribas a 9.2” dalla fine della
gara di ritorno, dopo aver vinto
75-59 la sfida di andata e resistito stoicamente alla gara perfetta del Khimki, 97 punti a segno
con il 70% da due punti e 12/19
da tre punti. Ora gli uomini di
Velimir Perasovic sono i favoriti
per il trionfo finale.
cosa succede in...
eurochallenge
È ormai più che probabile che la Grissin Bon, qualificata
alle Final Four (2-0 al Krasnye
Krylia) con Triumph, Gaziantep e Szolnoki, sia la squadra
ospitante dell’evento (25-27
aprile). La sede, però, non sarebbe il PalaBigi di Reggio Emilia, non all’altezza degli standard FIBA, bensì il PalaDozza
di Bologna.
di Nicola Martinelli
e Marco Taminelli
Bertomeu
Non solo il basket italiano nel
mirino di Jordi Bertomeu. Anche il Barcelona, con il vecchio Palau Blaugrana che con
i suoi 8.250 posti a sedere non
permetterebbe alla società catalana di conservare la licenza
A, è nella lista dei cattivi del
commissioner. Il club ha chiesto una nuova deroga per la
capienza dell’impianto casalingo in virtù del progetto che nel
2019 dovrebbe portare al completamento del nuovo stadio e
dell’annesso nuovo palasport.
«Il Barcelona di sicuro non potrà giocare al Palau Blaugrana per i prossimi cinque anni.
Inoltre dovrà anche rivedere le sue politiche sulle vendite dei biglietti, visto che gli spettatori alle gare interne sono ai minimi storici (5.097 la media nelle dieci gare casalinge
fin qui giocate, nda)». Si prospetta quindi un trasloco per le gare casalinghe in
uno dei due impianti della capitale catalana, il Palau Sant Jordi da 17.000 posti
e il Pavellò Olimpic di Badalona, casa della Joventut, da 12.500, con la seria prospettiva di giocare in cattedrali vuote.
Tifosi Zalgiris
Che i tifosi di basket lituani siano
tra i più caldi dell’intero panorama
europeo è cosa risaputa, basti pensare alle feste sugli spalti agli ultimi Europei
sloveni. Contro il CSKA il gruppo più caldo della Zalgirio Arena ha mostrato pacificamente il proprio sostegno verso il popolo ucraino dando le spalle al campo durante la presentazione della formazione allenata dal nostro Ettore Messina. Il giorno precedente l’arena di Kaunas aveva ospitato il Budivelnik Kiev
impegnato contro i francesi del Nanterre nell’andata degli ottavi di EuroCup.
Bentornato Manu
È tornato finalmente in
campo Manu Markoishvili, fermo da fine ottobre per un infortunio al tendine tibiale, e al Galatasaray
non possono che gioire: nell’insidiosa trasferta di Kuban il georgiano ha condotto
i leoni di Galata alla vittoria con 19 punti e 5/8 da tre punti in 32 minuti di gioco.
Focus on: Juan Carlos Navarro (guardia, FC Barcelona)
La 33enne guardia del Barcelona continua a ritoccare i
record statistici della massima competizione europea.
Durante la gara interna con l’Olympiacos il capitano dei
blaugrana ha toccato quota 253 presenze in Eurolega, superando il precedente recordman Theo Papaloukas, ritiratosi dopo 252 partite. Da record anche i 6.564 minuti giocati, che aumenteranno ancora, record che va a scalzare il
30
precedente primato di 6.553 detenuto da J.R. Holden. Salgono così a quota dieci le voci statistiche che vedono Navarro
come leader all-time: valutazione (3.272), punti realizzati
(3.423), tiri da tre punti tentati (1287) e realizzati (495), tiri
liberi tentati (821) e realizzati (700), tiri totali tentati (2507)
e realizzati (1111). Il prossimo obbiettivo personale per il
catalano è la scalata nella classifica delle gare in quintetto.
basketcom
prossima fermata:
progetto playground
In piazza tra basket e sicurezza nelle ferrovie
ANSF, POLFER e FIP insieme
per il “Progetto Playground”
In questa pagina: Foto Archivio FIP/
Ciamillo-Castoria
Nella pagina precedente: Jordi Bertomeu
(Foto: Euroleague)
Guida all’utilizzo consapevole degli
spazi all’interno delle ferrovie italiane.
Per evitare di coinvolgere i ragazzi in
lunghe e noiose lezioni teoriche, ANSF
(Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie), POLFER (Polizia Ferroviaria)
e FIP (Federazione Italiana Pallacanestro) hanno dato vita al “Progetto Playground”, ovvero il modo più divertente
e immediato di imparare giocando.
Otto giornate in giro per le piazze d’Italia, da gennaio a maggio, palleggiando
sui playground allestiti all’interno di un
villaggio gonfiabile con tanto di musica e animatori. È così che centinaia di
alunni delle scuole medie e minicestisti
dei Centri Minibasket hanno imparato il
significato dei segnali più comuni all’interno delle ferrovie italiane e l’importanza di non calpestare la linea gialla,
quella che delimita la zona sicura da
quella del pericolo nei pressi del treno.
Palleggiando tra un divieto di attraversamento dei binari e una Croce di
Sant’Andrea, ragazzi e ragazze vengono
informati in maniera coinvolgente sui
principi della sicurezza attraverso contributi audiovisivi resi ancor più fruibili
dal personale qualificato della POLFER.
“Non calpestiamo la linea gialla” è anche il titolo del video realizzato la scorsa stagione dagli Azzurri Andrea Cinciarini, Luigi Datome e Giuseppe Poeta
alla stazione di Santa Maria Novella a
Firenze e andato in onda in settembre
sulle reti Rai e sulla piattaforma Sky.
Dopo la firma del protocollo lo scorso
22 luglio, ANSF, POLFER e FIP hanno
messo in calendario le otto tappe itineranti, quattro delle quali hanno fatto
registrare un ottimo successo e l’entusiasmo dei ragazzi accorsi per giocare e
imparare sui playground in piazza. Bari,
Milano, Firenze e Torino i primi quattro
appuntamenti.
Le prossime tappe
22 marzo – Verona (Piazza Bra)
29 marzo – Bologna (Piazza Carducci)
5 aprile – Venezia (piazza da definire)
10 maggio – Genova (piazza da definire)
24 maggio – Napoli (piazza da definire)
31
basket
europeo
un poeta a vitoria
Personaggi
Ingaggiato da una grande del
basket spagnolo, apprezzato da
coach e compagni e testimone privilegiato della meteora
dell’anno in Europa. Peppe
Poeta ci racconta i suoi primi
mesi in ACB.
In alto: Peppe Poeta nella trasferma del
Baskonia a Milano, in Eurolega (Foto:
Savino Paolella).
Nella pagina a fianco: in alto, Poeta in
panchina insieme a Lamar Odom (Foto:
Rafa Rivas-EB via Getty Images); in
basso, ancora Peppe con la maglia del
Laboral Kutxa (Foto: Rafa Rivas-EB via
Getty Images); nel box, Sergio Scariolo
(Foto: Savino Paolella)
32
di Andrea Rizzi
Non ci ha messo molto ad ambientarsi
in Spagna, Peppe Poeta. Ingratamente
liquidato dalla Virtus Bologna, colpevolmente trascurato dalle squadre italiane,
a inizio 2014 Peppe ha ricevuto la chiamata inattesa (ma certamente sperata)
del Laboal Kutxa Vitoria, bisognoso di un
giocatore esperto che desse una mano in
regia parlando da subito la stessa lingua
(cestistica) del resto della squadra.
Di sicuro parla la stessa lingua del suo
allenatore, il bresciano Sergio Scariolo,
fondamentale nel far ricadere la scelta
della dirigenza su di un giocatore da lui
conosciuto, pur se mai allenato. «Con me
è stato molto chiaro fin dall’inizio», ci racconta Peppe. «Ho un ruolo diverso da quello
che ho avuto negli ultimi anni. Sono il cambio di un giocatore molto forte (il francese
Thomas Heurtel, ndr), che diventerà uno
dei migliori playmaker d’Europa. Il mio compito è dare 10-15 minuti di energia, pressare
a tutto campo e prendere quello che la partita mi offre». Un apprezzamento che l’ex
coach dell’Olimpia ricambia (vedi box),
sottolineando anche la rapidità con cui
Poeta si è inserito. «È un bel gruppo», conferma il playmaker, «con giovani che hanno
voglia e bravi veterani. L’ambientamento in
città? Mi trovo bene: i baschi sono un popolo
orgoglioso e sono molto affezionati alla squadra. E a parte la pasta si mangia bene...».
Al giorno d’oggi, del resto, per molti cestisti europei la Spagna è la terra promessa. Ma Poeta non è esterofilo: «Non
penso che il campionato italiano sia così inferiore», afferma. «L’ACB è più fisica, meno
tattica, ma non credo che Reggio Emilia o
Venezia, per esempio, perderebbero contro
Gran Canaria o Siviglia. La differenza sta
nel modo di “vendere” il prodotto: l’atmosfera alle partite, gli highlights, le televisioni...
A Vitoria vedo almeno tre partite a settimana in TV. I palazzetti sono sempre pieni, da
Fuenlabrada, che è una “piccola”, all’Estudiantes, che è penultimo. Basta il dato della
Copa del Rey: 14% di share contro i pochi decimali della Coppa Italia». Di certo quello
dell’”emigrazione”, pur se temporanea,
nella penisola iberica era un progetto
che gli frullava in testa da tempo, addirittura dal 2010: «Ebbi contatti molto
seri con Siviglia nell’ultimo anno di Teramo,
e ogni anno ho avuto qualche opportunità.
A Bologna stavo molto bene, ma quando ho
lasciato la Virtus la Spagna è diventata la
prima opzione».
E in ACB Poeta ci è entrato da una delle porte principali, quella del Baskonia,
club di grande blasone che solo nelle ultime stagioni ha ridimensionato budget
e obiettivi, pur senza rassegnarsi a un
ruolo di secondo piano tanto in Spagna
quanto in Europa: in questo senso, dopo
6.2014
parla sergio scariolo
una stagione di alti e bassi, è andata la
scelta di Lamar Odom, ingaggio-sensazione di inizio 2014 piombato su Vitoria poco dopo l’arrivo di Peppe.
Considerato da più parti un colpo
prettamente mediatico, Lamarvellous non ha avuto nemmeno il tempo di provare a smentire i detrattori,
poiché, dopo una fugace apparizione
(2 punti in 17 minuti), una fastidiosa
infiammazione lombare ha costretto
la società a tagliare il 34enne newyorkese. Che, secondo Poeta, avrebbe realmente potuto avere un impatto: «Ci
poteva dare qualcosa anche tecnicamente.
In allenamento marcava il centro e in attacco portava palla. Al di là degli aspetti
di marketing, ci avrebbe potuto dare una
mano anche perché si era ambientato
bene, gli piaceva il ruolo di chioccia dei
giovani». E probabilmente non aveva
alcuna nostalgia di casa: «È venuto
in Europa perché voleva scappare dalle
chiacchiere che lo inseguono negli Stati
Uniti. Può sembrare il contrario, ma non è
portato per quel tipo di vita».
Parlando di America, e del treno NBA
che Odom ha probabilmente perso
per sempre, non si può eludere l’argomento Belinelli. Cosa ne pensa Poeta della consacrazione di “Beli” quale
miglior tiratore della Lega? «Se lo merita, perché la sua carriera NBA non è stata
facile, anzi. Si è conquistato tutto passo
dopo passo, con il sudore e con la passione
che lo ha sempre contraddistinto».
Sudore e passione, caratteristiche da
sempre riconosciute anche a Poeta da
chiunque l’abbia visto anche solo una
volta “mordere” le caviglie a un avversario o fungere da capo ultras dalla
panchina. Ma il giocatore che oggi
veste il numero 6 del Laboral Kutxa
non è lo stesso di Teramo, né lo stesso di Bologna. «Se prima ero un playmaker da arrembaggio e attaccavo sempre, oggi sono molto più ordinato, grazie
all’esperienza e al contesto in cui gioco».
Un contesto ideale, quello di Vitoria e
dell’ACB, che anni fa ammaliò un altro playmaker italiano, Andrea Pecile.
Futuro in Spagna, dunque, anche per
Poeta? «Io e Pec abbiamo un carattere
abbastanza simile, siamo persone molto
aperte, serene. Ma valuto tutte le offerte:
se mi arriverà una buona offerta dall’Italia o dalla Germania, non vedo perché non
dovrei considerarle».
Prima, però, ci saranno gli impegni
azzurri: «Anche se finirò il 25 giugno
e con la Nazionale inizierò il 28, se sarò
convocato sarò lietissimo di andarci, per
Non è stato un
ritorno facile, in
Spagna, per Sergio Scariolo, che
a fine inverno
si ritrova quasi
matematicamente eliminato dall’Eurolega
e in lotta per gli
ultimi posti della griglia playoff in
campionato. Ma le condizioni – su
tutte quelle economiche – erano
ben diverse dalla sua prima esperienza al Baskonia, e lui ne era
consapevole: «Con la drastica riduzione del budget, la cessione di alcuni
giocatori importanti e le scommesse su
giocatori chiamati a fare cose che non
avevano mai dimostrato di poter fare
prima, sapevamo che sarebbe stata
una stagione dura, di transizione verso
formule nuove».
L’esperimento (fallito) Odom, poi,
non ha semplificato i piani dello
staff, pur se Scariolo rimane convinto della bontà dell’operazione:
«La scelta è stata prettamente tecnica
poiché, viste le limitate risorse di cui
disponevamo, cercavamo un giocatore a
cui non importasse minimamente dell’aspetto economico. Odom non è costato
nulla alla società, perché era in prova,
ma in ogni caso serviva una soluzione
non tradizionale, che potesse avere un
senso tecnico senza costi elevati».
Decisamente più riuscito l’esperimento Poeta, con coach e squadra
che, a due mesi abbondanti dal suo
arrivo, si dicono soddisfatti: «All’inizio un infortunio ha tenuto fermo Peppe per tre settimane, quindi trovare la
forma fisica non è stato facile. Ma ha
un atteggiamento positivo, si è trovato
subito bene con il resto della squadra
e la squadra con lui. Noi avevamo bisogno di ridurre gli errori in quel ruolo, di essere più concreti e applicarci in
difesa, e lui, pur non essendo queste le
sue caratteristiche principali, si è conquistato il consenso dei compagni per
lo spirito che mette in campo».
la Nazionale ci sono sempre». E se poi
un giorno Peppe volesse davvero cimentarsi nella letteratura e diventare un poeta di nome e di fatto, anche
in Spagna non avrebbe alcun problema: «Parlo correntemente spagnolo
sbagliato. Continuo ad aggiungere le esse
alla fine delle parole che non conosco e
vado avanti così».
33
RNB
2014
2014
RNB
6.2014
cosa succede in...
europa
In basso: Jacob Pullen, guardia del
Barcelona (Foto: John Berry-Getty Images)
Nella pagina a fianco: manifestazione a
Kiev (Foto: Gnatoush)
di Nicola Martinelli
e Marco Taminelli
Focus on: Jacob Pullen (guardia, FC Barcelona)
42 punti in 23 minuti, quasi 2 al minuto: già questi
crudi numeri bastano per portare alla ribalta le gesta
di un giocatore. Se poi si tratta di Jacob Pullen, dodicesimo del Barcellona e vecchia conoscenza della
nostra Serie A, la cosa si fa ancor più interessante.
Nella larghissima vittoria dei blaugrana a Valladolid
(66-111), l’ex Biella e Virtus Bologna ha registrato il
nuovo record ACB di triple in una gara chiudendo
con 12/15 dall’arco (di cui 7/9 nell’ultimo quarto) e
infrangendo il record di Oscar Schmidt, che ne infilò
11 su 19 il 19 marzo ’94 in Murcia-Valladolid (ma con
la maglia del Valladolid). Da ricordare che ai tempi
del record di Oscar la linea distava 6,25 metri.
Inoltre, i 42 punti messi a referto da Pullen sono la
miglior prestazione dall’aprile 2002, quando un altro
ex casertano, Vincenzo Esposito, ne realizzò 46 con
la maglia di Gran Canaria... sempre contro Valladolid!
Saric
Tempo di propaganda per Predrag Saric, padre dell’ala del Cibona Dario, che
di recente ha dichiarato ai media croati che il figlio potrebbe vestire la maglia di Real Madrid o Barcellona nel
caso in cui si liberino i posti oggi occupati da Nikola Mirotic alle merengues e da Erazem Lorbek e Boki Nachbar
in Catalogna. Il tutto mentre dalla Turchia si rincorrono
voci di un contratto da 6 milioni di euro per i prossimi
cinque anni offerto dall’Anadolu Efes, che già nelle ultime estati aveva sondato il gioiellino croato. Al portale
24sata.hr il ventenne di Sibenik ha dichiarato che non
prenderà una decisione fino al termine della stagione,
anche per non perdere posizioni in ottica draft NBA, in
cui potrebbe essere una scelta da lotteria.
