il nuovo magazine della pallacanestro 3.2013 6.2014 la grande biellezza Biella vince le Final Six, ma a Rimini trionfa il basket COPPA DNC: VINCE ASD LUISS COPPA DNB: VINCE LATINA Scrivono per noi pianeta usa BASKET ESTERO COSA SUCCEDE IN… Carlo Recalcati Ettore Messina Claudio Coldebella Alessandro Marzoli L’addio di Stern e il trionfo di Belinelli Tempo di March Madness Peppe Poeta ci racconta la sua Vitoria Serie A, LNP, NBA, Coppe Europee, estero e femminile RNBbasketmagazineCover.indd 1 25/02/14 13:12 d rose 4.5 Get the D Rose 4.5 at adidasbasketball.com © 2014 adidas AG. adidas, the 3-Bars logo and the 3-Stripes mark are registered trademarks of the adidas Group. 6.2014 il nuovo magazine della pallacanestro speciale rnb > La fiera del basket 5 > Il gioco di squadra, una risorsa 9 > The Miracle Man10 > Tutte le stelle portano a Mantova12 basket italiano Facciamo gli italiani Ho visto cose che voi umani... Amarcord Sasha Fischia e suona basket europeo 13 22 24 48 Prossima fermata: progetto playgroung Gli azzurri sono un New Media L’assist di Stern per Beli on the road Alle radici del basket slavo 31 65 storie Se i genitori diventano hooligans Easybasket: idee e proposte pratiche From Biella to Brooklyn ncaa Let’s dance! 40 58 basket giovanile basketcom NBA 32 Un Poeta a Vitoria Ischia come Rio rubriche > L’editoriale di Luca Corsolini > L’angolo del basket coaching > Fronte SKY > Giù dalla Torre (degli Asinelli) > Nella Grande Mela > Dall’osservatorio romano > Peterson fa scuola > Alti ideali > Fate largo a DeRev... olution > BM Events > La Giornata Tipo > Crescendo rossiniano 56 3 8 27 27 39 47 53 54 55 66 67 68 Il mese di gloria di Zou 28 50 57 no limits 42 Ahmed Raourahi e la magia dello sport 45 Cosa succede in... > Serie A Beko > DNA Adecco Gold > DNA Adecco Silver > Adecco DNB > Adecco DNC > Eurolega, Eurocup, Eurochallenge > Europa > NBA > Serie A Femminile 62 16 19 20 21 21 30 36 38 52 Basket Magazine N.6 - 19 marzo 2014 Periodico quindicinale registrato al Tribunale di Cassino Registrazione stampa n. 3/2014 del 26/2/2014 Contatti Ufficio Grafico [email protected] Davide Moroni Direttore responsabile Responsabile comunicazione BGT Edizioni Luca Corsolini Matteo Airoldi Caporedattore Editori Andrea Rizzi Davide Sardi Edizione digitale: Santi Editore via Basiola, 36 - Cremona [email protected] ISSN 2283-3986 Edizione cartacea: Armando Caramanica Editore via Appia, 762 - Marina di Minturno (LT) ISSN 2283-9755 Redazione Foto di copertina e del poster alle pagine 34-35: Claudio Devizzi Grassi Coordinatore editoriale Davide Moroni Responsabile web e social network Davide Bortoluzzi, Paolo Lonati, Nicola Martinelli, Werther Pedrazzi, Carlo Perotti, Alessandro Salvini, Marco Taminelli, Davide Uccella Come acquistare Edicole digitali Prezzo magazine digitale: 1,79 euro Prezzo magazine cartaceo: 3,90 euro Edicola BGT Per info e abbonamenti: www.dailybasket.it/basketmagazine Edicola virtuale di BGT Sport, che permette di acquistare, scaricare e leggere comodamente Basket Magazine e altre pubblicazioni digitali. Ultima Kiosk Edicola digitale di Simplicissimus Book Farm, che ti permette di cercare, comprare, scaricare e leggere con semplicità quotidiani e riviste, tutti in un’unica applicazione. Disponibile sia per iPad che per tablet Android. Apple Newsstand Edicola integrata in tutti i tablet iPad che permette di scaricare, leggere e archiviare migliaia di riviste, magazine e periodici da tutto il mondo. Kindle Newsstand Kindle Newsstand è lo store per magazine e periodici integrata nel Kindle Fire, il tablet ideato per la lettura delle riviste prodotto da Amazon. 2 6.2014 Fieri del basket L’editoriale di Luca Corsolini “Si-può-fare!”: Gene Wilder che, in un laboratorio ambulatorio, urla come un invasato di poter creare Frankenstein è una delle scene cult del film di Mel Brooks. Lo stesso Gene Wilder, incolpevolmente, e in negativo, era diventato la figura più rappresentativa del basket italiano. Nel nostro laboratorio ambulatorio, invece che far la conta degli strumenti, ci eravamo ridotti a registrare le mancanze, tutte paralizzanti: c’è la crisi; non ci sono soldi; la TV non ci segue; la Nazionale manca il podio; non abbiamo personaggi; non ci sono più gli sponsor; non ci sono le risorse per costruire nuovi impianti. Insomma, Gene Wilder sotto canestro era costretto a urlare: “NON-si-puo’-fare!”. Poi, Rimini. All’improvviso Rimini. Un titolo coraggioso e per qualcuno persino misterioso: Rhythm and Basket, come se la musica non fosse indissolubilmente legata al basket, come se quel genio un po’ strampalato di Claudio Sabatini non avesse già regalato a una Final Eight l’esibizione di una Lady Gaga ancora quasi sconosciuta. Un grande lavoro di squadra. Soprattutto: un’idea. Questo è stato il bello di Rimini. Vedere che il basket, lo sport che ha inventato per sé e per tutti i playoff, lo sport che è una moda anche se nessuno degli addetti ai lavori se ne accorge o se ne preoccupa (al massimo reagiscono annoiati alla visione dei giocatori NBA che giocano in mezze maniche), lo sport che per primo ha imposto l’integrazione come tema (Carlton Myers portabandiera a Sydney), lo sport che non smette di cambiare forma (perché il passaggio ai quattro quarti bisogna riconoscerlo che è qualcosa che ci invidiano tutti ), vedere che il basket può ancora permettersi il lusso rivoluzionario e a buon mercato di avere un’idea. Un’idea che ci sembra abbia almeno tre significati importanti. 1) Il basket è una festa, non un rito ingessato. È e deve essere una festa. Bisogna avere uno spirito diverso, ribellarsi al Gene Wilder paralizzati e affidarsi al Gene Wilder invasati. Bisogna avere coraggio, e non bisogna aver paura di fare un errore se si vuole arrivare a un grande risultato. Addirittura, per quanto si è visto a Rimini, anzi rivisto, bisogna considerare il pubblico come centrale e non marginale nello sviluppo di ogni strategia. Power to the people cantava John Lennon, e oggi, nell’era dell’interattività, bisogna dare un ruolo a quanta più gente possibile. A me non scandalizzerebbe vedere un personal trainer che in ogni impianto invita la gente, sì, la gente, a fare qualcosa di simile allo stretching dei giocatori. Quello dei giocatori è francamente inguardabile, la ginnastica della gente sarebbe una festa e anche un messaggio sociale: il basket è salute. Per chi lo pratica e chi lo guarda. 2) Gli impianti, possibili, ci sono. Non ci sono i soldi per costruire nuove arene? Serve immaginazione per vedere arene dove non ci sono. Nelle fiere che ci sono in tutta Italia, anche nei capannoni abbandonati. Di sicuro, anche questo è un tema che deve essere affrontato con lo stesso spirito di Rimini: senza vergognarsi di ascoltare altri e alti pareri, uscendo senza vergognarsi bis dalla autoreferenzialità che sta frenando il basket. 3) Ci diciamo sempre di copiare l’NBA. Poi ci nascondiamo dietro il dito, dicendo che là ci sono i dollari e qui non ci sono gli euro. Bene, negli USA è stata l’NBA e creare la Women NBA. Da noi a Rimini abbiamo visto che la logica dei figli di un dio minore non paga, e invece è un successo l’All-Star Game femminile, proposto con gran raffinatezza l’8 marzo, nel mezzo delle finali di Coppa Italia della Lega Nazionale Pallacanestro. Un successo per le une e per gli altri. I complimenti a Bragaglio, Coldebella, Tolomei e Valenti sono strameritati, ma gli stessi tre sono gente nostra, non marziani. Hanno aperto una strada, hanno fatto vedere che c’è una strada. Se n’è accorto persino Gene Wilder: ”Si-può-fare!”. [email protected] La squadra di questo numero di Basket Magazine è formata da: Emanuele Rossano, Claudio Coldebella, David Stern, Marco Belinelli, Sasha Danilovic, Stefano Valenti, Carlo Recalcati, Monica Bastiani, Chiara Consolini, Carlo Besana, don Gallo, Cesare Covino, Dido Guerrieri, Toni Capellari, Oscar Eleni, Aleksander Avakumovic, Luca Maggitti, Maurizio Gherardini, Enrico Ercolani, Maurizio Cremonini, Roberto Esposito, Ettore Messina, Davide Moroni, Toto Bulgheroni, Luca Corsolini, Gianluca Mattioli, Phil Jackson, Andrea Rizzi, Pierluigi Marzorati, Alberto Figliolia, Carl Wheatle, Raffaele Ferraro, Walter Santarossa, Daniele Parente, Geri De Rosa, Carlo Fallucca, Massimo Selleri, Alessandro Salvini, Fabrizio Quattrini, Davide Uccella, Stefano Mandelli, Nicola Martinelli, Marco Taminelli, Giovanni De Rosa, Marco Mantovani, Marco Bogoni, Dino Merio, Luca Weber, Davide Sardi, Peppe Poeta, Marco Belinelli, Luca Rallo, Alessandro Marzoli, Edobasket, Ahmed Raourahi, Zelimir Obradovic, Paolo Moretti, Hugo Sconochini, Graziella Bragaglio, Joan Roca, Giovanni Putignano, Alberto Bucci, Flavio Carera, Jordi Bertomeu, Sergio Scariolo, Carlo Perotti, Davide Bortoluzzi, Diego Alunni, Claudio Di Renzo, Claudia Angiolini, Giancarlo Migliola, Dario Colombo 3 Rimini, 7-8-9 Marzo 2014 RINGRAZIA RNB la fiera del basket Bilancio RIMINI – Mentre a Lucca si scriveva una pagina oscura della nostra pallacanestro (ne parliamo a pag. 23), sulla riviera romagnola la Lega Nazionale Pallacanestro ha fatto splendere un sole a spicchi con l’Adecco Cup 2014, la Coppa di Lega inserita nell’ambito di Rhythm and Basket, originale fusione di basket, hip hop ed eventi collaterali. Un mix (o forse sarebbe più appropriato dire mixaggio) apprezzato dal pubblico, a giudicare dalle oltre 20.000 presenze registrate nei tre giorni nei padiglioni fieristici. Un’idea originale, quasi visionaria, partorita da una Lega che fin dalla sua nascita ha fatto proprio il motto galileiano secondo cui dietro ogni problema c’è un’opportunità. Di problemi, nei mesi passati, ce ne sono stati, e forse non tutti inevitabili, ma questa LNP ha il pregio di sapersi scrollare di dosso le critiche perseverando nei propri intenti. Così, da una situazione di stallo in cui nessun club si era offerto di organizzare le mastodontiche (18 squadre coinvolte) finali di Coppa, ecco l’idea di Rimini e la cabina di comando condivisa con Rimini Fiera per puntare a una destinazione ignota, poiché mai esplorata di Andrea Rizzi prima in Italia. E mentre tutti parlano di palasport polifunzionali, eventi eterogenei e coinvolgimento delle famiglie, ecco la trovata di RNB, con acclamati artisti hip hop, DJ set, tornei di 3 contro 3, aree gioco per tutte le età, clinic, stand di ogni tipo e, last all-star game femminile In un evento che cade a cavallo dell’8 marzo, un riferimento al mondo femminile non poteva mancare. FIP, LNP e LegaBasket Femminile sono andati oltre, co-organizzando l’All-Star Game femminile, con tanto di gara del tiro da tre punti, nell’ambito di RNB. A dispetto dei legittimi dubbi sul seguito di pubblico, l’evento è stato quello che ha riempito maggiormente l’impianto “Atene 2004” nella tre giorni riminese, intrattenendo i presenti con una bella partita tra la Nazionale italiana e una selezione di straniere della Serie A e un’appassionante gara del tiro da tre “mista” (hanno partecipato anche German Scarone e Nicholas Crow), vinta dall’azzurra Chiara Pastore con un notevole 17/25 nella serie finale. Anche questa, un’idea da ripetere. but not least, l’All-Star Game femminile nella data non casuale dell’8 marzo, una festa nella festa. Ma l’evento clou, ovviamente erano le finali di Adecco Cup di tutte quattro le categorie (Gold e Silver, DNB e DNC), anche se in molti frangenti l’interesse del pubblico, pur se concentrato sul basket LNP, è apparso molto distribuito tra i padiglioni. È questo – paradossalmente – a dare la misura del successo dell’iniziativa, tanto che persino l’ACB spagnola, incuriosita dalla novità, ha spedito in riviera due emissari e lodato la “visione” di LNP e Rimini Fiera. Anche in termini numerici, come detto, il pubblico ha risposto. Certo, non numerosissimo negli incontri di DNC, ma sempre caldo e coinvolto da partite spesso combattute fino all’ultimo pallone, che fosse per il risultato in bilico o perché quella di Rimini, per alcuni club, è stata la più grande vetrina della propria storia. L’emblema sportivo della manifestazione sono state forse le lacrime di Renato Castorina, storico coach abruzzese che non è riuscito a portare il trofeo di DNC a Campli, sconfitto in finale dalla Luiss Roma. O forse lo 5 6.2014 Nella pagina precedente: Biella festeggia la vittoria. In questa pagina: Graziella Bragaglio, presidente LNP, e, in basso, un’azione della finale tra Biella e Trento. Nella pagina a fianco: i tre MVP delle finali Hollis, Carrizo e Smorto (in alto, da sinistra); in basso, Federico Bolzonella, alla seconda Coppa Italia vinta in due anni. Tutte le foto sono di Claudio Devizzi Grassi parla graziella bragaglio RNB, bilancio positivo? Cos’è andato secondo le previsioni, cosa le ha superate e cosa è migliorabile? Secondo le previsioni il fatto che quella che era un’idea, che confidavamo tutti potesse essere di successo, poi lo è stato. Raccogliendo consensi unanimi dalle 18 squadre che hanno partecipato, dagli addetti ai lavori, dagli appassionati e dai media. Cosa è migliorabile? Tutto. E lo staff ci sta già lavorando. Ora conosciamo le problematiche di un evento che era nuovo per tutti, il fatto che dall’esterno sia stato percepito favorevolmente ci concede il tempo necessario per la crescita. Quali riscontri ha avuto dai club (presenti e assenti)? Solo positivi. Orgoglio per quanto messo in piedi, in pochi mesi, e che rappresenta il nuovo corso di LNP. Poche parole, tante idee, molto lavoro. I riscontri sono stati quelli diretti, di chi c’e- splendido gesto di Adriano Furlani, coach di Ferrara, che, nella semifinale (poi persa di 3) contro Trento, ha obbligato i suoi a lasciar segnare l’Aquila dopo che un suo giocatore, Julius Mays, aveva approfittato di un problema alla lente a contatto di RNB: diamo i numeri • 20.000: i visitatori della tre giorni alla Fiera di Rimini • 30.000: i metri quadrati occupati nei padiglioni • 20: gli stand presenti nel padiglione di ingresso • 16: gli incontri giocati, compreso l’All-Star Game femminile • 1.000 posti: la capienza dell’impianto “Atene 2004” • 3.000 posti: la capienza dell’impianto “Parigi 1999” (quasi pieno per la finale di Final Six) • 3 giorni: tempo di montaggio e smontaggio degli impianti, il primo comprensivo di verniciatura del nuovo parquet del campo “Parigi 1999”, realizzato da Dalla Riva. Il parquet del campo “Atene 2004” era in prestito dal 105 Stadium • 750: i partecipanti ai vari clinic (allenatori, arbitri, medici sportivi, minibasket, scuola di tifo) • 550: gli iscritti ai tornei di 3 contro 3 6 ra, e poi le telefonate, i messaggi e le mail a fine evento di quanti hanno voluto testimoniare il loro apprezzamento. Se dovesse riassumere RNB in poche istantanee, quali sarebbero? Il clima sereno nonostante un trofeo in palio, diciotto tifoserie che si sono mescolate senza un problema, la logistica fantastica di Rimini Fiera che ci ha consentito di ospitare tutto e tutti creando le occasioni d’incontro che il nostro mondo ci chiede. E ovviamente le partite, con due finali su tre palpitanti, bellissime. Brandon Triche per rubare palla e involarsi in un poco sportivo contropiede. O ancora le varie gag regalate da Gianmarco Pozzecco, sia a bordo campo che nei vari momenti in cui si è concesso alla stampa o ai tifosi. Eh già, perché, volenti o nolenti, tutti i giocatori, gli staff e gli addetti ai lavori (da Carlton Myers a Dan Peterson, da Mario Boni a Simone Pianigiani), per arrivare sui campi, dovevano passare per l’area di ingresso alla fiera, per gli stand e per le aree gioco, creando un effetto di vicinanza agli appassionati che ha contribuito a rendere l’evento qualcosa di inedito e coinvolgente come mai prima. I verdetti del campo, alla fine, han- no premiato la tenacia della Luiss di Max Briscese, il talento da categoria superiore della Latina di Gigi Garelli e la linea verde (con molte sfumature azzurre) della Biella di Fabio Corbani; ma è difficile trovare una squadra che non sia tornata arricchita dalla spedizione in Romagna. La LNP, a Rimini, ha segnato la via, forse un anno zero delle manifestazioni cestistiche in Italia. Ora alla Lega “minore” spetta l’arduo compito di confermarsi – e migliorarsi – negli anni a venire. Ai piani superiori, dalla Legabasket all’Eurolega, spetta invece l’onere di prendere esempio, dimostrandosi Leghe maggiori non solo sulla carta. 6.2014 Adecco Final Six Eurotrend Biella (Finale: Eurotrend Biella – Aquila Trento 100-94 dts) MVP: Damian Hollis (Biella) Adecco Final Four DNB Benacquista Latina (Finale: Benacquista Latina – I.Dek Legnano 71-69) MVP: Manuel Carrizo (Latina) Adecco Final Eight DNC Luiss Roma (Finale: Luiss Roma – Globo Allianz Campli 85-63) MVP: Antonio Fabrizio Smorto (Luiss) Fin da quando siamo arrivati abbiamo avuto la sensazione di trovarci davanti a qualcosa di meglio rispetto a quanto ci aspettavamo. Abbiamo assistito ad un evento “top level”, fatto con grandi idee e certamente tante ore di lavoro. Un evento di una dimensione forse inimmaginabile anche per altre leghe di un livello più alto. A me piace incontrare gente che ha una visione, cosa che negli ultimi anni è un po’ mancata nella pallacanestro. Joan Roca Departamento de Scouting – ACB RNB: curiosità • I canestri e i relativi supporti utilizzati sui due campi sono l’ultima generazione di Sport System, con evoluzione per microregolazioni e alloggio del cronometro dei 24”. In Europa sono in uso solamente in Israele e Finlandia. • Innovativa anche la grafica televisiva, elaborata in sinergia tra software statistico FIBA, fornitori della grafica Rai e la stessa Sport System. • Tra gli stand più gettonati certamente quelli prettamen- te alimentari: quello della PMS Torino, che distribuiva gratuitamente l’originale “Mole Cola”, quello di Capo d’Orlando, preso d’assalto per le prelibatezze siciliane, quello calabrese, straripante di frutta fresca, e quello di Biella, che offriva canestrelli, formaggi, birra e vino, oltre ovviamente a gadget e merchandising. Ma anche la Leonessa Brescia, squadra non qualificata, ha espresso soddisfazione per il successo del suo stand con gigantografie dei campioni del passato e altre attrazioni. 7 6.2014 In basso: Maurizio Buscaglia, coach dell’Aquila Trento (Foto: Claudio Devizzi Grassi). A destra: panoramica del campo “Parigi 1999” alla Fiera di Rimini, durante la Coppa Italia (Foto: Claudio Devizzi Grassi) L’angolo del basket coaching Grammelot and Basket La comunicazione non verbale al Rhythm and Basket di Rimini di Giovanni Putignano Nel 1975, Adriano Celentano manifestò attraverso una canzone la difficoltà nella comunicazione verbale: nel successo Prisencolinensinainciusol applicò quello che nel mondo del teatro si chiama “Grammelot”, ovvero l’invenzione di parole che sembrano appartenere a una certa lingua, ma che in realtà non esistono. Rimini, marzo 2014: attraverso Rhythm and Basket, il basket parla una lingua universale con un ritmo musicale da fare invidia al mitico Celentano, e si presenta con uno stile differente sia a livello organizzativo che comunicativo. La comunicazione ha tre aspetti ben identificati: quello verbale, prettamente comunicativo; quello non verbale, che corrisponde a tutti gli effetti al linguaggio del corpo; e quello paraverbale, che si riferisce alle sensazioni, ai sospiri, agli occhi. Attraverso il linguaggio del corpo è possibile capire meglio se stessi e avvicinarsi agli altri sul piano umano. La massima espressione del linguaggio del corpo di un coach si ha in tre momenti: nel prepartita, durante la partita e soprattutto nel post-partita. I coach finalisti diventano quindi, agli occhi del sottoscritto, i principali attori della manifestazione. Final Eight DNC Durante il match i due coach accompagnano, quasi partecipano alle varie situazioni di gioco. Renato Castorina (Campli), con ampi movimenti delle braccia, invoglia la sua squadra a recuperare il passivo e riprendere l’inerzia della gara, mentre la posizione eretta e le braccia incrociate 8 di Max Briscese (Luiss) esprimono la certezza di riuscire a controllare il match indirizzato nel modo desiderato. Nel post partita le emozioni sono contrastanti: la gioia di Briscese e le lacrime di Castorina. Final Four DNB Il secondo appuntamento della domenica vede la partecipazione di due sicure protagoniste del torneo, desiderose di fare tutto il possibile per portare a casa la coppa. Gigi Garelli (Latina) prova a stare seduto, ma alla prima indicazione non rispettata (sopratutto nella fase di rimonta) si alza immediatamente, pronto a manifestare con ampi gesti delle braccia il suo disappunto o uno sprone positivo. Mattia Ferrari (Legnano) resta a lungo in ginocchio, come per avere una visione differente delle situazioni di gioco, e a gran voce detta il ritmo ai suoi lunghi, spingendoli a effettuare quanti più balzi possibili per recuperare un rimbalzo. A fine partita Garelli, affaticato ma carico di adrenalina per la rimonta effettuata, rivede mentalmente la partita visualizzando ciò che ha portato i suoi uomini al risultato, ma la sua voce è avvolta da uno spesso velo di emozione quando parla della sua Romagna. Ferrari rivede nella propria mente le ultimissime azioni, ma abbassa il capo quando ripensa al vantaggio dilapidato. Final Six Gold-Silver Desidero citare due importanti episodi riguardanti i tecnici non vincenti: la decisione da parte di Adriano Furlani (Ferrara) di restituire i due punti alla squadra avversaria intervenendo con determinazione presso i suoi giocatori, e l’estrosità di Gianmarco Pozzecco nel comunicare con i suoi atleti durante i time-out. Maurizio Buscaglia (Trento) e Fabio Corbani (Biella), entrambi distrutti dopo la finalissima, nel post-partita sono dei maestri del linguaggio del corpo nel comunicare tanto le situazioni positive quanto quelle negative. Buscaglia si acciglia quando ricorda gli episodi decisivi, ma allo stesso tempo riesce a espirare e trasmette serenità quando afferma di aver vissuto un’esperienza importante per sé e per la squadra. Il vincitore Corbani risulta disteso, ma si nota attraverso la flessione in avanti del corpo che è estremamente provato: non appena parla dell’emozione provata e della reazione positiva dei suoi atleti, riacquisisce una postura naturale trasmettendo emotività. RNB Cabina di regia il gioco di squadra, una risorsa di Claudio Coldebella Adesso sappiamo che è stato un successo. Alla vigilia avevamo le stesse certezze? Sapevamo che, essendo una Lega, come format e direttivo, appena nata, avevamo bisogno di dire quello che siamo. E così ci è venuto in mente subito un evento che potesse dichiarare e dimostrare i nostri punti di forza: abbiamo tante squadre, una conseguente diffusione sul territorio molto capillare. E volevamo anche dare a quante più squadre possibile l’opportunità di essere protagoniste di un evento collettivo. La sfida era tanto impegnativa che, lanciato un bando per l’organizzazione di un evento simile, non abbiamo ricevuto nessuna proposta. Ma in realtà abbiamo cominciato presto a tifare perché succedesse proprio questo. Presunzione? No, consapevolezza che il segnale che volevamo dare dovevamo darlo noi in primis, puntando su qualcosa di originale, di fresco. La nostra fortuna è stata incontrare i dirigenti di Rimini Fiere, e Marco Borroni in particolare, che venendo dalle esperienze di Rimini Wellness e Sport Days avevano la nostra stessa visione. Una visione, per esempio, molto imperniata sulla fans zone, che a qualcuno sarà sembrata bizzarra, e che invece era proprio il cuore dell’evento: squadre in campo e gente protagonista, risultati importanti in palio ma clima di festa per tutti. Certo, è stato difficile far capire cosa avevamo in testa. Nicola Tolomei, che pure è quello di noi che ha più esperienza nel settore, ci ha subito fotografato la situazione: non è semplice. Poi, abbiamo dovuto allargare il tiro, presentare il progetto al nostro interno, ma questa è stata la parte più facile: tutti hanno apprezzato l’idea, tutti avevano, anzi tutti abbiamo remato con la stessa voglia di realizzare una vetrina speciale per il nostro movimento. Vederlo dal vivo è stata una grande emozione. Quando vedi realizzato il lavoro che hai fatto per mesi è una soddisfazione. Ed è stata una soddisfazione ancor più grande vedere l’entusiasmo di chi non ha avuto la nostra stessa fortuna di andare all’All-Star Game NBA, o anche solo a quello della Lega tedesca. Oppure, ricordo più recente, agli Europei in Slovenia, dove i tifosi facevano festa insieme alla fine delle partite. Se però devo riassumere Rimini in un concetto non mi serve nemmeno rac- contare le emozioni e l’entusiasmo di chi c’è stato, e neanche serve raccontare i complimenti che ci hanno fatto gli ospiti che sono venuti a trovarci dall’estero, da Grecia e Spagna. Quel concetto è che abbiamo ribaltato una logica che negli ultimi anni sembrava ferrea: noi, che siamo il basket, uno sport di squadra, abbiamo rinunciato a giocare come una squadra. A Rimini invece eravamo una squadra, avevamo tutti lo stesso obiettivo e i risultati si sono visti. BasketpediA Claudio Coldebella ha legato la sua carriera principalmente alla Virtus, quella dei tre scudetti consecutivi dal ’93 al ’95, col primo Danilovic, ma ha giocato anche in Nazionale (argento a Barcellona nel ’97), all’Aek Atene e all’Olimpia Milano. La sua carriera dirigenziale, veloce, velocissima, solo per chi non lo conosce bene, è cominciata come aiuto di Djordjevic in panchina a Milano; poi ha fatto tappa a Caserta e a Treviso. Dall’estate scorsa guida la Lega Nazionale Pallacanestro, forte delle tante esperienze accumulate da giocatore ma anche e soprattutto di un talento dimostrato gia’in campo: grande lucidità abbinata a una piena consapevolezza dei propri mezzi. Per noi è già, a maggior ragione dopo Rimini, il dirigente dell’anno. 9 RNB the miracle man di Nicola Tolomei Backstage C’è un filo, anzi, vista la stazza del personaggio, un vero e proprio gomitolo che unisce i più begli eventi di basket degli ultimi anni in Italia. Nicola Tolomei. Lui ha lavorato per Adidas portando lo Streetball in piazza Castello a Milano, ma anche in via Caracciolo a Napoli, sotto le Due Torri a Bologna, al Lingotto a Torino. Lui ha lavorato per la partita tra Italia e Svezia a Taranto, sulla portaerei Cavour. Lui ha lavorato per realizzare RNB a Rimini. Visione, coraggio, parecchio pelo sullo stomaco anche, e una fissa: la musica. Visto che qui di seguito riportiamo i suoi ricordi organizzativi, il sommario è lo spazio buono per un altro aneddoto: «Un giorno ero in auto a fianco di Sandro Gamba. Tenevo basso il volume della radio, ma a un certo punto mi accorgo che Sandro canta a bassa voce e tiene perfettamente il ritmo di un brano di Charlie Parker. Il jazz lo aveva travolto verso la fine della guerra, e i suoi ricordi di pallacanestro erano tutti immersi in quella musica, nera e bianca, sudata, sacrificale, antropologica. Sandro mi raccontava tutto e io ascoltavo rapito, e tra me e me dicevo: allora è vero. Dopo un paio di mesi io e Sandro ci esibimmo in un famoso locale di Milano, l’Atm bar. Io mettevo i cd di jazz nella consolle e Gamba, cuffia in testa, mi indicava quale far sentire. Resterà per sempre uno dei ricordi più intensi della mia vita». BasketpediA Nicola Tolomei ha giocato fino in serie D nelle cosiddette minors milanesi. Da Mvp invece la sua carriera nel marketing, cominciata con un’agenzia di comunicazione di sua proprietà e proseguita poi con l’incarico in Federbasket e adesso alla Lega Nazionale Pallacanestro. Grandi capacità organizzative e una sensibilità non comune per la musica danno, mixate, il cocktail vincente sua specialità: eventi in cui nessuno può difendersi dietro una banale autoreferenzialità e dove piuttosto lo sport, la musica, tutto quanto fa spettacolo, anzi cultura, acquista un altro e alto significato. In alto: la Nazionale Under 16 prima della famosa gara sulla portaerei contro i parietà della Svezia (Foto: Archivio FIP/Ciamillo-Castoria) Nella pagina a fianco: foto “d’epoca” dell’Adidas Steetball Challenge davanti al Castello Sforzesco a Milano 10 Napoli, Via Caracciolo, le 6 di un lunedì mattina già estivo. Sono stanco e stravolto dallo smontaggio, perché fino alla sera prima il lungomare oggi liberato che i napoletani dicevano di Clinton, perché il presidente USA ci faceva jogging, era una sfilata quasi commovente di campi da basket, quando si avvicina a me un netturbino in età avanzata, e mi grida: «Dottò, quanta gente, almeno 200.000 persone…». Lo guardo stranito, non mi sembrava essere esattamente uno che rientrava nel nostro “target”, e gli chiedo stralunato: «Lei è stato qui in questi giorni?». Lui risponde secco: «Certo che no, ma dalla monnezza che abbiamo raccolto le posso dire che c’erano almeno 200.000 persone». La monnezza mette tutti d’accordo, questura e sindacati dovrebbero tenerne conto nel- le valutazioni circa la partecipazione agli scioperi in piazza. Ma non era spazzatura Adidas Street ball Challenge, che anzi è stato il miglior esempio di sport-event-marketing mai realizzato in Italia. Un progetto di dimensione globale, realizzato in 42 Paesi del mondo per promuovere un brand, Adidas appunto, che nonostante la storia più ricca nel settore, o forse proprio per questo, non era percepito come fresco dal pubblico più giovane, che in quegli anni riconosceva un solo idolo: Michael Jordan, il testimonial della rivale Nike. In realtà ASC era molto di più di questa fredda definizione: noi giravamo l’Italia proponendo una formula aggregativa unica, gratuita, immediata. Il centro della città in 3 giorni di lavoro di trasformava in un villaggio sportivo, in 6.2014 un’arena concerti, in un centro sociale, in una location per sfilate di moda, in un media center, in un palasport, in un ristorante open air e in mille altre cose. Impossibile ripensare oggi qualcosa del genere. 