Jawai
Nathan Jawai sta continuando il lavoro fisioterapico per tornare quanto
prima a essere un giocatore di basket. L’aborigeno, fermo dalla fine di ottobre per un problema al collo che
gli causò vertigini e insensibilità agli arti superiori, sta
lavorando in Australia, e su Twitter ha postato una foto
che lo ritrae durante una sessione di allenamento: «Finalmente ho iniziato a lavorare con contatto, lentamente andiamo avanti». L’obiettivo di Jawai, dopo che la diagnosi
dello staff medico del Galatasaray parlava di stop da tre
a sei mesi, è di presentarsi in forma per la prossima stagione, perdendo qualcuno dei suoi quasi 130 kg di peso.
Ivanovic C.T.
Dusko Ivanovic, fermo dal
novembre 2012 dopo l’esonero patito a Vitoria, guiderà
la Nazionale della Bosnia Erzegovina per i prossimi due
anni. Tornerà quindi ad allenare Mirza Teletovic, attualmente impegnato con i Brooklyn Nets: «Mirza sarà il nostro leader, ma questo non vuol dire che si prenderà quaranta
tiri a partita. Un leader deve aiutare i compagni a innalzare
il loro rendimento facendo tutto quel che serve alla squadra».
Per il montenegrino si tratta di un ritorno al ruolo di selezionatore dopo l’esperienza alla guida della Svizzera
nel triennio 1997-2000.
Paris-Levallois
Rimbalza
dalla capitale francese la notizia secondo cui la Qatar Investment Authority, nella persona dell’emiro Nasser Al-Khelaïfi, sarebbe interessata a entrare nel mondo della
pallacanestro. Secondo questa indiscrezione lanciata da
L’Equipe, la famiglia Al-Khelaïfi, che non più di tre anni fa
36
6.2014
acquistò il 70% delle quote del Paris Saint-Germain trasformando una squadra da anni naufragata nella mediocrità in una delle più forti formazioni del panorama
calcistico europeo a suon di acquisti milionari, avrebbe intenzione di completare l’acquisto del club entro il
2015 e, con un budget di 10 milioni di euro, puntare
dritto alla conquista del titolo transalpino, che garantirebbe l’accesso all’Eurolega. L’idea sarebbe inoltre di
spostare il domicilio dal piccolo e vetusto Stade Pierre
de Coubertin (4.835 posti) al trionfale Palais Omnisports di Paris-Bercy. Entusiasta, manco a dirlo, Jean-Pierre
Aubry, attuale presidente del Paris-Levallois: «Le nostre
porte sono aperte. Sogno in grande, per questo cerco l’appoggio di un grande partner che porti a Parigi lo spettacolo che la
capitale si merita». A far ben sperare i tifosi parigini c’è
già il precedente del Paris Handball, che due stagioni
fa è stato acquistato dalla Qatar Investment Authority
e trasformato in Paris Saint Germain Handball con un
budget per la stagione in corso da 13,58 milioni di euro,
il più alto al mondo per una formazione di pallamano.
FIBA Europe. Tuttavia, secondo il presidente della Federazione francese Jean-Pierre Siutat, ci sarebbero 16 Paesi pronti a subentrare in caso di forfait ucraino, tra cui
Francia, Germania, Serbia, Polonia e Repubblica Ceca.
Eurobasket 2015
A dispetto dei problemi di cui parliamo nel box, Mytro
Bulatov, nuovo ministro dello sport dell’Ucraina, ha dichiarato che, nonostante gli evidenti ritardi nei lavori
alle infrastrutture per ospitare gli Europei del 2015, l’Ucraina sarà in grado di rispettare gli impegni presi con
intanto a kiev...
La crisi politica che ha sconvolto l’Ucraina negli ultimi mesi sta estendendo le sue conseguenze anche al mondo della
palla a spicchi, con un esodo in massa dei giocatori USA dai team della Superleague. I moti di piazza e i disordini hanno
causato il posticipo di diverse gare, anche se al momento il campionato è ripreso regolarmente, con in testa il Khimik
Yuzhne seguito da BC Donestk, BC Odessa e Budivelnyk Kiev, le squadre meno colpite dalla fuga degli americani.
Azovmash, Ferro-ZNTU, BC Kiev e Cherkassy, invece, finiranno la stagione esclusivamente con giocatori ucraini a roster, avendo già perso la totalità dei propri stranieri: Coleman Collins ha lasciato l’Azovmash e sarà presto seguito da
Daniel Kickert, Marcus Ginyard e Terrell Stoglin. Il Ferro-ZNTU ha perso Marshawn Powel, Anthony Marshall (andato
all’Hapoel Tel-Aviv) e il duo di lunghi Jake O’Brien e LaRon Dandy. Kiev ha perso Lee Humphrey (andato in Ungheria),
Mike Davis e Dominique Coleman, l’Hoverla ha dovuto rinunciare a Eugene Lawrence (accasatosi a Bonn, in Germania), mentre Donald Sims del Dnipro-Azot è migrato in Venezuela al Marinos. Il Cerkassy ha perso ben 5 giocatori: Ivars
Timermanis (tornato in Lettonia), Ronald Moore (approdato a Caserta), Terry Smith, Jason Washburn e Jamaal Boykin.
La migrazione ha colpito anche una delle stelle
locali, il ventitreenne Olexandr Lypovyy, che
ha firmato recentemente per la Stella Rossa
Belgrado lasciando il BC Donetsk.
L’esodo, però, potrebbe essere solo la punta
dell’iceberg, poiché pare che le dirigenze della
maggior parte dei team costretti a rilasciare i
giocatori avessero strette connessioni con il
precedente regime di Yanukovic. Inoltre, ben
sette club della Superleague sono sponsorizzati da Privatbank, di proprietà del magnate Ihor
Kolomoyskiy, che finanzia anche la costruzione delle nuove arene per l’Eurobasket 2015 di
Kiev, Odessa, Leopoli e Dnipro. Secondo il sito
Eurohoops, la banca non finanzierà i club nella prossima stagione, mettendo a serio repentaglio il futuro della Lega e, di riflesso, anche
quello del prossimo campionato europeo.
37
6.2014
cosa succede in...
In questa pagina: Joakim Noah, leader
dei Chicago Bulls (Foto: Jonathan Daniel/
Getty Images)
Nella pagina a fianco: Phil Jackson, nuovo
presidente dei New York Knicks (Foto: Jim
McIsaac/Getty Images)
NBA
di Davide Sardi
La carica di Noah
Dopo l’infortunio di Derrick Rose e la cessione di Luol Deng,
Joakim Noah era deluso. Si era persino chiuso in un silenzio
per lui inusuale. Ma
poi è ripartito e lo ha
fatto alla grande, criticando i tifosi che
gli chiedevano di fare
tanking (perdere appositamente mirando
alla draft lottery) e
trasmettendo ai compagni una carica fuori
dal comune. C’è molto del centro francese
nella riscossa di Chicago, iniziata con il
2014 e proseguita fino
ad arrivare a ridosso
della 3ª posizione a
Est, nonostante le difficoltà, gli infortuni e
i limiti tecnici di un
attacco che continua
a essere assai macchinoso. Ma l’energia
di Noah ha spinto i
Tori a giocare oltre le
proprie teoriche possibilità, con un’intensità spesso da playoffs, anche grazie alla capacità del figlio di Yannick di incidere a rimbalzo e in
difesa ma pure in attacco, con una visione di gioco sottovalutata che l’ha portato a centrare tre triple-doppie da metà
febbraio e a sfornare 13,4 punti, 9,6 rimbalzi e 7,9 assist nelle prime 7 partite di marzo.
LeBron nella storia
James ha riscritto il proprio career-high con una serata storica da 61 punti insaccati nel canestro dei pur dignitosi
Bobcats, rinforzatisi a fine mercato con Gary Neal e Luke Ridnour. “The King” ha tirato 22/33 (con un clamoroso 8/10
da 3), completando una serie di 5 partite consecutive con un irreale 67,9% su azione. Una cifra degna di chi ha ricevuto – come ha detto lui – “un dono speciale per giocare ogni sera a basket”. Curiosamente però, subito dopo, è emerso il lato
più umano, con 3 gare al 39% e 3 k.o. in fila per i suoi Heat...
Red Hot Chili Clippers
In una Western Conference che ha visto la ripresa dei Grizzlies, i più in forma sono i Clippers, in
striscia di 10 vittorie e saliti fino a insidiare la leadership della solidissima San Antonio e dei Thunder, che, dopo qualche passo falso, hanno ritrovato gli equilibri col ritorno di Russell Westbrook. Ma gli uomini di Doc Rivers, pur con i
problemi fisici di J.J. Redick e Jamal Crawford, nella serie positiva hanno segnato la bellezza di 113 punti di media col
50%, sfruttando anche una panchina diventata lunghissima con l’arrivo di Glen Davis e Danny Granger.
38
6.2014
Pacers, primo calo
Mentre Toronto resta in alto, a Est c’è stato il primo momento di appannamento dei Pacers, con difficoltà di tenuta difensiva che hanno esaltato anche i problemi dell’attacco. Una riunione tra i soli giocatori unita alle parole di Larry
Bird, che ha reclamato maggiore durezza a coach Vogel, potrebbe aver scosso qualche nervo. L’arrivo di Evan Turner,
difensivamente fragile, può aver causato qualche problema. Boston e Philadelphia hanno offerto il brodino necessario
per ripartire.
La svolta dei Knicks
I Knicks, pur con i playoffs ancora in vista, pensano già
al futuro con la firma di Phil Jackson per 5 anni a 60
milioni. Ma non come coach, bensì come presidente, chiamato a riorganizzare dirigenza e squadra. Kobe Bryant, che
tornerà a giocare solo nella prossima stagione dopo l’ultimo infortunio, e Magic Johnson non hanno nascosto il loro
malumore alla dirigenza Lakers nel vederlo andare a ricoprire nella Big Apple un ruolo per lui inedito, con l’obiettivo
di ristrutturare, partendo dal futuro di Carmelo Anthony e un roster ampiamente sopra al salary cap, e di ridare lustro
a una franchigia da troppi anni nella mediocrità.
Nella Grande Mela
Il Phil... riannodato
di Luca Weber
NEW YORK – In questi ultimi scorci
di un inverno che verrà ricordato
come uno dei più freddi degli ultimi
anni, ci sono due posti in città dove
la temperatura ribolle già da un
po’. Si tratta di due uffici, uno si
trova diciassette piani sopra lo scalo
ferroviario di Penn Station, l’altro nel
quartiere fancy di Brooklyn Heights.
Sono rispettivamente le sedi dei New
York Knicks e dei Brooklyn Nets,
ovvero dove si decidono le sorti delle
due franchigie newyorkesi.
Martedì 18 marzo, James Dolan
ha annunciato il nome del nuovo
presidente: Philip Douglas Jackson,
ai più noto come Phil Jackson.
L’ex allenatore di Bulls e Lakers
è stato scelto per dare il via
all’ennesima rivoluzione in casa
Knickerbockers. Una scelta applaudita
trasversalmente in tutta la Lega,
eccezion fatta per la Los Angeles
sponda Lakers, che ancora avrebbe
voluto vedere il maestro zen dalle
parti dello Staples Center.
A New York tutti si chiedono se
Jackson riuscirà a essere un vincente
anche dietro una scrivania, dopo
esserlo stato una volta da giocatore
(proprio in maglia Knicks) e ben
undici da allenatore. Molti dei “suoi”
nuovi giocatori gli hanno già dato il
benvenuto, primo fra tutti Carmelo
Anthony, che ben presto lo incontrerà
di persona per parlare del futuro.
Infatti, l’arrivo del compagno di
Jeanie Buss ha scatenato mille
rumors: si parla di Steve Kerr, Brian
Shaw e Kurt Rambis come possibili
successori di Mike Woodson, e di
un LeBron James pronto a portare
i suoi talenti a Midtown Manhattan
dalla stagione 2015/16, quando i bluarancio si saranno liberati del corposo
stipendio di Stoudemire (23,4 milioni
di dollari). Per quanto si tratti solo di
voci, sicuramente si apre una nuova
era, con i tifosi che possono di nuovo
iniziare a sognare.
Sull’altro lato dell’East River, i
Brooklyn Nets hanno comunicato
la conferma per tutta la stagione
(dopo due contratti decadali) di
Jason Collins, il primo giocatore
delle major league statunitensi ad
aver fatto coming out dichiarando la
propria omosessualità. Non è strano
che sia arrivato proprio a New York,
città notoriamente fra le più aperte
del panorama americano. Ciò che
fa però notizia è che il suo datore di
lavoro sia il russo Mikhail Prokhorov,
la cui nazionalità è la stessa di
coloro che hanno polemizzato sulla
presenza di atleti gay alle recenti
olimpiadi di Sochi. Forse l’aria
liberale della Grande Mela ha fatto
bene al proprietario dei Nets, o forse
si è giustamente guardato solo al
lato sportivo, senza dare troppa
importanza alla vita privata di un
giocatore che riceve ovazioni ogni
volta che scende in campo al Barclays
Center.
39
NBA
Anno 1 d.D.
(dopo David)
I palloni erano sul carrello, ma sono
stati in tanti quelli che hanno fatto
un passaggio a Belinelli aiutandolo a
vincere la gara di tiro da 3 a New Orleans nell’All-Star Game NBA.
Un pallone gliel’ha passato Toni
Kukoc: il suo 11/12 nel tiro tra 3 contro gli USA ai Mondiali juniores di
Bormio 1987 era un primo segnale
che il mondo si stava allargando. E
nello stesso anno, perdendo non solo
in casa ma addirittura a Indianapolis la finale dei Panamericani, gli USA
avevano cominciato ad avere qualche
dubbio anche a livello seniores. Furono così massacrati da Oscar Schmidt
che quando, anni dopo, l’impianto fu
demolito ebbero la grande intuizione
di regalare la prima pietra proprio
al brasiliano, ammettendo che l’abbattimento lo aveva cominciato lui.
Dunque, pure Oscar ha passato il
pallone a Beli.
Nel 1988 a Seul, ai Giochi, l’ultima
URSS della storia olimpica nel basket
vinse, stavolta senza polemiche, contro gli USA. Anzi, una polemica ci fu:
John Thompson, il monumentale coach di Georgetown, i lamentò delle
cure che alla vigilia delle Olimpiadi
gli USA avevano prestato a Sabonis.
«Ci stiamo preoccupando della corda con
cui saremo impiccati», disse, e così anche il principe Arvydas rientra i tanti
che hanno passato il pallone a Marco
Belinelli.
Belinelli ha detto di non aver dor40
l’assist di stern
per beli
mito per giorni dopo quella vittoria, e gli crediamo. Ci ha raccontato
dell’accoglienza dei suoi Spurs e dei
suoi vicini di casa a San Antonio, ci
ha raccontato dell’accoglienza che
si aspetta quando, il più tardi possibile, tornerà a Bologna, magari per
far vedere non solo il trofeo di New
Orleans, ma anche un anello al dito.
«Grande Marchino» gli ha scritto Manu
Ginobili, straordinario esempio di argentino che adotta un italiano in una
squadra che ha in regia un francese.
Ricapitolando: di sicuro, tra i passatori all’All-Star Game, anche non
riconosciuti, c’erano un croato, un
brasiliano, un lituano, un argentino e
un francese.
Ma i passaggi più importanti sono
stati quelli di un serbo, Bori Stankovic, il numero 1 della FIBA che ebbe
l’intuizione di aprire i Giochi ai professionisti, e di un statunitense di
mondo, David Stern, il commissioner
NBA che intuì subito la portata rivoluzionaria della proposta che originò
quello straordinario progetto che
si chiama Dream Team, la squadra
del sogno per noi baskettari e per lo
sport tutto, una collezione di figurine
speciali da Michael Jordan a Magic
Johnson a Larry Bird, per tacere degli
altri. Un album riassunto nella gara
di New Orleans in uno di noi: Marco
Belinelli.
Lasciamo da parte per un attimo
l’azzurro e concentriamoci piutto-
sto sull’ultimo dei passatori: David
Stern ha lasciato qualche settimana fa il ruolo di commissioner. Non
tutti sanno cosa fa un commissioner,
anche se persino i bambini hanno familiarità con lui, visto che autografa
i palloni Spalding con cui giocano al
campetto sognando l’NBA.
Per raccontare la straordinaria epopea di Stern, che ha guidato l’NBA
dal 1984 al 2014, portandola, da seconda Lega più piccola dello sport
USA, ad avere 30 squadre (per esempio: Miami, campione adesso, nemmeno aveva la squadra prima di lui),
abbiamo chiesto un… passaggio pure
noi. A Toto Bulgheroni, che adesso si
occupa di golf per passione sua e per
mancata riconoscenza del basket, di
cui è stato giocatore e dirigente, sempre illuminato e illuminante, oltre
tutto amico personale del commissioner, e a Maurizio Gherardini, che
la sua gara nel tiro da tre l’ha vinta
da un pezzo, prima ai Raptors, adesso
anche occupandosi della Nazionale
canadese, lui che era partito raccontando States ancora tanto lontani sui
suoi Basketball Notebook.