5 edizioni, 40 città visitate, oltre 3.000.000 di spettatori, 200.000 atleti partecipanti all’evento sportivo, almeno 60 gruppi musicali sul nostro palco, dai Casinò Royale a Carmen Consoli, dai Negrita ai Litfiba. Tutti italiani, tutti bravi, tutti ricchi di anima e di cuore. E un capitano per tutti, Kobe Bryant, che non aveva ancora vinto titoli con i Lakers, ma che era già un atleta affermato e lanciato nel mondo NBA. Con lui, ho avuto la fortuna di giocare su un campetto di legno, posizionato di fronte al Castello Sforzesco, insieme al fotografo, a un ragazzo della crew, lo speaker, un facchino, e un paio di amici che passavano da lì. Ma su quel campo centrale hanno giocato anche le ragazze della Summer League, ragazzi felicemente rapiti al loro anonimato perché protagonisti della gara delle schiacciate. Poteva accadere solo allo Streetball, purtroppo non accadrà più. Restano però i precedenti a dire, come suggerisce Adidas, che impossibile is nothing, che si può pensare di allestire un campo in piazza, che, certo, ci sono mille problemi da affrontare e superare, ma il risultato finale ripaga di ogni sforzo. Il basket è l’unico sport di squadra che può essere giocato da soli. Vero, ma perché non giocarlo in posti stravaganti? Perché il basket, in fin dei conti, puoi giocarlo ovunque. Ma proprio ovunque, mi son detto? Negli anni ho avuto la fortuna di organizzare partite di basket in posti davvero poco convenzionali per lo sport: un All-Star Game femminile nel fossato di Castel Sant’Angelo a Roma, un altro All-Star Game GIBA a San Patrignano, nell’ex maneggio, perché non esisteva ancora l’attuale palestra, e poi una Summer League al Castello Sforzesco di Milano. Nel 2012 si presentò l’opportunità di fare quello che nessuno in Italia aveva mai realizzato fino ad allora: giocare una partita di una Nazionale su una portaerei. L’idea ci venne guardando una gara della NCAA su una portaerei americana, le immagini fecero il giro del mondo, e rimanemmo tutti sbigottiti per quell’evento. A Taranto era di stanza la portaerei Cavour, generalmente impegnata in missioni di pace, tra cui, in quel periodo, i soccorsi verso Haiti. Un Comandante di Marina incontrò Dino Meneghin e si mise subito a disposizione per tentare di organizzare un evento in collaborazione con la Federazione Italiana Pallacanestro, per esprimere la propria solidarietà alla causa del terremoto che aveva appena colpito l’Emilia Romagna. SuperDino non ci pensò un minuto, e memore delle immagini americane mi chiamò immediatamente per verificare la possibilità di organizzare un evento sulla Cavour. Detto, fatto. Sembrava per tutti una cosa impossibile da affrontare, in pochissimo tempo, in condizioni oggettivamente insolite, all’aperto, sul mare. La dimostrazione di serietà e di capacità della Marina fu imbarazzante. Alle ore 20.00 Italia e Svezia scendevano in campo, davanti a oltre 2.500 spettatori. L’italia vinse due volte: sul campo e fuori. A fine partita, Dino Meneghin e la Marina Militare donavano alla causa del terremoto 43.000 euro raccolti in sole due ore. Sportitalia aveva filmato tutto, Dan Peterson, da bordo campo, aveva commentato qualcosa di incredibile. Di quell’evento ho un ricordo nitido, che aiuta a capirne la portata. Io, storicamente claustrofobico, preoccupandomi dei sistemi di accesso al campo, attraverso la nave, chiedo lumi circa la presenza di ascensori per il pubblico, immaginando il via vai per portare a bordo oltre 2.000 persone. Mi lasciano parlare, mi guardano, si guardano, e poi mi rispondono: «Il nostro ascensore porta mille persone alla volta». In quella risposta, per chi fa il mio mestiere, c’era già la certezza di un successo. Il basket e la musica rappresentano il senso più profondo della mia esistenza. Un binomio indissolubile che ha contagiato la mia vita privata, la mia famiglia, la mia professione. Basket e musica hanno tantissimo in comune, specie se la musica è nera, specie se è jazz. Sono molti gli episodi di basket e di musica che vorrei raccontare, ma ce ne sono due in particolare, diversi tra loro, che rendono bene l’idea di come questi due mondi possano e debbano incontrarsi, anche nella nostra cultura. Quando in Lega Nazionale Pallacanestro quest’anno ci siamo posti l’obiettivo di confezionare un nuovo format per celebrare una tre giorni di basket tutto italiano, non ho avuto dubbi. Siamo andati a Rimini, in una delle più belle fiere italiane, e grazie al loro aiuto abbiamo allestito 30.000 metri quadrati di basket e di show, con 2 campi, da gioco, 2 palchi e una fan zone esagerata. Così è nato Rhythm’n’Basket, per brevità RNB. 20.000 presenze hanno premiato il nostro lavoro. In un mondo che tende a nascondere il nostro fantastico sport, RNB ha dato segnali di speranza e di vivacità che sono andati oltre ogni nostra più rosea aspettativa. Il mix di musica e sport, dopo tanto tempo, ha creato dunque un nuovo format. Le finali di Coppa Italia, per coerenza, sono state trasmesse su HIP HOP TV, ma ai microfoni c’era sempre il Coach. 11 Foto: Sara Frigeri LNP Il sogno di una città C’erano anche i loro pungiglioni, alla Fiera di Rimini. Gli Stings della Pallacanestro Mantovana, uno dei loghi più simpatici della Lega Adecco Silver, erano lì per presentare il prossimo appuntamento della LNP, l’All Star Game 2014, che la società lombarda ospiterà al PalaBAM il prossimo 17 aprile. A fare gli onori di casa il presidente Adriano Negri, che, insieme al vice-presidente Silvia Bellelli, è stato il fondatore della Pallacanestro Primavera da cui questa estate è nata la Pallacanestro Mantovana. Una storia particolare alle spalle, di sudore e di paura, con un terremoto (quello che colpì l’Emilia il 20 maggio 2012) che sembrava avesse spento i sogni, rendendo inagibile il fortino di Poggio Rusco in pieni playoff promozione. Una promozione, ottenuta poche settimane dopo, da cui il presidente Negri è ripartito: «Il terremoto ci ha tolto tanto, non solo privandoci dell’affetto della gente di Poggio Rusco. Ma allo stesso tempo ci ha spinti a guardare alla grande città per realizzare i nostri sogni». Sogni ma anche progetti, parole che il presidente ripete spesso: «Bisogna sognare restando con i piedi per terra, come la nostra tradizione contadina impone. Il progetto è triennale, se alla fine di questo percorso non avremo raggiunto i nostri 12 TUTTE LE STELLE PORTANO A MANTOVA di Fabrizio Quattrini obiettivi torneremo a giocare in DNB o DNC con la consapevolezza di aver fatto il possibile per realizzare i nostri sogni». Intanto il sogno di una notte di mezza estate si sta per realizzare: «All’All Star Game pensavo già a luglio, quando abbiamo deciso di accettare il ripescaggio in Silver. Dovevamo far capire alla città che facevamo sul serio». Una città, Mantova, che ha fatto fatica ad accettare gli Stings, ma che ora si esalta in un PalaBAM ormai pronto a vivere una due giorni di grande basket, che la società sta organizzando con uno staff guidato da Luca Rallo, nuovo General Manager. «Così come a Rimini, vogliamo pensare a un evento che non sia solo una partita di basket. Al di là della partita e dei contest come gara delle schiacciate e tiro da tre, il giorno prima organizzeremo l’All Star School, che sarà la festa del Gioco Sport, visto che la provincia di Mantova è l’unica in Italia che porta avanti questo progetto. Poi avremo la Fan Zone, speriamo all’aperto, tornei con le scuole minibasket, espositori all’interno del PalaBAM e ovviamente musica». E con la possibilità da casa di scegliere i protagonisti: «Sul sito già attivo www.asgmantova.it si potranno votare i giocatori delle due squadre ma anche i partecipanti dei contest». Il tutto con il supporto di tutte le istituzioni, «a partire da Marzorati e Alberto Mattioli, che, da buon mantovano, ci è molto vicino. La FIP ci affiancherà nei due giorni e si farà carico del trasporto dei ragazzi per l’All Star School». E poi la città, che sta scoprendo il grande basket: «Dico sempre che il terremoto ha aiutato ad abbassare qualche “campanile”. Oggi Mantova si è aperta alla nostra realtà e le società della provincia ci vedono come un punto di riferimento, non più come un avversario. Questa comunità di intenti ci dà la forza per guardare oltre». Una storia di stelle: quelle cattive hanno tolto un palasport e l’affetto di una piccola comunità, quelle buone si riuniranno al PalaBAM per toccare con mano che nella pallacanestro, quando si crede in un’idea, spesso risulta vincente. Cos’è Gioco Sport Progetto ministeriale nato nel 1997 per avviare i bambini allo sport, Gioco Sport parte dalle attività motorie di base per poi passare a pallacanestro, ciclismo e tennis in terza elementare, fino a rugby, atletica leggera e calcio nell’ultima classe. Coinvolge tutte le scuole primarie della provincia di Mantova. BASKET italiano GIBA Il Presidente della GIBA dice la sua sulla tutela dei giocatori nostrani, con uno sguardo a ciò che succede all’estero. Per esempio, in Israele... In alto: un’immagine della finale di Coppa Italia DNB, con soli italiani protagonisti (Foto: Claudio Devizzi Grassi) Nelle pagine seguenti: il Presidente GIBA Alessandro Marzoli con uno dei maggiori esponenti del basket italiano, Marco Belinelli (Foto: GIBA), e l’esultanza dei giocatori dell’ASD Luiss nella finale di Coppa Italia DNC, un altro successo 100% italiano (Foto: Claudio Devizzi Grassi) FACCIAMO GLI ITALIANI! di Alessandro Marzoli Si parla spesso di tutele per i giocatori italiani o di come offrire più spazio agli atleti che poi potranno fare la fortuna della nostra Nazionale e promuovere il nostro movimento. Noi della GIBA non vogliamo apparire come sindacalisti conservatori, ultimi baluardi a difesa del fortino dell’italianità, perché non inneggiamo all’autarchia, bensì invochiamo un progetto di riforma complessivo del nostro basket, in grado di valorizzare i settori giovanili, rilanciare il basket nelle scuole e ripensare i campionati chiamati “dilettantistici”, sapendo coinvolgere il pubblico delle famiglie. Non ci muoveremo di un millimetro dalla nostra posizione e grideremo, fino a quando avremo voce per farlo, che gli italiani non si toccano. Comprendiamo quanti, fra tifosi e addetti ai lavori, dicono no a ipotesi di “quote di protezione”, perché lo spazio bisogna conquistarselo. Ovviamente noi siamo d’accordo, in quanto difendiamo gli italiani che meritano di stare in campo. Ma così C’è chi dice che gli italiani giocano poco, c’è chi dice che non meritano di giocare, e c’è chi dice che dovrebbero essere schierati per obbligo normativo. Per tutto il resto, ci sono le statistiche raccolte dalla GIBA. Che vanno interpretate, certo, e declinate in base alle diverse situazioni dei club coinvolti, ma forniscono dati oggettivi da cui partire. Ecco tutte le cifre della Serie A a girone di ritorno inoltrato. come siamo totalmente contrari a quote obbligatorie di giocatori under (e in questa stagione i giovani che meritano di giocare, a dispetto dell’età, stanno dimostrando di poterlo fare e anche bene, nonostante regole meno tutelanti del passato, vedi su tutti l’esempio di Biella), così riteniamo che non ci possa essere liberalizzazione totale del mercato. Una posizione che riteniamo onesta e coerente, in quanto i giovani che meritano giocano anche senza obblighi verso gli under, mentre l’apertura ad ancora più stranieri rispetto a oggi porterebbe a impoverire la vena che porta giocatori in Nazionale e ad allontanare ulteriormente i tifosi, che, da sempre, tendono a identificarsi più facilmente con giocatori con i quali abbiano più facilità di rapporti e che sentano di più “la maglia”. Quando ci viene fatto notare – per esempio da coach preparati come Matteo Boniciolli – che “la protezione dei panda” non serve, perché se uno è più forte lo Gli atleti vengono suddivisi in: • Italiani (formati) • Equiparati • Comunitari • Extracomunitari 13 6.2014 spazio lo conquista, noi diciamo che un discorso del genere può essere accettato, a patto che le condizioni di partenza siano le stesse. E noi riteniamo che le condizioni di partenza non siano le stesse, prima di tutto perché un sistema di tassazione fortemente diverso rispetto all’estero penalizza, senza ombra di dubbio, i giocatori italiani (basta con la storia che gli italiani costano di più, che forse era vera in passato, ma oggi è una barzelletta). Poi c’è il problema del “tutto e subito”, con allenatori e manager spesso costretti dall’ansia del risultato – tranne qualche super coraggioso – a privilegiare stranieri già pronti, piuttosto che concedere minuti di errori (“esperienza” è il nome che diamo agli errori dopo averli fatti, ricordiamocelo) a giovani italiani. Infine, diamo un’occhiata all’estero. Paesi come Russia e Turchia hanno normative federali che sono a difesa dei loro atleti. Questo non sempre coincide con migliori risultati sportivi della Nazionale, ma a lungo andare allarga la platea dei giocatori che possono mettersi in mostra nel massimo campionato, creando più competizione. Di più: qualche mese fa, con uno sciopero di 18 giorni nel massimo campionato (un vero e proprio lockout), i giocatori israeliani hanno ottenuto un grande risultato: 2 israeliani sempre in campo, roster con massimo 5 stranieri e se una società ne schiera 4 invece di 5 riceve un bonus di 80.000 dollari dallo sponsor della Lega. Follia? No, visto che ben 10 squadre su 12 hanno scelto di avere solo 4 stranieri in questa stagione! 14 A questo punto si potrebbe obiettare che Israele, Turchia e Russia non hanno l’Unione Europea che spinge per la libera circolazione degli atleti comunitari. È vero, ma è altresì vero che le norme, soprattutto nel mondo dello sport, possono e a nostro avviso devono essere oggetto di revisione e trattativa (e a tal proposito, in vista della presidenza italiana del Semestre Europeo, abbiamo scritto una lettera al Presidente del Consiglio, Matteo Renzi). Sulla questione siamo totalmente d’accordo con il Presidente della FIP, Gianni Petrucci, e invochiamo il supporto e il sostegno del CONI. Insomma: non bisogna scherzare su questa storia, perché se l’Unione Europea imponesse la libera circolazione degli atleti comunitari e nessuno prendesse posizione, i giocatori italiani potrebbero anche decidere di fermarsi. E non solo la prossima estate, quando indosseranno la maglia azzurra, ma anche a settembre, alla ripresa dei campionati. I lavora- Campionato 2011/2012 (34 giornate) Italiani: 30.486 minuti, pari al 27,79%. Equiparati: 6.405 minuti, pari al 5,84%. Comunitari: 38.009, pari al 34,65%. Extracomunitari: 34.800 minuti, pari al 31,72%. Campionato 2013/2014 (dopo 21 giornate) Italiani: 18.151 minuti, pari al 26,83%. Equiparati: 2.976 minuti, pari al 4,40%. Comunitari: 18.677 minuti, pari al 27,61%. Extracomunitari: 27.846 minuti, pari al 41,16%. Campionato 2012/2013 (30 giornate) Italiani: 28.976 minuti, pari al 29,98%. Equiparati: 3.805 minuti, pari al 3,94%. Comunitari: 25.012, pari al 25,88%. Extracomunitari: 38.864 minuti, pari al 40,21%. Squadre che hanno impiegato maggiormente atleti italiani dopo 21 giornate (medie). Cantù: 121 minuti, pari al 60,50%. Sassari: 115 minuti, pari al 57,50%. Reggio Emilia: 102 minuti, pari al 51%. 6.2014 against the pain Con la GIBA i basket a supporto degli oncologi per la lotta contro il dolore di Luca Maggitti Dall’amore per la pallacanestro nasce “Against The Pain – Giocare di squadra per battere il dolore”, innovativo corso di formazione per spiegare agli oncologi come lottare contro il dolore e somministrare i medicinali per le cure palliative, nella loro quotidiana attività medica. Il corso, accreditato Ecm, è stato pensato dall’oncologo – ex allenatore di basket – Giampiero Porzio, ha avuto il supporto dell’azienda Prostrakan e ha esordito lunedì 3 febbraio 2014 a Bologna, con la partecipazione di oltre 20 oncologi, coinvolti in una vera e propria contesa agonistica contro il dolore, e dei cinque campioni testimonial del progetto (coach Messina, tornato appositamente da Mosca, e poi Luigi Lamonica, Charlie Yelverton, Roberto Brunamonti e Claudio Bonaccorsi, nella foto a destra). Una partita in cui Porzio ha rivestito gli amati panni di coach e con i suoi amici cestisti ha fatto squadra con i corsisti, spiegando loro come combattere ogni giorno una sfida importante. Finali mondiali ed europee, scudetti, coppe: l’incredibile palmarès, ottenuto dalla sommatoria dei campioni presenti al fianco di Giampiero, ha trasmesso la grinta necessaria ai corsisti, che oltre a Porzio hanno seguito gli insegnamenti di Sebastiano Mercadante, fra i massimi esperti internazionali sulla terapia del dolore. Un esperimento a metà fra basket e oncologia, che ha ottenuto un successo tale da convincere i promotori a organizzarne 5 repliche. La prima andrà in scena al PalaMaggetti di Roseto degli Abruzzi, lunedì 31 marzo 2014, con la partecipazione di Luigi Lamonica, Charlie Yelverton, Roberto Brunamonti, Claudio Bonaccorsi e Valerio Bianchini. Inoltre, sarà “della partita” il coach degli Sharks, Tony Trullo, che saluterà i corsisti a nome del sodalizio cestistico rosetano. tori italiani del basket – fra crisi, poco spazio in TV e sponsor sempre più difficili da trovare – sono quelli che stanno pagando più di tutti la pluriennale sofferenza economica riverberata nel mondo del basket. Noi crediamo che non sia giusto chiedere ancora sacrifici soltanto a loro. Come GIBA, continueremo a lottare e interpelleremo anche la base mediante sondaggio, per vedere qual è il pensiero degli appassionati di basket. Detto della Serie A, chiudiamo con il nostro pensiero sull’impiego dei giocatori stranieri in DNA Gold e Silver: siamo contrari. Secondo noi in quei campionati ci starebbero bene 10 italiani. Se proprio si deve fare un’apertura esotica, crediamo che uno straniero sia più che sufficiente. Montegranaro: 95 minuti, pari al 47,50%. Venezia: 89 minuti, pari al 44,50%. Caserta: 83 minuti, pari al 41,50%. Squadre che hanno impiegato maggiormente atleti italiani dopo 21 giornate (totali) Cantù: 1.799 minuti, pari al 42,33%, con 3 italiani (formati) con almeno 15 minuti di media in campo. Reggio Emilia: 1.685 minuti, pari al 40,12%, con 2 italiani (formati) con almeno 15 minuti di media in campo. Caserta: 1.652 minuti, pari al 39,10%, con 2 italiani (formati) con almeno 15 minuti di media in campo. Venezia: 1.570 minuti, pari al 37,38%, con 2 italiani (formati) con almeno 15 minuti di media in campo. Montegranaro: 1.504 minuti, pari al 35,81%, con 2 italiani (formati) con almeno 15 minuti di media in campo. Dopo 21 giornate di campionato, il numero di giocatori italiani (formati) che giocano almeno 15 minuti di media a partita è di 23, contro i 24 delle prime 20 giornate. 15 6.2014 cosa succede in... Dall’alto in basso e da sinistra a destra: Fabrizio Frates e il suo (ex) vice Stefano Bizzozi, a lui subentrato alla guida di Varese (Foto: Claudio Devizzi Grassi); Ravern Johnson al tiro (Foto: Fabrizio Stefanini) e Sandro Dell’Agnello, coach della Vuelle Pesaro (Foto: Fabrizio Stefanini) serie a beko di Marco Mantovani Nessun dorma Poco interessante un campionato con una sola retrocessione? Dove non può il regolamento, ha potuto il campo. Sotto quota 20 nessuno può, ancora, dormire il sonno del giusto. Varese ha tirato una zampata contro Pesaro per tirarsi fuori dalla mischia in coda, dopo aver indugiato forse troppo a congedare Fabrizio Frates, sostituito da Stefano Bizzozi. Il presidente Vescovi lo aveva ricordato a chiare lettere: non potrà essere la stagione dello scorso anno, ma i playoff sono ancora alla portata. Forse tra tutte le scommesse della stagione della Virtus Bologna, quella persa più sonoramente è quella... di aver scommesso troppo. Bruno Arrigoni indossa la pelliccia di volpe come armatura, ma questa volta pare essere incappato in diverse tagliole. Forse non era quindi tutta colpa di Bechi se Bologna ha perso 12 delle ultime 14 partite. Forse non tutti i mali erano imputabili a Casper Ware, che è parso non esser mai stato conscio – più che adatto – al cambio di categoria. Il patron Villalta se li vorrebbe mangiare tutti, quelli che coach Valli ha definito “polli” dopo la sconfitta nel derby con Reggio Emilia, ammainando l’orgoglio Virtus fino a 4 punti dal fondo. Ricette balsamiche Togli Collins e Mayo. Inserisci problemi finanziari. Aggiungi tanto cuore e uno spruzzo abbondante di succo cestistico marca “Charlie” (non è una multinazionale panamense, ma una italianissima DOCG milanese). Ecco servita la stagione della Sutor, che cerca di ricondurre in porto (San Giorgio) una stagione in cui è resuscitata più volte dopo essere stata data per morta. Nonostante debba sempre attendere un rientrante, prima Chase, poi Rich, ora Woodside, Cremona pare quella che ha trovato maggiormente la quadratura del cerchio dopo che coach Pancotto ha confezionato la coperta corta con taglio sartoriale e saputo galvanizzare un gruppo depresso. Certo nessuno potrà mai imputare a Pesaro di non averci fortissimamente provato, a risalire la ripidissima china che si è trovata di fronte. Durissima guardare tutti dal basso, ma attorno alla collezione di doppie doppie di O.D. Anosike, ai restanti scontri diretti e allo sguardo di Sandro da Mompracem, il miracolo ha ancora voglia di accadere. 16 6.2014 Un’era in liquidazione Anche Ferdinando Minucci anticipa la scadenza naturale del contratto, rescindendo consensualmente con la Montepaschi. Di ciò che è stata la Mens Sana Siena restano solo la squadra, i tifosi e la città, tutti un po’ più soli nella tregenda dell’epilogo di un’era. Non resta poi così poco per ripartire. Il cruccio vero è che nessuno sa ancora esattamente da dove. Trinità L’avete visto sempre più spesso spedire un bacio al cielo? Sì, perché Curtis Jerrells, dietro quel gesto, nasconde ciò che è stato più forte di ogni scetticismo, quando fu preferito a Haynes dopo l’arrivo di Hackett. E, proprio per tutto quello scetticismo, tu chiamala, se vuoi, rivelazione. Ora doppiamente importante, con Keith Langford costretto a un mese di stop per un problema al bicipite femorale sinistro. Chiamatelo, invece, Trinità Drake Diener, flagello di Venezia nella nona di ritorno con 44 punti (7/12 da tre) e 48 di valutazione. In senso orario, dall’alto: Willie Warren, nuovo acquisto di Bologna (Foto: Francesco Malpensi), Curtis Jerrells, sempre più positivo a Milano (Foto: Savino Paolella), Nemanja Mitrovic, guardia della Sutor Montegranaro (Foto: Vincenzo Artiano), Quinton Hosley schiaccia (Foto: Alessio Brandolini) 17 con il patrocinio COMUNE DI POGGIO RUSCO #ASGmantova e l i r p a 1n7tova 2014 ma palabam via melchiorre gioia 3 gold e silver o c c e d a e m a all star g ori italiani t a c io g ri o li ig m stranieri ri o t a c io g ri o vs migli iacciate gara delle sch tre punti a d o ir t l e d ra ga l all star schoo cial olympics spe in campo con € 20,00 Biglietto parterre buna tri ro te Biglietto in 0 ,0 10 € lo el an o prim nd (u er 19) Biglietto ridotto ello € 5,00 an o im tribuna pr tribuna Biglietto intero € 5,00 lo el an o nd seco (under 19) Biglietto ridotto ello omaggio an o nd co tribuna se ienza) cap (fino ad esaurimento o t t e i l g i b o u t l i a prenot www.asgmantova.it ito attraverso il s va.it ts@asgmanto .it Contatti gruppi, società sportive e scuoitileacticcrke tova an gm as @ iti ed ed ione Email prenotaz ne tesserati – under 19 e accr tova.it +39 346 8045994 an io az gm ot as en @ pr l llo ra Emai antova.it antova.it - luca Info: info@asgme comunicazione media@asgm Accrediti media i nostri sponsor i nostri partner COMITATO REGIONALE LOMBARDIA COMITATO PROVINCIALE MANTOVA COMITATO REGIONALE LOMBARDIA COMITATO PROVINCIALE MANTOVA GIOCOSPORT 6.2014 cosa succede in... dna adecco gold di Alessandro Salvini Flashback Ha accontentato tutti l’evento riminese, in cui musica, divertimento e basket si sono intrecciati con addetti ai lavori, tifosi e media che hanno interagito come mai era successo in Italia. Se al di fuori del rettangolo di gioco Torino ha presentato uno degli stand più gettonati, sui legni del campo “Parigi 1999” gli uomini di Stefano Pillastrini hanno deluso parecchio. E la reazione in campionato è stata solo parziale, visto che Mancinelli e compagni hanno perso l’occasione di appaiare la prima della classe Trento perdendo in casa, pur se allo scadere, proprio contro l’Aquila. Brava invece Biella a strappare la coppa ai campioni uscenti: i ragazzi di coach Corbani saranno sicuramente in pole in questo finale di stagione regolare se manterranno l’umiltà e la voglia di “ringhiare” contro gli avversari come fatto sino ad oggi. I 40 punti rifilati alla malcapitata Jesi paiono confermare questa tesi. Torneo cadetto, quale futuro? Sul web si rincorrono voci e smentite sul futuro del secondo campionato italiano. Gold e Silver insieme in unico torneo ma divise in due gironi (nord e sud)? Un unico blocco con sole 16 formazioni? Evitiamo di volare troppo con la fantasia e lasciamo le protagoniste a giocarsi le fasi calde di questo campionato. A bocce ferme, poi, società e dirigenti tirino le somme organizzando il meglio per il nostro basket. Fino ad allora, si rispetti chi suda e lavora sul parquet. In alto: Torino e Stefano Mancinelli devono riprendersi al più presto dalla delusione della Coppa Italia (Foto: Claudio Devizzi Grassi) A destra: Rodney Green, bomber di Ferentino (Foto: Andrea Ciucci) DNA ADECCO gold, I MIGLIORI DI febbraio Miglior giocatore: J.R. Giddens (Centrale del Latte Brescia) Miglior allenatore: Alessandro Ramagli (Tezenis Verona) 19 6.2014 cosa succede in... dna adecco silver di Fabrizio Quattrini Cinque giornate al termine e nella Valle dei Templi si contano le ore che separano la Moncada dalla promozione diretta. Si accende nel frattempo la lotta playoff, con la Viola che rientra in corsa, mentre in fondo Firenze e Torrevento sono pronte alla volata salvezza. Le minors che ci piacciono... Applausi alla GIBA, che dopo 10 anni ripropone gli Oscar. In Silver il premio non poteva che andare a Eugenio Rivali, uno che nelle “minors” si è costruito una carriera, girovagando per l’Italia fino a trovare a Ravenna la sua casa, protagonista della cavalcata in DNB della “Piero Manetti”. Standing ovation. ...e quelle che odiamo Chieti-Roseto era un derby atteso dal 1986, ma la Prefettura aveva vietato la vendita di biglietti ai tifosi rosetani temendo incidenti. L’intervento congiunto delle società aveva scongiurato l’inibizione alla trasferta, peccato che un manipolo di violenti abbia pensato bene di rispondere alla provocazione di Deloach (andato a festeggiare davanti alla loro tribuna) lanciando in campo decine di seggiolini. Il Presidente di Roseto ha preso subito le distanze da un atteggiamento che da inizio campionato ha portato la società a spendere oltre 15.000 euro di multe. Che la Prefettura avesse ragione? La FIP non sente, non vede... ma scrive La vicenda di Lucca ha portato con sé effetti collaterali che si sperava potessero essere gestiti con più buonsenso. Sorvoliamo su multe e squalifiche e soffermiamoci sulla vicenda kafkiana di Demetrius Conger: l’esclusione della squadra toscana, con la cancellazione delle gare disputate, ha cancellato anche le relative presenze dei giocatori. Conseguenza? Conger risulta a tutti gli effetti “non vistato”, come se non avesse mai giocato in Italia, e quindi chi lo vuole tesserare (Roseto) deve spendere un altro visto. La beffa più grande? Conger risulta ancora il miglior tiratore da due della Silver con il suo ottimo 65.7%... Evidentemente fatto al campetto, non avendo mai calcato i nostri parquet.... A sinistra: la Moncada di coach Ciani vede sempre più vicina la promozione in DNA Adecco Gold (Foto: Claudio Devizzi Grassi), grazie anche a Kwame Vaughn (in alto, foto: Danilo Scaccabarossi) Nella pagina a fianco: Riccardo Tavernelli, play dei Legnano Knights (Foto: Claudio Devizzi Grassi) DNA ADECCO silver, I MIGLIORI DI febbraio Miglior giocatore: Kwame Vaughn (Moncada Agrigento) Miglior allenatore: Franco Ciani e Andrea Zanchi (Moncada Agrigento e Assigeco Casalpusterlengo) 20 6.2014 cosa succede in... adecco dnb cosa succede in... adecco dnc di Davide Uccella Che in DNB si respiri un certo “fattore Rimini”? Vero o no, sta di fatto che la tre giorni di Adecco Cup ha dato conferme su chi sembrava in crescita o in calo, specie ai piani alti. Girone A Tortona paga due sconfitte di fila facendosi risucchiare dalla Fortitudo, bravissima a smaltire la transizione da Toto Tinti, mentre continua ad attirare complimenti la matricola Mortara, in alta classifica con tante conferme e pochi ma ottimi innesti. Più giù, invece, ci si prepara a una lotta salvezza con sei squadre racchiuse in un fazzoletto. Girone B Qui il “fattore R” pesa ancora di più: Legnano rallenta, sorridono le bresciane (Montichiari e Orzinuovi capolista), sorride Udine nonostante l’andamento incerto, ma sorride soprattutto Treviso, che con Gennaro Di Carlo si assicura un coach da promozione. Nel frattempo la sorpresa Pordenone insegue il sogno playoff, mentre Rimini riaccende le speranze salvezza ai danni di Lecco. Girone C Resta in piedi la lotta a due Latina-Rieti: i pontini, freschi di successo in coppa, sono squadra profondissima, Rieti però c’è con i suoi senatori, e al momento la migliore striscia positiva è la sua. A ridosso dei playoff sale di colpi Sant’Elpidio, altra neopromossa, ma un posto d’onore va alle compagini “under”: l’Eurobasket targato Bongiorno si gioca i playoff, mentre stellini e lupacchiotti tengono viva la corsa salvezza. Di sicuro ragazzi come Moretti, Latorre, Ramenghi o Rath salperanno presto per altri lidi. Girone D Scafati dilaga, Agropoli e San Severo si consolidano e la lotta a tre (Bisceglie, Francavilla e Lanciano) per il quarto posto è vivissima, ma tutto passa in secondo piano rispetto alla denuncia dei giocatori di Bernalda. Anche qui ritardati pagamenti e impegni non assunti. Colpa della società? Presunti burattinai? Non sarà che il problema sta nelle regole da cambiare, per evitare che una 9a in classifica rischi il ritiro e falsi il campionato? di Stefano Mandelli Questione di passione e di età Cos’è il bello di questo sport? La risposta è semplice: è tutto quello che si è visto, in campo e fuori dal campo, nelle finali di Coppa Italia di Rimini, anche per la DNC. Perché se da un lato le 8 contendenti hanno onorato al meglio la competizione sportiva, dall’altro va colta con altrettanta gioia la conferma che il basket, per molti, per chi ci crede – dai tanti tifosi presenti per le minors agli addetti ai lavori che con interesse hanno seguito queste Final Eight – non è affatto uno sport minore. Affascina, in quella che è la quinta serie nazionale, vedere sul parquet giovanissimi emergenti e vetereni navigati darsi battaglia, senza che il pensiero debba per forza andare a Mario Boni e alla sua stagione a Monsummano, guidati gli uni e gli altri da una fortissima passione. Passione che è la parola chiave per queste finali di Coppa: la bella e meritata vittoria finale a Rimini della LUISS Roma è emblema di quanto detto. Tra Fabrizio Smorto e Ruben Polselli l’anagrafe è spietata a favore del primo: più di vent’anni separano l’ala-play reggina, MVP della manifestazione, dall’esperto centro torinese, una vita intera che però non ha impedito a Polselli di primeggiare sotto le plance, artefice anche lui del successo romano. Perché qui, in DNC, anche l’anagrafe si deve inchinare tutte le domeniche alla passione, e speriamo che la Lega, che in questi ultimi mesi ha dimostrato una lungimiranza di vedute anomala nel panoramo del basket contemporaneo, riesca in futuro a valorizzare e preservare questo enorme patrimonio sportivo. Rush finale Riprende dopo la pausa forzata delle finali di coppa il campionato, in una fase cruciale per le formazioni di alta classica alla ricerca della promozione diretta in DNB. Il Girone A vede saldamente al comando Oleggio, che sembra aver la forza di mantenere il primato fino alla fine; Girone B con Bergamo che per la prima volta in stagione balza in testa, Girone C guidato dal Basket Mestre, braccato a 2 lunghezze dallo Jadran Trieste. È invece Bottegone a non perdere colpi in cima al Girone D, mentre Cassino e LUISS Roma si contendono la testa del Girone E, con i ciociari che devono però recuperare una gara. A chiudere il Girone F, fresco della triste rinuncia della Pallacanestro Benevento a chiudere la stagione regolare, con Mola davanti a tutti, e il Girone G, con la conferma in vetta della Nuova Aquila Monreale. 21 BASKET italiano Cambio di passo Giocatore, allenatore, mai dirigente come ruolo, ma capace sempre di indicare una direzione e dunque di dirigere il basket, Carlo Recalcati presenta qui la sua visione del futuro. Fotografando nella lentezza a reagire il difetto storico del nostro movimento. E sul campionato attuale chiude con un giudizio che forse spiazzerà qualcuno. BasketpediA Carlo Recalcati. Milanese di nascita ma sempre canturino da giocatore, con due scudetti e le prime coppe dell’epopea continentale della Forst poi Gabetti, da allenatore ha firmato alcuni scudetti storici. Quello della stella a Varese, il primo in assoluto per Fortitudo e Siena. Ma la sua impresa più bella è l’argento con la Nazionale ad Atene nel 2004. Comincia da questo numero la sua attività da editorialista di Basket Magazine. Da giocatore con la Nazionale ha vinto due bronzi europei, da allenatore è stato anche a Reggio Calabria e Bergamo. È arrivato sotto canestro da ragazzino, adesso è nonno, ed è ancora lì. Ci aspettiamo da lui consigli saggi come quelli che leggete qui a fianco. In alto: Recalcati con Daniele Cinciarini (Foto: Daniele Ferretti) Nella pagina a fianco: Alfredo Susanna, patron dell’Arcanthea Lucca (Foto: Fiorenzo Sernacchioli) 22 Ho visto cose che voi umani… di Carlo Recalcati Mi hanno detto prima il titolo del servizio che avrei firmato. Sto al gioco senza fatica. Ho cominciato a giocare nel ’58, e se ancora non basta per dare un’idea mi spiego meglio: da ragazzino ho fatto in tempo a vedere il Cesare Rubini giocatore. E di Sandro Gamba sono stato persino avversario. Se riesco a resistere, vorrei arrivare a coprire un arco di 100 anni di basket: ho giocato contro gente del 1925 e adesso gioco pure con mio nipote che è del 2001… Facile dire che in questi anni è cambiato proprio tutto, ma non sono un nostalgico; trovo anzi che fare dei confronti, dei paragoni, sia sbagliato. Non ha senso dire che oggi è peggio di ieri. O il contrario. Piuttosto bisogna sforzarsi di fare valutazioni che siano contestualizzate. Giusto piuttosto dire che questo è un momento difficile e che nemmeno mi ricordo un momento come questo. Ci siamo cullati per la crescita costante che abbiamo avuto anni fa, ma onestamente bisogna ammettere che la flessione non è solo di questi anni: ci siamo seduti su determinate convinzioni. L’errore principale è stato, mentre vedevamo che qualcosa stava cambiando, fare finta di niente, sperare che i problemi si sarebbero risolti da soli. Non succede mai così. E Lo vediamo. Soffriamo perché siamo sempre di rincorsa, non reagiamo mai in tempo reale. Le decisioni che vediamo necessarie non le affron- tiamo, le rimandiamo, e le prendiamo finalmente, ma sempre con un ritardo di 4-5 anni. Il nostro problema è che ci impieghiamo tanto, troppo tempo a decidere cosa fare. E così poi quando il provvedimento arriva, non va più bene: è vecchio, superato. Il problema l’ho vissuto in prima persona ogni volta che ho parlato della necessità di un ricambio generazionale, ma oggi vediamo tutti che a noi è mancata almeno una generazione intera di giocatori. Si diceva che Tanjevic facesse il furbo: vinti gli Europei, qualificati per Sydney, suonava campanelli d’allarme per aumentare il valore dei suoi risultati. Macché: stava fotografando in anticipo la situazione. E io mi sono ritrovato poi nei suoi panni: argento ad Atene; attenzione, dico, stanno arrivando le vacche magre. Non ci ha ascoltato nessuno: né prima, né dopo, Bisognava formare dei giocatori, invece della soluzione abbiamo cercato dei palliativi. Si decise per esempio di introdurre il numero obbligatorio di italiani. E io rilanciai proponendo un campionato solo per Under. Quando hai 8 giocatori dello stesso livello in squadra, succede che almeno 6 giocano e stanno tanto in campo: questo era il principio. In ogni caso, fatta una proposta, devi essere capace di verificarne l’efficacia. E purtroppo noi siamo in ritardo anche con le verifiche, pur avendo chiesto alla società 6.2014 un sacrificio e di utilizzare gli Under. La sintesi è che, non avute le risposte che io pure mi aspettavo, non siamo stati veloci a cambiare, a percorrere un’altra strada varando una riforma dei campionati. Il succo del discorso è che si dovrebbe incentivare l’impiego dei giocatori italiani, non obbligarlo. Perché poi succede che arriva la Comunità Europea con finta sorpresa di tutti e ci dice di assumere decisioni che avremmo potuto prendere da soli, come sistema italiano, intendo. Un suggerimento: incentivare chi fa giocare i giocatori che sono stati nelle giovanili della stessa società. Chiaro, devi trovare le risorse per gli incentivi, ma devi avere dei parametri, che so, 1 euro per ogni minuto in campo di un italiano, 2 euro per ogni minuto in campo di un italiano di tua formazione. Un’altra possibile soluzione è quella di accettare le differenze: chi deve giocare le coppe può scegliere un certo format, e per gli altri liberalizzi. Lo so, tutto difficile, però non è nemmeno possibile accettare questo stato di passività. Parliamo di campionato. Io avevo proposto, e rinnovo, il tema a 3 fasce: un campionato pro, un campionato intermedio con un numero ridotto di squadre, e un’ultima fascia di campionati regionali. Come ha dimostrato Rimini, abbiamo bisogno di creare eventi, e questo campionato regionale, una sorta di NCAA all’italiana, questo sarebbe: un evento spalmato sul territorio per scegliere 64 squadre secondo criteri che ovviamente assegnano più posti alle regioni con più squadre; ovviamente non penso alla Lombardia con lo stesso numero di squadre della Val d’Aosta. Di sicuro, credo, alla Final Four arriverebbero squadre che a quel punto sarebbero davvero in grado di salire di categoria. Ma questo non è il solo discorso importante. Quello che conta è il metodo. Mi fa specie sentire che la TV ci deve dare spazio. Noi cosa facciamo per la TV? Se voglio chiedere un aiuto, qualunque tipo di aiuto, prima di tutto devo sapere cosa posso chiedere. Io ho avuto esperienze con Pozzecco e Myers, guarda caso gli ultimi e unici personaggi che abbiamo saputo proporre. Avere in squadra due giocatori del genere creava anche qualche problema, perché è evidente che se il Poz deve andare a registrare con la De Grenet salta l’allenamento, ma in compenso, gestita la cosa, avevi un ambasciatore che usciva dal campo, che faceva conoscere il basket fuori dai nostri stretti confini. Ci serve un altro passo e il coraggio di uscire dalle palestre e dall’autoreferenzialità. In chiusura, volete sapere se il campionato è regolare e lo chiedete a me proprio perché alleno Montegranaro. La mia risposta, non di comodo, è “sì”. Perché potrei parlarvi dell’impegno dei giocatori, ma quello non può essere in discussione, e invece preferisco dire che è dal momento in cui si è data la possibilità di modificare la squadra in corso d’opera non c’è più stata la parità competitiva. Permettere di cambiare i giocatori durante la stagione ha cambiato i campionati. lucca, una fine ingloriosa Quello degli stipendi non pagati, delle promesse non mantenute e dei club a rischio fallimento è un’epidemia che non conosce confini di categoria. Ne è un esempio l’Arcanthea Lucca, in DNA Silver, teatro di una vicenda che però ha raggiunto frontiere finora inesplorate della cattiva gestione societaria: dopo mesi di inadempienze e comprensibili rimostranze dei giocatori, il patron Alfredo Susanna, all’indomani del reperimento di un nuovo sponsor, ha annunciato di aver volutamente rinunciato a pagare la seconda rata della tassa di affiliazione FIP per questo campionato. Se ne sono dette e scritte tante, probabilmente troppe, da quel 28 febbraio, forse trascurando coloro che di questa disavventura sono stati gli sfortunati protagonisti. «Abbiamo sperato fino all’ultimo», ci confida Davide Parente, capitano della squadra. «Poi si è passati dallo sconforto alla rabbia, perché noi giocatori non siamo per nulla tutelati». Ma come, gli sportivi professionisti non erano tutti privilegiati? Forse quelli che il pallone lo prendono a calci, non certo i cestisti: «Abbiamo preso l’ultimo stipendio a novembre – continua Parente – Con la fideiussione richiesta ai club (30.000 euro) avremmo potuto almeno pagarci uno stipendio a testa, ma se il club non la versa basta che paghi la multa e a noi non rimane nulla». Cornuto e mazziato, direbbero a Napoli. «È giusto che qualcuno paghi» secondo Walter Santarossa, vice-capitano dell’Arcanthea, che ha già trovato un nuovo ingaggio tornando a Trento. Ma se qualcuno deve pagare, la colpa di chi è? «Il patron è Alfredo Susanna, e la scelta è stata sua. Molte persone si erano offerte di dargli una mano o addirittura di rilevare la società, ma i debiti erano troppo ampi. E il presidente Franco Montorro, nella settimana decisiva, non l’abbiamo visto». Un atteggiamento certamente difficile da spiegare per i giocatori italiani, pur abituati a sentirne di tutti i colori. Figurarsi per gli americani: «Demetrius Conger è un rookie, non aveva assolutamente idea di quello che stava succedendo, era abbastanza sconvolto». Così come deve esserlo stato Michael Deloach, l’altro USA, che un bel giorno si è visto sbarrare la retromarcia dal titolare dell’agenzia di autonoleggio. «La squadra non ha mai posto alcun tipo di problema sui ritardi, ma ultimamente c’erano stati affitti non pagati, luci staccate, automobili requisite», conferma Parente. L’ipotesi di una ripicca di Susanna per l’atteggiamento dei giocatori, dunque, non sta in piedi. Le ragioni sono molto più profonde, profonde come il passivo accumulato dalla società nell’arco della stagione, se non addirittura prima: «Purtroppo ci sono società che in estate spendono molto più di ciò che hanno, con promesse fatte da chissà chi sulla “pelle” di persone che lavorano portandosi dietro moglie e figli». E non ci sono solo i giocatori: «Il basket a Lucca c’è da 40 anni», chiosa Santarossa. «I tifosi, i dipendenti della società, il settore giovanile. Tutti subiranno le conseguenze di ciò che è accaduto». 23 basket italiano amarcord sasha Personaggi Il 2 marzo la Virtus Bologna ha ritirato la canotta numero 5 del mitico Predrag “Sasha” Danilovic. Ecco il ricordo di chi con lui, alla guida della Virtus, ha vinto tutto. In alto: Sasha Danilovic con Renato Villalta durante la cerimonia del ritiro della maglia n. 5 della Virtus (Foto: Chiara Sandrolini). In basso: Zelimir Obradovic (Foto: Savino Paolella). Nella pagina a fianco: Danilovic con la maglia della Kinder Bologna (Foto: Patrick Hertzog - AFP-Getty Images); nel box, Ettore Messina (Foto: Marina Kobzeva/EB via Getty Images) di Ettore Messina Sasha arrivò a Bologna molto giovane. Il primo incontro fu però nel playoff di Eurolega del 1992 per andare alla Final Four di Istanbul. Ci massacrò letteralmente. Poche settimane dopo furono rapidissimi il club e il nostro GM, Alessandro Mancaruso, ancora durante i playoff italiani, a chiudere un accordo perché venisse a Bologna. Io ero giovane, lui ancor di più, entrambi non propriamente aperti a dare fiducia agli sconosciuti: ci aiutò molto Dule Vujosevic, anche se allora non me ne resi del tutto conto. Durante la guerra nella ex Jugoslavia, Dule passava molto tempo a Bologna proprio per aiutare Sasha, per lui praticamente un figlio: sempre presente, ma molto discreto. Gliene sono grato. Dopo una delle prime trasferte in cui non aveva tirato bene, chiese la mattina presto di andare in palestra: quasi ogni giorno tirava con dedizione maniacale, 200 o 300 canestri, non tiri. Impressionante la determinazione e la cura dei particolari. Poteva fare 200 canestri in 20 minuti sbagliando meno di dieci tiri. Nel febbraio del ’97 andai a vedere gli allenamenti degli Heat, subito dopo l’All-Star Game. Ero il C.T. della Nazionale italiana, neanche mi immaginavo PILLOLE DI SASHA «Sono orgoglioso di aver giocato con Sasha e di esserne stato l’allenatore, è uno dei giocatori di maggior carattere che io abbia mai conosciuto. Non sceglieva le partite, giocava sempre al 110%.» Zelimir Obradovic Hanno collaborato Claudia Angiolini, Nicola Martinelli, Alessandro Salvini e Andrea Rizzi 24 «Voleva essere sempre picchiato sulle mani e sulle braccia in allenamento per abituarsi alle partite. Una sera, rientrati da Bologna alle due di notte, volle fermarsi in palestra a tirare perché non aveva giocato bene, e chiese al mio assistente Lino Frattin di rimanere con lui aprendo la palestra. Tirò 300 volte prima di andare a dormire.» Alberto Bucci basket italiano che da lì a pochi mesi saremmo stati di nuovo insieme. Lo vidi giocare in quintetto per Pat Riley, pur non aiutato dal suo playmaker, che, se doveva scegliere fra Sasha a destra e un altro a sinistra, la passava sempre all’altro. La famosa durezza di Sasha: giugno ’97, torneo estivo per Nazionali a Berlino prima dell’Europeo di Barcellona. Domanda del giornalista: «Perché Herr Danilovic è tornato in Europa alla Kinder?». Risposta: «Ten million dollars». Fine dell’intervista. Sasha poteva essere molto esigente con i compagni e duro nelle sue esternazioni. Ma anche molto protettivo se ne avvertiva la necessità: una volta, in una partita in casa, una signora del parterre apostrofò duramente Ale Frosini, reo di non giocare abbastanza bene e di essere arrivato dalla Fortitudo. Sasha se ne accorse e immediatamente partì uno «Statti zitta tr...». Quando perdemmo la semifinale di Coppa Italia contro la Fortitudo nel 1998, prima di vincere Eurolega e scudetto, tutto il mondo stava per crollarci addosso. Sasha, senza indugi, andò in sala stampa e disse la famosa frase: «Della Coppa Italia non me ne può fregare di meno». Si tirò addosso tutte le critiche e l’attenzione, per distoglierla dai compagni di squadra. Grazie a lui e al Presidente Cazzola, che ci dimostrò tutta la sua fiducia, riuscimmo a rinforzarci e a vincere tutto quello che restava. Credo che sia stata questa sofferenza continua negli ultimi anni a convincerlo a smettere. Ha smesso come Platini, quando aveva ancora un eccellente contratto in essere, lasciando il ricordo di un campione e non quello di un giocatore in malinconico declino. Ero a casa a guardare la TV, ricordo il momento come ora: «Ettore, da stasera hai un giocatore in meno». Ho visto, tra i «A qualcuno era indigesto, ma aveva un enorme carisma. Continuava a ripeterci che vincevamo grazie a lui, un po’ per arroganza e un po’ per trasmettere la sua grande leadership. Ma ha avuto ragione, quando se n’è andato il nostro ciclo è finito.» Paolo Moretti «Mi avevano detto che era un giocatore egoista, un burbero. Tutto falso. Per me è stato un amico e un compagno vero. Mi ha trasmesso la forza di credere sempre in quello che facevo, anche nei momenti negativi. Penso al famoso “tiro da quattro punti” in gara 5 di finale scudetto 1998 contro la Fortitudo: fino a quel momento non aveva giocato bene, poi si inventò la magia che ci portò all’overtime e nel supplementare segnò 9 punti.» Hugo Sconochini 6.2014 tanti campioni al cui fianco sono stato, solo lui e Kobe Bryant esercitare un’influenza così forte su compagni, allenatori e organizzazione. Incutere rispetto, a volte timore, infondere coraggio e determinazione. Sono onorato di aver lavorato con lui e ancor di più di esserne diventato amico quando ha smesso di giocare. Mi ha dimostrato di essere una delle persone più leali che abbia conosciuto nella mia vita e gliene sono profondamente grato. BasketpediA Per uno che ha allenato giocatori del callibro di Richardson, Smodis, Rigaudeau, Bryant, Nesterovic, Ginobili e Papaloukas, Danilovic non è solo una figurina. E infatti Sasha parla di lui chiamandolo Ettore, non Messina. Licenza e privilegio che solo i grandi si possono permettere. Ettore Messina ha cominciato nel settore giovanile e non ha ancora smesso di allenare dopo scudetti e coppe dappertutto. L’ultima sfida da vincere: arrivare a Milano per la prossima Final Four, lui che riportò a Mosca la Coppa dei Campioni che mancava da anni. «È il più forte giocatore con cui io abbia mai giocato. Scherzando mi definiva il suo “muratore preferito”. In campo mi chiamava di continuo, benché non avesse problemi a smarcarsi da solo, per sfruttare i miei blocchi. Aveva l’umiltà di riconoscere il valore del lavoro anche nei compagni meno dotati: fu il primo a rispondere ai tifosi che contestavano Joe Binion mettendosi faccia a faccia con chi lo fischiava.» Flavio Carera 25 6.2014 A destra: Roberto Brunamonti, Sasha Danilovic e Renato Villalta con le rispettive maglie ritirate (Foto: Chiara Sandrolini) In basso: le maglie di Marzorati e Ravaglia appese al Pianella la maglia sul tetto (di Carlo Perotti) Narra la Bibbia del giornalista moderno, ovvero Wikipedia, che la prima maglia ritirata fu quella di un giocatore di hockey, Irvine “Ace” Bailey, che nel 1934 ebbe questo onore dopo otto stagioni nei Toronto Maple Leafs, costretto al ritiro da un colpo scorretto di un avversario, Eddie Shore dei Boston Bruins, che gli fratturò il cranio. Qualche mese dopo i Maple Leafs organizzarono un All-Star Game per raccogliere fondi per il loro sfortunato giocatore: Bailey e Shore si strinsero la mano a metà campo prima dell’incontro, e dalla stagione seguente la NHL creò l’All-Star Game come appuntameno fisso. Da quel momento l’abitudine di ritirare la maglia si diffuse rapidamente in tutti gli sport professionistici e universitari per onorare grandi giocatori, atleti tragicamente scomparsi o con la carriera stroncata da gravi infortuni. Per restare nel basket, alcune fortunate franchigie NBA, come i Boston Celtics, ne hanno fatto un uso massiccio. I C’s hanno ritirato ben 23 numeri: non solo campioni come Bird, Cowens, Havlicek, Cousy, Parish o Russell, ma anche giocatori prematuramente scomparsi come Reggie Lewis, o presidenti (Walter Brown) allenatori (Red Auerbach, K.C. Jones) e addirittura telecronisti (Johnny Most). In Italia l’abitudine è stata a lungo castrata dalla regola dei numeri da indossare che andavano tassativamente dal 4 al 15, cosicché solo atleti colpiti da morti tragiche come Chicco Ravaglia, Paolo Barlera o Davide Ancilotto, oppure autentiche leggende come Dino Meneghin, Mike D’Antoni o Pierluigi Marzorati, hanno avuto questo grande onore. Le nuove regole sulla numerazione potrebbero ora aprire ad altre leggende del basket nostrano l’opportunità di essere per sempre ricordati sui soffitti dei nostri palazzetti. E di nomi da celebrare ce ne sarebbero parecchi. marzorati 14 forever 12 settembre 1991, giorno del 39° compleanno. Partita celebrativa per il ritiro del Pierlo e della sua maglia # 14. Una maglia nella storia del gioco. Il Marzorati Day. Ospiti extracestistici Gianni Bugno e Jürgen Klinsmann. Nella selezione FIBA Richard Dacoury, Stephane Ostrowski, Oscar, Antoine Rigaudeau. E Jurij Zdovc, Toni Kukoc, Dino Radja nei giorni della triste guerra fratricida in Jugoslavia. Radja, allora al Messaggero Roma, prima di raggiungere i Celtcis oltre Atlantico: “Mi chiedete della situazione politica in Jugoslavia, ma sinceramente posso dirvi poco. È difficile capire bene quello che sta succedendo. È difficile capire per chi è là, figuriamoci per noi. Ed è difficile soprattutto