Nella foto in alto: a sinistra, David
Stern (Foto: David Dow/NABE/Getty
Images), a destra, Marco Belinelli al tiro
durante l’All-Star Game (Foto: Andrew D.
Bernstein/Getty Images)
6.2014
ha fatto guadagnare tutti (di Toto Bulgheroni)
un manager da 10 (di Maurizio Gherardini)
Dico un’ovvietà. David Stern è uno dei
più grandi uomini di marketing e manager, non solo sportivo, che ho conosciuto. Uno si aspetta una persona di
grande professionalità, ma di lui mi ha
impressionato ancor di più la grandissima umanità.
Privilegiato, da amico, in questi anni ho avuto con lui
un rapporto di confidenza, quasi di complicità. Una
fiducia che rimane consolidata.
Allargando il discorso, i risultati parlano da soli a
beneficio di Stern, ma devono essere spiegati: mi ha
sempre impressionato la capacità di David di mantenere buoni rapporti personali con tutti. Uno dice:
per forza, con i soldi che guadagnava. Obiezione respinta, dico io: lui ha raccolto molto perché ha dato
moltissimo. Portando nel basket una visione originale e allargata: lo sport professionistico può essere,
deve essere anche entertainment, e business. E grazie
a questa visione, rappresentata in tanti modi diversi,
da quella festa che è l’All-Star Game alle partite giocate in tutto il mondo, dallo store sulla Fifth Avenue
all’attenzione al rapporto coi nuovi media, non solo
con la TV, per quanto ha guadagnato lui, tutti hanno
ricavato molto di più. Non mi riferisco solo ai giocatori, ma anche e soprattutto a ogni componente della
famiglia NBA e di ogni squadra.
Poi mi piace sottolineare un argomento di solito trascurato: la sua impronta è stata forte anche dal punto di vista sportivo, anzi, soprattutto dal punto di vista sportivo, perché ha fatto diventare l’NBA il porto
naturale di arrivo dei migliori giocatori. Prima di lui
c’erano giocatori di due nazionalità, USA a parte; oggi
ce ne sono di quasi venti: un mondo.
Cosa farà adesso? Quello che farà “da grande” lo
deciderà lui, io so che ha comunque un contratto
di consulenza con la NBA. Il resto sta a lui. O forse
sta a noi: non possiamo permetterci di mettere in
panchina una persona che ha fatto grande il basket
mondiale.
Devo ammettere che non sono più abituato a prendere la penna in mano come
talvolta mi è capitato in passato… A
questo punto preferisco rifugiarmi in un
decalogo, i dieci motivi per cui non bisogna neanche aspettare la nomination per dire che
David Stern è nella Hall of Fame dei dirigenti non solo
cestistici, e forse non solo sportivi.
1) Ha trasformato la NBA in un business da 5,5 miliardi di dollari l’anno, dove una franchigia è passata da
un costo medio di 20 milioni ai 450 milioni di oggi.
2) Sotto la sua direzione, l’NBA è stata la prima Lega
ad adottare il salary-cap.
3) Ha reso la NBA un fenomeno globale: oggi un quarto dei giocatori sono “internazionali” e lo sbarco oltreoceano di Marciulonis, di 25 anni fa, pare lontanissimo.
4) Ha siglato un contratto televisivo che porta alla Lega
1 miliardo di dollari l’anno e il prossimo, quando
questo scadrà nel 2016, sarà sicuramente più ricco.
5) Ha saputo espandere la Lega fino alle 30 franchigie
di oggi senza che la stessa perdesse in qualità.
6) La lotta alla droga e alle scommesse sono stati capisaldi della sua gestione.
7) Ha ideato la “Lottery” per evitare che le squadre
flirtassero con l’idea di perdere intenzionalmente.
8) Ha gestito due importanti contratti collettivi (CBA)
e relativi scioperi nel 1999 e nel 2010, facendo in
modo che la Lega ne uscisse sempre più forte.
9) È stato l’artefice primo del “Dream Team”.
10)È stato sensibile prima di altri ai temi sociali che
oggi nessuno può più trascurare, con “NBA Cares”
e tante altre iniziative, come “Basketball Without
Borders”, portando il basket nelle zone più lontane
o più povere del mondo.
Penso ce ne sia abbastanza per eleggerlo fra i più grandi executives di tutti i tempi.
Estratti da Eleven Rings – L’anima del successo
Proponiamo
qui in anteprima
tre
estratti
del
libro
Eleven
Rings - L’anima
del successo, di
Phil Jackson,
edito in Italia
da
Libreria
dello
Sport
(19,90 €).
Durante i playoff del 1990 feci vedere
alla squadra un video con delle scene tratte da Il Mago di Oz. L’obiettivo
era quello di mostrare quanto fossero stati intimoriti dal gioco sporco
dei Pistons. C’era una sequenza in
cui B.J. Armstrong, penetrando verso
il canestro, veniva colpito dai lunghi
dei Pistons e subito dopo una scena
in cui Dorothy diceva «Questo non è
più il Kansas, Toto». Un’altra sequenza mostrava Joe Dumars che batteva
Michael Jordan dal palleggio, mentre
l’Uomo di Latta si lamentava di non
aver un cuore. In un’altra ancora
Isiah Thomas si muoveva a tempo di
valzer tra Paxson, Horace e Cartwright mentre il Leone Codardo si lagnava di non essere coraggioso. I giocatori all’inizio scoppiarono a ridere, ma
si zittirono presto quando capirono
il messaggio che stavo cercando di
mandargli.
[Dal capitolo 7 “Sentire l’impercettibile”]
Gestire la rabbia è il compito più difficile di ogni allenatore. Richiede molta
pazienza e delicatezza perché la linea
tra l’intensità aggressiva di cui c’è bisogno per vincere le partite e la rabbia distruttiva è spesso sottile come la
lama di un rasoio.
[Dal capitolo 18 “La saggezza dell’ira”]
La cosa più appagante di tutte fu
vedere Kobe passare dall’essere un
giocatore egoista ed esigente ad un
leader che i suoi compagni avevano
voglia di seguire. Per riuscirci, Kobe
aveva dovuto imparare a dare, prima
di poter ricevere. La leadership non è
imporre la tua volontà sugli altri. È padroneggiare l’arte del lasciar scorrere.
[Dal capitolo 20 “Il bambino del destino”]
41
NCAA
let’s dance!
March Madness
Marzo, la terra si risveglia dei
suoi colori, la natura riprende le
sue attività. E gli appassionati
italiani di college basketball
cominciano a vivere la notte
come vampiri assetati di upset
e nuovi campioni, di storie
incredibili e di Cinderellas di
cui innamorarsi. Insomma, di
March Madness. Vi spieghiamo
quali sono le favorite, suddivise
in Top Seeds e Dark Horses.
Let the Dance begin.
In alto: l’ala dei Gathors Casey Prather
(Foto: Jim Burgess).
Nella pagina a fianco: in alto, Joe Harris,
tiratore di Virginia (Foto: Virginia
Athletics); in basso Fred VanVleet, point
guard di Wichita State (Foto: MCT via
Getty Images).
Nella pagina successiva: Joel Embiid
(Foto: Kansas Athletics)
42
di Davide Bortoluzzi e Carlo Perotti
Top Seeds
Florida (32-2, 18-0 SEC)
I Gators arrivano al torneo nelle migliori condizioni fisiche e mentali dopo
aver dominato da imbattuti la SEC e
aver perso l’ultima partita di misura
con UConn a inizio dicembre. Se c’è una
reale favorita, questa è Florida: costruita con la consueta maestria da coach
Donovan, ha un big man potenzialmente dominante come Patrick Young, il
talento dell’ala Casey Prather e le due
guardie Michael Frazier II e Scottie Wilbekin letali dal perimetro. Tutto pronto
per riportare il titolo in Florida dopo il
biennio di Noah.
Virginia (28-6, 16-2 ACC)
La difesa più asfissiante del college
basketball con tempismi perfetti e gioco
controllato in attacco a massimizzare il
talento offensivo tenendo impegnata la
difesa avversaria con tagli e blocchi. Ecco
la ricetta di Tony Bennett che ha portato
i Cavaliers, non senza sorpresa, a dominare la ACC davanti a Syracuse, Duke e
North Carolina. Se la difesa gira attorno
ad Aki Mitchell, in attacco le bocche da
fuoco sono i due tiratori Malcolm Brogdon e Joe Harris. Obbiettivo Final Four
non impossibile, partendo dal Regional
meno duro. E se la meriterebbero.
Arizona (30-4, 15-3 Pac12)
Non si fosse rotto Brandon Ashley staremmo parlando della grande favorita.
L’infortunio dell’ala forte titolare ha parzialmente abbassato il potenziale intimidatorio della difesa, tanto che la squadra
di coach Sean Miller ha perso la finale di
Pac12 contro UCLA. Ma se conta l’esperienza, con Nick Johnson e TJ McConnell
sugli esterni, l’esplosività del freshman
Aaron Gordon e la solidità del centrone Kaleb Tarczewski, i Wildcats sono
ugualmente da titolo.
Michigan (25-8, 15-3 BigTen)
Finalisti lo scorso anno, hanno perso nel
draft Burke e Hardaway e per infortunio
McGary, eppure sono stati in grado, dopo
una partenza non entusiasmante, di
vincere la stagione regolare della Big10
perdendo solo contro gli Izzo’s boys la finale del torneo. I Wolverines sono finiti
nel Regional della morte (il Midwest) assieme a potenze come Louisville, Duke
e WSU, ma se prendono ritmo con Nick
Stauskas, Glenn Robinson III e Caris LaVert possono essere letali, pur se in regia
e sotto canestro non paiono competitivi
al massimo.
Wichita State
(34-0, 18-0 Missouri Valley)
Da (mezza) sorpresa la scorsa stagione a
“storia americana” in questa grazie alla
loro perfect season. In realtà WSU lavora
da anni a ottimi livelli con coach Marshall, che dispone di quattro giocatori
di grande caratura come Cleananthony
Early, Ron Baker, Fred Van Vleet e Teke-
6.2014
Villanova (28-4, 16-2 Big East)
I Wildcats hanno un record da grande squadra e hanno vinto la Big East.
Vale una top seed? Secondo noi no,
perché la Big East dopo la diaspora
fra ACC e AAC è una mid-major e nulla di più, dove oltre allo splendore di
Doug McDermott ha regnato una diffusa mediocrità. Nova è stata ricompensata con una #2, ma Iowa State
e North Carolina hanno più chance
di lottare con Virginia e Michigan State per ottenere il biglietto per Arlington-Dallas.
Dark Horses
le Cotton. Gli Shockers hanno le carte
in regola per andare sino in fondo, pur
se il fantasma di Bobby Knight e della
perfect season del 1976 con Indiana sarà
una pesante spada di Damocle.
Syracuse (27-5, 14-4 ACC)
Una prima parte di stagione da numeri
uno e poi una profondissima crisi per
gli Orangemen, che hanno perso cinque delle ultime sette partite e arrivano al torneo pieni di dubbi, nonostante
il grande talento del play freshman
Tyler Ennis e dello swingman mancino C.J. Fair. La solita zona indigesta
di coach Boeheim e un bracket “amico” che mette sulla loro strada squadre con problemi al tiro da fuori come
Ohio State e Kansas potrebbe però rilanciarli proprio sul più bello. Di talento ce n’è.
Michigan State (26-8, 12-6 BigTen)
Siamo alle solite: mai dare per morti
gli Izzo’s Boys. Dopo 40 giorni, tra febbraio e marzo, in cui si sono concentrate le sconfitte in concomitanza ai
problemi fisici di Adreian Payne, gli
Spartans sono ripartiti e hanno vinto
il torneo della Big10 battendo Wisconsin e Michigan. MSU è finita nell’East
Regional, in cui più che il talento conteranno le mazze ferrate, e dove fisicità e durezza mentale la fanno da padrone nessuno sguazza come coach
Izzo.
Duke ( 26-6, 13-5 ACC)
La sconfitta nella finale di ACC ha portato in dote a Duke una seed numero
3 nella parte del tabellone più difficile,
con la possibilità di uno scontro dal sapore epico con Michigan alle Sweet 16.
Le stelle Jabari Parker e Rodney Hood
dovranno però fare gli straordinari
per caricarsi sulle spalle un team che
non ha mai convinto del tutto in ottica titolo, soprattutto a causa di alcune
carenze strutturali nella metà campo
difensiva.
Iowa State (26-7, 11-7 Big 12)
La squadra di coach Fred Hoiberg ha
vinto con autorevolezza il torneo della competitiva Big 12. Guidati da Detifosi VIP
UCLA Jaleel White (lo Steve Urkell di
8 sotto un tetto), Tom Selleck (attore),
Ben Stiller (attore)
Kentucky Ashley Judd (attrice)
Michigan State Kid Rock (cantante)
Ohio State John Legend (cantante)
Duke Alex Rodriguez (terza baseNY
Yankees), Rob Lowe (attore), Tony
Romo (quaterback Dalls Cowboys),
Adam Silver (NBA commissioner)
Memphis Justin TImberlake (cantante)
Florida Erin Andrews (giornalista)
Texas Matthew Mc Conaughey (attore)
Michigan Lucy Liu (attore)
Fordham Denzel Washington (attore)
North Carolina John Edwards (politico)
Missouri Brad Pitt (attore)
Temple Bill Cosby (attore)
Florida State Burt Reynolds (attore)
Kansas Don Johnson (attore)
43
6.2014
Andre Kane e Melvin Ejim, i Cyclones
sfoggiano un roster senza lunghi di
stazza, che fa dell’intensità e della
pressione difensiva i propri punti di
forza, con una netta propensione al
gioco perimetrale. La seed numero 3
dell’East Regional garantisce un tabellone relativamente agevole, con
buone possibilità di arrivare alle Final
Four.
Kansas (29-4, 14-4 Big 12)
Nonostante qualche giro a vuoto, i
Jayhawks hanno dimostrato di poter
competere per il titolo nell’arco di tutta la stagione. L’infortunio alla schiena di Joel Embiid, potenziale prima
scelta assoluta al draft, ha limitato le
potenzialità di una squadra che basa
il proprio gioco sui lunghi. Il talento di
Andrew Wiggins potrebbe non bastare alla seed numero 2 del tabellone del
South Regional, carico di team solidi
e insidiosi. In questo senso, i tempi di
recupero del camerunense saranno
fondamentali.
San Diego State (29-4, 16-2 MW)
A dispetto della sconfitta nella finale
della Mountain West e la conseguente seed numero 4, i ragazzi di Steve
Fisher sono una delle mine vaganti del tabellone occidentale. Forti di
una delle difese più solide dell’intero college basket, gli Aztecs possono
contare sul talento e sulla versatilità
degli esterni Xavier Thames e Winston Shepard. Una vittoria nella probabile sfida con Arizona alle Sweet 16
potrebbe aprire loro la strada verso le
Final Four.
Kentucky (24-9, 12-6 SEC)
Nonostante la classe di reclutamento
più talentuosa della storia dell’NCAA,
Kentucky ha faticato non poco durante la stagione, chiudendo con una
seed numero 8 nel temibile tabellone del Midwest Regional. Se i gemelli
Harrison hanno decisamente deluso
le aspettative, Julius Randle e James
Young si sono invece confermati prospetti a cinque stelle, garantendo agli
Wildcats lo status di mina vagante in
grado di fare parecchia strada.
44
Wisconsin (26-7, 12-6 Big10)
Dopo un inizio di stagione senza sconfitte, i Badgers sono stati rallentati
dalle sabbie mobili di una Big10 molto
competitiva. Ciò nonostante, Wisconsin si porta in dote una seed numero
2 nel tabellone West, in cui grazie al
suo stile di gioco privo di sbavature potrebbe fare molta strada. Sam Dekker,
Ben Brust e Frank Kaminsky sono le
principali bocche da fuoco di una compagine esperta e coriacea.
St. Louis (26-6, 13-3 A10)
Dopo un cammino perfetto per buona
parte della regular season della Atlantic 10, St.Louis è incappata in una serie
di sconfitte consecutive, inclusa quella
nei quarti di finale del torneo di con-
ference. I Billikens si presentano così
con una seed numero 5 nel difficile Midwest, con il playmaker Jordair Jett e il
lungo neozelandese Rob Loe chiamati
agli straordinari fin dal primo turno.
Louisville (29-5, 15-3 AAC)
Dopo aver portato a casa il primo titolo della neonata American Athletic Conference, i Cardinals arrivano
al torneo in piena forma, nonostante
una seed numero 4 non in linea con
le potenzialità della squadra. Un asse
lungo-esterno come quello formato da
Montrezl Harrel e Russ Smith ha pochi eguali a livello NCAA, anche se la
sfida al primo turno con la Manhattan
dell’allievo Steve Masiello potrebbe riservare a Pitino qualche difficoltà.