accettare quello che sta succedendo. Si va verso una divisione fra gente che ha lo stesso sangue, che è della stessa razza. Mah, non capisco proprio.” (Nicola Nenci, La Provincia, venerdì 13 settembre 1991) Antonello Riva, che confessava l’emozione provata allorché il Pierlo nel primo allenamento a Cantù aveva porto la mano al futuro Nembo Kid: “Non potevo mancare. Salutare l’addio del Pierlo mi fa un certo effetto, anche perché vuol dire che di anni ne sono passati... […] Per me Marzorati è stato importantissimo. Mi ha aiutato a crescere nel grande basket, e soprattutto mi ha insegnato a vivere in un mondo sempre più professionistico e logorante come è la pallacanestro oggi. Un mondo dove devi saperti gestire, indirizzare le forze nella direzione giusta per essere sempre pronto. E parlo anche di fattori emozionali. […] Il nostro rapporto è stato esattamente come può essere quello tra marito e moglie. Un matrimonio che poi si è rotto, ma che ha vissuto momenti di rara intensità. E che non possono non lasciare qualcosa dentro. Ci siamo “lasciati” da amici, per carità. Sono qui, perché sono convinto di esserlo, insomma” (id.) Con le stelle straniere a giocare e raccontare per l’ultima volta la leggenda del numero 14 e con il Nembo Kid di Rovagnate, Antonello Riva, anche Nandokan Gentile, splendido e ruspante play. Spettacolo puro, clima di festa seppur con un pizzico di malinconia per la chiusura della parabola. Un bagaglio di ricordi infinito. L’incasso fu devoluto per intero all’UNICEF. Per il Pierlo cominciava una nuova carriera. Non più in pantaloncini e canottiera sul parquet a volare, vedere e inventare superlative o inedite geometrie, suggerire soluzioni e alzare coppe al cielo. Giacca e cravatta, dietro una scrivania. Come sarebbe andata? Propheta in patria? Brano tratto da: La leggenda dell’ingegnere volante di Alberto Figliolia, Alessio Figliolia, Mattia Guastafierro In uscita ad aprile 2014 per Acar Edizioni 26 6.2014 Fronte SKY Allora si può fare di Geri De Rosa A New York dopo il Giorno del ringraziamento In un panorama sportivo sempre più minacciato dai capricci e dall’arroganza di pochi simil-tifosi, dalla pallacanestro sono arrivati due segnali meravigliosi, due testimonianze di passione vera, intanto per la propria squadra, ma soprattutto per il nostro sport. Varese, 1 dicembre 2013, la Cimberio batte Pesaro e soprattutto il 99% del pubblico di Masnago batte il restante 1%, soffocando un ridicolo tentativo di contestazione nei confronti della squadra, dell’allenatore e di quella dirigenza che solo pochi mesi prima aveva fatto sognare un’intera città. Milano, febbraio 2014: all’indomani della bruciante sconfitta in Coppa Italia, alcuni “frequentatori del Forum”, convinti di essere i padroni dell’Olimpia, decidono non solo di proclamare un curioso sciopero del tifo (in silenzio fino ai playoff, e allora?), ma anche di presentarsi all’allenamento della squadra interrompendolo per “parlare” con allenatori e giocatori. Il risultato? Nelle partite successive il Forum e il PalaDesio, nella partita di Eurolega contro Málaga, diventano più rumorosi che mai: Langford e compagni scatenano gioia ed entusiasmo come non succedeva da anni, facendo dimenticare a tutti che uno sparuto gruppetto di esaltati (a cui dell’Olimpia evidentemente interessa poco, se no si sarebbero emozionati anche loro) avrebbe voluto il silenzio. Insomma, a Varese come a Milano, il bel rumore della passione ha soffocato la presuntuosa volontà di contestazione, l’affetto e l’amore di molti ha zittito i fischi e i pretestuosi atteggiamenti di pochi. Detto che meno si parla di queste degenerazioni e meglio è, vale la pena qui sottolineare che una volta tanto il pubblico vero, quello sano, che va al palazzetto per soffrire, gioire, arrabbiarsi ed esultare, ha trionfato. Il basket ancora una volta ha dimostrato di avere una base forte, sana e appassionata. E in tempi di curve chiuse, cori balordi, discriminazioni razziali che minano la credibilità di altri sport, l’esempio che ha portato la pallacanestro è stato straordinario, talmente straordinario che non deve passare sotto silenzio. Si può fare, allora: il desiderio dei più può battere l’arroganza di pochi. È un messaggio chiaro, bello, che fa guardare avanti con ottimismo nonostante tutto; un messaggio che, finora, solo la gente del basket ha saputo inviare. Giù dalla Torre (degli Asinelli) Altro che Basket City di Massimo Selleri Togli un posto a tavola, così starò più comodo. La parodia della famosa commedia è perfetta per descrivere l’aria che si respira a Basketcity, e se di mezzo non ci fosse anche un po’ di insana ingratitudine la trama potrebbe essere anche divertente. Fermo restando che a rimetterci sono state Virtus e Fortitudo, con i loro tifosi che oggi fanno i conti con due squadre non in linea con i risultati per cui erano state costruite. Giulio Romagnoli, il presidente di Fortitudo 2011, non si occupa solo del commercio di patate, ma ha diverse attività tra cui un ristorante, dove a mezzogiorno spesso pranzano sia Claudio Sabatini, presidente della Fondazione Virtus fino a qualche settimana fa, sia Renato Villalta. Da settembre i tavoli sono rigorosamente separati, nessun saluto neppure di circostanza, e quando è presente il padrone di casa i due sono più interessati a chiedere come vanno le cose ai cugini, piuttosto che parlare delle proprie faccende. Villalta ha deciso di farlo sui giornali, lasciando intuire come la situazione economica del club fosse vicina al baratro a causa dei tanti pregressi. Sarà stato anche vero, ma i panni sporchi si lavano in famiglia, mentre qui la musica è andata avanti fino a quando Sabatini non si è dimesso. Alla sera, in un altro ristorante di Bologna, erano i dirigenti della Fortitudo a ritrovarsi all’insaputa di Marco Calamai, sebbene l’allenatore fiorentino la scorsa estate abbia compiuto l’impresa di ricompattare il popolo della Fortitudo attorno a un’unica squadra. A capo di quella società, Calamai mise l’ex giocatore Dante Anconetani, un nome che sembrava azzeccato perché i due non avevano mai discusso nelle loro precedenti esperienze. Ma c’è sempre una prima volta, e a forza di “decisioni già prese” è poi arrivata la rinuncia di Calamai. Sabatini e Calamai sono personaggi scomodi, perché sono stati innovativi. Marco nel suo essere capace di insegnare la pallacanestro ai ragazzi con difficoltà neuropsichiatriche fino a portarli ad affrontare squadre di coetanei “normali”, mentre Claudio ha dato una scossa al movimento rilanciando, per esempio, la Coppa Italia, o riportando 8.000 spettatori fissi all’Unipol Arena. Dietro questa loro voluta esclusione c’è il dubbio che il problema non sia tanto avere obiettivi o idee differenti che non sono conciliabili, quanto il vivere alla giornata in attesa di tempi migliori. Sarà così? Ad oggi i risultati sportivi non smentiscono. 27 basket giovanile se i genitori diventano hooligans Una new vision parte dal basket per educare i genitori allo sport di Aleksandar Avakumovic L’Onu ha dichiarato il 6 aprile Giornata Internazionale dello Sport per lo Sviluppo e per la Pace. A prima vista un’altra ricorrenza come tante. In realtà a Milano sarà proprio il basket, grazie ad Aleksandar Avakumovic, ad aprire una nuova frontiera: quella di un dibattito serio sul ruolo del genitore nell’educazione sportiva dei figli. Anche voi avete trovato dei genitori insopportabili alle partite giovanili? Qui vi diamo qualche identikit per riconoscere i più pericolosi. Foto in alto: Archivio FIP/CiamilloCastoria 28 Lontano dalla luce dei riflettori, dall’interesse di giornali e tv, si svolgono grandi drammi il cui centro è la famiglia. E l’aspetto più drammatico si riflette sul bambino, sul piccolo atleta, il protagonista del gesto sportivo, della gara, della partita: un giovane individuo messo in relazione con la propria famiglia, scuola e società tramite lo sport. Qui si innesca un meccanismo delicato, addirittura pericoloso: la famiglia, turbata a causa di varie forme di crisi sociali ed economiche, lotta per sopravvivere e trasmette la pressione ai suoi membri più deboli, ma anche futuribili: i bambini. Molto spesso, quasi seguendo uno schema, i genitori si trasformano inconsciamente in persone violente, prima nei confronti dei propri bambini, e poi, con numerose scenate e sfoghi vandalici, nei confronti dell’intero ambiente al quale appartengono. Si tratta di una forma contemporanea e sofisticata, e tuttavia sempre più visibile, di vandalismo. Che si alimenta della matrice dell’hooliganismo classico, la cui culla cromosomica si ritrova nel calcio britannico [ … ] BasketpediA Non tutti possono permettersi il lusso di vedere celebrato il proprio compleanno dall’Onu con l’istituzione di una Giornata Internazionale dello Sport. Capita, non a caso, ad Aleksander Avakumovic, belgradese da tempo in Italia. Ex giocatore del Radnicki, avvocato, si è dedicato all’educazione dei giovani attraverso il basket. Suo il progetto Bam che oggi identifica le categorie dei giocatori più giovani, sua la new vision sul ruolo dei genitori che lo ha portato sulle pagine de La lettura, l’inserto culturale del Corriere della Sera da cui sono estratti i frammenti che compongono l’articolo di queste pagine. Genitore tifoso Questo tipo di genitore-hooligan degrada, con il suo tifo, un innocente evento sportivo, altamente educativo per i bambini, al livello di un festival senza scrupoli, pieno di insulti da stadio verso uno o tutti i partecipanti della gara. Non viene risparmiato nessuno dei presenti, anche se il bersaglio più conveniente è sempre l’arbitro, di regola considerato al livello tecnico degli stessi giovani protagonisti dell’attività sportiva. Il genitore-hooligan, come anche ogni altro “collega”, attacca sempre il più debole, visibilmente indifeso. 6.2014 Genitore allenatore Molto spesso i genitori indirizzano i loro bambini verso lo sport che loro stessi praticavano o seguivano attentamente già quando erano giovani. Del tutto logicamente trasferiscono e offrono questa passione ai loro figli, senza prendere in considerazione l’affinità personale e l’umore del proprio bambino. Possedendo alcune conoscenze ed esperienze precedenti, costruiscono una convinzione sulle proprie elevate competenze e abilità come allenatori. Motivati ufficialmente dallo stare sempre più vicini al bambino, si trasformano nell’allenatore del proprio figlio, nascondendo anche a se stessi un motivo recondito: il desiderio di essere allenatori anziché genitori attenti. Evitano di rendersi conto che sovrappongono il loro bisogno al bisogno del bambino, di cui, infatti, sanno pochissimo; e, più spesso, non se ne interessano neppure. Si può immaginare una forma più perfida di violenza teppistica? Genitore dirigente L’organizzazione sportiva prega spes- so il genitore di prendere parte all’organizzazione. Da questo momento accade una graduale trasformazione in un nuovo tipo di genitore: il dirigente.Lì comincia la violenza, specialmente nei confronti degli altri bambini sportivi, i cui genitori non sono dirigenti, bensì sono fuori dal sistema. Si crea una perfida connessione tra la direzione e gli allenatori che sono pagati dai primi, diretta non allo sviluppo delle attività sportive, ma al soddisfacimento di singoli interessi di genitori dirigenti. Su questo punto lo sviluppo della scuola-club viene fermato e il club viene trasformato in un’organizzazione violenta che segue gli interessi di piccoli dirigenti, trascurando completamente gli interessi portivi, pedagogici e tutti quelli legati a essi […] Come uscirne L’hooliganismo dei genitori è un avversario molto pericoloso dello sport contemporaneo, praticato in gran parte da bambini e giovani. L’hooliganismo dei genitori si è infiltrato nel mondo dello sport attraverso quello dilettantistico, il che rende tutto il fenomeno ancora più complicato e radicale. Per fortuna, siamo ancora testimoni di un’epoca in cui prevalgono, per numero e influenza, i genitori normali, moderati, equilibrati, che hanno avuto (o anche no) esperienze sportive. Lo sport è ancora indiscutibilmente la forma migliore di utilizzo del tempo libero da parte dei bambini e dei giovani, ma solo a una nuova condizione: che non sia sotto il potere, il controllo e l’influenza dei genitori-hooligan. Che la cosa sia estremamente grave, di gran lunga più grave di quanto possa sembrare a prima vista, lo dimostra un serio calo d’interesse della famiglia nel consentire ai propri bambini la pratica dello sport. Questo si spiega in modo errato con varie ragioni, di natura soprattutto economica. Invece, non ci si rende conto che c’è una motivazione sempre più frequente: la famiglia sana ha ormai notato che nel mondo dello sport sono in agguato, già all’ingresso, i genitori-hooligan. Questo è il grande ostacolo per lo sviluppo dello sport contemporaneo. 29 6.2014 cosa succede in... eurolega cosa succede in... eurocup Impressionante prova balistica della guardia dell’Unics Kazan Andrew Goudelock nella serie degli ottavi di finale contro il CEZ Nymburk: 32,5 punti di media con 12/20 da due punti e 12/23 da tre punti. Il nativo di Stone Mountain sta vivendo un’ottima stagione da rookie nel Vecchio Continente sotto la guida di coach Trinchieri, producendo fin qui 19,3 punti con il 44.3% da dietro l’arco. Grande spettacolo anche nella serie tra Valencia e Khimki Mosca. Gli spagnoli l’hanno spuntata solo grazie al piazzato di Pau Ribas a 9.2” dalla fine della gara di ritorno, dopo aver vinto 75-59 la sfida di andata e resistito stoicamente alla gara perfetta del Khimki, 97 punti a segno con il 70% da due punti e 12/19 da tre punti. Ora gli uomini di Velimir Perasovic sono i favoriti per il trionfo finale. cosa succede in... eurochallenge È ormai più che probabile che la Grissin Bon, qualificata alle Final Four (2-0 al Krasnye Krylia) con Triumph, Gaziantep e Szolnoki, sia la squadra ospitante dell’evento (25-27 aprile). La sede, però, non sarebbe il PalaBigi di Reggio Emilia, non all’altezza degli standard FIBA, bensì il PalaDozza di Bologna. di Nicola Martinelli e Marco Taminelli Bertomeu Non solo il basket italiano nel mirino di Jordi Bertomeu. Anche il Barcelona, con il vecchio Palau Blaugrana che con i suoi 8.250 posti a sedere non permetterebbe alla società catalana di conservare la licenza A, è nella lista dei cattivi del commissioner. Il club ha chiesto una nuova deroga per la capienza dell’impianto casalingo in virtù del progetto che nel 2019 dovrebbe portare al completamento del nuovo stadio e dell’annesso nuovo palasport. «Il Barcelona di sicuro non potrà giocare al Palau Blaugrana per i prossimi cinque anni. Inoltre dovrà anche rivedere le sue politiche sulle vendite dei biglietti, visto che gli spettatori alle gare interne sono ai minimi storici (5.097 la media nelle dieci gare casalinge fin qui giocate, nda)». Si prospetta quindi un trasloco per le gare casalinghe in uno dei due impianti della capitale catalana, il Palau Sant Jordi da 17.000 posti e il Pavellò Olimpic di Badalona, casa della Joventut, da 12.500, con la seria prospettiva di giocare in cattedrali vuote. Tifosi Zalgiris Che i tifosi di basket lituani siano tra i più caldi dell’intero panorama europeo è cosa risaputa, basti pensare alle feste sugli spalti agli ultimi Europei sloveni. Contro il CSKA il gruppo più caldo della Zalgirio Arena ha mostrato pacificamente il proprio sostegno verso il popolo ucraino dando le spalle al campo durante la presentazione della formazione allenata dal nostro Ettore Messina. Il giorno precedente l’arena di Kaunas aveva ospitato il Budivelnik Kiev impegnato contro i francesi del Nanterre nell’andata degli ottavi di EuroCup. Bentornato Manu È tornato finalmente in campo Manu Markoishvili, fermo da fine ottobre per un infortunio al tendine tibiale, e al Galatasaray non possono che gioire: nell’insidiosa trasferta di Kuban il georgiano ha condotto i leoni di Galata alla vittoria con 19 punti e 5/8 da tre punti in 32 minuti di gioco. Focus on: Juan Carlos Navarro (guardia, FC Barcelona) La 33enne guardia del Barcelona continua a ritoccare i record statistici della massima competizione europea. Durante la gara interna con l’Olympiacos il capitano dei blaugrana ha toccato quota 253 presenze in Eurolega, superando il precedente recordman Theo Papaloukas, ritiratosi dopo 252 partite. Da record anche i 6.564 minuti giocati, che aumenteranno ancora, record che va a scalzare il 30 precedente primato di 6.553 detenuto da J.R. Holden. Salgono così a quota dieci le voci statistiche che vedono Navarro come leader all-time: valutazione (3.272), punti realizzati (3.423), tiri da tre punti tentati (1287) e realizzati (495), tiri liberi tentati (821) e realizzati (700), tiri totali tentati (2507) e realizzati (1111). Il prossimo obbiettivo personale per il catalano è la scalata nella classifica delle gare in quintetto. basketcom prossima fermata: progetto playground In piazza tra basket e sicurezza nelle ferrovie ANSF, POLFER e FIP insieme per il “Progetto Playground” In questa pagina: Foto Archivio FIP/ Ciamillo-Castoria Nella pagina precedente: Jordi Bertomeu (Foto: Euroleague) Guida all’utilizzo consapevole degli spazi all’interno delle ferrovie italiane. Per evitare di coinvolgere i ragazzi in lunghe e noiose lezioni teoriche, ANSF (Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie), POLFER (Polizia Ferroviaria) e FIP (Federazione Italiana Pallacanestro) hanno dato vita al “Progetto Playground”, ovvero il modo più divertente e immediato di imparare giocando. Otto giornate in giro per le piazze d’Italia, da gennaio a maggio, palleggiando sui playground allestiti all’interno di un villaggio gonfiabile con tanto di musica e animatori. È così che centinaia di alunni delle scuole medie e minicestisti dei Centri Minibasket hanno imparato il significato dei segnali più comuni all’interno delle ferrovie italiane e l’importanza di non calpestare la linea gialla, quella che delimita la zona sicura da quella del pericolo nei pressi del treno. Palleggiando tra un divieto di attraversamento dei binari e una Croce di Sant’Andrea, ragazzi e ragazze vengono informati in maniera coinvolgente sui principi della sicurezza attraverso contributi audiovisivi resi ancor più fruibili dal personale qualificato della POLFER. “Non calpestiamo la linea gialla” è anche il titolo del video realizzato la scorsa stagione dagli Azzurri Andrea Cinciarini, Luigi Datome e Giuseppe Poeta alla stazione di Santa Maria Novella a Firenze e andato in onda in settembre sulle reti Rai e sulla piattaforma Sky. Dopo la firma del protocollo lo scorso 22 luglio, ANSF, POLFER e FIP hanno messo in calendario le otto tappe itineranti, quattro delle quali hanno fatto registrare un ottimo successo e l’entusiasmo dei ragazzi accorsi per giocare e imparare sui playground in piazza. Bari, Milano, Firenze e Torino i primi quattro appuntamenti. Le prossime tappe 22 marzo – Verona (Piazza Bra) 29 marzo – Bologna (Piazza Carducci) 5 aprile – Venezia (piazza da definire) 10 maggio – Genova (piazza da definire) 24 maggio – Napoli (piazza da definire) 31 basket europeo un poeta a vitoria Personaggi Ingaggiato da una grande del basket spagnolo, apprezzato da coach e compagni e testimone privilegiato della meteora dell’anno in Europa. Peppe Poeta ci racconta i suoi primi mesi in ACB. In alto: Peppe Poeta nella trasferma del Baskonia a Milano, in Eurolega (Foto: Savino Paolella). Nella pagina a fianco: in alto, Poeta in panchina insieme a Lamar Odom (Foto: Rafa Rivas-EB via Getty Images); in basso, ancora Peppe con la maglia del Laboral Kutxa (Foto: Rafa Rivas-EB via Getty Images); nel box, Sergio Scariolo (Foto: Savino Paolella) 32 di Andrea Rizzi Non ci ha messo molto ad ambientarsi in Spagna, Peppe Poeta. Ingratamente liquidato dalla Virtus Bologna, colpevolmente trascurato dalle squadre italiane, a inizio 2014 Peppe ha ricevuto la chiamata inattesa (ma certamente sperata) del Laboal Kutxa Vitoria, bisognoso di un giocatore esperto che desse una mano in regia parlando da subito la stessa lingua (cestistica) del resto della squadra. Di sicuro parla la stessa lingua del suo allenatore, il bresciano Sergio Scariolo, fondamentale nel far ricadere la scelta della dirigenza su di un giocatore da lui conosciuto, pur se mai allenato. «Con me è stato molto chiaro fin dall’inizio», ci racconta Peppe. «Ho un ruolo diverso da quello che ho avuto negli ultimi anni. Sono il cambio di un giocatore molto forte (il francese Thomas Heurtel, ndr), che diventerà uno dei migliori playmaker d’Europa. Il mio compito è dare 10-15 minuti di energia, pressare a tutto campo e prendere quello che la partita mi offre». Un apprezzamento che l’ex coach dell’Olimpia ricambia (vedi box), sottolineando anche la rapidità con cui Poeta si è inserito. «È un bel gruppo», conferma il playmaker, «con giovani che hanno voglia e bravi veterani. L’ambientamento in città? Mi trovo bene: i baschi sono un popolo orgoglioso e sono molto affezionati alla squadra. E a parte la pasta si mangia bene...». Al giorno d’oggi, del resto, per molti cestisti europei la Spagna è la terra promessa. Ma Poeta non è esterofilo: «Non penso che il campionato italiano sia così inferiore», afferma. «L’ACB è più fisica, meno tattica, ma non credo che Reggio Emilia o Venezia, per esempio, perderebbero contro Gran Canaria o Siviglia. La differenza sta nel modo di “vendere” il prodotto: l’atmosfera alle partite, gli highlights, le televisioni... A Vitoria vedo almeno tre partite a settimana in TV. I palazzetti sono sempre pieni, da Fuenlabrada, che è una “piccola”, all’Estudiantes, che è penultimo. Basta il dato della Copa del Rey: 14% di share contro i pochi decimali della Coppa Italia». Di certo quello dell’”emigrazione”, pur se temporanea, nella penisola iberica era un progetto che gli frullava in testa da tempo, addirittura dal 2010: «Ebbi contatti molto seri con Siviglia nell’ultimo anno di Teramo, e ogni anno ho avuto qualche opportunità. A Bologna stavo molto bene, ma quando ho lasciato la Virtus la Spagna è diventata la prima opzione». E in ACB Poeta ci è entrato da una delle porte principali, quella del Baskonia, club di grande blasone che solo nelle ultime stagioni ha ridimensionato budget e obiettivi, pur senza rassegnarsi a un ruolo di secondo piano tanto in Spagna quanto in Europa: in questo senso, dopo 6.2014 parla sergio scariolo una stagione di alti e bassi, è andata la scelta di Lamar Odom, ingaggio-sensazione di inizio 2014 piombato su Vitoria poco dopo l’arrivo di Peppe. Considerato da più parti un colpo prettamente mediatico, Lamarvellous non ha avuto nemmeno il tempo di provare a smentire i detrattori, poiché, dopo una fugace apparizione (2 punti in 17 minuti), una fastidiosa infiammazione lombare ha costretto la società a tagliare il 34enne newyorkese. Che, secondo Poeta, avrebbe realmente potuto avere un impatto: «Ci poteva dare qualcosa anche tecnicamente. In allenamento marcava il centro e in attacco portava palla. Al di là degli aspetti di marketing, ci avrebbe potuto dare una mano anche perché si era ambientato bene, gli piaceva il ruolo di chioccia dei giovani». E probabilmente non aveva alcuna nostalgia di casa: «È venuto in Europa perché voleva scappare dalle chiacchiere che lo inseguono negli Stati Uniti. Può sembrare il contrario, ma non è portato per quel tipo di vita». Parlando di America, e del treno NBA che Odom ha probabilmente perso per sempre, non si può eludere l’argomento Belinelli. Cosa ne pensa Poeta della consacrazione di “Beli” quale miglior tiratore della Lega? «Se lo merita, perché la sua carriera NBA non è stata facile, anzi. Si è conquistato tutto passo dopo passo, con il sudore e con la passione che lo ha sempre contraddistinto». Sudore e passione, caratteristiche da sempre riconosciute anche a Poeta da chiunque l’abbia visto anche solo una volta “mordere” le caviglie a un avversario o fungere da capo ultras dalla panchina. Ma il giocatore che oggi veste il numero 6 del Laboral Kutxa non è lo stesso di Teramo, né lo stesso di Bologna. «Se prima ero un playmaker da arrembaggio e attaccavo sempre, oggi sono molto più ordinato, grazie all’esperienza e al contesto in cui gioco». Un contesto ideale, quello di Vitoria e dell’ACB, che anni fa ammaliò un altro playmaker italiano, Andrea Pecile. Futuro in Spagna, dunque, anche per Poeta? «Io e Pec abbiamo un carattere abbastanza simile, siamo persone molto aperte, serene. Ma valuto tutte le offerte: se mi arriverà una buona offerta dall’Italia o dalla Germania, non vedo perché non dovrei considerarle». Prima, però, ci saranno gli impegni azzurri: «Anche se finirò il 25 giugno e con la Nazionale inizierò il 28, se sarò convocato sarò lietissimo di andarci, per Non è stato un ritorno facile, in Spagna, per Sergio Scariolo, che a fine inverno si ritrova quasi matematicamente eliminato dall’Eurolega e in lotta per gli ultimi posti della griglia playoff in campionato. Ma le condizioni – su tutte quelle economiche – erano ben diverse dalla sua prima esperienza al Baskonia, e lui ne era consapevole: «Con la drastica riduzione del budget, la cessione di alcuni giocatori importanti e le scommesse su giocatori chiamati a fare cose che non avevano mai dimostrato di poter fare prima, sapevamo che sarebbe stata una stagione dura, di transizione verso formule nuove». L’esperimento (fallito) Odom, poi, non ha semplificato i piani dello staff, pur se Scariolo rimane convinto della bontà dell’operazione: «La scelta è stata prettamente tecnica poiché, viste le limitate risorse di cui disponevamo, cercavamo un giocatore a cui non importasse minimamente dell’aspetto economico. Odom non è costato nulla alla società, perché era in prova, ma in ogni caso serviva una soluzione non tradizionale, che potesse avere un senso tecnico senza costi elevati». Decisamente più riuscito l’esperimento Poeta, con coach e squadra che, a due mesi abbondanti dal suo arrivo, si dicono soddisfatti: «All’inizio un infortunio ha tenuto fermo Peppe per tre settimane, quindi trovare la forma fisica non è stato facile. Ma ha un atteggiamento positivo, si è trovato subito bene con il resto della squadra e la squadra con lui. Noi avevamo bisogno di ridurre gli errori in quel ruolo, di essere più concreti e applicarci in difesa, e lui, pur non essendo queste le sue caratteristiche principali, si è conquistato il consenso dei compagni per lo spirito che mette in campo». la Nazionale ci sono sempre». E se poi un giorno Peppe volesse davvero cimentarsi nella letteratura e diventare un poeta di nome e di fatto, anche in Spagna non avrebbe alcun problema: «Parlo correntemente spagnolo sbagliato. Continuo ad aggiungere le esse alla fine delle parole che non conosco e vado avanti così». 33 RNB 2014 2014 RNB 6.2014 cosa succede in... europa In basso: Jacob Pullen, guardia del Barcelona (Foto: John Berry-Getty Images) Nella pagina a fianco: manifestazione a Kiev (Foto: Gnatoush) di Nicola Martinelli e Marco Taminelli Focus on: Jacob Pullen (guardia, FC Barcelona) 42 punti in 23 minuti, quasi 2 al minuto: già questi crudi numeri bastano per portare alla ribalta le gesta di un giocatore. Se poi si tratta di Jacob Pullen, dodicesimo del Barcellona e vecchia conoscenza della nostra Serie A, la cosa si fa ancor più interessante. Nella larghissima vittoria dei blaugrana a Valladolid (66-111), l’ex Biella e Virtus Bologna ha registrato il nuovo record ACB di triple in una gara chiudendo con 12/15 dall’arco (di cui 7/9 nell’ultimo quarto) e infrangendo il record di Oscar Schmidt, che ne infilò 11 su 19 il 19 marzo ’94 in Murcia-Valladolid (ma con la maglia del Valladolid). Da ricordare che ai tempi del record di Oscar la linea distava 6,25 metri. Inoltre, i 42 punti messi a referto da Pullen sono la miglior prestazione dall’aprile 2002, quando un altro ex casertano, Vincenzo Esposito, ne realizzò 46 con la maglia di Gran Canaria... sempre contro Valladolid! Saric Tempo di propaganda per Predrag Saric, padre dell’ala del Cibona Dario, che di recente ha dichiarato ai media croati che il figlio potrebbe vestire la maglia di Real Madrid o Barcellona nel caso in cui si liberino i posti oggi occupati da Nikola Mirotic alle merengues e da Erazem Lorbek e Boki Nachbar in Catalogna. Il tutto mentre dalla Turchia si rincorrono voci di un contratto da 6 milioni di euro per i prossimi cinque anni offerto dall’Anadolu Efes, che già nelle ultime estati aveva sondato il gioiellino croato. Al portale 24sata.hr il ventenne di Sibenik ha dichiarato che non prenderà una decisione fino al termine della stagione, anche per non perdere posizioni in ottica draft NBA, in cui potrebbe essere una scelta da lotteria. Jawai Nathan Jawai sta continuando il lavoro fisioterapico per tornare quanto prima a essere un giocatore di basket. L’aborigeno, fermo dalla fine di ottobre per un problema al collo che gli causò vertigini e insensibilità agli arti superiori, sta lavorando in Australia, e su Twitter ha postato una foto che lo ritrae durante una sessione di allenamento: «Finalmente ho iniziato a lavorare con contatto, lentamente andiamo avanti». L’obiettivo di Jawai, dopo che la diagnosi dello staff medico del Galatasaray parlava di stop da tre a sei mesi, è di presentarsi in forma per la prossima stagione, perdendo qualcuno dei suoi quasi 130 kg di peso. Ivanovic C.T. Dusko Ivanovic, fermo dal novembre 2012 dopo l’esonero patito a Vitoria, guiderà la Nazionale della Bosnia Erzegovina per i prossimi due anni. Tornerà quindi ad allenare Mirza Teletovic, attualmente impegnato con i Brooklyn Nets: «Mirza sarà il nostro leader, ma questo non vuol dire che si prenderà quaranta tiri a partita. Un leader deve aiutare i compagni a innalzare il loro rendimento facendo tutto quel che serve alla squadra». Per il montenegrino si tratta di un ritorno al ruolo di selezionatore dopo l’esperienza alla guida della Svizzera nel triennio 1997-2000. Paris-Levallois Rimbalza dalla capitale francese la notizia secondo cui la Qatar Investment Authority, nella persona dell’emiro Nasser Al-Khelaïfi, sarebbe interessata a entrare nel mondo della pallacanestro. Secondo questa indiscrezione lanciata da L’Equipe, la famiglia Al-Khelaïfi, che non più di tre anni fa 36 6.2014 acquistò il 70% delle quote del Paris Saint-Germain trasformando una squadra da anni naufragata nella mediocrità in una delle più forti formazioni del panorama calcistico europeo a suon di acquisti milionari, avrebbe intenzione di completare l’acquisto del club entro il 2015 e, con un budget di 10 milioni di euro, puntare dritto alla conquista del titolo transalpino, che garantirebbe l’accesso all’Eurolega. L’idea sarebbe inoltre di spostare il domicilio dal piccolo e vetusto Stade Pierre de Coubertin (4.835 posti) al trionfale Palais Omnisports di Paris-Bercy. Entusiasta, manco a dirlo, Jean-Pierre Aubry, attuale presidente del Paris-Levallois: «Le nostre porte sono aperte. Sogno in grande, per questo cerco l’appoggio di un grande partner che porti a Parigi lo spettacolo che la capitale si merita». A far ben sperare i tifosi parigini c’è già il precedente del Paris Handball, che due stagioni fa è stato acquistato dalla Qatar Investment Authority e trasformato in Paris Saint Germain Handball con un budget per la stagione in corso da 13,58 milioni di euro, il più alto al mondo per una formazione di pallamano. FIBA Europe. Tuttavia, secondo il presidente della Federazione francese Jean-Pierre Siutat, ci sarebbero 16 Paesi pronti a subentrare in caso di forfait ucraino, tra cui Francia, Germania, Serbia, Polonia e Repubblica Ceca. Eurobasket 2015 A dispetto dei problemi di cui parliamo nel box, Mytro Bulatov, nuovo ministro dello sport dell’Ucraina, ha dichiarato che, nonostante gli evidenti ritardi nei lavori alle infrastrutture per ospitare gli Europei del 2015, l’Ucraina sarà in grado di rispettare gli impegni presi con intanto a kiev... La crisi politica che ha sconvolto l’Ucraina negli ultimi mesi sta estendendo le sue conseguenze anche al mondo della palla a spicchi, con un esodo in massa dei giocatori USA dai team della Superleague. I moti di piazza e i disordini hanno causato il posticipo di diverse gare, anche se al momento il campionato è ripreso regolarmente, con in testa il Khimik Yuzhne seguito da BC Donestk, BC Odessa e Budivelnyk Kiev, le squadre meno colpite dalla fuga degli americani. Azovmash, Ferro-ZNTU, BC Kiev e Cherkassy, invece, finiranno la stagione esclusivamente con giocatori ucraini a roster, avendo già perso la totalità dei propri stranieri: Coleman Collins ha lasciato l’Azovmash e sarà presto seguito da Daniel Kickert, Marcus Ginyard e Terrell Stoglin. Il Ferro-ZNTU ha perso Marshawn Powel, Anthony Marshall (andato all’Hapoel Tel-Aviv) e il duo di lunghi Jake O’Brien e LaRon Dandy. Kiev ha perso Lee Humphrey (andato in Ungheria), Mike Davis e Dominique Coleman, l’Hoverla ha dovuto rinunciare a Eugene Lawrence (accasatosi a Bonn, in Germania), mentre Donald Sims del Dnipro-Azot è migrato in Venezuela al Marinos. Il Cerkassy ha perso ben 5 giocatori: Ivars Timermanis (tornato in Lettonia), Ronald Moore (approdato a Caserta), Terry Smith, Jason Washburn e Jamaal Boykin. La migrazione ha colpito anche una delle stelle locali, il ventitreenne Olexandr Lypovyy, che ha firmato recentemente per la Stella Rossa Belgrado lasciando il BC Donetsk. L’esodo, però, potrebbe essere solo la punta dell’iceberg, poiché pare che le dirigenze della maggior parte dei team costretti a rilasciare i giocatori avessero strette connessioni con il precedente regime di Yanukovic. Inoltre, ben sette club della Superleague sono sponsorizzati da Privatbank, di proprietà del magnate Ihor Kolomoyskiy, che finanzia anche la costruzione delle nuove arene per l’Eurobasket 2015 di Kiev, Odessa, Leopoli e Dnipro. Secondo il sito Eurohoops, la banca non finanzierà i club nella prossima stagione, mettendo a serio repentaglio il futuro della Lega e, di riflesso, anche quello del prossimo campionato europeo. 37 6.2014 cosa succede in... In questa pagina: Joakim Noah, leader dei Chicago Bulls (Foto: Jonathan Daniel/ Getty Images) Nella pagina a fianco: Phil Jackson, nuovo presidente dei New York Knicks (Foto: Jim McIsaac/Getty Images) NBA di Davide Sardi La carica di Noah Dopo l’infortunio di Derrick Rose e la cessione di Luol Deng, Joakim Noah era deluso. Si era persino chiuso in un silenzio per lui inusuale. Ma poi è ripartito e lo ha fatto alla grande, criticando i tifosi che gli chiedevano di fare tanking (perdere appositamente mirando alla draft lottery) e trasmettendo ai compagni una carica fuori dal comune. C’è molto del centro francese nella riscossa di Chicago, iniziata con il 2014 e proseguita fino ad arrivare a ridosso della 3ª posizione a Est, nonostante le difficoltà, gli infortuni e i limiti tecnici di un attacco che continua a essere assai macchinoso. Ma l’energia di Noah ha spinto i Tori a giocare oltre le proprie teoriche possibilità, con un’intensità spesso da playoffs, anche grazie alla capacità del figlio di Yannick di incidere a rimbalzo e in difesa ma pure in attacco, con una visione di gioco sottovalutata che l’ha portato a centrare tre triple-doppie da metà febbraio e a sfornare 13,4 punti, 9,6 rimbalzi e 7,9 assist nelle prime 7 partite di marzo. LeBron nella storia James ha riscritto il proprio career-high con una serata storica da 61 punti insaccati nel canestro dei pur dignitosi Bobcats, rinforzatisi a fine mercato con Gary Neal e Luke Ridnour. “The King” ha tirato 22/33 (con un clamoroso 8/10 da 3), completando una serie di 5 partite consecutive con un irreale 67,9% su azione. Una cifra degna di chi ha ricevuto – come ha detto lui – “un dono speciale per giocare ogni sera a basket”. Curiosamente però, subito dopo, è emerso il lato più umano, con 3 gare al 39% e 3 k.o. in fila per i suoi Heat... Red Hot Chili Clippers In una Western Conference che ha visto la ripresa dei Grizzlies, i più in forma sono i Clippers, in striscia di 10 vittorie e saliti fino a insidiare la leadership della solidissima San Antonio e dei Thunder, che, dopo qualche passo falso, hanno ritrovato gli equilibri col ritorno di Russell Westbrook. Ma gli uomini di Doc Rivers, pur con i problemi fisici di J.J. Redick e Jamal Crawford, nella serie positiva hanno segnato la bellezza di 113 punti di media col 50%, sfruttando anche una panchina diventata lunghissima con l’arrivo di Glen Davis e Danny Granger. 38 6.2014 Pacers, primo calo Mentre Toronto resta in alto, a Est c’è stato il primo momento di appannamento dei Pacers, con difficoltà di tenuta difensiva che hanno esaltato anche i problemi dell’attacco. Una riunione tra i soli giocatori unita alle parole di Larry Bird, che ha reclamato maggiore durezza a coach Vogel, potrebbe aver scosso qualche nervo. L’arrivo di Evan Turner, difensivamente fragile, può aver causato qualche problema. Boston e Philadelphia hanno offerto il brodino necessario per ripartire. La svolta dei Knicks I Knicks, pur con i playoffs ancora in vista, pensano già al futuro con la firma di Phil Jackson per 5 anni a 60 milioni. Ma non come coach, bensì come presidente, chiamato a riorganizzare dirigenza e squadra. Kobe Bryant, che tornerà a giocare solo nella prossima stagione dopo l’ultimo infortunio, e Magic Johnson non hanno nascosto il loro malumore alla dirigenza Lakers nel vederlo andare a ricoprire nella Big Apple un ruolo per lui inedito, con l’obiettivo di ristrutturare, partendo dal futuro di Carmelo Anthony e un roster ampiamente sopra al salary cap, e di ridare lustro a una franchigia da troppi anni nella mediocrità. Nella Grande Mela Il Phil... riannodato di Luca Weber NEW YORK – In questi ultimi scorci di un inverno che verrà ricordato come uno dei più freddi degli ultimi anni, ci sono due posti in città dove la temperatura ribolle già da un po’. Si tratta di due uffici, uno si trova diciassette piani sopra lo scalo ferroviario di Penn Station, l’altro nel quartiere fancy di Brooklyn Heights. Sono rispettivamente le sedi dei New York Knicks e dei Brooklyn Nets, ovvero dove si decidono le sorti delle due franchigie newyorkesi. Martedì 18 marzo, James Dolan ha annunciato il nome del nuovo presidente: Philip Douglas Jackson, ai più noto come Phil Jackson. L’ex allenatore di Bulls e Lakers è stato scelto per dare il via all’ennesima rivoluzione in casa Knickerbockers. Una scelta applaudita trasversalmente in tutta la Lega, eccezion fatta per la Los Angeles sponda Lakers, che ancora avrebbe voluto vedere il maestro zen dalle parti dello Staples Center. A New York tutti si chiedono se Jackson riuscirà a essere un vincente anche dietro una scrivania, dopo esserlo stato una volta da giocatore (proprio in maglia Knicks) e ben undici da allenatore. Molti dei “suoi” nuovi giocatori gli hanno già dato il benvenuto, primo fra tutti Carmelo Anthony, che ben presto lo incontrerà di persona per parlare del futuro. Infatti, l’arrivo del compagno di Jeanie Buss ha scatenato mille rumors: si parla di Steve Kerr, Brian Shaw e Kurt Rambis come possibili successori di Mike Woodson, e di un LeBron James pronto a portare i suoi talenti a Midtown Manhattan dalla stagione 2015/16, quando i bluarancio si saranno liberati del corposo stipendio di Stoudemire (23,4 milioni di dollari). Per quanto si tratti solo di voci, sicuramente si apre una nuova era, con i tifosi che possono di nuovo iniziare a sognare. Sull’altro lato dell’East River, i Brooklyn Nets hanno comunicato la conferma per tutta la stagione (dopo due contratti decadali) di Jason Collins, il primo giocatore delle major league statunitensi ad aver fatto coming out dichiarando la propria omosessualità. Non è strano che sia arrivato proprio a New York, città notoriamente fra le più aperte del panorama americano. Ciò che fa però notizia è che il suo datore di lavoro sia il russo Mikhail Prokhorov, la cui nazionalità è la stessa di coloro che hanno polemizzato sulla presenza di atleti gay alle recenti olimpiadi di Sochi. Forse l’aria liberale della Grande Mela ha fatto bene al proprietario dei Nets, o forse si è giustamente guardato solo al lato sportivo, senza dare troppa importanza alla vita privata di un giocatore che riceve ovazioni ogni volta che scende in campo al Barclays Center. 39 NBA Anno 1 d.D. (dopo David) I palloni erano sul carrello, ma sono stati in tanti quelli che hanno fatto un passaggio a Belinelli aiutandolo a vincere la gara di tiro da 3 a New Orleans nell’All-Star Game NBA. Un pallone gliel’ha passato Toni Kukoc: il suo 11/12 nel tiro tra 3 contro gli USA ai Mondiali juniores di Bormio 1987 era un primo segnale che il mondo si stava allargando. E nello stesso anno, perdendo non solo in casa ma addirittura a Indianapolis la finale dei Panamericani, gli USA avevano cominciato ad avere qualche dubbio anche a livello seniores. Furono così massacrati da Oscar Schmidt che quando, anni dopo, l’impianto fu demolito ebbero la grande intuizione di regalare la prima pietra proprio al brasiliano, ammettendo che l’abbattimento lo aveva cominciato lui. Dunque, pure Oscar ha passato il pallone a Beli. Nel 1988 a Seul, ai Giochi, l’ultima URSS della storia olimpica nel basket vinse, stavolta senza polemiche, contro gli USA. Anzi, una polemica ci fu: John Thompson, il monumentale coach di Georgetown, i lamentò delle cure che alla vigilia delle Olimpiadi gli USA avevano prestato a Sabonis. «Ci stiamo preoccupando della corda con cui saremo impiccati», disse, e così anche il principe Arvydas rientra i tanti che hanno passato il pallone a Marco Belinelli. Belinelli ha detto di non aver dor40 l’assist di stern per beli mito per giorni dopo quella vittoria, e gli crediamo. Ci ha raccontato dell’accoglienza dei suoi Spurs e dei suoi vicini di casa a San Antonio, ci ha raccontato dell’accoglienza che si aspetta quando, il più tardi possibile, tornerà a Bologna, magari per far vedere non solo il trofeo di New Orleans, ma anche un anello al dito. «Grande Marchino» gli ha scritto Manu Ginobili, straordinario esempio di argentino che adotta un italiano in una squadra che ha in regia un francese. Ricapitolando: di sicuro, tra i passatori all’All-Star Game, anche non riconosciuti, c’erano un croato, un brasiliano, un lituano, un argentino e un francese. Ma i passaggi più importanti sono stati quelli di un serbo, Bori Stankovic, il numero 1 della FIBA che ebbe l’intuizione di aprire i Giochi ai professionisti, e di un statunitense di mondo, David Stern, il commissioner NBA che intuì subito la portata rivoluzionaria della proposta che originò quello straordinario progetto che si chiama Dream Team, la squadra del sogno per noi baskettari e per lo sport tutto, una collezione di figurine speciali da Michael Jordan a Magic Johnson a Larry Bird, per tacere degli altri. Un album riassunto nella gara di New Orleans in uno di noi: Marco Belinelli. Lasciamo da parte per un attimo l’azzurro e concentriamoci piutto- sto sull’ultimo dei passatori: David Stern ha lasciato qualche settimana fa il ruolo di commissioner. Non tutti sanno cosa fa un commissioner, anche se persino i bambini hanno familiarità con lui, visto che autografa i palloni Spalding con cui giocano al campetto sognando l’NBA. Per raccontare la straordinaria epopea di Stern, che ha guidato l’NBA dal 1984 al 2014, portandola, da seconda Lega più piccola dello sport USA, ad avere 30 squadre (per esempio: Miami, campione adesso, nemmeno aveva la squadra prima di lui), abbiamo chiesto un… passaggio pure noi. A Toto Bulgheroni, che adesso si occupa di golf per passione sua e per mancata riconoscenza del basket, di cui è stato giocatore e dirigente, sempre illuminato e illuminante, oltre tutto amico personale del commissioner, e a Maurizio Gherardini, che la sua gara nel tiro da tre l’ha vinta da un pezzo, prima ai Raptors, adesso anche occupandosi della Nazionale canadese, lui che era partito raccontando States ancora tanto lontani sui suoi Basketball Notebook. Nella foto in alto: a sinistra, David Stern (Foto: David Dow/NABE/Getty Images), a destra, Marco Belinelli al tiro durante l’All-Star Game (Foto: Andrew D. Bernstein/Getty Images) 6.2014 ha fatto guadagnare tutti (di Toto Bulgheroni) un manager da 10 (di Maurizio Gherardini) Dico un’ovvietà. David Stern è uno dei più grandi uomini di marketing e manager, non solo sportivo, che ho conosciuto. Uno si aspetta una persona di grande professionalità, ma di lui mi ha impressionato ancor di più la grandissima umanità. Privilegiato, da amico, in questi anni ho avuto con lui un rapporto di confidenza, quasi di complicità. Una fiducia che rimane consolidata. Allargando il discorso, i risultati parlano da soli a beneficio di Stern, ma devono essere spiegati: mi ha sempre impressionato la capacità di David di mantenere buoni rapporti personali con tutti. Uno dice: per forza, con i soldi che guadagnava. Obiezione respinta, dico io: lui ha raccolto molto perché ha dato moltissimo. Portando nel basket una visione originale e allargata: lo sport professionistico può essere, deve essere anche entertainment, e business. E grazie a questa visione, rappresentata in tanti modi diversi, da quella festa che è l’All-Star Game alle partite giocate in tutto il mondo, dallo store sulla Fifth Avenue all’attenzione al rapporto coi nuovi media, non solo con la TV, per quanto ha guadagnato lui, tutti hanno ricavato molto di più. Non mi riferisco solo ai giocatori, ma anche e soprattutto a ogni componente della famiglia NBA e di ogni squadra. Poi mi piace sottolineare un argomento di solito trascurato: la sua impronta è stata forte anche dal punto di vista sportivo, anzi, soprattutto dal punto di vista sportivo, perché ha fatto diventare l’NBA il porto naturale di arrivo dei migliori giocatori. Prima di lui c’erano giocatori di due nazionalità, USA a parte; oggi ce ne sono di quasi venti: un mondo. Cosa farà adesso? Quello che farà “da grande” lo deciderà lui, io so che ha comunque un contratto di consulenza con la NBA. Il resto sta a lui. O forse sta a noi: non possiamo permetterci di mettere in panchina una persona che ha fatto grande il basket mondiale. Devo ammettere che non sono più abituato a prendere la penna in mano come talvolta mi è capitato in passato… A questo punto preferisco rifugiarmi in un decalogo, i dieci motivi per cui non bisogna neanche aspettare la nomination per dire che David Stern è nella Hall of Fame dei dirigenti non solo cestistici, e forse non solo sportivi. 1) Ha trasformato la NBA in un business da 5,5 miliardi di dollari l’anno, dove una franchigia è passata da un costo medio di 20 milioni ai 450 milioni di oggi. 2) Sotto la sua direzione, l’NBA è stata la prima Lega ad adottare il salary-cap. 3) Ha reso la NBA un fenomeno globale: oggi un quarto dei giocatori sono “internazionali” e lo sbarco oltreoceano di Marciulonis, di 25 anni fa, pare lontanissimo. 4) Ha siglato un contratto televisivo che porta alla Lega 1 miliardo di dollari l’anno e il prossimo, quando questo scadrà nel 2016, sarà sicuramente più ricco. 5) Ha saputo espandere la Lega fino alle 30 franchigie di oggi senza che la stessa perdesse in qualità. 6) La lotta alla droga e alle scommesse sono stati capisaldi della sua gestione. 7) Ha ideato la “Lottery” per evitare che le squadre flirtassero con l’idea di perdere intenzionalmente. 8) Ha gestito due importanti contratti collettivi (CBA) e relativi scioperi nel 1999 e nel 2010, facendo in modo che la Lega ne uscisse sempre più forte. 9) È stato l’artefice primo del “Dream Team”. 10)È stato sensibile prima di altri ai temi sociali che oggi nessuno può più trascurare, con “NBA Cares” e tante altre iniziative, come “Basketball Without Borders”, portando il basket nelle zone più lontane o più povere del mondo. Penso ce ne sia abbastanza per eleggerlo fra i più grandi executives di tutti i tempi. Estratti da Eleven Rings – L’anima del successo Proponiamo qui in anteprima tre estratti del libro Eleven Rings - L’anima del successo, di Phil Jackson, edito in Italia da Libreria dello Sport (19,90 €). Durante i playoff del 1990 feci vedere alla squadra un video con delle scene tratte da Il Mago di Oz. L’obiettivo era quello di mostrare quanto fossero stati intimoriti dal gioco sporco dei Pistons. C’era una sequenza in cui B.J. Armstrong, penetrando verso il canestro, veniva colpito dai lunghi dei Pistons e subito dopo una scena in cui Dorothy diceva «Questo non è più il Kansas, Toto». Un’altra sequenza mostrava Joe Dumars che batteva Michael Jordan dal palleggio, mentre l’Uomo di Latta si lamentava di non aver un cuore. In un’altra ancora Isiah Thomas si muoveva a tempo di valzer tra Paxson, Horace e Cartwright mentre il Leone Codardo si lagnava di non essere coraggioso. I giocatori all’inizio scoppiarono a ridere, ma si zittirono presto quando capirono il messaggio che stavo cercando di mandargli. [Dal capitolo 7 “Sentire l’impercettibile”] Gestire la rabbia è il compito più difficile di ogni allenatore. Richiede molta pazienza e delicatezza perché la linea tra l’intensità aggressiva di cui c’è bisogno per vincere le partite e la rabbia distruttiva è spesso sottile come la lama di un rasoio. [Dal capitolo 18 “La saggezza dell’ira”] La cosa più appagante di tutte fu vedere Kobe passare dall’essere un giocatore egoista ed esigente ad un leader che i suoi compagni avevano voglia di seguire. Per riuscirci, Kobe aveva dovuto imparare a dare, prima di poter ricevere. La leadership non è imporre la tua volontà sugli altri. È padroneggiare l’arte del lasciar scorrere. [Dal capitolo 20 “Il bambino del destino”] 41 NCAA let’s dance! March Madness Marzo, la terra si risveglia dei suoi colori, la natura riprende le sue attività. E gli appassionati italiani di college basketball cominciano a vivere la notte come vampiri assetati di upset e nuovi campioni, di storie incredibili e di Cinderellas di cui innamorarsi. Insomma, di March Madness. Vi spieghiamo quali sono le favorite, suddivise in Top Seeds e Dark Horses. Let the Dance begin. In alto: l’ala dei Gathors Casey Prather (Foto: Jim Burgess). Nella pagina a fianco: in alto, Joe Harris, tiratore di Virginia (Foto: Virginia Athletics); in basso Fred VanVleet, point guard di Wichita State (Foto: MCT via Getty Images). Nella pagina successiva: Joel Embiid (Foto: Kansas Athletics) 42 di Davide Bortoluzzi e Carlo Perotti Top Seeds Florida (32-2, 18-0 SEC) I Gators arrivano al torneo nelle migliori condizioni fisiche e mentali dopo aver dominato da imbattuti la SEC e aver perso l’ultima partita di misura con UConn a inizio dicembre. Se c’è una reale favorita, questa è Florida: costruita con la consueta maestria da coach Donovan, ha un big man potenzialmente dominante come Patrick Young, il talento dell’ala Casey Prather e le due guardie Michael Frazier II e Scottie Wilbekin letali dal perimetro. Tutto pronto per riportare il titolo in Florida dopo il biennio di Noah. Virginia (28-6, 16-2 ACC) La difesa più asfissiante del college basketball con tempismi perfetti e gioco controllato in attacco a massimizzare il talento offensivo tenendo impegnata la difesa avversaria con tagli e blocchi. Ecco la ricetta di Tony Bennett che ha portato i Cavaliers, non senza sorpresa, a dominare la ACC davanti a Syracuse, Duke e North Carolina. Se la difesa gira attorno ad Aki Mitchell, in attacco le bocche da fuoco sono i due tiratori Malcolm Brogdon e Joe Harris. Obbiettivo Final Four non impossibile, partendo dal Regional meno duro. E se la meriterebbero. Arizona (30-4, 15-3 Pac12) Non si fosse rotto Brandon Ashley staremmo parlando della grande favorita. L’infortunio dell’ala forte titolare ha parzialmente abbassato il potenziale intimidatorio della difesa, tanto che la squadra di coach Sean Miller ha perso la finale di Pac12 contro UCLA. Ma se conta l’esperienza, con Nick Johnson e TJ McConnell sugli esterni, l’esplosività del freshman Aaron Gordon e la solidità del centrone Kaleb Tarczewski, i Wildcats sono ugualmente da titolo. Michigan (25-8, 15-3 BigTen) Finalisti lo scorso anno, hanno perso nel draft Burke e Hardaway e per infortunio McGary, eppure sono stati in grado, dopo una partenza non entusiasmante, di vincere la stagione regolare della Big10 perdendo solo contro gli Izzo’s boys la finale del torneo. I Wolverines sono finiti nel Regional della morte (il Midwest) assieme a potenze come Louisville, Duke e WSU, ma se prendono ritmo con Nick Stauskas, Glenn Robinson III e Caris LaVert possono essere letali, pur se in regia e sotto canestro non paiono competitivi al massimo. Wichita State (34-0, 18-0 Missouri Valley) Da (mezza) sorpresa la scorsa stagione a “storia americana” in questa grazie alla loro perfect season. In realtà WSU lavora da anni a ottimi livelli con coach Marshall, che dispone di quattro giocatori di grande caratura come Cleananthony Early, Ron Baker, Fred Van Vleet e Teke- 6.2014 Villanova (28-4, 16-2 Big East) I Wildcats hanno un record da grande squadra e hanno vinto la Big East. Vale una top seed? Secondo noi no, perché la Big East dopo la diaspora fra ACC e AAC è una mid-major e nulla di più, dove oltre allo splendore di Doug McDermott ha regnato una diffusa mediocrità. Nova è stata ricompensata con una #2, ma Iowa State e North Carolina hanno più chance di lottare con Virginia e Michigan State per ottenere il biglietto per Arlington-Dallas. Dark Horses le Cotton. Gli Shockers hanno le carte in regola per andare sino in fondo, pur se il fantasma di Bobby Knight e della perfect season del 1976 con Indiana sarà una pesante spada di Damocle. Syracuse (27-5, 14-4 ACC) Una prima parte di stagione da numeri uno e poi una profondissima crisi per gli Orangemen, che hanno perso cinque delle ultime sette partite e arrivano al torneo pieni di dubbi, nonostante il grande talento del play freshman Tyler Ennis e dello swingman mancino C.J. Fair. La solita zona indigesta di coach Boeheim e un bracket “amico” che mette sulla loro strada squadre con problemi al tiro da fuori come Ohio State e Kansas potrebbe però rilanciarli proprio sul più bello. Di talento ce n’è. Michigan State (26-8, 12-6 BigTen) Siamo alle solite: mai dare per morti gli Izzo’s Boys. Dopo 40 giorni, tra febbraio e marzo, in cui si sono concentrate le sconfitte in concomitanza ai problemi fisici di Adreian Payne, gli Spartans sono ripartiti e hanno vinto il torneo della Big10 battendo Wisconsin e Michigan. MSU è finita nell’East Regional, in cui più che il talento conteranno le mazze ferrate, e dove fisicità e durezza mentale la fanno da padrone nessuno sguazza come coach Izzo. Duke ( 26-6, 13-5 ACC) La sconfitta nella finale di ACC ha portato in dote a Duke una seed numero 3 nella parte del tabellone più difficile, con la possibilità di uno scontro dal sapore epico con Michigan alle Sweet 16. Le stelle Jabari Parker e Rodney Hood dovranno però fare gli straordinari per caricarsi sulle spalle un team che non ha mai convinto del tutto in ottica titolo, soprattutto a causa di alcune carenze strutturali nella metà campo difensiva. Iowa State (26-7, 11-7 Big 12) La squadra di coach Fred Hoiberg ha vinto con autorevolezza il torneo della competitiva Big 12. Guidati da Detifosi VIP UCLA Jaleel White (lo Steve Urkell di 8 sotto un tetto), Tom Selleck (attore), Ben Stiller (attore) Kentucky Ashley Judd (attrice) Michigan State Kid Rock (cantante) Ohio State John Legend (cantante) Duke Alex Rodriguez (terza baseNY Yankees), Rob Lowe (attore), Tony Romo (quaterback Dalls Cowboys), Adam Silver (NBA commissioner) Memphis Justin TImberlake (cantante) Florida Erin Andrews (giornalista) Texas Matthew Mc Conaughey (attore) Michigan Lucy Liu (attore) Fordham Denzel Washington (attore) North Carolina John Edwards (politico) Missouri Brad Pitt (attore) Temple Bill Cosby (attore) Florida State Burt Reynolds (attore) Kansas Don Johnson (attore) 43 6.2014 Andre Kane e Melvin Ejim, i Cyclones sfoggiano un roster senza lunghi di stazza, che fa dell’intensità e della pressione difensiva i propri punti di forza, con una netta propensione al gioco perimetrale. La seed numero 3 dell’East Regional garantisce un tabellone relativamente agevole, con buone possibilità di arrivare alle Final Four. Kansas (29-4, 14-4 Big 12) Nonostante qualche giro a vuoto, i Jayhawks hanno dimostrato di poter competere per il titolo nell’arco di tutta la stagione. L’infortunio alla schiena di Joel Embiid, potenziale prima scelta assoluta al draft, ha limitato le potenzialità di una squadra che basa il proprio gioco sui lunghi. Il talento di Andrew Wiggins potrebbe non bastare alla seed numero 2 del tabellone del South Regional, carico di team solidi e insidiosi. In questo senso, i tempi di recupero del camerunense saranno fondamentali. San Diego State (29-4, 16-2 MW) A dispetto della sconfitta nella finale della Mountain West e la conseguente seed numero 4, i ragazzi di Steve Fisher sono una delle mine vaganti del tabellone occidentale. Forti di una delle difese più solide dell’intero college basket, gli Aztecs possono contare sul talento e sulla versatilità degli esterni Xavier Thames e Winston Shepard. Una vittoria nella probabile sfida con Arizona alle Sweet 16 potrebbe aprire loro la strada verso le Final Four. Kentucky (24-9, 12-6 SEC) Nonostante la classe di reclutamento più talentuosa della storia dell’NCAA, Kentucky ha faticato non poco durante la stagione, chiudendo con una seed numero 8 nel temibile tabellone del Midwest Regional. Se i gemelli Harrison hanno decisamente deluso le aspettative, Julius Randle e James Young si sono invece confermati prospetti a cinque stelle, garantendo agli Wildcats lo status di mina vagante in grado di fare parecchia strada. 