NCAA
IL MESE DI GLORIA DI ZOU
Storie
La curiosa storia della carriera
di Brian Zoubek: dalle stalle alle
stelle a... una pasticceria...
Foto in alto: Brian Zoubek aggressivo a
rimbalzo (Foto: dukeblueplanet.com)
Nella pagina successiva: in alto,
dichiarazione d’amore che prova quanto
Zoubek fosse apprezzato anche dalle
tifose di Duke; in basso, lotta a canestro
con Gani Lawal, attualmente in forza
all’EA7 Emporio Armani Milano (Foto:
dukeblueplanet.com)
di Carlo Perotti
Domenica 15 Febbraio 2009
Chestnut Hill, Ma
Siamo piccole macchie blu in mezzo a
un mare giallo oro ma, nonostante la
leggenda del Duke Hating, non siamo
trattati male, nemmeno con sarcasmo,
il Silvio O. Conte Forum è ribollente di
passione perché Boston College non ha
mai vinto nella sua storia in casa contro Duke e questa può essere la volta
buona. I Blue Devils infatti sono in un
momento difficile: oramai si è capito
che Greg Paulus non sarà mai il nuovo
Bobby Hurley e che Nolan Smith non sa
giocare da play; nel cervello di coach K
sta nascendo l’idea di spostare il tiratore
ebreo di Chicago Jon Scheyer nel ruolo
di regista e inizia a comprendere che la
sua squadra ha dannatamente bisogno
di atletismo e che i due freshmen Miles
Plumlee ed Elliot Williams, sin lì poco
utilizzati, è ora che escano dalla cuccia
per i novellini.
Duke è in fase di transizione, confusa, e
i Golden Eagles hanno fiutato l’odore del
sangue. Ma i Blue Devils partono bene e
sono in controllo della gara; entra così
anche Brian Zoubek, ragazzone di 216
cm che era stato reclutato tre anni prima e su cui era riposta grande fiducia,
dopo essere uscito dalla sua high school
del New Jersey viaggiando a 24,7 punti
e 12,3 rimbalzi di media. Ma la sua carriera al college è disastrosa, fra continui
infortuni ai piedi e insicurezze sempre
più evidenti. Quando Nolan Smith penetra sulla linea di fondo e trova il lungo
che taglia, il numero 55 riceve e si alza
per tirare; Joe Trapani, ala di Boston College, arriva da dietro e lo stoppa. Zoubek
si ritrova però di nuovo la palla in mano
e salta per schiacciare stoppandosi da
solo sul ferro.
La sua gara dura otto minuti e mentre il
tempo passa Duke si spegne, accendendo l’entusiasmo degli 8.600 tifosi di BC.
Finisce con Tyrese Rice e Reggie Jackson
a mettere i punti della storica vittoria 8074 e con il corpo studentesco bostoniano a lanciarsi nel classico rush floor. Noi
invece affrontiamo i -10° della notte del
Massachussetts pieni di dubbi e pensieri
da affrontare con uno scotch whisky.
Martedì 4 Febbraio 2010
Durham, NC
È passato poco meno di un anno e il clima è totalmente cambiato; Duke viene da una brutta sconfitta a NC State,
ma il passaggio di Jon Scheyer in regia
funziona, Nolan Smith è sbocciato, Kyle
Singler è una sicurezza, ma soprattutto i due lunghi Lance Thomas e Brian
Zoubek, tanto criticati negli anni prece45
6.2014
denti, sembrano totalmente diversi. A
“Krzyzewskiville” alcune tende sono
già issate, non tanto per Georgia Tech,
che in serata sarà l’avversaria, quanto per il derby con North Carolina di
fine mese. Sulla gradinata che porta alla K Tower, un edificio a cinque
piani che sorge a fianco del Cameron
Indoor Stadium e che ospita gli uffici
della squadra di basket, incontriamo
prima Thomas e poi Zoubek, che si è
fatto crescere una bella barba. Enorme, tanto da far sentire lillipuziani degli uomini di 180 cm, e gentilissimo, si
mette a parlare dell’Italia e della sua
(bellissima) fidanzata di origine irpina.
Dopo aver girato il campus, andiamo,
in attesa della partita, a mangiare chicken’n’biscuits da Bojangles, il famoso
locale che fu proibito a J.J. Redick da
freshman perché lo rendeva sovrappeso
coi suoi biscotti che in realtà sono dei
panini al burro ripieni di pollo fritto…
Torniamo al West Campus e alla partita c’è la solita bolgia, coi Cameron
Crazies scatenati; Singler batte il suo
record di punti mettendo un trentello, ma l’idolo numero uno è il senior
Brian Zoubek: ogni volta che prende
un rimbalzo o dà una stoppata, i Crazies uniscono gli indici di una mano
con il pollice dell’altra formando una
Z e urlano «Zou! Zou! Zou!». Lui, pur segnando solo 5 punti, domina la partita
difensivamente, cancellando Derrick
Favors e Gani Lawal, tenuti in singola
cifra, mentre coi suoi durissimi blocchi Singler e Scheyer bombardano il
canestro dalla distanza. Questa volta
il post partita è più dolce, non solo per
il clima decisamente meno rigido del
South, e nel pub a Durham downtown
odoriamo il profumo del trionfo: questi Blue Devils sono speciali e possono
andare lontano.
Lunedì 5 Aprile 2010
Lucas Oil Stadium Indianapolis, In
Come accaduto per tutto il torneo, Zou
domina a rimbalzo offensivo e i suoi
passaggi aprono spazi ai tiratori perimetrali. Quando mancano 36 secondi alla fine della Finale NCAA, Duke
è in vantaggio 60-59, ma Butler ha la
palla in mano per il tiro della vittoria.
46
I Blue Devils difendono alla grande e
Brad Stevens deve chiamare due time-out consecutivi, spendendo così
anche l’ultimo in suo possesso. La
palla infine arriva a Gordon Hayward,
che sbaglia un fade away; Brian Zoubek prende il rimbalzo a 3.6,” subendo subito fallo e andando in lunetta.
Lui che dalla lunetta ha il 64% segna il
primo e guarda coach K, che, con una
certa sorpresa, gli chiede di sbagliare
il secondo, visto che Butler non ha più
time-out, a costo di concedere il tiro
della vittoria ai Bulldogs, per mangiare
qualche istante all’ultimo attacco di
Butler.
Il centro obbedisce e sbaglia il secondo, la palla arriva a Hayward, che tira
da metà campo. Il tiro è sbagliato per
6 cm e fuori asse per un solo grado;
la palla rimbalza sul ferro ed esce. Era
il destino che arrideva ai Blue Devils
da un paio di mesi. Duke è campione mentre Brian corre in mezzo ai coriandoli braccato dall’amico Scheyer e
dalla mascotte Blue Devil.
Due mesi di onnipotenza cestistica
per Brian Zoubek, all’interno di una
carriera funestata dagli infortuni.
Uscito dal college, viene chiamato dai
New Jersey Nets, ma non passa i tagli; poi, un nuovo infortunio mette la
parola fine alla sua carriera, a soli 23
anni.
Prima di lanciarsi nel settore immobiliare Zoubek apre Dream Puffz a Haddonfield, nel New Jersey. Un negozio
di bignè: alla crema, al cioccolato, allo
zabaione, al pistacchio. Dolci ed effimeri come la sua carriera.
6.2014
Dall’osservatorio romano
Comitato Regionale Laziale:
ancora tempo instabile?
di Carlo Fallucca
Lontani i tempi delle eroiche avventure dei presidenti laziali
del Comitato Regionale, ormai sbiadite le fotografie che
ritraevano Fortunato Acito dalle parti del Tritone o Gaetanone Laguardia, prima a Cola di Rienzo poi sul Lungotevere,
senza dimenticare il regno di Roberto Abbate, anima e cuore
di un periodo abbastanza turbolento ma sempre con vista
lato Tevere. Sedi logistiche prestigiose (tranne gli anni di Viale
Mazzini, in cantina…) perché il basket capitolino e laziale
merita questi scenari storici, suggestivi, quasi che da queste
parti il basket di un certo tipo conti veramente.
Oggi, sul gradino più alto di un podio in realtà un po’ scricchiolante, svetta la maestosa figura di Francesco Martini, ex
giocatore dal tiro innato, dal grande talento, poco difensore
ma implacabile contropiedista; fido braccio destro dello
stesso Presidente Abbate e unico rappresentante di un certo
peso… nelle ultime elezioni regionali. Uomo solido per un
basket vissuto sul campo, personaggio forse ancora un po’
gracile a livello politico per un popolo cestistico locale sempre
in subbuglio. Ma il buon Francesco vuole crescere, cercando
di imparare dai suoi predecessori, e fortuna vuole che al suo
fianco si intravedano spesso le figure un po’ più ingombranti
dei vertici della stessa FIP, con Laguardia attento osservatore
e lo stesso Gianni Petrucci con antenne ben alzate.
Nel bene o nel male si viaggia con buon vento: il CRL ha un
ufficio stampa che funziona (quando l’amico Mario Arceri ha
il nulla osta per proporre qualche cosa di nuovo), si produce
un magazine digitale interessante, ma nei rapporti con le
società tutto sembra indietreggiare senza sosta. Demeriti
dei vertici del Comitato o colpe da attribuire a chi guarda
esclusivamente al proprio orticello? Intanto si alzano i primi
mugugni, perché se l’impero “Martiniano” è iniziato con l’aiuto di tutto il regno unito, ci si chiede se l’immobilismo attuale
sia fonte di qualche preoccupazione.
Novità pochine, programmazioni future lontane, allenatori
un po’ dimenticati, problematiche del fischietto ostinatamente in atto e consiglieri imbrigliati dopo mille promesse. In
più – preoccupazione ormai nota in tutti i Comitati locali – il
denaro è merce rara. E Francesco, il capo, tenta una timida
difesa: «Credo sia indubbia la nostra forza nell’informazione e nella
voglia di farci vedere e conoscere. Ho in mente di mettere dentro
molta nostra storia del tempo che fu, la forza del movimento passato.
Il nostro immobilismo? Vero, ma ricordo che noi siamo un surrogato
della FIP, e come tale non abbiamo tanti margini di fantasie... Ho una
possibilità di manovra abbastanza relativa. Gli arbitri? Poco ricambio e qualità molto simili al livello di molti giocatori. Le regole per il
futuro? Formare una Serie C Regionale intelligente, cancellare la C2 e
mettere in primo piano due bei gironi di serie D».
E adesso? Non fermarsi sugli allori delle vittorie di Luiss (bravissima) e Latina (determinata) nella kermesse LNP di Rimini,
proseguendo anche e soprattutto su un buon lavoro giovanile
che il “gigante” Enrico Gilardi sta portando avanti da tempo.
Ma anche qui, come sempre, occorre bussare alla porta di
mamma FIP per chiedere aiuto…
Lavorare per fare esperienza va bene, ma senza abusare troppo della passione e dell’amore che ancora in molti mettono,
gratuitamente, a disposizione del gioco più bello del mondo.
Latina a canestro nella finale di
Coppa Italia contro Legnano
(Foto: Claudio Devizzi Grassi)
47
basket
italiano
fischia e suona
Personaggi
Quando nasci a Pesaro hai due cose
che, volente o nolente, non ti abbandoneranno per il resto della vita: il
mare e la pallacanestro. Se il primo
è un dono che la natura ha fatto alla
città, la pallacanestro è un dono fatto
alla città dalla famiglia Scavolini, almeno negli ultimi 30 anni. Un amore
esploso a inizio anni ’80 quando, per
lo spareggio contro la Superga Mestre
sul neutro di Milano, da Pesaro furono organizzati 77 pullman e in 5.000
raggiunsero il capoluogo lombardo
per celebrare la vittoria che valse la
salvezza e diede il via all’epopea della Vuelle. Impossibile per un pesarese
doc come Gianluca Mattioli non farsi
contagiare dalla palla a spicchi. Prima
da giocatore, «di basso livello», ci tiene
a precisare, poi come arbitro, ad altissimo livello aggiungiamo noi.
«Quando mi sono accorto, a 15 anni, che
i miei compagni continuavano a crescere mentre io no, mi avvicinai al mondo
arbitrale. Lo reputai un buon modo per
rimanere in contatto con il basket, così
nell’aprile del 1985, a 17 anni, iniziai ad
arbitrare. Fu un passo tutto sommato
semplice e che per un periodo di quasi 9
anni feci in contemporanea anche nel calcio, altro sport che praticavo, arrivando
fino al terzo gruppo, la vecchia Serie C.»
Dopo 8 anni l’esordio in Serie A.
Sì, prima l’esordio in Coppa Italia con un
48
di Nicola Martinelli
grande arbitro di allora, Luciano Baldini,
e poi, il 26 settembre 1993, il debutto in
Serie A (Bialetti Montecatini – Acqua
Lora Venezia 84-74, con 38 punti di
un certo Mario Boni, nda). Di quella
gara ricorderò sempre la grande emozione nell’entrare in campo davanti a una
splendida cornice di pubblico a cui non ero
abituato e la mia difficoltà a relazionarmi immediatamente con i protagonisti in
campo (quando il playmaker di Montecatini, Giacomo Zatti, mi mise una mano sulla spalla per chiedermi alcune spiegazioni,
gli risposi: “Non si permetta mai più di
toccarmi!”). Gli allenatori erano due “mostri sacri” del basket di allora: Benvenuti a
Montecatini e De Sisti a Venezia.
Da allora 599 partite (la numero 600
di Mattioli in Serie A andrà in scena il
24 marzo, Sutor Montegranaro – EA7
Milano, nda). Il giocatore che ricorda
con più affetto?
Tanti, ma uno su tutti: Carlton Myers. Ho
vissuto con lui l’inizio della mia carriera,
dalle giovanili a Rimini fino ad arrivare
alla famosa gara del 26 gennaio 1995 degli 87 punti, ancora oggi record in Serie A,
che ebbi l’onore di arbitrare con Penserini.
E quello che più l’ha messa in difficoltà?
Anche qui tanti, ma ne ricordo due in
particolare, entrambi a inizio carriera. Il
primo vero scoglio fu Dino Meneghin: mi
ricordo di una gara al mio anno di debutto
in Serie A, l’ultima stagione di Meneghin
da giocatore, con l’Olimpia Milano allenata da D’Antoni. Dopo una mia decisione,
Meneghin ebbe una reazione scomposta e
gli fischiai un fallo tecnico. Da veterano,
non apprezzò il gesto del giovane arbitro e
fece di tutto per mettermi contro il pubblico milanese. Un altro che a inizio carriera
mi ha messo molto in difficoltà, anche se
poi siamo diventati amici, è stato Predrag
Sasha Danilovic: diciamo che lui non tollerava, soprattutto nelle gare casalinghe,
alcun contatto sull’atto di tiro. Se succedeva per lui era sempre fallo, e se tu non
la vedevi allo stesso modo, soprattutto per
gli arbitri più giovani, potevano nascere
situazioni di pressione psicologica molto
difficili da gestire!
Tra i colleghi, invece, a chi è più affezionato?
Quello con cui ho più ricordi legati alla mia
vita arbitrale è Fabio Facchini. È stato un
grandissimo arbitro, il cui temperamento e
carisma arrivavano a condizionare i comportamenti non solo di giocatori, allenatori
e dirigenti, ma anche degli stessi colleghi.
A lui associo due ricordi molto importanti della mia carriera. Il primo un Burghe
Roma – Stefanel Trieste, una gara che non
andò molto bene, tanto che il compianto
Angelo Rovati, allora presidente di Roma,
si lamentò pubblicamente (a 10 colonne
sulla Gazzetta dello Sport) e questo episodio segnò una brusca frenata nel mio
6.2014
sfavillante esordio in A. Però poi con Facchini ho diretto anche la mia prima finale
scudetto, il 9 maggio 1999, gara 2 tra la
Benetton Treviso di Zeliko Obradovic – con,
tra gli altri, Pittis, Bonora, Marconato, Nicola, Williams, Rebraca – e la Pall.Varese di
Charlie Recalcati – con Vescovi, Pozzecco,
De Pol, Meneghin, Galanda, Mrsic, Santiago (vinsero gli ospiti 71-74, nda).
Nel 2000 arriva il passaggio a internazionale. Essere uno dei migliori
arbitri d’Europa porta grandi soddisfazioni personali, ma anche molti sacrifici. Quante sono le notti che
dorme lontano dalla famiglia?
Con i calendari attuali, tra coppe e campionato, da settembre a maggio-giugno,
stai fuori casa anche tre, quattro notti a
settimana, a cui si aggiungono gli impegni
di lavoro e personali.
E, nonostante questo, l’altra sua
grande passione: la musica.