44 Wisconsin (26-7, 12-6 Big10) Dopo un inizio di stagione senza sconfitte, i Badgers sono stati rallentati dalle sabbie mobili di una Big10 molto competitiva. Ciò nonostante, Wisconsin si porta in dote una seed numero 2 nel tabellone West, in cui grazie al suo stile di gioco privo di sbavature potrebbe fare molta strada. Sam Dekker, Ben Brust e Frank Kaminsky sono le principali bocche da fuoco di una compagine esperta e coriacea. St. Louis (26-6, 13-3 A10) Dopo un cammino perfetto per buona parte della regular season della Atlantic 10, St.Louis è incappata in una serie di sconfitte consecutive, inclusa quella nei quarti di finale del torneo di con- ference. I Billikens si presentano così con una seed numero 5 nel difficile Midwest, con il playmaker Jordair Jett e il lungo neozelandese Rob Loe chiamati agli straordinari fin dal primo turno. Louisville (29-5, 15-3 AAC) Dopo aver portato a casa il primo titolo della neonata American Athletic Conference, i Cardinals arrivano al torneo in piena forma, nonostante una seed numero 4 non in linea con le potenzialità della squadra. Un asse lungo-esterno come quello formato da Montrezl Harrel e Russ Smith ha pochi eguali a livello NCAA, anche se la sfida al primo turno con la Manhattan dell’allievo Steve Masiello potrebbe riservare a Pitino qualche difficoltà. NCAA IL MESE DI GLORIA DI ZOU Storie La curiosa storia della carriera di Brian Zoubek: dalle stalle alle stelle a... una pasticceria... Foto in alto: Brian Zoubek aggressivo a rimbalzo (Foto: dukeblueplanet.com) Nella pagina successiva: in alto, dichiarazione d’amore che prova quanto Zoubek fosse apprezzato anche dalle tifose di Duke; in basso, lotta a canestro con Gani Lawal, attualmente in forza all’EA7 Emporio Armani Milano (Foto: dukeblueplanet.com) di Carlo Perotti Domenica 15 Febbraio 2009 Chestnut Hill, Ma Siamo piccole macchie blu in mezzo a un mare giallo oro ma, nonostante la leggenda del Duke Hating, non siamo trattati male, nemmeno con sarcasmo, il Silvio O. Conte Forum è ribollente di passione perché Boston College non ha mai vinto nella sua storia in casa contro Duke e questa può essere la volta buona. I Blue Devils infatti sono in un momento difficile: oramai si è capito che Greg Paulus non sarà mai il nuovo Bobby Hurley e che Nolan Smith non sa giocare da play; nel cervello di coach K sta nascendo l’idea di spostare il tiratore ebreo di Chicago Jon Scheyer nel ruolo di regista e inizia a comprendere che la sua squadra ha dannatamente bisogno di atletismo e che i due freshmen Miles Plumlee ed Elliot Williams, sin lì poco utilizzati, è ora che escano dalla cuccia per i novellini. Duke è in fase di transizione, confusa, e i Golden Eagles hanno fiutato l’odore del sangue. Ma i Blue Devils partono bene e sono in controllo della gara; entra così anche Brian Zoubek, ragazzone di 216 cm che era stato reclutato tre anni prima e su cui era riposta grande fiducia, dopo essere uscito dalla sua high school del New Jersey viaggiando a 24,7 punti e 12,3 rimbalzi di media. Ma la sua carriera al college è disastrosa, fra continui infortuni ai piedi e insicurezze sempre più evidenti. Quando Nolan Smith penetra sulla linea di fondo e trova il lungo che taglia, il numero 55 riceve e si alza per tirare; Joe Trapani, ala di Boston College, arriva da dietro e lo stoppa. Zoubek si ritrova però di nuovo la palla in mano e salta per schiacciare stoppandosi da solo sul ferro. La sua gara dura otto minuti e mentre il tempo passa Duke si spegne, accendendo l’entusiasmo degli 8.600 tifosi di BC. Finisce con Tyrese Rice e Reggie Jackson a mettere i punti della storica vittoria 8074 e con il corpo studentesco bostoniano a lanciarsi nel classico rush floor. Noi invece affrontiamo i -10° della notte del Massachussetts pieni di dubbi e pensieri da affrontare con uno scotch whisky. Martedì 4 Febbraio 2010 Durham, NC È passato poco meno di un anno e il clima è totalmente cambiato; Duke viene da una brutta sconfitta a NC State, ma il passaggio di Jon Scheyer in regia funziona, Nolan Smith è sbocciato, Kyle Singler è una sicurezza, ma soprattutto i due lunghi Lance Thomas e Brian Zoubek, tanto criticati negli anni prece45 6.2014 denti, sembrano totalmente diversi. A “Krzyzewskiville” alcune tende sono già issate, non tanto per Georgia Tech, che in serata sarà l’avversaria, quanto per il derby con North Carolina di fine mese. Sulla gradinata che porta alla K Tower, un edificio a cinque piani che sorge a fianco del Cameron Indoor Stadium e che ospita gli uffici della squadra di basket, incontriamo prima Thomas e poi Zoubek, che si è fatto crescere una bella barba. Enorme, tanto da far sentire lillipuziani degli uomini di 180 cm, e gentilissimo, si mette a parlare dell’Italia e della sua (bellissima) fidanzata di origine irpina. Dopo aver girato il campus, andiamo, in attesa della partita, a mangiare chicken’n’biscuits da Bojangles, il famoso locale che fu proibito a J.J. Redick da freshman perché lo rendeva sovrappeso coi suoi biscotti che in realtà sono dei panini al burro ripieni di pollo fritto… Torniamo al West Campus e alla partita c’è la solita bolgia, coi Cameron Crazies scatenati; Singler batte il suo record di punti mettendo un trentello, ma l’idolo numero uno è il senior Brian Zoubek: ogni volta che prende un rimbalzo o dà una stoppata, i Crazies uniscono gli indici di una mano con il pollice dell’altra formando una Z e urlano «Zou! Zou! Zou!». Lui, pur segnando solo 5 punti, domina la partita difensivamente, cancellando Derrick Favors e Gani Lawal, tenuti in singola cifra, mentre coi suoi durissimi blocchi Singler e Scheyer bombardano il canestro dalla distanza. Questa volta il post partita è più dolce, non solo per il clima decisamente meno rigido del South, e nel pub a Durham downtown odoriamo il profumo del trionfo: questi Blue Devils sono speciali e possono andare lontano. Lunedì 5 Aprile 2010 Lucas Oil Stadium Indianapolis, In Come accaduto per tutto il torneo, Zou domina a rimbalzo offensivo e i suoi passaggi aprono spazi ai tiratori perimetrali. Quando mancano 36 secondi alla fine della Finale NCAA, Duke è in vantaggio 60-59, ma Butler ha la palla in mano per il tiro della vittoria. 46 I Blue Devils difendono alla grande e Brad Stevens deve chiamare due time-out consecutivi, spendendo così anche l’ultimo in suo possesso. La palla infine arriva a Gordon Hayward, che sbaglia un fade away; Brian Zoubek prende il rimbalzo a 3.6,” subendo subito fallo e andando in lunetta. Lui che dalla lunetta ha il 64% segna il primo e guarda coach K, che, con una certa sorpresa, gli chiede di sbagliare il secondo, visto che Butler non ha più time-out, a costo di concedere il tiro della vittoria ai Bulldogs, per mangiare qualche istante all’ultimo attacco di Butler. Il centro obbedisce e sbaglia il secondo, la palla arriva a Hayward, che tira da metà campo. Il tiro è sbagliato per 6 cm e fuori asse per un solo grado; la palla rimbalza sul ferro ed esce. Era il destino che arrideva ai Blue Devils da un paio di mesi. Duke è campione mentre Brian corre in mezzo ai coriandoli braccato dall’amico Scheyer e dalla mascotte Blue Devil. Due mesi di onnipotenza cestistica per Brian Zoubek, all’interno di una carriera funestata dagli infortuni. Uscito dal college, viene chiamato dai New Jersey Nets, ma non passa i tagli; poi, un nuovo infortunio mette la parola fine alla sua carriera, a soli 23 anni. Prima di lanciarsi nel settore immobiliare Zoubek apre Dream Puffz a Haddonfield, nel New Jersey. Un negozio di bignè: alla crema, al cioccolato, allo zabaione, al pistacchio. Dolci ed effimeri come la sua carriera. 6.2014 Dall’osservatorio romano Comitato Regionale Laziale: ancora tempo instabile? di Carlo Fallucca Lontani i tempi delle eroiche avventure dei presidenti laziali del Comitato Regionale, ormai sbiadite le fotografie che ritraevano Fortunato Acito dalle parti del Tritone o Gaetanone Laguardia, prima a Cola di Rienzo poi sul Lungotevere, senza dimenticare il regno di Roberto Abbate, anima e cuore di un periodo abbastanza turbolento ma sempre con vista lato Tevere. Sedi logistiche prestigiose (tranne gli anni di Viale Mazzini, in cantina…) perché il basket capitolino e laziale merita questi scenari storici, suggestivi, quasi che da queste parti il basket di un certo tipo conti veramente. Oggi, sul gradino più alto di un podio in realtà un po’ scricchiolante, svetta la maestosa figura di Francesco Martini, ex giocatore dal tiro innato, dal grande talento, poco difensore ma implacabile contropiedista; fido braccio destro dello stesso Presidente Abbate e unico rappresentante di un certo peso… nelle ultime elezioni regionali. Uomo solido per un basket vissuto sul campo, personaggio forse ancora un po’ gracile a livello politico per un popolo cestistico locale sempre in subbuglio. Ma il buon Francesco vuole crescere, cercando di imparare dai suoi predecessori, e fortuna vuole che al suo fianco si intravedano spesso le figure un po’ più ingombranti dei vertici della stessa FIP, con Laguardia attento osservatore e lo stesso Gianni Petrucci con antenne ben alzate. Nel bene o nel male si viaggia con buon vento: il CRL ha un ufficio stampa che funziona (quando l’amico Mario Arceri ha il nulla osta per proporre qualche cosa di nuovo), si produce un magazine digitale interessante, ma nei rapporti con le società tutto sembra indietreggiare senza sosta. Demeriti dei vertici del Comitato o colpe da attribuire a chi guarda esclusivamente al proprio orticello? Intanto si alzano i primi mugugni, perché se l’impero “Martiniano” è iniziato con l’aiuto di tutto il regno unito, ci si chiede se l’immobilismo attuale sia fonte di qualche preoccupazione. Novità pochine, programmazioni future lontane, allenatori un po’ dimenticati, problematiche del fischietto ostinatamente in atto e consiglieri imbrigliati dopo mille promesse. In più – preoccupazione ormai nota in tutti i Comitati locali – il denaro è merce rara. E Francesco, il capo, tenta una timida difesa: «Credo sia indubbia la nostra forza nell’informazione e nella voglia di farci vedere e conoscere. Ho in mente di mettere dentro molta nostra storia del tempo che fu, la forza del movimento passato. Il nostro immobilismo? Vero, ma ricordo che noi siamo un surrogato della FIP, e come tale non abbiamo tanti margini di fantasie... Ho una possibilità di manovra abbastanza relativa. Gli arbitri? Poco ricambio e qualità molto simili al livello di molti giocatori. Le regole per il futuro? Formare una Serie C Regionale intelligente, cancellare la C2 e mettere in primo piano due bei gironi di serie D». E adesso? Non fermarsi sugli allori delle vittorie di Luiss (bravissima) e Latina (determinata) nella kermesse LNP di Rimini, proseguendo anche e soprattutto su un buon lavoro giovanile che il “gigante” Enrico Gilardi sta portando avanti da tempo. Ma anche qui, come sempre, occorre bussare alla porta di mamma FIP per chiedere aiuto… Lavorare per fare esperienza va bene, ma senza abusare troppo della passione e dell’amore che ancora in molti mettono, gratuitamente, a disposizione del gioco più bello del mondo. Latina a canestro nella finale di Coppa Italia contro Legnano (Foto: Claudio Devizzi Grassi) 47 basket italiano fischia e suona Personaggi Quando nasci a Pesaro hai due cose che, volente o nolente, non ti abbandoneranno per il resto della vita: il mare e la pallacanestro. Se il primo è un dono che la natura ha fatto alla città, la pallacanestro è un dono fatto alla città dalla famiglia Scavolini, almeno negli ultimi 30 anni. Un amore esploso a inizio anni ’80 quando, per lo spareggio contro la Superga Mestre sul neutro di Milano, da Pesaro furono organizzati 77 pullman e in 5.000 raggiunsero il capoluogo lombardo per celebrare la vittoria che valse la salvezza e diede il via all’epopea della Vuelle. Impossibile per un pesarese doc come Gianluca Mattioli non farsi contagiare dalla palla a spicchi. Prima da giocatore, «di basso livello», ci tiene a precisare, poi come arbitro, ad altissimo livello aggiungiamo noi. «Quando mi sono accorto, a 15 anni, che i miei compagni continuavano a crescere mentre io no, mi avvicinai al mondo arbitrale. Lo reputai un buon modo per rimanere in contatto con il basket, così nell’aprile del 1985, a 17 anni, iniziai ad arbitrare. Fu un passo tutto sommato semplice e che per un periodo di quasi 9 anni feci in contemporanea anche nel calcio, altro sport che praticavo, arrivando fino al terzo gruppo, la vecchia Serie C.» Dopo 8 anni l’esordio in Serie A. Sì, prima l’esordio in Coppa Italia con un 48 di Nicola Martinelli grande arbitro di allora, Luciano Baldini, e poi, il 26 settembre 1993, il debutto in Serie A (Bialetti Montecatini – Acqua Lora Venezia 84-74, con 38 punti di un certo Mario Boni, nda). Di quella gara ricorderò sempre la grande emozione nell’entrare in campo davanti a una splendida cornice di pubblico a cui non ero abituato e la mia difficoltà a relazionarmi immediatamente con i protagonisti in campo (quando il playmaker di Montecatini, Giacomo Zatti, mi mise una mano sulla spalla per chiedermi alcune spiegazioni, gli risposi: “Non si permetta mai più di toccarmi!”). Gli allenatori erano due “mostri sacri” del basket di allora: Benvenuti a Montecatini e De Sisti a Venezia. Da allora 599 partite (la numero 600 di Mattioli in Serie A andrà in scena il 24 marzo, Sutor Montegranaro – EA7 Milano, nda). Il giocatore che ricorda con più affetto? Tanti, ma uno su tutti: Carlton Myers. Ho vissuto con lui l’inizio della mia carriera, dalle giovanili a Rimini fino ad arrivare alla famosa gara del 26 gennaio 1995 degli 87 punti, ancora oggi record in Serie A, che ebbi l’onore di arbitrare con Penserini. E quello che più l’ha messa in difficoltà? Anche qui tanti, ma ne ricordo due in particolare, entrambi a inizio carriera. Il primo vero scoglio fu Dino Meneghin: mi ricordo di una gara al mio anno di debutto in Serie A, l’ultima stagione di Meneghin da giocatore, con l’Olimpia Milano allenata da D’Antoni. Dopo una mia decisione, Meneghin ebbe una reazione scomposta e gli fischiai un fallo tecnico. Da veterano, non apprezzò il gesto del giovane arbitro e fece di tutto per mettermi contro il pubblico milanese. Un altro che a inizio carriera mi ha messo molto in difficoltà, anche se poi siamo diventati amici, è stato Predrag Sasha Danilovic: diciamo che lui non tollerava, soprattutto nelle gare casalinghe, alcun contatto sull’atto di tiro. Se succedeva per lui era sempre fallo, e se tu non la vedevi allo stesso modo, soprattutto per gli arbitri più giovani, potevano nascere situazioni di pressione psicologica molto difficili da gestire! Tra i colleghi, invece, a chi è più affezionato? Quello con cui ho più ricordi legati alla mia vita arbitrale è Fabio Facchini. È stato un grandissimo arbitro, il cui temperamento e carisma arrivavano a condizionare i comportamenti non solo di giocatori, allenatori e dirigenti, ma anche degli stessi colleghi. A lui associo due ricordi molto importanti della mia carriera. Il primo un Burghe Roma – Stefanel Trieste, una gara che non andò molto bene, tanto che il compianto Angelo Rovati, allora presidente di Roma, si lamentò pubblicamente (a 10 colonne sulla Gazzetta dello Sport) e questo episodio segnò una brusca frenata nel mio 6.2014 sfavillante esordio in A. Però poi con Facchini ho diretto anche la mia prima finale scudetto, il 9 maggio 1999, gara 2 tra la Benetton Treviso di Zeliko Obradovic – con, tra gli altri, Pittis, Bonora, Marconato, Nicola, Williams, Rebraca – e la Pall.Varese di Charlie Recalcati – con Vescovi, Pozzecco, De Pol, Meneghin, Galanda, Mrsic, Santiago (vinsero gli ospiti 71-74, nda). Nel 2000 arriva il passaggio a internazionale. Essere uno dei migliori arbitri d’Europa porta grandi soddisfazioni personali, ma anche molti sacrifici. Quante sono le notti che dorme lontano dalla famiglia? Con i calendari attuali, tra coppe e campionato, da settembre a maggio-giugno, stai fuori casa anche tre, quattro notti a settimana, a cui si aggiungono gli impegni di lavoro e personali. E, nonostante questo, l’altra sua grande passione: la musica. Sì. La musica è stata la mia passione fin da piccolo. Mia madre dice che quando sono nato, invece di piangere, cantavo. Ho frequentato le Scuole Medie al Conservatorio Gioacchino Rossini di Pesaro, poi durante gli anni del Liceo Classico mi sono diplomato in clarinetto. Da lì ho iniziato le mie prime interessanti esperienze di insegnamento e piccoli concerti. Poi però l’attività arbitrale e l’università prima, la famiglia e il lavoro poi mi hanno messo di fronte ad alcune scelte e ho deciso di non interpretare la musica da un punto di vista professionale, anche se per alcuni anni della mia vita ci ho dedicato parecchio tempo. Con degli amici abbiamo iniziato a suonare per divertimento, oltre al clarinetto me la cavo con chitarra e saxofono, fino poi a trovarci a organizzare tutti gli anni un bel Concerto di Natale con un gruppo che negli anni ha inserito professionisti che suonano e cantano anche a livello internazionale. Differenze tra salire su un palco e arbitrare? Le emozioni sono simili. In entrambi i casi devi essere preparato tecnicamente, poi ci devi mettere quell’energia e quella personalità che fanno parte integrante del mio carattere! Sul palco sono uno che non si fa problemi a trascinare e sul parquet non mi nascondo, ma con una differenza basilare: in un teatro o sopra il palco, l’artista sei tu; dentro un campo da basket, i protagonisti sono i giocatori, e gli arbitri migliori sono quelli che non si notano mai. La differenza è anche nel comportamento del pubblico: in un concerto le offese saranno minori... Ma a me, in tutta onestà, l’insulto da parte del tifoso non dà fastidio, lo metto in preventivo: ogni volta che vai a penalizzare la sua squadra, anche se il fischio è ineccepibile, è come sferrargli un colpo al cuore ed è umano che si manifesti una reazione fisiologica negativa. Per questo se da un tifoso isolato, o da una curva, parte un coro contro un mio fischio sbagliato non me la prendo, anzi me lo aspetto e li perdono ancora prima che lo facciano. Quello che non tollero è invece la maleducazione negli addetti ai lavori: giocatori, allenatori e dirigenti, che dovrebbero lavorare, insieme agli arbitri, per innalzare il livello di spettacolo e rendere più appetibile, entusiasmante e vendibile il prodotto pallacanestro. Nell’era post-Facchini chi vede tra gli arbitri migliori? Cerebuch e Lamonica sono una spanna sopra tutti. Cerebuch, al termine di questa stagione, dovrà smettere perché ha compiuto 50 anni, ma io lo considero la prova evidente del fatto che il limite d’età a 50 anni oggi sia completamente inadeguato (la pensavo così anche per Facchini, che infatti ha arbitrato benissimo per due anni oltre il limite d’età): io ritengo che gli arbitri andrebbero valutati secondo un criterio meritocratico e non anagrafico (come avviene, del resto, in NBA, dove dirigono ottimi arbitri oltre i 60 anni, con alcune punte fino a 70). Tra gli esperti, considero grandi arbitri Taurino e Chiari. Tra le nuove leve vedo grandi prospettive in Lorenzo Baldini, che quest’anno sosterrà l’esame da internazionale, mentre, tra i giovani esordienti con cui ho arbitrato, Morelli, Paglialunga, Rossi e Quarta hanno già dimostrato ottime qualità. Chiudiamo con una nota di gossip: nella trasmissione di Sky R&B del 2009, super-cliccata su YouTube, lei, oltre a suonare e cantare con i suoi colleghi arbitri, si è esibito in una danza latina con l’ex GiEffina Mirela Kovacevic… Sono nato e ho sempre vissuto sulla Rivera marchigiano-romagnola e dalle nostre parti, quando una bella ragazza ti chiede di ballare, lo consideriamo un investimento e non diciamo mai di no! Nella pagina a fianco: il Mattioli arbitro, insieme a Marco Calvani, coach di Roma nella scorsa stagione. Qui a destra: il Mattioli musicista (le foto provengono dall’archivio personale di Gianluca Mattioli) 49 basket giovanile Minibasket EasyBasket: idee e proposte pratiche di Maurizio Cremonini Il progetto EasyBasket è nato nel 2006 per facilitare l’apprendimento del gioco-sport del minibasket ai bambini della scuola primaria. EasyBasket rilancia la dimensione educativa e ludica del minibasket semplificandone e facilitandone le modalità di gioco. In questo articolo il tecnico federale per il minibasket Maurizio Cremonini presentata proposte pratiche che possono essere messe in pratica in qualsiasi scuola primaria italiana. Easy significa semplice, per cui... Una delle prime riflessioni sull’Easy Basket è relativa al palleggio, poche e semplici proposte, adeguate alle classi per le quali viene suggerita la tipologia di proposta, sottolineando per noi l’importanza di condividere il senso dell’esercizio o gioco proposto più che la proposta in sé. Palleggiare “Easy” con le Classi Prime CALAMITA GIGANTE! I bambini palleggiano per il campo di corsa o camminando; al segnale dell’insegnante, la loro palla deve andare ad attaccarsi come una calamita alla palla di un compagno con il quale camminano per il campo tenendo i palloni attaccati tra loro fino al segnale “LIBERI” dell’insegnante. TUTTI IN CITTÀ! Distribuire nel campo attrezzi e ostacoli vari; i bambini si muovono per il campo (la città) in macchina, il rumore della loro macchina è il rimbalzo della palla, mentre l’insegnante regola il traffico chiamando ad alta voce i colori del semaforo; al verde corrono velocemente, al giallo procedono lentamente, al rosso si fermano senza però spegnere il motore. Varianti: • inserire zone a traffico limitato (palleggio molto lento); • inserire zone pedonali (divieto di palleggio); • inserire cerchi (parcheggi) dove poter sostare liberamente; • delimitare le autostrade (zone libere da attrezzi dove palleggiare veloci); • utilizzare il canestro (cassa) per il pagamento del biglietto (toccare almeno il ferro per uscire) . CHI COMANDA? Bambini divisi in 4 squadre disposte come nella Fig. 1 e tutte le palle/palline a disposizione distribuite in ugual misura all’interno dei cerchi delle squadre; al via dell’insegnante i primi di ciascuna squadra si avvicinano al proprio cerchio, ma solo quando il bambino della squadra che ha il potere lo decide si può partire, e gli altri 3 bambini dovranno prendere la stessa palla scelta da chi ha il potere. La squadra che ottiene per prima 3 punti prende il “potere”. 50 Palleggiare “Easy” con le Classi Seconde CIAO CIAO I bambini si muovono liberamente per il campo palleggiando una palla; quando incontrano un compagno... si salutano: • all’italiana (stringendosi forte la mano); • all’americana (dandosi un 5); • all’americana molto felici (dandosi 5 con tutte e due le mani e riprendendo la palla); • all’americano del Bronx (picchiandosi i pugni sopra e sotto); • alla brasiliana (strofinandosi la schiena); • all’eschimese (toccandosi la punta del dito); CASA DOLCE CASA Distribuire sul campo un numero di cerchi pari al numero dei bambini, ogni cerchio è la casa di un bambino; al segnale “dentro” dell’istruttore, ogni bambino, in palleggio, deve trovare una casa, al segnale “fuori” devono uscire e muoversi liberamente. Varianti: • devono tornare sempre nella stessa casa/cerchio; • non possono mai tornare nella stessa casa/cerchio; • se i cerchi hanno colori diversi, devono cambiare ogni volta colore di casa/cerchio. SPAVENTAPASSERI Evidenziare la divisione del campo in due metà; i bambini lasciano la loro palla in una delle due metà campo e poi vanno a correre liberamente nell’altra. Al via dell’istruttore i bambini devono tornare a prendere la loro palla, ma nella metà campo dei palloni l’istruttore ha messo uno dei bambini a fare lo spaventapasseri, cercherà cioè di pren- 6.2014 dere tutti quelli che entreranno nella zona dei palloni. Chi viene preso si siede, chi riesce a prendere la palla corre velocemente a palleggiare nella metà campo libera. OMBRA I bambini palleggiano liberamente per il campo e cercano, senza farsi vedere, di diventare l’ombra dei compagni che incontrano; quando vengono scoperti, scappano palleggiando alla ricerca di un nuovo compagno al quale fare l’ombra. Palleggiare “Easy” con le Classi Terze Camminare e palleggiare inventando modi diversi. Camminare e palleggiare seguendo le linee del campo. Camminare o correre palleggiando una palla forte/piano - alto/basso - di destro o di sinistro - in avanti e all’indietro. BAMBINI CHE NON STANNO MAI FERMI Distribuire nel campo un numero di cerchi leggermente inferiore al numero dei bambini (tane); i bambini si muovono per il campo con una palla ciascuno. Al segnale dell’insegnante cercano di entrare in una tana; ma i bambini non stanno mai fermi e cercheranno di scambiare la tana con uno bambino vicino, e mentre lo fanno quelli rimasti senza tana cercano di entrare nelle tane lasciate libere. Varianti: • i bambini scambiano la tana al segnale dell’insegnante; • i bambini provano a palleggiare mentre cercano una tana; • i bambini palleggiano la palla nella tana; • i bambini palleggiano e scambiano la tana lasciando la palla nella tana. 4 QUARTIERI Campo diviso in 4 quarti (quartieri) e in ogni quartiere viene posizionata una banda; l’insegnante nomina un “capobanda” per ciascun gruppo e tutta la banda imita i movimenti del capo (con e senza palleggio), ma al segnale dell’insegnante il capobanda si “arrabbia” e va a rubare la palla dei propri compagni di banda, che scappano, restando però all’interno del quartiere. DETECTIVE Disporre i bambini a centro campo, meno uno – il detective – che è girato di schiena al gruppo e non può guardare; l’insegnante consegna a uno dei bambini un piccolo oggetto (fazzoletto, pallina, moneta, etc.) e i bambini in palleggio devono passarselo, non visti, di mano in mano tra i compagni, o far finta di passarselo senza che il detective se ne accorga; il detective in palleggio deve muoversi per il campo e cercare di individuare chi è in possesso dell’oggetto. RUBA LA CODA Tutti i bambini si infilano nei pantaloncini dei piccoli pezzi di stoffa o dei fogli di giornale; al via dell’insegnante giocano a rubarsi la coda palleggiando. Varianti: • un solo cacciatore senza coda che ruba le code; • code di due colori e giocare a rubare le code della squadra avversaria; • code di diversi colori e giocare a rubare code di tutti i colori. Palleggiare “Easy” con le Classi Quinte Bambini tutti con la palla, si muovono per il campo palleggiando e cercano di buttare via il pallone a tutti quelli che incontrano. Varianti: • ridurre lo spazio a disposizione; • utilizzare palloni diversi. Bambini che si muovono per il campo rubandosi il pallone tra loro mentre l’insegnante si muove liberamente per il campo; al segnale di stop nessun bambino deve farsi trovare a meno di 5 passi dall’insegnante. Bambini disposti su tre file a fondo campo, tutti con palla; al segnale dato dall’insegnante, i primi di ogni fila partono e attraversano il campo: • camminando o correndo con la palla che ruota attorno al corpo; • camminando o correndo con un palleggio e una rotazione della palla attorno al corpo; • camminando o correndo palleggiare alternativamente di destro e di sinistro. Bambini divisi in più squadre, come in Fig. 2, un pallone solo al primo di una delle due file di ciascuna squadra; al via dell’istruttore il giocatore con la palla parte veloce in palleggio, attraversa rapido i due coni posizionati a metà campo e passa la palla al primo compagno della fila di fronte, il quale riceve e a sua volta riparte (gara a punti). Palleggiare “Easy” con le Classi Quarte Palleggiare sul posto e in movimento in modi diversi, a scelta e in libertà (alto, basso, bassissimo, altissimo, lento, veloce). Varianti: • adeguandosi alle indicazioni dell’insegnante; • adeguandosi alle indicazioni riferite ai diversi spazi operativi (es.: tutto campo alto – nei 3 punti basso – nell’area bassissimo). 51 6.2014 cosa succede in... serie a femminile di Giovanni De Rosa Pasticcio all’italiana Il lavoro paga Mentre la Lega cerca di mettere in luce il “basket femminile” attraverso dirette streaming di Coppa Italia e AllStar Game, mentre Schio impatta le serie degli ottavi di Eurolega contro le turche del Kayseri e tiene alto il nome del basket italiano in Europa, in A1 si registra l’ennesima sparizione di una squadra a campionato in corso. A nemmeno un anno di distanza da Faenza, il CUS Chieti si ritira andando così a falsare, per il secondo anno consecutivo, il prosieguo della stagione. Le norme introdotte negli anni passati e la confusione presente all’interno del movimento non fanno altro che minare la credibilità del sistema sportivo di vertice, facendo perdere appeal a un prodotto che rischia seriamente di sparire se Federazione e Lega non interverranno con nuove proposte. Umbertide sta vivendo la migliore annata da quando è in Serie A1. Il lavoro di coach Serventi, sulla panchina della formazione umbra dal 2008, sta dando frutti importanti: dopo un avvio difficile, è la squadra del momento con otto vittorie nelle ultime nove gare e la perla del successo a Ragusa con tre italiane in campo per 38’. Sono molte le giovani lanciate dall’allenatore emiliano, ora utili anche in chiave azzurra, come Gorini, Caterina Dotto, Tognalini e Consolini (vedi box). Passione della piazza, competenza e professionalità della società fanno di Umbertide una realtà da prendere come esempio in un settore, come detto, in preoccupante crisi, non solo economica… INTERVISTA A CHIARA CONSOLINI (di Diego Alunni) A Peschiera del Garda, il 20 maggio 1988, è nato uno dei prospetti più interessanti del basket femminile: 180 cm, buon tiro e primo passo fulminante. Nonostante la giovane età, ha già vinto quattro scudetti, un’Eurocup, una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana, tutte con la maglia della Famila Schio. Stiamo parlando di Chiara Consolini, ora faro dell’Acqua&Sapone Umbertide ed elemento importante della nostra Nazionale. «Ho iniziato a giocare a basket a dieci anni a Costermano, un paesino vicino a casa mia, seguendo mia sorella più grande», ci racconta Chiara, tornata in Umbria dopo due anni vincenti a Schio. «Sono tornata perché apprezzo molto società e staff. Qui si punta sulla crescita delle giovani, e mettendo in piedi il servizio di foresteria la società ha fatto un grande passo avanti. Così si può lavorare anche con ragazze che vengono da fuori, come Maria Chiara Ortolani». L’esperienza in Veneto ha permesso a Chiara di farsi le ossa anche in ottica Nazionale, nelle cui file è ormai uno dei punti fermi del C.T. Ricchini. Alle qualificazioni per gli Europei ci sarà bisogno anche di lei: «La Nazionale ha subito un forte ricambio generaziona- 52 le. Non nascondo che la mia esclusione dall’ultima spedizione azzurra è stata una forte delusione, ma fa parte del gioco. Quest’anno, avendo partecipato a tutti i raduni, mi sento pronta per affrontare le qualificazioni». Ma qual è la ricetta di Chiara Consolini per la nostra malandata pallacanestro? «Per dare più visibilità al movimento servirebbe più spazio a livello mediatico. La LegaBasket Femminile ha sperimentato lo streaming, e ho visto che sta dando buo- Foto: Daniele Furlanetto ni risultati, ma è ridotto a chi già naviga nel mondo del basket femminile. Sarebbe bello poter vedere sulla Rai almeno una partita a settimana, o anche manifestazioni come le Final Four di Coppa Italia e, perché no, i playoff. In seguito si dovrebbe promuovere il basket soprattutto attraverso le scuole, con manifestazioni o veri e propri corsi, iniziando anche dall’asilo sotto forma di gioco». Ha le idee chiare, Chiara, sul campo e fuori. Il futuro è dalla sua. 6.2014 Peterson fa scuola Dan coach di inglese di Enrico Ercolani (Formavobis) È l’uovo di Colombo, a pensarci bene. Buon per noi che finora nessuno abbia pensato bene al legame stretto che c’è tra l’inglese e il basket. Non solo per parlare la lingua dell’NBA, degli allenatori e, oggi, di tutto il basket, ma anche e soprattutto per insegnare l’inglese agli altri, ovvero per permettere a tutti di imparare l’inglese giocando. A basket. Noi di Edo, English Discoveries Online, la piattaforma di insegnamento della lingua inglese di Ets, il più grande ente certificatore della lingua inglese al mondo, non siamo nemmeno arrivati al basket da soli. Al contrario, abbiamo prima fatto squadra con la Lega Nazionale Pallacanestro e poi abbiamo pensato a un prodotto rivolto, primariamente, agli appassionati, ma studiato non solo per loro. Infatti, la combinazione di tradizionali videocorsi in streaming con il metodo Edo rende l’apprendimento più rapido e i progressi più tangibili. In concreto si tratta di 18 videolezioni preparate con la collaborazione preziosa di Dan Peterson, che è tanto capace di scherzare su se stesso da dichiarare di essere un insegnante anomalo, con quell’accento inconfondibile di Chicago. Sono lezioni mai noiose: coach Peterson parla di tecnica, tattica e soprattutto svela segreti e curiosità del mondo del basket. Il tutto condotto con la solita, impagabile e sorprendente precisione. Mi spiego: se una delle lezioni doveva durare 9 minuti e 30 per esigenze di montaggio, Dan cominciava a spiegare i temi della lezione e si fermava appunto dopo 9 minuti e 30 secondi. Aiutando tutti, addirittura eliminando esigenze di post produzione: tutto materiale buono alla prima, come si dice. Fin qui, Peterson. Ma il metodo di questa iniziativa pensiamo sia legato anche all’elaborazione dei contenuti da parte del corpo docente di Formavobis, la scuola di formazione che distribuisce Edobasket in Italia. E alla miscela delle moderne tecnologie di e-learning, che impiegano tutte le nuove tecnologie, anche a beneficio dei primi studenti che è facile immaginare siano ragazzi, dunque nativi digitali, e le tecniche tradizionali. Il blended learning è largamente utilizzato e fortemente consigliato come metodo di formazione linguistica, poiché consente di combinare al meglio teoria e pratica. Poi, come detto, gli studenti dispongono di uno strumento disponibile ovunque, 24 ore al giorno, 7 giorni su 7. Dunque, amici sportivi e non sportivi, adesso non avete più scuse: se non capite cosa è un pick and roll, oltre che al vostro allenatore, potete finalmente chiederlo anche al vostro coach online. E lui, Dan Peterson, vi risponderà. BasketpediA Enrico Ercolani è stato il direttore commerciale della Sampdoria, ha lavorato in Lega Calcio per l’iniziativa Stadi Aperti ma non deve essere proprio a digiuno di basket, che non ha mai praticato e seguito solo saltuariamente, se per il suo esordio ha puntato su Dan Peterson. È il fondatore di Formavobis e ha scelto Basket Magazine (e Lega Nazionale Pallacanestro) per presentare il progetto di punta Edobasket, un nuovo modo di insegnare l’inglese 53 6.2014 Alti ideali Una squadra di trafficanti di sogni di Carlo Besana “Giochiamo per gli animali e per alti ideali”, lo slogan che abbiamo scelto per la stagione 2013-2014, sottolinea in modo immediato il particolare abbinamento tra la nostra società, l’NBA-Zena, e il suo main sponsor, Almo Nature, azienda che affianchiamo nelle azioni a sostegno delle sue battaglie animaliste e delle iniziative concrete a favore dei canili. A prima vista potrebbe sembrare anomalo fare sport agonistico e promuovere la propria attività attraverso uno slogan in cui non ci sia nessun termine che richiami il concetto di vittoria. Può essere vero, ma solo a prima vista. Chiunque abbia praticato sport agonistico, a qualunque livello, sa perfettamente che si scende in campo, sempre, per vincere, con buona pace di De Coubertin. Non c’è nessuna necessità, quindi, di sottolineare questo elemento. Non tutti però hanno ancora ben presente il concetto di “social profit”, di cui lo sport è una delle più alte espressioni. Il basket inoltre è anche sport di squadra, ed è una disciplina in cui il concetto di “squadra” è espresso ai massimi livelli. L’attività non riguarda solo direttamente le protagoniste in campo, ma anche le famiglie e, per estensione, l’intera comunità. Almeno per noi, “essere basket” vuol dire anche partecipare alla crescita della comunità che ci sta intorno, provando a trasferire quelli che sono i nostri valori. Ecco quindi che l’anomalia diventa “normalità” e l’impegno finalizzato al raggiungimento dei livelli sportivi più alti si può anche trasformare in ulteriore “energia pulita”, un buon carburante per rifornire di alti ideali l’intera comunità. Proprio da questa consapevolezza deriva la nostra anima “social”, che ha già caratterizzato negli anni scorsi la nostra società sportiva, al fianco sia della Fondazione Candido Cannavò per lo Sport che della Comunità San Benedetto al Porto di Don Andrea Gallo, nostro compianto “tifoso numero 1”. E non a caso i loghi della Comunità e BasketpediA Carlo Besana da giocatore si è fermato alla Prima Divisione in Brianza; da comunicatore, e da persona dotata di straordinaria creatività, è arrivato molto più lontano come dirigente sociale. Presidente del Comitato Unicef di Roma prima, anima della rinascita piena del quartiere Cep a Genova poi, organizzatore di eventi, catalizzatore di energie positive, nel 2007 ha fondato la Nba Zena, New Basket a Genova. Ex farmacista, per chi lo conosce bene, deve molti dei suoi successi alla moglie, Susanna Giorato, eccellente giocatrice fino alla A2. È stato Carlo a scoprire i trascorsi cestistici di don Gallo: basterebbe questo per dirgli grazie. 54 della Fondazione sono ben presenti sulle nostre divise da gioco. Don Gallo era stato un allenatore di basket, e sapeva bene di avere un quasi omonimo, Danilo, nell’NBA. Noi don Gallo lo abbiamo addosso. Sulle soprammaglie c’è uno slogan che ancor più incornicia il nostro impegno e, credo, le sfide nuove che toccano al basket: “Sempre con coraggio cerchiamo di continuare a essere trafficanti di sogni”. In questa stagione si è felicemente aggiunta la comunione d’intenti con il nostro main sponsor. Si è conclusa pochi giorni fa l’iniziativa “Un assist per la Sardegna”, ideata da Almo Nature e promossa dalla nostra società e dalla Lega Basket Femminile, con il coinvolgimento di tutte le società di Serie A1, A2 ed A3. Si è presa in considerazione la giornata di campionato precedente il Natale, si sono sommati i punti realizzati, gli assist serviti e il numero degli spettatori e la cifra risultante da questa somma è stata trasformata da Almo Nature in altrettanti pasti donati ai canili della Sardegna colpiti dall’alluvione. Il 10 dicembre Pier Giovanni Capellino, presidente di Almo Nature, consegnò oltre 19.000 pasti al canile LIDA di Olbia (che ospita oltre 700 cani), lo scorso 2 marzo circa 20.000 pasti sono stati donati ai cittadini proprietari di cani e residenti nelle zone colpite dall’alluvione. Erano presenti anche due giocatrici dell’Almo Nature NBAZena, che hanno donato ai bambini magliette versione “dog” (con il numero 101) della divisa da gara della loro squadra. Quest’anno, con il nuovo impegno verso le battaglie animaliste, si è chiuso un meraviglioso “cerchio magico”, come ha scritto Franco Arturi, nobile firma della Gazzetta dello Sport: «Fra le battaglie di civiltà promosse da Candido Cannavò ai primi posti c’erano le campagne estive contro l’abbandono del cani. Candido ha scritto articoli toccanti al riguardo. Considerando che Don Gallo è uno degli Indimenticabili “pretacci” del suo libro, che il basket femminile gli stava molto a cuore, e infine che Candido aveva imparato ad amare la Liguria e il suo mare, in nome della NBA-Zena si salda un cerchio magico. Di quelli buoni». 6.2014 Fate largo a DeRev... olution Lo sponsor ce l’avete in casa di Roberto Esposito Oltre a essere l’espressione e il simbolo di una comunità, motivo di gioia e sofferenza, una squadra sportiva rappresenta sempre e comunque un catalizzatore di partecipazione diffusa, sia a livello agonistico che amatoriale. In un momento di grande difficoltà per lo sport nel reperire i fondi necessari a finanziare le varie attività, il crowdfunding può risultare decisivo come in molti altri campi. I media ne parlano spesso, ma in pochi sanno esattamente di cosa si tratti: il crowdfunding è una raccolta fondi lanciata e gestita sul web, con l’obiettivo di raggiungere e coinvolgere un pubblico molto vasto che contribuisca anche con pochi euro grazie alla diffusione virale attraverso la Rete e i social network. DeRev.com – la principale piattaforma italiana di crowdfunding – è uno strumento pensato proprio per tutti quelli che vogliono tenere vivi sogni, ambizioni e speranze partecipando in prima persona con un piccolo contributo economico. Le cronache da tutto il mondo raccontano di come piccoli gruppi di persone, unite da una passione o un interesse comune, possano rivelarsi una forza dirompente in grado di cambiare le cose e realizzare progetti, idee ed eventi che altrimenti non avrebbero mai visto la luce. Sono quelle persone che non credono esistano sport “minori”, e decidono di sostenere la loro squadra del cuore anche per superare una situazione di difficoltà economica, partecipando con piccole donazioni alle spese di trasferta, all’acquisto di attrezzature tecniche, al restauro o alla creazione di impianti sportivi. Le possibilità sono infinite, proprio come le esigenze della pratica sportiva, il cui valore va ben oltre la dimensione prettamente economica. DeRev nasce da una mia idea: ho 28 anni, mi chiamo Roberto Esposito e già in passato ho più volte utilizzato il web per creare piccole e grandi rivoluzioni. Nel 2011, dopo aver lanciato un blog di informazione satirica da 180.000 lettori al giorno, sono entrato nel Guinness World Records per il post di Facebook con più commenti al mondo (560.000) rappoddiando il precedente primato della Zynga. Su invito di Greenpeace International, ho partecipato alla campagna “Facebook: Unfriend coal”, portando 80.000 adesioni in poche ore, battendo un nuovo Guinness World Record (maggior numero di commenti in 24 ore) e convincendo Facebook a sottoscrivere un protocollo per una nuova politica energetica. Nel 2012 mi sono state affidate la comunicazione e il marketing dell’America’s Cup World Series, che a Napoli ha superato i 740.000 utenti sul web, e ho pubblicato il primo libro scritto in crowdsourcing con oltre 700.000 utenti che hanno contribuito attraverso il web. Il crowdfunding per lo sport è reso ancora più agevole dalla facilità con cui è possibile offrire delle ricompense ai sostenitori – elemento essenziale per incentivare la partecipazione – in base all’importo del loro contributo, mettendo a disposizione biglietti, abbonamenti, magliette firmate, gadget, fino a esperienze più complete come allenamenti con la squadra o partecipazione a eventi speciali. È anche semplice: basta iscriversi su www.derev.com e creare una campagna seguendo le indicazioni e i suggerimenti del sito, come l’aggiunta di video di presentazione con cui, facendo leva sulla fantasia e sulla capacità di entusiasmare il proprio pubblico, atleti e testimonial chiedono di sostenere la squadra. D’altronde il senso è sempre quello: mettersi in gioco. Ma, dice o minaccia il direttore di Basket Magazine, della materia ne parleremo ancora perché, di idee e di soldi c’è sempre bisogna. Intanto da oggi, ovvero da quando avete finito di leggere, DeRev è a vostra disposizione come piattaforma. Se son palloni buoni, finiranno a canestro. BasketpediA Roberto Esposito e DeRev, Roberto Esposito è DeRev. Nell’Italia afflitta dalla crisi, lui è un under 30 che ha un’azienda con quasi 20 dipendenti a tempo indeterminato. Forbes ha definito la sua piattaforma leader del Crowfunding italiano. Il Parlamento Europeo lo ha eletto Digital Democracy Leader. Per non sbagliarci, noi di Basket Magazine lo abbiamo eletto crowfunding partner: la riscossa del basket può partire dal Vomero, il quartiere generale dove Roberto ha il suo quartier generale. 55 storie ischia come rio In Ricordo di Guerrieri no limits L’Isola d’Ischia ha sei Comuni, tanto mare, un monte, l’Epomeo, molta campagna, un’infinità di viti e... la malattia del basket! È dunque un’Isola di Vino, di Mare e... di Basket, come ci racconta Giovanni Cervera nel suo splendido libro con prefazione del Vate: Avevamo un sogno. Ischia, storie di basket. A questo lungo racconto, che di frequente col basket lascia il Grande Scoglio e si propaga per l’intero Stivale e oltre, fino a Mosca e ancor di più a Omsk, in Siberia, e si porta dietro come una fragrante scia l’intenso profumo dei limoni e del basilico e i colori degli oleandri e delle bouganville, è stato aggiunto, il 10 ottobre scorso, nell’ambito del 2° Happy Hand on the road di Ischia, un ultimo, mirabile capitolo. «Fermati», mi bofonchiava l’Eternauta tutte le volte che con l’auto lo zigzagavo lungo i tortuosi tornanti dei Maronti per ricondurlo, dopo gli allenamenti, dalla sua adorata Fosca nell’albergo accanto al mare. «Dido, ma ci siamo fermati prima, a salire». «Fermati!» tuonava. E fermavo l’auto, di botto, e lui scendeva, si appoggiava alla ringhiera del belvedere a strapiombo sulla grande bellezza esistente di sotto e intorno e, dopo qualche scossone del suo grosso capo e col suo possente vocione: «Manca solo il Cristo per essere a Rio de Janeiro», diceva, prima di rientrare nella mia auto. Questa frase, puntuale conclusione della sua laica preghiera, come egli stesso amava definire quella sosta ricorrente, ogni volta risuonava nell’aria poco rarefatta dei Maronti e ogni volta, attraversandomi la schiena con un brivido fulmineo, giungeva dritta nel mio cuore. Sono passati molti anni, troppi, e non è più dato, lungo i tornanti dei Maronti, riascoltare il suo simpatico vocione recitare quella laica preghiera. Tuttavia quella frase, orgoglio e van56 di Cesare Covino to dell’Isola d’Ischia che tanto gli era piaciuta, quella frase che ogni volta fulminava la mia schiena e ora fulmina quelle di Nino, di Luca e di Matteo, ora è là, cementata sul pavimento del Belvedere dei Maronti, incisa per sempre sopra al marmo di Carrara, per arrivare dritta al cuore di quanti ancora riusciranno ad apprezzare quella grande bellezza che Dido, l’Eternauta, ci ha insegnato a ritrovare in tante cose della vita. Anche in quelle di Vino, di Mare e di Basket! BasketpediA Cesare Covino per l’anagrafe è un maestro elementare in pensione. In realtà è un formatore e un innovatore che ancora non si è stancato, per nostra fortuna, di insegnare le regole del basket e delle vita. Primariamente a Ischia, ma anche a Bologna, dove lo trascina il suo grande amico Nino Pellacani. Cesare è un campione di umanità, ha cresciuto intere generazioni di giocatori, ed è giusto riconoscergli il titolo di “Naismith di Ischia” per quanto si è impegnato nel basket isolano. Qui racconta una straordinaria storia di amicizia: quella tra lui e Dido Guerrieri. Se vi capite di passare per il Belvedere intitolato al coach, sappiate che dovete ringraziare primariamente lui: Cesare Covino. basket giovanile Stellelimits future no Si avvicina anche quest’anno il momento del Jordan Brand Classic, appuntamento ormai tradizionale (è giunto alla 13a edizione) che mette a confronto, sul parquet newyorkese del Barclays Center, alcuni tra i migliori 15enni e 16enni del pianeta. La prima tappa, per i giocatori europei che mirano all’International Game del 18 aprile, era la tappa di Barcelona del Jordan Classic International Tour (7-9 marzo), in cui i migliori 40 talenti provenienti dal Vecchio Continente si sono giocati i 10 posti disponibili per l’esibizione di aprile. Al momento di chiudere questo articolo ancora non sono stati diramati i roster ufficiali dei giocatori selezionati, ma è molto probabile che tra loro vi sia Carl Wheatle, promessa britannica che gli osservatori della Pallacanestro Biella, capitanati dal responsabile del settore giovanile Federico Danna, non si sono lasciati sfuggire. Ma chi è Carl Wheatle? L’abbiamo chiesto direttamente a lui. «Sono una persona calma, rilassata, con cui si parla volentieri. Mi piace trascorrere tempo con la mia famiglia e con gli amici.» E in campo? «Sono un giocatore molto aggressivo. Sono bravo ad attaccare il canestro e ho anche un buon tiro in sospensione dalla media.» FROM BIELLA TO BROOKLYN di Andrea Rizzi Ora il tuo sogno è di diventare un campione nel basket, ma prima cosa sognavi di fare da grande? «Il mio sogno è di giocare nella NBA un giorno, e avere una lunga carriera ricca di successi. Prima della pallacanestro non avevo in mente alcuna carriera in particolare.» Dove sei stato scoperto dallo staff della Pallacanestro Biella? «Mi hanno notato per la prima volta agli Europei Under 16 di Division B nel 2013, giocavo con la Nazionale inglese. Hanno visto alcune delle mie partite e gli sono piaciuto.» Moretti e Bucarelli “portabandiera” azzurri Non solo Wheatle. Altri tre giocatori classe ’98, due italiani e l’estone Mitt, sono partiti dall’Italia per giocarsi le proprie carte in Catalogna. Ecco chi sono: • Davide Moretti (Stella Azzurra Roma) • Lorenzo Bucarelli (Mens Sana Siena) • Arnold Mitt (Pall. Reggiana) Va ricordato che l’anno scorso un’altra stellina della Stella Azzurra, Andrea La Torre, ha disputato il Jordan Classic a Brooklyn, chiudendo la gara con 10 punti. Perché Biella? «Mi è sembrato l’ambiente giusto per me. È una zona molto tranquilla e dopo i provini ho capito che qui avrei potuto migliorare molto come giocatore.» Per un ragazzo della tua età non è certo un’esperienza facile. «All’inizio è stata molto dura, separarsi dalla famiglia e dagli amici a 15 anni non è facile, e lo è ancor di meno imparare una nuova lingua e rimanere lontano dai propri cari per mesi. Ma mi ci sto abituando.» Qual è il tuo obiettivo nel breve termine? «Continuare a crescere come cestista e come persona. Voglio migliorarmi giorno dopo giorno sul campo e fuori.» E guardando lontano? «Voglio giocare da professionista, che sia in Europa o nella NBA.» Lo sai che le regole sugli italiani di formazione potrebbero aprirti le porte della Nazionale italiana? «Mi sono impegnato con la Nazionale inglese e con il progetto della Gran Bretagna per il futuro prossimo. Ma sarebbe bello avere l’opportunità di giocare per l’Italia, chissà...» 