Sì. La musica è stata la mia passione fin da
piccolo. Mia madre dice che quando sono
nato, invece di piangere, cantavo. Ho frequentato le Scuole Medie al Conservatorio
Gioacchino Rossini di Pesaro, poi durante
gli anni del Liceo Classico mi sono diplomato in clarinetto. Da lì ho iniziato le mie
prime interessanti esperienze di insegnamento e piccoli concerti. Poi però l’attività
arbitrale e l’università prima, la famiglia e
il lavoro poi mi hanno messo di fronte ad
alcune scelte e ho deciso di non interpretare la musica da un punto di vista professionale, anche se per alcuni anni della mia
vita ci ho dedicato parecchio tempo. Con
degli amici abbiamo iniziato a suonare per
divertimento, oltre al clarinetto me la cavo
con chitarra e saxofono, fino poi a trovarci
a organizzare tutti gli anni un bel Concerto
di Natale con un gruppo che negli anni ha
inserito professionisti che suonano e cantano anche a livello internazionale.
Differenze tra salire su un palco e arbitrare?
Le emozioni sono simili. In entrambi i casi
devi essere preparato tecnicamente, poi ci
devi mettere quell’energia e quella personalità che fanno parte integrante del mio
carattere! Sul palco sono uno che non si fa
problemi a trascinare e sul parquet non mi
nascondo, ma con una differenza basilare:
in un teatro o sopra il palco, l’artista sei tu;
dentro un campo da basket, i protagonisti
sono i giocatori, e gli arbitri migliori sono
quelli che non si notano mai.
La differenza è anche nel comportamento del pubblico: in un concerto le
offese saranno minori...
Ma a me, in tutta onestà, l’insulto da parte
del tifoso non dà fastidio, lo metto in preventivo: ogni volta che vai a penalizzare
la sua squadra, anche se il fischio è ineccepibile, è come sferrargli un colpo al cuore
ed è umano che si manifesti una reazione
fisiologica negativa. Per questo se da un
tifoso isolato, o da una curva, parte un
coro contro un mio fischio sbagliato non
me la prendo, anzi me lo aspetto e li perdono ancora prima che lo facciano. Quello
che non tollero è invece la maleducazione
negli addetti ai lavori: giocatori, allenatori
e dirigenti, che dovrebbero lavorare, insieme agli arbitri, per innalzare il livello di
spettacolo e rendere più appetibile, entusiasmante e vendibile il prodotto pallacanestro.
Nell’era post-Facchini chi vede tra gli
arbitri migliori?
Cerebuch e Lamonica sono una spanna sopra tutti. Cerebuch, al termine di questa
stagione, dovrà smettere perché ha compiuto 50 anni, ma io lo considero la prova
evidente del fatto che il limite d’età a 50
anni oggi sia completamente inadeguato
(la pensavo così anche per Facchini, che infatti ha arbitrato benissimo per due anni
oltre il limite d’età): io ritengo che gli arbitri andrebbero valutati secondo un criterio
meritocratico e non anagrafico (come avviene, del resto, in NBA, dove dirigono ottimi arbitri oltre i 60 anni, con alcune punte
fino a 70). Tra gli esperti, considero grandi
arbitri Taurino e Chiari. Tra le nuove leve
vedo grandi prospettive in Lorenzo Baldini,
che quest’anno sosterrà l’esame da internazionale, mentre, tra i giovani esordienti
con cui ho arbitrato, Morelli, Paglialunga,
Rossi e Quarta hanno già dimostrato ottime qualità.
Chiudiamo con una nota di gossip:
nella trasmissione di Sky R&B del
2009, super-cliccata su YouTube, lei,
oltre a suonare e cantare con i suoi
colleghi arbitri, si è esibito in una
danza latina con l’ex GiEffina Mirela
Kovacevic…
Sono nato e ho sempre vissuto sulla Rivera marchigiano-romagnola e dalle nostre
parti, quando una bella ragazza ti chiede
di ballare, lo consideriamo un investimento e non diciamo mai di no!
Nella pagina a fianco: il Mattioli arbitro,
insieme a Marco Calvani, coach di Roma
nella scorsa stagione. Qui a destra: il Mattioli
musicista (le foto provengono dall’archivio
personale di Gianluca Mattioli)
49
basket
giovanile
Minibasket
EasyBasket:
idee e proposte pratiche
di Maurizio Cremonini
Il progetto EasyBasket è nato nel 2006 per facilitare l’apprendimento del gioco-sport del minibasket ai bambini della
scuola primaria. EasyBasket rilancia la dimensione educativa e ludica del minibasket semplificandone e facilitandone
le modalità di gioco. In questo articolo il tecnico federale per il minibasket Maurizio Cremonini presentata proposte
pratiche che possono essere messe in pratica in qualsiasi scuola primaria italiana. Easy significa semplice, per cui...
Una delle prime riflessioni sull’Easy­
Basket è relativa al
palleggio, poche e semplici proposte, adeguate alle classi
per le quali viene suggerita la tipologia di proposta, sottolineando per noi l’importanza di condividere il senso dell’esercizio o gioco proposto più che la proposta in sé.
Palleggiare “Easy” con le Classi Prime
 CALAMITA GIGANTE!
I bambini palleggiano per il campo di corsa o camminando; al segnale dell’insegnante, la loro palla deve andare
ad attaccarsi come una calamita alla palla di un compagno con il quale camminano per il campo tenendo i
palloni attaccati tra loro fino al segnale “LIBERI” dell’insegnante.
 TUTTI IN CITTÀ!
Distribuire nel campo attrezzi e ostacoli vari; i bambini
si muovono per il campo (la città) in macchina, il rumore
della loro macchina è il rimbalzo della palla, mentre l’insegnante regola il traffico chiamando ad alta voce i colori del
semaforo; al verde corrono velocemente, al giallo procedono lentamente, al rosso si fermano senza però spegnere il
motore. Varianti:
• inserire zone a traffico limitato (palleggio molto
lento);
• inserire zone pedonali (divieto di palleggio);
• inserire cerchi (parcheggi) dove poter sostare liberamente;
• delimitare le autostrade (zone libere da attrezzi
dove palleggiare veloci);
• utilizzare il canestro (cassa) per il pagamento del
biglietto (toccare almeno il ferro per uscire) .
 CHI COMANDA?
Bambini divisi in 4 squadre disposte come nella Fig. 1 e
tutte le palle/palline a disposizione distribuite in ugual
misura all’interno dei cerchi delle squadre; al via dell’insegnante i primi di ciascuna squadra si avvicinano al proprio cerchio, ma solo quando il bambino della squadra
che ha il potere lo decide si può partire, e gli altri 3 bambini dovranno prendere la stessa palla scelta da chi ha il
potere. La squadra che ottiene per prima 3 punti prende
il “potere”.
50
Palleggiare “Easy” con le Classi Seconde
 CIAO CIAO
I bambini si muovono liberamente per il campo palleggiando
una palla; quando incontrano un compagno... si salutano:
• all’italiana (stringendosi forte la mano);
• all’americana (dandosi un 5);
• all’americana molto felici (dandosi 5 con tutte e
due le mani e riprendendo la palla);
• all’americano del Bronx (picchiandosi i pugni sopra e sotto);
• alla brasiliana (strofinandosi la schiena);
• all’eschimese (toccandosi la punta del dito);
 CASA DOLCE CASA
Distribuire sul campo un numero di cerchi pari al numero
dei bambini, ogni cerchio è la casa di un bambino; al segnale “dentro” dell’istruttore, ogni bambino, in palleggio,
deve trovare una casa, al segnale “fuori” devono uscire e
muoversi liberamente. Varianti:
• devono tornare sempre nella stessa casa/cerchio;
• non possono mai tornare nella stessa casa/cerchio;
• se i cerchi hanno colori diversi, devono cambiare
ogni volta colore di casa/cerchio.
 SPAVENTAPASSERI
Evidenziare la divisione del campo in due metà; i bambini
lasciano la loro palla in una delle due metà campo e poi
vanno a correre liberamente nell’altra. Al via dell’istruttore i bambini devono tornare a prendere la loro palla, ma
nella metà campo dei palloni l’istruttore ha messo uno dei
bambini a fare lo spaventapasseri, cercherà cioè di pren-
6.2014
dere tutti quelli che entreranno nella zona dei palloni. Chi
viene preso si siede, chi riesce a prendere la palla corre
velocemente a palleggiare nella metà campo libera.
 OMBRA
I bambini palleggiano liberamente per il campo e cercano,
senza farsi vedere, di diventare l’ombra dei compagni che
incontrano; quando vengono scoperti, scappano palleggiando alla ricerca di un nuovo compagno al quale fare l’ombra.
Palleggiare “Easy” con le Classi Terze
 Camminare e palleggiare inventando modi diversi.
 Camminare e palleggiare seguendo le linee del campo.
 Camminare o correre palleggiando una palla forte/piano - alto/basso - di destro o di sinistro - in avanti e
all’indietro.
 BAMBINI CHE NON STANNO MAI FERMI
Distribuire nel campo un numero di cerchi leggermente inferiore al numero dei bambini (tane); i bambini si muovono
per il campo con una palla ciascuno. Al segnale dell’insegnante cercano di entrare in una tana; ma i bambini non
stanno mai fermi e cercheranno di scambiare la tana con
uno bambino vicino, e mentre lo fanno quelli rimasti senza
tana cercano di entrare nelle tane lasciate libere. Varianti:
• i bambini scambiano la tana al segnale dell’insegnante;
• i bambini provano a palleggiare mentre cercano
una tana;
• i bambini palleggiano la palla nella tana;
• i bambini palleggiano e scambiano la tana lasciando la palla nella tana.
 4 QUARTIERI
Campo diviso in 4 quarti (quartieri) e in ogni quartiere
viene posizionata una banda; l’insegnante nomina un
“capobanda” per ciascun gruppo e tutta la banda imita i
movimenti del capo (con e senza palleggio), ma al segnale
dell’insegnante il capobanda si “arrabbia” e va a rubare la
palla dei propri compagni di banda, che scappano, restando però all’interno del quartiere.
 DETECTIVE
Disporre i bambini a centro campo, meno uno – il detective
– che è girato di schiena al gruppo e non può guardare; l’insegnante consegna a uno dei bambini un piccolo oggetto
(fazzoletto, pallina, moneta, etc.) e i bambini in palleggio
devono passarselo, non visti, di mano in mano tra i compagni, o far finta di passarselo senza che il detective se ne accorga; il detective in palleggio deve muoversi per il campo e
cercare di individuare chi è in possesso dell’oggetto.
 RUBA LA CODA
Tutti i bambini si infilano nei pantaloncini dei piccoli pezzi
di stoffa o dei fogli di giornale; al via dell’insegnante giocano a rubarsi la coda palleggiando. Varianti:
• un solo cacciatore senza coda che ruba le code;
• code di due colori e giocare a rubare le code della
squadra avversaria;
• code di diversi colori e giocare a rubare code di tutti
i colori.
Palleggiare “Easy” con le Classi Quinte
Bambini tutti con la palla, si muovono per il campo
palleggiando e cercano di buttare via il pallone a tutti
quelli che incontrano. Varianti:
• ridurre lo spazio a disposizione;
• utilizzare palloni diversi.
 Bambini che si muovono per il campo rubandosi il pallone tra loro mentre l’insegnante si muove liberamente
per il campo; al segnale di stop nessun bambino deve
farsi trovare a meno di 5 passi dall’insegnante.
 Bambini disposti su tre file a fondo campo, tutti con palla; al segnale dato dall’insegnante, i primi di ogni fila partono e attraversano il campo:
• camminando o correndo con la palla che ruota attorno al corpo;
• camminando o correndo con un palleggio e una rotazione della palla attorno al corpo;
• camminando o correndo palleggiare alternativamente di destro e di sinistro.
 Bambini divisi in più squadre, come in Fig. 2, un pallone
solo al primo di una delle due file di ciascuna squadra; al
via dell’istruttore il giocatore con la palla parte veloce in
palleggio, attraversa rapido i due coni posizionati a metà
campo e passa la palla al primo compagno della fila di
fronte, il quale riceve e a sua volta riparte (gara a punti).
Palleggiare “Easy” con le Classi Quarte
 Palleggiare sul posto e in movimento in modi diversi, a
scelta e in libertà (alto, basso, bassissimo, altissimo, lento,
veloce). Varianti:
• adeguandosi alle indicazioni dell’insegnante;
• adeguandosi alle indicazioni riferite ai diversi spazi
operativi (es.: tutto campo alto – nei 3 punti basso –
nell’area bassissimo).
51
6.2014
cosa succede in...
serie a femminile
di Giovanni De Rosa
Pasticcio all’italiana Il lavoro paga
Mentre la Lega cerca di mettere in luce il “basket femminile” attraverso dirette streaming di Coppa Italia e AllStar Game, mentre Schio impatta le serie degli ottavi di
Eurolega contro le turche del Kayseri e tiene alto il nome
del basket italiano in Europa, in A1 si registra l’ennesima
sparizione di una squadra a campionato in corso. A nemmeno un anno di distanza da Faenza, il CUS Chieti si ritira
andando così a falsare, per il secondo anno consecutivo, il
prosieguo della stagione. Le norme introdotte negli anni
passati e la confusione presente all’interno del movimento
non fanno altro che minare la credibilità del sistema sportivo di vertice, facendo perdere appeal a un prodotto che
rischia seriamente di sparire se Federazione e Lega non interverranno con nuove proposte.
Umbertide sta vivendo la migliore annata da quando è in
Serie A1. Il lavoro di coach Serventi, sulla panchina della
formazione umbra dal 2008, sta dando frutti importanti: dopo un avvio difficile, è la squadra del momento con
otto vittorie nelle ultime nove gare e la perla del successo
a Ragusa con tre italiane in campo per 38’. Sono molte le
giovani lanciate dall’allenatore emiliano, ora utili anche
in chiave azzurra, come Gorini, Caterina Dotto, Tognalini
e Consolini (vedi box). Passione della piazza, competenza
e professionalità della società fanno di Umbertide una realtà da prendere come esempio in un settore, come detto,
in preoccupante crisi, non solo economica…
INTERVISTA A CHIARA CONSOLINI (di Diego Alunni)
A Peschiera del Garda, il 20 maggio
1988, è nato uno dei prospetti più interessanti del basket femminile: 180
cm, buon tiro e primo passo fulminante. Nonostante la giovane età, ha
già vinto quattro scudetti, un’Eurocup, una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana, tutte con la maglia
della Famila Schio. Stiamo parlando
di Chiara Consolini, ora faro dell’Acqua&Sapone Umbertide ed elemento
importante della nostra Nazionale.
«Ho iniziato a giocare a basket a dieci anni
a Costermano, un paesino vicino a casa
mia, seguendo mia sorella più grande»,
ci racconta Chiara, tornata in Umbria
dopo due anni vincenti a Schio. «Sono
tornata perché apprezzo molto società e
staff. Qui si punta sulla crescita delle giovani, e mettendo in piedi il servizio di foresteria la società ha fatto un grande passo
avanti. Così si può lavorare anche con ragazze che vengono da fuori, come Maria
Chiara Ortolani».
L’esperienza in Veneto ha permesso a
Chiara di farsi le ossa anche in ottica
Nazionale, nelle cui file è ormai uno
dei punti fermi del C.T. Ricchini. Alle
qualificazioni per gli Europei ci sarà
bisogno anche di lei: «La Nazionale ha
subito un forte ricambio generaziona-
52
le. Non nascondo che la mia esclusione
dall’ultima spedizione azzurra è stata
una forte delusione, ma fa parte del gioco.
Quest’anno, avendo partecipato a tutti i
raduni, mi sento pronta per affrontare le
qualificazioni».
Ma qual è la ricetta di Chiara Consolini per la nostra malandata pallacanestro? «Per dare più visibilità al movimento servirebbe più spazio a livello mediatico.
La LegaBasket Femminile ha sperimentato
lo streaming, e ho visto che sta dando buo-
Foto: Daniele Furlanetto
ni risultati, ma è ridotto a chi già naviga
nel mondo del basket femminile. Sarebbe
bello poter vedere sulla Rai almeno una
partita a settimana, o anche manifestazioni come le Final Four di Coppa Italia e,
perché no, i playoff. In seguito si dovrebbe
promuovere il basket soprattutto attraverso le scuole, con manifestazioni o veri
e propri corsi, iniziando anche dall’asilo
sotto forma di gioco».
Ha le idee chiare, Chiara, sul campo e
fuori. Il futuro è dalla sua.
6.2014
Peterson fa scuola
Dan coach di inglese
di Enrico Ercolani (Formavobis)
È l’uovo di Colombo, a pensarci bene.
Buon per noi che finora nessuno abbia
pensato bene al legame stretto che c’è
tra l’inglese e il basket. Non solo per
parlare la lingua dell’NBA, degli allenatori e, oggi, di tutto il basket, ma anche
e soprattutto per insegnare l’inglese
agli altri, ovvero per permettere a tutti
di imparare l’inglese giocando. A basket.
Noi di Edo, English Discoveries Online,
la piattaforma di insegnamento della lingua inglese di Ets, il più grande
ente certificatore della lingua inglese al
mondo, non siamo nemmeno arrivati al
basket da soli. Al contrario, abbiamo prima fatto squadra con la Lega Nazionale
Pallacanestro e poi abbiamo pensato a
un prodotto rivolto, primariamente, agli
appassionati, ma studiato non solo per
loro.
Infatti, la combinazione di tradizionali
videocorsi in streaming con il metodo
Edo rende l’apprendimento più rapido e
i progressi più tangibili.
In concreto si tratta di 18 videolezioni
preparate con la collaborazione preziosa di Dan Peterson, che è tanto capace
di scherzare su se stesso da dichiarare
di essere un insegnante anomalo, con
quell’accento inconfondibile di Chicago.
Sono lezioni mai noiose: coach Peterson
parla di tecnica, tattica e soprattutto
svela segreti e curiosità del mondo del
basket. Il tutto condotto con la solita,
impagabile e sorprendente precisione.
Mi spiego: se una delle lezioni doveva
durare 9 minuti e 30 per esigenze di
montaggio, Dan cominciava a spiegare
i temi della lezione e si fermava appunto dopo 9 minuti e 30 secondi. Aiutando
tutti, addirittura eliminando esigenze di
post produzione: tutto materiale buono
alla prima, come si dice.
Fin qui, Peterson. Ma il metodo di questa iniziativa pensiamo sia legato anche all’elaborazione dei contenuti da
parte del corpo docente di Formavobis,
la scuola di formazione che distribuisce Edobasket in Italia. E alla miscela
delle moderne tecnologie di e-learning,
che impiegano tutte le nuove tecnologie, anche a beneficio dei primi studenti
che è facile immaginare siano ragazzi,
dunque nativi digitali, e le tecniche tradizionali.
Il blended learning è largamente utilizzato e fortemente consigliato come metodo di formazione linguistica, poiché
consente di combinare al meglio teoria
e pratica. Poi, come detto, gli studenti
dispongono di uno strumento disponibile ovunque, 24 ore al giorno, 7 giorni
su 7.
Dunque, amici sportivi e non sportivi, adesso non avete più scuse: se non
capite cosa è un pick and roll, oltre che
al vostro allenatore, potete finalmente
chiederlo anche al vostro coach online.
E lui, Dan Peterson, vi risponderà.
BasketpediA
Enrico Ercolani è stato il direttore commerciale della Sampdoria, ha lavorato in Lega
Calcio per l’iniziativa Stadi Aperti ma non
deve essere proprio a digiuno di basket,
che non ha mai praticato e seguito solo
saltuariamente, se per il suo esordio ha
puntato su Dan Peterson. È il fondatore di
Formavobis e ha scelto Basket Magazine
(e Lega Nazionale Pallacanestro) per presentare il progetto di punta Edobasket, un
nuovo modo di insegnare l’inglese
53
6.2014
Alti ideali
Una squadra di trafficanti di sogni
di Carlo Besana
“Giochiamo per gli animali e per alti ideali”, lo slogan che
abbiamo scelto per la stagione 2013-2014, sottolinea in
modo immediato il particolare abbinamento tra la nostra
società, l’NBA-Zena, e il suo main sponsor, Almo Nature,
azienda che affianchiamo nelle azioni a sostegno delle sue
battaglie animaliste e delle iniziative concrete a favore dei
canili.
A prima vista potrebbe sembrare anomalo fare sport
agonistico e promuovere la propria attività attraverso uno
slogan in cui non ci sia nessun termine che richiami il concetto di vittoria. Può essere vero, ma solo a prima vista.
Chiunque abbia praticato sport agonistico, a qualunque
livello, sa perfettamente che si scende in campo, sempre,
per vincere, con buona pace di De Coubertin. Non c’è nessuna necessità, quindi, di sottolineare questo elemento.
Non tutti però hanno ancora ben presente il concetto di
“social profit”, di cui lo sport è una delle più alte espressioni.
Il basket inoltre è anche sport di squadra, ed è una disciplina in cui il concetto di “squadra” è espresso ai massimi
livelli. L’attività non riguarda solo direttamente le protagoniste in campo, ma anche le famiglie e, per estensione,
l’intera comunità.
Almeno per noi, “essere basket” vuol dire anche partecipare alla crescita della comunità che ci sta intorno, provando
a trasferire quelli che sono i nostri valori.
Ecco quindi che l’anomalia diventa “normalità” e l’impegno
finalizzato al raggiungimento dei livelli sportivi più alti si
può anche trasformare in ulteriore “energia pulita”, un buon
carburante per rifornire di alti ideali l’intera comunità.
Proprio da questa consapevolezza deriva la nostra anima “social”, che ha già caratterizzato negli anni scorsi
la nostra società sportiva, al fianco sia della Fondazione
Candido Cannavò per lo Sport che della Comunità San
Benedetto al Porto di Don Andrea Gallo, nostro compianto
“tifoso numero 1”. E non a caso i loghi della Comunità e
BasketpediA
Carlo Besana da giocatore si è fermato alla
Prima Divisione in Brianza; da comunicatore,
e da persona dotata di straordinaria creatività,
è arrivato molto più lontano come dirigente sociale. Presidente del Comitato Unicef di Roma
prima, anima della rinascita piena del quartiere
Cep a Genova poi, organizzatore di eventi, catalizzatore di energie positive, nel 2007 ha fondato la Nba Zena, New Basket a Genova. Ex
farmacista, per chi lo conosce bene, deve molti
dei suoi successi alla moglie, Susanna Giorato,
eccellente giocatrice fino alla A2. È stato Carlo
a scoprire i trascorsi cestistici di don Gallo: basterebbe questo per dirgli grazie.
54
della Fondazione sono ben presenti sulle nostre divise da
gioco. Don Gallo era stato un allenatore di basket, e sapeva
bene di avere un quasi omonimo, Danilo, nell’NBA. Noi
don Gallo lo abbiamo addosso. Sulle soprammaglie c’è uno
slogan che ancor più incornicia il nostro impegno e, credo,
le sfide nuove che toccano al basket: “Sempre con coraggio
cerchiamo di continuare a essere trafficanti di sogni”.
In questa stagione si è felicemente aggiunta la comunione
d’intenti con il nostro main sponsor.
Si è conclusa pochi giorni fa l’iniziativa “Un assist per la
Sardegna”, ideata da Almo Nature e promossa dalla nostra
società e dalla Lega Basket Femminile, con il coinvolgimento di tutte le società di Serie A1, A2 ed A3.
Si è presa in considerazione la giornata di campionato precedente il Natale, si sono sommati i punti realizzati, gli assist
serviti e il numero degli spettatori e la cifra risultante da questa somma è stata trasformata da Almo Nature in altrettanti
pasti donati ai canili della Sardegna colpiti dall’alluvione.
Il 10 dicembre Pier Giovanni Capellino, presidente di Almo
Nature, consegnò oltre 19.000 pasti al canile LIDA di Olbia
(che ospita oltre 700 cani), lo scorso 2 marzo circa 20.000
pasti sono stati donati ai cittadini proprietari di cani e residenti nelle zone colpite dall’alluvione. Erano presenti anche due giocatrici dell’Almo Nature NBAZena, che hanno
donato ai bambini magliette versione “dog” (con il numero
101) della divisa da gara della loro squadra.
Quest’anno, con il nuovo impegno verso le battaglie animaliste, si è chiuso un meraviglioso “cerchio magico”, come
ha scritto Franco Arturi, nobile firma della Gazzetta dello
Sport: «Fra le battaglie di civiltà promosse da Candido Cannavò
ai primi posti c’erano le campagne estive contro l’abbandono del
cani. Candido ha scritto articoli toccanti al riguardo. Considerando
che Don Gallo è uno degli Indimenticabili “pretacci” del suo libro,
che il basket femminile gli stava molto a cuore, e infine che Candido aveva imparato ad amare la Liguria e il suo mare, in nome
della NBA-Zena si salda un cerchio magico. Di quelli buoni».
6.2014
Fate largo a DeRev... olution
Lo sponsor ce l’avete in casa
di Roberto Esposito
Oltre a essere l’espressione e il simbolo di una comunità,
motivo di gioia e sofferenza, una squadra sportiva
rappresenta sempre e comunque un catalizzatore di
partecipazione diffusa, sia a livello agonistico che amatoriale.
In un momento di grande difficoltà per lo sport nel reperire i
fondi necessari a finanziare le varie attività, il crowdfunding
può risultare decisivo come in molti altri campi. I media ne
parlano spesso, ma in pochi sanno esattamente di cosa si
tratti: il crowdfunding è una raccolta fondi lanciata e gestita sul
web, con l’obiettivo di raggiungere e coinvolgere un pubblico
molto vasto che contribuisca anche con pochi euro grazie
alla diffusione virale attraverso la Rete e i social network.
DeRev.com – la principale piattaforma italiana di
crowdfunding – è uno strumento pensato proprio per tutti
quelli che vogliono tenere vivi sogni, ambizioni e speranze
partecipando in prima persona con un piccolo contributo
economico. Le cronache da tutto il mondo raccontano di
come piccoli gruppi di persone, unite da una passione o un
interesse comune, possano rivelarsi una forza dirompente
in grado di cambiare le cose e realizzare progetti, idee ed
eventi che altrimenti non avrebbero mai visto la luce.
Sono quelle persone che non credono esistano sport
“minori”, e decidono di sostenere la loro squadra del cuore
anche per superare una situazione di difficoltà economica,
partecipando con piccole donazioni alle spese di trasferta,
all’acquisto di attrezzature tecniche, al restauro o alla
creazione di impianti sportivi. Le possibilità sono infinite,
proprio come le esigenze della pratica sportiva, il cui valore
va ben oltre la dimensione prettamente economica.
DeRev nasce da una mia idea: ho 28 anni, mi chiamo
Roberto Esposito e già in passato ho più volte utilizzato il
web per creare piccole e grandi rivoluzioni. Nel 2011, dopo
aver lanciato un blog di informazione satirica da 180.000
lettori al giorno, sono entrato nel Guinness World Records
per il post di Facebook con più commenti al mondo (560.000)
rappoddiando il precedente primato della Zynga.
Su invito di Greenpeace International, ho partecipato alla
campagna “Facebook: Unfriend coal”, portando 80.000
adesioni in poche ore, battendo un nuovo Guinness
World Record (maggior numero di commenti in 24 ore) e
convincendo Facebook a sottoscrivere un protocollo per una
nuova politica energetica. Nel 2012 mi sono state affidate
la comunicazione e il marketing dell’America’s Cup World
Series, che a Napoli ha superato i 740.000 utenti sul web, e
ho pubblicato il primo libro scritto in crowdsourcing con oltre
700.000 utenti che hanno contribuito attraverso il web.
Il crowdfunding per lo sport è reso ancora più agevole
dalla facilità con cui è possibile offrire delle ricompense
ai sostenitori – elemento essenziale per incentivare la
partecipazione – in base all’importo del loro contributo,
mettendo a disposizione biglietti, abbonamenti, magliette
firmate, gadget, fino a esperienze più complete come
allenamenti con la squadra o partecipazione a eventi speciali.
È anche semplice: basta iscriversi su www.derev.com e creare
una campagna seguendo le indicazioni e i suggerimenti
del sito, come l’aggiunta di video di presentazione con cui,
facendo leva sulla fantasia e sulla capacità di entusiasmare
il proprio pubblico, atleti e testimonial chiedono di sostenere
la squadra. D’altronde il senso è sempre quello: mettersi in
gioco.
Ma, dice o minaccia il direttore di Basket Magazine, della
materia ne parleremo ancora perché, di idee e di soldi
c’è sempre bisogna. Intanto da oggi, ovvero da quando
avete finito di leggere, DeRev è a vostra disposizione come
piattaforma. Se son palloni buoni, finiranno a canestro.
BasketpediA
Roberto Esposito e DeRev, Roberto Esposito è DeRev. Nell’Italia afflitta
dalla crisi, lui è un under 30 che ha un’azienda con quasi 20 dipendenti a tempo indeterminato. Forbes ha definito la sua piattaforma leader del
Crowfunding italiano. Il Parlamento Europeo lo ha eletto Digital Democracy Leader. Per non sbagliarci, noi di Basket Magazine lo abbiamo eletto
crowfunding partner: la riscossa del basket può partire dal Vomero, il quartiere generale dove Roberto ha il suo quartier generale.
55
storie
ischia come rio
In Ricordo di Guerrieri
no limits
L’Isola d’Ischia ha sei Comuni, tanto mare, un monte, l’Epomeo, molta
campagna, un’infinità di viti e... la
malattia del basket! È dunque un’Isola di Vino, di Mare e... di Basket,
come ci racconta Giovanni Cervera
nel suo splendido libro con prefazione del Vate: Avevamo un sogno. Ischia,
storie di basket.
A questo lungo racconto, che di frequente col basket lascia il Grande
Scoglio e si propaga per l’intero Stivale e oltre, fino a Mosca e ancor di
più a Omsk, in Siberia, e si porta dietro come una fragrante scia l’intenso
profumo dei limoni e del basilico e i
colori degli oleandri e delle bouganville, è stato aggiunto, il 10 ottobre
scorso, nell’ambito del 2° Happy Hand
on the road di Ischia, un ultimo, mirabile capitolo.
«Fermati», mi bofonchiava l’Eternauta tutte le volte che con l’auto lo
zigzagavo lungo i tortuosi tornanti
dei Maronti per ricondurlo, dopo gli
allenamenti, dalla sua adorata Fosca
nell’albergo accanto al mare. «Dido,
ma ci siamo fermati prima, a salire».
«Fermati!» tuonava.
E fermavo l’auto, di botto, e lui scendeva, si appoggiava alla ringhiera del
belvedere a strapiombo sulla grande
bellezza esistente di sotto e intorno
e, dopo qualche scossone del suo
grosso capo e col suo possente vocione: «Manca solo il Cristo per essere
a Rio de Janeiro», diceva, prima di rientrare nella mia auto. Questa frase,
puntuale conclusione della sua laica
preghiera, come egli stesso amava
definire quella sosta ricorrente, ogni
volta risuonava nell’aria poco rarefatta dei Maronti e ogni volta, attraversandomi la schiena con un brivido fulmineo, giungeva dritta nel mio
cuore.
Sono passati molti anni, troppi, e non
è più dato, lungo i tornanti dei Maronti, riascoltare il suo simpatico vocione recitare quella laica preghiera.
Tuttavia quella frase, orgoglio e van56
di Cesare Covino
to dell’Isola d’Ischia che tanto gli era
piaciuta, quella frase che ogni volta fulminava la mia schiena e ora
fulmina quelle di Nino, di Luca e di
Matteo, ora è là, cementata sul pavimento del Belvedere dei Maronti,
incisa per sempre sopra al marmo di
Carrara, per arrivare dritta al cuore
di quanti ancora riusciranno ad apprezzare quella grande bellezza che
Dido, l’Eternauta, ci ha insegnato
a ritrovare in tante cose della vita.
Anche in quelle di Vino, di Mare e di
Basket!
BasketpediA
Cesare Covino per l’anagrafe è un maestro
elementare in pensione. In realtà è un formatore e un innovatore che ancora non si è stancato, per nostra fortuna, di insegnare le regole del
basket e delle vita. Primariamente a Ischia, ma
anche a Bologna, dove lo trascina il suo grande
amico Nino Pellacani. Cesare è un campione di
umanità, ha cresciuto intere generazioni di giocatori, ed è giusto riconoscergli il titolo di “Naismith di Ischia” per quanto si è impegnato nel
basket isolano. Qui racconta una straordinaria
storia di amicizia: quella tra lui e Dido Guerrieri.
Se vi capite di passare per il Belvedere intitolato
al coach, sappiate che dovete ringraziare primariamente lui: Cesare Covino.
basket
giovanile
Stellelimits
future
no
Si avvicina anche quest’anno il momento del Jordan Brand Classic, appuntamento ormai tradizionale (è
giunto alla 13a edizione) che mette a
confronto, sul parquet newyorkese
del Barclays Center, alcuni tra i migliori 15enni e 16enni del pianeta. La
prima tappa, per i giocatori europei
che mirano all’International Game
del 18 aprile, era la tappa di Barcelona
del Jordan Classic International Tour
(7-9 marzo), in cui i migliori 40 talenti
provenienti dal Vecchio Continente si
sono giocati i 10 posti disponibili per
l’esibizione di aprile. Al momento di
chiudere questo articolo ancora non
sono stati diramati i roster ufficiali
dei giocatori selezionati, ma è molto
probabile che tra loro vi sia Carl Wheatle, promessa britannica che gli osservatori della Pallacanestro Biella,
capitanati dal responsabile del settore giovanile Federico Danna, non si
sono lasciati sfuggire.