57 on the road Tappa #3 no limits Terza puntata del pellegrinaggio nella terra del basket più bello e feroce, per conoscere luoghi e racconti legati a campioni che hanno fatto la storia della pallacanestro italiana, europea e mondiale Nella pagina a fianco: in alto, due canestri “di fortuna” in Kosovo (Foto: Marco Bogoni e Roberto Cornacchia); in basso, un cartello sul confine tra Kosovo e Serbia (Foto: Roberto Cornacchia) 58 alle radici del basket slavo di Marco Bogoni Il nostro pellegrinaggio sta per volgere alla conclusione. La destinazione finale, Belgrado, si avvicina, però prima rimane da scoprire uno dei luoghi più controversi del mondo: il Kosovo. Questo lembo di terra di quasi 11.000 km² incastonato tra la Serbia e l’Albania ha dichiarato l’indipendenza il 17 febbraio 2008, riconosciuta ad oggi da un centinaio di nazioni aderenti all’ONU, ma non accettata da Serbia, Russia, Spagna (per il timore che i separatisti baschi possano trarre maggiore forza da questa vicenda) e da quasi un’ottantina di altri Stati. L’escalation ebbe inizio nel 1996, quando gli indipendentisti di etnia albanese dell’UCK si ribellarono alla polizia federale. La reazione della Serbia, guidata da Slobodan Milosevic, fu durissima e assunse i contorni della pulizia etnica. La guerra terminò nel giugno del 1999 con l’intervento della NATO, che bombardò l’esercito jugoslavo con munizioni all’uranio impoverito. Da allora le forze della KFOR (Kosovo Force) presidiano il territorio cercando di far coesistere pacificamente le due anime del Kosovo. Gli albanesi, di fede musulmana, costituiscono il 90% della popolazione, mentre i serbi rivendicano quel territorio a causa della presenza di alcuni dei luoghi più sacri della cultura ortodossa. Ci dirigiamo proprio verso uno di quei siti tutelati dall’UNESCO e dall’esercito della NATO, il patriarcato di Pec, evitando di passare da Mitrovica, una delle città più pericolose, con il ponte Austerlitz che divide la parte meridionale della città abitata da albanesi da quella settentrionale serba: un’autentica polveriera di rancori mai realmente sopiti. Ci troviamo nella zona nord del Paese, quella dove sono confluiti quasi tutti i 200.000 serbi che popolano il Kosovo. Le auto hanno la targa della Serbia, ma chi deve andare nelle restanti zone a predominanza albanese stacca la targa del proprio veicolo per non rischiare di subire ritorsioni. Il patriarcato di Pec è un monastero, totalmente affrescato al suo interno, ricco di misticismo e spiritualità. 6.2014 A una ventina di chilometri di distanza è situata la chiesa medievale più grande dei Balcani: il monastero di Visoki Decani. Ad accoglierci c’è Padre Francesco, un italiano convertitosi alla dottrina ortodossa, che ci racconta la storia di questo luogo sacro. Il monastero, fondato nel 1327 dal re serbo Stefano Decanski, poi fatto santo, ospita la tomba dell’antico monarca, il cui corpo, benché mai mummificato, continua inspiegabilmente a conservarsi nonostante siano passati quasi sette secoli. Anche questo concorre a renderlo uno dei luoghi più sacri della cultura ortodossa. Nonostante la guerra, i posti di blocco militari e il clima “infiammabile”, il seme della pallacanestro è germogliato anche qui ed è possibile trovare un canestro nei posti più impensabili, attaccato a un palo della luce o situato sopra le fondamenta di un palazzo in costruzione. Mentre cerchiamo le indicazioni per Belgrado, la nostra attenzione viene catturata da alcuni strani cartelli gialli senza scritte, con la sagoma nera di animali improbabili a queste latitudini: gatti ma anche pinguini, tori e balene, seguiti da una freccia che indica di svoltare. Si tratta della segnaletica per le varie divisioni nazionali della KFOR. Il Kosovo è uno dei posti più surreali del pianeta, in cui attualmente vige una calma apparente che cerca di mettere il velo sopra la difficile coesistenza tra serbi e albanesi. Ci spostiamo quindi a Belgrado, la città bianca (Beo= bianca, Grad= 59 6.2014 città), una delle capitali del basket europeo. Eleganti edifici art nouveau si alternano a grigi palazzoni di stampo socialista. Belgrado è viva e vivace, ricca di turisti, anche americani, quelli che fino a pochi anni fa solcavano questi cieli per sganciare delle poco amichevoli bombe. Le due principali squadre della città sono il Partizan, club dell’esercito, e la Stella Rossa (Crvena Zvezda in serbo), il club della polizia. I derby fra le due formazioni sono sempre spettacolari ed emozionanti, grazie al tifo molto caldo delle tifoserie presenti sugli spalti. I tifosi del Partizan vengono chiamati Grobari (becchini), per via del colore prevalentemente nero delle maglie, mentre i tifosi della Stella Rossa sono denominati Delije, che significa eroi. Quando entriamo all’Hala Pionir, teatro di sfide epiche tra le due squadre, troviamo un paio di ragazzini che stanno tirando a canestro, ignorando di essere, in quel momento, i padroni assoluti di uno dei campi più ricchi di storia del Vecchio Continente. Ci presentiamo dicendo che veniamo dall’Italia e a quel punto uno dei due ragazzini ci dice: «Ah, from Italy? Danilo Andjusic! (giocatore della Virtus Bologna, dato in prestito al Valladolid, ndr)». Ormai le nuove generazioni hanno idoli diversi da da miti come Sasha Danilovic o Sasha 60 Djordjevic, che hanno compiuto gesta memorabili anche in Italia. L’altro palazzetto dello sport di Belgrado, usato solamente per alcune gare di Eurolega, è la gigantesca Beogradska Arena, il palazzetto dello sport più grande di tutta Europa, la cui storia s’intreccia con quella recente della Serbia. Nel 1984 l’allora Jugoslavia unita chiese l’organizzazione dei Campionati Europei del 1994 e la FIBA la concesse a condizione che la finale si disputasse in un impianto da almeno 20.000 posti. Nel 1991 s’individuò il sito, ma poco dopo l’inizio dei lavori cominciarono anche i conflitti che avrebbero portato alla disgrega- zione della Jugoslavia. I lavori ripresero nel ’98, nell’intento di ospitare i Mondiali di tennistavolo, specialità sportiva molto seguita nel Paese, che si sarebbero tenuti l’anno dopo. Stavolta però a far saltare tutto fu la già citata guerra del Kosovo, durante la quale la NATO bombardò la città e anche l’organizzazione di questo evento sfumò. Si poté riprendere solo nel 2004, dopo il ritiro delle sanzioni internazionali a seguito delle dimissioni di Milosevic, e l’impianto fu approntato in tempo per i Campionati Europei del 2005. Ma a Belgrado la pallacanestro è una fede, e i luoghi speciali per la palla a spicchi non si limitano ai palasport: i campetti della fortezza di Kalemegdan sono tra i playground più suggestivi del mondo, e hanno accolto i primi canestri di campioni che hanno sfondato in Europa e nella NBA. La fortezza non custodisce soltanto questa piccola perla degna del Rucker Park di New York, ma anche la Statua del Vincitore, che volge il suo sguardo verso la confluenza tra Danubio e Sava, luogo in cui, giungendo da percorsi diversi, confluiscono idealmente migliaia di chilometri di storia e cultura europea. Il giocatore più famoso della storia della Stella Rossa è Zoran Slavnic, rapido playmaker con un complesso di superiorità quasi patologico che a ini- 6.2014 zio anni ’80 vestì la canotta della Juve Caserta. Un aneddoto delle Olimpiadi di Montreal del 1976 inquadra bene il suo carattere: durante la semifinale contro l’URSS, Slavnic, appena entrato in campo, andò verso Sergej Belov, icona del basket mondiale, e gli disse ad alta voce: «Attento, Sergjosa (“Sergetto”, ndr) che ora è venuto a marcarti il maestro». Nella sede del Partizan ci attende Sonja Savic, addetta stampa “rubata” alle passerelle. Sonja ci porta nell’ufficio del presidente Danilovic, dove è conservata un’infinità di trofei. Solo negli ultimi sette anni il Partizan ha vinto la Lega Adriatica sei volte (solamente il Maccabi Tel Aviv è riuscito a inserirsi in questa striscia vincente, nel 2012). Nei corridoi sono appese le foto dei giocatori che hanno fatto la storia di questa società: Drazen Dalipagic, Dragan Kicanovic, Zarko Paspalj, Vlade Divac, Aleksandar Djordjevic e Predrag Danilovic. È presente anche l’angolo dei coach più famosi ed importanti composto da Ranko Zeravica, Asa Nikolic, Zelimir Obradovic e Dusko Vujosevic. Prima di ritornare in Italia ci rechiamo nella zona “politica” di Belgrado, dove la gente si radunò in piazza per contestare le elezioni truccate del 2000, ma soprattutto dove l’anno precedente la NATO, per costringere Milosevic a ritirare le sue truppe dal Kosovo, decise di usare il pugno di ferro, bombardando il Ministero della Difesa. Non si è voluto restaurare i palazzi bombardati proprio per ricordare a tutti quanto successo. La storia non si cancella, soprattutto se si tratta di quella della ex Jugoslavia, perché, come diceva Winston Churchill: «I Balcani producono più storia di quanta ne possano consumare». Nella pagina precedente: in alto l’Hala Pionir (Foto: Luca Cocchi); in basso, i campetti della fortezza di Kalemegdan (Foto: Luca Cocchi) Qui sopra: la sede e la ricca bacheca trofei del Partizan (Foto: Roberto Cornacchia) A destra: un palazzo in centro a Belgrado, che ancora mostra i segni dei bombardamenti NATO (Foto: Marco Bogoni) 61 no limits AHMED RAOURAHI E LA MAGIA DELLO SPORT di Claudio Di Renzo La storia del numero 14 della Nazionale di basket in carrozzina, dal dramma al successo Sopra e nella pagina a fianco (in alto): Ahmed Raourhai con la maglia della Nazionale italiana (Foto: Claudio Di Renzo) Nella pagina a fianco (in basso): La Briantea84 Unipol 62 È diventato sempre più difficile riconoscerlo nella nebbia dell’iper professionismo e della ricerca di profitto a ogni costo, ma il fascino originario dello sport, quella bellezza che finisce inevitabilmente per catturare le tue emozioni e la tua ammirazione, esiste ancora e vive soprattutto sui campi, sulle piste o sui parquet all’ombra dell’attenzione dei grandi media: è l’ammirazione per chi sa andare oltre i propri limiti, per chi è impegnato in una continua sfida contro se stesso, per chi non conosce il significato della parola paura. Di uno sportivo non è tanto il talento ad affascinare ma piuttosto la capacità di scavalcare ogni sacrificio pur di raggiungere un obiettivo. Quando vedi Ahmed Raourhai, ragazzo marocchino naturalizzato italiano, vestire la maglia azzurra della Nazionale di basket in carrozzina, questa bellezza originaria che è alla base dello sport improvvisamente si risveglia. All’inizio dello scorso mese di febbraio il PalaWhirlpool di Varese ha ospitato l’All Star Game 2014, la tradizionale partita tra Italia e selezione dei migliori stranieri del campionato; presenti oltre 3.000 spettatori, moltissimi ragazzi, la maggior parte presumibilmente alla prima partita di basket in carrozzina dal vivo. Eppure sono bastati pochi minuti di riscaldamento perché quel ragazzo con il numero 14 sulle spalle catturasse l’attenzione di tutti: il più acclamato alla presentazione dei quintetti, il più applaudito a ogni canestro, già idolo per quei nuovi tifosi. Ciò che affascina di Ahmed è il suo sorriso, un sorriso che illumina e che contemporaneamente prende a schiaffi un destino che lo ha privato di entrambe le gambe e dell’avambraccio destro fin da bambino. Un tentativo di furto ai danni del padre venditore ambulante, lui che cerca di difenderlo, la caduta sulle rotaie e un treno in corsa che gli cambia l’esistenza. Non c’è bisogno di raccontare il calvario di un bambino di sette anni tra gli ospedali marocchini; non c’è bisogno nemmeno di accennare alle operazioni, ai mesi di terapia, alla riabilitazione: le parole si svuoterebbero di significato, la sofferenza verrebbe ridotta a stereotipo. Si può però provare a immaginare quello stesso sorriso che conquistò il pubblico di Varese tornare faticosamente e lentamente a risplendere, timido forse all’inizio, poi sempre più sincero. 6.2014 E chissà che non sia stata proprio la scoperta del basket in carrozzina il primo momento in cui il volto del ragazzo Ahmed ricominciò a illuminarsi. Uno sport che in molte delle storie che raccontiamo entra in scena quasi per caso, spesso come terapia o come semplice occasione di svago, ma che poi facilmente diventa qualcosa di più, una passione che ti inchioda al parquet a tirare a canestro, ancora e ancora. E così la tecnica di Ahmed si affina con i mesi in modo quasi sorprendente, la precisione al tiro, la velocità in carrozzina, l’agilità nei movimenti diventano sbalorditive, sarebbero sbalorditive anche per un atleta senza le sue amputazioni. Ahmed diventa presto un campione. La sua carriera è un lampo, prima in Marocco, poi in Spagna e infine in Italia, dove sbarca insieme ad altri due ragazzi marocchini future stelle del nostro campionato. La prima tappa è a Treviso, poi Padova, oggi Roma. Il passaporto italiano gli apre le porte della Nazionale nel 2012: nel giro di due anni, alla vigilia dei Mondiali coreani del prossimo luglio, Ahmed si presenta come uno dei simboli della squadra azzurra. Con il sorriso ha stregato i compagni di squadra, con il talento si è costruito una carriera da campione, con la determinazione ha conquistato tutti. Il pubblico del PalaWhirlpool di Varese non conosceva la sua storia, non sapeva né dell’incidente, né del treno né della riabilitazione, ma non importa. Osservare Ahmed in campo ha spazzato via in tutti la nebbia che troppo spesso offusca il reale significato che incarna lo sport; gli applausi per lui erano gli applausi verso chiunque non ha paura di superare gli ostacoli che si trova di fronte; l’ammirazione verso Ahmed è l’ammirazione verso chiunque sia capace di smascherare la bellezza nascosta ma incredibilmente potente della vita. BRIANTEA84 UNIPOL SQUADRA DELL’ANNO PER I GIORNALISTI SPORTIVI LOMBARDI Per i giornalisti sportivi della Lombardia non c’è dubbio: per il 2013 la “Squadra dell’anno” non può che essere la Unipol Briantea84. La formazione stellare che nella passata stagione non ha avuto rivali, in Italia e in Europa, lunedì 10 febbraio alle 18 è stata premiata dal Glgs-Ussi (Gruppo lombardo giornalisti sportivi e Unione stampa sportiva italiana) al Circolo della Stampa di Milano (corso Venezia 48). Al fianco dei campioni brianzoli, accompagnati dal presidente Alfredo Marson, è salito sul palco anche Massimo Moratti, scelto come “Personaggio dell’anno”. Un riconoscimento che intende valorizzare non solo le vittorie sul campo, ma anche “la meritoria attività di Briantea84 nel suo complesso”. Nell’anno del suo trentesimo compleanno, festeggiato proprio l’8 febbraio, non poteva esserci regalo migliore: “Questo titolo premia il nostro 2013 straordinario e rende ancor più speciale il momento storico che stiamo vivendo – ha commentato Marson -, l’anniversario dei nostri meravigliosi e intensi 30 anni di attività. Si tratta di un traguardo importante, raggiunto grazie al concreto supporto e alla piena fiducia di chi ha deciso di investire nella nostra società; parlo degli sponsor e di tutti i nostri collaboratori. Le vittorie non sono mai opera di una sola persona, ma dipendono dal contributo di molti: diventare squadra dell’anno significa avere alle spalle un gruppo solido ed efficiente, che supporta ciò che accade sul campo e che rende possibile sognare in grande”. 63 basketcom gli azzurri sono un new media Social di Giancarlo Migliola In principio fu Datome. È proprio grazie a Gigi che nacque, nell’estate 2012, l’hashtag #Italbasket. Trascinata dall’onda dei retweet pubblicati dai nostri tifosi in una stagione di sole vittorie, la Federazione Italiana Pallacanestro ha deciso di sbarcare nel mondo dei social. In colpevole ritardo, è evidente, ma d’altra parte con i social media si è in ritardo anche… domani. Profilo Facebook, account Twitter, canale Youtube e tra poco anche Instagram: offrire contenuti, immagini e “dietro le quinte” esclusivi è quanto si propone di realizzare la Fip 2.0. A una prima fase di coinvolgimento emotivo e passionale, in cui i veri protagonisti sono stati gli Azzurri con i loro “stati” e i loro tweet, sta per fare seguito una stagione che partirà con l’All-Star Game di Ancona e che vedrà la Federazione compiere ancora un passo in avanti verso un uso più consapevole e strategico di un fenomeno che ormai è davvero impossibile sottovalutare. Tanto che da quest’anno i tradizionali roster Azzurri non comprendono più solo ruolo, centimetri e squadra d’appartenenza, ma inevitabilmente anche tutti gli indirizzi social dei ragazzi convocati. Un passaggio obbligato vista la popolarità degli atleti e la quantità di informazioni che essi veicolano attraverso i loro profili. Un altro progetto della nuova comunicazione federale è certamente Fip Magazine, il nuovo rotocalco mensile prodotto dall’Ufficio Stampa e visibile sulla webtv del sito www.fip.it. Ogni mese Fip Magazine intende raccontare il variegato mondo della Fip, i suoi grandi personaggi del presente e del passato, con un taglio moderno ed efficace, in grado di rispondere alle esigenze “social” della comunicazione moderna. Nel primo numero Nicolò Melli, Alessandro Gentile e Daniel Hackett hanno ribadito il loro amore per la Maglia Azzurra, Dan Peterson e Simone Pianigiani si sono sfidati in un’intervista doppia a 360º e le gemelle Francesca e Cate- rina Dotto hanno raccontato il loro percorso comune, dal Minibasket a San Martino di Lupari fino alle medaglie vinte con la maglia della Nazionale. Nel secondo appuntamento, online il 22 marzo, tra i vari servizi il ritratto di Stefano Domenicali (Direttore della Gestione Sportiva in Ferrari e grande appassionato di pallacanestro) e l’amarcord della semifinale olimpica tra Italia e Lituania dei Giochi Olimpici del 2004 rivissuta a modo suo da Gianmarco Pozzecco, oltre all’esibizione della Nazionale Femminile che balla “Happy”, il tormentone musicale del momento cantato da Pharrell Williams. 65 6.2014 BM Events Il giornale al bar: cominciamo con un… Brindisi Di basket bar ce ne sono un po’ dappertutto. E Cafèi, in realtà, non rientrebbe neanche tanto facilmente nella categoria: ha la residenza giusta, Brindisi, città di basket, ma gli manca il nome. Il fatto è che la titolare di questo che oltre tutto è il primo eBook bar d’Italia, approdo interessante pure per Basket Magazine, visto l’interesse che riscuote la versione digitale del nostro giornale, è Monica Bastiani. Già arruolata come firma, e ancora impegnata in un riscaldamento che le avremmo risparmiato, essendo già editorialista della Gazzetta del Mezzogiorno, Monica ha giocato in mezza Italia e nella Nazionale più importante, quella che ha giocato alle Olimpiadi di Barcelona. Oggi continua ad allenare e ha deciso di aprire le porte del suo locale ai BM Events, pomeriggi, happy hour, incontri in cui si parlerà di basket avendo sempre il nostro giornale come punto di riferimento: per l’inizio della discussione, astenersi quanti non hanno una passione smisurata, e per la pubblicazione della stessa, sulle nostre pagine e sul sito. A ogni appuntamento, i primi ospiti riceveranno in omaggio una copia del giornale e, nel caso specifico di Cafèi (Largo Sciabiche 11 a Brindisi), Monica Bastiani ha aggiunto un regalo per i primi, tra gli abbonati Enel, che acquisteranno la tessera BM valida per dieci caffè, dieci cappuccini o dieci… pick and roll con bevanda e pasta: rieveranno un mini pallone autografato dai giocatori di Bucchi. Bella idea, per la sua semplicità e per la sua replicabilità. Se avete bisogno di una mano, ci siamo. E dal prossimo numero, oltre a darci il suo Benvenuti al Sud (ecco perché abbiamo sottolineato, dietro suggerimento, che Monica ha giocato in mezza Italia), Monica racconterà anche i primi BM Events. Nella foto in basso: il Cafèi di Brindisi. A destra: la titolare Monica Bastiani, ex giocatrice della Nazionale italiana Nella pagina a fianco: la foto twittata da Marco Belinelli dopo la vittoria nella gara del tiro da 3 punti all’All-Star Game di New Orleans 66 BasketpediA Una bella carriera spesa in serie A tra Ancona, Avellino, Bari, Roma e Viterbo, oltre 100 presenze in azzurro, con la sua maglia di Barcellona unico cimelio cestistico esposto nel Museo della Palla appena aperto nel capoluogo pugliese, Monica Bastiani oggi continua il suo impegno nel basket come allenatrice della New Basket Brindisi e come editorialista, oltre che del quotidiano della sua città, anche di 3,05, il mensile storico del basket brindisino. 6.2014 La Giornata Tipo @basketmagazine di Raffaele Ferraro La Giornata Tipo di Marco Belinelli Ore 8:30 Beli si sveglia nella sua stanza: una tripla. Ore 9:30 Colazione: tortellini in brodo #saudadebolognese. Ore 10:30 La squadra si ritrova in palestra, ognuno è arrivato con la propria auto, Duncan con la papa-mobile. Ore 11:00 Popovich ha deciso di provare un nuovo schema d’attacco. Gli alunni prendono posto al loro banco e il professore può cominciare la lezione. Ore 12:00 Gara di tiro tra Bonner e Belinelli: 85/100 da tre punti per entrambi. Serve una serie supplementare. Marco si gioca il jolly per vincere: Flavio Tranquillo esce dal cesto dei palloni e ad ogni tiro gli urla nelle orecchie “sei caldo come una stufa”. 100/100, vince Belinelli. Ore 13:00 Boris Diaw invita Marco a pranzo. Ore 13:30 Menu Diaw: tris di primi, grigliatone imperiale di carne per 6 persone, verdure miste alla griglia, patate al forno, peperonata, tris di dolci, vini francesi. Menu Beli: tagliatelle al ragù. Si paga alla romana. Ore 14:30 Ultim’ora Ansa: Marco Belinelli è il nuovo testimonial della 3. Ore 15:00 Tony Parker si fionda a casa di Marco. «Marco, Marco, ho letto che sei il testimonial della 3. Devi farmi conoscere Teresa Mannino. Ho tutti i suoi poster in camera, non puoi capire quanto mi faccia sesso quel gran pezzo di gnocca.» «Tony, stai bene? Ma l’hai vista? Passare da Eva Longoria a Teresa Mannino è come andare a un concerto di Bruce Springsteen e poi ascoltare in macchina l’ultimo cd di Arisa.» «Ti prego, Marco, ti prego, ti pago 3 settimane di vacanza a Formentera col Mancio.» «Ok.» Ore 15:30 Suo fratello Umberto gli telefona. «Oh vez, a Bologna vogliono darti il Nettuno D’Oro, uno dei premi più importanti che dà il Comune.» «Umby, io al Comune devo 18.000 euro di multe perché a luglio sono entrato mille volte in centro senza permesso per portare a spasso delle fighe sulla Smart. Sei sicuro che vogliano premiarmi e non fregarmi?» «Ah, soccia vez, non lo so, al limite dico a Peppe di passare al comando dei vigili per far sparire le multe» «Ok, ci sta. Bella» «Bella te.» Ore 17:30 Seconda sessione d’allenamento. Patty Mills arriva 5 minuti in ritardo. Popovich decide che la sua sessione pomeridiana d’allenamento sarà nella prigione di Guantanamo. Ore 18:30 In partitella Ginobili prova uno dei suoi soliti tunnel, questa volta a Beli, ma non riesce. Marco gli ruba palla con le big balls. Ore 19:00 Beli non esegue uno schema e improvvisa un uno contro uno, segnando. Popovich sospende l’allenamento. Ore 19:30 La squadra lascia la palestra. Marco deve rimanere. Ore 23:30 Dopo 4 ore di esercizi di difesa, di letture offensive e sessioni di tiro, ha l’ok da parte di Pop per andare a casa. Ore 01:00 È a letto ma non riesce a prendere sonno. Ha più acido lattico che sangue in corpo. Squilla il telefono. «Marco, sono Kobe.» «Oh, ciao Kobe, dimmi tutto.» «Ti rendi conto che hai vinto la gara del tiro da 3 punti facendo 5 airball? È una cosa vergognosa.» «Lo so Kobe, però ho vinto. Tu non firmeresti per tornare integro la prossima stagione e vincere il sesto anello giocando di merda con Meeks MVP delle Finals?» «Sì. In effetti hai ragione.» Nella speranza che a giugno San Giovanni in Persiceto entri nella storia per aver dato i natali al primo italiano di sempre ad aver conquistato l’anello NBA, questo a cui stiamo assistendo è l’anno di Belinelli. Ha messo a tacere anche Kobe Bryant. 67 6.2014 Crescendo rossiniano Tanti auguri, Oscar Nomen, Omen: si chiama Eleni, ma per il basket è Oscar. Da Oscar la passione che ha sempre avuto, per il basket e non solo, inventando soprannomi che oggi sono la storia stessa della nostra disciplina: dal Nano ghiacciato (Peterson) al Vate (Bianchini), da Arsenio (D’Antoni) alla Banda Bassotti (l’Olimpia). E poi il Principe (Rubini), il Barone (Sales), il Paron (Zorzi) e Tancredi (Messina). Da Oscar all’amicizia il libro che hanno voluto regalargli per i 70 anni tanti suoi compagni: di strada, di avventura, di passione. Noi abbiamo scelto il ricordo di Toni Cappellari, che, di tutti, è forse la persona a cui più è legato Eleni. Perché ognuno dei due ha fatto il mestiere che sarebbe piaciuto all’altro. Perché tutti e due hanno sempre mangiato pane e basket. Noi di Basket Magazine ci aggiungiamo buoni ultimi: Auguri Oscar! Noi del LAMBER a voi della Canottieri ve l’abbiamo sempre “spiegata” sul campo, ma soprattutto fuori. Poi hai incominciato a “spiegarla” tu e debbo dire che sui tavoli del Torchietto, ovviamente terza sala con bottiglie di grappa e di whisky, mi hai fatto capire una cosa fondamentale dello sport: le vittorie sono di tutti, anche di chi non c’entra niente, mentre le sconfitte sono tue e perciò più personali, più umane. Amavo quei momenti, quando Sergio lasciava le chiavi del locale e andava a letto, i cartai Franco, Mike, Fausto e Persia si facevano da parte e iniziavano le loro sfide, noi incominciavamo a discutere su ogni argomento cestistico. Noi eravamo addetti ai lavori, giornalisti e tifosi eccellenti; ovviamente mancava Dan che era già in braccio a Morfeo. Tu la “spiegavi” facendoci amare i giocatori operai, non hai mai amato il talento se non accompagnato dalla voglia di sacrificarsi e di battersi, non ti sono mai piaciuti i fenomeni. Poi i soloni dello sport dicono che il terzo millennio ha cambiato lo sport; non è vero, tu lo racconti e lo interpreti come sempre. Oscar, non cambiare! Toni Cappellari Anno di grazia 1973. Gianni Menichelli, allora direttore dei Giganti, mi convoca a Milano per un colloquio. Scherzi a parte non c’è ancora, Paperissima neppure, vado in coma (non assistito) in attesa dell’incontro. Il giorno fatidico entro nel bar di Corso Venezia per un caffè che mi risvegliasse dal coma e trovo schierati, assieme a Menichelli, Tavarozzi (La Stampa), Beccantini (Gazzetta), Eleni (Il Giornale). Per me i Tre Re Magi, la Santissima Trinità, il tris di primi. Saliva azzerata, tachicardia, blocco di ogni funzione. Ci pensa Eleni a 68 OSCAR 70 mettermi a mio agio: «Ah, tu sei quello che ha attaccato mia moglie sul giornale di Sesto dopo la partita di domenica...». (La dolce Luisa, a quel tempo, giocava a Sesto San Giovanni, dove io vivevo e scrivevo, giusto per spiegare). Perfetto, carriera finita ancora prima di cominciare. Mi volto per uscire pensando già a dove avrei aspettato Eleni con la P38 (allora si usava), quando sento parole angeliche provenire dal cielo: «Ha fatto bene, la Luisa domenica ha giocato col culo». Parole e musica di Gianni Menichelli, almeno il colloquio era salvo. Sappiamo poi com’è andata e sappiamo anche che con Eleni ho condiviso otto Olimpiadi, qualche migliaio di Coppe, Mondiali, Universiadi, persino la stessa camera per un mese a Manila (provate voi). Rubini, Stankovic e la Mondadori ci hanno voluto insieme per scrivere la storia dei 100 anni del basket. Insomma, una vita. Il momento più bello? Quando l’ho scaraventato giù dal pullman in mezzo alla campagna dell’Arkansas dopo l’ennesima menata sul ristorante che non andava bene, la partita che iniziava tardi, il telefono in albergo che non prendeva (tutte cose di mia competenza, ovviamente). Che bello vederlo in piedi in mezzo alla strada, un puntino che diventava sempre più piccolo. E soprattutto sapere che non c’erano né la Luisa né Cappellari che andassero a prenderlo... Toh, così impari ad aggredirmi nel bar di corso Venezia, pirla. Dario Colombo d rose 4.5 Get the D Rose 4.5 at adidasbasketball.com © 2014 adidas AG. adidas, the 3-Bars logo and the 3-Stripes mark are registered trademarks of the adidas Group.
© Copyright 2024 Paperzz