Ma chi è Carl Wheatle? L’abbiamo
chiesto direttamente a lui.
«Sono una persona calma, rilassata, con
cui si parla volentieri. Mi piace trascorrere
tempo con la mia famiglia e con gli amici.»
E in campo?
«Sono un giocatore molto aggressivo. Sono
bravo ad attaccare il canestro e ho anche
un buon tiro in sospensione dalla media.»
FROM BIELLA
TO BROOKLYN
di Andrea Rizzi
Ora il tuo sogno è di diventare un
campione nel basket, ma prima cosa
sognavi di fare da grande?
«Il mio sogno è di giocare nella NBA un
giorno, e avere una lunga carriera ricca
di successi. Prima della pallacanestro non
avevo in mente alcuna carriera in particolare.»
Dove sei stato scoperto dallo staff
della Pallacanestro Biella?
«Mi hanno notato per la prima volta agli
Europei Under 16 di Division B nel 2013,
giocavo con la Nazionale inglese. Hanno
visto alcune delle mie partite e gli sono
piaciuto.»
Moretti e Bucarelli
“portabandiera” azzurri
Non solo Wheatle. Altri tre giocatori classe ’98, due italiani e l’estone Mitt, sono partiti dall’Italia
per giocarsi le proprie carte in Catalogna. Ecco chi sono:
• Davide Moretti (Stella Azzurra
Roma)
• Lorenzo Bucarelli (Mens Sana
Siena)
• Arnold Mitt (Pall. Reggiana)
Va ricordato che l’anno scorso
un’altra stellina della Stella Azzurra, Andrea La Torre, ha disputato il Jordan Classic a Brooklyn,
chiudendo la gara con 10 punti.
Perché Biella?
«Mi è sembrato l’ambiente giusto per me.
È una zona molto tranquilla e dopo i provini ho capito che qui avrei potuto migliorare molto come giocatore.»
Per un ragazzo della tua età non è
certo un’esperienza facile.
«All’inizio è stata molto dura, separarsi dalla famiglia e dagli amici a 15 anni
non è facile, e lo è ancor di meno imparare una nuova lingua e rimanere lontano dai propri cari per mesi. Ma mi ci sto
abituando.»
Qual è il tuo obiettivo nel breve termine?
«Continuare a crescere come cestista e
come persona. Voglio migliorarmi giorno
dopo giorno sul campo e fuori.»
E guardando lontano?
«Voglio giocare da professionista, che sia
in Europa o nella NBA.»
Lo sai che le regole sugli italiani di
formazione potrebbero aprirti le porte della Nazionale italiana?
«Mi sono impegnato con la Nazionale inglese e con il progetto della Gran Bretagna
per il futuro prossimo. Ma sarebbe bello
avere l’opportunità di giocare per l’Italia,
chissà...»
57
on the
road
Tappa #3
no limits
Terza puntata del
pellegrinaggio nella terra del
basket più bello e feroce,
per conoscere luoghi e racconti
legati a campioni che hanno
fatto la storia della
pallacanestro italiana,
europea e mondiale
Nella pagina a fianco: in alto, due
canestri “di fortuna” in Kosovo (Foto:
Marco Bogoni e Roberto Cornacchia); in
basso, un cartello sul confine tra Kosovo e
Serbia (Foto: Roberto Cornacchia)
58
alle radici
del basket slavo
di Marco Bogoni
Il nostro pellegrinaggio sta per volgere
alla conclusione. La destinazione finale,
Belgrado, si avvicina, però prima rimane
da scoprire uno dei luoghi più controversi del mondo: il Kosovo.
Questo lembo di terra di quasi 11.000
km² incastonato tra la Serbia e l’Albania ha dichiarato l’indipendenza il 17
febbraio 2008, riconosciuta ad oggi da
un centinaio di nazioni aderenti all’ONU, ma non accettata da Serbia, Russia,
Spagna (per il timore che i separatisti
baschi possano trarre maggiore forza da
questa vicenda) e da quasi un’ottantina di altri Stati. L’escalation ebbe inizio
nel 1996, quando gli indipendentisti di
etnia albanese dell’UCK si ribellarono
alla polizia federale. La reazione della
Serbia, guidata da Slobodan Milosevic,
fu durissima e assunse i contorni della pulizia etnica. La guerra terminò nel
giugno del 1999 con l’intervento della
NATO, che bombardò l’esercito jugoslavo con munizioni all’uranio impoverito.
Da allora le forze della KFOR (Kosovo
Force) presidiano il territorio cercando
di far coesistere pacificamente le due
anime del Kosovo. Gli albanesi, di fede
musulmana, costituiscono il 90% della
popolazione, mentre i serbi rivendicano
quel territorio a causa della presenza di
alcuni dei luoghi più sacri della cultura
ortodossa.
Ci dirigiamo proprio verso uno di quei siti
tutelati dall’UNESCO e dall’esercito della NATO, il patriarcato di Pec, evitando di
passare da Mitrovica, una delle città più
pericolose, con il ponte Austerlitz che divide la parte meridionale della città abitata da albanesi da quella settentrionale
serba: un’autentica polveriera di rancori
mai realmente sopiti. Ci troviamo nella
zona nord del Paese, quella dove sono
confluiti quasi tutti i 200.000 serbi che
popolano il Kosovo. Le auto hanno la targa della Serbia, ma chi deve andare nelle
restanti zone a predominanza albanese
stacca la targa del proprio veicolo per
non rischiare di subire ritorsioni. Il patriarcato di Pec è un monastero, totalmente affrescato al suo interno, ricco di
misticismo e spiritualità.
6.2014
A una ventina di chilometri di distanza è situata la chiesa medievale
più grande dei Balcani: il monastero
di Visoki Decani. Ad accoglierci c’è
Padre Francesco, un italiano convertitosi alla dottrina ortodossa, che ci
racconta la storia di questo luogo sacro. Il monastero, fondato nel 1327 dal
re serbo Stefano Decanski, poi fatto
santo, ospita la tomba dell’antico monarca, il cui corpo, benché mai mummificato, continua inspiegabilmente a
conservarsi nonostante siano passati
quasi sette secoli. Anche questo concorre a renderlo uno dei luoghi più sacri della cultura ortodossa.
Nonostante la guerra, i posti di blocco militari e il clima “infiammabile”,
il seme della pallacanestro è germogliato anche qui ed è possibile trovare
un canestro nei posti più impensabili,
attaccato a un palo della luce o situato sopra le fondamenta di un palazzo in costruzione. Mentre cerchiamo
le indicazioni per Belgrado, la nostra
attenzione viene catturata da alcuni
strani cartelli gialli senza scritte, con
la sagoma nera di animali improbabili a queste latitudini: gatti ma anche
pinguini, tori e balene, seguiti da una
freccia che indica di svoltare. Si tratta
della segnaletica per le varie divisioni
nazionali della KFOR.
Il Kosovo è uno dei posti più surreali
del pianeta, in cui attualmente vige
una calma apparente che cerca di
mettere il velo sopra la difficile coesistenza tra serbi e albanesi.
Ci spostiamo quindi a Belgrado, la
città bianca (Beo= bianca, Grad=
59
6.2014
città), una delle capitali del basket
europeo. Eleganti edifici art nouveau
si alternano a grigi palazzoni di
stampo socialista. Belgrado è viva e
vivace, ricca di turisti, anche americani, quelli che fino a pochi anni fa
solcavano questi cieli per sganciare
delle poco amichevoli bombe. Le due
principali squadre della città sono il
Partizan, club dell’esercito, e la Stella Rossa (Crvena Zvezda in serbo), il
club della polizia. I derby fra le due
formazioni sono sempre spettacolari
ed emozionanti, grazie al tifo molto
caldo delle tifoserie presenti sugli
spalti. I tifosi del Partizan vengono
chiamati Grobari (becchini), per via
del colore prevalentemente nero delle maglie, mentre i tifosi della Stella
Rossa sono denominati Delije, che significa eroi.
Quando entriamo all’Hala Pionir, teatro di sfide epiche tra le due squadre, troviamo un paio di ragazzini
che stanno tirando a canestro, ignorando di essere, in quel momento,
i padroni assoluti di uno dei campi
più ricchi di storia del Vecchio Continente. Ci presentiamo dicendo che
veniamo dall’Italia e a quel punto
uno dei due ragazzini ci dice: «Ah,
from Italy? Danilo Andjusic! (giocatore
della Virtus Bologna, dato in prestito
al Valladolid, ndr)». Ormai le nuove
generazioni hanno idoli diversi da da
miti come Sasha Danilovic o Sasha
60
Djordjevic, che hanno compiuto gesta memorabili anche in Italia.
L’altro palazzetto dello sport di Belgrado, usato solamente per alcune
gare di Eurolega, è la gigantesca Beogradska Arena, il palazzetto dello
sport più grande di tutta Europa, la
cui storia s’intreccia con quella recente della Serbia. Nel 1984 l’allora Jugoslavia unita chiese l’organizzazione
dei Campionati Europei del 1994 e la
FIBA la concesse a condizione che la
finale si disputasse in un impianto da
almeno 20.000 posti. Nel 1991 s’individuò il sito, ma poco dopo l’inizio dei
lavori cominciarono anche i conflitti
che avrebbero portato alla disgrega-
zione della Jugoslavia. I lavori ripresero nel ’98, nell’intento di ospitare i
Mondiali di tennistavolo, specialità
sportiva molto seguita nel Paese, che
si sarebbero tenuti l’anno dopo. Stavolta però a far saltare tutto fu la già
citata guerra del Kosovo, durante la
quale la NATO bombardò la città e anche l’organizzazione di questo evento sfumò. Si poté riprendere solo nel
2004, dopo il ritiro delle sanzioni internazionali a seguito delle dimissioni
di Milosevic, e l’impianto fu approntato in tempo per i Campionati Europei
del 2005.
Ma a Belgrado la pallacanestro è una
fede, e i luoghi speciali per la palla a
spicchi non si limitano ai palasport:
i campetti della fortezza di Kalemegdan sono tra i playground più suggestivi del mondo, e hanno accolto i
primi canestri di campioni che hanno
sfondato in Europa e nella NBA. La
fortezza non custodisce soltanto questa piccola perla degna del Rucker
Park di New York, ma anche la Statua
del Vincitore, che volge il suo sguardo verso la confluenza tra Danubio e
Sava, luogo in cui, giungendo da percorsi diversi, confluiscono idealmente
migliaia di chilometri di storia e cultura europea.
Il giocatore più famoso della storia
della Stella Rossa è Zoran Slavnic, rapido playmaker con un complesso di
superiorità quasi patologico che a ini-
6.2014
zio anni ’80 vestì la canotta della Juve
Caserta. Un aneddoto delle Olimpiadi
di Montreal del 1976 inquadra bene il
suo carattere: durante la semifinale
contro l’URSS, Slavnic, appena entrato in campo, andò verso Sergej Belov,
icona del basket mondiale, e gli disse
ad alta voce: «Attento, Sergjosa (“Sergetto”, ndr) che ora è venuto a marcarti
il maestro».
Nella sede del Partizan ci attende
Sonja Savic, addetta stampa “rubata”
alle passerelle. Sonja ci porta nell’ufficio del presidente Danilovic, dove è
conservata un’infinità di trofei. Solo
negli ultimi sette anni il Partizan ha
vinto la Lega Adriatica sei volte (solamente il Maccabi Tel Aviv è riuscito
a inserirsi in questa striscia vincente,
nel 2012). Nei corridoi sono appese le
foto dei giocatori che hanno fatto la
storia di questa società: Drazen Dalipagic, Dragan Kicanovic, Zarko Paspalj, Vlade Divac, Aleksandar Djordjevic e Predrag Danilovic. È presente
anche l’angolo dei coach più famosi
ed importanti composto da Ranko
Zeravica, Asa Nikolic, Zelimir Obradovic e Dusko Vujosevic.
Prima di ritornare in Italia ci rechiamo nella zona “politica” di Belgrado,
dove la gente si radunò in piazza per
contestare le elezioni truccate del
2000, ma soprattutto dove l’anno
precedente la NATO, per costringere Milosevic a ritirare le sue truppe
dal Kosovo, decise di usare il pugno
di ferro, bombardando il Ministero
della Difesa. Non si è voluto restaurare i palazzi bombardati proprio per
ricordare a tutti quanto successo. La
storia non si cancella, soprattutto se
si tratta di quella della ex Jugoslavia,
perché, come diceva Winston Churchill: «I Balcani producono più storia di
quanta ne possano consumare».
Nella pagina precedente: in alto l’Hala Pionir
(Foto: Luca Cocchi); in basso, i campetti della
fortezza di Kalemegdan (Foto: Luca Cocchi)
Qui sopra: la sede e la ricca bacheca trofei del
Partizan (Foto: Roberto Cornacchia)
A destra: un palazzo in centro a Belgrado,
che ancora mostra i segni dei bombardamenti
NATO (Foto: Marco Bogoni)
61
no limits
AHMED RAOURAHI E
LA MAGIA DELLO SPORT
di Claudio Di Renzo
La storia del numero 14
della Nazionale di basket
in carrozzina, dal dramma
al successo
Sopra e nella pagina a fianco (in alto):
Ahmed Raourhai con la maglia della
Nazionale italiana (Foto: Claudio Di
Renzo)
Nella pagina a fianco (in basso): La
Briantea84 Unipol
62
È diventato sempre più difficile riconoscerlo nella nebbia dell’iper professionismo e della ricerca di profitto a ogni
costo, ma il fascino originario dello
sport, quella bellezza che finisce inevitabilmente per catturare le tue emozioni e la tua ammirazione, esiste ancora e
vive soprattutto sui campi, sulle piste o
sui parquet all’ombra dell’attenzione dei
grandi media: è l’ammirazione per chi
sa andare oltre i propri limiti, per chi è
impegnato in una continua sfida contro
se stesso, per chi non conosce il significato della parola paura. Di uno sportivo
non è tanto il talento ad affascinare ma
piuttosto la capacità di scavalcare ogni
sacrificio pur di raggiungere un obiettivo.
Quando vedi Ahmed Raourhai, ragazzo marocchino naturalizzato italiano,
vestire la maglia azzurra della Nazionale di basket in carrozzina, questa
bellezza originaria che è alla base dello sport improvvisamente si risveglia.
All’inizio dello scorso mese di febbraio
il PalaWhirlpool di Varese ha ospitato
l’All Star Game 2014, la tradizionale
partita tra Italia e selezione dei migliori
stranieri del campionato; presenti oltre 3.000 spettatori, moltissimi ragazzi,
la maggior parte presumibilmente alla
prima partita di basket in carrozzina dal
vivo. Eppure sono bastati pochi minuti
di riscaldamento perché quel ragazzo
con il numero 14 sulle spalle catturasse l’attenzione di tutti: il più acclamato
alla presentazione dei quintetti, il più
applaudito a ogni canestro, già idolo per
quei nuovi tifosi.
Ciò che affascina di Ahmed è il suo sorriso, un sorriso che illumina e che contemporaneamente prende a schiaffi un
destino che lo ha privato di entrambe le
gambe e dell’avambraccio destro fin da
bambino. Un tentativo di furto ai danni del padre venditore ambulante, lui
che cerca di difenderlo, la caduta sulle
rotaie e un treno in corsa che gli cambia l’esistenza. Non c’è bisogno di raccontare il calvario di un bambino di
sette anni tra gli ospedali marocchini;
non c’è bisogno nemmeno di accennare
alle operazioni, ai mesi di terapia, alla
riabilitazione: le parole si svuoterebbero di significato, la sofferenza verrebbe
ridotta a stereotipo. Si può però provare
a immaginare quello stesso sorriso che
conquistò il pubblico di Varese tornare
faticosamente e lentamente a risplendere, timido forse all’inizio, poi sempre
più sincero.
6.2014
E chissà che non sia stata proprio la
scoperta del basket in carrozzina il
primo momento in cui il volto del ragazzo Ahmed ricominciò a illuminarsi. Uno sport che in molte delle storie
che raccontiamo entra in scena quasi
per caso, spesso come terapia o come
semplice occasione di svago, ma che
poi facilmente diventa qualcosa di
più, una passione che ti inchioda al
parquet a tirare a canestro, ancora
e ancora. E così la tecnica di Ahmed
si affina con i mesi in modo quasi
sorprendente, la precisione al tiro,
la velocità in carrozzina, l’agilità nei
movimenti diventano sbalorditive, sarebbero sbalorditive anche per un atleta senza le sue amputazioni. Ahmed
diventa presto un campione.
La sua carriera è un lampo, prima in
Marocco, poi in Spagna e infine in Italia, dove sbarca insieme ad altri due
ragazzi marocchini future stelle del
nostro campionato. La prima tappa
è a Treviso, poi Padova, oggi Roma.
Il passaporto italiano gli apre le porte della Nazionale nel 2012: nel giro
di due anni, alla vigilia dei Mondiali
coreani del prossimo luglio, Ahmed si
presenta come uno dei simboli della
squadra azzurra.
Con il sorriso ha stregato i compagni
di squadra, con il talento si è costruito
una carriera da campione, con la determinazione ha conquistato tutti. Il
pubblico del PalaWhirlpool di Varese
non conosceva la sua storia, non sapeva né dell’incidente, né del treno né
della riabilitazione, ma non importa.
Osservare Ahmed in campo ha spazzato via in tutti la nebbia che troppo
spesso offusca il reale significato che
incarna lo sport; gli applausi per lui
erano gli applausi verso chiunque
non ha paura di superare gli ostacoli
che si trova di fronte; l’ammirazione
verso Ahmed è l’ammirazione verso
chiunque sia capace di smascherare
la bellezza nascosta ma incredibilmente potente della vita.
BRIANTEA84 UNIPOL SQUADRA DELL’ANNO PER I GIORNALISTI SPORTIVI LOMBARDI
Per i giornalisti sportivi della Lombardia non c’è dubbio:
per il 2013 la “Squadra dell’anno” non può che essere la
Unipol Briantea84. La formazione stellare che nella passata stagione non ha avuto rivali, in Italia e in Europa,
lunedì 10 febbraio alle 18 è stata premiata dal Glgs-Ussi
(Gruppo lombardo giornalisti sportivi e Unione stampa
sportiva italiana) al
Circolo della Stampa
di Milano (corso Venezia 48). Al fianco
dei campioni brianzoli, accompagnati
dal presidente Alfredo Marson, è salito
sul palco anche Massimo Moratti, scelto
come “Personaggio
dell’anno”.
Un riconoscimento
che intende valorizzare non solo le vittorie sul campo, ma
anche “la meritoria
attività di Briantea84
nel suo complesso”.
Nell’anno del suo trentesimo compleanno, festeggiato
proprio l’8 febbraio, non poteva esserci regalo migliore:
“Questo titolo premia il nostro 2013 straordinario e rende ancor più speciale il momento storico che stiamo vivendo – ha
commentato Marson -, l’anniversario dei nostri meravigliosi
e intensi 30 anni di attività. Si tratta di un traguardo importante, raggiunto grazie
al concreto supporto e
alla piena fiducia di chi
ha deciso di investire
nella nostra società;
parlo degli sponsor e
di tutti i nostri collaboratori. Le vittorie non
sono mai opera di una
sola persona, ma dipendono dal contributo di molti: diventare
squadra dell’anno significa avere alle spalle un gruppo solido ed
efficiente, che supporta
ciò che accade sul campo e che rende possibile
sognare in grande”.
63
basketcom
gli azzurri sono
un new media
Social
di Giancarlo Migliola
In principio fu Datome. È proprio grazie a Gigi che nacque,
nell’estate 2012, l’hashtag #Italbasket. Trascinata dall’onda dei retweet pubblicati dai nostri tifosi in una stagione di
sole vittorie, la Federazione Italiana Pallacanestro ha deciso di sbarcare nel mondo dei social. In colpevole ritardo, è
evidente, ma d’altra parte con i social media si è in ritardo
anche… domani.
Profilo Facebook, account Twitter, canale Youtube e tra
poco anche Instagram: offrire contenuti, immagini e “dietro le quinte” esclusivi è quanto si propone di realizzare la
Fip 2.0.
A una prima fase di coinvolgimento emotivo e passionale,
in cui i veri protagonisti sono stati gli Azzurri con i loro
“stati” e i loro tweet, sta per fare seguito una stagione che
partirà con l’All-Star Game di Ancona e che vedrà la Federazione compiere ancora un passo in avanti verso un uso
più consapevole e strategico di un fenomeno che ormai è
davvero impossibile sottovalutare. Tanto che da quest’anno i tradizionali roster Azzurri non comprendono più solo
ruolo, centimetri e squadra d’appartenenza, ma inevitabilmente anche tutti gli indirizzi social dei ragazzi convocati.
Un passaggio obbligato vista la popolarità degli atleti e la
quantità di informazioni che essi veicolano attraverso i
loro profili.
Un altro progetto della nuova comunicazione federale è
certamente Fip Magazine, il nuovo rotocalco mensile prodotto dall’Ufficio Stampa e visibile sulla webtv del sito
www.fip.it.
Ogni mese Fip Magazine intende raccontare il variegato
mondo della Fip, i suoi grandi personaggi del presente e
del passato, con un taglio moderno ed efficace, in grado
di rispondere alle esigenze “social” della comunicazione
moderna.
Nel primo numero Nicolò Melli, Alessandro Gentile e Daniel Hackett hanno ribadito il loro amore per la Maglia Azzurra, Dan Peterson e Simone Pianigiani si sono sfidati in
un’intervista doppia a 360º e le gemelle Francesca e Cate-
rina Dotto hanno raccontato il loro percorso comune, dal
Minibasket a San Martino di Lupari fino alle medaglie vinte
con la maglia della Nazionale.
Nel secondo appuntamento, online il 22 marzo, tra i vari
servizi il ritratto di Stefano Domenicali (Direttore della Gestione Sportiva in Ferrari e grande appassionato di
pallacanestro) e l’amarcord della semifinale olimpica tra
Italia e Lituania dei Giochi Olimpici del 2004 rivissuta a
modo suo da Gianmarco Pozzecco, oltre all’esibizione della Nazionale Femminile che balla “Happy”, il tormentone
musicale del momento cantato da Pharrell Williams.
65
6.2014
BM Events
Il giornale al bar:
cominciamo con un… Brindisi
Di basket bar ce ne sono un po’ dappertutto. E Cafèi,
in realtà, non rientrebbe neanche tanto facilmente
nella categoria: ha la residenza giusta, Brindisi, città di
basket, ma gli manca il nome. Il fatto è che la titolare
di questo che oltre tutto è il primo eBook bar d’Italia,
approdo interessante pure per Basket Magazine, visto
l’interesse che riscuote la versione digitale del nostro
giornale, è Monica Bastiani. Già arruolata come firma, e
ancora impegnata in un riscaldamento che le avremmo
risparmiato, essendo già editorialista della Gazzetta del
Mezzogiorno, Monica ha giocato in mezza Italia e nella
Nazionale più importante, quella che ha giocato alle
Olimpiadi di Barcelona.
Oggi continua ad allenare e ha deciso di aprire le porte
del suo locale ai BM Events, pomeriggi, happy hour,
incontri in cui si parlerà di basket avendo sempre il
nostro giornale come punto di riferimento: per l’inizio
della discussione, astenersi quanti non hanno una
passione smisurata, e per la pubblicazione della stessa,
sulle nostre pagine e sul sito.
A ogni appuntamento, i primi ospiti riceveranno in
omaggio una copia del giornale e, nel caso specifico di
Cafèi (Largo Sciabiche 11 a Brindisi), Monica Bastiani ha
aggiunto un regalo per i primi, tra gli abbonati Enel, che
acquisteranno la tessera BM valida per dieci caffè, dieci
cappuccini o dieci… pick and roll con bevanda e pasta:
rieveranno un mini pallone autografato dai giocatori di
Bucchi.
Bella idea, per la sua semplicità e per la sua
replicabilità. Se avete bisogno di una mano, ci siamo.
E dal prossimo numero, oltre a darci il suo Benvenuti
al Sud (ecco perché abbiamo sottolineato, dietro
suggerimento, che Monica ha giocato in mezza Italia),
Monica racconterà anche i primi BM Events.
Nella foto in basso: il Cafèi di Brindisi.
A destra: la titolare Monica Bastiani, ex giocatrice della Nazionale italiana
Nella pagina a fianco: la foto twittata da Marco Belinelli dopo la vittoria nella gara del
tiro da 3 punti all’All-Star Game di New Orleans
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BasketpediA
Una bella carriera spesa in serie A tra Ancona, Avellino,
Bari, Roma e Viterbo, oltre 100 presenze in azzurro, con
la sua maglia di Barcellona unico cimelio cestistico esposto
nel Museo della Palla appena aperto nel capoluogo pugliese, Monica Bastiani oggi continua il suo impegno nel
basket come allenatrice della New Basket Brindisi e come
editorialista, oltre che del quotidiano della sua città, anche
di 3,05, il mensile storico del basket brindisino.
6.2014
La Giornata Tipo
@basketmagazine
di Raffaele Ferraro
La Giornata Tipo di Marco Belinelli
Ore 8:30 Beli si sveglia nella sua stanza: una tripla.
Ore 9:30 Colazione: tortellini in brodo #saudadebolognese.
Ore 10:30 La squadra si ritrova in palestra, ognuno è
arrivato con la propria auto, Duncan con la papa-mobile.
Ore 11:00 Popovich ha deciso di provare un nuovo
schema d’attacco. Gli alunni prendono posto al loro
banco e il professore può cominciare la lezione.
Ore 12:00 Gara di tiro tra Bonner e Belinelli: 85/100 da
tre punti per entrambi. Serve una serie supplementare. Marco si gioca il jolly per vincere: Flavio Tranquillo
esce dal cesto dei palloni e ad ogni tiro gli urla nelle
orecchie “sei caldo come una stufa”. 100/100, vince
Belinelli.
Ore 13:00 Boris Diaw invita Marco a pranzo.
Ore 13:30 Menu Diaw: tris di primi, grigliatone imperiale di carne per 6 persone, verdure miste alla griglia,
patate al forno, peperonata, tris di dolci, vini francesi.
Menu Beli: tagliatelle al ragù. Si paga alla romana.
Ore 14:30 Ultim’ora Ansa: Marco Belinelli è il nuovo
testimonial della 3.
Ore 15:00 Tony Parker si fionda a casa di Marco.
«Marco, Marco, ho letto che sei il testimonial della 3. Devi
farmi conoscere Teresa Mannino. Ho tutti i suoi poster in camera, non puoi capire quanto mi faccia sesso quel gran pezzo
di gnocca.»
«Tony, stai bene? Ma l’hai vista? Passare da Eva Longoria a
Teresa Mannino è come andare a un concerto di Bruce Springsteen e poi ascoltare in macchina l’ultimo cd di Arisa.»
«Ti prego, Marco, ti prego, ti pago 3 settimane di vacanza a
Formentera col Mancio.»
«Ok.»
Ore 15:30 Suo fratello Umberto gli telefona.
«Oh vez, a Bologna vogliono darti il Nettuno
D’Oro, uno dei premi più importanti che dà il
Comune.»
«Umby, io al Comune devo 18.000 euro di multe
perché a luglio sono entrato mille volte in centro
senza permesso per portare a spasso delle fighe
sulla Smart. Sei sicuro che vogliano premiarmi e
non fregarmi?»
«Ah, soccia vez, non lo so, al limite dico a Peppe
di passare al comando dei vigili per far sparire le
multe»
«Ok, ci sta. Bella»
«Bella te.»
Ore 17:30 Seconda sessione d’allenamento. Patty Mills
arriva 5 minuti in ritardo. Popovich decide che la sua
sessione pomeridiana d’allenamento sarà nella prigione di Guantanamo.
Ore 18:30 In partitella Ginobili prova uno dei suoi soliti
tunnel, questa volta a Beli, ma non riesce. Marco gli
ruba palla con le big balls.
Ore 19:00 Beli non esegue uno schema e improvvisa un
uno contro uno, segnando. Popovich sospende l’allenamento.
Ore 19:30 La squadra lascia la palestra. Marco deve
rimanere.
Ore 23:30 Dopo 4 ore di esercizi di difesa, di letture
offensive e sessioni di tiro, ha l’ok da parte di Pop per
andare a casa.
Ore 01:00 È a letto ma non riesce a prendere sonno. Ha
più acido lattico che sangue in corpo. Squilla il telefono. «Marco, sono Kobe.»
«Oh, ciao Kobe, dimmi tutto.»
«Ti rendi conto che hai vinto la gara del tiro da 3 punti facendo 5 airball? È una cosa vergognosa.»
«Lo so Kobe, però ho vinto. Tu non firmeresti per tornare integro la prossima stagione e vincere il sesto anello giocando di
merda con Meeks MVP delle Finals?»
«Sì. In effetti hai ragione.»
Nella speranza che a giugno San Giovanni in Persiceto
entri nella storia per aver dato i natali al primo italiano
di sempre ad aver conquistato l’anello NBA, questo a
cui stiamo assistendo è l’anno di Belinelli.
Ha messo a tacere anche Kobe Bryant.
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6.2014
Crescendo rossiniano
Tanti auguri, Oscar
Nomen, Omen: si chiama Eleni, ma per il basket è Oscar.
Da Oscar la passione che ha sempre avuto, per il basket e
non solo, inventando soprannomi che oggi sono la storia
stessa della nostra disciplina: dal Nano ghiacciato (Peterson)
al Vate (Bianchini), da Arsenio (D’Antoni) alla Banda Bassotti
(l’Olimpia). E poi il Principe (Rubini), il Barone (Sales), il
Paron (Zorzi) e Tancredi (Messina). Da Oscar all’amicizia il
libro che hanno voluto regalargli per i 70 anni tanti suoi
compagni: di strada, di avventura, di passione. Noi abbiamo
scelto il ricordo di Toni Cappellari, che, di tutti, è forse la
persona a cui più è legato Eleni. Perché ognuno dei due ha
fatto il mestiere che sarebbe piaciuto all’altro. Perché tutti e
due hanno sempre mangiato pane e basket. Noi di Basket
Magazine ci aggiungiamo buoni ultimi: Auguri Oscar!
Noi del LAMBER a voi della Canottieri ve l’abbiamo sempre
“spiegata” sul campo, ma soprattutto fuori. Poi hai incominciato a “spiegarla” tu e debbo dire che sui tavoli del
Torchietto, ovviamente terza sala con bottiglie di grappa e
di whisky, mi hai fatto capire una cosa fondamentale dello
sport: le vittorie sono di tutti, anche di chi non c’entra
niente, mentre le sconfitte sono tue e perciò più personali,
più umane.
Amavo quei momenti, quando Sergio lasciava le chiavi
del locale e andava a letto, i cartai Franco, Mike, Fausto e
Persia si facevano da parte e iniziavano le loro sfide, noi
incominciavamo a discutere su ogni argomento cestistico.
Noi eravamo addetti ai lavori, giornalisti e tifosi eccellenti;
ovviamente mancava Dan che era già in braccio a Morfeo.
Tu la “spiegavi” facendoci amare i giocatori operai, non hai
mai amato il talento se non accompagnato dalla voglia di
sacrificarsi e di battersi, non ti sono mai piaciuti i fenomeni.
Poi i soloni dello sport dicono che il terzo millennio ha
cambiato lo sport; non è vero, tu lo racconti e lo interpreti
come sempre. Oscar, non cambiare!
Toni Cappellari
Anno di grazia 1973. Gianni Menichelli, allora direttore dei
Giganti, mi convoca a Milano per un colloquio. Scherzi a parte non c’è ancora, Paperissima neppure, vado in coma (non
assistito) in attesa dell’incontro. Il giorno fatidico entro nel
bar di Corso Venezia per un caffè che mi risvegliasse dal
coma e trovo schierati, assieme a Menichelli, Tavarozzi (La
Stampa), Beccantini (Gazzetta), Eleni (Il Giornale). Per me i Tre
Re Magi, la Santissima Trinità, il tris di primi. Saliva azzerata, tachicardia, blocco di ogni funzione. Ci pensa Eleni a
68
OSCAR
70
mettermi a mio agio: «Ah, tu sei quello che ha attaccato mia
moglie sul giornale di Sesto dopo la partita di domenica...». (La
dolce Luisa, a quel tempo, giocava a Sesto San Giovanni,
dove io vivevo e scrivevo, giusto per spiegare). Perfetto, carriera finita ancora prima di cominciare. Mi volto per uscire
pensando già a dove avrei aspettato Eleni con la P38 (allora
si usava), quando sento parole angeliche provenire dal
cielo: «Ha fatto bene, la Luisa domenica ha giocato col culo». Parole e musica di Gianni Menichelli, almeno il colloquio era
salvo. Sappiamo poi com’è andata e sappiamo anche che
con Eleni ho condiviso otto Olimpiadi, qualche migliaio di
Coppe, Mondiali, Universiadi, persino la stessa camera per
un mese a Manila (provate voi). Rubini, Stankovic e la Mondadori ci hanno voluto insieme per scrivere la storia dei
100 anni del basket. Insomma, una vita. Il momento più
bello? Quando l’ho scaraventato giù dal pullman in mezzo
alla campagna dell’Arkansas dopo l’ennesima menata
sul ristorante che non andava bene, la partita che iniziava
tardi, il telefono in albergo che non prendeva (tutte cose di
mia competenza, ovviamente). Che bello vederlo in piedi
in mezzo alla strada, un puntino che diventava sempre più
piccolo. E soprattutto sapere che non c’erano né la Luisa né
Cappellari che andassero a prenderlo... Toh, così impari ad
aggredirmi nel bar di corso Venezia, pirla.
Dario Colombo
d rose 4.5
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